RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 356 - Testo della trasmissione di venerdì 22  dicembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La pace sulla terra non può trovarsi senza la riconciliazione con Dio: è quanto ha affermato oggi Benedetto XVI incontrando la Curia Romana per i tradizionali auguri natalizi. Il Papa ha ricordato i suoi 4 viaggi apostolici di quest’anno rilanciando il dialogo tra fede e ragione e difendendo la famiglia fondata sul matrimonio e il valore del celibato sacerdotale. La preoccupazione del Pontefice per una Europa che non vuole avere piu’ figli e per un Occidente che dimentica Dio

 

E’ la mentalità laicista dell’Occidente a dileggiare i simboli del Natale e non la fede musulmana, che onora la nascita di Cristo: così padre Raniero Cantalamessa nella seconda predica di Avvento davanti al Papa e alla Curia Romana

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Dopo la XXX Conferenza degli animatori svoltasi a Rimini nei giorni scorsi, ilRinnovamento nello Spirito Santo’ si impegna a promuovere nelle parrocchie la cultura della Pentecoste: intervista con Salvatore Martinez

 

CHIESA E SOCIETA’:

Appello del vescovo di San Sebastian, nei Paesi Baschi, mons. Uriarte, in favore del processo di pace tra il governo centrale di Madrid e l’organizzazione armata indipendentista, ETA

 

La fuga dei cristiani dall’Iraq al centro della riunione del Consiglio dei capi religiosi cristiani nel Paese del Golfo, svoltasi mercoledì a Baghdad

 

Domani, nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore, ordinazione sacerdotale di 55 diaconi dei Legionari di Cristo

 

La Conferenza episcopale messicana vince il Premio Keller 2006 per il sostegno alle missioni

 

Appello delle suore francescane elisabettiane del Caritas Baby Hospital di Betlemme a non dimenticare i bambini della zona

 

Presentata ieri a Roma la raccolta “Gli angeli custodi del Papa”: 250 figurine per ripercorrere 500 anni di storia della Guardia Svizzera Pontificia

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuove violenze a Gaza, ma sembra sostanzialmente reggere la tregua tra Hamas e al Fatah

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

22 dicembre 2006

 

 

LA PACE SULLA TERRA NON PUO’ TROVARSI  SENZA LA RICONCILIAZIONE CON DIO:

E’ QUANTO HA AFFERMATO OGGI BENEDETTO XVI INCONTRANDO LA CURIA ROMANA PER I TRADIZIONALI AUGURI NATALIZI.  IL PAPA HA RICORDATO I SUOI 4 VIAGGI APOSTOLICI DI QUEST’ANNO RILANCIANDO IL DIALOGO TRA FEDE E RAGIONE, E RIAFFERMANDO  LA CENTRALITA’ DELLA FAMIGLIA FONDATA SUL MATRIMONIO E IL VALORE DEL CELIBATO SACERDOTALE. LA PREOCCUPAZIONE DEL PONTEFICE PER UNA EUROPA CHE NON VUOLE AVERE PIU’ FIGLI E PER UN OCCIDENTE CHE DIMENTICA DIO

 

 

Un discorso di straordinaria intensità quello pronunciato stamani da Benedetto XVI nell’udienza alla Curia Romana per gli auguri natalizi. Il Papa ha ripercorso con la memoria i suoi 4 viaggi apostolici di quest’anno, soffermandosi su temi chiave come la pace, la famiglia, il dialogo interreligioso, il celibato dei sacerdoti e ancora l’ecumenismo e la sfida dei credenti di fronte all’avanzare del secolarismo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Il primo pensiero di Benedetto XVI va a quanti soffrono a causa della guerra, che anche quest’anno ha scosso la Terra Santa, mentre incombe “minaccioso su questo nostro momento storico” il pericolo di uno “scontro tra culture e religioni”. “Il problema delle vie verso la pace”, è la sua riflessione, “è diventato una sfida di primaria importanza per tutti coloro che si preoccupano dell’uomo” e ciò, sottolinea, “vale in modo particolare per la Chiesa”:

 

“La pace sulla terra non può trovarsi senza la riconciliazione con Dio, senza l'armonia tra cielo e terra. Questa correlazione del tema ‘Dio’ col tema ‘pace’ è stato l'aspetto determinante dei quattro Viaggi Apostolici di quest'anno: ad essi vorrei riandare con la memoria in questo momento”.

 

“Noi uomini – constata il Pontefice – avremmo desiderato che Cristo bandisse una volta per sempre tutte le guerre, distruggesse le armi e stabilisse la pace universale”. Ma, prosegue, “dobbiamo imparare che la pace non può essere raggiunta unicamente dall'esterno” e che “il tentativo di stabilirla con la violenza porta solo a violenza sempre nuova”. Esorta così ad imparare che la pace, “come diceva l'angelo di Betlemme” nasce dall’ “aprirsi dei nostri cuori a Dio”. E il Papa invoca il Signore affinché “la ragione della pace vinca l’irragionevolezza della violenza”. Un tema, questo del rapporto tra fede e ragione, che domina le riflessioni di Benedetto XVI sul suo viaggio in Baviera e in particolare sulla sua lezione all’Università di Ratisbona:

 

“La ragione ha bisogno del Logos che sta all'inizio ed è la nostra luce; la fede, per parte sua, ha bisogno del colloquio con la ragione moderna, per rendersi conto della propria grandezza e corrispondere alle proprie responsabilità. È questo che ho cercato di evidenziare nella mia lezione a Regensburg. È una questione che non è affatto di natura soltanto accademica; in essa si tratta del futuro di noi tutti”.

 

Diventa sempre più evidente, sottolinea il Papa, l’urgenza del dialogo tra fede e ragione. Tuttavia, rileva, “la ragione orientata totalmente ad impadronirsi del mondo non accetta più limiti. Essa è sul punto di trattare ormai l'uomo stesso come semplice materia del suo produrre e del suo potere”. Se “la nostra conoscenza aumenta”, al contempo “si registra un progressivo accecamento della ragione circa i propri fondamenti”. “La fede in quel Dio che è in persona la Ragione creatrice dell'universo – è la viva esortazione di Benedetto XVI - deve essere accolta dalla scienza in modo nuovo come sfida e chance”. Una sfida particolarmente forte nell’Occidente secolarizzato:

 

“Il grande problema dell’Occidente è la dimenticanza di Dio: è un oblio che si diffonde. In definitiva, tutti i singoli problemi possono essere riportati a questa domanda, ne sono convinto”.

 

Il Papa si sofferma su questo tema. “La ragione secolarizzata – afferma - non è in grado di entrare in un vero dialogo con le religioni. Se resta chiusa di fronte alla questione su Dio, questo finirà per condurre allo scontro delle culture”. Sono parole che introducono la riflessione del Papa sulla visita pastorale in Turchia. Un viaggio, spiega, volto a ribadire che “le religioni devono incontrarsi nel compito comune di porsi al servizio della verità e quindi dell'uomo”. In un dialogo da intensificare con l'Islam, osserva il Santo Padre, va tenuto presente che il mondo musulmano “si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo” e che fu risolto concretamente con il Concilio Vaticano II, dopo una “lunga” e “faticosa ricerca”:

 

“Si tratta dell'atteggiamento che la comunità dei fedeli deve assumere di fronte alle convinzioni e alle esigenze affermatesi nell'illuminismo. Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura. D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione”.

 

Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani, afferma ancora, “sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste”. E ancora, assicura che i cristiani “s’impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra ragione e libertà”. Sempre con la memoria al viaggio in Turchia, il Pontefice non manca di ricordare la gioia provata nella “vicinanza ecumenica” dell’incontro con il Patriarca Bartolomeo I, ribadendo dunque l’impegno a lavorare poi per una piena comunione. Quindi, auspica ancora una volta che la libertà religiosa “riconosciuta nei principi della Costituzione turca”, trovi “nella vita quotidiana del Patriarcato e delle altre comunità cristiane una sempre più crescente realizzazione pratica”. In questo articolato discorso, incentrato sul tema Dio e la pace, Benedetto XVI ricorda anche con emozione la sua storica visita ad Auschwitz-Birkenau, “nel luogo delle barbarie più crudele”:

 

“Fu per me motivo di grande conforto veder comparire nel cielo l’arcobaleno, mentre io, davanti all’orrore di quel luogo, nell'atteggiamento di Giobbe gridavo verso Dio, scosso dallo spavento della sua apparente assenza e, al contempo, sorretto dalla certezza che Egli anche nel suo silenzio non cessa di essere e di rimanere con noi”.

 

“L’arcobaleno – ricorda il Papa - era come una risposta” divina: “Sì, Io ci sono”, le parole della promessa, dell’Alleanza, pronunciate da Dio dopo il diluvio, “sono valide anche oggi”.

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Il lungo discorso del Papa alla Curia Romana ha affrontato, come abbiamo detto, anche i temi della famiglia e del celibato sacerdotale. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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Il tema della famiglia è stato al centro del viaggio in Spagna, a Valencia: qui il Papa ha detto di essere stato colpito dalle testimonianze di tanti coniugi, “benedetti da una schiera numerosa di figli”:

 

“Non hanno nascosto il fatto di aver avuto anche giorni difficili, di aver dovuto attraversare tempi di crisi. Ma proprio nella fatica del sopportarsi a vicenda giorno per giorno, proprio nell'accettarsi sempre di nuovo nel crogiolo degli affanni quotidiani, vivendo e soffrendo fino in fondo il sì iniziale – proprio in questo cammino delperdersi’ evangelico erano maturati, avevano trovato se stessi ed erano diventati felici. Il sì che si erano dato reciprocamente, nella pazienza del cammino e nella forza del sacramento con cui Cristo li aveva legati insieme, era diventato un grande sì di fronte a se stessi, ai figli, al Dio Creatore e al Redentore Gesù Cristo”.

 

E’ una testimonianza – ha proseguito il Papa – “di una gioia maturata anche nella sofferenza, di una gioia che va nel profondo e redime veramente l’uomo” e che suscita una riflessione:

 

“Davanti a queste famiglie con i loro figli, davanti a queste famiglie in cui le generazioni si stringono la mano e il futuro è presente, il problema dell’Europa, che apparentemente quasi non vuol più avere figli, mi è penetrato nell’anima. Per l’estraneo, quest’Europa sembra essere stanca, anzi sembra volersi congedare dalla storia”.

 

Benedetto XVI esamina i motivi di questa situazione: “i problemi sociali e finanziari”, le preoccupazioni e le  fatiche quotidiane dovute ai figli, il tempo che scarseggia e che “basta appena per la propria vita”: “avere tempo e donare tempo” – ha affermato il Papa - è “un modo molto concreto per imparare a donare se stessi, a perdersi per trovare se stessi”. C’è poi il problema dell’educazione in una società che ha perso l’orientamento e rende insicuri sulle  norme da trasmettere “perché non sappiamo più quale sia l’uso giusto della libertà, quale il modo giusto di vivere, che cosa sia moralmente doveroso e che cosa invece inammissibile”.

 

Ma il problema più profondo secondo il Pontefice è che “l’uomo di oggi è insicuro circa il futuro” e si chiede se sia giusto “inviare qualcuno in questo futuro incerto”.

“Se non impariamo nuovamente i fondamenti della vita –  sottolinea il Papa - se non scopriamo in modo nuovo la certezza della fede – ci sarà anche sempre meno possibile affidare agli altri il dono della vita e il compito di un futuro sconosciuto”.

 

Benedetto XVI afferma poi di non poter tacere la sua “preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto”. “Quando  vengono create nuove forme giuridiche che relativizzano il matrimonio – rileva -  la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un sigillo giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa ancora più difficile”. A questo – continua il Papa - si aggiunge “la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso. Con ciò vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui l’uomo – cioè il suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe autonomamente che cosa egli sia o non sia”:

 

“C'è in questo un deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l’uomo, volendo emanciparsi dal suo corpo – dalla ‘sfera biologica’ – finisce per distruggere se stesso. Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo?  Non  è piuttosto il loro - il nostro - dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio?”

 

Il Papa ha poi preso in esame il tema del sacerdozio e del celibato, trattati in particolare nel suo viaggio in Baviera: “il compito centrale del sacerdote” – afferma - è “portare Dio agli uomini”, cosa che può fare “soltanto se egli stesso viene da Dio, se vive ‘con’ e ‘da’ Dio”. Dunque “il vero fondamento della vita del sacerdote … è Dio stesso”.  Il celibato, la rinuncia al matrimonio – spiega il Pontefice - “può essere compreso e vissuto, in definitiva, solo in base a questa impostazione di fondo”:

 

“Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini. Il celibato deve essere una testimonianza di fede: la fede in Dio diventa concreta in quella forma di vita che solo a partire da Dio ha un senso. Poggiare la vita su di Lui, rinunciando al matrimonio ed alla famiglia, significa che io accolgo e sperimento Dio come realtà e perciò posso portarlo agli uomini”.

 

E oggi più che mai – ha sottolineato Benedetto XVI -  la società ha bisogno della testimonianza  di uomini che poggiano “su Dio nel modo più concreto e radicale possibile”. Una testimonianza che ha dato a tutto il mondo Giovanni Paolo II. “Il suo dono più grande per tutti noi – ha concluso il Papa -  è stata la sua fede incrollabile e il radicalismo della sua dedizione. Totus tuus era il suo motto: in esso si rispecchiava tutto il suo essere”:

 

“Sì, egli si è donato senza riserve a Dio, a Cristo, alla Madre di Cristo, alla Chiesa: al servizio del Redentore ed alla redenzione dell’uomo. Non ha serbato nulla, si è lasciato consumare fino in fondo dalla fiamma della fede. Ci ha mostrato così come, da uomini di questo nostro oggi, si possa credere in Dio, nel Dio vivente resosi vicino a noi in Cristo. Ci ha mostrato che è possibile una dedizione definitiva e radicale dell’intera vita e che, proprio nel donarsi, la vita diventa grande e vasta e feconda”.

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FARSI OPERATORI DI PACE FRA LE RELIGIONI E FRA I CREDENTI E I NON CREDENTI

E’ LA FRONTIERA PIU’ ATTUALE E URGENTE PER I CRISTIANI DI OGGI:

LO HA AFFERMATO NELLA SECONDA PREDICA DI AVVENTO

 PADRE RANIERO CANTALAMESSA, CHE HA CRITICATO CON FERMEZZA

 IL DILEGGIO OPERATO CONTRO I SIMBOLI CRISTIANI DEL NATALE

- Intervista con Andrea Pacini -

 

“La pace è un dono e un compito”. Il titolo del Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2007 ha ispirato la seconda predica di Avvento di padre Raniero Cantalamessa, tenuta stamattina davanti al Papa e alla Curia Romana. Il predicatore pontificio ha spiegato che operare la pace secondo lo spirito cristiano non vuol dire schierarsi contro la guerra, ma riconciliare chi la mette in atto. Padre Cantalamessa ha poi stigmatizzato anche lo spirito laicista oggi arrivato a dileggiare i simboli del Natale. Per paradosso, ha detto, i musulmani onorano i simboli del Natale più di molti cristiani, che vorrebbero svuotarlo di significato. I particolari nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Un Natale che accantona il presepe, che spegne la luce della stella sulla Grotta di Betlemme preferendogli peluche e palle colorate: innocue icone che non urtano la sensibilità di chi professa un’altra fede. E’ la deriva ultima di questo periodo di feste, bollata stamattina come un falso pretesto della mentalità laicista da padre Raniero Cantalamessa, nella sua seconda predica di Avvento:

 

“Di questo dileggio culturale, o almeno tentativo di emarginazione, delle credenze religiose stiamo avendo un esempio proprio in questi giorni, con la campagna messa in atto in vari paesi e città d’Europa contro i simboli religiosi del Natale. Si adduce spesso come motivo la volontà di non offendere le persone di altre religioni che sono tra noi,  specie i musulmani. Ma è un pretesto, una scusa. In realtà è un certo mondo laicista che non vuole questi simboli, non i musulmani. Essi non hanno nulla contro il Natale cristiano che anzi onorano. Siamo giunti all’assurdo che molti musulmani celebrano la nascita di Gesú e arrivano a dire che ‘non è musulmano chi non crede nella nascita miracolosa di Gesù’, mentre altri che si dicono cristiani vogliono fare del Natale una festa invernale, popolata solo di renne e di orsacchiotti”.

 

L’avvio della riflessione del predicatore pontificio aveva preso le mosse dal messaggio di Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale della pace, un valore quest’ultimo distinto dal Papa in un dono di Dio e in un compito per gli uomini. La settima fra le Beatitudini, ha spiegato padre Cantalamessa, dice con chiarezza che gli “operatori di pace”, chiamati “figli di Dio”, sono persone che “fanno” la pace. Ma non perché “si riconciliano con i propri nemici”, bensì perché “aiutano i nemici a riconciliarsi”:

 

“Operatori di pace non è dunque sinonimo di pacifici, cioè di persone tranquille e calme che evitano il più possibile i contrasti (questi sono proclamati beati da un’altra beatitudine, quella dei miti); non è sinonimo neppure di pacifisti, se per pacifisti si intendono quelli che si schierano contro la guerra (più spesso, contro uno dei contendenti in guerra!), senza fare nulla per riconciliare tra loro i contendenti. Il termine più giusto è pacificatori”.

 

E se Dio “è il supremo operatore di pace”, quelli che si adoperano per essa sono “imitatori” di Dio. Per un cristiano ciò vuol dire di più: la pace è un dono che viene dall’alto, dallo Spirito Santo, è un “frutto” dell’amore trinitario:

 

“Si capisce allora cosa significa essere operatore di pace. Non si tratta di inventare o creare la pace, ma di trasmetterla, di lasciar passare la pace di Dio e la pace di Cristo ‘che supera ogni intelligenza’ (…) Noi non dobbiamo né possiamo essere sorgenti, ma solo canali della pace. Lo esprime alla perfezione la preghiera attribuita a Francesco d’Assisi:Signore, fa di me uno strumento  della tua pace’”.

 

E’ questo dunque l’orizzonte in cui un cristiano è chiamato a costruire la pace. Nei molti modi in cui questo valore può essere inteso, oggi - ha affermato padre Cantalamessa – si apre “davanti agli operatori di pace un campo di lavoro nuovo, difficile e urgente: promuovere la pace tra le religioni e con la religione, cioè sia delle religioni tra di loro, sia dei credenti delle varie religioni con il mondo laico non credente”, così come il recente viaggio in Turchia di Benedetto XVI ha dimostrato. Tuttavia, ha obbiettato il predicatore francescano, “l’occidente secolarizzato auspica, a dir vero, un diverso tipo di pace religiosa, quello che risulta dalla scomparsa di ogni religione”. E qui, padre Cantalamessa ha sintetizzato il concetto prendendo ad esempio il celebre brano di John Lennon, “Imagine”, che auspica un mondo in pace perché senza paradiso, inferno, patria o religione:

 

“Questa canzone, scritta da uno dei grandi idoli della musica leggera moderna, su una melodia suadente, è diventata una specie di manifesto secolare del pacifismo. Se esso si dovesse realizzare, quello qui auspicato sarebbe il mondo più povero e più squallido che si possa immaginare; un mondo piatto, in cui sono abolite tutte le differenze, dove la gente è destinata a sbranarsi, non a vivere in pace, perché come ha messo in luce René Girard, là dove tutti vogliono le stesse cose, ildesiderio mimetico’ si scatena e con esso la rivalità e la guerra”.

 

“Noi credenti – ha ribattuto padre Cantalamessa - non possiamo però lasciarci andare a risentimenti e polemiche neanche contro il mondo secolarizzato. Accanto al dialogo e la pace tra le religioni – ha concluso - si pone già un altro traguardo agli operatori di pace: quello della pace tra i credenti e i non credenti, tra le persone religiose e il mondo secolare, indifferente o ostile alla religione”.

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Il dialogo tra cristianesimo e islam non è dunque impedito dalle figure sacre o simboli religiosi ma essi fanno parte della dinamica di un dialogo che chiede e offre rispetto. Su questa linea è anche don Andrea Pacini, docente presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e consultore della Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani, presso il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Lo ha intervistato Fabio Colagrande:

 

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R. – Io credo che in primo luogo occorra mettere in luce il fatto positivo, perchè effettivamente è vero che all’interno dell’islam vi sono tutta una serie di risorse a cui si può attingere per valorizzare la persona di Gesù Cristo e il ruolo di Maria. Rimane, certamente, anche l’attenzione da parte dei credenti cristiani di testimoniare lo specifico della loro fede religiosa nel Cristo Signore, che non è solo Profeta, ma è il Figlio di Dio che si fa Uomo per venire incontro agli uomini e portarli alla piena comunione, con un Dio che si rivela come Padre. Credo che ci sia lo spazio per offrire una testimonianza cristiana chiara, ma nello stesso tempo offrirla a partire da un vissuto e da un sentimento religioso che può essere condiviso.

 

D. – Il Natale, dunque, può essere, rispetto al mondo islamico, occasione di testimonianza e anche di dialogo. Può rafforzare il dialogo interreligioso?

 

R. – Io credo proprio di sì, anche perché – ripeto – è un’occasione molto concreta, non solo per condividere dei valori importanti, che attraverso il Natale vengono testimoniati, ma diventa anche un’occasione propizia per dialogare su una persona, Gesù, di cui anche il Corano parla. Un’occasione propizia, però, per i cristiani, per offrire anche la loro testimonianza e soprattutto la loro testimonianza di fede, rispetto al Signore Gesù, che forse per molti musulmani è qualcosa di poco noto. Perchè un conto è ovviamente pensare a musulmani che provengono da un contesto mediorientale, in cui vi sono Chiese cristiane, e un conto è pensare ad esempio ai tunisini e ai maghrebini, che sono la maggioranza tra noi, che invece hanno una consuetudine ben minore rispetto alla fede cristiana. Un’occasione, dunque, preziosa per testimoniare e far conoscere la verità del Cristo Signore.

 

D. – Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera, musulmano, rileva criticamente che come sappiamo è un giornalista abituato a presentare in maniera critica il mondo islamico in Italia, a volte negativa, a volte positiva. Lui racconta che mentre in Italia, come in altri Paesi occidentali, c’è chi ha preso provvedimenti antinatalizi per non urtare la suscettibilità dei musulmani, in 25 Paesi a maggioranza musulmana il Natale cristiano e il Natale ortodosso sono considerati feste nazionali.

 

R. – Io credo che siano diversi i soggetti, nel senso che in quei Paesi musulmani, citati da Magdi Allam, esistono delle comunità cristiane autoctone, le quali con una certa fatica nel corso degli ultimi anni sono riuscite a farsi considerare pienamente parte della comunità nazionale e quindi anche a vedersi riconosciuta la festa del Natale. Questo segna un innegabile progresso per quel che riguarda la convivenza di cristiani e musulmani in Paesi a maggioranza musulmana. Qui da noi i pericoli, i rischi e le obiezioni rispetto al festeggiare il Natale in senso religioso, in particolare nelle scuole, non vengono tanto e principalmente dai musulmani, quanto da un malinteso senso dell’interculturalità o del pluralismo o della gestione del pluralismo culturale da parte di alcune persone coinvolte, che sono essenzialmente italiane. Si tratta, forse, di comprendere meglio cosa significhi interculturalità e il ruolo che la religione cristiana preponderante nei Paesi europei, può e deve giocare in una prospettiva interculturale feconda e sana.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Il Santo Padre riceverà questo pomeriggio il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

 

Mons. Guillermo Javier Karcher, officiale della Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, è stato nominato cerimoniere pontificio.

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana in occasione degli auguri per il Santo Natale.

 

Servizio estero - Medio Oriente: Abu Mazen auspica un vertice con Olmert entro la fine dell'anno.

 

Servizio culturale - Un articolo di Vittorino Grossi dal titolo "Lo sguardo dell'umanità che ci interroga": riflessioni in attesa del Natale.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema dei conti pubblici.  

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

22 dicembre 2006

 

 

DOPO LA XXX CONFERENZA DEGLI ANIMATORI SVOLTASI A RIMINI

NEI GIORNI SCORSI,

ILRINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO SI IMPEGNA A PROMUOVERE

NELLE PARROCCHIE LA CULTURA DELLA PENTECOSTE

- Intervista con Salvatore Martinez -

 

Oltre 3.500 responsabili del Rinnovamento dello Spirito Santo si sono riuniti a Rimini, in Italia, di recente per la XXX Conferenza degli animatori sul tema “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli”. All’incontro di spiritualità e formazione erano rappresentati più di 1.800 gruppi e comunità del Rinnovamento. Tiziana Campisi ha chiesto al coordinatore nazionale del Rinnovamento nello Spirito, Salvatore Martinez, di tracciare un bilancio dell’incontro:

 

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R. - Il Santo Padre nella “Deus caritas est” ci ha invitato ad essere servi sempre in movimento e guardando alla storia più recente, il discorso della fede, il linguaggio della fede, si fanno sempre più attuali. La necessità di coniugare anche con esperienze, con pedagogie dello Spirito, l’attualità del Vangelo, spinge il movimento a considerare la grande portata testimoniale che in questi anni abbiamo maturato.

 

D. - Dopo questa tappa come intende proseguire il suo cammino il Rinnovamento nello Spirito Santo?

 

R. - Stiamo guardando con sempre maggiore interesse alla necessità di diffondere una cultura della Pentecoste, cioè un giudizio spirituale sulla storia, che aiuti i cristiani a risvegliare la propria fede. Poi anche l’importanza del recupero di una spiritualità carismatica: ogni battezzato è dotato di un carisma e in forza di questo carisma è pronto ad evangelizzare. Si tratta di rendere tutto questo maggiormente visibile nella storia delle nostre chiese e riteniamo che il Rinnovamento, a partire dalle parrocchie, abbia una possibilità di espressione e di esplicitazione sempre più attuale.

 

D. - Benedetto XVI ci invita spesso a vivere più concretamente il cristianesimo e a fare quindi un salto verso l’azione, verso un cristianesimo più impegnato. Come è possibile fare questo salto?

 

R. – Direi, richiamando un’espressione di Giovanni Paolo II, che se la fede è ridotta a costume, ad una consuetudine, peggio ancora ad una semplice esperienza emotiva, la fede muore. Benedetto XVI parla il linguaggio della fede per la fede. C’è un grido che deve ancora squarciare il cuore dei cristiani. E’ un grido che fuoriesce dalla Pentecoste: Gesù è il Signore, è il Signore della storia. Dobbiamo provare a riaffermare in modo vitale la portata dirompente di questa espressione: di fronte ad ogni forma di libertarismo, di sudditanza umana e  di individualismo; e a quei mi sociali, politici e culturali che tendono ad essere sempre più atei. Gesù è il Signore dei giovani e delle famiglie che sono due prospettive importantissime per lo sviluppo della nuova evangelizzazione. Ma per far questo è anche necessario sviluppare quella che noi chiamiamo la cultura della Pentecoste. E’ una cultura tutta interiore, che non si impara nei libri o attraverso percorsi umani, direi non si compra e non fuoriesce da dottrine umane. E’ quella capacità tutta interiore che fa sì che gli uomini siano capaci di resistere al male e soprattutto di diffondere il bene. C’è bisogno di fare verità sull’uomo e c’è bisogno di farlo alla luce della fede

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CHIESA E SOCIETA’

22 dicembre 2006

 

 

APPELLO DEL VESCOVO DI SAN SEBASTIAN, NEI PAESI BASCHI, MONS. URIARTE,

IN FAVORE DEL PROCESSO DI PACE TRA IL GOVERNO CENTRALE DI MADRID

E L’ORGANIZZAZIONE ARMATA INDIPENDENTISTA, ETA

- A cura di padre Ignazio Arregui -

 

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SAN SEBASTIAN. = Mons. Juan María Uriarte, vescovo di San Sebastian, nei Paesi Baschi, ha fatto un appello in favore delle attuali prospettive di pace nei contatti tra il governo centrale di Madrid e l’organizzazione armata indipendentista ETA. Nel documento, di 970 parole, si afferma: “Occorre salvare la pace. Lo richiede l’immensa sofferenza che continua ad essere causata da un conflitto distruttivo che vogliamo superare definitivamente”. Il vescovo prende atto dell’attuale incertezza sullo stato reale del processo. Tuttavia, la maggioranza della popolazione pensa che ci siano motivi validi per continuare a sperare. Sembra che manchi la necessaria fiducia tra gli interlocutori del negoziato. Per uscire dallo stallo, afferma, servono alcuni segnali concreti, come la rinuncia agli attentati da parte di gruppi violenti nelle città e la concessione di alcune misure di clemenza in favore dei detenuti. Mentre le parti fanno un uso esagerato dei mezzi di comunicazione, dovrebbero invece impegnarsi ad avere tra di loro un autentico dialogo, aperto e discreto. Posizioni massimaliste e rigide ostacolano spesso i negoziati. Ognuno dovrà rinunciare a qualcosa, il che è sempre difficile, ma indispensabile davanti alla priorità della causa. Non c’è posto per l’uso o la minaccia della violenza in un negoziato di pace e quindi deve scomparire assolutamente senza condizioni. Invece, può essere legittima la critica ma non l’ostruzionismo sistematico, causato da interessi particolari, che di fronte alla priorità della pace non si giustificano. Concludendo, il vescovo di San Sebastian afferma categoricamente: “Non possiamo rassegnarci più al versamento di una sola goccia di sangue”.

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LA FUGA DEI CRISTIANI DALL’IRAQ AL CENTRO DELLA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DEI CAPI RELIGIOSI CRISTIANI NEL PAESE DEL GOLFO, SVOLTASI MERCOLEDÌ A BAGHDAD

 

BAGHDAD. = La situazione dei cristiani in Iraq e la necessità per i cristiani del Paese di “parlare con una sola voce”: di questo si è parlato nella riunione del Consiglio dei capi religiosi cristiani in Iraq, svoltasi mercoledì nella Cattedrale latina di San Giuseppe a Baghdad. A darne notizia è il sito “Baghdadhope”, citato dall’agenzia SIR. All’incontro, sotto la presidenza del Patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly, hanno partecipato il vescovo della Chiesa armena apostolica, mons. Avak Asadorian, che guida il Consiglio, mons. Jean Bamjamin Sleiman, vescovo latino di Baghdad, e quello siro cattolico, mons. Athanase Matti Shaba Matoka. I presenti hanno discusso, tra l’altro, anche della proposta di un ritiro spirituale per i sacerdoti di tutte le denominazioni cristiane presenti a Baghdad e di un giorno di preghiera dedicato all’unità dei cristiani. Il Patriarca caldeo ha chiesto di pregare perché “la pace e la sicurezza siano ristabilite nel mondo, specialmente in Medio Oriente, Libano, Palestina e Iraq”. La violenza, le minacce e i rapimenti cui sono sottoposti stanno spingendo i cristiani iracheni ad abbandonare il Paese e trovare rifugio all’estero. Secondo il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Andraos Abouna, “circa la metà dei cristiani avrebbe già lasciato l’Iraq”. In Siria, il locale Patriarcato caldeo ne sta assistendo almeno 35 mila. (R.M.)

 

 

DOMANI, NELLA BASILICA ROMANA DI SANTA MARIA MAGGIORE,

ORDINAZIONE SACERDOTALE DI 55 DIACONI DELLA CONGREGAZIONE DEI LEGIONARI

DI CRISTO. PRESIEDE LA CERIMONIA, IL CARDINALE FRANC RODE’, PREFETTO

 DELLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ

 DI VITA APOSTOLICA

 

ROMA.= Sono 55 i diaconi della Congregazione dei Legionari di Cristo che domani mattina, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, saranno ordinati sacerdoti. A presiedere la cerimonia, sarà il cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Come riferisce l’agenzia Fides, questo appuntamento si può considerare, ormai, una tradizione. Da tempo, infatti, i Legionari di Cristo hanno scelto di celebrare le ordinazioni sacerdotali in questo periodo dell’anno, per offrire simbolicamente alla Chiesa il regalo di Natale più bello: alcuni nuovi sacerdoti, pronti a servirla con spirito di umiltà e di totale adesione al Santo Padre. Allo stesso tempo, i novelli sacerdoti ricevono dalla Chiesa il dono più bello della loro vita: configurarsi sacramentalmente con Cristo, unico Sacerdote. Originari di Italia, Spagna, Germania, Irlanda, Messico, Stati Uniti, Canada, Brasile e Venezuela, i candidati hanno un’età compresa tra i 27 e i 42 anni. Hanno trascorso una media di 12 anni di studio, di apostolato e di missione, dal giorno del loro ingresso in uno dei noviziati della Legione di Cristo. La Congregazione è presente in 20 Paesi, con più di 650 sacerdoti ed oltre 2.500 seminaristi. Conta 125 case religiose e centri di formazione. Dirige più di 200 centri educativi e più di 600 centri dedicati alla formazione e all’impegno apostolico dei laici. A Roma, gestisce l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e l’Università Europea. (A.D.F.)

 

 

LA CONFERENZA EPISCOPALE MESSICANA VINCE IL PREMIO KELLER 2006

PER IL SOSTEGNO ALLE MISSIONI: È LA PRIMA VOLTA CHE IL RICONOSCIMENTO

DEI MISSIONARI DI MARYKNOLL VIENE ASSEGNATO FUORI DAGLI STATI UNITI

 

OSSINING. = Assegnato alla Conferenza episcopale messicana il Premio Keller 2006 dalla Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America (Missionari di Maryknoll). Il riconoscimento, che per la prima volta esce fuori dagli USA, è attribuito a individui o gruppi che si siano distinti nell’incarnare lo spirito di padre James G. Keller, missionario di Maryknoll e fondatore del movimento “Christophers”. I Missionari di Maryknoll riconoscono l’appoggio che l’episcopato messicano ha dato all’idea di stabilire un Seminario per le missioni estere e una Società per l’annuncio ad gentes, e per l’appoggio materiale e spirituale che offre ai Missionari di Guadalupe, istituto creato dopo la seconda guerra mondiale con l’aiuto di mons. Alonso Manuel Escalante, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. (R.M.)

 

 

APPELLO DELLE SUORE FRANCESCANE ELISABETTIANE DEL CARITAS BABY HOSPITAL

 DI BETLEMME A NON DIMENTICARE I BAMBINI DELLA ZONA:

“LE DIFFICILI CONDIZIONI IN CUI VIVONO TANTE FAMIGLIE PONGONO I PICCOLI

IN UNA SITUAZIONE DI RISCHIO DI MALATTIE”

 

BETLEMME. = “Non dimenticare i bambini di Betlemme”: è l’appello lanciato dalle Suore francescane elisabettiane del Caritas Baby Hospital di Betlemme, l’unico ospedale pediatrico della zona, che serve un bacino di oltre 500 mila bambini, reggendosi solo sulle donazioni e la solidarietà. “Al di là della difficile situazione economica – si legge in una lettera inviata all’agenzia Fides – il disagio più grande è la mancanza di libertà: libertà di andare a cercare un lavoro, di gestire la propria vita in maniera dignitosa. La preoccupazione per il futuro dei figli, per l’instabilità politica, la paura sono motivi per lasciare il Paese”, e i cristiani preferiscono emigrare piuttosto che vivere in una “prigione a cielo aperto”. “Le difficili condizioni in cui vivono tante famiglie, specie nei villaggi – scrivono le suore – pongono i bambini in una situazione di forte rischio di malattie”. Nell’ospedale ogni anno vengono ammessi circa 3.500 bimbi, mentre altri 30 mila sono seguiti negli ambulatori, per un totale di 100 al giorno. Le situazioni più complesse da gestire – raccontano le suore – sono i trasferimenti di un bambino dal Baby Hospital a un altro ospedale: il gran numero di persone coinvolte e le infinite procedure burocratiche rendono tale operazione una vera impresa”. Nei casi più gravi,  “l’ambulanza palestinese trasporta il bambino fino al muro, al check-point; qui il bambino viene trasferito nell’ambulanza israeliana che lo trasporta all’ospedale stabilito”. (R.M.)

 

 

PRESENTATA IERI A ROMA LA RACCOLTA “GLI ANGELI CUSTODI DEL PAPA”: 250 FIGURINE PER RIPERCORRERE 500 ANNI DI STORIA DELLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA

 

ROMA. = Duecentocinquanta preziose figurine, che ripercorrono i 500 anni di storia della Guardia Svizzera Pontificia, dei 33 comandanti e dei Papi che ha servito, con le trasformazioni delle divise e degli ambienti avvenute nella storia: si tratta della preziosa raccolta “Gli angeli custodi del Papa, 500 anni della Guardia Svizzera Pontificia”, edita da Pubblicazioni collezionare cultura e presentata ieri a Roma, presso l’istituto Maria Bambina. Le figurine, ricavate da dipinti, foto, immagini storiche, sono tutte rigorosamente corredate da un’accurata didascalia in italiano e in inglese e riproducono immagini di particolare bellezza e rarità. Nell’introduzione, il colonnello Elmar Th. Mäder, attuale comandante della Guardia Svizzera Pontificia, spiega che il fascino della Guardia Svizzera non deriva solo dall’aspetto suggestivo delle belle uniformi, bensì dal “servizio al Vicario di Cristo”. “Scorrendo le immagini dell’album – scrive il colonnello Mäder – anche il lettore prende parte, in qualche modo, a quello che noi Guardie compiamo” e così “anche lui diventa nell’animo un protettore del Santo Padre e della Chiesa”. Oltre che nelle librerie, la raccolta può essere acquistata in rete, collegandosi al sito www.collezionarecultura.it. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

22 dicembre 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

 

Ancora tensione in Medio Oriente: violenti scontri, costati la vita ad una persona, sono avvenuti questa notte nei Territori Palestinesi tra miliziani del movimento islamico Hamas e membri di un influente clan familiare. Sembra comunque sostanzialmente reggere la fragile tregua tra Hamas e al Fatah. Il nostro servizio:

 

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Nei Territori Palestinesi, un civile è rimasto ucciso, nella notte, in seguito a violenti scontri scoppiati a Gaza tra sostenitori di Hamas ed alcuni militanti di altre fazioni palestinesi. Le violenze sono scoppiate dopo il rapimento di due militanti del gruppo radicale. Fonti locali hanno riferito, poi, che sostenitori di al Fatah, leali al presidente Abu Mazen, hanno aperto il fuoco contro 200 militanti di Hamas, che preparavano una manifestazione nella città Cisgiordana di Nablus. Le fonti hanno aggiunto che almeno due persone sono rimaste ferite. Intanto, negli Stati Uniti, il presidente americano George Bush ha promulgato una legge che vieta ogni forma di aiuto al governo palestinese, guidato da Hamas, fin quando non cesseranno le violenze e non verrà riconosciuto lo Stato di Israele. Sono invece autorizzate le attività di sostegno al presidente palestinese Abu Mazen, che ieri ha espresso il desiderio di incontrare il premier israeliano, Ehud Olmert, “prima della fine dell’anno”.

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Otto soldati statunitensi sono stati incriminati dall’esercito americano per l’uccisione di civili iracheni nel novembre del 2005 ad Hadissa, in Iraq. Quattro di loro sono accusati di omicidio. Secondo l’accusa, i militari hanno sparato per vendicare la morte di un loro commilitone. Subito dopo la strage, costata la vita a 24 civili iracheni, l’esercito statunitense aveva reso noto che era stata una bomba a provocare il massacro. Un’inchiesta preliminare, svolta tra febbraio e marzo, ha però stabilito che le vittime erano state colpite da pallottole. In Iraq, intanto, l’esercito statunitense ha riferito stamani che quattro soldati americani sono morti, ieri, nella turbolenta provincia di Al Anbar, nell’est del Paese. La provincia, roccaforte sunnita, è l’area irachena dove le forze americane hanno perso il maggior numero di uomini.

 

In Afghanistan un uomo si è fatto esplodere con una vettura carica di esplosivo davanti alla residenza, a Kabul, di un deputato di etnia pashtun, noto per le sue dure condanne contro i guerriglieri talebani. L’attentatore suicida è morto, cinque civili e tre guardie del corpo del parlamentare sono rimasti feriti. Erano più di due mesi che la capitale afgana non era teatro di attentati kamikaze. L’ultimo attacco suicida compiuto a Kabul risale, infatti, allo scorso 16 ottobre, quando l’esplosione di un’autobomba ha causato il ferimento di tre persone.

 

Si sono conclusi con un nulla di fatto i colloqui a sei di questa mattina a Pechino tra le due Coree, Giappone, Cina, Russia e Stati Uniti sul programma nucleare nordcoreano. Lo hanno reso noto l’agenzia russa ‘Interfax’ e fonti di stampa cinesi precisando che non  è stata  ancora fissata un’altra data per il prossimo incontro. Si tratta dei primi colloqui dopo il test nucleare compiuto ad ottobre dalla Corea del Nord. La delegazione di Pyongyang chiede la fine delle sanzioni dell’ONU e delle restrizioni finanziarie imposte dall’amministrazione americana alla Corea del Nord. Il capo della delegazione statunitense ha dichiarato, nei giorni scorsi, che la pazienza di Washington “ha raggiunto i limiti”. I negoziati hanno come obiettivo il disarmo della Corea del Nord in cambio di garanzie di sicurezza e aiuti.

 

La Russia ha chiesto che sia rinviato a domani il voto, previsto per oggi, del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla risoluzione contro il programma nucleare iraniano. Lo ha detto l'ambasciatore di Mosca alle Nazioni Unite, Churkin. Il Consiglio delle Nazioni Unite è chiamato a decidere sull’eventuale adozione di sanzioni contro l’Iran, cui la comunità internazionale chiede la sospensione dei processi di arricchimento dell’uranio. L’Iran sostiene che le proprie ricerche in campo atomico non hanno fini militari ma solo civili.

In Turkmenistan sette giorni di lutto nazionale e bandiere a mezz’asta in tutti gli edifici pubblici dopo la morte, ieri per arresto cardiaco, del presidente Saparmurat Niyazov. Alcuni osservatori locali temono, adesso, che possa iniziare una lotta per il potere, che rischierebbe di far precipitare il Paese nel caos. Al potere dal 1985, sei anni prima che il Turkmenistan diventasse indipendente da Mosca, Niyazov ha cancellato ogni traccia di opposizione politica e non ha designato un successore. Dopo i funerali, che si terranno domenica prossima, il Consiglio popolare si riunirà per discutere su chi potrà raccoglierne l’eredità. Intanto, il vice primo ministro ha assunto la presidenza ad interim. Il Turkmenistan è il quinto produttore mondiale di gas naturale e si trova anche sulla via delle forniture energetiche che dai giacimenti russi arrivano ai consumatori europei.

Accordo raggiunto tra la ‘Gazprom’ e la Repubblica Ceca. Secondo quanto diffuso dal quotidiano ‘Daily Lidove Noviny’, la società russa e quella ceca ‘RWE Transgas’,  hanno siglato un accordo molto importante nel mercato della distribuzione del gas. Non è stato ancora reso noto il prezzo della transazione ma è stato precisato che il gas sarà garantito alla Repubblica Ceca fino al 2035. L’intesa prevede, inoltre, che la compagnia russa distribuirà nove miliardi di metri cubi all’anno di gas a Praga.

 

Interrogatorio fiume, in Francia, per il primo ministro Dominique de Villepin, sentito come semplice testimone dai giudici per ben 17 ore sul caso ‘Clearstream’. E’ la seconda volta, in 50 anni, che un capo del governo francese compare di fronte ai giudici. La magistratura sta cercando di far luce sui motivi che hanno spinto il premier ad avviare indagini segrete su una lista, attribuita all’istituto finanziario lussemburghese Clearstream e poi risultata falsa, di presunti beneficiari di commissioni legate alla vendita di navi francesi a Taiwan. Nell’elenco figurava anche il ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy, considerato un rivale del primo ministro francese.

 

In Italia è dunque legge dello Stato la finanziaria 2007, approvata ieri definitivamente dalla Camera, con il terzo voto di fiducia. Ma gli schieramenti politici già discutono su come modificare l’iter parlamentare della manovra, anche alla luce delle critiche del capo dello Stato. Nell’immediato orizzonte del governo ci sono, intanto, alcune delicate riforme da affrontare. Il servizio di Giampiero Guadagni:

 

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Trentasei miliardi di euro: 15 destinati al risanamento, 21 allo sviluppo. A tanto ammonta la manovra economica del governo, che ha avuto ieri il via libera definitivo del Parlamento. Tra le novità principali: la revisione delle aliquote fiscali, la riduzione del costo del lavoro, l’introduzione dei ticket per visite non urgenti al pronto soccorso. E ancora: assegni per le famiglie con almeno tre figli sotto i 26 anni, assegni che spettano anche ai maggiorenni fino a 21 anni se studenti o apprendisti. C’è poi un fondo per stabilizzare i contratti a tempo determinato. Per la maggioranza, sono stati raggiunti gli obiettivi del risanamento e dell’equità. Ma la finanziaria è attaccata da più parti: per il centrodestra è recessiva, fatta di tasse che colpiscono soprattutto il ceto medio. Per la Confindustria mancano riforme strutturali che aiutino la ripresa. Lo stesso rilievo mosso dall’Unione Europea, che comunque apprezza lo sforzo di risanamento. Anche i sindacati, inizialmente soddisfatti, sottolineano ora la mancanza di misure per garantire il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati. Ma oltre al merito, a far discutere è anche il metodo con cui la manovra è stata approvata. E cioè votando la fiducia, l’undicesima in sette mesi di vita del Governo Prodi, sul testo finale composto da un articolo unico di ben 1.365 commi. Una soluzione criticata dal capo dello Stato che ha parlato di un modo di fare incomprensibile all’opinione pubblica, il prodotto della continua contrapposizione tra i due schieramenti, invitati da Napolitano ad un maggiore senso di responsabilità.  Unione e Cdl stanno allora riflettendo su come modificare il farraginoso iter parlamentare della manovra, che tiene occupate le Camere per sette mesi l’anno. Ma all’interno della maggioranza ci sono elementi di confronto più immediati. Si parla infatti di una fase due per accelerare l’azione del Governo. Le prime difficili prove sono in programma a gennaio, quando si aprirà il confronto sulla riforma delle pensioni. E quando l’esecutivo metterà a punto il disegno di legge sulle unioni civili, tema sul quale il centrosinistra è profondamente diviso.

 

Giampiero Guadagni, per la Radio Vaticana.

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Proseguono  in Gran Bretagna le indagini sul caso delle cinque giovani donne assassinate nei pressi di Ipswich. Dopo un primo fermo, la polizia ha arrestato un secondo uomo di 48 anni, interrogato dai magistrati che lo hanno incriminato e mandato in carcere. Gli investigatori ritengono che l’omicida abbia drogato le sue vittime prima di ucciderle.

 

Gravi disagi per il trasporto aereo in Gran Bretagna: la nebbia è tornata ad avvolgere Londra e ha costretto la compagnia ‘British Airways’ a cancellare  centinaia di voli negli ultimi due giorni. Sono stati cancellati, finora, 350 voli e 40 mila passeggeri sono rimasti a terra. La ‘British Airways’ fa sapere, comunque, che per alleviare i disagi dei passeggeri sta approntando una rete di assistenza che prevede anche sistemazioni per la notte. La compagnia ha predisposto, inoltre, un servizio con numerosi autobus che trasporteranno oltre tremila persone dalla zona di Heathrow verso città come Manchester, Newcastle, Glasgow e Edinburgo, da dove gli aerei partono regolarmente.

 

Lo storico negazionista britannico David Irving, condannato in febbraio a Vienna a tre anni di prigione per apologia del nazismo, è stato espulso ieri sera dall'Austria, sul cui territorio non potrà più entrare. Lo storico era stato arrestato nel novembre del 2005, durante un controllo stradale, poiché la giustizia austriaca aveva emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti per aver negato la Shoa in un discorso del 1989. David Irving è autore, tra l’altro, del libro intitolato “La guerra di Hitler”, un’opera del 1977 che assolve il leader del regime nazista dalle responsabilità sui campi di sterminio.

 

In Somalia continuano gli scontri armati nella provincia di Baidoa, dove ha sede il governo di transizione somalo. Fonti locali hanno reso noto che combattimenti sono in corso nella città di Dinsoor controllata da guerriglieri islamici dall’inizio di dicembre. La situazione rischia di precipitare: ieri il leader delle Corti islamiche ha dichiarato che la Somalia è “in stato di guerra” e ha incitato tutti i cittadini somali a combattere contro i soldati dell’Etiopia. Il governo etiope ha inviato proprie truppe in Somalia per difendere l’esecutivo, con sede a Baidoa, riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale.

 

In Gabon, il partito democratico del presidente Omar Bongo Ondimba ha vinto le elezioni legislative svoltesi lo scorso 17 dicembre. In base ai risultati ufficiali, diffusi questa mattina, il partito democratico ha ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento, conquistando 80 seggi su 120. Nel Paese africano, i partiti dell’opposizione denunciano l’alto tasso di disoccupazione e l’iniqua distribuzione delle risorse: nonostante la forte presenza di petrolio, legname, ferro e uranio, oltre la metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà.

 

La Corte Suprema del Burundi ha chiesto l’ergastolo per l’ex presidente burundese, Domitien Ndayizeye, accusato di aver pianificato con altre sei persone un colpo di Stato. Il Senato dello Stato africano ha tolto questa estate l’immunità parlamentare a Ndayizeye per consentire il suo arresto. L’ex presidente, di etnia hutu, ha guidato il Paese dal 2003 fino alle elezioni dello scorso agosto, vinte da un altro hutu, l’attuale capo di Stato Pierre Nkurunziza.

 

L’ex presidente peruviano Alejandro Toledo, in carica da 2001 al luglio scorso, è stato accusato di aver falsificato le firme per la registrazione del suo partito in vista delle elezioni del 2000. Rischia dieci anni di prigione per corruzione. Toledo, attualmente in visita negli Stati Uniti, ha perso le presidenziali del 2000 ma è poi arrivato al potere un anno dopo in seguito alla fuga all'estero del presidente Alberto Fujimori, implicato in un caso di corruzione.

 

 

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