RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 50 - Testo della trasmissione di domenica 19 febbraio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
La Caritas
Internationalis chiede aiuti per le vittime delle
inondazioni in Bolivia
Nel Nord della Nigeria, le proteste per le
vignette su Maometto degenerano in duri attacchi contro i cristiani. Il
bilancio, ancora provvisorio, parla di decine di morti e di chiese incendiate
In Medio Oriente, Israele congela i fondi dovuti
all’Autorità Nazionale Palestinese. Hamas nomina Ismail Haniyah come nuovo premier
palestinese
19
febbraio 2006
ALL’ANGELUS,
BENEDETTO XVI INVITA L’UMANITA’ A SANARE I PROPRI MALI
APRENDOSI
ALL’AMORE DI DIO,
L’UNICA “VERA FORZA CHE RINNOVA IL MONDO.
IL
DOLORE DEL PAPA PER LE VITTIME DELLA SCIAGURA
NEL
VILLAGGIO DELLE FILIPPINE
Dio vuole “guarire prima di tutto lo spirito” dell’uomo,
aprendolo alla sua misericordia: solo così sarà possibile per la “famiglia
umana” sciogliersi dai “lacci” del peccato che la imprigionano e crescere nella
pace e nella giustizia. Benedetto XVI ha tenuto la sua breve catechesi
dell’Angelus di oggi davanti a migliaia di persone, che hanno trovato una Piazza San Pietro illuminata da un sole tiepido. Nei
suoi saluti, il Papa ha rivolto un pensiero agli abitanti del villaggio
filippino distrutto due giorni fa da una enorme frana.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
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C’è un’umanità bloccata nel suo sviluppo di pace e di
giustizia come il paralitico del Vangelo è impedito nell’uso delle sue gambe.
L’uomo del Vangelo guarisce perché quattro persone lo trasportano da Gesù, nel
quale hanno fede. Anche l’umanità può guarire dalla sua paralisi se crede
all’amore di Dio, il solo che “può rinnovare il cuore dell’uomo”. E’ questo
l’insegnamento desunto dalla liturgia domenicale spiegato da Benedetto XVI
all’Angelus, che ha visto il Papa farsi vicino alle vittime della catastrofe
avvenuta due giorni fa nelle Filippine:
“
In modo speciale, i nostri cuori si rivolgono a tutti
coloro che stanno patendo per le devastanti conseguenze della frana nelle
Filippine. Vi chiedo di unirvi a me nella preghiera …”
Il cordoglio del Pontefice per la sciagura e la sua
solidarietà per i familiari dei morti e dei dispersi, espressi in inglese dopo
la preghiera mariana, ha esemplificato la sofferenza fisica e materiale che può
arrivare all’uomo dall’esterno, ad esempio dalla natura. Ma c’è anche un altro
dolore, di tipo più intimo, che Benedetto XVI ha voluto mettere in rilievo
prendendo spunto dall’uomo paralizzato guarito da Gesù:
“Il paralitico è immagine di ogni essere umano a cui
il peccato impedisce di muoversi liberamente, di camminare nella via del bene,
di dare il meglio di sé. In effetti, il male, annidandosi nell’animo, lega
l’uomo con i lacci della menzogna, dell’ira, dell’invidia e degli altri
peccati, e a poco a poco lo paralizza (…) Il messaggio è chiaro: l’uomo,
paralizzato dal peccato, ha bisogno della misericordia di Dio, che Cristo è venuto
a donargli, perché, guarito nel cuore, tutta la sua esistenza possa rifiorire”.
“Anche oggi – ha proseguito il
Papa - l’umanità porta i segni del peccato, che le impedisce di progredire
speditamente in quei valori di fraternità, di giustizia, di pace che pure si è
proposta in solenni dichiarazioni”. Ma perché accade questo, si è domandato
Pontefice:
“Che cosa blocca il suo cammino? Che cosa paralizza questo sviluppo
integrale? Sappiamo bene che, sul piano storico, le cause sono molteplici e il
problema è complesso. Ma
Riconoscendo come i suoi
predecessori, e in particolare l’“amato Giovanni Paolo II”, abbiano voluto,
attraverso l’intercessione di Maria Immacolata, ricondurre “gli uomini del
nostro tempo a Cristo Redentore” perché “li potesse risanare”, Benedetto XVI ha affermato:
“Anch’io ho voluto proseguire su questa strada. In modo particolare,
con la prima Enciclica Deus caritas est, ho inteso additare ai credenti e al mondo intero Dio come fonte
di autentico amore. Solo l’amore di Dio può rinnovare il cuore dell’uomo, e
solo se guarisce nel cuore l’umanità paralizzata può rialzarsi e camminare.
L’amore di Dio è la vera forza che rinnova il mondo”.
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IL CARDINALE CRESCENZIO SEPE, IN VISITA IN SUDAN, ESORTA SACERDOTI
E LAICI
A DARE UN NUOVO IMPULSO ALL’IMPEGNO MISSIONARIO. AI VESCOVI
INCONTRATI IERI A KHARTOUM L’INVITO AD UNA TESTIMONIANZA PROFETICA E ALLA
COMUNIONE
Prosegue la visita in Sudan del prefetto della
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Crescenzio Sepe. Questa mattina, nella cattedrale di Khartoum, il porporato
ha parlato con sacerdoti, religiosi e laici ai quali ha chiesto di rilanciare
l’impegno missionario. Ai vescovi, incontrati ieri pomeriggio, l’invito alla
comunione e ad una testimonianza profetica e coraggiosa. Il servizio di Tiziana
Campisi:
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Un plauso al fermo coraggio di religiosi e laici per il
loro impegno a favore della pace in Sudan. Lo ha rivolto stamattina il
cardinale Crescenzio Sepe nella cattedrale di
Khartoum a sacerdoti, rappresentanti di ordini religiosi e fedeli. Il porporato
ha lodato in particolare l’impegno di quanti, in una situazione di inquietudine
socio-politica causata dalla guerra civile, promuovono la cultura della
giustizia e della pace attraverso la riconciliazione. Nell’urgente bisogno di
rinnovamento e di ricostruzione, ha detto poi il cardinale Sepe,
occorre rilanciare e dare un nuovo impulso all’impegno missionario della
Chiesa. Ai catechisti incontrati ieri pomeriggio, l’esortazione ad essere sale
della terra nella quotidianità, con lealtà e coraggio, e lievito per edificare
la vita del prossimo. “Con la vostra attiva partecipazione agli affari della
vita e, in particolare, nelle condizioni ordinarie della vostra famiglia, della
vostra comunità e della vita socio-politica, siete chiamati ad essere strumenti
mediante i quali la grazia di Dio permea tutti i livelli della società” ha
specificato il porporato.
Ai vescovi, incontrati pure nel pomeriggio di ieri, invece
l’apprezzamento per l’impegno profuso in un Sudan dilaniato da diversi mali,
frutto della lunga guerra civile. “In questa complessa situazione – ha detto il
cardinale – la vostra Chiesa è ancora una volta chiamata a testimoniare Cristo,
prendendo posizioni coraggiose e profetiche”. “Non abbiate paura e siate certi
della presenza della Chiesa tra di voi – ha proseguito
il porporato – della presenza di Dio che lavora attraverso
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19 febbraio 2006
ANGOSCIA NELLE FILIPPINE PER LE
VITTIME DEL VILLAGGIO SEPPELLITO DALLA FRANA.
SEMPRE ALTISSIMO IL NUMERO DEI DISPERSI, MENTRE SI SCAVA ALLA RICERCA
DI EVENTUALI SUPERSTITI
- Intervista con il vescovo Precioso Cantillas -
E’ come un enorme e silenzioso tumulo di
terra, alto in alcuni punti fino a 10 metri, quello che seppellisce da due
giorni il villaggio filippino di Guinsaugon, dopo la
frana che lo ha colpito venerdì scorso provocando la morte di almeno 65 persone
– secondo un bilancio ufficiale ma provvisorio - e un altissimo numero di
dispersi, tra i 1500 e i 3000, secondo le fonti ufficiali. Mentre i
soccorritori continuano a scavare, le autorità hanno fatto sgomberare per sicurezza altri undici villaggi, ognuno con due-tremila abitanti, trasferiti provvisoriamente in altre
località. Sulle cause che hanno provocatolo il catastrofico smottamento del
terreno, Francesca Fialdini ha raggiunto telefonicamente il vescovo di Maasin, Precioso Cantillas:
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R. – Le cause sono dovute alla moltissima pioggia e poi a un terremoto,
cosicché una parte di montagna è caduta giù e poi ha coperto un villaggio di
325 famiglie, più di 1000 abitanti. Era già capitata una cosa simile due anni
fa. Ci furono 200 morti.
D. – Eccellenza, possiamo dire
che è anche colpa della deforestazione?
R. – Ma anni e anni fa c’erano
gli alberi, una foresta. Però ho visto che questi cocona trees, piantati nella montagna, sono un
tipo di alberi senza radici …
D. – Qual è la situazione
adesso nel Paese?
R. – Sta piovendo ancora, però
meno dei giorni passati.
D. – Come la Chiesa starà
vicino alla popolazione?
R. – La gente è alloggiata
nelle parrocchie, nelle scuole. Adesso hanno già organizzato delle
distribuzioni di cibo, ecc...
D. – Conosce i paesi che sono
stati colpiti?
R. – Sì, siamo al sud
dell’Isola di Leyte, con moltissimi abitanti, quasi
al 90% cattolici. Non ci sono industrie. E’ una delle zone più povere rispetto
alle altre delle Filippine.
D. – Le case come sono
costruite?
R. – Sono di legno e poi di
materiale leggero.
D. – Ha ricevuto il telegramma
di Benedetto XVI?
R. – Domani (oggi, ndr) andrò a celebrare la Messa con la gente del posto.
Allegherò anche il telegramma del Santo Padre.
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IL
LAVORO DEI SALESIANI PER L’ALFABETIZZAZIONE IN ANGOLA:
L’ISTITUTO
DON BOSCO IN POCHI ANNI HA ACCRESCIUTO DEL 300%
IL
TASSO DI SCOLARIZZAZIONE DI 20 MILA GIOVANI E ADULTI
-
Intervista con don Ferdinando Colombo -
Undici centri di alfabetizzazione, 23 scuole, 2 centri di
formazione professionale, un ufficio per il Lavoro in grado di aiutare coloro
che sono in cerca di impiego o intenzionati ad avviare un’attività in proprio.
E ancora, otto centri medici e due laboratori di analisi. E’ quanto ha
realizzato in Angola il VIS, il Volontariato internazionale per lo sviluppo,
che opera nel Paese al fianco dei Salesiani, dal 1991. Dopo un ventennio di
guerra civile, che ha distrutto intere famiglie e azzerato l’economia, la
ricostruzione è iniziata con la firma degli Accordi di Pace nel 2002. Oggi, il
70% della popolazione ha meno di 24 anni e la maggior parte è analfabeta, ma
grazie alla scuola di Don Bosco in 3 anni c’è stato un incremento del 330%
della scolarizzazione. Antonella Villani ha raccolto
la testimonianza di Don Ferdinando Colombo, vice presidente del VIS e
missionario nel Paese:
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R. – Quando noi siamo arrivati nel ’91, il Paese era di fatto in un momento di guerra civile. Poi c’è stata una
speranza di pace che è stata travolta immediatamente, accompagnata da un
fenomeno di fuga nelle città, in genere controllate del governo centrale, e di
spopolamento delle campagne, in mano all’esercito ribelle. Quindi difficoltà di
commerci, annullamento quasi totale di attività scolastiche ed attività
sanitarie. La gente si è ammassata in baracche, nelle zone dove nessuno avrebbe
voluto abitare: come l’immondezzaio pubblico, dove attualmente vivono
settecentomila persone con in mezzo la scuola Don
Bosco, che abbiamo costruito in questi ultimi anni.
D. – Perché puntare tanto sull’alfabetizzazione?
R. – Il progresso di un popolo nasce dalla sua cultura,
dalla sua capacità di essere libero nelle sue scelte. Un analfabeta vota quello
che gli viene detto, non legge, non è in grado di
decidere. Non può pensare di migliorare il suo livello di lavoro, di abitazione,
di igiene personale e di condivisione di tutti i problemi della nazione.
D.- Il 330% di
alfabetizzazione: questo è il successo della scuola di Don Bosco dal 2002 ad
oggi. Una scuola nata, come detto, sul quartiere-spazzatura…
R. – Quello che mi meraviglia è proprio vedere questa
forza, per cui due, tre o quattro Salesiani preparano
200-300 animatori locali, che di giorno lavorano e che di sera si prestano a
imparare, piccoli e grandi. Oggi 20.000 persone sono seguite, nell’alfabetizzazione,
da questi pochi Salesiani che in tutta l’Angola sono una quarantina.
D. – Quindi è possibile, anche con poco, costruire
qualcosa di diverso…
R. – Questa è la prova concreta di come poche persone di
buona volontà - che però credono in questi valori educativi e umani - possono
cambiare il volto addirittura di un quartiere intero, e speriamo della nazione.
D. – Un’immagine che lei si porta dentro e che secondo lei
rappresenta un po’ l’Angola e la rivincita dell’Angola…
R. – Mi sono ritrovato in questo quartiere immondezzaio
per vari anni - quattro anni di alfabetizzatone e di
catechesi, perché oltre a imparare a leggere e a scrivere, ci chiedevano di
conoscere la fede, che gli era stata negata in tutti gli anni della guerra -
fino a quando è fiorito il primo gruppo di alfabetizzati, un gruppo di
giovanotti e di ragazze che ricevevano il Battesimo e la Prima Comunione. La
gioia di uno di questi giovani, ma identica per tutti,
era espressa così: oggi mi sento veramente figlio di Dio e quindi nella mia
piena dignità di uomo. Detto da loro - che pure continuavano ad abitare in
baracche poverissime, ma avevano il coraggio, tutte le mattine, di ricominciare
a lottare per una vita dignitosa e per dare ai propri figli e alla propria
famiglia un futuro - è veramente l’immagine più bella che mi tengo nel cuore e
che mi fa capire che vale la pena, davvero, di costruire ponti di collegamento
tra le nostre comunità italiane e le comunità di questi paesi poveri.
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LE
ATTIVITA’ DI REPRESSIONE E DI PREDICAZIONE AL TEMPO DEL SANT’UFFIZIO
AL
CENTRO DEL SEMINARIO “I DOMENICANI E L’INQUISIZIONE”
CONCLUSOSI
IERI A ROMA
-
Intervista con il cardinale George Cottier e con
padre Carlo Longo -
La fede non si può difendere
reprimendo il pensiero e la libertà della persona: è il monito che emerge dal
controverso periodo storico dell’Inquisizione, del quale si è occupato il terzo
seminario internazionale: “I domenicani e l’Inquisizione romana”. Il Convegno, promosso
dall’Istituto storico domenicano e conclusosi ieri nella sede della Pontificia
Università San Tommaso a Roma, ha messo in luce le ombre di quell’esperienza
storica, ma anche qualche attenuante che ridimensiona in
parte quanto accaduto. Il servizio di Amedeo Lomonaco.
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Il terzo seminario internazionale “I domenicani e
l’inquisizione” ha messo in luce come l’Ordine domenicano sia stato pienamente
coinvolto nell’azione repressiva del Sant’Uffizio, istituzione fondata nel
1542. Questa azione è stata affiancata anche da finalità tese all’educazione e
alla difesa della cristianità. Su queste priorità ascoltiamo il cardinale
George Cottier, già teologo della Casa Pontificia,
che ha inaugurato l’incontro.
“L’intenzione di fondo dell’Inquisizione era la difesa
della fede. L’idea era di impedire con mezzi giuridici e azioni anche violente
la diffusione dell’eresia. Nell’Inquisizione c’è un errore profondo, di tipo
psicologico: quello secondo cui la coercizione fisica possa impedire la
diffusione delle idee. Oggi, al contrario, la coercizione favorisce la diffusione
delle idee. Certamente, l’uso della violenza per impedire l’eresia ha portato a
grandi abusi”.
Il cardinale Cottier sottolinea,
poi, come questa storia di abusi debba comunque essere
distinta da altre drammatiche pagine di storia:
“Abbiamo l’esperienza storica dei grandi totalitarismi che
hanno perseguitato le idee con modalità che non si possono paragonare a quello
che ha fatto l’Inquisizione. L’Inquisizione, infatti, era molto più moderata ed
era condotta con una preoccupazione di equità e di rispetto del diritto. Preoccupazioni
che, invece, non hanno riguardato i grandi sistemi totalitari. Dobbiamo anche
tener conto della mentalità differente e del contesto storico e ridimensionare
l’Inquisizione di cui si fa un mito”.
L’Inquisizione presenta molteplici lati oscuri e atrocità
per le quali Giovanni Paolo II ha chiesto perdono. Ma quante sono state le
condanne e le vittime di queste sentenze? Risponde il segretario dell’istituto
storico domenicano, padre Carlo Longo:
“Non sono stati compiuti studi seri. Certamente ci furono
molte condanne. Ci furono sicuramente molte condanne capitali, anche in numero
rilevante. Però, ancora non si può dire se le vittime furono 1000, 500 o
50.000. Molto spesso quello che si dice o è frutto di esagerazione, di una “la
leggenda nera”, o è il risultato di giustificazioni, di una “la leggenda rosa”.
Tra le vittime dell’Inquisizione, Giordano Bruno, è quella
più nota. Quale eredità ci ha lasciato Giordano Bruno?
“E’ certamente un insegnamento in negativo. La fede si
propone e non si reprime. Non si ottiene niente uccidendo la gente. Il sistema
europeo cattolico della Controriforma doveva difendersi perché aveva grandi
paure. Si difendeva con le proprie armi e, purtroppo, una di queste armi era
l’Inquisizione.
L’esperienza dell’Inquisizione è dunque chiusa ma da
questa pagina storica possiamo trarre un monito sempre valido. Ascoltiamo
ancora padre Longo:
“E’ certamente un monito verso i sistemi politici vigenti
che cercano di imporre con la forza idee politiche che non sono quelle che la
gente vorrebbe”.
Le idee, anche quelle che difendono la verità, non devono
dunque mai essere imposte con la violenza. E’ questo il principale insegnamento
che possiamo ricavare dalla storia dell’Inquisizione.
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CELEBRATO
IERI A MILANO UN CONVEGNO SU ROSMINI,
IL
GRANDE FILOSOFO ITALIANO DELL’OTTOCENTO
AVVIATO
ALL’ONORE DEGLI ALTARI
-
Intervista con padre Umberto Muratore -
“Da Clemente Rebora
ad Antonio Rosmini” si intitola il convegno che
svoltosi ieri a Milano, al Cinema Palestrina. Organizzato dai Padri e dalle
Suore rosminiane nell’ambito della preparazione
spirituale alla beatificazione di Antonio Rosmini e
introdotto da una Messa presieduta dal vescovo rosminiano,
Antonio Riboldi, il convegno ha visto alternarsi tra
i relatori i professori Maurizio De Paoli, Renata Lollo, Fulvio De Giorgi e Maria
Angelica Bacca. Giovanni Peduto ha chiesto a padre Umberto Muratore,
provinciale dei Rosminiani italiani e direttore del
Centro internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, di illustrare l’iniziativa:
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R. – Abbiamo intitolato il convegno “Da Clemente Rebora ad Antonio Rosmini” perché
volevamo sottolineare l’efficacia di Rosmini nel
discorso della santità, non solo tra i filosofi ed i politici, ma anche tra i
letterati. Come già era successo per Alessandro Manzoni,
così è successo per il poeta Clemente Rebora:
l’incontro con Rosmini ha risvegliato, acceso e
orientato in lui l’esigenza battesimale fino a condurlo ai vertici della
santità.
D. – Chi è stato Clemente Rebora
e che rapporto ha avuto con Antonio Rosmini?
R. –
Clemente Rebora è stato forse il più grande poeta
religioso italiano del Novecento. Nato e cresciuto ateo fin oltre i 40 anni,
folgorato da una conversione simile a quella di San Paolo, finì col farsi religioso
rosminiano e divenne sacerdote umile e sofferente per
il resto della vita. Si è spento a Stresa nel 1957.
Delle sue raccolte di poesie sono note prima della conversione i “Frammenti
lirici” ed i “Canti Anonimi”. Dopo la
conversione, il “Curriculum vitae” ed i “Canti dell’infermità”.
D. – Qual è l’attualità di Rosmini,
oggi?
R. – Direi che la sua attualità sta nella freschezza e
nell’efficacia che i suoi scritti hanno oggi di fare da ponte tra il deposito
della fede tradizionale e la modernità, fra l’immanenza e la trascendenza, fra
l’individuo e la persona. Chi lo legge, avverte insieme la forza della ragione
ed il suo spontaneo approdare nella rivelazione come nel suo compimento.
Insomma, Rosmini oggi ci aiuta a recuperare una fede
integra e che non umilia, ma completa l’esercizio dell’intelligenza.
D. – A che punto è la Causa di beatificazione di Rosmini?
R. – Il cammino verso la Beatificazione di Rosmini oggi si trova a quel punto nel quale si esaminano
le virtù eroiche. Una volta completato questo esame dovrebbe esserci la dichiarazione
di venerabilità, che noi ovviamente ci auguriamo giunga al più presto. Il passo
successivo dovrebbe essere l’esame del miracolo, che noi abbiamo già presentato.
Quindi la Beatificazione.
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19 febbraio 2006
OGGI A
FATIMA IL TRASFERIMENTO DA COIMBRA DELLE SPOGLIE DI SUOR LUCIA,
LA TERZA
DEI TRE PASTORELLI AI QUALI, NEL 1917, APPARVE
LA
TUMULAZIONE AVVERRA’ NEL SANTUARIO
DOVE
RIPOSANO I DUE CUGINI FRANCESCO E GIACINTA
- A cura di Riccardo Carucci -
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LISBONA. = Circa 250 mila persone sono riunite da questa
mattina nel santuario di Fatima per accogliere le spoglie di suor Lucia, la
terza dei tre pastorelli che nel 1917 ebbero
l’apparizione della Vergine. Suor Lucia, o “Lùcia”,
come dicono i portoghesi, morì esattamente un anno e sei giorni fa, a quasi 98
anni, nel convento carmelitano di Santa Teresa a Coimbra,
dove viveva in clausura dal 1948. Ma suo desiderio esplicito era quello di essere sepolta accanto ai cuginetti
Francisco e Jacinta Marto, che erano con lei quando
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NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO,
I SUPERIORI DELLE CONGREGAZIONI
RELIGIOSE DEL KATANGA LANCIANO UN
ALLARME: 120 MILA PERSONE SFOLLATE E PRIVE DI TUTTO A CAUSA DI GUERRE E
VIOLENZE
KINSHASA. = Morte e desolazione:
questo sta continuando a causare, nella Repubblica Democratica del Congo, la
guerra iniziata da Laurent Desiré
Kabila contro le forze di Mobutu
nel 1996-97 e oggi condotta da milizie. I superiori delle congregazioni
religiose che operano nel Katanga, nel sud del Paese,
scrive l’agenzia Fides, lanciano l’allarme sulla drammatica situazione che da
anni provoca lo spostamento di masse umane innumerevoli, in fuga dai tanti e
non giustificati conflitti. “Constatiamo che la situazione umanitaria
allarmante perdura da anni senza che vi sia una soluzione efficace, malgrado le diverse prese di posizione delle autorità civili
ed ecclesiastiche”, si legge in un comunicato dei superiori religiosi. Secondo Anne Egerton, responsabile
dell’ufficio degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, le ultime stime degli
sfollati sono di 120 mila persone. Uomini, donne, anziani e bambini trascorrono
il giorno e la notte nella foresta, sottoposti ad ogni intemperie. La
situazione di queste persone è aggravata inoltre da malattie e malnutrizione.
“Una buona parte del nord del Katanga sfugge al
controllo dello Stato, divenendo un territorio privo di diritto e rendendo
impossibile l’organizzazione delle prossime elezioni in queste parte del
Paese”, si legge ancora nella dichiarazione dei religiosi che ricorda, oltre ai
gruppi armati, anche i militari dell’esercito regolare che operano nella
regione. Non sempre pagati ed equipaggiati per fare il loro dovere, questi
ultimi non solo sono incapaci di garantire la sicurezza – scrivono le Congregazioni – ma si rendono essi stessi responsabili di
gravi violenze nei confronti della popolazione civile. Nel comunicato, si dà
atto allo sforzo compiuto dalle organizzazioni umanitarie per alleviare le
sofferenze della popolazione katanghese: “Gli
organismi che lavorano nel nostro territorio, spesso in condizioni estremamente
difficili, hanno già fatto un gran lavoro. Deploriamo però il fatto che l’aiuto
promesso non arriva sempre integralmente ai destinatari: ciò che è annunciato dai media non corrisponde, a volte, alla realtà sul
territorio”. I religiosi chiedono quindi il disarmo delle milizie, paghe
migliori per i militari regolari e una inchiesta sulle
responsabilità interne e internazionali sulle violenze nel Katanga.
(T.C.)
IN BOLIVIA. ALCUNE AREE DEL PAESE SONO DIFFICILI
DA RAGGIUNGERE E SERVONO NUOVI SOCCORSI
ROMA. = Occorrono 200 mila dollari per portare aiuti
d’emergenza alle comunità rurali della Bolivia, dove le forti inondazioni e gli
smottamenti delle ultime settimane hanno provocato numerosi morti e distrutto case, coltivazioni e vie di comunicazione. A
lanciare l’appello, riferisce l’agenzia ZENIT, è
AIUTI
ALLE POPOLAZIONI DEL KENYA COLPITE DALLA SICCITÀ GRAZIE AI FONDI
RACCOLTI
CON
ROMA. = Trentadue fattorie, una clinica, una scuola
primaria, un posto di polizia, una casa di ospitalità, un centro comunitario e
un anfiteatro: sono le opere realizzate in Kenya grazie ai fondi raccolti con
la vendita dell’edizione speciale dei francobolli della Santa Sede, dedicata ai
bambini africani colpiti dall’AIDS e ad altre donazioni. Come si legge in un
comunicato dell’agenzia Fides, a Nyumbani, un
villaggio presso Kwa Konza,
nella provincia di Kitui, è stato inaugurato un nuovo
acquedotto, il cui primo getto d’acqua è stato salutato con viva gioia dai suoi
abitanti. “Questo singolare benvenuto evento in un’area arida, priva di alberi,
è stato il culmine di anni di pianificazione, mesi di lavoro e di sforzi di
poche persone dedite ai più bisognosi”, ha affermato in un articolo scritto per
l’Agenzia keniana CISA, p. Angelo D’Agostino, gesuita, fondatore e direttore
sanitario del Nyumbani Children’s
Home. Il completamento della costruzione dell’acquedotto ha permesso l’arrivo
di diverse centinaia di bambini e anziani che erano in
attesa di sistemarsi nel villaggio da tempo; la mancanza d’acqua aveva finora
impedito questo trasferimento. Il missionario tuttavia ha sottolineato le
difficoltà burocratiche che a tutt’oggi impediscono
alle famiglie di prendere possesso della case e delle
fattorie del villaggio. “Con l’arrivo dell’acqua, le famiglie non possono ancora
essere ammesse per la semplice ragione che il villaggio, che si prevede sia
autosufficiente in 4 anni e le cui spese di gestione correnti
saranno assicurate da un donatore che si è impegnato concretamente, deve
ottenere un atto di trasferimento di proprietà. In effetti – afferma padre
D’Agostino – il processo per ottenere l’atto di proprietà, dopo che il governo
ha generosamente offerto la terra, è stato contorto e protratto”. Secondo il
governo di Nairobi e le Nazioni Unite, 3 milioni e mezzo di persone sono a
rischio a causa della drammatica siccità che sta sconvolgendo il Kenya, in
particolare il nord e l’est. Le agenzie delle Nazioni Unite e il governo del
Kenya hanno lanciato un appello per la raccolta di 230 milioni di dollari in
aiuti da inviare alle popolazioni colpite dalla carestia. (T.C.)
APRIRSI
A FEDI E CULTURE DIVERSE E ACCOMPAGNARE
DEL
SUO SVILUPPO: SONO GLI OBIETTIVI CHE SI SONO PROPOSTI
LA
CARITAS ITALIANA, IL COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ
DI
ACCOGLIENZA, GESUITI E MISSIONARI COMBONIANI IN UN CONVEGNO A MILANO
- A cura di Fabio Brenna -
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MILANO.=
Tre giornate intense fra incontri comuni e lavori di gruppo che
hanno messo a confronto rappresentanti della Caritas
italiana, del coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza (CNCA),
della Federazione del Jesuit Social Network e del
gruppo dei Missionari comboniani. Sono state quelle
del convegno “In cammino tra memoria e speranza” conclusosi ieri sera a Milano,
al Centro PIME. L’incontro è stato la prosecuzione di un confronto iniziato a
Firenze oltre un decennio fa. Un percorso che vuol mettere in comune il
patrimonio delle esperienze maturate nella cura della vita e delle persone e
che cerca di affrontare grandi argomenti, quali costruire la pace in tempo di
guerra, lavorare per la giustizia in un tempo caratterizzato da scandalose
disuguaglianze ed ancora accompagnare la vita in ogni fase del suo sviluppo.
Sullo sfondo di queste giornate, c’è anche un tentativo di preparare una
piattaforma comune, oltre a stimoli e proposte per il Convegno ecclesiale della
Chiesa italiana che sarà celebrato a Verona nel prossimo mese di ottobre.
Lavorare insieme sui bisogni, aprendosi al confronto con gli altri: nel titolo
stesso del convegno – ha commentato Lucio Babbolin,
della CNCA – c’è questa volontà comune di dialogo tra i cosiddetti uomini di buona
volontà. E’ un tentativo di dirci – ha continuato Babbolin
– che quello che ci accomuna è l’essere persone in cammino, ed essendo tutti in
cammino dovremmo avere la capacità di sviluppare una grande dote: quella di non
escludere nessuno dalle relazioni, dalle politiche di inclusione, dalle
attività che si svolgono. Ecco la radice che ci accomuna, oltre a quella della
fede. Nell’operatività c’è il desiderio di dialogare con
tutte gli uomini di buona volontà”.
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19 febbraio 2006
- A cura di Amedeo
Lomonaco -
In Nigeria, una manifestazione
promossa da un’organizzazione musulmana contro la pubblicazione di vignette satiriche
su Maometto è degenerata in una violenta protesta che ha colpito anche la
comunità cristiana. Il bilancio di questi attacchi è incerto: secondo alcune
agenzie sono rimaste uccise almeno 16 persone. Altre fonti parlano, invece, di
oltre 40 morti. La maggior parte delle vittime sono cristiani o non musulmani
morti in seguito a disordini scoppiati nella città di Maiduguri,
nel nord della Nigeria. Durante i tumulti, sono state date alle fiamme anche
undici chiese cristiane. Ma come spiegare, in Nigeria, il passaggio dalle
proteste alle violenze? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a don Roberto, missionario
salesiano ad Onitsha, nel sud del Paese africano:
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R. – Secondo me, ancora una volta, si combinano interessi
economici con presunte motivazioni religiose. I cristiani che vivono nel Nord
della Nigeria sono in genere molto attivi nelle attività
commerciali, in campo economico. Io penso, quindi, che queste violenze nascano
dagli interessi di alcuni, se non di tutti, che cercano di strumentalizzare
motivazioni religiose.
D. – Perché queste strumentalizzazioni seguite alle
proteste contro le vignette satiriche su Maometto, hanno attecchito nel Nord
della Nigeria?
R. – In quell’area, la maggior
parte dei musulmani è di origine araba. I musulmani che vivono nel sud del
Paese sono, invece, di cultura subtropicale. In genere, i musulmani del sud non
si fanno coinvolgere da questo tipo di strumentalizzazioni.
D. – Qual è dunque la situazione dei cristiani che vivono
nel nord del Paese?
R. – E’ più difficile perché si trovano in una zona a
maggioranza musulmana e perché il tipo di Islam professato è diverso. E’ un
Islam più radicato e quindi crea maggiore difficoltà.
D. – Padre, c’è secondo lei il rischio che le proteste
innescate dalla pubblicazione delle caricature su Maometto possano
investire, dopo Libia e Nigeria, anche altri Stati africani?
R. – Nei Paesi dell’Africa dove c’è una più antica
tradizione musulmana è possibile, perché il discorso non è semplicemente e solo
religioso. Tutti i fenomeni di intolleranza estrema sono
dovuti, soprattutto, a cause economiche e politiche.
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In Libia, sono previsti oggi i funerali delle 11 vittime
degli scontri scoppiati venerdì scorso a Bengasi
durante una manifestazione contro le vignette su Maometto. Su questa vicenda è
stata aperta un’inchiesta e il ministro dell’Interno è stato sospeso dall’incarico.
Il figlio maggiore di Gheddafi ha detto, inoltre, che
la manifestazione è stata “un errore”, ma un errore
ancora più grande, ha precisato, è stato “l’intervento della polizia contro i
dimostranti”.
E la protesta continua ad infiammare diversi Paesi: in Indonesia,
circa 400 manifestanti musulmani si sono radunati davanti all’ambasciata
americana a Giakarta per protestare contro la pubblicazione delle caricature di
Maometto. In Iraq, centinaia di sciiti hanno percorso le strade di Najaf invocando il boicottaggio dei prodotti danesi e
chiedendo il ritiro del contingente danese dal Paese arabo. In Pakistan, il
divieto di manifestazioni e cortei pubblici imposto dal governo per arrestare
le proteste degli estremisti musulmani, non ha impedito, inoltre, nuovi scontri
tra dimostranti e forze di polizia ad Islamabad. Disordini
sono scoppiati, poi, nello Stato indiano dell’Uttar Pradesh, dove hanno marciato circa 500.000 persone. La
protesta ha colpito anche l’Europa dove ieri almeno 10 mila musulmani hanno
preso parte ad una manifestazione organizzata a Londra.
Con l’insediamento del nuovo Parlamento palestinese
dominato da Hamas, l’Autorità nazionale palestinese “è
diventata un’Autorità terroristica”. Lo ha detto il premier israeliano ad
interim, Ehud Olmert, ribadendo
che lo Stato ebraico non avrà contatti con un governo di cui fanno parte rappresentanti del movimento radicale. Il governo
israeliano ha anche congelato il trasferimento dei fondi derivanti da dazi e
tasse dovute all’Autorità palestinese. Si tratta di 50 milioni di dollari al mese, pari al 30 per cento del bilancio palestinese.
Intanto, nei Territori, Hamas ha nominato primo
ministro Ismail Haniyah.
Leader dell’ala pragmatica del movimento, Haniyah è
favorevole a contatti con Fatah, il partito moderato
guidato dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen. Sul terreno, si registra inoltre un ennesimo raid
israeliano: due presunti fondamentalisti palestinesi sono stati uccisi in
seguito ad un attacco aereo nei pressi della Striscia di Gaza.
In Iraq sono stati trovati, nel Kurdistan iracheno, i
corpi di sei persone nei pressi dell’aereo privato tedesco scomparso giovedì
scorso. Lo ha reso noto, ad Halabja,
un rappresentante del governo autonomo.
Prenderanno il via
domani, a Mosca, i colloqui tra le autorità russe e la delegazione iraniana incaricata
di negoziare sul programma nucleare della Repubblica islamica. Il Cremlino ha
offerto a Teheran di ospitare in territorio russo le
attività di arricchimento dell’uranio iraniano. Ma qual è l’attesa a Mosca per
questi incontri? Giada Aquilino lo ha chiesto a Pierantonio Lacqua,
corrispondente ANSA dalla capitale russa:
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R. – Chiaramente, la situazione è considerata molto
complicata e molto tesa anche nelle ambasciate
occidentali. Qui a Mosca c’è molta attesa per questi incontri che potrebbero
essere cruciali nella risoluzione del dossier nucleare iraniano. Il presidente Putin ha già detto di prestare molta attenzione, anche
perché la sensazione qui a Mosca è che anche all’interno del regime iraniano vi
siano delle posizioni diverse. E dunque, non si vuole esasperare o mettere in
difficoltà le fazioni che potrebbero più essere interessate ad un compromesso.
D. – Ma quanto converrebbe a Teheran
spostare le proprie attività di arricchimento dell’uranio in Russia?
R. – Se l’Iran ha soltanto degli obiettivi di sfruttamento
pacifico dell’atomo, non ha nulla di particolare da perdere, nel senso che
potrebbe poi avere anche tutto il potenziale per le centrali nucleari. Il
problema è se invece queste ricerche sull’uranio arricchito non siano altro che
un pretesto per costruire poi una bomba atomica.
D. – Ma qual è la contropartita per Mosca all’offerta di
ospitare le attività di arricchimento dell’uranio iraniano?
R. – L’interesse di Mosca è chiaro: la Russia vuole che
l’Iran non diventi una potenza nucleare perché non ha ovviamente alcun
interesse ad avere una potenza nucleare, tra l’altro imperscrutabile come
l’Iran, ai propri confini. Ma non vuole nemmeno che questo scontro degeneri in
un conflitto, perché ha dei grossi interessi commerciali in Iran.
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Influenza aviaria: un uomo è
morto, probabilmente a causa del virus, nel distretto del Surat,
nell’India occidentale. Lo rendono noto fonti locali
dopo i primi test di laboratorio. Una conferma definitiva è attesa nelle
prossime ore. Un
nuovo caso si registra inoltre in Italia, dove l’influenza aviaria ha provocato
la morte di un’anatra selvatica. Tracce del virus H5N1 sono state trovate in un
germano reale morto lo scorso 13 febbraio nella provincia di Perugia.
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