RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 39 - Testo della trasmissione mercoledì 8 febbraio 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Concluso ieri a Roma il Convegno nazionale sul catecumenato: intervista con mons. Giuseppe Lorizio
CHIESA E SOCIETA’:
Aumentano i casi di meningite nel Nord
del Kenya e nell’Est dell’Uganda
Altri 4 morti in seguito a nuove violente proteste
in Afghanistan per le vignette su Maometto
Alta partecipazione al
voto nelle presidenziali e legislative tenutesi ieri ad
Haiti
8
febbraio 2006
IL SACRIFICIO DI DON
ANDREA SANTORO “CONTRIBUISCA
ALLA CAUSA
DEL DIALOGO FRA LE RELIGIONI E DELLA PACE TRA I
POPOLI".
COSI’ IL PAPA STAMANE ALL’UDIENZA GENERALE
Che la morte violenta di don
Andrea Santoro, ucciso in Turchia, possa contribuire alla causa del dialogo fra
le religioni e della pace dei popoli: l’invocazione di Benedetto XVI,
all’udienza generale, stamane nell’Aula Paolo VI. Il
servizio di Roberta Gisotti.
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A don
Andrea Santoro, l’omaggio di Benedetto XVI, accompagnato da un lungo applauso dei
fedeli in chiusura dell’udienza, con una testimonianza commovente, una lettera
del sacerdote scritta al Papa, solo pochi giorni fa:
“Non posso non ricordare quest’oggi don Andrea Santoro, che era
sacerdote Fidei donum della
diocesi di Roma, ucciso in Turchia la scorsa domenica, mentre era raccolto in
preghiera. Proprio ieri sera mi è giunta una sua bella lettera, scritta il 31
gennaio scorso, insieme alla piccola comunità cristiana della parrocchia Santa
Maria in Trebisonda. Lessi con profonda commozione questa lettera, che è uno
specchio della sua anima sacerdotale, del suo amore per Cristo e per gli
uomini, del suo impegno anche per i piccoli, nel segno del salmo che abbiamo
sentito. Sarà pubblicata sull’Osservatore Romano questa lettera, testimonianza
di amore e di attenzione a Cristo e alla sua Chiesa. Ha unito a questa, anche
una lettera di donne della sua parrocchia, che mi invitano a venire e si
rispecchia anche nella lettera di queste donne lo zelo di fede e di amore che
era vivo nel cuore di don Andrea Santoro. Il Signore colga l’anima di questo
silenzioso e coraggioso servitore del Vangelo e faccia sì che il sacrificio
della sua vita contribuisca alla causa del dialogo fra
le religioni e della pace tra i popoli”.
Il Signore, “re amoroso e attento
alle sue creature”, “in modo particolare al povero e al debole”, è stato al
centro della catechesi del Papa ispirata al Salmo 144.
“La regalità divina - ha spiegato Benedetto XVI - non è, quindi, distaccata e
altezzosa, come a volte può accadere nell’esercizio del potere umano.” Piuttosto “Dio esprime la sua regalità nel chinarsi sulle
creature più fragili e indifese”. Come “un genitore premuroso” “sostiene quelli
che vacillano e fa rialzare coloro che sono caduti nella polvere
dell’umiliazione”. Dunque “giusto è il Signore in tutte le sue vie, santo in
tutte le sue opere”. E il vero credente è colui “che invoca il signore nella
preghiera fiduciosa, lo cerca con cuore sincero, teme il suo Dio, rispettandone
la volontà e obbedendo alla sua parola, ma soprattutto lo ama, certo di essere
accolto sotto il suo manto”.
Durante i tanti saluti ai
pellegrini di ogni parte del mondo, il Santo Padre rivolto ai fedeli croati ha
ricordato loro a pochi giorni dalla memoria liturgica,il
beato cardinale Alojzije Stepinac,
martire, testimone della verità, invitandoli a trovare in lui “un esempio di
vita cristiana e di amore per la Patria”; ha quindi evocato San Girolamo
Emiliani e Santa Giuseppina Bakhita, di cui ricorre
oggi la festa, citandone il coraggio perché possa aiutare in particolare i giovani “ad aprire il cuore all’eroismo della
santità nell’esistenza di ogni giorno”.
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NOMINA
In Brasile, il Papa ha nominato
vescovo della diocesi di Santíssima Conceição do Araguaia mons. Dominique Marie Jean Denis You, finora vescovo
titolare di Auzia e Ausiliare di São
Salvador da Bahia.
INIZIANO DOMANI AD ADELAIDE, IN AUSTRALIA, LE
CELEBRAZIONI
DELLA
GIORNATA MONDIALE DEL MALATO, SUL TEMA DEL DISAGIO MENTALE
-
Intervista con
il cardinale Javier Lozano Barragàn -
Iniziano domani ad
Adelaide, in Australia, le celebrazioni della 14a Giornata mondiale del malato, che
culmineranno l’11 febbraio, nella memoria liturgica della Beata Vergine di
Lourdes. La Messa di apertura sarà presieduta dall’arcivescovo di Adelaide
mons. Philip Wilson, seguita dalla prolusione
dell’Inviato Speciale del Papa, il cardinale Javier Lozano Barragàn, presidente del
Pontificio Consiglio per la pastorale della salute. Le celebrazioni di
quest’anno si svolgono sul tema del disagio mentale. Benedetto XVI, che ha
concesso per questa occasione l’indulgenza plenaria, nel suo messaggio per la
Giornata invita a chinarsi con particolare sollecitudine su quanti soffrono
problemi connessi al disagio mentale. Su questa esortazione del Pontefice ascoltiamo
il cardinale Lozano Barragàn
al microfono di Giovanni Peduto:
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R. – Sì, penso che richiami
l’attenzione in primo luogo sul numero così grande dei disagiati mentali nel
mondo: 450 milioni. Poi, si tratta di sentire e vedere che altre malattie sono
terribili, ma una malattia della mente colpisce l’uomo nel più intimo della sua
anima, del suo essere. Dovrebbe essere, dunque, per noi una persona alla quale
dobbiamo donare tutta la nostra comprensione, come dice il Papa, propriamente
nel senso dell’accompagnamento e della guarigione.
D. – In molti Paesi, sottolinea il
Papa nel messaggio, non esiste ancora una legislazione in materia, e in altri
ancora manca una politica definita per la salute mentale. Inoltre, dice sempre
il Papa, in molte parti del mondo i servizi per questi malati risultano
carenti, insufficienti o in stato di disfacimento…
R. – E’ un fatto che solo il 25
per cento dei Paesi possieda una legislazione adeguata in questo senso, e poi
dobbiamo vedere se venga applicata o meno. Quello che
noi vediamo sono i poveri disagiati mentali che vagano, come barboni, nelle
piazze delle città. Penso, dunque, che sia il momento di fare una revisione
delle attuali leggi. Siamo contro questo abbandono dei malati, lasciati alla
propria sorte, o che stanno in famiglia, ma che danno tali problemi alla
famiglia da non poterli, non dico sopportare, ma curare, e che sono a volte un
pericolo. Alcuni dicono che se sono un pericolo allora la polizia dovrebbe
rinchiuderli in carcere. Ma questo è impossibile. Una mamma non può trattare
così una figlia o un figlio che sia in questo stato.
Non lo potrà fare. E allora serve una cura speciale.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Il sacrificio della vita di don
Andrea Santoro contribuisca al dialogo fra le religioni e alla pace fra i
popoli: Benedetto XVI, tra la commozione e l’applauso degli ottomila fedeli
presenti all’udienza generale, ricorda il sacerdote della diocesi di Roma “silenzioso
e coraggioso servitore del Vangelo”.
Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Italia.
Servizio estero – L’intervento della Santa Sede
alla Conferenza regionale per l’Africa della FAO: “Garantire ad ogni persona la
possibilità di avere un’adeguata sicurezza alimentare”.
Servizio culturale - Un articolo del cardinale Tomas Spidlik in merito al volume
di Paolo Siniscalco dal titolo “Le antiche Chiese orientali. Storia e
letteratura”.
Servizio italiano - In rilievo il tema
dell’economia. Secondo le valutazioni dell’FMI e dell’OCSE in Italia servono
“riforme radicali”.
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8
febbraio 2006
VENERDI’, IN SAN GIOVANNI IN LATERANO, L’ULTIMO
ABBRACCIO
A DON ANDREA SANTORO. E’ MORTO PER AMORE, NON E’
MORTO INUTILMENTE:
COSI’, AI NOSTRI MICROFONI, IL PROF.
ANDREA RICCARDI,
FONDATORE DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO
La Chiesa di Roma si appresta a dare
l’ultimo abbraccio a don Andrea Santoro: venerdì mattina, alle 10, il cardinale
vicario Camillo Ruini presiederà la Messa esequiale nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Ma i
fedeli potranno già rendere omaggio domani al feretro del sacerdote, nella
camera ardente allestita nella parrocchia dei Santi Fabiano
e Venanzio, dove don Andrea è stato parroco prima di andare in Turchia.
In queste ore, con don Andrea, la
Chiesa piange la scomparsa di padre Élie Koma, gesuita ucciso sabato scorso in Burundi, e ancora di Mateo Morales, direttore di un
ospedale missionario nelle Filippine, assassinato da un gruppo di sconosciuti.
Sono i martiri cristiani del Terzo Millennio. Una fulgida testimonianza
dell’amore evangelico sulla quale riflette il prof. Andrea Riccardi,
fondatore della Comunità di Sant’Egidio, intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – Lui
è andato in questa missione, che aveva sentito, che molti giudicavano inutile,
che non ci sono cristiani a Trebisonda, ma sentiva di dover stare in quella
terra, terra degli Apostoli, per manifestare amore ai turchi e alla gente che
incontrava. Davanti a questa vita non si possono dare interpretazioni
politiche. Bisogna rispettarne il mistero, il mistero cristiano di una vita
donata. Penso a quello che scriveva André Jarlan, un sacerdote francese Fidei donum, ucciso a Santiago, in Cile,
all’epoca degli scontri durante il governo Pinochet.
Diceva: “Quelli che amano, sono coloro che offrono la propria vita agli altri e
non quelli che la tolgono agli altri”. Giovanni Paolo II ci ha insegnato a
leggere nel nostro tempo e a vedere quanti nuovi martiri ci sono. Credo che
sono tanti e la Chiesa torna ad essere una Chiesa di martiri.
D. – Dio
è amore, ci ricorda il Papa nella sua prima Enciclica: è questo l’insegna-mento
che ci consegnano i martiri del Terzo Millennio, come don Andrea Santoro?
R. – Sì.
Noi abbiamo tante idee dal Concilio, con Giovanni Paolo II, Paolo VI. Abbiamo
un Magistero articolato. Come vivere tutto questo? Il Papa ci suggerisce la via amoris, la
via dell’amore. E la via dell’amore è la via della simpatia per gli uomini e
della conoscenza di Dio.
D. –
Molti hanno voluto vedere nell’uccisione di don Andrea Santoro una
manifestazione di quello che ormai viene definito
scontro di civiltà. Ma proprio don Andrea, come tanti altri missionari,
lavorava nel silenzio per costruire ponti. E’ un’illusione la loro?
R. – Non
credo sia una illusione. E’ una illusione
cristiana. Forse noi siamo degli illusi; forse noi siamo dei sognatori. Nel
comandamento dell’amore sta nascosto tutto del nostro atteggiamento. Si parla
di dialogo, ma il dialogo non è qualcosa di accademico, il dialogo è
l’attitudine di amore e di amicizia verso gli altri. Don Andrea Santoro non era
un avamposto della cristianità nel mondo musulmano. Qualche volta nel mondo
musulmano si vedono anche i cristiani d’Oriente come un avamposto della
cristianità. No, non era questo. Per noi cristiani stare in quelle terre vuol
dire compiere una missione e una testimonianza di amore che mostra come il
Cristianesimo sia una religione universale. Pio XII,
dopo la Seconda Guerra Mondiale, fece un discorso molto bello in cui disse: “Il
Cristianesimo non è un impero e non è prigioniero di nessuna civiltà”. Noi oggi
troviamo cristiani che appartengono al mondo indiano, troviamo cristiani che
appartengono alla cultura africana, troviamo cristiani occidentali, cristiani
d’oriente. Credo questo sia il grande messaggio. Certo in maniera imperfetta,
in maniera limitata, ma quello che i cristiani vogliono dire nel nostro tempo,
facendosi presenti a popoli diversi ed essendo parte di popoli diversi è che
Dio ama tutti gli uomini e tutte le donne!
D. –
Questo dell’amore, della propensione all’incontro è il contributo che il
cristiano può dare ed anzi dà al dialogo tra i popoli e le religioni, anche
vivendo in situazioni difficili come quei Paesi che non rispettano la libertà
di culto?
R. –
Negli anni Trenta, nel 1936, si tenne in Francia una Settimana Sociale dei
cattolici francesi sullo scontro di civiltà. I temi non sono nuovi, è un secolo
che ci riflettiamo. Lì si diceva: il Cristianesimo trascende una civiltà. Certo questa è una bella idea ma bisogna viverla e la vivono
quelli che lottano. Penso che lottano con i poveri, che comunicano il Vangelo,
che incoraggiano sotto tutte le latitudini. Penso che per fare questo c’è
bisogno di fede e c’è bisogno di amore. Noi chiediamo anche che ci sia la
libertà di farlo e ci sono parti in cui non c’è questa libertà. E i cristiani
sono abituati nel Novecento, purtroppo, a soffrire la mancanza di libertà, ma
anche dove non c’è la libertà non rinunciano a vivere questa loro missione, che
è una missione essenzialmente di amore.
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CONCLUSO IERI A ROMA IL CONVEGNO NAZIONALE SUL
CATECUMENATO
- Intervista con mons. Giuseppe Lorizio -
Si è
concluso ieri a Roma il Convegno nazionale sul “catecumenato”
in Italia, promosso
dalla CEI e dall’Istituto Ecclesia Mater
della Lateranense. Durante i due giorni di lavori è stata sottolineata
l’importanza del servizio
catecumenale: si tratta della formazione degli adulti
che tornano o si aprono alla vita cristiana.
E’ stato anche lanciato l’invito a sensibilizzare la comunità
ecclesiale perché non sia spettatrice ma
madre e testimone di fede nell’accogliere chi ritorna alla fede. Sulla prassi
del catecumenato ascoltiamo mons. Giuseppe Lorizio,
preside dell’Ecclesia Mater,
al microfono di Fabio Colagrande:
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R. –
Questa prassi, che è molto antica nella Chiesa e che riguardava soprattutto i
cristiani dei primi secoli, che chiedevano da adulti il Battesimo, ora viene a
ricevere una sorta di risveglio all’interno della comunità ecclesiale perché ci
troviamo di fronte a fenomeni di adulti che o ritornano alla fede, fanno parte
della nostra cultura occidentale secolarizzata, quindi non sono stati
battezzati da bambini perché magari i loro genitori ritenevano che dovessero
scegliere loro a quale religione appartenere, oppure abbiamo la presenza di
immigrati che chiedono di diventare cristiani e questi o sono provenienti dai
Paesi dell’Est oppure dai Paesi africani, asiatici, eccetera.
D. – La
richiesta di Battesimo da parte degli adulti è in crescita?
R. – Sì
e questo appunto crea il problema di operare in maniera che ci siano adeguati
percorsi per poter far sì che il Battesimo non sia solo una celebrazione di un
momento liturgico, cultuale, ma sia espressione di una fede matura e adulta di chi lo
richiede.
D. –
Possiamo dire, dunque, che è necessario aggiornare la prassi pastorale?
R. –
Certo. Si parlava al convegno della necessità di instaurare una logica catecumenale nelle nostre comunità.
D. – Che
significa?
R. – Che
l’adulto diventi un po’ il centro dell’attenzione. Il catecumenato
in senso stretto ha il senso di preparare al Battesimo e ai Sacramenti dell’iniziazione
le persone adulte,
però possiamo intendere il catecumenato anche in
senso più ampio e quindi i percorsi formativi degli adulti che chiedono di
approfondire il senso della loro fede ed i suoi contenuti. Da questo punto di
vista porre l’adulto al centro dell’attenzione è chiaro che richiede una sorta
di conversione pastorale.
D. – Ad
aprire il convegno c’era il segretario generale della CEI, mons. Betori che ha detto: “il servizio catecumenale deve essere un dono alla nostra vita, oc-
casione di una nuova fecondità
della Chiesa e non certo rifugio in un clima di rassegnazione in un tempo di
crisi. C’è questa lettura negativa che a volte viene
data del catecumenato?
R. – Non
si tratta di un espediente che bisogna attivare perché ci si sente come una
sorta di cittadella assediata dalla pluralità delle appartenenze religiose,
dalla presenza di appartenenti ad altre forme di religiosità oppure dal post
cristianesimo secolaristico. Si tratta invece di una esigenza della fede stessa che, come dicono i vescovi
italiani negli Orientamenti pastorali per il decennio, ha bisogno di maturare e
di diventare sempre più una fede adulta e pensata.
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8 febbraio 2006
LA
CHIESA RICORDA OGGI I SANTI GIROLAMO EMILIANI E GIUSEPPINA BAKHITA.
IL
LORO È UN ESEMPIO DI CORAGGIOSA FEDELTÀ A CRISTO
NELLA
SOFFERENZA QUOTIDIANA
- A
cura di Tiziana Campisi -
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ROMA. = Il coraggio di essere
testimoni fedeli di Cristo per aprire il proprio cuore all’eroismo della
santità nel quotidiano. Questo insegnano San Girolamo
Emiliani e Santa Giuseppina Bahkita che la
Chiesa ricorda oggi come esempi di perseverante pazienza nella preghiera e
nella sofferenza. Nobile veneto vissuto nel XVI secolo, Girolamo Emiliani, aspirava
ad una carriera che potesse regalargli gloria.
Intraprende la vita militare ma fatto prigioniero
durante una battaglia viene rinchiuso nei sotterranei di un castello, con ceppi
ai piedi e alle mani e una catena al collo fissata ad una pesante palla di
marmo. La sua ancor breve esistenza e i suoi ricordi gli si accalcano nella
mente. Medita sulla vulnerabilità della potenza mondana e pensa alla madre che
gli aveva insegnato a pregare e a confidare in Maria,
madre di Gesù e madre spirituale di tutti i cristiani. E così, grazie alla
preghiera si ritrova libero. Questo incontro personale con Dio per mezzo di
Maria lascia la sua impronta. A poco a poco la sua vita subisce una svolta
radicale: cambiano le amicizie; diventa abituale la lettura e la meditazione
della Parola. Sente la vocazione all’impegno missionario a servizio dei poveri,
degli infermi, dei giovani abbandonati e delle donne “pentite” e dopo un breve
“noviziato” come penitente con Giampietro Carafa, il
futuro Paolo IV, Girolamo si consacra a Dio. Trascina con l’esempio molti
sacerdoti e laici che come lui vogliono servire Cristo nei poveri. Nascono i
“Servi dei Poveri” poi Ordine dei Chierici Regolari di Somasca
o Padri Somaschi che presero il nome dalla cittadina
lombarda dove i collaboratori di Girolamo amavano ritirarsi in preghiera.
Era solito dire: "Se
Dio in voi trova sincera fede e speranza, farà di voi cose grandi, poiché egli
esalta gli umili… Se perseverate nel mezzo della tentazione, Dio vi consolerà
in questo mondo…; vi darà pace e tranquillità in questo mondo temporaneamente e
poi nell'altro, per sempre". Muore per un’epidemia infettiva l’8 febbraio del 1537. Giuseppina Bakhita è
nata nel Sudan nel 1869 ed ha conosciuto
le angosce del rapimento e della schiavitù. Venduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum venne poi comperata da un Console italiano. A Venezia
conobbe le Suore Canossiane e a loro Bakhita chiese di conoscere quel Dio che fin da bambina
“sentiva in cuore senza sapere chi fosse”. “Vedendo il sole, la luna e le stelle,
dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia
grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio” diceva. Per oltre cinquant’anni visse prestandosi in diverse occupazioni
nella casa di Schio. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza
inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far
conoscere il Signore. «Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che
non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è
conoscere Dio!” ripeteva spesso. Con
la vecchiaia, giunse una lunga e dolorosa malattia. Si spense l’8 febbraio del
1947 circondata dalla comunità in pianto e in preghiera cui si aggiunse una
grande folla che voleva dare l’estremo saluto alla “Santa Madre Moretta” per
chiederne la protezione dal cielo. (T.C.)
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UN’ETICA
COMUNE È POSSIBILE: LO HA RIBADITO IERI A NEW YORK L’ARCIVESCOVO
CELESTINO
MIGLIORE CITANDO LE PAROLE DEL LIBRO “SENZA RADICI” DELL’ALLORA CARDINALE
RATZINGER. LA PRESENTAZIONE DEL VOLUME, SCRITTO INSIEME
AL PRESIDENTE
DEL SENATO ITALIANO PERA, ALLA COLOMBIA UNIVERSITY
- A
cura di Paolo Mastrolilli -
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NEW YORK. = Il mondo di oggi è
interconnesso attraverso il commercio, i flussi finanziari e la comunicazione
digitale, ma è culturalmente frammentato a causa delle diverse percezioni in
quasi ogni campo. Da qui è partito l’arcivescovo Celestino Migliore,
osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, intervenendo alla Colombia
University di New York, per la presentazione del libro “Senza radici” scritto
dall’allora cardinale Joseph Ratzinger
con il presidente del Senato italiano Marcello Pera, presente all’evento. “Alle
volte – ha proseguito il presule – sembra che, mentre la governance globale ha una sua
logica, essa manca di una propria etica. Perciò il Papa esprime una buona dose
di realismo costruttivo quando afferma la possibilità
di un’etica comune. La razionalità degli argomenti, egli scrive, dovrebbe
chiudere il divario fra l’etica secolare e religiosa, fondando un’etica della
ragione che vada oltre tale distinzione”. Pera ha
introdotto il suo intervento dicendo che l’Occidente e in particolare l’Europa,
attraversano un grave stato di crisi morale e spirituale. Quindi ha spiegato
che questa crisi di identità presenta alcuni sintomi: il rifiuto di menzionare le radici giudaico-cristiane nella
Costituzione europea, il fatto di dimenticare che i diritti umani fondamentali
sono riconosciuti e non creati dalla legge, il tentativo di privare la
religione cristiana di qualunque ruolo sociale, discriminandola rispetto alle
altre, il multiculturalismo, il relativismo. L’Europa –secondo
Pera- avrebbe sviluppato, per esempio, una sorta di sindrome di
colpevolezza, in base alla quale se i terroristi proclamano la “Jihad”, la responsabilità ricade su di essa che ha generato
il loro risentimento. Il rimedio suggerito da Pera, citando il Papa, è il ruolo
delle minoranze creative, capaci di rilanciare attraverso il vissuto l’identità
perduta.
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UNA NUOVA PORTA NELLE MURA VATICANE SARÀ INAUGURATA
VENERDÌ.
IL
VARCO SARÀ APERTO SUL VIALE DEI BASTIONI DI MICHELANGELO
ROMA. = Un nuovo ingresso nelle
mura vaticane sarà inaugurato venerdì alle 12. La porta, che si affaccia sul
viale dei Bastioni di Michelangelo, ha la funzione di sola uscita pedonale e
carrabile dal parcheggio di Santa Rosa, di recente costruzione, e servirà, in
determinati orari, per il traffico delle auto in uscita dal Vaticano.
All’inaugurazione parteciperanno il cardinale Casimir
Edmund Szoka, Presidente
della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, e mons.
Renato Boccardo, segretario generale del
Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. “Benedictus
XVI P.M. civitatis vaticanae
officialium commoditati ostium aperiri iussit A.D. MMVI Pont. I”: questa
l’epigrafe commemorativa che ricorderà l’apertura della porta. Il varco era
stato realizzato nel 1929, anno dei Patti Lateranensi
tra la Santa Sede e l’Italia durante il Pontificato di Papa Pio XI.
Successivamente richiuso per la costruzione della “Zona industriale Vaticana”,
dopo oltre settantacinque anni, quel varco viene
definitivamente riaperto e completato con la posa di una porta in bronzo
decorata con lo stemma dello Stato Città del Vaticano, le insegne del
Pontefice. Il vano della nuova porta, larga 3.70 metri ed
alta 4.60 metri, è stato realizzato con la demolizione manuale delle
mura; il ripristino del paramento è stato effettuato utilizzando laterizi
originali, residuo della demolizione, con malta di composizione uguale a quella
antica. Il rivestimento in bronzo della porta è opera
dallo scultore Gino Riannetti. La nuova porta si aggiunge a quelle carrabili
esistenti di “Sant’Anna”, che si affaccia su via di Porta Angelica, del
“Perugino”, su via della Stazione Vaticana, e a quelle dell’“Arco delle
Campane”, riservata alle visite dei Capi di Stato, e del “Petriano”,
impiegata prevalentemente durante le Cerimonie Pontificie. (T.C.)
AUMENTANO
I CASI DI MENINGITE NEL NORD DEL KENIA E NELL’EST DELL’UGANDA.
FONTI
LOCALI ACCUSANO DI INDIFFERENZA LE AUTORITÀ GOVERNATIVE KENIANE
MENTRE
QUELLE UGANDESI HANNO GIÀ PRESO DELLE CONTROMISURE
NAIROBI. = Almeno 54 persone sono
morte per meningite nelle ultime settimane in Kenia e
in Uganda. La malattia sta interessando la provincia keniota del Pokot occidentale e quelle di Nakapiripiriti
e Moroto, nel nord-est dell’Uganda. In Kenia, i morti per meningite sarebbero almeno una trentina
e centinaia i contagiati, secondo quanto raccolto dall’Agenzia Ansa e dalla
MISNA da fonti locali, che accusano di indifferenza le autorità governative,
sostenendo che senza un intervento appropriato potrebbe essere difficile
bloccare l’epidemia. Il responsabile sanitario provinciale della Rift Valley, Ibrahim
Amira, ha lanciato un appello agli abitanti delle
aree di Kunayo, Alale, Naoyapong
e Amakerit, affinché chiedano l’assistenza medica
ogni qualvolta siano in grado di riconoscere i sintomi della malattia, tra cui
febbre alta, forte mal di testa e rigidità di collo. Secondo Amira la carestia minaccia di peggiorare la situazione,
soprattutto per anziani e bambini. In Uganda, oggi, fonti ufficiali mediche
riferiscono di 23 morti e 330 contagiati. Nel Paese, sarebbe già in corso una
campagna di vaccinazione su vasta scala che riguarderebbe oltre 300 mila
persone, e una massiccia distribuzione di farmaci. (A.E.)
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8 febbraio 2006
- A cura di
Amedeo Lomonaco –
Non si arresta, nei Paesi islamici, la drammatica serie di
manifestazioni di protesta, innescate diversi mesi dopo la prima pubblicazione
di caricature su Maometto in Danimarca. Gli incidenti più gravi sono avvenuti
in Afghanistan, dove sono morti 4 dimostranti, e in Cisgiordania. Il nostro
servizio:
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Le vignette
satiriche continuano ad infiammare il mondo arabo. In Afghanistan si è ripetuto
l’ormai consueto e drammatico copione: manifestazioni contro le caricature su
Maometto sono degenerate in dure proteste rendendo inevitabile lo scontro tra
dimostranti e polizia. Teatro della protesta è stata la città di Qalat, nel sud del Paese. Una folla inferocita ha lanciato pietre
contro la sede della polizia. Gli agenti hanno reagito e almeno 4 persone sono
rimaste uccise. Nello Stato asiatico, che ha conosciuto l’esperienza del regime
talebano, il presidente Karzai ha sottolineato, in
particolare, la necessità di distinguere tra l’offesa arrecata al sentimento
religioso e la strumentalizzazione delle caricature. La situazione è tesa anche
in
Cisgiordania: ad Hebron
centinaia di giovani hanno preso d’assalto la sede degli osservatori
internazionali. In Iran, in risposta alle
vignette su Maometto, un giornale ha annunciato un concorso di
caricature sull’Olocausto. In questo clima cresce, inoltre, il timore che un ristretto numero di
predicatori fondamentalisti possa alimentare altre sanguinose proteste. A
Londra, intanto, un tribunale ha condannato ieri a 7 anni di reclusione, un imam di una moschea con l’accusa di istigazione all’odio
razziale e all’omicidio. Di fonte a questi casi c’è, poi, anche la ferma
reazione dell’Islam moderato: in Afghanistan, il Consiglio dei religiosi
islamici ha invitato i dimostranti a fermare le proteste e in Kosovo, gli imam hanno condannato
le violenze scatenate dalla diffusione delle vignette satiriche. Il segretario generale dell'organizzazione della Conferenza
islamica, l’Alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza
dell’Unione Europea e il segretario generale dell’ONU hanno lanciato, infine,
un nuovo appello alla responsabilità e al dialogo.
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E in Italia si
è aperta stamani, al Viminale, la prima riunione della Consulta islamica,
voluta dal ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu.
Alla riunione partecipano, tra gli altri, rappresentanti di associazioni
islamiche, imam ed esperti di diritto. Sull’ondata di
contestazioni e proteste innescate dalla pubblicazione di caricature su
Maometto, ascoltiamo al microfono di Luca Collodi, proprio il ministro Giuseppe
Pisanu:
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R. - Penso che la
protesta sia stata montata per fini soprattutto politici. Non dimentichiamoci
mai che l’estremismo islamico è un movimento essenzialmente politico che
strumentalizza cinicamente i valori religiosi. Io penso che l’Italia possa
entrare in questo ambito di rischio se le centrali che hanno promosso la
protesta hanno messo in conto anche il nostro Paese.
Ma confido molto nelle componenti moderate.
D. – In Italia, sono
ancora attive cellule terroristiche del fondamentalismo islamico?
R. – Sì, ma hanno
svolto, fino ad ora, compiti più marcatamente di
sostegno logistico a gruppi che sono operativi altrove. Sono dedite, infatti,
soprattutto alla raccolta di fondi, alla falsificazione di documenti, al
reclutamento di mujaheddin da mandare nelle zone di conflitto etnico-religioso.
Nulla esclude, però, che queste cellule possano d’improvviso e per decisione
autonoma, entrare direttamente in azione sul territorio nazionale. Debbo dire,
però, che fino ad oggi non abbiamo colto né in Italia, né all’estero, segnali
certi in questo senso.
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In Medio Oriente, il negoziatore
palestinese Saeb Erekat ha
respinto, stamani, il piano esposto dal primo ministro israeliano ad interim, Ehud Olert, per un ritiro
parziale dalla Cisgiordania, mantenendo il controllo su Gerusalemme e la Valle
del Giordano. “Esortiamo il governo israeliano a tornare al tavolo dei
negoziati – ha detto il negoziatore palestinese – precisando che lo Stato
ebraico deve abbandonare la sua politica unilaterale”.
Ennesimo
attacco terroristico in Afghanistan: tre persone sono
rimaste uccise in un attentato dinamitardo compiuto questa mattina nella
provincia occidentale di Farah. Le vittime sono un
turco, un indiano e il loro autista afghano. I due stranieri lavoravano per
un’impresa impegnata nella costruzione di una strada. Lo ha riferito il
governatore della regione.
Rafforzate le misure di sicurezza in Iraq: alla vigilia dell’Ashura, la più grande festa religiosa sciita, le forze
irachene hanno chiuso diversi ponti sul Tigri a Baghdad, per evitare attacchi e
attentati durante le celebrazioni. Nella festa dell’Ashura,
gli sciiti ricordano la morte dell’imam Hussein, uno
dei nipoti di Maometto. Nella città santa di Karbala,
dove si trova il mausoleo di Hussein, sono attesi milioni di fedeli.
Nuovo focolaio di influenza
aviaria nel nord della Cina in un allevamento di
polli. Il ministero dell’Agricoltura ha comunque dichiarato che la “situazione
è sotto controllo”. Un altro focolaio è stato individuato in Nigeria: in
volatili domestici sono state trovate tracce del ceppo H5N1, il più letale per
l’uomo.
In Nepal, scontri tra forze governative e ribelli maoisti hanno
provocato la morte di almeno 9 persone. I combattimenti sono scoppiati nella
parte orientale del Paese poco dopo l’apertura delle urne per le elezioni comunali.
Sono chiamati al voto più di un milione e mezzo di aventi
diritto ma le principali formazioni politiche e i ribelli maoisti hanno
invitato gli elettori a boicottare la consultazione. In base ai primi dati,
l’affluenza è bassa. Dalla competizione elettorale si sono ritirati, inoltre,
più di 600 candidati dell’opposizione. Secondo gli oppositori del governo, le
elezioni indette dal Re Gyanendra, le prime dal 1999,
costituiscono un ulteriore mezzo per rafforzare il potere del sovrano.
Anche le elezioni tenutesi ieri ad Haiti
per eleggere il capo dello Stato, 30 senatori e 99 deputati, sono state
caratterizzate da episodi di violenza: nella parte occidentale del Paese, due
persone sono rimaste uccise in seguito a tumulti. Sulla consultazione, la prima
dopo la destituzione dell’ex presidente Aristide nel febbraio 2004, ascoltiamo il servizio di Maurizio Salvi:
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Il semplice fatto che le votazioni
siano state portate a termine in tutto il Paese, ha costituito un innegabile
successo. Max Maturin, presidente del consiglio
elettorale provvisorio, ha detto che la giornata ha avuto le caratteristiche di
un evento storico. Eppure, il rischio di un fallimento del processo elettorale
è apparso ad un certo punto possibile poiché, nonostante gli haitiani si
fossero assiepati all’ingresso dei seggi, la macchina organizzativa ha
visibilmente fatto acqua. Non sono mancati il malcontento e scene di violenza.
Le forze dell’ordine e la MINUSTAH, la missione dell’ONU di
stabilizzazione di Haiti, sono state costrette ad intervenire con energia.
Commentando il bilancio delle vittime, il portavoce della forza di pace delle
Nazioni Unite ha detto che non si deve dimenticare il contesto di violenza
esistente da molto tempo nel Paese, aggiungendo che votare ad
Haiti non è come votare in Svizzera. Il tasso di partecipazione elettorale è
stato, infine, del 75 – 80 per cento. Commentando questo dato, il capo delle delegazione degli osservatori dell’Unione Europea ha
dichiarato che una popolazione così motivata si sarebbe meritata elezioni ben
preparate e bene organizzate.
Dall’America Latina, Maurizio
Salvio, ANSA, per la Radio Vaticana.
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A due giorni dalla cerimonia di
apertura dei Giochi Olimpici di Torino 2006, è stato diffuso un video-messaggio
del presidente italiano Ciampi che ha lanciato un
appello alla concordia e ad un “maggiore senso di responsabilità”. “E’ un’occasione – ha detto il capo di Stato –
per confermare le nostre capacità e rilanciare il nostro sviluppo. Non dobbiamo
mancarla”.
Restiamo in Italia. E’ passata la fiducia al governo sul decreto legge
sulle Olimpiadi invernali di Torino che contiene le nuove norme in materia di
contrasto della tossicodipendenza. Con questo provvedimento, non esiste più
alcuna distinzione tra droghe leggere e pesanti. Per lo spaccio si prevedono
pene graduali da
6 a 20 anni di reclusione.
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