RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 359 - Testo
della trasmissione di lunedì 25 dicembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Telegramma di cordoglio del
Santo Padre per la tragedia di San Benedetto al Querceto
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il Natale nel mondo: in
Terra Santa, giunti migliaia di pellegrini per il Santo Natale e accorato
appello per la cessazione delle violenze levato del Patriarca latino di
Gerusalemme, mons. Sabbah
Natale in Asia fra luci ed
ombre, occasioni di testimonianza e anche di persecuzione
Le
celebrazioni natalizie dei Francescani in Australia incentrate sul rispetto
della vita
In
America Latina, preghiera e condivisione della gioia per la nascita del Signore
CHIESA E SOCIETA’:
25 dicembre 2006
E’ IL
CRISTO-BAMBINO, PORTATORE DI UN IMMORTALE MESSAGGIO DI PACE
E DI
SPERANZA, IL SALVATORE DI TUTTI GLI UOMINI
E LA
RISPOSTA AI DRAMMI DEL MONDO:
COSI’
BENEDETTO XVI NEL MESSAGGIO URBI ET ORBI
DEL GIORNO DI NATALE
(canto natalizio)
E’ il Bambino di Betlemme il Salvatore del mondo, il
Salvatore “nato per tutti”, anche per l’umanità di oggi: un’umanità in parte
ricca e all’apparenza felice, ma in parte ancora più ampia popolata di miseria,
in cerca di pace, bisognosa di solidarietà. Per questo mondo arriva, con il
mistero di Betlemme, il segno della gioia e della speranza che, duemila anni
dopo, “conserva inalterata la sua freschezza”. Riecheggiando lo spirito del
Messaggio Urbi et Orbi pronunciato questa mattina da Benedetto XVI - accompagnato
dagli auguri in 62 lingue - apriamo l’edizione odierna del Radiogiornale, che
sarà interamente dedicata alla solennità del Natale, così come vissuta e
celebrata sia nel centro della Chiesa universale, sia nelle Chiese dei cinque
continenti.
Dopo la Santa Messa della Notte di Natale, presieduta la
notte scorsa nella Basilica Vaticana – della quale riferiremo tra poco -
Benedetto XVI ha rivolto, a mezzogiorno di oggi, il tradizionale Messaggio alla
città di Roma e al mondo: una riflessione attenta e allo stesso tempo accorata
sulle vicende drammatiche e sui segni di distensione riscontrabili nell’attuale
panorama internazionale, dal Medio Oriente all’Africa, dall’Asia all’America Latina.
Ascoltiamo allora la sintesi del Messaggio papale, nel servizio di Alessandro
De Carolis.
**********
Che bisogno ha di un “Salvatore” l’uomo che assomma tre
millenni di storia, cultura e progresso? Ha ancora un valore questa idea,
questa persona, per persone capaci di sondare l’infinitamente grande dello
spazio o l’infinitamente piccolo di un filamento genetico? E soprattutto:
quest’uomo, forte del suo straordinario sapere, sa rispondere all’“invocazione
straziante di aiuto” che amplifica i mille drammi irrisolti che pesano ancora
oggi su milioni di esseri umani? Scuote come una provocazione l’avvio del
Messaggio Urbi et Orbi di
Benedetto XVI che a mezzogiorno, dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana
- davanti ad una folla di migliaia di persone - rimbalza ai quattro angoli del
pianeta, ripreso dalle telecamere di 102 televisioni di 63 nazioni. Le Chiese
di tutto il mondo, ha ricordato il Papa, hanno fatto eco, nella notte appena
trascorsa, agli angeli della notte di Betlemme, annunciando la nascita del
Salvatore. Eppure, si è domandato il Pontefice:
“E’ ancora
necessario un “Salvatore” per l’uomo che ha raggiunto
Quest’uomo, ha obiettato Benedetto XVI, “si presenta come
sicuro ed autosufficiente artefice del proprio destino, fabbricatore entusiasta
di indiscussi successi quest’uomo del secolo ventunesimo”. “Sembra” dunque non
aver bisogno di salvezza, “ma - ha affermato il Papa - così non è”. Altri
angoli del pianeta raccontano una storia diversa:
“Si muore ancora di fame e di sete, di
malattia e di povertà in questo tempo di abbondanza e di consumismo sfrenato.
C’è ancora chi è schiavo, sfruttato e offeso nella sua dignità; chi è vittima
dell’odio razziale e religioso, ed è impedito da intolleranze e discriminazioni,
da ingerenze politiche e coercizioni fisiche o morali, nella libera professione
della propria fede. C’è chi vede il proprio corpo e quello dei propri cari,
specialmente bambini, martoriato dall’uso delle armi, dal terrorismo e da ogni
genere di violenza in un’epoca in cui tutti invocano e proclamano il progresso,
la solidarietà e la pace per tutti”.
“Come non sentire che proprio dal fondo di questa umanità
gaudente e disperata si leva un’invocazione straziante di aiuto”? Un aiuto
invocato, ha ricordato Benedetto XVI, anche da chi è stato costretto a
espatriare, è stato “ingannato dai facili profeti di felicità”, ha annegato
nella droga o nell’alcol la propria solitudine? Questo accade, ha detto il
Pontefice, perché l’essere umano “è rimasto quello di sempre: una libertà tesa tra bene e male, tra vita e
morte”. Ed è l’attuale epoca postmoderna, ha proseguito, ad aver “forse
ancora più bisogno di un Salvatore, perchè più complessa è diventata la società
in cui vive e più insidiose si sono fatte le minacce per la sua integrità
personale e morale”. Cristo è dunque quel Salvatore, perché per amore dell’uomo
è nato in una stalla ed è morto sulla Croce. Solo Lui, ha insistito Benedetto
XVI, può difendere la dignità umana, e può indurre a “ragionevolezza e
moderazione” chi detiene responsabilità politiche e sociali nello scacchiere
del mondo:
“Con viva
apprensione penso, in questo giorno di festa, alla regione del Medio Oriente,
segnata da innumerevoli e gravi crisi e conflitti, ed auspico che si apra a
prospettive di pace giusta e duratura, nel rispetto degli inalienabili diritti
dei popoli che la compongono. Metto nelle mani del divino Bambino di Betlemme i
segnali di ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi, di cui siamo stati
testimoni in questi giorni, e la speranza di ulteriori confortanti sviluppi”.
Benedetto XVI ha pregato anche per la democrazia in
Libano, per l’“avvenire di fraternità e di solidarietà” nello Sri Lanka, per la fine dei
“conflitti fratricidi” in Africa, specie nel Darfur, per il consolidamento dei
“processi di riconciliazione, di democrazia e di sviluppo” a fronte dei
“focolai di tensione” che, ha osservato, “rendono incerto il futuro di altre parti
del mondo, in Europa come in America Latina”.
In questo scenario, che vede la Chiesa testimone
dell’annuncio del Natale, Gesù Bambino - ha concluso Benedetto XVI - è e resta
il Salvator noster,
il nostro Salvatore, la speranza di ogni persona, perché “nato per tutti”:
“Cari fratelli e
sorelle, dovunque voi siate, vi giunga questo messaggio di gioia e di speranza:
Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo,
è nato da Maria Vergine e rinasce oggi nella Chiesa. E’ Lui a portare a tutti l’amore del Padre celeste. E’ Lui il Salvatore del mondo! Non temete, apritegli il cuore,
accoglietelo, perché il suo Regno di amore e di pace diventi comune eredità di
tutti. Buon Natale!”.
(auguri in varie lingue)
Al termine del Messaggio Urbi et Orbi, come da tradizione, il Papa ha
pronunciato gli auguri di Natale in oltre 60 idiomi. “La gioia che Cristo ci
reca con la sua nascita”, ha detto, fra l’altro in lingua italiana, sia “divina
carezza” per i bambini, conforto per i malati, energia per i deboli, “presenza
rasserenante per coloro che attraversano il deserto della tristezza e della
solitudine”. Quindi, dall’inglese e francese fino al samoano
e all’esperanto, tante cadenze per annunciare la Buona Notizia:
“Salvator noster natus est nel mundo. Buon Natale”.
(applausi)
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LA
SOLENNE MESSA DELLA NOTTE DI NATALE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO.
BENEDETTO
XVI: IL SEGNO DI DIO E’ UN BAMBINO,
CHE CI INVITA AD ESSERE
SOLIDALI CON L’INFANZIA, SPECIE SE SOFFERENTE
“Dio si è fatto piccolo
affinché noi potessimo comprenderLo,
accoglierLo, amarLo”: è il
cuore dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella Santa Messa della notte di
Natale nella Basilica Vaticana. “Il Bambino di Betlemme – ha sottolineato, tra
l’altro, il Papa – dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed
abusati nel mondo, i nati come i non nati”. Il servizio di Roberta Moretti:
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“Il segno di Dio è la semplicità, il segno di Dio è il
bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi”: l’omelia di
Benedetto XVI ruota tutta attorno al bambino che nasce. In
Lui si realizza
“Egli non viene con
potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino - inerme e bisognoso del
nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua
grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient'altro vuole
da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente ad
entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà – impariamo a
vivere con Lui e a praticare con Lui anche l'umiltà della rinuncia che fa parte
dell'essenza dell'amore”.
“Così Dio ci insegna
ad amare i piccoli. Ci insegna così ad amare i deboli. Ci insegna in questo
modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il nostro
sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed abusati nel mondo, i nati come i
non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono
introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare; verso
i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non
sperimentano nessun amore”.
“Chiediamo a Dio - invita il Papa - di aiutarci a fare la
nostra parte perché sia rispettata la dignità dei bambini; che per tutti sorga
la luce dell’amore, di cui l’uomo ha più bisogno che non delle cose materiali
necessarie per vivere”. E’ nel dono semplice dell’amore, infatti, che si “risolve” l’intera fede e l’intera Parola. “Natale -
afferma Benedetto XVI - è diventato la festa dei doni per imitare Dio che ha
donato se stesso a noi”:
“Tra i tanti doni
che compriamo e riceviamo non dimentichiamo il vero dono: di donarci a vicenda
qualcosa di noi stessi! Di donarci a vicenda il nostro tempo. Di aprire il
nostro tempo per Dio. Così si scioglie l'agitazione. Così nasce la gioia, così
si crea la festa”.
Quindi, l’esortazione a vivere il Natale, seguendo
l’insegnamento del Signore:
“Quando tu per
Natale fai dei regali, non regalare qualcosa solo a quelli che, a loro volta,
ti fanno regali, ma dona a coloro che non ricevono da nessuno e che non possono
darti niente in cambio. Così ha agito Dio stesso: Egli ci invita al suo
banchetto di nozze che non possiamo ricambiare, che possiamo solo con gioia
ricevere. Imitiamolo! Amiamo Dio e, a partire da Lui, anche l’uomo, per
riscoprire poi, a partire dagli uomini, Dio in modo nuovo!”
E’, infine, nell’Eucaristia che
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NEL
MESSAGGIO PER IL NATALE AI VESCOVI, SACERDOTI E LAICI DEL MEDIO ORIENTE, IL PAPA ESORTA ALLA FIDUCIA E AL
DIALOGO
E AUSPICA DI POTERSI RECARE IN PELLEGRINAGGIO
IN TERRA SANTA
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
“Alle
comunità cattoliche dei vostri Paesi penso costantemente ed anche con più acuta
preoccupazione nel periodo natalizio”. E’ quanto scrive Benedetto
XVI nel messaggio per il Natale rivolto ai vescovi, ai sacerdoti e ai laici del
Medio Oriente.
Il Papa sottolinea, in particolare, l’importanza di “un dialogo paziente e
umile” e di una “maggiore fiducia nell’umanità dell’altro, soprattutto se
sofferente”. “Le notizie quotidiane che giungono dal
Medio Oriente - scrive il Santo Padre - non fanno che mostrare un crescendo di
situazioni drammatiche, quasi senza via di uscita”. Ma “nelle difficoltà anche
più dolorose - ricorda - la speranza cristiana attesta che la rassegnazione
passiva e il pessimismo sono il vero grande pericolo che insidia la risposta
alla vocazione che scaturisce dal Battesimo. Ne possono derivare sfiducia,
paura, autocommiserazione, fatalismo e fuga”. “Non sarebbe davvero saggio,
soprattutto in questo momento - fa quindi notare Benedetto XVI - spendere tempo
ad interrogarsi su chi abbia sofferto di più o voler presentare il conto dei
torti ricevuti, elencando le ragioni che militano a favore
della propria tesi”.
“La
sofferenza – spiega il Santo Padre - in fondo accomuna tutti, e quando uno
soffre deve sentire anzitutto il desiderio di capire quanto possa soffrire
l’altro che si trova in una situazione analoga”. In queste difficili
circostanze, segnate da poche luci e molte ombre, è comunque motivo di
consolazione per il Santo Padre sapere che le comunità cristiane del Medio
Oriente “continuano ad essere comunità viventi e attive, decise a testimoniare
la loro fede con la loro specifica identità nelle società che le circondano”.
Il Papa esprime, inoltre, l’auspicio di potersi recare in Terra Santa: “La
Provvidenza – si legge nel messaggio - faccia sì che le circostanze permettano
un mio pellegrinaggio nella terra resa Santa dagli avvenimenti della Storia
della Salvezza”.
Benedetto XVI non cela infine la speranza di poter pregare a
Gerusalemme, “patria del cuore di tutti i discendenti spirituali di Abramo, che
la sentono immensamente cara”.
LA GROTTA DI BETLEMME, IL SEGNO DI UN DIO UMILE,
PIU’ FORTE DEL POTERE UMANO:
INAUGURATO
ALLA PRESENZA DI MONS. ANGELO COMASTRI
IL PRESEPE
IN PIAZZA SAN PIETRO,
CON PERSONAGGI DONATI DALLA PROVINCIA DI TRENTO
Davanti a numerosi fedeli raccolti in preghiera, è stato
inaugurato ieri pomeriggio il presepe di Piazza San Pietro. Una tradizione
iniziata nel 1982 con Giovanni Paolo II e che presenta un allestimento di
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(canto: Astro del Ciel)
“In una società secolarizzata come la nostra, in cui anche
l’innocente presepe crea imbarazzo nelle scuole pubbliche, diventa difficile
trovare la strada Betlemme”. Così si è espresso
l’arcivescovo Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana e vicario del
Papa per la Città del Vaticano, durante la veglia di preghiera per
l’inaugurazione del presepe in Piazza San Pietro. “Per questo - ha aggiunto -
oggi è giusto ribadire che il Natale non è una semplice festa, ma è la nascita
di Gesù, una nascita che ci commuove e riaccende la nostra speranza, perché a
Betlemme Dio si è fatto uomo”:
“Dio è venuto nella
storia con il passo dell’umiltà e subito gli orgogliosi hanno avuto paura. Dio
è entrato nella storia con il passo della povertà e subito i ricchi hanno
tremato. Dio è entrato nella storia con il passo della mitezza disarmata, e subito
i violenti si sono risentiti. Erode ha deciso di combattere il Bambino della
stalla, ma ha vinto il Bambino della stalla perché lì c’è Dio e Dio non può
essere sconfitto”.
La difesa
della vita parte da Betlemme, ha aggiunto mons. Comastri, così come i diritti dell’uomo
e il ricordo della dignità inalienabile della donna. Perché è grazie a Gesù
Bambino che l’amore è diventato la forza della storia:
“Aveva ragione Immanuel Kant quando disse: “Il Vangelo è la fonte della nostra civiltà”
e Thomas Eliot ha aggiunto:
“Se se ne va il cristianesimo, se ne va tutta la cultura, tutta la civiltà e
sparisce anche il nostro volto umano”. Per questo noi ci accostiamo al Bambino
di Betlemme, lo riconosciamo come Dio fattosi vicino a ciascuno di noi”.
Al termine
della veglia di preghiera, Benedetto XVI si è affacciato alla finestra del suo
studio ed ha acceso il Lume della Pace. “Una luce che - ha sottolineato mons.
Comastri - è portatrice di un messaggio per tutti noi:
“È un’indicazione
per tutti, potremmo dire una predica per tutti: ognuno di noi deve diventare
una stella accesa nel buio della notte, ognuno di noi deve prendere una
scintilla da Betlemme e portarla sulle strade del mondo”.
(canto)
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TELEGRAMMA
DI CORDOGLIO DI BENEDETTO XVI PER LA TRAGEDIA
- A
cura di Alessandro De Carolis -
La vigilia di Natale è stata anche il momento del
cordoglio e della solidarietà che Benedetto XVI ha voluto esprimere per le
vittime del crollo di una palazzina, avvenuto venerdì scorso a San Benedetto del Querceto, a una trentina di chilometri da Bologna. In suffragio delle cinque vittime il Papa -
si legge nel testo a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone
– leva “fervide preghiere”, invocando da Dio “conforto per coloro che soffrono
per la drammatica perdita delle persone care”.
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25 dicembre 2006
NATALE
NEL MONDO
-
A cura di Amedeo Lomonaco -
Cominciamo il nostro viaggio nei cinque Continenti
dedicato al Santo Natale andando nella “culla” del cristianesimo, la Terra
Santa: a Betlemme sono arrivati
per il Natale circa 20 mila pellegrini, agevolati
dalle autorità israeliane a varcare il valico tra Gerusalemme e Betlemme. Nella
notte, il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel
Sabbah, ha presieduto la Santa Messa nella chiesa
della Natività. Hanno assistito alla celebrazione anche il presidente
palestinese, Abu Mazen, e
diversi politici israeliani. Sulla Messa di Natale a Betlemme, ascoltiamo il
servizio di Graziano Motta:
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Un’omelia di Natale che è tutto un programma di impegno:
in un esame di coscienza, i nuovi comportamenti di vita e di azione. Esame che
tocca in primo luogo la società palestinese, nelle difficili circostanze
attuali aggravate dai dissidi interni. Ma anche un esame ispirato ed alimentato
dalla stessa esortazione che San Paolo rivolse ai Filippesi:
“Non angustiatevi per nulla”. E’ Natale ogni giorno, nella vita di ogni
credente - afferma mons. Sabbah - per restare forti e
vincere il male con la bontà che Dio ha collocato in ciascuno. Per provocare
“vita e non morte, produrre giustizia e non il mantenimento dell’oppressione,
cercare la fine dell’occupazione invece di lasciare che continui a pesare su
noi tutti”. “L’appello accorato è, anzitutto, perché cessino le lotte
fratricide. Il Patriarca invita, dunque, ciascuno a vedere nel fratello la
dignità che Dio gli ha donato: prendere posizione contro ogni fratello –
ammonisce – “è prendere posizione contro Dio. Non deponendo le armi la strada
porta ad una nuova schiavitù”. Volgendo poi lo sguardo al conflitto israelo-palestinese, durato troppo a lungo, il Patriarca
dice: “E’ tempo che i responsabili dei due popoli e che la comunità
internazionale intraprendano un’azione che ci introduca in una fase nuova nella
storia della storia della Terra Santa. Ecco quello di cui abbiamo bisogno”.
L’invocazione finale è di pace per tutti, di saggezza e di capacità di vedere
in ogni persona umana l’amore che Dio ha per essa.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Restiamo in Medio Oriente, spostandoci in Iraq, Paese
scosso dal lungo calvario della popolazione, inerme di fronte al dilagare della
violenza di gruppi estremisti, o costretta ad emigrare per cercare maggiore
sicurezza. Anche di fronte al rischio di attentati o di sequestri, la Chiesa caldea ha deciso comunque di tenere aperte le chiese per le
funzioni del Natale. E la festa per la nascita del Signore si avverte anche nel
vicino Iran, dove la comunità cristiana partecipa
attivamente alle celebrazioni natalizie. Ascoltiamo il giornalista iraniano, Bijian Zarmandili:
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R. - La comunità cristiana in Iran ha sempre goduto,
soprattutto tra la popolazione civile, di una altissima
simpatia. L’Iran, tra l’altro, ha tradizionalmente festeggiato la nascita del
Cristo. Anche le famiglie islamiche, musulmane, hanno aderito a questa festa.
Qualcosa, naturalmente, è cambiato con l’avvento della Repubblica islamica: in
questi ultimi anni, anche se nel grande rispetto, si sono attenuati - diciamo
così – gli aspetti festosi di questo avvenimento. Probabilmente, si proseguirà
su questa strada e questo perché la popolazione è solidale con i cristiani
iraniani. Probabilmente, il governo - soprattutto ora con la leadership di un
conservatore come Ahmadinejad - cercherà di non dare
particolare peso al Natale.
D. - Ci sono comunque segni per le strade, nelle case? Le
famiglie festeggiano? Ci sono segni tangibili del Natale?
R. - Sì, certo. La comunità cristiana e quella
armena hanno dei loro rappresentanti anche nel Parlamento iraniano: sono
quindi delle minoranze, ma ufficialmente riconosciute. Le loro chiese vivono
ovviamente un momento di fermento religioso, con grandi festeggiamenti per la
nascita del Cristo.
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Con l’Iran abbiamo aperto la pagina dedicata al Natale in
Asia, dove il timore per attentati terroristici e le forti tensioni in diversi
Paesi non scoraggiano i cristiani - in minoranza in quasi tutti gli Stati
asiatici - dal festeggiare la nascita di Gesù. Sul Natale in Asia, il servizio
del direttore di AsiaNews, padre Bernardo Cervellera:
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Natale in Asia fra luci ed ombre, occasioni di
testimonianza e anche di persecuzione. Così in Pakistan si vive il Natale nella
festa, incontrando anche i capi religiosi musulmani, ma nel timore di
attentati. A Lahore, nel nord del Paese, 1700
poliziotti hanno vigilato perché le chiese a rischio terrorismo non subissero
attacchi. Lo stesso è avvenuto in Indonesia, dove la comunità cristiana è
ancora prostrata per la condanna a morte di tre cattolici e per la
decapitazione di tre ragazze. Per le feste di Natale oltre 18 mila poliziotti
vigilano gli edifici cristiani a Jakarta, ma anche
nelle Isole Sulawesi e nelle Molucche.
Qualche segno positivo in Vietnam: il Paese, entrato ormai
nell’Organizzazione mondiale del commercio, allarga le maglie della libertà
religiosa. La Chiesa, nel periodo natalizio ha organizzato molte attività per i
poveri, i portatori di handicap, i giovani. Queste attività sono ufficialmente
proibite, ma ormai tacitamente permesse dal regime. In Nepal, dopo la fine
della monarchia assoluta di Gyanendra, l’induismo non
è più religione di Stato. Quest’anno, per la prima volta, i cristiani possono
festeggiare il Natale pubblicamente con decorazioni e processioni.
Per la Radio Vaticana, Bernardo
Cervellera.
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E’ il momento dell’Europa, continente caratterizzato da un
ricco pluralismo religioso e culturale, ma anche da spinte secolarizzatici. Sul
Natale nel Vecchio Continente, ascoltiamo al nostro microfono il segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali
d’Europa, mons. Aldo Giordano:
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R. - L’Europa naturalmente è molto varia. Ci sono
cristiani che vivono in Paesi dove sono la maggioranza, per esempio nel sud
Europa, come Spagna e Italia. Ci sono poi dei Paesi dove i cristiani sono una
piccola minoranza, come in Bosnia Erzegovina o in Turchia: qui, la situazione è
molto diversa perché dove i cristiani sono una minoranza rispetto ad un Paese
in prevalenza musulmano, ci tengono, dove è possibile, nelle loro case nelle
chiese, a far risaltare chi sono, la loro identità.
D. - A proposito di identità cristiana, Giovanni Paolo II,
riferendosi ai Santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, ha più volte
sottolineato la loro straordinaria opera per far respirare l’Europa cristiana
con “due polmoni”. Questa sinergia, eccellenza, si riempie di speranza
soprattutto adesso nel periodo di Natale...
R. – Io credo che sia una grande
ricchezza per l’Europa riuscire a respirare con due polmoni perché, se noi
riuscissimo veramente a vivere insieme questo, potrebbe essere molto utile;
sarebbe molto utile perché la secolarizzazione entra anche nei Paesi dell’est e
noi possiamo allora donare a loro la nostra esperienza, anche i nostri fallimenti;
d’altra parte possiamo riapprendere dall’est europeo
tutta la loro tradizione spirituale.
D. – Il Papa ha invitato i fedeli a prepararsi al Natale
con la preghiera e l’impegno dell’amore. Come è stato accolto questo invito nei
diversi Paesi europei?
R. - Mi viene in mente l’opera di Beckett,
“Aspettando Godot”, dove ci sono due disgraziati che
vanno ad aspettare Godot sotto l’albero, per giorni,
settimane mesi, anni interi, fino alla morte. Questo sembra un po’ un’icona
anche della nostra vita. Spesso sprechiamo i giorni e gli anni aspettando
qualcosa dalla vita, affidandoci - come dice il Papa - a falsi profeti e,
d’altra parte, dobbiamo assolutamente ritrovare chi attendiamo. Noi non
aspettiamo un Godot, non abbiamo un sogno, un’utopia
o falsi profeti. Noi aspettiamo il Salvatore. Quindi, si tratta di riparlare di
Gesù Cristo, di chi è il cuore del cristianesimo.
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E nel giorno di Natale non
mancano, purtroppo, notizie dolenti: in Somalia, aerei etiopici hanno bombardato questa mattina
l’aeroporto di Mogadiscio, sede del Consiglio delle Corti islamiche, che
controllano il centro e il sud del Paese. Il governo etiopico ha anche ammesso
ufficialmente che propri soldati sono stati inviati in
Somalia per combattere contro le milizie islamiche e sostenere il fragile
governo ad interim somalo, riconosciuto
dalla comunità internazionale. Ma l’angoscia per nuove, gravi tensioni non
spegne comunque la gioia per il Natale anche in Paesi molto poveri come il Mali,
uno Stato a maggioranza musulmana, dove i cristiani cattolici sono circa il 2
per cento. Proprio nella capitale del Paese, Bamako,
vive da 36 anni padre Aldo Giannasi, missionario
della Società apostolica dei Padri Bianchi ed insegnante in un centro studi per
giovani africani. Isabella Piro lo ha raggiunto
telefonicamente e gli ha chiesto come viene vissuto il
Natale in terra d’Africa:
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R. - Il Natale è vissuto non
soltanto dai cristiani, ma è vissuto da tutto il Paese. Innanzitutto, è una
festa riconosciuta dallo Stato come una festa in cui non si lavora ed è stata
data a questa piccola comunità cattolica, che gode di prestigio in tutto il
Paese. Forse, il mistero del Natale, con la semplicità che esso rappresenta -
un bambino che nasce - è qualcosa che viene capito da
tutti e vissuto.
D. - La Chiesa locale come
celebra la solennità del Natale?
R. - L’arcivescovo di Bamako rivolge ogni anno un messaggio alla nazione. Tutti
lo ascoltano. Una volta mi sono fermato tra un gruppetto di persone che
ascoltavano questo messaggio alla televisione, in un negozio, e sentivo i loro
commenti in lingua locale, che dicevano: “Le sue parole - quelle
dell’arcivescovo – sono per noi tutti, indistintamente”.
D. - Padre Aldo, qual è allora
il suo augurio per l’Africa e il mondo intero?
R. – Il Natale è la venuta di
Cristo in Terra, il Principe della pace: allora, l’augurio che io faccio agli
abitanti del Mali, e che vorrei fare al mondo intero, è proprio questa pace,
questo incontro di persone che sanno ancora guardarsi negli occhi, parlarsi e
camminare insieme.
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Trasferiamoci
in Oceania, dove i Francescani conventuali di Sydney hanno celebrato il Natale
ricordando i bambini non nati e hanno pregato per sensibilizzare le coscienze
dei cittadini australiani al rispetto della vita e a combattere la diffusione
dell’aborto. Sul Natale nel continente, il servizio di Maurizio Pascucci:
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Mai come quest’anno l’Australia avrebbe voluto un Natale
bianco e freddino. Invece, quattro dei sei Stati e due territori australiani
lottano da tre settimane contro incendi di proporzioni ormai epiche. Alte
temperature e venti forti hanno reso titanico lo sforzo dei servizi antincendio
locali, coadiuvati da Vigili del fuoco giunti dalla Nuova
Zelanda e dagli Stati Uniti. Un Natale di “fuoco”, dunque, quello di
quest’anno, ma non per chi vive lontano dai boschi inariditi da una siccità
ormai permanente e prede inermi delle fiamme. In città, si rinnovano invece i
consueti dubbi amletici sulle tradizioni da adottare per Natale. Quella del
tacchino, più adatta ai climi europei, o quella più spregiudicata dei frutti di
mare scottati sul barbecue. E mentre le celebrazioni si snodano tra le
tentazioni del consumo e protezioni solari in colorazioni sempre più
sgargianti, l’arcivescovo anglicano di Sydney, Peter Jensen, respinge la tendenza all’evasione e si interroga
sulla morte di un senzatetto, ucciso nei giorni scorsi senza motivo sugli
scalini della cattedrale di St. Andrew. Luci ed ombre
di una società agiata e pronta a celebrare ma non necessariamente ricettiva al
messaggio del Natale.
Da Melbourne, Maurizio Pascucci,
per la Radio Vaticana
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Dall’altra
parte dell’Oceano, in America Latina, il Natale è scandito soprattutto dalla preghiera
e dalla condivisione, in famiglia, della gioia per la nascita del Signore. Per
una panoramica sul Natale nei Paesi latinoamericani, il servizio di Luis Badilla:
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Seppure
immersi in numerose difficoltà sociali ed economiche,
e con non poche incertezze sull’orizzonte politico, i popoli latinoamericani
celebrano il Natale con il solito coinvolgimento religioso e in un clima di
raccoglimento familiare. Non è solo una questione di tradizione: la famiglia
latinoamericana, assediata da molte proposte che vorrebbero relativizzare la
sua natura e la sua struttura, resta l’istituzione più solida degli affetti e
dell’educazione alla fede e alla vita civica e perciò, come ogni anno, attorno
ai simboli più cari dell’Incarnazione ci si s’incontra
per fare festa, scambiarsi auguri e darsi coraggio. Come sempre, si prevede
un’altissima partecipazione nelle chiese o nelle “Case di preghiera”. Il regalo
più ricorrente è il cibo, i dolci “fatti in casa dalla mamma”. Anche negli
angoli più poveri ci sono i presepi, usanza privilegiata fra i gruppi sociali
meno benestanti che, invece, preferiscono l’albero di Natale. Non manca,
ovviamente, una certa frenesia consumistica che però,
escluse le grandi metropoli, non riesce ad oscurare il senso squisitamente
religioso della festa, la più importante dell’anno. In molti Paesi della
regione, si ricordano poi molte persone, soprattutto in Colombia, che
passeranno un altro Natale in ostaggio di gruppi armati e della delinquenza
comune. In altri, come in Messico e Cuba, Venezuela ed Ecuador si prega per la
riconciliazione nazionale. Molti pregheranno il Dio Incarnato affinchè illumini i governanti chiamati a trovare soluzioni
più efficaci ed eque per tirare fuori dalla povertà e
dall’emarginazione milioni di latinoamericani.
Dall’America
Latina, Luis Badilla
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Concludiamo questo viaggio dedicato al Natale nel mondo,
andando in Italia dove la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato,
anche quest’anno, il tradizionale pranzo di Natale con i poveri. Mentre in
tutto il mondo le famiglie si riuniscono intorno alla tavola, la Comunità fa
festa con i meno abbienti, che diventano parenti e amici. Perché il Natale - sottolinea
la Comunità di Sant’Egidio - è anche il miracolo dei volti sorridenti di tante
persone oppresse dalla fatica della vita, è il miracolo di scoprirsi utili di
tanti ai quali non manca nulla, ma che hanno perso il senso profondo della
festa.
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25 dicembre 2006
l’urgenza dell’impegno nella difesa e
nella promozione della vita
AL CENTRO Del
messaggio di natale dei vescovi brasiliani
BRASILIA. = Il Natale “ci esorta all’impegno concreto
nella difesa e nella promozione della vita, superando ogni violenza,
approfondendo la giustizia e la solidarietà e costruendo la vera pace”: è
quanto afferma la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB), in un
messaggio diffuso in occasione del Natale. Come riporta l’agenzia Zenit, i
presuli brasiliani si rivolgono “al Popolo di Dio e a tutti gli uomini e alle
donne di buona volontà”, manifestando affetto e augurando ai fedeli la gioia
più grande, segno “della presenza del Bambino Gesù tra di
noi”. I vescovi affidano poi “all’intercessione della Vergine Maria tutte le
lotte, i sogni e le speranze” del popolo brasiliano “nel nuovo anno che si
avvicina”. Nella prospettiva della prossima Campagna di fraternità, che si svolge
nel periodo di Quaresima, i presuli tornano “con la mente e con il cuore
all’Amazzonia”, esortando “ogni popolo a impegnarsi, con generosa solidarietà,
nella difesa della vita in pienezza per tutti i fratelli e le sorelle che
vivono in questa immensa regione brasiliana”. Nel desiderio di pace tra
popolazioni, chiese e religioni, i vescovi estendono il loro sguardo a tutta
l’umanità. “Il mistero dell’Incarnazione - concludono - ci esorta a portare
l’annuncio di pace ai cuori tutti i giorni dell’anno nuovo”. (E.
B.)
IL
NATALE PUÒ RAVVIVARE LA LUCE DELLA SPERANZA IN UN PERÙ MIGLIORE:
LO
SCRIVE IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE PERUVIANA,
MONS.
CABREJOS VIDARTE, NEL SUO MESSAGGIO NATALIZIO
LIMA. = “Natale è dare
senza aspettare niente in cambio, è capacità di perdonare e di essere
perdonati”: è quanto afferma, nel suo messaggio natalizio, il presidente della
Conferenza episcopale peruviana e arcivescovo di Trujillo,
Héctor Miguel Cabrejos Vidarte. Questo periodo,
spiega il presule, “è un’occasione per riflettere e godere del grande amore che
Dio ci ha dato e che si è manifestato in modo eccelso quando
si è incarnato in Gesù Cristo”. Un momento propizio in particolare per il Perù,
che sembra avvolto da una “spirale di violenza, di sfiducia, di insicurezza, di
mancanza di amore fraterno”. Solo la presenza del Bambino di Betlemme, afferma,
“può ravvivare la luce della speranza, per insegnarci che la vera pace
germoglia dal cuore di Dio e si trasmette al cuore dell’uomo che lo vuole
accogliere”. Il presidente dell’episcopato peruviano ricorda poi che la pace di
Dio “non può essere separata della giustizia, perché finché cresce la disuguaglianza
tra esseri umani, tra quelli che hanno accesso alla giustizia e quelli che non
lo hanno, tra quelli che hanno delle opportunità e quelli che non hanno niente,
non ci potrà essere pace duratura”. Infine, l’invocazione affinché “il Dio Bambino
ci conceda la gioia perfetta, frutto della pace interna e dell’amore fraterno,
e che il nuovo anno sia per tutti portatore di grande
speranza in un Perù migliore”. (A.D.F.)
NEPAL:
LA RECENTE LAICIZZAZIONE DELLO STATO PERMETTE QUEST’ANNO
ALLA
COMUNITA’ CRISTIANA LOCALE DI CELEBRARE
PUBBLICAMENTE IL NATALE
KATHMANDU. = Quest’anno, per la prima volta, i cristiani
in Nepal possono celebrare pubblicamente il Natale e la speranza è quella che,
nel 2007, venga riconosciuto ufficialmente come
festività pubblica. Una novità resa possibile dalla recente laicizzazione
dello Stato, decisa il 18 maggio scorso dal nuovo Parlamento nepalese,
convocato dal re Gyanendra Shah.
Fino ad allora, il Nepal era l’unica
nazione al mondo a riconoscere l’induismo come religione di Stato e a limitare
fortemente l’esercizio pubblico delle altre religioni. Anche la comunità
cristiana nepalese comincia dunque a subire i primi effetti positivi del nuovo
corso politico nel Paese ormai aperto ad espressioni di democrazia e di pace,
dopo la cessione dei poteri al Parlamento da parte del re Gyanendra
e la recente firma del trattato di pace tra il governo e i ribelli maoisti.
“Questo sarà un Natale speciale, perché è il primo nel nuovo Nepal”, ha
confermato all’agenzia Ucan padre Silas
Bagati, direttore della Caritas nepalese. Per le
festività natalizie, le comunità cristiane locali hanno organizzato numerosi incontri
e manifestazioni, pubblicizzati anche dal nuovo programma religioso cristiano
che da poco va in onda sulla tv nazionale. Lo scopo - spiegano i promotori - è
di condividere anche con i non cristiani la gioia del
Natale. Un modo per fare conoscere la fede cristiana, sempre nel rispetto delle
tradizioni e della sensibilità religiosa locale, per non creare malintesi e false accuse di conversioni forzate, come accaduto
nella vicina India. Secondo i dati più recenti riportati dall’Annuario della
Chiesa cattolica, su una popolazione di 28 milioni di abitanti in maggioranza
indù, i cristiani in Nepal sono circa un milione, 7.500 dei quali cattolici. (L.Z.)
L’IRLANDA
CREDE ANCORA NEI SIMBOLI E NEI LORO CONTENUTI E QUEST’ANNO,
PER
NATALE, OSPITA NELLA PRO-CATHEDRAL DI DUBLINO
IL
PRESEPIO ARTISTICO DI CALTAGIRONE,
COSTRUITO
DA CINQUE ESPERTI MAESTRI SICILIANI
- A
cura di Enzo Farinella -
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DUBLINO. = Il gesto dell’arcivescovo di Dublino, mons. Martin Diarmuid, che prende il
Bambino Gesù dalla culla e, dopo la venerazione dei fedeli, lo ripone nel
Presepio, quest’anno ha un doppio significato. In Irlanda, nonostante il
processo di modernizzazione e secolarizzazione che il consumismo comporta, i
simboli contano ancora e quelli religiosi hanno una particolare importanza.
Ammirare il presepio in questi giorni, sentirsi piccoli dinanzi al mistero
dell’Incarnazione e trasformare sentimenti di tenerezza in solidarietà per e
con chi soffre, o è meno fortunato di noi, è un ritorno alle profonde radici cristiane
che ci hanno nutrito nel tempo e che ci danno il senso profondo di appartenere
a una tradizione intellettuale e spirituale comune, di condividere una comune
sorgente di rispetto per i valori e i simboli che li rappresentano, uniti nel
desiderio comune di difendere e diffondere gli ideali di libertà, democrazia e
solidarietà. L’Incarnazione è al centro della più grande rivoluzione storica.
Quest’anno, il presepio allestito presso la Pro-Cathedral
di Dublino è quello artistico di Caltagirone, in
Sicilia, e anche questo è, insieme, un simbolo e un anello di quella antica
catena di amicizia che accomuna le due isole d’Irlanda e di Sicilia. Esso
ricrea perfettamente l’atmosfera sacra del Natale, nel rispetto della
tradizione, da vera opera d’arte nata dalla sapienza dei maestri artigiani
siciliani: vuole essere un dono della Provincia regionale di Catania alla città
di Dublino e alla gente d’Irlanda, per un futuro comune di pace e solidarietà,
all’interno delle due isole e nel mondo intero.
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AL VIA, IL PROSSIMO 29
DICEMBRE IN GERMANIA, LA 49.MA
CAMPAGNA
DEI “CANTORI DELLA
STELLA” DELL’INFANZIA MISSIONARIA TEDESCA.
TEMA DI QUEST’ANNO: “I BAMBINI DICONO SÌ AL CREATO”
BAMBERG.
= “I bambini dicono sì al creato - Tianay ny Haritanan’Atra”: questo,
lo slogan, in idioma malgascio, della 49.ma Campagna dei “Cantori della
Stella” (Sternsinger) dell’Infanzia missionaria
tedesca, che verrà lanciata il prossimo 29 dicembre a Bamberg,
in Baviera, alla presenza dell’arcivescovo della città, Ludwig
Schick. Un’iniziativa incentrata quest’anno sui
pericoli che minacciano l’ambiente e, in particolare, il Madagascar, scelto
come Paese simbolo. Circa mezzo milione di bambini nelle 12.500 parrocchie cattoliche
della Germania porteranno alle famiglie la benedizione
C+M+B (“Christus mansionem benedicat - Cristo benedica questa casa”), raccogliendo
offerte per i loro coetanei che soffrono in tutto il mondo e chiedendo, in
particolare, nuove misure di tutela della natura per i bambini del Madagascar.
(R.M.)
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25 dicembre 2006
L’EDIZIONE
ODIERNA DEL RADIOGIORNALE DELLE 14.00
NON PREVEDE LA CONSUETA PAGINA “24 ORE NEL
MONDO”,
DEDICATA
ALL’ATTUALITÀ INTERNAZIONALE,
SOSTITUITA
DALLA RASSEGNA “NATALE NEL MONDO”.