RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 339 - Testo della trasmissione di martedì 5 dicembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

A pochi giorni dalla visita del Primate della Chiesa ortodossa di Grecia al Papa, ripercorriamo i gesti ecumenici di Benedetto XVI

 

Il dialogo tra Santa Sede e Cina continua: così il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone all’Urbaniana, al margine di un atto accademico per i 500 anni dalla nascita di San Francesco Saverio: intervista con il porporato

 

Lettera del cardinale Bertone al presidente dell’UCIIM: con noi, il prof. Luciano Corradini

 

L’annuncio del Vangelo è al centro della pastorale del turismo: lo ribadisce il documento finale della riunione dei direttori nazionali per la pastorale del turismo in Europa

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In Libano, gli hezbollah chiedono le dimissioni del premier Siniora: il commento di Giuseppe Bettoni

 

Si celebra oggi la Giornata internazionale del volontariato: ai nostri microfoni, Umberto dal Maso e Filippo Frazzetta

 

Presentato oggi a Roma un progetto per la realizzazione di un centro di assistenza sanitaria nelle baraccopoli di Nairobi: ce ne parla il dott. Gianfranco Morino

 

CHIESA E SOCIETA’:

Ennesimo rapimento, a Baghdad, di un sacerdote cattolico iracheno

 

Tensione ancora alta a Oaxaca, in Messico, teatro da sei mesi di una vasta protesta popolare

 

Si aggrava il dramma nelle Filippine, dopo il disastroso passaggio del tifone Durian. Migliaia tra morti, feriti e senza tetto: la Caritas Italiana al lavoro per portare soccorso

 

Seminario, oggi a Palermo, dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati

 

La Prefettura apostolica del Nepal ha posto allo studio il primo piano pastorale nazionale per rendere la Chiesa più visibile nel nuovo contesto politico del Paese

 

Firmato un accordo in Italia per la migliore collaborazione fra Stato e Chiesa nel settore dei beni librari

 

24 ORE NEL MONDO:

Altre decine di morti nelle violenze odierne a Baghdad

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

5 dicembre 2006

 

 A POCHI GIORNI DALLA VISITA DEL PRIMATE DELLA CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA

 AL PAPA, RIPERCORRIAMO I GESTI ECUMENICI DI BENEDETTO XVI,

CHE FIN DALL’INIZIODEL PONTIFICATO HA DEFINITO PRIORITARIO

IL SUO IMPEGNO PER RAGGIUNGERE L’UNITA’ VISIBILE DEI SEGUACI DI CRISTO

 

Un nuovo passo sulla via dell’ecumenismo: come annunciato ieri, l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Sua Beatitudine Christodoulos, farà visita a Benedetto XVI e alla Chiesa di Roma dal 13 al 16 dicembre prossimi. Evento che a ragione si può definire storico, giacché rappresenta la prima volta che il Primate della Chiesa Ortodossa di Grecia si reca in visita ufficiale al Papa. Si intensificano dunque gli incontri di carattere ecumenico di Benedetto XVI, che fin dai primi passi del suo Pontificato ha sottolineato quanto la ricerca dell’unità tra i seguaci di Cristo sia un’assoluta priorità. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo”: è il 20 aprile del 2005 quando Benedetto XVI pronuncia queste parole, nella Cappella Sistina. Sono passate meno di 24 ore da quando il cardinale Joseph Ratzinger è stato eletto 264.mo Successore di Pietro. E questi gesti, il Papa li compie subito con coraggio, indicando che quello ecumenico sarà l’impegno “primario” del suo Pontificato. Così, nel suo primo viaggio apostolico internazionale, nella sua terra natale per la Giornata Mondiale della Gioventù, Benedetto XVI vuole che venga inserito anche un appuntamento ecumenico. “Le nostre divisioni – afferma nell’arcivescovado di Colonia – sono in contrasto con la volontà di Gesù e ci rendono inattendibili davanti agli uomini”. Ed esorta tutti i fedeli ad impegnarsi “con rinnovata energia e dedizione a recare una testimonianza comune”.

 

E una rinnovata energia caratterizza i tanti e significativi incontri ecumenici del Papa, in questo ultimo scorcio del 2006. Benedetto XVI riceve il 17 novembre i partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Innanzitutto, avverte il Pontefice, va promosso “l’ecumenismo dell’amore, che discende direttamente dal comandamento nuovo lasciato da Gesù ai suoi discepoli”:

 

“L’amore accompagnato da gesti coerenti crea fiducia, fa aprire i cuori e gli occhi. Il dialogo della carità per sua natura promuove e illumina il dialogo della verità: è infatti nella piena verità che si avrà l’incontro definitivo a cui conduce lo Spirito di Cristo”.

 

 Passano pochi giorni e, il 23 novembre, il Papa accoglie in Vaticano l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Al Primate della Comunione anglicana, il Pontefice non nasconde le difficoltà presenti nel raggiungimento della piena e visibile unità dei cristiani, ma riconosce anche che le buone relazioni tra anglicani e cattolici hanno dato vita a quello che definisce “un contesto nuovo”. E in questo clima, va anche inserita la riunione, a settembre, a Belgrado della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Un evento importante dopo una interruzione durata sei anni.

 

E’ poi la volta dell’abbraccio fraterno con Bartolomeo I ad Istanbul, momento culminante della dimensione ecumenica del viaggio apostolico in Turchia, dei giorni scorsi. Al Fanar, sede del Patriarcato ecumenico, il Papa invita cattolici ed ortodossi a collaborare per la “comunione nella carità e nella verità”. E ancora una volta, rinnova l’esortazione a “prendere parte attivamente a questo processo con la preghiera e con gesti significativi”. Poi, nella Cattedrale dello Spirito Santo di Istanbul, ribadisce che la “prospettiva ecumenica” è al primo posto delle sue “preoccupazioni ecclesiali”. Sempre ad Istanbul, Benedetto XVI incontra il Patriarca armeno apostolico Mesrob II. Le “tragiche divisioni” sorte lungo il tempo fra i seguaci di Cristo, è il suo monito, “contraddicono apertamente” la volontà del Signore e sono di “scandalo al mondo”. E ancora una volta, invoca gesti capaci di “curare le ferite della separazione”.

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NOMINE

 

Il Santo Padre ha nominato vescovo di Hwange, in Zimbabwe, padre Alberto Serrano, dell’Istituto Spagnolo di San Francesco Saverio per le Missioni Estere, amministratore diocesano, già vicario generale della medesima diocesi. Padre Alberto Serrano è nato il 14 aprile 1942 a Saragozza, in Spagna. È stato ordinato sacerdote il 1° luglio 1966.

 

In Argentina, il Papa ha nominato vescovo di San Miguel mons. Sergio Alfredo Fenoy, finora vescovo titolare di Satafis ed ausiliare di Rosario. Mons. Sergio Alfredo Fenoy è nato a Rosario, provincia di Santa Fe, il 19 maggio 1959. E’ stato ordinato sacerdote il 2 dicembre 1983. Nel 1991 ha conseguito la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha ricevuto l’ordina-zione episcopale il 21 maggio 1999. Nel 2003 è diventato segretario generale della Conferenza episcopale argentina.

 

Sempre in Argentina, il Santo Padre ha nominato vescovo di Santo Tomé mons. Hugo Santiago, vicario episcopale di Rafaela e parroco di San Guillermo. Mons. Hugo Santiago é nato il 12 aprile del 1954 nella località di María Juana (nella provincia di Santa Fe). E’ stato ordinato sacerdote il 19 dicembre del 1985. Nel 1999 ha conseguito la Licenza in Teologia Spirituale presso il Pontificio Istituto "Teresianum" a Roma. E’ stato Direttore spirituale del Movimento Cursillos de Cristiandad.

 

Il Papa ha nominato Consultori della sezione straordinaria dell’Amministra-zione del Patrimonio della Sede Apostolica il dott. Carlo Gilardi (Italia), il dott. Peter D. Sutherland (Irlanda) e il dott. Robert J. McCann (Stati Uniti d’America).

 

 

IL DIALOGO TRA CINA E SANTA SEDE CONTINUA:

GLI ULTIMI AVVENIMENTI SONO INCIDENTI DI PERCORSO.

 È QUANTO HA AFFERMATO IL CARDINALE TARCISIO BERTONE,

AL TERMINE DI UN ATTO ACCADEMICO DELL’UNIVERSITÀ URBANIANA

 

“Comunicare la fede: la missione della Chiesa nel tempo di Francesco Saverio e nel nostro tempo” è stato il tema dell’intervento odierno del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone alla Pontificia Università Lateranense, per l’atto accademico che ha chiuso le celebrazioni del quinto centenario della nascita del Patrono delle missioni. Ma al margine dell’evento il porporato si è soffermato a parlare con i giornalisti anche dei rapporti della Santa Sede con la Cina e con il Patriarcato di Mosca. Il servizio di Tiziana Campisi.

 

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La profonda accelerazione della socialità umana cui oggi assistiamo può essere paragonata a quella dei tempi di San Francesco Saverio, ma accanto al progresso che ha annullato le distanze si registrano una difficoltà e una crisi delle istituzioni sociali e politiche che sono sotto gli occhi di tutti. Nel ripercorrere le tappe del Patrono delle missioni il cardinale Tarcisio Bertone ha voluto sottolineare che se queste nel XVI secolo hanno fatto conoscere all’Oriente il cristianesimo, oggi quest’ultimo, proprio nelle terre da cui le missioni sono partite, vive una profonda crisi:

 

“La secolarizzazione ha prodotto un mutamento profondo nelle dinamiche della vita delle terre di più antica cristianità; disfacendo l’unità organica della vita cristiana, ne ha rimesso in questione il valore umanistico, salvandola soltanto come riserva di solidarietà per i più gravi bisogni”.

 

E il risultato, ha affermato il porporato, è che la Chiesa si trova a dover fronteggiare oggi non solo una diminuzione di fede, diventata minoritaria sotto il profilo culturale, ma anche una perdita di umanesimo. Umanesimo che, ha proseguito il cardinale Bertone, va recuperato. E per tale motivo, così deve porsi la missione di fronte ad esso:

 

“La missione, insieme alla proclamazione del Vangelo di Gesù Signore, deve ribadirne oggi anche il valore antropologico e la sensatezza sociale”.

 

Da qui dunque deve essere tracciato il compito della Chiesa, ha detto ancora il porporato, che deve essere aperta positivamente alle trasformazioni in atto ed attenta alla complessità delle situazioni in cui la missione si trova oggi. È una Chiesa che vuole coltivare il dialogo interreligioso quella del Terzo Millennio, ha proseguito il cardinal Bertone, chiamata ad ascoltare e a seguire quello Spirito che soffia dove vuole e che dunque vuole superare ogni barriera, che vuole cercare in ogni cosa di servire l’amore di Dio. Al termine dell’atto accademico i giornalisti hanno posto alcune domande al porporato, a partire dal dialogo tra la Cina e la Santa Sede:

 

D. – Eminenza, se si trovasse di fronte il presidente cinese Hu Jintao cosa gli chiederebbe?

 

R. – Gli chiederei come pensa di portare avanti lo sviluppo della Cina non pensando solo allo sviluppo economico ma anche ad un grande sviluppo culturale secondo la tradizione del grande popolo cinese e anche a un dialogo interreligioso e interculturale; come la Chiesa porta avanti questo dialogo e vuole essere soggetto di tramite, di dialogo, così anche gli uomini politici e gli uomini di cultura della Cina possono essere protagonisti, attori di dialogo e credo che tutti ne guadagneremmo.

 

D. – E a proposito delle relazioni diplomatiche fra Cina e Santa Sede?

 

R. – Le relazioni diplomatiche sono ‘in mente Dei’, nel futuro, e credo che siano nel futuro anche dei progetti dei governanti cinesi, anche se hanno i tempi e i ritmi necessari per essere impostate e per essere poi realizzate.

 

D. – Ma ci sono trattative in corso?

 

R. – Ma voi sapete tutto e certamente i colloqui continuano e quindi il dialogo su questo punto con la Cina continua. Certo che l’ultimo atto - avete visto il comunicato che è stato pubblicato – è un atto che frena e non favorisce i buoni rapporti con la Santa Sede e con la Chiesa cattolica. Sono, però, incidenti di percorso.

 

D. – Il Patriarca di Mosca Alessio II ha chiesto oggi alla Chiesa cattolica di limitare il proselitismo in Russia …

 

R. – Non conosco il testo di Alessio II e quindi non posso pronunciarmi, ma credo che i rapporti tra il Patriarcato di Mosca e la Santa Sede siano abbastanza buoni e anche con il Patriarcato di Mosca sono in corso colloqui, ci sono visite frequenti … d’altra parte, noi non pensiamo di fare proselitismo in Russia.

 

D. – Si è appena chiuso con successo il viaggio in Turchia e si guarda al prossimo viaggio in Brasile, un’altra grande sfida per Benedetto XVI …

 

R. – Nell’America Latina c’è la sfida della nuova evangelizzazione, pensiamo anche alla sfida delle sette e alle sfide delle situazioni dei popoli latino-americani dove la Chiesa … deve agire sulla via della carità sociale e sulla via dell’evangelizzazione.

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LE DIFFICILI SFIDE ED I RAPIDI CAMBIAMENTI SOCIALI OBBLIGANO GLI INSEGNANTI

NELLE SCUOLE AD UN COSTANTE E SERIO AGGGIORNAMENTO:

LETTERA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE AL PRESIDENTE DELL’UCIIM

- Intervista con il prof. Luciano Corradini -

 

 “Educare nella scuola. Nuovi scenari, nuove responsabilità”: su questo tema si sono confrontati nei giorni scorsi a Roma i partecipanti al Congresso nazionale dall’UCIIM, l’Unione cattolica italiana degli insegnanti medi, associazione fondata nel 1944 dal prof. Gesualdo Nosengo, convinto che scuola e democrazia costituiscano il cardine dello sviluppo di ogni nazione e popolo. Da qui l’incoraggiamento fatto pervenire dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, a nome di Benedetto XVI, all’attuale presidente dell’UCIIM, il prof. Luciano Corradini. Servizio di Roberta Gisotti.

 

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 “L’educazione – scrive il segretario di Stato vaticano – rappresenta per la Chiesa una questione fondamentale: educazione di tutti, in particolar modo di quanti si affacciano alla vita tra desideri e speranze, incertezze e insicurezze”. Si tratta di “comunicare ai giovani – sottolinea il cardinale Bertone - l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene”. Da qui l’importante missione affidata ai membri dell’UCIIM “se le sfide – osserva il porporato - restano difficili e i rapidi cambiamenti sociali obbligano ad un costante e serio aggiornamento”:

 

D. – Prof. Corradini, quali maggiori sfide sui banchi di scuola oggi? Magari ci preoccupiamo dei telefonini che squillano e non avvertiamo altri campanelli di allarme …

 

R. – Sì, il campanello di allarme fondamentale credo sia il trovare un senso alla vita, un senso tra le cose brevi, immediate, che riguardano la vita di ogni giorno e le prospettive del futuro. Ora bisogna che i ragazzi sappiano che il mondo futuro non sarà facile, sarà duro, ma attraverso la scoperta progressiva della propria capacità di emergere quotidianamente dalnon senso’ dell’esistenza c’è la possibilità di diventare adulti credibili. Gli insegnanti sono figure centrali di questa ‘operazione speranza’. In sostanza, le istituzioni sono tutte sotto stress, tutte in crisi, hanno bisogno di essere rilegittimate. Questa alleanza tra Stato e Chiesa, non più come nel Congresso di Vienna per pensare alla reazione, ma per pensare alla ricucitura degli strappi che ci sono nel nostro Paese, nella nostra democrazia, credo sia importante. A scuola combattiamo il bullismo, ma soprattutto cerchiamo di aiutare i ragazzi a capire che uno si realizza, diventa adulto, quando è capace di pensare agli altri, non quando vuole difendere se stesso e rivendicare un proprio spazio, un proprio potere.

 

D. – Ci sono sfide che interessano direttamente lo stesso corpo docente, il cardinale Bertone richiama l’“autoeducazione”. Cosa ne pensa?

 

R. – Sì, l’autoeducazione, in sostanza, è l’azione che compie una persona all’interno di se stesso. Io direi però che c’è anche l’educazione che compiono i ragazzi tra di loro. Di solito, fanno notizia gli episodi di bullismo, cioè di violenza verbale o di altro genere, che sorge tra i ragazzi. Ma l’esperienza della comunità scolastica, del gruppo di lavoro, è un’esperienza bellissima. Noi sappiamo che i ragazzi possono mettersi in contatto anche con i telefonini, con Internet, con le e-mail, per aiutarsi ad affrontare le vicende quotidiane. Quando io sono in grado di occuparmi del problema di un altro, ho risolto anche il problema di me stesso. Se ho la dignità di aiutare qualcun altro ho la gioia di sperimentare che valgo qualcosa.   

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L’ANNUNCIO DEL VANGELO E’ AL CENTRO DELLA PASTORALE DEL TURISMO:

LO RIBADISCE IL DOCUMENTO FINALE DELLA RIUNIONE DEI DIRETTORI NAZIONALI

 PER LA PASTORALE DEL TURISMO IN EUROPA

 

“L’annuncio di Gesù Cristo, il Signore, è il centro di ogni pastorale, anche di quella del turismo”. E’ quanto si legge nel documento finale, pubblicato oggi, della Riunione dei Direttori nazionali per la pastorale del turismo in Europa, organizzata lo scorso novembre a Roma dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. “Nella società europea secolarizzata e sempre più interculturale e multi-religiosa – si legge nel documento - il turismo può diventare uno strumento utile per la diffusione dei valori evangelici (e la conoscenza dei simboli caratteristici delle radici cristiane del continente) atto cioè a costruire una società più umana e pacifica. Anche una visita turistica ben guidata alle opere d’arte e ai luoghi storici della memoria può infatti essere una naturale catechesi”. Il documento raccomanda dunque di “contemplare la possibilità di presentare il cristianesimo ai turisti che non sono credenti in Cristo”. Si chiede anche di incentivare “forme originali per un turismo dalvolto nuovo’: quello gratuito, il viaggiare a basso costo, nei territori di missione, le vacanze di servizio nei Paesi poveri, il turismo ecologico, i percorsi del silenzio, l’ospitalità nei monasteri o nei centri di preghiera”. Un’azione – afferma il documento – svolta all’insegna dell’acco-glienza, in una “prospettiva ecumenica e attenta alla dimensione interreligiosa”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Un articolo di Giampaolo Mattei dal titolo “Il Successore di Pietro bussa alla Casa di Maria,icona’ eloquente del Tempo di Avvento”: il gesto di Benedetto XVI ad Efeso, durante il viaggio apostolico in Turchia, ha suscitato una forte ed essenziale esperienza spirituale.

 

Servizio estero - Nucleare: in caso di ostacoli al processo di arricchimento dell’uranio, il presidente dell’Iran minaccia di “rivedere le relazioni con gli europei”.

 

Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo “L’‘arte del non senso’ che ribaltò le regole e convenzioni del XX secolo”: al Castello Visconteo di Pavia la mostra “Dada e dadaismi del contemporaneo”.

Per l’“Osservatore libri” un articolo di Armando Rigobello dal titolo “Una riuscita connessione tra la tradizione e il pensiero moderno”: Bompiani propone la terza edizione dell’“Enciclopedia Filosofica”.  

 

Servizio italiano - In rilievo sempre il tema della finanziaria.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

5 dicembre 2006

 

 

IN LIBANO,  SINIORA E IL SUO ESECUTIVO SONO BARRICATI 

DA VENERDI’  NEL PALAZZO DEL GOVERNO:

MANIFESTANTI DI HEZBOLLAH E ALLEATI PROSIRIANI CHIEDONO LE DIMISSIONI,

MENTRE SINIORA PARLA DI TENTATIVO DI COLPO DI STATO

- Intervista con Giuseppe Bettoni -

 

Situazione delicata in Libano. E’ il quinto giorno che Fuad Siniora e  il suo esecutivo privo di sei ministri  dimissionari sono  barricati nel palazzo del governo nel  cuore di Beirut, circondati da un numero crescente di  manifestanti di Hezbollah e dei suoi alleati pro-siriani. I dimostranti  chiedono che quello che definiscono il “governo americano” di Siniora si dimetta e venga formato  un “governo di unità”' in cui le forze pro-siriane  abbiano maggior voce in capitolo. Da parte sua,  Siniora denuncia un  ''tentativo di colpo di Stato per riportare il Libano sotto la  tutela” siriana, alla quale  il premier e la sua coalizione delle ‘Forze del 14 Marzo’ avevano contribuito a porre fine con l'imponente manifestazione dopo l'assassinio dell'ex premier Hariri, nel febbraio 2005. E c’è da dire che oggi una grande folla ha preso parte a Beirut ai funerali di Ahmad Mahmud, il giovane dimostrante  sciita dell'opposizione ucciso due giorni fa in scontri con  rivali sunniti filogovernativi. A livello mediatico stiamo sottovalutando quanto sta succedendo in Libano? Fausta Speranza lo ha chiesto a Giuseppe Bettoni, docente di geopolitica all’Università  Tor Vergata di Roma:

 

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R. – Come al solito, cerchiamo di concentrarci sugli eventi  più vicini a noi o guardiamo tutto da una scala più locale: quindi, vediamo il movimento di strada sicuramente legato all’omicidio di Pierre Gemayel e il conflitto storico tra cristiani maroniti e sciiti e pensiamo che questo è il problema libanese. E’ sbagliato:noi dobbiamo  passare ad un livello più elevato di analisi, avendo bene sotto controllo i collegamenti tra Afghanistan e Pakistan da una parte; Siria, Iran ed Iraq dall’altra, con il Libano in mezzo. E soprattutto bisogna valutare sempre questo sul lungo periodo e chiederci quali sono le relazioni storiche degli sciiti con i sunniti, quali le relazioni storiche degli sciiti iraniani, in particolare, con le due fazioni sciite irachene. Fino a che ci concentreremo sui fatti più esplosivi di cronaca, capiremo sempre meno quello che accade in Medio Oriente e continueremo a parlarne male o a sottovalutarlo.

 

D. – Sembra non soltanto Siniora  “sotto assedio”, ma anche il Paese. Quanto è forte il rischio destabilizzazione?

 

R. – Il rischio destabilizzazione è sicuramente molto alto in Libano in questo momento. Va tenuto presente che per capire quello che succede o che succederà in Libano, in realtà, è necessario guardare a Damasco e non a Beirut.

 

D. – Quali le implicazioni per tutta l’area, visto che Iran e Siria stanno scendendo in campo per l’Iraq, in qualche modo, e sappiamo che a voler deporre Siniora sono proprio forze pro-siriane…

 

R. – Effettivamente la cosa è abbastanza complessa in questo momento. Perché a Beirut si muovono una serie di movimenti di piazza che avranno in ogni modo ripercussioni su Damasco e quindi Damasco vorrebbe controllarle, ma al tempo stesso ha bisogno di un rapporto molto forte con gli sciiti. Ricordiamo che Damasco è prevalentemente un partito ‘basista’ e quindi laico, legato più ai sunniti. E deve, dunque, stringere relazioni con gli sciiti iraniani per controllare gli hezbollah, che gli fanno comodo in questo momento in Libano. Quello che accadrà a Beirut, quindi, sarà il frutto di quello che accadrà prevalentemente a Damasco e nei rapporti tra Damasco e Teheran. E sto pensando appunto alle loro intenzioni di controllo della questione irachena e cioè ai rapporti tra sciiti e sunniti, che dipendono  per gli sciiti direttamente da Teheran e per i sunniti da Damasco. C’è una profonda interrelazione tra quello che accade in Iraq e nelle capitali di Siria e Iran, e tutto ciò si ripercuote automaticamente in Libano. Quindi, non si può capire la questione libanese se non si guarda a questa sinergia profonda.

 

D. – Si tratta di una situazione molto complessa. Per tentare di capire, quali punti fermi possiamo darci?

 

R. – Il primo punto fermo è la strategia americana di coinvolgere Siria ed Iran in Iraq per il controllo della situazione regionale, in maniera tale da potersi sempre più allontanare da loro. Resta da controllare la situazione iraniana per il tentativo che gli sciiti iraniani fanno di coinvolgere sempre più aree che  fino ad  oggi non erano a maggioranza sciita, come il Pakistan e l’Afghanistan: tentano ininterrottamente di allearsi con Al Qaeda, che è un movimento tipicamente sunnita e non sciita, ma non ci riescono per il momento. Ci sarebbe da porsi la domanda: cosa accadrebbe se si riuscisse a realizzare un’alleanza tra Iran e il movimento Al Qaeda? L’altro punto fermo è la volontà, ormai scientifica, di Damasco di voler controllare la parte dell’Iraq che la riguarda, che si coniuga al contempo con l’impegno a difendersi da movimenti di strada troppo violenti in Libano.

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SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA INTERNAIZONALE DEL VOLONTARIATO

- Ai nostri microfoni Umberto dal Maso e Filippo Frazzetta -

 

 “La Giornata internazione del volontariato è un opportunità per ricordare a tutti coloro che cercano di migliorare il nostro mondo che il loro contributo è sinceramente riconosciuto. Il volontariato aiuta a colmare il vuoto tra le dichiarazioni di principio e la realtà e ad aumentare l’impegno per il raggiungimento degli obiettivi”. Così il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, nella Giornata internazionale del volontariato, che si celebra oggi, ha voluto salutare quei milioni di uomini e donne che ogni giorno in tutto il mondo mettono a disposizione gratuitamente il loro tempo e il loro lavoro, per permettere a chi vive in situazioni di disagio di sperare in un domani migliore e in un futuro dignitoso. Il servizio di Marina Tomarro:

 

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Aiutare gli altri a non perdere la speranza che un domani migliore è ancora possibile: è soprattutto questa la difficile missione di milioni di volontari che ogni giorno portano il loro aiuto a quelle persone che vivono in Paesi dove senza di loro il futuro sarebbe solo un miraggio lontano. Ascoltiamo Umberto dal Maso, presidente di Volontari nel mondo FOCSIV:

 

“Le case, gli ospedali, le scuole … si potrebbero fare anche senza mandare volontari. Ma la valenza della presenza del volontario è veramente una valenza fondamentale tra Nord e Sud. L’esperienza del volontario ti cambia talmente tanto, dentro, che poi dopo, una volta rientrato in patria, vedi comunque il mondo in una dimensione e in una prospettiva diversa. La grande scelta dei nostri organismi è quella di fare una proposta di vita permanente ai volontari, non intendendo con questo andare in Africa per 30 anni, ma dire ‘siate fedeli all’essenzialità della vita che scoprite e a quella malattia che vi colpisce la pancia, che è l’attenzione a chi è più sfortunato di te”.

 

E in questi giorni è stato assegnato anche l’Oscar del volontariato internazionale 2006. Il vincitore è Filippo Frazzetta, un giovane architetto catanese che in collaborazione con l’organismo Co.P.E. (Cooperazione Paesi Emergenti), è impegnato nella costruzione di un ospedale nel villaggio di Nyololo in Tanzania. Ascoltiamolo ai nostri microfoni:

 

“E’ una cosa bellissima ricevere questo premio, e ne sono onorato, però è tutto frutto di un team di volontari che decide d’andare in Tanzania e decide di ascoltare quali sono le necessità; è un team di persone insieme ai locali che decide di trovare la soluzione ad una serie di problemi. Quindi, la nascita di un ospedale viene fuori da una richiesta ben precisa, da un’analisi dei dati della zona e il modo di costruirlo è venuto fuori un po’ insieme, anche perché io non ho mai fatto un ospedale in Tanzania, non ho mai costruito in Tanzania e non sapevo assolutamente niente di come si potesse fare”.

 

E oltre all’ospedale Filippo ha costruito anche un orfanotrofio per i bambini della zona che non hanno più nessuno, e ha dipinto le stanze di questo edificio con colori che ricordano il continente africano: giallo come il sole, verde come la savana e azzurro come i suoi grandi laghi. “Dove c’è un desiderio, c’è una strada”, dice un vecchio proverbio della Tanzania, e Filippo, in Africa ha trovato quella giusta per realizzare il suo progetto.

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PRESENTATO OGGI A ROMA UN PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE

DI UN CENTRO DI ASSISTENZA SANITARIA NELLE BARACCOPOLI DI NAIROBI

- Intervista con il dott. Gianfranco Morino -

        

E’ stato presentato oggi in Campidoglio il progetto “Watoto Wetu”, in lingua swahili “I nostri bambini”, che mira alla realizzazione di un centro pediatrico e di un programma di assistenza, prevenzione ed educazione sanitaria a favore della popolazione delle baraccopoli di Nairobi, in Kenya. Ce ne parla il dott. Gianfranco Morino, chirurgo italiano che da più di vent’anni opera in Africa in situazioni di emergenza umanitaria davvero drammatiche. Fondatore dell'Associazione World Friends e premiato quest’anno col Nobel missionario, il dott. Morino sostiene con tenacia il progetto: l’intervista è di  Emanuela Campanile.

 

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R. – Il progetto “Watoto Wetu” dovrebbe essere un centro di riferimento per i bambini, ma non solo per i bambini ma anche per le loro mamme, delle baraccopoli di Nairobi. Adesso la necessità è soprattutto per i più poveri di trovare un piccolo centro, un piccolo ospedale dove poter andare, dove non essere rifiutati perché, almeno com’è quasi in tutta l’Africa e soprattutto nelle megalopoli, la sanità è a pagamento, per cui la stragrande maggioranza dei poveri non ha questo diritto, non ha il diritto alla salute. E muoiono fuori dagli ospedali. Ci sono ottimi ospedali a Nairobi, ma si entra con la carta di credito. Questo sarebbe un po’ il primo centro al quale i più poveri potrebbero rivolgersi in maniera assolutamente gratuita.

 

D. – Dottor Morino, lei è in Africa da vent’anni. Di questo Paese cosa ama? Cosa la spinge a rimanere lì?

 

R. – Il mio lavoro di medico che ormai è inscindibile dalla mia persona, non riuscirei a vedermi in alta maniera. E poi, mi ricordo quello che mi diceva un mio amico, che poi è morto di AIDS; diceva: “l’Africa è il luogo dove le persone si incontrano ancora”. E io penso che sia vero. Anche se anche lì, questo valeva soprattutto per l’Africa rurale, l’Africa delle campagne, dove c’è ancora famiglia, dove c’è ancora comunità, unità. Adesso, purtroppo, anche in città questo non è più tanto vero. Nelle megalopoli, soprattutto nelle baraccopoli, dove si disintegra qualsiasi valore, anche quelli della tradizione antichissima dell’Africa, ed è un pochino il ritorno, cioè, lo scopo, la sfida è proprio di ritornare a determinati valori, e quelli della comunità. Ed è quello che si sta cercando insieme, insieme alla popolazione, insieme alla gente: infatti, la stragrande maggioranza dei nostri progetti è fatta da personale locale, che ha studiato attraverso la nostra associazione, è diventato responsabile di alcuni dei progetti e ci lavora dentro.

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CHIESA E SOCIETA’

5 dicembre 2006

 

 

ENNESIMO RAPIMENTO, A BAGHDAD, DI UN SACERDOTE CATTOLICO IRACHENO:

IL PATRIARCATO DI BABILONIA DEI CALDEI LANCIA UN APPELLO AI SEQUESTRATORI

PER L’INCOLUMITA’ DI PADRE SAMY AL RAIYS

 

BAGHDAD. = Oramai è uno stillicidio sempre più preoccupante. Baghdad è stata teatro ieri di un nuovo rapimento ai danni di un sacerdote cattolico. Padre Samy Al Raiys, riferisce l’agenzia AsiaNews, è stato sequestrato da sconosciuti, che lo hanno prelevato insieme alla sua auto vicino casa. “Vi preghiamo di non fargli del male e di trattarlo bene”, è l’appello che si legge sul sito Internet del Patriarcato cattolico caldeo di Baghdad. “Consegniamo padre Samy nella mani del Signore e della Provvidenza, chiedendoGli di aiutarci a salvare l’Iraq da questi rapimenti che terrorizzano tutti, grandi e bambini”. L’appello si conclude con una invocazione alla Madonna, perché salvi padre Al Raiys “e lo faccia ritornare presto alla sua chiesa e al servizio dei fedeli”. Padre Samy era a pochi metri da casa, in via Sinaa, a Baghdad, quando è avvenuto il sequestro. Rettore del Seminario maggiore del Patriarcato caldeo, il sacerdote si stava recando alla sua chiesa di Mar Khorkhis (San Giorgio), dove di recente era stato trasferito in seguito alla chiusura del seminario stesso per questioni di sicurezza. Padre Samy è anche docente di Morale al Babel College, la Facoltà di teologia nella capitale irachena. Tra pochi giorni, hanno raccontato ad AsiaNews alcuni membri della comunità cristiana locale, il rettore avrebbe dovuto presenziare all’apertura del nuovo anno accademico del seminario. Domani, il seminario “Simon Pietro”, chiuso per la crescente insicurezza a Baghdad, avrebbe ripreso le lezioni “per una settimana di prova”. “Ora – dicono alcuni dei pochi studenti rimasti – il seminario avrà altri problemi, perché oltre alla mancanza di sicurezza e alle minacce deve sostenere l’assenza del suo rettore”. Il rapimento di padre Samy arriva ad appena una settimana dal rilascio di padre Doglas Yousef Al Bazi, parroco caldeo di Sant’Elia a Baghdad, ancora in convalescenza dopo 9 giorni di sequestro. (A.D.C.)

 

 

TENSIONE ANCORA ALTA A OAXACA, IN MESSICO, TEATRO DA SEI MESI DI UNA VASTA PROTESTA POPOLARE. LA DIOCESI INVITA LE FORZE DELL’ORDINE A NON FOMENTARE

NUOVI DISORDINI, EVITANDO ARRESTI INDISCRIMINATI TRA I MANIFESTANTI

 

OAXACA. = Il Messico cerca la riconciliazione e la riconciliazione, scrive la Chiesa locale di Oaxaca, “passa, senza dubbio, attraverso la liberazione di coloro che sono stati ingiustamente arrestati”. La lettera che reca questo appello, resa nota dalla MISNA, è della diocesi di Antequera-Oaxaca, ed è stata letta due giorni fa dall’ausiliare mons. Oscar Mario Campos Contreras. La cronaca ha superato però stamani l’invito rivolto dalla “Comisión Diocesana de Justicia y Paz”, che ha messo insieme un dossier circa casi documentati di arresti arbitrari da parte delle forze dell’ordine. Ad essere arrestato ieri, a Città del Messico, è stato Flavio Sosa, capo della “Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca” (APPO), il cartello di circa 200 organizzazioni che dallo scorso maggio protestano per chiedere le dimissioni del governatore conservatore Ulises Ruiz. Sequestro, lesioni aggravate, saccheggio e danni materiali alle infrastrutture pubbliche e private sono le accuse rivolte a Flavio Sosa, fermato ieri a Città del Messico con altri dirigenti della sua organizzazione. La diocesi di Oaxaca stigmatizzava nella sua lettera proprio questo atteggiamento delle forze dell’ordine, ritenuto - si legge - un modo per rendere ancora più acuto il conflitto. “Bisogna evitare tutto quello che alimenta lo scontro”, aveva osservato mons. Campos Contreras, giacché il conflitto esploso da oltre sei mesi rappresenta un’opportunità, per quanto “dolorosa”, di “vedere la nostra realtà con i suoi profondi squilibri sociali, economici, politici, educativi”. Iniziata nel maggio scorso come richiesta di adeguamenti salariali per circa 70 mila insegnanti, la protesta è diventata una sollevazione contro Ruiz, accusato di brogli elettorali e metodi repressivi, costata finora 13 morti e decine di feriti. (A.D.C.)

 

 

SI AGGRAVA IL DRAMMA NELLE FILIPPINE, DOPO IL DISASTROSO PASSAGGIO

DEL TIFONE DURIAN. MIGLIAIA TRA MORTI, FERITI E SENZA TETTO:

LA CARITAS ITALIANA AL LAVORO PER PORTARE SOCCORSO,

MA SERVONO CIBO E GENERI DI CONFORTO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

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ALBAY (FILIPPINE). = Quasi 1.300 tra morti e dispersi, un migliaio i feriti e 230 mila abitazioni spazzate via. Dalla colata di fango provocata dal passaggio del tifone Durian nell’est delle Filippine emergono, aggiornati dalle autorità, i dati del dramma. Un centinaio sono stati i villaggi flagellati – con il tifone che sta colpendo ora il Vietnam – e oltre 18 i milioni di dollari di danni stimati dalla Protezione civile. Tra le macerie è già in azione la Caritas Italiana. Il bilancio, da un’ottica strettamente ecclesiale, parla di 16 diocesi colpite, 7 nella regione di Bicol e 7 nel Pagolo meridionale, con quattromila famiglie di sfollati alle quali l’organismo di solidarietà della Chiesa ha già distribuito un migliaio di sacchi di riso e generi di prima necessità. L’emergenza, come di consueto, viene gestita con gli aiuti della Caritas Italiana forniti attraverso la rete di Caritas Filippine. Ed è un’emergenza, ha spiegato la sua direttrice, suor Rosanne Mallillin, che ha bisogno ancora di grandi quantità di materiale. “Cibo, tende, acqua e medicine – ha elencato - sono le necessità più urgenti degli sfollati, alle quali stiamo cercando di far fronte. Quasi tutti gli edifici pubblici sono stati scoperchiati e quindi non possono ospitare chi ormai è senza casa”. La situazione più complicata si registra nella regione di Bicol, specialmente nell’area del Golfo di Albay. “Con enorme difficoltà – ha spiegato ancora suor Mallillin – sono riuscita a contattare i responsabili Caritas a Libmanan, Legazpi e Daet. Due miei collaboratori si sono già recati sul posto per aiutare i team di emergenza parrocchiali nel monitoraggio dei danni e dei bisogni”. Per sostenere gli interventi in corso (specificando nella causale “Alluvioni Filippine 2006”) vi forniamo gli estremi previsti da Caritas Italiana: c/c postale n. 347013; c/c bancario 11113 - Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzatè 2, Padova (CIN: S ABI: 05018 CAB: 12100 Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113 - Bic: CCRTIT2T84A); c/c bancario 10080707 - Banca Intesa, p.le Gregorio VII, ROMA (CIN: D ABI: 03069 CAB: 05032 Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 - Bic: BCITITMM700).

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A PALERMO, UN SEMINARIO ORGANIZZATO DALL'ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI E DAL CONSIGLIO ITALIANO PER I RIFUGIATI DEDICATO AGLI

“ASPETTI GIURIDICI E PRATICI LEGATI AGLI SBARCHI” DEGLI IMMIGRATI

- A cura di Alessandra Zaffiro -

 

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PALERMO. = Alla fine del 2005, i rifugiati e gli altri soggetti sotto la competenza dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati erano oltre 20 milioni, dei quali 8,4 i rifugiati, 800 mila i richiedenti asilo, oltre 1 milione i rifugiati rimpatriati. Sono i dati forniti oggi dall’Alto Commissariato ONU e dal Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) nel corso del seminario sul tema “Rifugiati in alto mare: quale protezione?”. Un’occasione per presentare “Soccorso in mare”, la guida pratica con riferimenti giuridici rivolta a tutti coloro che intervengono in situazioni di salvataggio in mare. “Ciò che non si deve assolutamente fare quando si salvano vite di rifugiati – ha spiegato Laura Boldrini, portavoce dall’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati – è rimandare persone bisognose di protezione nei Paesi dai quali fuggono perché hanno timore di persecuzioni”. Il Consiglio Italiano per i Rifugiati si batte per una legge sul diritto d’asilo: “Non può esistere nessuna revisione della normativa in materia di immigrazione – ha detto il neo presidente del CIR, Savino Pezzotta - senza una contemporanea introduzione di una specifica legge sull’asilo. Una legge sulla quale in Italia si continua a discutere da sette anni e la cui assenza ci colloca in una posizione di assoluto isolamento in Europa”.

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LA PREFETTURA APOSTOLICA DEL NEPAL HA POSTO ALLO STUDIO

IL PRIMO PIANO PASTORALE NAZIONALE PER RENDERE LA CHIESA PIU’ VISIBILE

NEL NUOVO CONTESTO POLITICO DEL PAESE, CHE HA IMBOCCATO LA STRADA

DELLA DEMOCRAZIA DOPO LA GUERRA CIVILE

 

KATHMANDU. = La Prefettura apostolica del Nepal sta cominciando a preparare il suo primo piano di azione pastorale nazionale da quando è stata istituita nel 1983. L’obiettivo è di rilanciare la missione della Chiesa locale approfittando del nuovo corso politico nel Paese, che ha intrapreso la strada della democrazia e della pacificazione dopo dieci anni di guerra civile tra guerriglia maoista e governo. Quasi un centinaio tra sacerdoti, religiosi e laici, in rappresentanza di tutte le realtà ecclesiali nepalesi, si sono riuniti la settimana scorsa a Godavari per discutere con il Prefetto apostolico, padre Anthony Sharma, l’impostazione del nuovo piano pastorale alla luce degli utlimi sviluppi sociopolitici. Numerose le proposte avanzate dai partecipanti, tutti d’accordo sulla necessità di rendere la Chiesa non solo più visibile nella società nepalese, ma anche più aperta al contributo dei laici. Sono stati quindi individuati sei temi prioritari: formazione alla fede, dialogo ecumenico e interreligioso, dialogo con la società nepalese nel suo insieme, sviluppo dei media cattolici, promozione dell’educazione e di forme più dirette di evangelizzazione, nel rispetto comunque delle tradizioni religiose e culturali locali. La stesura del piano pastorale è stata affidata ad una speciale commissione mista, che si è riunita la prima volta il 2 dicembre e che avrà sei mesi di tempo per completare il lavoro. La Missione del Nepal, affidata ai Gesuiti, è stata istituita nel 1983, con territorio risultante dalla divisione della diocesi indiana di Patna ed è stata elevata al rango di Prefettura apostolica nel 1996. Nel Paese himalayano, si contano oggi tra i 6 e i 7.500 cattolici su una popolazione di circa 25 milioni di abitanti, in netta maggioranza indù. La Chiesa ha sinora concentrato le sue attività soprattutto nel campo sociale ed educativo, attività che ha sempre svolto con una certa discrezione, a causa del divieto posto ai missionari cattolici di fare proselitismo. Lo scorso maggio, tuttavia, il nuovo Parlamento convocato dal Re Gyanendra ha modificato lo status del Regno da confessionale a laico e questo potrebbe migliorare la situazione per l’apostolato cattolico. Fino ad allora il Nepal era l'unico Paese al mondo con l’induismo come religione di Stato. (L.Z.)

 

 

FIRMATO UN ACCORDO PER LA MIGLIORE COLLABORAZIONE FRA STATO E CHIESA

NEL SETTORE DEI BENI LIBRARI. CENTINAIA DI BIBLIOTECHE ECCLESIASTICHE

PARTECIPERANNO AL SERVIZIO BIBLIOTECARIO NAZIONALE (SBN)

 

ROMA. = L’Aula Magna della Conferenza episcopale italiana ha ospitato ieri la firma dell’Accordo in materia di descrizione bibliografica e trattamento delle raccolte appartenenti alle biblioteche ecclesiastiche tra la CEI e l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche del ministero per i Beni e le attività Culturali (MIBAC). “L’Accordo tra il MIBAC e la CEI – afferma un comunicato diffuso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali dell'episcopato italiano – si inserisce in un ampio quadro di rapporti intercorsi tra Stato e Chiesa in materia di beni culturali, e riconosce autorevolezza al Progetto per le Biblioteche Ecclesiastiche promosso dall’Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici a sostegno della realtà ecclesiale”. Inoltre, si legge ancora, l’Accordo “dà piena attuazione all’Intesa del 18 aprile 2000 per la conservazione e la consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche, definendo meglio la collaborazione fra Stato e Chiesa nel settore specifico dei beni librari”. L’obiettivo di questa iniziativa “è la realizzazione di una cooperazione a largo raggio mediante la partecipazione al Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) delle biblioteche ecclesiastiche, già largamente coinvolte in alcune importanti iniziative di catalogazione in ambito nazionale, quali il Censimento delle edizioni italiane del XVI secolo e il catalogo dei manoscritti”. Il progetto di costituire un Polo SBN delle biblioteche ecclesiastiche si inquadra in un più ampio progetto elaborato dalla CEI per censire tutti i beni culturali, anche artistici e archivistici, delle diocesi, spesso di grande pregio. Il progetto si rivolge a oltre 200 biblioteche diocesane e a centinaia di biblioteche ecclesiastiche degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica. (A.D.C.)

 

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24 ORE NEL MONDO

5 dicembre 2006

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Anche oggi sangue nella capitale dell’Iraq. Tre autobomba, esplose nei pressi di una stazione di servizio, hanno ucciso almeno 16 persone e ne hanno ferite 25, in un’area del sud di Baghdad, Bayaa, adetnia mista’: con sciiti e sunniti. In un altro attentato sono morte sette reclute della polizia irachena. E sempre nella capitale, o nei pressi, sono morti due militari statunitensi: uno in un attacco, l’altro in un incidente. Su quanto si sta muovendo a livello politico e diplomatico, mentre prosegue la carneficina quotidiana, il nostro servizio:

 

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Dopo il presidente Talabani e il primo ministro iracheno al Maliki, oggi anche il ministro degli Esteri iracheno Zebari ha ribadito ilno’ del suo governo a una conferenza di pace internazionale, così come proposta dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Zebari lo ha fatto offrendo invece il suo appoggio all’iniziativa araba di una “conferenza di riconciliazione nazionale”, precisando che potranno prendervi parte anche rappresentanti di altri Paesi od organizzazioni internazionali. Zebari si trova al Cairo per partecipare alla riunione del Comitato ministeriale arabo sull’Iraq, che si svolge presso la sede della Lega araba. Il ministro, che ha incontrato il presidente egiziano Mubarak ha chiesto “una più chiara presenza araba in Iraq”. Resta da dire che domani verrà presentato il rapporto Baker, sul cambio di strategia statunitense in Iraq, mentre cade un altro esponente  dell’Amministrazione Bush: dopo il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, ieri è toccato a John Bolton, il rappresentante permanente degli Stati Uniti all’ONU, favorevole alla linea dura nei confronti di Iran e Corea del Nord.

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Il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh ha sollecitato la ripresa del dialogo per la formazione di un governo di unità nazionale, pur ribadendo che il suo movimento, Hamas, non farà “nessuna concessione”, quale il riconoscimento di Israele. Parlando in serata a circa 2.000 palestinesi nel campo  profughi di Yarmuk, 15 km a sud di Damasco, alla presenza di  responsabili di gruppi palestinesi di base in Siria, Haniyeh ha detto di voler far scontare a “coloro che vogliono sospendere  il dialogo le conseguenze” della rottura. Il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) ha annunciato a fine novembre la sospensione del dialogo dopo il fallimento di colloqui sulla formazione di un governo di unità nazionale, persistendo il movimento radicale nel rifiuto di riconoscere lo Stato ebraico e i precedenti accordi israelo-palestinesi. 

 

Intanto in Israele ha destato immediate polemiche la decisione del ministro dell’Istruzione Yuli Tamir di indicare nei nuovi testi di studio la linea di demarcazione fra Israele e i Territori, in vigore fra il 1949 e il 1967. “I nostri allievi - ha detto Tamir (laburista, ex dirigente del movimento Pace Adesso) - devono comprendere la realtà così come era fino al 1967”, quando Israele occupò la Cisgiordania, le alture del Golan e il Sinai. Nel corso degli anni Israele ha lasciato il Sinai, parte del Golan e la striscia di Gaza. Nei libri la ‘Linea Verde’ (ossia la linea di demarcazione in vigore  fino al 1967) è andata scomparendo. “E’ necessario - ha aggiunto Tamir - che gli allievi comprendano a fondo le conseguenze della guerra dei sei giorni (1967) e la risoluzione 242 delle Nazioni Unite” che enuncia il principio della pace in cambio dei territori occupati. Ma l’iniziativa del ministro non è piaciuta ai partiti di destra che vi hanno visto un implicito tentativo di delegittimare gli insediamenti ebraici in Cisgiordania.

 

L’Iran “rivedrà le sue relazioni” con alcuni Paesi europei se questi “insisteranno a porre ostacoli” al programma nucleare di Teheran. Lo ha detto oggi il presidente Mahmud Ahmadinejad. L’avvertimento di Ahmadinejad, che parlava in un comizio in una provincia settentrionale, è arrivato poche ore prima di una riunione a Parigi dei sei Paesi che conducono il confronto con Teheran sul suo programma nucleare: USA, Russia, Cina, Francia, Germania e Gran Bretagna. Il ministro degli Esteri francese, Douste-Blazy, ha detto ieri che un accordo dovrebbe essere raggiunto in questa sede per sanzioni contro la Repubblica islamica, che ha ignorato una richiesta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU di sospendere entro il 31 agosto scorso l’arricchimento dell’uranio.    

 

In Italia, la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex direttore del SISMI, Nicolò Pollari, e di altre 34 persone per la vicenda del sequestro dell’ex imam di Milano, Abu Omar. La richiesta di rinvio a giudizio riguarda 26 agenti CIA, 5 funzionari del Sismi, tra cui lo stesso Pollari,ed un ex carabiniere del ROS, tutti  accusati di concorso in sequestro di persona. E’ stato invece chiesto il rinvio a giudizio per favoreggiamento di altri due funzionari del SISMI e del vice direttore del quotidiano Libero, Renato  Farina. Chiesta infine l’archiviazione, invece, per altri tre funzionari del servizio segreto militare, inizialmente accusati del sequestro, e di un cronista del quotidiano Libero, indagato, invece, per favoreggiamento.

 

Il premier turco Tayyip Erdogan ha detto oggi al cancelliere tedesco, Angela Merkel, da gennaio presidente di turno dell’Unione Europea, che sarebbe “un errore storico” sospendere il negoziato con la Turchia, dato che - ha detto – “a perderci sarebbe soprattutto l’Europa”. Lo ha fatto in vista del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’11 dicembre e del Vertice dell’UE del 14 e 15 dicembre. In queste sedi politiche, i 25 Paesi dell’UE dovrebbero decidere, all’unanimità, se confermare o meno la raccomandazione della Commissione dell’UE di sospendere il  negoziato con la Turchia su 8 dei 35 capitoli negoziali, oltre che bloccare la conclusione di tutti i capitoli negoziali fino a  quando la Turchia non abbia aperto i suoi scali aerei e  marittimi alle merci provenienti da Cipro greca.

 

Il capo delle forze armate delle Isole Figi, commodoro Frank Bainimarama, che con un colpo di Stato ha rovesciato oggi il premier Laisenia Qarase, ha annunciato di aver assunto il ruolo di presidente della Repubblica ed ha annunciato la nomina di un governo provvisorio, in attesa di elezioni. Il premier ad interim sarà Jona Baravilala Senilagakali, un medico che non è membro delle Forze armate e non ha un passato come politico. Bainimarama ha fatto appello alla popolazione perché resti calma ed alle aziende, negozi ed uffici perché continuino ad operare, assicurando che la presa di controllo militare non sarà permanente.  Secondo il commodoro, il rifiuto del premier Qarase di accettare la richiesta del presidente Ratu Josefa Iloilo di dimettersi, lasciava le Figi in una situazione di stallo e lo ha costretto ad agire.

 

Un uomo ha sparato con un’arma automatica questa mattina all’alba contro l’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale yemenita Sanaa e i poliziotti di  guardia hanno risposto ferendolo. Lo ha annunciato la polizia yemenita precisando che l’uomo è stato arrestato ma senza fornire ulteriori dettagli.

 

I medici dell’ex premier russo Egor Gaidar, ammalato da qualche tempo, hanno constatato “sintomi che non corrispondono ad alcuna malattia conosciuta” ma che non si possono ricondurre “senza ambiguità” ad un avvelenamento, poiché non sono state trovate “sostanze tossiche”. Lo ha annunciato oggi un comunicato dell’Istituto che ha in cura Gaidar.

 

Gli Stati Uniti hanno respinto l’offerta di dialogo lanciata sabato scorso da Raul Castro, definito un “dittatore in potenza”, nonostante che alcuni esperti ritengano che l’assenza dal potere di suo fratello Fidel crei un contesto favorevole a discussioni tra i due Paesi. “Non vedo come si potrebbe far avanzare la causa della democrazia in questo Paese aprendo il dialogo con un dittatore in potenza, che vuole proseguire il sistema di governo che è servito a reprimere il popolo cubano per decenni”, ha dichiarato in serata il portavoce del dipartimento di Stato, Sean  McCormack. “Il dialogo che deve aprirsi, è quello con il popolo cubano”.  Raul Castro aveva scelto sabato scorso, 2 dicembre, una data simbolica - quella del 50.mo anniversario dello sbarco a Cuba di Fidel Castro e dei suoi guerriglieri - per proporre l’avvio di un dialogo tra i due Paesi. Quattro mesi dopo il temporaneo passaggio di poteri tra i due fratelli, l’assenza delLider Maximo’ alle cerimonie che si sono svolte all’Avana nel fine settimana per il suo 80.mo  compleanno, dimostra che egli è “in cattiva salute” e che “tutto è nelle mani di suo fratello”, ha commentato un’altra esperta, Ana Faya, della Fondazione canadese per l’America Latina (Focal). Nell’agosto scorso, Raul Castro, 75 anni, aveva già fatto una proposta simile, in un’intervista al quotidiano ufficiale cubano ‘Granma’.

 

Le Nazioni Unite hanno nominato Joaquim Chissano, ex presidente del Mozambico, proprio inviato speciale per tentare di rilanciare i negoziati tra governo ugandese e ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), in corso da mesi a Juba (Sud Sudan), che appaiono in una preoccupante fase di stallo. Lo rende noto la BBC on line. La ribellione nel Nord dell’Uganda, durata oltre 20 anni, ed adesso praticamente ferma, salvo rari colpi di coda, ha causato centinaia di migliaia di vittime tra i civili, almeno 20.000 bimbi rapiti e ridotti in schiavitù, e – tra orrori senza fine – costretto oltre 1,5 milioni di persone a rifugiarsi in campi profughi dove manca anche l’indispensabile per sopravvivere. I negoziati di Juba vanno avanti con molta fatica, e tra veti reciproci e concreti. Ora si spera che l’intervento di Chissano possa cambiare la pericolosa deriva.

 

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