RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L n. 50 - Testo della trasmissione di domenica 19 febbraio 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La fede nell’amore di Dio può guarire l’umanità paralizzata nel suo sviluppo di pace e di giustizia: così Benedetto XVI all’Angelus di questa mattina in Piazza San Pietro. Il dolore e la solidarietà del Papa per le vittime della tragedia nelle Filippine

 

Prosegue la visita pastorale del cardinale Crescenzio Sepe in Sudan, dove ha incontrato vescovi, sacerdoti e laici

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Angoscia nelle Filippine per le vittime del villaggio seppellito dalla frana, mentre le autorità evacuano migliaia di persone di altri villaggi: ai nostri microfoni, il vescovo  Precioso Cantillas

 

Il lavoro dei Salesiani per l’alfabetizzazione in Angola: l’Istituto Don Bosco in pochi anni ha accresciuto del 300% il tasso di scolarizzazione di 20 mila giovani e adulti. Intervista con don Ferdinando Colombo

 

La repressione del Sant’Uffizio in rapporto alle vicende della sua epoca: concluso a Roma un convegno su “I Domenicani e l’Inquisizione”

 

Celebrato ieri a Milano un Convegno su Rosmini, grande filosofo italiano dell’Ottocento, avviato all’onore degli altari: ce ne parla padre Umberto Muratore

 

CHIESA E SOCIETA’:

Migliaia di persone accolgono a Fatima la salma di Suor Lucia Dos Santos. Le spoglie della veggente riposeranno nel Santuario accanto a quelle di Francesco e Giacinta

 

Oltre 100 mila persone sfollate e prive di tutto a causa di guerre e violenze: è l’allarme lanciato dai superiori delle Congregazioni religiose del Katanga, nella Repubblica Democratica del Congo

 

La Caritas Internationalis chiede aiuti per le vittime delle inondazioni in Bolivia

 

Aiuti alle popolazioni del Kenya colpite dalla siccità grazie ai fondi racconti con la vendita di un’edizione speciale di francobolli del Vaticano

 

In convegno a Milano la Caritas italiana, il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, i Gesuiti e i Missionari comboniani: aprirsi a fedi e culture diverse e accompagnare la vita in ogni fase del suo sviluppo

 

24 ORE NEL MONDO:

Nel Nord della Nigeria, le proteste per le vignette su Maometto degenerano in duri attacchi contro i cristiani. Il bilancio, ancora provvisorio, parla di decine di morti e di chiese incendiate

 

In Medio Oriente, Israele congela i fondi dovuti all’Autorità Nazionale Palestinese. Hamas nomina Ismail Haniyah come nuovo premier palestinese

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 febbraio 2006

 

 

ALL’ANGELUS, BENEDETTO XVI INVITA L’UMANITA’ A SANARE I PROPRI MALI

APRENDOSI ALL’AMORE DI  DIO, L’UNICA “VERA FORZA CHE RINNOVA IL MONDO.

IL DOLORE DEL PAPA PER LE VITTIME DELLA SCIAGURA

NEL VILLAGGIO DELLE FILIPPINE

 

Dio vuole “guarire prima di tutto lo spirito” dell’uomo, aprendolo alla sua misericordia: solo così sarà possibile per la “famiglia umana” sciogliersi dai “lacci” del peccato che la imprigionano e crescere nella pace e nella giustizia. Benedetto XVI ha tenuto la sua breve catechesi dell’Angelus di oggi davanti a migliaia di persone, che hanno trovato una Piazza San Pietro illuminata da un sole tiepido. Nei suoi saluti, il Papa ha rivolto un pensiero agli abitanti del villaggio filippino distrutto due giorni fa da una enorme frana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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C’è un’umanità bloccata nel suo sviluppo di pace e di giustizia come il paralitico del Vangelo è impedito nell’uso delle sue gambe. L’uomo del Vangelo guarisce perché quattro persone lo trasportano da Gesù, nel quale hanno fede. Anche l’umanità può guarire dalla sua paralisi se crede all’amore di Dio, il solo che “può rinnovare il cuore dell’uomo”. E’ questo l’insegnamento desunto dalla liturgia domenicale spiegato da Benedetto XVI all’Angelus, che ha visto il Papa farsi vicino alle vittime della catastrofe avvenuta due giorni fa nelle Filippine:

 

IN A SPECIAL WAY OUR HEARTS TURN TO ALL THOSE SUFFERING…

In modo speciale, i nostri cuori si rivolgono a tutti coloro che stanno patendo per le devastanti conseguenze della frana nelle Filippine. Vi chiedo di unirvi a me nella preghiera …”

        

Il cordoglio del Pontefice per la sciagura e la sua solidarietà per i familiari dei morti e dei dispersi, espressi in inglese dopo la preghiera mariana, ha esemplificato la sofferenza fisica e materiale che può arrivare all’uomo dall’esterno, ad esempio dalla natura. Ma c’è anche un altro dolore, di tipo più intimo, che Benedetto XVI ha voluto mettere in rilievo prendendo spunto dall’uomo paralizzato guarito da Gesù:

 

“Il paralitico è immagine di ogni essere umano a cui il peccato impedisce di muoversi liberamente, di camminare nella via del bene, di dare il meglio di sé. In effetti, il male, annidandosi nell’animo, lega l’uomo con i lacci della menzogna, dell’ira, dell’invidia e degli altri peccati, e a poco a poco lo paralizza (…) Il messaggio è chiaro: l’uomo, paralizzato dal peccato, ha bisogno della misericordia di Dio, che Cristo è venuto a donargli, perché, guarito nel cuore, tutta la sua esistenza possa rifiorire”.

 

“Anche oggi – ha proseguito il Papa - l’umanità porta i segni del peccato, che le impedisce di progredire speditamente in quei valori di fraternità, di giustizia, di pace che pure si è proposta in solenni dichiarazioni”. Ma perché accade questo, si è domandato Pontefice:

 

“Che cosa blocca il suo cammino? Che cosa paralizza questo sviluppo integrale? Sappiamo bene che, sul piano storico, le cause sono molteplici e il problema è complesso. Ma la Parola di Dio ci invita ad avere uno sguardo di fede e a confidare, come quelle persone che portarono il paralitico, che solo Gesù può guarire veramente”.

 

Riconoscendo come i suoi predecessori, e in particolare l’“amato Giovanni Paolo II”, abbiano voluto, attraverso l’intercessione di Maria Immacolata, ricondurre “gli uomini del nostro tempo a Cristo Redentore” perché “li potesse risanare”, Benedetto XVI ha affermato:

 

“Anch’io ho voluto proseguire su questa strada. In modo particolare, con la prima Enciclica Deus caritas est, ho inteso additare ai credenti e al mondo intero Dio come fonte di autentico amore. Solo l’amore di Dio può rinnovare il cuore dell’uomo, e solo se guarisce nel cuore l’umanità paralizzata può rialzarsi e camminare. L’amore di Dio è la vera forza che rinnova il mondo”.

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IL CARDINALE CRESCENZIO SEPE, IN VISITA IN SUDAN, ESORTA SACERDOTI E LAICI

A DARE UN NUOVO IMPULSO ALL’IMPEGNO MISSIONARIO. AI VESCOVI INCONTRATI IERI A KHARTOUM L’INVITO AD UNA TESTIMONIANZA PROFETICA E ALLA COMUNIONE

 

Prosegue la visita in Sudan del prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Crescenzio Sepe. Questa mattina, nella cattedrale di Khartoum, il porporato ha parlato con sacerdoti, religiosi e laici ai quali ha chiesto di rilanciare l’impegno missionario. Ai vescovi, incontrati ieri pomeriggio, l’invito alla comunione e ad una testimonianza profetica e coraggiosa. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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Un plauso al fermo coraggio di religiosi e laici per il loro impegno a favore della pace in Sudan. Lo ha rivolto stamattina il cardinale Crescenzio Sepe nella cattedrale di Khartoum a sacerdoti, rappresentanti di ordini religiosi e fedeli. Il porporato ha lodato in particolare l’impegno di quanti, in una situazione di inquietudine socio-politica causata dalla guerra civile, promuovono la cultura della giustizia e della pace attraverso la riconciliazione. Nell’urgente bisogno di rinnovamento e di ricostruzione, ha detto poi il cardinale Sepe, occorre rilanciare e dare un nuovo impulso all’impegno missionario della Chiesa. Ai catechisti incontrati ieri pomeriggio, l’esortazione ad essere sale della terra nella quotidianità, con lealtà e coraggio, e lievito per edificare la vita del prossimo. “Con la vostra attiva partecipazione agli affari della vita e, in particolare, nelle condizioni ordinarie della vostra famiglia, della vostra comunità e della vita socio-politica, siete chiamati ad essere strumenti mediante i quali la grazia di Dio permea tutti i livelli della società” ha specificato il porporato.

 

Ai vescovi, incontrati pure nel pomeriggio di ieri, invece l’apprezzamento per l’impegno profuso in un Sudan dilaniato da diversi mali, frutto della lunga guerra civile. “In questa complessa situazione – ha detto il cardinale – la vostra Chiesa è ancora una volta chiamata a testimoniare Cristo, prendendo posizioni coraggiose e profetiche”. “Non abbiate paura e siate certi della presenza della Chiesa tra di voi – ha proseguito il porporato – della presenza di Dio che lavora attraverso la Chiesa e tutte le persone di buona volontà”. Per il cardinale Sepe, le preoccupazioni che riguardano la realtà sociale devono portare alla proclamazione della Buona Novella ai non credenti, al rafforzamento della fede e dello spirito missionario tra i cattolici, soprattutto in un’epoca in cui proliferano sette e tradizioni che non corrispondono al Vangelo. “Vi invito a rafforzare la comunione tra voi”, ha concluso il porporato.

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 febbraio 2006

 

ANGOSCIA NELLE FILIPPINE PER LE VITTIME DEL VILLAGGIO SEPPELLITO DALLA FRANA.

SEMPRE ALTISSIMO IL NUMERO DEI DISPERSI, MENTRE SI SCAVA ALLA RICERCA

DI EVENTUALI SUPERSTITI

- Intervista con il vescovo Precioso Cantillas -

 

E’ come un enorme e silenzioso tumulo di terra, alto in alcuni punti fino a 10 metri, quello che seppellisce da due giorni il villaggio filippino di Guinsaugon, dopo la frana che lo ha colpito venerdì scorso provocando la morte di almeno 65 persone – secondo un bilancio ufficiale ma provvisorio - e un altissimo numero di dispersi, tra i 1500 e i 3000, secondo le fonti ufficiali. Mentre i soccorritori continuano a scavare, le autorità hanno fatto sgomberare per sicurezza altri undici villaggi, ognuno con due-tremila abitanti, trasferiti provvisoriamente in altre località. Sulle cause che hanno provocatolo il catastrofico smottamento del terreno, Francesca Fialdini ha raggiunto telefonicamente il vescovo di Maasin, Precioso Cantillas:

 

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R. – Le cause sono dovute alla moltissima pioggia e poi a un terremoto, cosicché una parte di montagna è caduta giù e poi ha coperto un villaggio di 325 famiglie, più di 1000 abitanti. Era già capitata una cosa simile due anni fa. Ci furono 200 morti.

 

D. – Eccellenza, possiamo dire che è anche colpa della deforestazione?

 

R. – Ma anni e anni fa c’erano gli alberi, una foresta. Però ho visto che questi cocona trees, piantati nella montagna, sono un tipo di alberi senza radici …

 

D. – Qual è la situazione adesso nel Paese?

 

R. – Sta piovendo ancora, però meno dei giorni passati.

 

D. – Come la Chiesa starà vicino alla popolazione?

 

R. – La gente è alloggiata nelle parrocchie, nelle scuole. Adesso hanno già organizzato delle distribuzioni di cibo, ecc...

 

D. – Conosce i paesi che sono stati colpiti?

 

R. – Sì, siamo al sud dell’Isola di Leyte, con moltissimi abitanti, quasi al 90% cattolici. Non ci sono industrie. E’ una delle zone più povere rispetto alle altre delle Filippine.

 

D. – Le case come sono costruite?

 

R. – Sono di legno e poi di materiale leggero.

 

D. – Ha ricevuto il telegramma di Benedetto XVI?

 

R. – Domani (oggi, ndr) andrò a celebrare la Messa con la gente del posto. Allegherò anche il telegramma del Santo Padre.

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IL LAVORO DEI SALESIANI PER L’ALFABETIZZAZIONE IN ANGOLA:

L’ISTITUTO DON BOSCO IN POCHI ANNI HA ACCRESCIUTO DEL 300%

IL TASSO DI SCOLARIZZAZIONE DI 20 MILA GIOVANI E ADULTI

- Intervista con don Ferdinando Colombo -

 

Undici centri di alfabetizzazione, 23 scuole, 2 centri di formazione professionale, un ufficio per il Lavoro in grado di aiutare coloro che sono in cerca di impiego o intenzionati ad avviare un’attività in proprio. E ancora, otto centri medici e due laboratori di analisi. E’ quanto ha realizzato in Angola il VIS, il Volontariato internazionale per lo sviluppo, che opera nel Paese al fianco dei Salesiani, dal 1991. Dopo un ventennio di guerra civile, che ha distrutto intere famiglie e azzerato l’economia, la ricostruzione è iniziata con la firma degli Accordi di Pace nel 2002. Oggi, il 70% della popolazione ha meno di 24 anni e la maggior parte è analfabeta, ma grazie alla scuola di Don Bosco in 3 anni c’è stato un incremento del 330% della scolarizzazione. Antonella Villani ha raccolto la testimonianza di Don Ferdinando Colombo, vice presidente del VIS e missionario nel Paese:

 

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R. – Quando noi siamo arrivati nel ’91, il Paese era di fatto in un momento di guerra civile. Poi c’è stata una speranza di pace che è stata travolta immediatamente, accompagnata da un fenomeno di fuga nelle città, in genere controllate del governo centrale, e di spopolamento delle campagne, in mano all’esercito ribelle. Quindi difficoltà di commerci, annullamento quasi totale di attività scolastiche ed attività sanitarie. La gente si è ammassata in baracche, nelle zone dove nessuno avrebbe voluto abitare: come l’immondezzaio pubblico, dove attualmente vivono settecentomila persone con in mezzo la scuola Don Bosco, che abbiamo costruito in questi ultimi anni.

 

D. – Perché puntare tanto sull’alfabetizzazione?

 

R. – Il progresso di un popolo nasce dalla sua cultura, dalla sua capacità di essere libero nelle sue scelte. Un analfabeta vota quello che gli viene detto, non legge, non è in grado di decidere. Non può pensare di migliorare il suo livello di lavoro, di abitazione, di igiene personale e di condivisione di tutti i problemi della nazione.

 

D.-  Il 330% di alfabetizzazione: questo è il successo della scuola di Don Bosco dal 2002 ad oggi. Una scuola nata, come detto, sul quartiere-spazzatura…

 

R. – Quello che mi meraviglia è proprio vedere questa forza, per cui due, tre o quattro Salesiani preparano 200-300 animatori locali, che di giorno lavorano e che di sera si prestano a imparare, piccoli e grandi. Oggi 20.000 persone sono seguite, nell’alfabetizzazione, da questi pochi Salesiani che in tutta l’Angola sono una quarantina.

 

D. – Quindi è possibile, anche con poco, costruire qualcosa di diverso…

 

R. – Questa è la prova concreta di come poche persone di buona volontà - che però credono in questi valori educativi e umani - possono cambiare il volto addirittura di un quartiere intero, e speriamo della nazione.

 

D. – Un’immagine che lei si porta dentro e che secondo lei rappresenta un po’ l’Angola e la rivincita dell’Angola…

 

R. – Mi sono ritrovato in questo quartiere immondezzaio per vari anni - quattro anni di alfabetizzatone e di catechesi, perché oltre a imparare a leggere e a scrivere, ci chiedevano di conoscere la fede, che gli era stata negata in tutti gli anni della guerra - fino a quando è fiorito il primo gruppo di alfabetizzati, un gruppo di giovanotti e di ragazze che ricevevano il Battesimo e la Prima Comunione. La gioia di uno di questi giovani, ma identica per tutti, era espressa così: oggi mi sento veramente figlio di Dio e quindi nella mia piena dignità di uomo. Detto da loro - che pure continuavano ad abitare in baracche poverissime, ma avevano il coraggio, tutte le mattine, di ricominciare a lottare per una vita dignitosa e per dare ai propri figli e alla propria famiglia un futuro - è veramente l’immagine più bella che mi tengo nel cuore e che mi fa capire che vale la pena, davvero, di costruire ponti di collegamento tra le nostre comunità italiane e le comunità di questi paesi poveri.

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LE ATTIVITA’ DI REPRESSIONE E DI PREDICAZIONE AL TEMPO DEL SANT’UFFIZIO

AL CENTRO DEL SEMINARIO “I DOMENICANI E L’INQUISIZIONE”

CONCLUSOSI IERI A ROMA

- Intervista con il cardinale George Cottier e con padre Carlo Longo -

 

La fede non si può difendere reprimendo il pensiero e la libertà della persona: è il monito che emerge dal controverso periodo storico dell’Inquisizione, del quale si è occupato il terzo seminario internazionale: “I domenicani e l’Inquisizione romana”. Il Convegno, promosso dall’Istituto storico domenicano e conclusosi ieri nella sede della Pontificia Università San Tommaso a Roma, ha messo in luce le ombre di quell’esperienza storica, ma anche qualche attenuante che ridimensiona in parte quanto accaduto. Il servizio di Amedeo Lomonaco.

 

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Il terzo seminario internazionale “I domenicani e l’inquisizione” ha messo in luce come l’Ordine domenicano sia stato pienamente coinvolto nell’azione repressiva del Sant’Uffizio, istituzione fondata nel 1542. Questa azione è stata affiancata anche da finalità tese all’educazione e alla difesa della cristianità. Su queste priorità ascoltiamo il cardinale George Cottier, già teologo della Casa Pontificia, che ha inaugurato l’incontro.

 

“L’intenzione di fondo dell’Inquisizione era la difesa della fede. L’idea era di impedire con mezzi giuridici e azioni anche violente la diffusione dell’eresia. Nell’Inquisizione c’è un errore profondo, di tipo psicologico: quello secondo cui la coercizione fisica possa impedire la diffusione delle idee. Oggi, al contrario, la coercizione favorisce la diffusione delle idee. Certamente, l’uso della violenza per impedire l’eresia ha portato a grandi abusi”.

 

Il cardinale Cottier sottolinea, poi, come questa storia di abusi debba comunque essere distinta da altre drammatiche pagine di storia:

 

“Abbiamo l’esperienza storica dei grandi totalitarismi che hanno perseguitato le idee con modalità che non si possono paragonare a quello che ha fatto l’Inquisizione. L’Inquisizione, infatti, era molto più moderata ed era condotta con una preoccupazione di equità e di rispetto del diritto. Preoccupazioni che, invece, non hanno riguardato i grandi sistemi totalitari. Dobbiamo anche tener conto della mentalità differente e del contesto storico e ridimensionare l’Inquisizione di cui si fa un mito”.

 

L’Inquisizione presenta molteplici lati oscuri e atrocità per le quali Giovanni Paolo II ha chiesto perdono. Ma quante sono state le condanne e le vittime di queste sentenze? Risponde il segretario dell’istituto storico domenicano, padre Carlo Longo:

 

“Non sono stati compiuti studi seri. Certamente ci furono molte condanne. Ci furono sicuramente molte condanne capitali, anche in numero rilevante. Però, ancora non si può dire se le vittime furono 1000, 500 o 50.000. Molto spesso quello che si dice o è frutto di esagerazione, di una “la leggenda nera”, o è il risultato di giustificazioni, di una “la leggenda rosa”.

 

Tra le vittime dell’Inquisizione, Giordano Bruno, è quella più nota. Quale eredità ci ha lasciato Giordano Bruno?

 

“E’ certamente un insegnamento in negativo. La fede si propone e non si reprime. Non si ottiene niente uccidendo la gente. Il sistema europeo cattolico della Controriforma doveva difendersi perché aveva grandi paure. Si difendeva con le proprie armi e, purtroppo, una di queste armi era l’Inquisizione.

 

L’esperienza dell’Inquisizione è dunque chiusa ma da questa pagina storica possiamo trarre un monito sempre valido. Ascoltiamo ancora padre Longo:

 

“E’ certamente un monito verso i sistemi politici vigenti che cercano di imporre con la forza idee politiche che non sono quelle che la gente vorrebbe”.

 

Le idee, anche quelle che difendono la verità, non devono dunque mai essere imposte con la violenza. E’ questo il principale insegnamento che possiamo ricavare dalla storia dell’Inquisizione.

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CELEBRATO IERI A MILANO UN CONVEGNO SU ROSMINI,

IL GRANDE FILOSOFO ITALIANO DELL’OTTOCENTO

AVVIATO ALL’ONORE DEGLI ALTARI

- Intervista con padre Umberto Muratore -

 

Da Clemente Rebora ad Antonio Rosmini” si intitola il convegno che svoltosi ieri a Milano, al Cinema Palestrina. Organizzato dai Padri e dalle Suore rosminiane nell’ambito della preparazione spirituale alla beatificazione di Antonio Rosmini e introdotto da una Messa presieduta dal vescovo rosminiano, Antonio Riboldi, il convegno ha visto alternarsi tra i relatori i professori Maurizio De Paoli, Renata Lollo, Fulvio De Giorgi e Maria Angelica Bacca. Giovanni Peduto ha chiesto a padre Umberto Muratore, provinciale dei Rosminiani italiani e direttore del Centro internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, di illustrare l’iniziativa:

 

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R. – Abbiamo intitolato il convegno “Da Clemente Rebora ad Antonio Rosmini” perché volevamo sottolineare l’efficacia di Rosmini nel discorso della santità, non solo tra i filosofi ed i politici, ma anche tra i letterati. Come già era successo per Alessandro Manzoni, così è successo per il poeta Clemente Rebora: l’incontro con Rosmini ha risvegliato, acceso e orientato in lui l’esigenza battesimale fino a condurlo ai vertici della santità.

 

D. – Chi è stato Clemente Rebora e che rapporto ha avuto con Antonio Rosmini?

 

R. – Clemente Rebora è stato forse il più grande poeta religioso italiano del Novecento. Nato e cresciuto ateo fin oltre i 40 anni, folgorato da una conversione simile a quella di San Paolo, finì col farsi religioso rosminiano e divenne sacerdote umile e sofferente per il resto della vita. Si è spento a Stresa nel 1957. Delle sue raccolte di poesie sono note prima della conversione i “Frammenti lirici ed i “Canti Anonimi”. Dopo la conversione, il “Curriculum vitae” ed i “Canti dell’infermità”.

 

D. – Qual è l’attualità di Rosmini, oggi?

 

R. – Direi che la sua attualità sta nella freschezza e nell’efficacia che i suoi scritti hanno oggi di fare da ponte tra il deposito della fede tradizionale e la modernità, fra l’immanenza e la trascendenza, fra l’individuo e la persona. Chi lo legge, avverte insieme la forza della ragione ed il suo spontaneo approdare nella rivelazione come nel suo compimento. Insomma, Rosmini oggi ci aiuta a recuperare una fede integra e che non umilia, ma completa l’esercizio dell’intelligenza.

 

D. – A che punto è la Causa di beatificazione di Rosmini?

 

R. – Il cammino verso la Beatificazione di Rosmini oggi si trova a quel punto nel quale si esaminano le virtù eroiche. Una volta completato questo esame dovrebbe esserci la dichiarazione di venerabilità, che noi ovviamente ci auguriamo giunga al più presto. Il passo successivo dovrebbe essere l’esame del miracolo, che noi abbiamo già presentato. Quindi la Beatificazione.

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CHIESA E SOCIETA’

19 febbraio 2006

 

OGGI A FATIMA IL TRASFERIMENTO DA COIMBRA DELLE SPOGLIE DI SUOR LUCIA,

LA TERZA DEI TRE PASTORELLI AI QUALI, NEL 1917, APPARVE LA VERGINE.

LA TUMULAZIONE AVVERRA’ NEL SANTUARIO

DOVE RIPOSANO I DUE CUGINI FRANCESCO E GIACINTA

- A cura di Riccardo Carucci -

 

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LISBONA. = Circa 250 mila persone sono riunite da questa mattina nel santuario di Fatima per accogliere le spoglie di suor Lucia, la terza dei tre pastorelli che nel 1917 ebbero l’apparizione della Vergine. Suor Lucia, o “Lùcia”, come dicono i portoghesi, morì esattamente un anno e sei giorni fa, a quasi 98 anni, nel convento carmelitano di Santa Teresa a Coimbra, dove viveva in clausura dal 1948. Ma suo desiderio esplicito era quello di essere sepolta accanto ai cuginetti Francisco e Jacinta Marto, che erano con lei quando la Vergine le parlò e che morirono ambedue in tenera età. Sono sepolti nella Basilica del Santuario di Fatima, e accanto a loro riposerà, a partire da oggi, suor Lucia. La salma ha lasciato stamattina il convento di Santa Teresa e, dopo una Messa nella cattedrale di Coimbra, è partita per Fatima. Si è trattato di un viaggio di un’ora, accompagnato da forti misure di sicurezza. A Fatima, dove le condizioni atmosferiche non sono purtroppo molto buone, il corpo di suor Lucia sosterà dapprima nella Cappella delle Apparizioni, dove sarà recitato il Rosario, poi ci sarà una Messa, infine si procederà alla tumulazione seguita da una processione. I tre principali canali della televisione portoghese trasmettono in diretta le cerimonie, riprese anche da numerose tv straniere, così come sono numerosi gli stranieri tra i pellegrini presenti a Fatima. La traslazione della salma di suor Lucia apre un lungo programma di iniziative religiose, culturali, artistiche e di meditazione per il 90.mo anniversario della prima apparizione della Vergine, che ricorrerà il 13 maggio 2007; sarà allora che verrà inaugurata la nuova chiesa, attualmente in costruzione a Fatima. Naturalmente, l’attuale basilica, consacrata nel 1953, continuerà a svolgere tutte le sue funzioni, ma la nuova chiesa, dedicata alla Santissima Trinità, offrirà un ampio spazio per cerimonie particolarmente significative e di grande affluenza. E’ un’opera che costa 40 milioni di euro, una chiesa circolare con un diametro di 125 metri, che sarà la più grande chiesa del Portogallo e una delle maggiori d’Europa.

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NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, I SUPERIORI DELLE CONGREGAZIONI

RELIGIOSE DEL KATANGA LANCIANO UN ALLARME: 120 MILA PERSONE SFOLLATE E PRIVE DI TUTTO A CAUSA DI GUERRE E VIOLENZE

 

KINSHASA. = Morte e desolazione: questo sta continuando a causare, nella Repubblica Democratica del Congo, la guerra iniziata da Laurent Desiré Kabila contro le forze di Mobutu nel 1996-97 e oggi condotta da milizie. I superiori delle congregazioni religiose che operano nel Katanga, nel sud del Paese, scrive l’agenzia Fides, lanciano l’allarme sulla drammatica situazione che da anni provoca lo spostamento di masse umane innumerevoli, in fuga dai tanti e non giustificati conflitti. “Constatiamo che la situazione umanitaria allarmante perdura da anni senza che vi sia una soluzione efficace, malgrado le diverse prese di posizione delle autorità civili ed ecclesiastiche”, si legge in un comunicato dei superiori religiosi. Secondo Anne Egerton, responsabile dell’ufficio degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, le ultime stime degli sfollati sono di 120 mila persone. Uomini, donne, anziani e bambini trascorrono il giorno e la notte nella foresta, sottoposti ad ogni intemperie. La situazione di queste persone è aggravata inoltre da malattie e malnutrizione. “Una buona parte del nord del Katanga sfugge al controllo dello Stato, divenendo un territorio privo di diritto e rendendo impossibile l’organizzazione delle prossime elezioni in queste parte del Paese”, si legge ancora nella dichiarazione dei religiosi che ricorda, oltre ai gruppi armati, anche i militari dell’esercito regolare che operano nella regione. Non sempre pagati ed equipaggiati per fare il loro dovere, questi ultimi non solo sono incapaci di garantire la sicurezza – scrivono le Congregazioni – ma si rendono essi stessi responsabili di gravi violenze nei confronti della popolazione civile. Nel comunicato, si dà atto allo sforzo compiuto dalle organizzazioni umanitarie per alleviare le sofferenze della popolazione katanghese: “Gli organismi che lavorano nel nostro territorio, spesso in condizioni estremamente difficili, hanno già fatto un gran lavoro. Deploriamo però il fatto che l’aiuto promesso non arriva sempre integralmente ai destinatari: ciò che è annunciato dai media non corrisponde, a volte, alla realtà sul territorio”. I religiosi chiedono quindi il disarmo delle milizie, paghe migliori per i militari regolari e una inchiesta sulle responsabilità interne e internazionali sulle violenze nel Katanga. (T.C.)

 

 

LA CARITAS INTERNAZIONALIS CHIEDE AIUTI PER LE VITTIME DELLE INONDAZIONI

IN BOLIVIA. ALCUNE AREE DEL PAESE SONO DIFFICILI

DA RAGGIUNGERE E SERVONO NUOVI SOCCORSI

 

ROMA. = Occorrono 200 mila dollari per portare aiuti d’emergenza alle comunità rurali della Bolivia, dove le forti inondazioni e gli smottamenti delle ultime settimane hanno provocato numerosi morti e distrutto case, coltivazioni e vie di comunicazione. A lanciare l’appello, riferisce l’agenzia ZENIT, è la Caritas Internationalis (CI). Le precipitazioni, il cui livello risulta più elevato del 40 per cento rispetto alla media annuale di questo periodo, hanno colpito particolarmente La Paz, Santa Cruz, Beni e Potosí. La CI, confederazione cattolica di 162 organizzazioni di aiuto, sviluppo e servizio sociale, presente in 200 Paesi e territori, fa sapere che le proprie organizzazioni locali hanno prestato assistenza alla popolazione per quanto hanno potuto, ma che non riescono a far fronte all’emergenza. Visto l’isolamento delle zone più in difficoltà, che ostacola alle popolazioni l’accesso ai canali di aiuto statali e internazionali, la Caritas avverte della necessità di portarvi urgentemente nuovi soccorsi. Sarà la Caritas Bolivia ad occuparsi della supervisione delle operazioni d’emergenza di cui beneficeranno circa 1.500 famiglie. I fondi richiesti verranno destinati alla distribuzione di razioni di cibo e di coperte alle vittime, alcune delle quali non hanno un posto per dormire. Obiettivo della Caritas è anche quello di assicurare alla popolazione locale l’accesso all’assistenza sanitaria di base. I fondi verranno inoltre destinati all’acquisto di attrezzi e di sementi per la ripresa delle attività agricole quando cesseranno le piogge. (T.C.)

 

 

AIUTI ALLE POPOLAZIONI DEL KENYA COLPITE DALLA SICCITÀ GRAZIE AI FONDI

RACCOLTI CON LA VENDITA DI UN’EDIZIONE SPECIALE DI FRANCOBOLLI DEL VATICANO

ROMA. = Trentadue fattorie, una clinica, una scuola primaria, un posto di polizia, una casa di ospitalità, un centro comunitario e un anfiteatro: sono le opere realizzate in Kenya grazie ai fondi raccolti con la vendita dell’edizione speciale dei francobolli della Santa Sede, dedicata ai bambini africani colpiti dall’AIDS e ad altre donazioni. Come si legge in un comunicato dell’agenzia Fides, a Nyumbani, un villaggio presso Kwa Konza, nella provincia di Kitui, è stato inaugurato un nuovo acquedotto, il cui primo getto d’acqua è stato salutato con viva gioia dai suoi abitanti. “Questo singolare benvenuto evento in un’area arida, priva di alberi, è stato il culmine di anni di pianificazione, mesi di lavoro e di sforzi di poche persone dedite ai più bisognosi”, ha affermato in un articolo scritto per l’Agenzia keniana CISA, p. Angelo D’Agostino, gesuita, fondatore e direttore sanitario del Nyumbani Children’s Home. Il completamento della costruzione dell’acquedotto ha permesso l’arrivo di diverse centinaia di bambini e anziani che erano in attesa di sistemarsi nel villaggio da tempo; la mancanza d’acqua aveva finora impedito questo trasferimento. Il missionario tuttavia ha sottolineato le difficoltà burocratiche che a tutt’oggi impediscono alle famiglie di prendere possesso della case e delle fattorie del villaggio. “Con l’arrivo dell’acqua, le famiglie non possono ancora essere ammesse per la semplice ragione che il villaggio, che si prevede sia autosufficiente in 4 anni e le cui spese di gestione correnti saranno assicurate da un donatore che si è impegnato concretamente, deve ottenere un atto di trasferimento di proprietà. In effetti – afferma padre D’Agostino – il processo per ottenere l’atto di proprietà, dopo che il governo ha generosamente offerto la terra, è stato contorto e protratto”. Secondo il governo di Nairobi e le Nazioni Unite, 3 milioni e mezzo di persone sono a rischio a causa della drammatica siccità che sta sconvolgendo il Kenya, in particolare il nord e l’est. Le agenzie delle Nazioni Unite e il governo del Kenya hanno lanciato un appello per la raccolta di 230 milioni di dollari in aiuti da inviare alle popolazioni colpite dalla carestia. (T.C.)

 

 

APRIRSI A FEDI E CULTURE DIVERSE E ACCOMPAGNARE LA VITA IN OGNI FASE 

DEL SUO SVILUPPO: SONO GLI OBIETTIVI CHE SI SONO PROPOSTI

LA CARITAS ITALIANA, IL COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ

DI ACCOGLIENZA, GESUITI E MISSIONARI COMBONIANI IN UN CONVEGNO A MILANO

 - A cura di Fabio Brenna -

 

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MILANO.=  Tre giornate intense fra incontri comuni e lavori di gruppo che hanno messo a confronto rappresentanti della Caritas italiana, del coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza (CNCA), della Federazione del Jesuit Social Network e del gruppo dei Missionari comboniani. Sono state quelle del convegno “In cammino tra memoria e speranza” conclusosi ieri sera a Milano, al Centro PIME. L’incontro è stato la prosecuzione di un confronto iniziato a Firenze oltre un decennio fa. Un percorso che vuol mettere in comune il patrimonio delle esperienze maturate nella cura della vita e delle persone e che cerca di affrontare grandi argomenti, quali costruire la pace in tempo di guerra, lavorare per la giustizia in un tempo caratterizzato da scandalose disuguaglianze ed ancora accompagnare la vita in ogni fase del suo sviluppo. Sullo sfondo di queste giornate, c’è anche un tentativo di preparare una piattaforma comune, oltre a stimoli e proposte per il Convegno ecclesiale della Chiesa italiana che sarà celebrato a Verona nel prossimo mese di ottobre. Lavorare insieme sui bisogni, aprendosi al confronto con gli altri: nel titolo stesso del convegno – ha commentato Lucio Babbolin, della CNCA – c’è questa volontà comune di dialogo tra i cosiddetti uomini di buona volontà. E’ un tentativo di dirci – ha continuato Babbolin – che quello che ci accomuna è l’essere persone in cammino, ed essendo tutti in cammino dovremmo avere la capacità di sviluppare una grande dote: quella di non escludere nessuno dalle relazioni, dalle politiche di inclusione, dalle attività che si svolgono. Ecco la radice che ci accomuna, oltre a quella della fede. Nell’operatività c’è il desiderio di dialogare con tutte gli uomini di  buona volontà”.

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24 ORE NEL MONDO

19 febbraio 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Nigeria, una manifestazione promossa da un’organizzazione musulmana contro la pubblicazione di vignette satiriche su Maometto è degenerata in una violenta protesta che ha colpito anche la comunità cristiana. Il bilancio di questi attacchi è incerto: secondo alcune agenzie sono rimaste uccise almeno 16 persone. Altre fonti parlano, invece, di oltre 40 morti. La maggior parte delle vittime sono cristiani o non musulmani morti in seguito a disordini scoppiati nella città di Maiduguri, nel nord della Nigeria. Durante i tumulti, sono state date alle fiamme anche undici chiese cristiane. Ma come spiegare, in Nigeria, il passaggio dalle proteste alle violenze? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a don Roberto, missionario salesiano ad Onitsha, nel sud del Paese africano:

 

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R. – Secondo me, ancora una volta, si combinano interessi economici con presunte motivazioni religiose. I cristiani che vivono nel Nord della Nigeria sono in genere molto attivi nelle attività commerciali, in campo economico. Io penso, quindi, che queste violenze nascano dagli interessi di alcuni, se non di tutti, che cercano di strumentalizzare motivazioni religiose.

 

D. – Perché queste strumentalizzazioni seguite alle proteste contro le vignette satiriche su Maometto, hanno attecchito nel Nord della Nigeria?

 

R. – In quell’area, la maggior parte dei musulmani è di origine araba. I musulmani che vivono nel sud del Paese sono, invece, di cultura subtropicale. In genere, i musulmani del sud non si fanno coinvolgere da questo tipo di strumentalizzazioni.

 

D. – Qual è dunque la situazione dei cristiani che vivono nel nord del Paese?

 

R. – E’ più difficile perché si trovano in una zona a maggioranza musulmana e perché il tipo di Islam professato è diverso. E’ un Islam più radicato e quindi crea maggiore difficoltà.

 

D. – Padre, c’è secondo lei il rischio che le proteste innescate dalla pubblicazione delle caricature su Maometto possano investire, dopo Libia e Nigeria, anche altri Stati africani?

 

R. – Nei Paesi dell’Africa dove c’è una più antica tradizione musulmana è possibile, perché il discorso non è semplicemente e solo religioso. Tutti i fenomeni di intolleranza estrema sono dovuti, soprattutto, a cause economiche e politiche.

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In Libia, sono previsti oggi i funerali delle 11 vittime degli scontri scoppiati venerdì scorso a Bengasi durante una manifestazione contro le vignette su Maometto. Su questa vicenda è stata aperta un’inchiesta e il ministro dell’Interno è stato sospeso dall’incarico. Il figlio maggiore di Gheddafi ha detto, inoltre, che la manifestazione è stata “un errore”, ma un errore ancora più grande, ha precisato, è stato “l’intervento della polizia contro i dimostranti”.

 

E la protesta continua ad infiammare diversi Paesi: in Indonesia, circa 400 manifestanti musulmani si sono radunati davanti all’ambasciata americana a Giakarta per protestare contro la pubblicazione delle caricature di Maometto. In Iraq, centinaia di sciiti hanno percorso le strade di Najaf invocando il boicottaggio dei prodotti danesi e chiedendo il ritiro del contingente danese dal Paese arabo. In Pakistan, il divieto di manifestazioni e cortei pubblici imposto dal governo per arrestare le proteste degli estremisti musulmani, non ha impedito, inoltre, nuovi scontri tra dimostranti e forze di polizia ad Islamabad. Disordini sono scoppiati, poi, nello Stato indiano dell’Uttar Pradesh, dove hanno marciato circa 500.000 persone. La protesta ha colpito anche l’Europa dove ieri almeno 10 mila musulmani hanno preso parte ad una manifestazione organizzata a Londra.

 

Con l’insediamento del nuovo Parlamento palestinese dominato da Hamas, l’Autorità nazionale palestinese “è diventata un’Autorità terroristica”. Lo ha detto il premier israeliano ad interim, Ehud Olmert, ribadendo che lo Stato ebraico non avrà contatti con un governo di cui fanno parte rappresentanti del movimento radicale. Il governo israeliano ha anche congelato il trasferimento dei fondi derivanti da dazi e tasse dovute all’Autorità palestinese. Si tratta di 50 milioni di dollari al mese, pari al 30 per cento del bilancio palestinese. Intanto, nei Territori, Hamas ha nominato primo ministro Ismail Haniyah. Leader dell’ala pragmatica del movimento, Haniyah è favorevole a contatti con Fatah, il partito moderato guidato dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen. Sul terreno, si registra inoltre un ennesimo raid israeliano: due presunti fondamentalisti palestinesi sono stati uccisi in seguito ad un attacco aereo nei pressi della Striscia di Gaza.

 

In Iraq sono stati trovati, nel Kurdistan iracheno, i corpi di sei persone nei pressi dell’aereo privato tedesco scomparso giovedì scorso. Lo ha reso noto, ad Halabja, un rappresentante del governo autonomo.

 

Prenderanno il via domani, a Mosca, i colloqui tra le autorità russe e la delegazione iraniana incaricata di negoziare sul programma nucleare della Repubblica islamica. Il Cremlino ha offerto a Teheran di ospitare in territorio russo le attività di arricchimento dell’uranio iraniano. Ma qual è l’attesa a Mosca per questi incontri? Giada Aquilino lo ha chiesto a Pierantonio Lacqua, corrispondente ANSA dalla capitale russa:

 

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R. – Chiaramente, la situazione è considerata molto complicata e molto tesa anche nelle ambasciate occidentali. Qui a Mosca c’è molta attesa per questi incontri che potrebbero essere cruciali nella risoluzione del dossier nucleare iraniano. Il presidente Putin ha già detto di prestare molta attenzione, anche perché la sensazione qui a Mosca è che anche all’interno del regime iraniano vi siano delle posizioni diverse. E dunque, non si vuole esasperare o mettere in difficoltà le fazioni che potrebbero più essere interessate ad un compromesso.

 

D. – Ma quanto converrebbe a Teheran spostare le proprie attività di arricchimento dell’uranio in Russia?

 

R. – Se l’Iran ha soltanto degli obiettivi di sfruttamento pacifico dell’atomo, non ha nulla di particolare da perdere, nel senso che potrebbe poi avere anche tutto il potenziale per le centrali nucleari. Il problema è se invece queste ricerche sull’uranio arricchito non siano altro che un pretesto per costruire poi una bomba atomica.

 

D. – Ma qual è la contropartita per Mosca all’offerta di ospitare le attività di arricchimento dell’uranio iraniano?

 

R. – L’interesse di Mosca è chiaro: la Russia vuole che l’Iran non diventi una potenza nucleare perché non ha ovviamente alcun interesse ad avere una potenza nucleare, tra l’altro imperscrutabile come l’Iran, ai propri confini. Ma non vuole nemmeno che questo scontro degeneri in un conflitto, perché ha dei grossi interessi commerciali in Iran.

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Influenza aviaria: un uomo è morto, probabilmente a causa del virus, nel distretto del Surat, nell’India occidentale. Lo rendono noto fonti locali dopo i primi test di laboratorio. Una conferma definitiva è attesa nelle prossime ore. Un nuovo caso si registra inoltre in Italia, dove l’influenza aviaria ha provocato la morte di un’anatra selvatica. Tracce del virus H5N1 sono state trovate in un germano reale morto lo scorso 13 febbraio nella provincia di Perugia.

 

 

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