RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 356 - Testo
della trasmissione di venerdì 22 dicembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La
Conferenza episcopale messicana vince il Premio Keller
2006 per il sostegno alle missioni
Nuove violenze a Gaza, ma sembra sostanzialmente
reggere la tregua tra Hamas e al Fatah
22 dicembre 2006
E’ QUANTO HA AFFERMATO OGGI BENEDETTO
XVI INCONTRANDO
Un discorso di straordinaria intensità quello pronunciato
stamani da Benedetto XVI nell’udienza alla Curia Romana per gli auguri
natalizi. Il Papa ha ripercorso con la memoria i suoi 4 viaggi apostolici di
quest’anno, soffermandosi su temi chiave come la pace, la famiglia, il dialogo
interreligioso, il celibato dei sacerdoti e ancora l’ecumenismo e la sfida dei
credenti di fronte all’avanzare del secolarismo. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
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Il primo pensiero di Benedetto XVI va a quanti soffrono a
causa della guerra, che anche quest’anno ha scosso la Terra Santa, mentre
incombe “minaccioso su questo nostro momento storico” il pericolo di uno
“scontro tra culture e religioni”. “Il problema delle vie verso la pace”, è la
sua riflessione, “è diventato una sfida di primaria importanza per tutti coloro
che si preoccupano dell’uomo” e ciò, sottolinea, “vale in modo particolare per
la Chiesa”:
“La pace sulla terra
non può trovarsi senza la riconciliazione con Dio, senza l'armonia tra cielo e
terra. Questa correlazione del tema ‘Dio’ col tema ‘pace’ è stato l'aspetto
determinante dei quattro Viaggi Apostolici di quest'anno: ad essi
vorrei riandare con la memoria in questo momento”.
“Noi uomini – constata il Pontefice – avremmo desiderato
che Cristo bandisse una volta per sempre tutte le guerre, distruggesse le armi
e stabilisse la pace universale”. Ma, prosegue, “dobbiamo imparare che la pace
non può essere raggiunta unicamente dall'esterno” e che “il tentativo di
stabilirla con la violenza porta solo a violenza sempre nuova”. Esorta così ad
imparare che la pace, “come diceva l'angelo di Betlemme” nasce dall’ “aprirsi dei nostri cuori a Dio”. E il Papa invoca il
Signore affinché “la ragione della pace vinca l’irragionevolezza della
violenza”. Un tema, questo del rapporto tra fede e ragione, che domina le
riflessioni di Benedetto XVI sul suo viaggio in Baviera e in particolare sulla
sua lezione all’Università di Ratisbona:
“La ragione ha
bisogno del Logos che sta all'inizio ed è la nostra luce; la fede, per parte
sua, ha bisogno del colloquio con la ragione moderna, per rendersi conto della
propria grandezza e corrispondere alle proprie responsabilità. È questo che ho
cercato di evidenziare nella mia lezione a Regensburg.
È una questione che non è affatto di natura soltanto accademica; in essa si tratta del futuro di noi tutti”.
Diventa sempre più evidente, sottolinea il Papa, l’urgenza
del dialogo tra fede e ragione. Tuttavia, rileva, “la ragione orientata
totalmente ad impadronirsi del mondo non accetta più limiti. Essa è sul punto
di trattare ormai l'uomo stesso come semplice materia del suo produrre e del
suo potere”. Se “la nostra conoscenza aumenta”, al contempo “si registra un
progressivo accecamento della ragione circa i propri fondamenti”. “La fede in
quel Dio che è in persona la Ragione creatrice dell'universo – è la viva
esortazione di Benedetto XVI - deve essere accolta dalla scienza in modo nuovo
come sfida e chance”. Una sfida particolarmente forte nell’Occidente
secolarizzato:
“Il grande problema
dell’Occidente è la dimenticanza di Dio: è un oblio che si diffonde. In definitiva, tutti i singoli problemi possono essere
riportati a questa domanda, ne sono convinto”.
Il Papa si sofferma su questo tema. “La ragione
secolarizzata – afferma - non è in grado di entrare in un vero dialogo con le
religioni. Se resta chiusa di fronte alla questione su Dio, questo finirà per
condurre allo scontro delle culture”. Sono parole che introducono la
riflessione del Papa sulla visita pastorale in Turchia. Un viaggio, spiega,
volto a ribadire che “le religioni devono incontrarsi nel compito comune di
porsi al servizio della verità e quindi dell'uomo”. In un dialogo da intensificare con l'Islam, osserva il Santo Padre, va
tenuto presente che il mondo musulmano “si trova oggi con grande urgenza davanti
a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai
tempi dell'illuminismo” e che fu risolto concretamente con il Concilio Vaticano
II, dopo una “lunga” e “faticosa ricerca”:
“Si tratta
dell'atteggiamento che la comunità dei fedeli deve assumere di fronte alle convinzioni
e alle esigenze affermatesi nell'illuminismo. Da una parte, ci si deve
contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla
vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi
specifici criteri di misura. D'altra parte, è necessario accogliere le vere
conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della
fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi
elementi essenziali anche per l'autenticità della religione”.
Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani,
afferma ancora, “sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in
questo impegno per trovare le soluzioni giuste”. E ancora, assicura che i
cristiani “s’impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione,
tra ragione e libertà”. Sempre con la memoria al viaggio in Turchia, il
Pontefice non manca di ricordare la gioia provata nella “vicinanza ecumenica”
dell’incontro con il Patriarca Bartolomeo I, ribadendo
dunque l’impegno a lavorare poi per una piena comunione. Quindi, auspica ancora
una volta che la libertà religiosa “riconosciuta nei principi della Costituzione
turca”, trovi “nella vita quotidiana del Patriarcato e delle altre comunità
cristiane una sempre più crescente realizzazione pratica”. In questo articolato
discorso, incentrato sul tema Dio e la pace, Benedetto XVI ricorda anche con
emozione la sua storica visita ad Auschwitz-Birkenau,
“nel luogo delle barbarie più crudele”:
“Fu per me motivo di
grande conforto veder comparire nel cielo l’arcobaleno, mentre io, davanti
all’orrore di quel luogo, nell'atteggiamento di Giobbe gridavo verso Dio,
scosso dallo spavento della sua apparente assenza e, al contempo, sorretto
dalla certezza che Egli anche nel suo silenzio non cessa di essere e di
rimanere con noi”.
“L’arcobaleno – ricorda il Papa - era come una risposta”
divina: “Sì, Io ci sono”, le parole della promessa, dell’Alleanza, pronunciate
da Dio dopo il diluvio, “sono valide anche oggi”.
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Il lungo discorso del Papa alla Curia Romana ha
affrontato, come abbiamo detto, anche i temi della famiglia e del celibato
sacerdotale. Ce ne parla Sergio Centofanti.
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Il tema della famiglia è stato al
centro del viaggio in Spagna, a Valencia: qui il Papa ha detto di essere stato
colpito dalle testimonianze di tanti coniugi, “benedetti da una schiera
numerosa di figli”:
“Non hanno nascosto
il fatto di aver avuto anche giorni difficili, di aver dovuto attraversare
tempi di crisi. Ma proprio nella fatica del sopportarsi a vicenda giorno per
giorno, proprio nell'accettarsi sempre di nuovo nel crogiolo degli affanni
quotidiani, vivendo e soffrendo fino in fondo il sì iniziale – proprio in
questo cammino del ‘perdersi’ evangelico erano
maturati, avevano trovato se stessi ed erano diventati felici. Il sì che si erano
dato reciprocamente, nella pazienza del cammino e nella forza del sacramento
con cui Cristo li aveva legati insieme, era diventato un grande sì di fronte a
se stessi, ai figli, al Dio Creatore e al Redentore Gesù Cristo”.
E’ una testimonianza – ha proseguito il Papa – “di una
gioia maturata anche nella sofferenza, di una gioia che va nel profondo e
redime veramente l’uomo” e che suscita una riflessione:
“Davanti a queste
famiglie con i loro figli, davanti a queste famiglie in cui le generazioni si
stringono la mano e il futuro è presente, il problema dell’Europa, che
apparentemente quasi non vuol più avere figli, mi è penetrato nell’anima. Per
l’estraneo, quest’Europa sembra essere stanca, anzi sembra volersi congedare
dalla storia”.
Benedetto XVI esamina i motivi di questa situazione: “i problemi sociali e finanziari”, le preoccupazioni e
le fatiche quotidiane dovute ai figli,
il tempo che scarseggia e che “basta appena per la propria vita”: “avere tempo
e donare tempo” – ha affermato il Papa - è “un modo molto concreto per imparare
a donare se stessi, a perdersi per trovare se stessi”. C’è poi il problema
dell’educazione in una società che ha perso l’orientamento e rende insicuri
sulle norme da
trasmettere “perché non sappiamo più quale sia l’uso giusto della libertà,
quale il modo giusto di vivere, che cosa sia moralmente doveroso e che cosa invece
inammissibile”.
Ma il problema più profondo secondo il Pontefice è che
“l’uomo di oggi è insicuro circa il futuro” e si chiede se sia
giusto “inviare qualcuno in questo futuro incerto”.
“Se non impariamo nuovamente i fondamenti della vita – sottolinea il Papa -
se non scopriamo in modo nuovo la certezza della fede – ci sarà anche sempre
meno possibile affidare agli altri il dono della vita e il compito di un futuro
sconosciuto”.
Benedetto XVI afferma poi di non poter tacere la sua
“preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto”. “Quando vengono create nuove forme giuridiche
che relativizzano il matrimonio – rileva -
la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un
sigillo giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa
ancora più difficile”. A questo – continua il Papa - si aggiunge “la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così
uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso
sesso. Con ciò vengono tacitamente confermate quelle
teorie funeste che tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità
della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico;
teorie secondo cui l’uomo – cioè il suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe
autonomamente che cosa egli sia o non sia”:
“C'è in questo un
deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l’uomo, volendo emanciparsi
dal suo corpo – dalla ‘sfera biologica’ – finisce per distruggere se stesso. Se ci si dice che
Il Papa ha poi preso in esame il tema del sacerdozio e del
celibato, trattati in particolare nel suo viaggio in Baviera: “il compito centrale del sacerdote” – afferma - è “portare
Dio agli uomini”, cosa che può fare “soltanto se egli stesso viene da Dio, se
vive ‘con’ e ‘da’ Dio”. Dunque “il vero fondamento della vita del sacerdote … è
Dio stesso”. Il celibato, la rinuncia al
matrimonio – spiega il Pontefice - “può essere compreso e vissuto, in definitiva,
solo in base a questa impostazione di fondo”:
“Non può significare
il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla
passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a
servire pure gli uomini. Il celibato deve essere una testimonianza di fede: la
fede in Dio diventa concreta in quella forma di vita che solo a partire da Dio
ha un senso. Poggiare la vita su di Lui, rinunciando al matrimonio ed alla famiglia,
significa che io accolgo e sperimento Dio come realtà e perciò posso portarlo
agli uomini”.
E oggi più che mai – ha sottolineato Benedetto XVI - la società ha
bisogno della testimonianza di uomini
che poggiano “su Dio nel modo più concreto e radicale possibile”. Una
testimonianza che ha dato a tutto il mondo Giovanni Paolo II. “Il suo dono più
grande per tutti noi – ha concluso il Papa - è stata la sua fede incrollabile e il
radicalismo della sua dedizione. ‘Totus tuus’
era il suo motto: in esso si rispecchiava tutto il suo essere”:
“Sì, egli si è
donato senza riserve a Dio, a Cristo, alla Madre di Cristo, alla Chiesa: al servizio
del Redentore ed alla redenzione dell’uomo. Non ha serbato nulla, si è lasciato
consumare fino in fondo dalla fiamma della fede. Ci ha mostrato così come, da
uomini di questo nostro oggi, si possa credere in Dio, nel Dio vivente resosi
vicino a noi in Cristo. Ci ha mostrato che è possibile una dedizione definitiva
e radicale dell’intera vita e che, proprio nel donarsi, la vita diventa grande
e vasta e feconda”.
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FARSI OPERATORI DI PACE FRA LE
RELIGIONI E FRA I CREDENTI E I NON CREDENTI
E’ LA FRONTIERA PIU’ ATTUALE E URGENTE PER I
CRISTIANI DI OGGI:
LO HA AFFERMATO NELLA SECONDA PREDICA DI AVVENTO
PADRE RANIERO CANTALAMESSA, CHE HA CRITICATO
CON FERMEZZA
IL DILEGGIO OPERATO CONTRO I SIMBOLI CRISTIANI
DEL NATALE
- Intervista con Andrea Pacini -
“La pace è un dono e un compito”. Il titolo del Messaggio
di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2007 ha ispirato la
seconda predica di Avvento di padre Raniero Cantalamessa,
tenuta stamattina davanti al Papa e alla Curia Romana. Il predicatore
pontificio ha spiegato che operare la pace secondo lo spirito cristiano non
vuol dire schierarsi contro la guerra, ma riconciliare chi la mette in atto.
Padre Cantalamessa ha poi stigmatizzato anche lo
spirito laicista oggi arrivato a dileggiare i simboli del Natale. Per
paradosso, ha detto, i musulmani onorano i simboli del Natale più di molti
cristiani, che vorrebbero svuotarlo di significato. I particolari nel servizio
di Alessandro De Carolis.
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Un Natale che accantona il presepe, che spegne la luce
della stella sulla Grotta di Betlemme preferendogli peluche e palle colorate:
innocue icone che non urtano la sensibilità di chi professa un’altra fede. E’
la deriva ultima di questo periodo di feste, bollata stamattina come un falso
pretesto della mentalità laicista da padre Raniero Cantalamessa,
nella sua seconda predica di Avvento:
“Di questo dileggio culturale, o almeno tentativo di
emarginazione, delle credenze religiose stiamo avendo un esempio proprio in
questi giorni, con la campagna messa in atto in vari paesi e città d’Europa
contro i simboli religiosi del Natale. Si adduce
spesso come motivo la volontà di non offendere le persone di altre religioni
che sono tra noi, specie
i musulmani. Ma è un pretesto, una scusa. In realtà è un certo mondo laicista
che non vuole questi simboli, non i musulmani. Essi non hanno nulla contro il
Natale cristiano che anzi onorano. Siamo giunti all’assurdo che molti musulmani
celebrano la nascita di Gesú e arrivano a dire che
‘non è musulmano chi non crede nella nascita miracolosa di Gesù’,
mentre altri che si dicono cristiani vogliono fare del Natale una festa
invernale, popolata solo di renne e di orsacchiotti”.
L’avvio della riflessione del predicatore pontificio aveva
preso le mosse dal messaggio di Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale
della pace, un valore quest’ultimo distinto dal Papa in un dono di Dio e in un
compito per gli uomini. La settima fra le Beatitudini, ha spiegato padre Cantalamessa, dice con chiarezza che gli “operatori di
pace”, chiamati “figli di Dio”, sono persone che “fanno” la pace. Ma non perché
“si riconciliano con i propri nemici”, bensì perché “aiutano i nemici a
riconciliarsi”:
“Operatori di pace non è dunque sinonimo di pacifici, cioè di persone tranquille e
calme che evitano il più possibile i contrasti (questi sono proclamati beati da
un’altra beatitudine, quella dei miti); non è sinonimo neppure di pacifisti, se per pacifisti si intendono
quelli che si schierano contro la guerra (più spesso, contro uno dei
contendenti in guerra!), senza fare nulla per riconciliare tra loro i
contendenti. Il termine più giusto è pacificatori”.
E se Dio “è il supremo operatore di pace”, quelli che si
adoperano per essa sono “imitatori” di Dio. Per un cristiano ciò vuol dire di più: la pace è un dono che viene
dall’alto, dallo Spirito Santo, è un “frutto” dell’amore trinitario:
“Si
capisce allora cosa significa essere operatore di pace. Non si tratta di
inventare o creare la pace, ma di trasmetterla, di lasciar passare la pace di
Dio e la pace di Cristo ‘che supera ogni intelligenza’
(…) Noi non dobbiamo né possiamo essere sorgenti, ma solo canali della pace. Lo
esprime alla perfezione la preghiera attribuita a Francesco d’Assisi: ‘Signore, fa di me uno strumento della tua pace’”.
E’
questo dunque l’orizzonte in cui un cristiano è chiamato a costruire la pace.
Nei molti modi in cui questo valore può essere inteso, oggi - ha affermato
padre Cantalamessa – si apre “davanti agli operatori
di pace un campo di lavoro nuovo, difficile e urgente: promuovere la pace tra
le religioni e con la religione, cioè sia delle religioni tra
di loro, sia dei credenti delle varie religioni con il mondo laico non
credente”, così come il recente viaggio in Turchia di Benedetto XVI ha dimostrato.
Tuttavia, ha obbiettato il predicatore francescano, “l’occidente secolarizzato
auspica, a dir vero, un diverso tipo di pace religiosa, quello che risulta
dalla scomparsa di ogni religione”. E qui, padre Cantalamessa
ha sintetizzato il concetto prendendo ad esempio il celebre brano di John Lennon, “Imagine”, che auspica un
mondo in pace perché senza paradiso, inferno, patria o religione:
“Questa canzone, scritta da uno dei grandi idoli della
musica leggera moderna, su una melodia suadente, è diventata una specie di
manifesto secolare del pacifismo. Se esso si dovesse realizzare, quello qui
auspicato sarebbe il mondo più povero e più squallido che si possa immaginare;
un mondo piatto, in cui sono abolite tutte le differenze, dove la gente è
destinata a sbranarsi, non a vivere in pace, perché come ha messo in luce René Girard, là dove tutti
vogliono le stesse cose, il ‘desiderio mimetico’ si scatena e con esso la rivalità e la guerra”.
“Noi credenti – ha ribattuto padre Cantalamessa
- non possiamo però lasciarci andare a risentimenti e polemiche neanche contro
il mondo secolarizzato. Accanto al dialogo e la pace tra le religioni – ha
concluso - si pone già un altro traguardo agli operatori di pace: quello della
pace tra i credenti e i non credenti, tra le persone religiose e il mondo secolare,
indifferente o ostile alla religione”.
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Il dialogo tra cristianesimo e islam non è dunque impedito
dalle figure sacre o simboli religiosi ma essi fanno parte della dinamica di un
dialogo che chiede e offre rispetto. Su questa linea è anche don Andrea Pacini, docente presso la Facoltà teologica dell’Italia
settentrionale e consultore della Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani,
presso il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Lo ha
intervistato Fabio Colagrande:
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R. – Io credo che in primo luogo occorra mettere in luce
il fatto positivo, perchè effettivamente è vero che all’interno dell’islam vi
sono tutta una serie di risorse a cui si può attingere
per valorizzare la persona di Gesù Cristo e il ruolo di Maria. Rimane,
certamente, anche l’attenzione da parte dei credenti cristiani di testimoniare
lo specifico della loro fede religiosa nel Cristo Signore, che non è solo
Profeta, ma è il Figlio di Dio che si fa Uomo per venire incontro agli uomini e
portarli alla piena comunione, con un Dio che si rivela come Padre. Credo che
ci sia lo spazio per offrire una testimonianza cristiana chiara, ma nello
stesso tempo offrirla a partire da un vissuto e da un sentimento religioso che
può essere condiviso.
D. – Il Natale, dunque, può essere, rispetto al mondo
islamico, occasione di testimonianza e anche di dialogo. Può rafforzare il
dialogo interreligioso?
R. – Io credo proprio di sì, anche perché – ripeto – è
un’occasione molto concreta, non solo per condividere dei valori importanti,
che attraverso il Natale vengono testimoniati, ma
diventa anche un’occasione propizia per dialogare su una persona, Gesù, di cui
anche il Corano parla. Un’occasione propizia, però, per i cristiani, per
offrire anche la loro testimonianza e soprattutto la loro testimonianza di
fede, rispetto al Signore Gesù, che forse per molti musulmani è qualcosa di
poco noto. Perchè un conto è ovviamente pensare a musulmani che provengono da
un contesto mediorientale, in cui vi sono Chiese cristiane, e un conto è
pensare ad esempio ai tunisini e ai maghrebini, che
sono la maggioranza tra noi, che invece hanno una consuetudine ben minore
rispetto alla fede cristiana. Un’occasione, dunque, preziosa per testimoniare e
far conoscere la verità del Cristo Signore.
D. – Magdi Allam,
vicedirettore del Corriere della Sera, musulmano, rileva criticamente che come
sappiamo è un giornalista abituato a presentare in maniera critica il mondo islamico
in Italia, a volte negativa, a volte positiva. Lui racconta che mentre in
Italia, come in altri Paesi occidentali, c’è chi ha preso provvedimenti
antinatalizi per non urtare la suscettibilità dei musulmani, in 25 Paesi a
maggioranza musulmana il Natale cristiano e il Natale ortodosso sono
considerati feste nazionali.
R. – Io credo che siano diversi i soggetti, nel senso che
in quei Paesi musulmani, citati da Magdi Allam, esistono delle comunità cristiane autoctone, le
quali con una certa fatica nel corso degli ultimi anni sono riuscite a farsi
considerare pienamente parte della comunità nazionale e quindi anche a vedersi
riconosciuta la festa del Natale. Questo segna un innegabile progresso per quel
che riguarda la convivenza di cristiani e musulmani in Paesi a maggioranza
musulmana. Qui da noi i pericoli, i rischi e le obiezioni rispetto al festeggiare
il Natale in senso religioso, in particolare nelle scuole, non vengono tanto e
principalmente dai musulmani, quanto da un malinteso senso dell’interculturalità o del pluralismo o della gestione del
pluralismo culturale da parte di alcune persone coinvolte, che sono
essenzialmente italiane. Si tratta, forse, di comprendere meglio cosa
significhi interculturalità e il ruolo che la
religione cristiana preponderante nei Paesi europei, può e deve giocare in una
prospettiva interculturale feconda e sana.
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ALTRE UDIENZE E NOMINE
Il Santo Padre riceverà questo pomeriggio il cardinale
William Joseph Levada, prefetto
della Congregazione per
Mons. Guillermo
Javier Karcher, officiale
della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, è stato
nominato cerimoniere pontificio.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI
alla Curia Romana in occasione degli auguri per il Santo Natale.
Servizio estero - Medio Oriente: Abu Mazen auspica un vertice con Olmert entro la fine dell'anno.
Servizio culturale - Un articolo di Vittorino
Grossi dal titolo "Lo sguardo dell'umanità che ci interroga":
riflessioni in attesa del Natale.
Servizio italiano - In rilievo il tema dei
conti pubblici.
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22 dicembre 2006
DOPO
LA XXX CONFERENZA DEGLI ANIMATORI SVOLTASI A RIMINI
NEI
GIORNI SCORSI,
IL ‘RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO’ SI IMPEGNA A PROMUOVERE
NELLE
PARROCCHIE
-
Intervista con Salvatore Martinez -
Oltre
3.500 responsabili del Rinnovamento dello Spirito Santo si sono riuniti a Rimini,
in Italia, di recente per
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R. - Il Santo Padre nella “Deus caritas est” ci ha invitato ad essere servi sempre in movimento
e guardando alla storia più recente, il discorso della fede, il linguaggio
della fede, si fanno sempre più attuali. La necessità di coniugare anche con
esperienze, con pedagogie dello Spirito, l’attualità del Vangelo, spinge il
movimento a considerare la grande portata testimoniale che in questi anni abbiamo
maturato.
D. - Dopo questa tappa come intende proseguire il suo
cammino il Rinnovamento nello Spirito Santo?
R. - Stiamo guardando con sempre maggiore interesse alla
necessità di diffondere una cultura della Pentecoste, cioè un giudizio spirituale
sulla storia, che aiuti i cristiani a risvegliare la propria fede. Poi anche
l’importanza del recupero di una spiritualità carismatica: ogni battezzato è
dotato di un carisma e in forza di questo carisma è pronto ad evangelizzare. Si
tratta di rendere tutto questo maggiormente visibile nella storia delle nostre
chiese e riteniamo che il Rinnovamento, a partire dalle parrocchie, abbia una
possibilità di espressione e di esplicitazione sempre più attuale.
D. - Benedetto XVI ci invita spesso a vivere più concretamente
il cristianesimo e a fare quindi un salto verso l’azione, verso un
cristianesimo più impegnato. Come è possibile fare questo salto?
R. – Direi, richiamando un’espressione di Giovanni Paolo
II, che se la fede è ridotta a costume, ad una consuetudine, peggio ancora ad
una semplice esperienza emotiva, la fede muore. Benedetto XVI parla il
linguaggio della fede per la fede. C’è un grido che deve ancora squarciare il
cuore dei cristiani. E’ un grido che fuoriesce dalla Pentecoste: Gesù è il
Signore, è il Signore della storia. Dobbiamo provare a riaffermare in modo
vitale la portata dirompente di questa espressione: di fronte ad ogni forma di libertarismo, di sudditanza umana e di individualismo; e a quei mi
sociali, politici e culturali che tendono ad essere sempre più atei. Gesù è il
Signore dei giovani e delle famiglie che sono due prospettive importantissime
per lo sviluppo della nuova evangelizzazione. Ma per far questo è anche
necessario sviluppare quella che noi chiamiamo la cultura della Pentecoste. E’
una cultura tutta interiore, che non si impara nei
libri o attraverso percorsi umani, direi non si compra e non fuoriesce da
dottrine umane. E’ quella capacità tutta interiore che fa sì che gli uomini
siano capaci di resistere al male e soprattutto di diffondere il bene. C’è
bisogno di fare verità sull’uomo e c’è bisogno di farlo alla luce della fede
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22 dicembre 2006
APPELLO DEL VESCOVO DI SAN
SEBASTIAN, NEI PAESI BASCHI, MONS. URIARTE,
IN FAVORE DEL PROCESSO DI PACE TRA
IL GOVERNO CENTRALE DI MADRID
E L’ORGANIZZAZIONE ARMATA
INDIPENDENTISTA, ETA
- A cura di padre Ignazio Arregui -
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SAN SEBASTIAN. = Mons. Juan María Uriarte,
vescovo di San Sebastian, nei Paesi Baschi, ha fatto un appello in favore delle
attuali prospettive di pace nei contatti tra il governo centrale di Madrid e
l’organizzazione armata indipendentista ETA. Nel documento, di 970 parole, si
afferma: “Occorre salvare la pace. Lo richiede l’immensa sofferenza che continua
ad essere causata da un conflitto distruttivo che vogliamo superare definitivamente”.
Il vescovo prende atto dell’attuale incertezza sullo stato reale del processo.
Tuttavia, la maggioranza della popolazione pensa che ci siano motivi validi per
continuare a sperare. Sembra che manchi la necessaria fiducia tra gli
interlocutori del negoziato. Per uscire dallo stallo, afferma, servono alcuni
segnali concreti, come la rinuncia agli attentati da parte di gruppi violenti
nelle città e la concessione di alcune misure di clemenza in favore dei
detenuti. Mentre le parti fanno un uso esagerato dei mezzi di comunicazione,
dovrebbero invece impegnarsi ad avere tra di loro un
autentico dialogo, aperto e discreto. Posizioni massimaliste e rigide
ostacolano spesso i negoziati. Ognuno dovrà rinunciare a qualcosa, il che è
sempre difficile, ma indispensabile davanti alla
priorità della causa. Non c’è posto per l’uso o la minaccia della violenza in
un negoziato di pace e quindi deve scomparire assolutamente senza condizioni.
Invece, può essere legittima la critica ma non
l’ostruzionismo sistematico, causato da interessi particolari, che di fronte
alla priorità della pace non si giustificano. Concludendo, il vescovo di San
Sebastian afferma categoricamente: “Non possiamo rassegnarci più al versamento
di una sola goccia di sangue”.
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LA FUGA DEI CRISTIANI DALL’IRAQ AL CENTRO DELLA RIUNIONE
DEL CONSIGLIO DEI CAPI RELIGIOSI CRISTIANI NEL PAESE DEL GOLFO, SVOLTASI
MERCOLEDÌ A BAGHDAD
BAGHDAD. = La situazione dei cristiani in Iraq e la
necessità per i cristiani del Paese di “parlare con una sola voce”: di questo
si è parlato nella riunione del Consiglio dei capi religiosi cristiani in Iraq,
svoltasi mercoledì nella Cattedrale latina di San Giuseppe a Baghdad. A darne
notizia è il sito “Baghdadhope”, citato dall’agenzia
SIR. All’incontro, sotto la presidenza del Patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly, hanno
partecipato il vescovo della Chiesa armena apostolica, mons. Avak Asadorian, che guida il
Consiglio, mons. Jean Bamjamin
Sleiman, vescovo latino di Baghdad, e quello siro cattolico, mons. Athanase
Matti Shaba Matoka. I
presenti hanno discusso, tra l’altro, anche della proposta di un ritiro
spirituale per i sacerdoti di tutte le denominazioni cristiane presenti a Baghdad
e di un giorno di preghiera dedicato all’unità dei cristiani. Il Patriarca caldeo ha chiesto di pregare perché “la pace e la sicurezza
siano ristabilite nel mondo, specialmente in Medio Oriente, Libano, Palestina e
Iraq”. La violenza, le minacce e i rapimenti cui sono sottoposti stanno
spingendo i cristiani iracheni ad abbandonare il Paese e trovare rifugio
all’estero. Secondo il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Andraos
Abouna, “circa la metà dei cristiani avrebbe già
lasciato l’Iraq”. In Siria, il locale Patriarcato caldeo
ne sta assistendo almeno 35 mila. (R.M.)
DOMANI,
NELLA BASILICA ROMANA DI SANTA MARIA MAGGIORE,
ORDINAZIONE SACERDOTALE DI 55
DIACONI DELLA CONGREGAZIONE DEI LEGIONARI
DI CRISTO. PRESIEDE LA CERIMONIA,
IL CARDINALE FRANC RODE’, PREFETTO
DELLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA
CONSACRATA E LE SOCIETÀ
DI VITA APOSTOLICA
ROMA.= Sono 55 i diaconi della Congregazione dei Legionari
di Cristo che domani mattina, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a
Roma, saranno ordinati sacerdoti. A presiedere la cerimonia, sarà il cardinale Franc Rodé, prefetto della
Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita
Apostolica. Come riferisce l’agenzia Fides, questo appuntamento si può
considerare, ormai, una tradizione. Da tempo, infatti, i Legionari di Cristo
hanno scelto di celebrare le ordinazioni sacerdotali in questo periodo
dell’anno, per offrire simbolicamente alla Chiesa il regalo di Natale più
bello: alcuni nuovi sacerdoti, pronti a servirla con spirito di umiltà e di
totale adesione al Santo Padre. Allo stesso tempo, i novelli sacerdoti ricevono
dalla Chiesa il dono più bello della loro vita: configurarsi sacramentalmente
con Cristo, unico Sacerdote. Originari di Italia, Spagna, Germania, Irlanda,
Messico, Stati Uniti, Canada, Brasile e Venezuela, i candidati hanno un’età
compresa tra i 27 e i 42 anni. Hanno trascorso una media di 12 anni di studio,
di apostolato e di missione, dal giorno del loro ingresso in uno dei noviziati
della Legione di Cristo. La Congregazione è presente in 20 Paesi, con più di
650 sacerdoti ed oltre 2.500 seminaristi. Conta 125 case religiose e centri di
formazione. Dirige più di 200 centri educativi e più di 600 centri dedicati
alla formazione e all’impegno apostolico dei laici. A Roma, gestisce l’Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum e l’Università Europea.
(A.D.F.)
LA CONFERENZA
EPISCOPALE MESSICANA VINCE IL PREMIO KELLER 2006
PER IL SOSTEGNO ALLE MISSIONI: È LA PRIMA VOLTA CHE
IL RICONOSCIMENTO
DEI MISSIONARI DI MARYKNOLL VIENE ASSEGNATO FUORI DAGLI STATI UNITI
OSSINING. = Assegnato
alla Conferenza episcopale messicana il Premio Keller
2006 dalla Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America
(Missionari di Maryknoll). Il riconoscimento, che per la prima volta
esce fuori dagli USA, è attribuito a individui o
gruppi che si siano distinti nell’incarnare lo spirito di padre James G. Keller, missionario di Maryknoll e fondatore del movimento “Christophers”.
I Missionari di Maryknoll riconoscono l’appoggio che
l’episcopato messicano ha dato all’idea di stabilire un Seminario per le
missioni estere e una Società per l’annuncio ad gentes, e per l’appoggio materiale e
spirituale che offre ai Missionari di Guadalupe,
istituto creato dopo la seconda guerra mondiale con l’aiuto di mons. Alonso Manuel Escalante, di cui
quest’anno ricorre il centenario della nascita. (R.M.)
APPELLO DELLE SUORE FRANCESCANE
ELISABETTIANE DEL CARITAS BABY HOSPITAL
DI BETLEMME A NON DIMENTICARE I BAMBINI DELLA
ZONA:
“LE DIFFICILI CONDIZIONI IN CUI
VIVONO TANTE FAMIGLIE PONGONO I PICCOLI
IN UNA SITUAZIONE DI RISCHIO DI
MALATTIE”
BETLEMME. = “Non dimenticare i bambini di Betlemme”: è
l’appello lanciato dalle Suore francescane elisabettiane del Caritas Baby
Hospital di Betlemme, l’unico ospedale pediatrico della zona, che serve un
bacino di oltre 500 mila bambini, reggendosi solo sulle donazioni e la
solidarietà. “Al di là della difficile situazione economica – si legge in una
lettera inviata all’agenzia Fides – il disagio più grande è la mancanza di
libertà: libertà di andare a cercare un lavoro, di gestire la propria vita in
maniera dignitosa. La preoccupazione per il futuro dei figli, per l’instabilità
politica, la paura sono motivi per lasciare il Paese”, e i cristiani
preferiscono emigrare piuttosto che vivere in una “prigione a cielo aperto”.
“Le difficili condizioni in cui vivono tante famiglie, specie nei villaggi –
scrivono le suore – pongono i bambini in una situazione di forte rischio di
malattie”. Nell’ospedale ogni anno vengono ammessi
circa 3.500 bimbi, mentre altri 30 mila sono seguiti negli ambulatori, per un
totale di 100 al giorno. Le situazioni più complesse da gestire – raccontano le
suore – sono i trasferimenti di un bambino dal Baby Hospital
a un altro ospedale: il gran numero di persone coinvolte e le infinite
procedure burocratiche rendono tale operazione una vera impresa”. Nei casi più
gravi, “l’ambulanza
palestinese trasporta il bambino fino al muro, al check-point;
qui il bambino viene trasferito nell’ambulanza israeliana che lo trasporta
all’ospedale stabilito”. (R.M.)
PRESENTATA IERI A ROMA LA
RACCOLTA “GLI ANGELI CUSTODI DEL PAPA”: 250 FIGURINE PER RIPERCORRERE 500 ANNI DI
STORIA DELLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA
ROMA. = Duecentocinquanta preziose figurine, che ripercorrono i 500 anni
di storia della Guardia Svizzera Pontificia, dei 33 comandanti e dei Papi che
ha servito, con le trasformazioni delle divise e degli ambienti avvenute nella
storia: si tratta della preziosa raccolta “Gli angeli custodi del Papa, 500
anni della Guardia Svizzera Pontificia”, edita da Pubblicazioni collezionare
cultura e presentata ieri a Roma, presso l’istituto Maria Bambina. Le figurine,
ricavate da dipinti, foto, immagini storiche, sono tutte rigorosamente corredate
da un’accurata didascalia in italiano e in inglese e riproducono immagini di
particolare bellezza e rarità. Nell’introduzione, il colonnello Elmar Th. Mäder,
attuale comandante della Guardia Svizzera Pontificia, spiega che il fascino
della Guardia Svizzera non deriva solo dall’aspetto suggestivo delle belle
uniformi, bensì dal “servizio al Vicario di Cristo”. “Scorrendo le immagini
dell’album – scrive il colonnello Mäder – anche il
lettore prende parte, in qualche modo, a quello che noi Guardie compiamo” e così
“anche lui diventa nell’animo un protettore del Santo Padre e della Chiesa”.
Oltre che nelle librerie, la raccolta può essere acquistata in rete,
collegandosi al sito www.collezionarecultura.it. (R.M.)
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22 dicembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Ancora tensione in Medio
Oriente: violenti scontri, costati la vita ad una persona, sono avvenuti questa
notte nei Territori Palestinesi tra miliziani del movimento islamico Hamas e
membri di un influente clan familiare. Sembra comunque sostanzialmente reggere
la fragile tregua tra Hamas e al Fatah. Il nostro servizio:
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Nei Territori Palestinesi, un
civile è rimasto ucciso, nella notte, in seguito a violenti scontri scoppiati a
Gaza tra sostenitori di Hamas ed alcuni militanti di altre fazioni palestinesi.
Le violenze sono scoppiate dopo il rapimento di due militanti del gruppo
radicale. Fonti locali hanno riferito, poi, che sostenitori di
al Fatah, leali al presidente Abu Mazen, hanno aperto il fuoco
contro 200 militanti di Hamas, che preparavano una manifestazione nella città Cisgiordana di Nablus. Le fonti
hanno aggiunto che almeno due persone sono rimaste ferite. Intanto, negli Stati
Uniti, il presidente americano George Bush ha
promulgato una legge che vieta ogni forma di aiuto al governo palestinese,
guidato da Hamas, fin quando non cesseranno le
violenze e non verrà riconosciuto lo Stato di Israele. Sono invece autorizzate
le attività di sostegno al presidente palestinese Abu
Mazen, che ieri ha espresso il desiderio di
incontrare il premier israeliano, Ehud Olmert, “prima della fine dell’anno”.
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Otto soldati statunitensi sono
stati incriminati dall’esercito americano per l’uccisione di civili iracheni
nel novembre del 2005 ad Hadissa,
in Iraq. Quattro di loro sono accusati di omicidio. Secondo l’accusa, i
militari hanno sparato per vendicare la morte di un loro commilitone. Subito
dopo la strage, costata la vita a 24 civili iracheni, l’esercito statunitense aveva
reso noto che era stata una bomba a provocare il massacro. Un’inchiesta
preliminare, svolta tra febbraio e marzo, ha però stabilito che le vittime
erano state colpite da pallottole. In Iraq, intanto, l’esercito statunitense ha
riferito stamani che quattro soldati americani sono morti, ieri, nella
turbolenta provincia di Al Anbar,
nell’est del Paese. La provincia, roccaforte sunnita, è l’area irachena dove le
forze americane hanno perso il maggior numero di uomini.
In Afghanistan un uomo si è fatto
esplodere con una vettura carica di esplosivo davanti alla residenza, a Kabul,
di un deputato di etnia pashtun, noto per le sue dure
condanne contro i guerriglieri talebani. L’attentatore suicida è morto, cinque
civili e tre guardie del corpo del parlamentare sono rimasti feriti. Erano più
di due mesi che la capitale afgana non era teatro di attentati kamikaze.
L’ultimo attacco suicida compiuto a Kabul risale, infatti, allo scorso 16
ottobre, quando l’esplosione di un’autobomba ha causato il ferimento di tre
persone.
Si sono conclusi con un nulla di
fatto i colloqui a sei di questa mattina a Pechino tra le due Coree, Giappone,
Cina, Russia e Stati Uniti sul programma nucleare nordcoreano.
Lo hanno reso noto l’agenzia russa ‘Interfax’ e fonti di stampa cinesi
precisando che non è stata ancora fissata un’altra data
per il prossimo incontro. Si tratta dei primi
colloqui dopo il test nucleare compiuto ad ottobre dalla Corea del Nord. La delegazione di Pyongyang chiede la fine delle sanzioni dell’ONU e delle
restrizioni finanziarie imposte dall’amministrazione americana alla Corea del Nord. Il capo della delegazione statunitense ha dichiarato,
nei giorni scorsi, che la pazienza di Washington “ha raggiunto i limiti”. I
negoziati hanno come obiettivo il disarmo della Corea del Nord in cambio
di garanzie di sicurezza e aiuti.
La Russia ha chiesto che sia rinviato a domani il voto, previsto per oggi, del Consiglio
di sicurezza dell’ONU sulla risoluzione contro il programma nucleare iraniano.
Lo ha detto l'ambasciatore di Mosca alle Nazioni Unite, Churkin.
Il Consiglio delle Nazioni Unite è chiamato a decidere sull’eventuale adozione
di sanzioni contro l’Iran, cui la comunità internazionale chiede la sospensione
dei processi di arricchimento dell’uranio. L’Iran sostiene che le proprie
ricerche in campo atomico non hanno fini militari ma solo civili.
In
Turkmenistan sette giorni di lutto nazionale e bandiere a mezz’asta in tutti
gli edifici pubblici dopo la morte, ieri per arresto cardiaco, del presidente Saparmurat Niyazov. Alcuni
osservatori locali temono, adesso, che possa iniziare una lotta per il potere,
che rischierebbe di far precipitare il Paese nel caos. Al potere dal 1985, sei
anni prima che il Turkmenistan diventasse indipendente
da Mosca, Niyazov ha cancellato ogni traccia di
opposizione politica e non ha designato un successore. Dopo i funerali, che si
terranno domenica prossima, il Consiglio popolare si riunirà per discutere su
chi potrà raccoglierne l’eredità. Intanto, il vice primo ministro ha assunto la
presidenza ad interim. Il Turkmenistan è il quinto
produttore mondiale di gas naturale e si trova anche sulla via delle forniture energetiche
che dai giacimenti russi arrivano ai consumatori europei.
Accordo raggiunto tra la ‘Gazprom’ e
Interrogatorio
fiume, in Francia, per il primo ministro Dominique de
Villepin, sentito come semplice testimone dai giudici
per ben 17 ore sul caso ‘Clearstream’. E’ la seconda
volta, in 50 anni, che un capo del governo francese compare di fronte ai giudici.
La magistratura sta cercando di far luce sui motivi che hanno spinto il premier
ad avviare indagini segrete su una lista, attribuita all’istituto finanziario
lussemburghese Clearstream e poi risultata falsa, di
presunti beneficiari di commissioni legate alla vendita di navi francesi a
Taiwan. Nell’elenco figurava anche il ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy, considerato un rivale del primo ministro francese.
In Italia è dunque legge dello Stato
la finanziaria 2007, approvata ieri definitivamente dalla Camera, con il terzo
voto di fiducia. Ma gli schieramenti politici già discutono su come modificare
l’iter parlamentare della manovra, anche alla luce delle critiche del capo
dello Stato. Nell’immediato orizzonte del governo ci sono, intanto, alcune
delicate riforme da affrontare. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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Trentasei miliardi di euro: 15
destinati al risanamento, 21 allo sviluppo. A tanto ammonta la manovra
economica del governo, che ha avuto ieri il via libera definitivo del
Parlamento. Tra le novità principali: la revisione delle aliquote fiscali, la
riduzione del costo del lavoro, l’introduzione dei ticket per visite non
urgenti al pronto soccorso. E ancora: assegni per le famiglie con almeno tre
figli sotto i 26 anni, assegni che spettano anche ai maggiorenni fino a 21 anni
se studenti o apprendisti. C’è poi un fondo per stabilizzare i contratti a
tempo determinato. Per la maggioranza, sono stati raggiunti gli obiettivi del
risanamento e dell’equità. Ma la finanziaria è attaccata da più parti: per il
centrodestra è recessiva, fatta di tasse che colpiscono soprattutto il ceto
medio. Per la Confindustria mancano riforme
strutturali che aiutino la ripresa. Lo stesso rilievo
mosso dall’Unione Europea, che comunque apprezza lo sforzo di risanamento.
Anche i sindacati, inizialmente soddisfatti, sottolineano ora la mancanza di
misure per garantire il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati. Ma oltre
al merito, a far discutere è anche il metodo con cui la manovra è stata approvata.
E cioè votando la fiducia, l’undicesima in sette mesi di vita del Governo
Prodi, sul testo finale composto da un articolo unico
di ben 1.365 commi. Una soluzione criticata dal capo dello Stato che ha parlato
di un modo di fare incomprensibile all’opinione pubblica, il prodotto della
continua contrapposizione tra i due schieramenti, invitati da Napolitano ad un
maggiore senso di responsabilità. Unione
e Cdl stanno allora riflettendo su come modificare il
farraginoso iter parlamentare della manovra, che tiene occupate le Camere per
sette mesi l’anno. Ma all’interno della maggioranza ci sono elementi di
confronto più immediati. Si parla infatti di una fase
due per accelerare l’azione del Governo. Le prime difficili prove sono in
programma a gennaio, quando si aprirà il confronto sulla riforma delle
pensioni. E quando l’esecutivo metterà a punto il
disegno di legge sulle unioni civili, tema sul quale il centrosinistra è profondamente
diviso.
Giampiero Guadagni, per la Radio
Vaticana.
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Proseguono in Gran Bretagna
le indagini sul caso delle cinque giovani donne assassinate nei pressi di Ipswich. Dopo un primo fermo, la polizia ha arrestato un
secondo uomo di 48 anni, interrogato dai magistrati che lo hanno incriminato e
mandato in carcere. Gli investigatori ritengono che l’omicida abbia drogato le
sue vittime prima di ucciderle.
Gravi disagi per il trasporto
aereo in Gran Bretagna: la nebbia è tornata ad avvolgere Londra e ha costretto
la compagnia ‘British Airways’
a cancellare centinaia
di voli negli ultimi due giorni. Sono stati cancellati, finora, 350 voli e 40
mila passeggeri sono rimasti a terra. La ‘British Airways’ fa
sapere, comunque, che per alleviare i disagi dei passeggeri sta approntando una
rete di assistenza che prevede anche sistemazioni per la notte. La compagnia ha
predisposto, inoltre, un servizio con numerosi autobus che trasporteranno oltre
tremila persone dalla zona di Heathrow verso città
come Manchester, Newcastle, Glasgow e Edinburgo, da
dove gli aerei partono regolarmente.
Lo storico negazionista britannico David Irving,
condannato in febbraio a Vienna a tre anni di prigione per apologia del
nazismo, è stato espulso ieri sera dall'Austria, sul cui territorio non potrà
più entrare. Lo storico era stato arrestato nel novembre del 2005, durante un
controllo stradale, poiché la giustizia austriaca aveva emesso un mandato
d’arresto nei suoi confronti per aver negato
In Somalia continuano gli scontri
armati nella provincia di Baidoa, dove ha sede il
governo di transizione somalo. Fonti locali hanno reso noto che combattimenti
sono in corso nella città di Dinsoor controllata da
guerriglieri islamici dall’inizio di dicembre. La situazione rischia di precipitare:
ieri il leader delle Corti islamiche ha dichiarato che
In Gabon, il partito democratico
del presidente Omar Bongo Ondimba
ha vinto le elezioni legislative svoltesi lo scorso 17 dicembre. In base ai
risultati ufficiali, diffusi questa mattina, il partito democratico ha ottenuto
la maggioranza assoluta in Parlamento, conquistando 80 seggi su 120. Nel Paese
africano, i partiti dell’opposizione denunciano l’alto tasso di disoccupazione
e l’iniqua distribuzione delle risorse: nonostante la forte presenza di
petrolio, legname, ferro e uranio, oltre la metà della popolazione vive sotto
la soglia della povertà.
La Corte Suprema del
Burundi ha chiesto l’ergastolo per l’ex presidente burundese,
Domitien Ndayizeye, accusato di aver pianificato con altre sei
persone un colpo di Stato. Il Senato dello Stato africano ha tolto
questa estate l’immunità parlamentare a Ndayizeye per
consentire il suo arresto. L’ex presidente, di etnia hutu,
ha guidato il Paese dal 2003 fino alle elezioni dello scorso agosto, vinte da
un altro hutu, l’attuale capo di Stato Pierre Nkurunziza.
L’ex presidente
peruviano Alejandro Toledo, in carica da 2001 al
luglio scorso, è stato accusato di aver falsificato le firme per la
registrazione del suo partito in vista delle elezioni del 2000. Rischia dieci
anni di prigione per corruzione. Toledo, attualmente in visita negli Stati
Uniti, ha perso le presidenziali del 2000 ma è poi
arrivato al potere un anno dopo in seguito alla fuga all'estero del presidente
Alberto Fujimori, implicato in un caso di corruzione.
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