RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 339 - Testo
della trasmissione di martedì 5 dicembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Lettera del
cardinale Bertone al presidente dell’UCIIM: con noi,
il prof. Luciano Corradini
OGGI IN PRIMO PIANO:
In Libano,
gli hezbollah chiedono le dimissioni del premier Siniora: il commento di Giuseppe Bettoni
CHIESA E SOCIETA’:
Ennesimo rapimento, a Baghdad,
di un sacerdote cattolico iracheno
Tensione
ancora alta a Oaxaca, in Messico, teatro da sei mesi
di una vasta protesta popolare
Seminario,
oggi a Palermo, dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
Altre decine di morti nelle violenze odierne a Baghdad
5 dicembre 2006
A POCHI GIORNI DALLA
VISITA DEL PRIMATE DELLA CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA
AL PAPA, RIPERCORRIAMO I GESTI ECUMENICI DI
BENEDETTO XVI,
CHE
FIN DALL’INIZIODEL PONTIFICATO HA DEFINITO PRIORITARIO
IL SUO
IMPEGNO PER RAGGIUNGERE L’UNITA’ VISIBILE DEI SEGUACI DI CRISTO
Un nuovo passo sulla via dell’ecumenismo: come annunciato
ieri, l’arcivescovo di Atene e di tutta la
Grecia, Sua Beatitudine Christodoulos, farà visita a Benedetto XVI e alla Chiesa di Roma dal 13 al 16 dicembre prossimi. Evento che a ragione si può
definire storico, giacché rappresenta la
prima volta che il Primate della
Chiesa Ortodossa di Grecia si reca in visita ufficiale al Papa. Si intensificano dunque gli incontri di carattere
ecumenico di Benedetto XVI, che fin dai primi passi del suo Pontificato ha
sottolineato quanto la ricerca dell’unità tra i seguaci di Cristo sia
un’assoluta priorità. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e
smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che
è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo”: è il 20 aprile
del 2005 quando Benedetto XVI pronuncia queste parole,
nella Cappella Sistina. Sono passate meno di 24 ore da quando
il cardinale Joseph Ratzinger
è stato eletto 264.mo
Successore di Pietro. E questi gesti, il Papa li compie subito con coraggio,
indicando che quello ecumenico sarà l’impegno “primario” del suo Pontificato.
Così, nel suo primo viaggio apostolico internazionale, nella sua terra natale
per la Giornata Mondiale della Gioventù, Benedetto XVI vuole che venga inserito anche un appuntamento ecumenico. “Le nostre
divisioni – afferma nell’arcivescovado di Colonia – sono in contrasto con la
volontà di Gesù e ci rendono inattendibili davanti agli uomini”. Ed esorta
tutti i fedeli ad impegnarsi “con rinnovata energia e dedizione a recare una
testimonianza comune”.
E una rinnovata energia caratterizza i tanti e
significativi incontri ecumenici del Papa, in questo ultimo scorcio del 2006.
Benedetto XVI riceve il 17 novembre i partecipanti alla plenaria del Pontificio
Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Innanzitutto, avverte il Pontefice, va
promosso “l’ecumenismo dell’amore, che discende direttamente dal comandamento
nuovo lasciato da Gesù ai suoi discepoli”:
“L’amore
accompagnato da gesti coerenti crea fiducia, fa aprire i cuori e gli occhi. Il
dialogo della carità per sua natura promuove e illumina il dialogo della
verità: è infatti nella piena verità che si avrà
l’incontro definitivo a cui conduce lo Spirito di Cristo”.
Passano pochi
giorni e, il 23 novembre, il Papa accoglie in Vaticano l’arcivescovo di Canterbury,
Rowan Williams. Al Primate della Comunione anglicana,
il Pontefice non nasconde le difficoltà presenti nel raggiungimento della piena
e visibile unità dei cristiani, ma riconosce anche che
le buone relazioni tra anglicani e cattolici
hanno dato vita a quello che definisce “un contesto nuovo”. E in questo
clima, va anche inserita la riunione, a settembre, a Belgrado della Commissione
mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa. Un evento importante dopo una interruzione
durata sei anni.
E’ poi la volta dell’abbraccio fraterno con Bartolomeo I
ad Istanbul, momento culminante della dimensione ecumenica del viaggio apostolico
in Turchia, dei giorni scorsi. Al Fanar, sede del
Patriarcato ecumenico, il Papa invita cattolici ed ortodossi a collaborare per
la “comunione nella carità e nella verità”. E ancora una volta, rinnova
l’esortazione a “prendere parte attivamente a questo processo con la preghiera
e con gesti significativi”. Poi, nella Cattedrale dello Spirito Santo di
Istanbul, ribadisce che la “prospettiva ecumenica” è al primo posto delle sue
“preoccupazioni ecclesiali”. Sempre ad Istanbul, Benedetto XVI incontra il Patriarca
armeno apostolico Mesrob II. Le “tragiche divisioni”
sorte lungo il tempo fra i seguaci di Cristo, è il suo monito, “contraddicono
apertamente” la volontà del Signore e sono di “scandalo al mondo”. E ancora una
volta, invoca gesti capaci di “curare le ferite della separazione”.
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NOMINE
Il Santo Padre ha nominato vescovo di Hwange,
in Zimbabwe, padre Alberto Serrano, dell’Istituto
Spagnolo di San Francesco Saverio per le Missioni Estere, amministratore
diocesano, già vicario generale della medesima diocesi. Padre Alberto Serrano è
nato il 14 aprile
In Argentina, il Papa ha nominato vescovo di San Miguel mons. Sergio Alfredo Fenoy,
finora vescovo titolare di Satafis ed ausiliare di
Rosario. Mons. Sergio Alfredo Fenoy
è nato a Rosario, provincia di Santa Fe, il 19 maggio
1959. E’ stato ordinato sacerdote il 2 dicembre 1983. Nel
Sempre in Argentina, il Santo Padre ha nominato vescovo di
Santo Tomé mons. Hugo
Santiago, vicario episcopale di Rafaela e parroco di San Guillermo.
Mons. Hugo Santiago é nato
il 12 aprile del 1954 nella località di María Juana (nella provincia di Santa Fe).
E’ stato ordinato sacerdote il 19 dicembre del 1985. Nel 1999 ha conseguito
Il Papa ha nominato Consultori della sezione straordinaria
dell’Amministra-zione del Patrimonio della Sede Apostolica il dott. Carlo Gilardi (Italia), il dott. Peter
D. Sutherland (Irlanda) e il dott. Robert J. McCann (Stati Uniti
d’America).
IL
DIALOGO TRA CINA E SANTA SEDE CONTINUA:
GLI
ULTIMI AVVENIMENTI SONO INCIDENTI DI PERCORSO.
È QUANTO HA AFFERMATO IL CARDINALE TARCISIO
BERTONE,
AL
TERMINE DI UN ATTO ACCADEMICO DELL’UNIVERSITÀ URBANIANA
“Comunicare la fede: la missione della Chiesa nel tempo di
Francesco Saverio e nel nostro tempo” è stato il tema dell’intervento odierno
del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone
alla Pontificia Università Lateranense, per l’atto
accademico che ha chiuso le celebrazioni del quinto centenario della nascita
del Patrono delle missioni. Ma al margine dell’evento il porporato si è
soffermato a parlare con i giornalisti anche dei rapporti
della Santa Sede con la
Cina e
con il Patriarcato di Mosca. Il servizio di Tiziana Campisi.
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La profonda accelerazione della socialità umana cui oggi
assistiamo può essere paragonata a quella dei tempi di San Francesco Saverio,
ma accanto al progresso che ha annullato le distanze si registrano una
difficoltà e una crisi delle istituzioni sociali e politiche che sono sotto gli
occhi di tutti. Nel ripercorrere le tappe del Patrono delle missioni il cardinale
Tarcisio Bertone ha voluto sottolineare che se queste
nel XVI secolo hanno fatto conoscere all’Oriente il cristianesimo, oggi
quest’ultimo, proprio nelle terre da cui le missioni sono partite, vive una profonda
crisi:
“La secolarizzazione ha prodotto un mutamento profondo
nelle dinamiche della vita delle terre di più antica cristianità; disfacendo
l’unità organica della vita cristiana, ne ha rimesso in questione il valore
umanistico, salvandola soltanto come riserva di solidarietà per i più gravi
bisogni”.
E il risultato, ha affermato il porporato, è che
“La missione, insieme alla proclamazione del Vangelo di
Gesù Signore, deve ribadirne oggi anche il valore antropologico e la sensatezza
sociale”.
Da qui
dunque deve essere tracciato il compito della Chiesa, ha detto ancora il
porporato, che deve essere aperta positivamente alle trasformazioni in atto ed
attenta alla complessità delle situazioni in cui la missione si trova oggi. È
una Chiesa che vuole coltivare il dialogo interreligioso quella del Terzo
Millennio, ha proseguito il cardinal Bertone, chiamata
ad ascoltare e a seguire quello Spirito che soffia dove vuole e che dunque
vuole superare ogni barriera, che vuole cercare in ogni cosa di servire l’amore
di Dio. Al termine dell’atto accademico i giornalisti hanno posto alcune
domande al porporato, a partire dal dialogo tra
D. – Eminenza, se si trovasse di fronte il presidente
cinese Hu Jintao cosa gli chiederebbe?
R. – Gli chiederei come pensa di portare avanti lo sviluppo
della Cina non pensando solo allo sviluppo economico
ma anche ad un grande sviluppo culturale secondo la tradizione del grande popolo
cinese e anche a un dialogo interreligioso e interculturale; come
D. – E a proposito delle relazioni diplomatiche fra Cina e
Santa Sede?
R. – Le relazioni diplomatiche sono ‘in mente Dei’, nel futuro, e credo che siano
nel futuro anche dei progetti dei governanti cinesi, anche se hanno i tempi e i
ritmi necessari per essere impostate e per essere poi
realizzate.
D. – Ma ci sono trattative in corso?
R. – Ma voi sapete tutto e certamente i colloqui
continuano e quindi il dialogo su questo punto con
D. – Il Patriarca di Mosca Alessio II ha chiesto oggi alla
Chiesa cattolica di limitare il proselitismo in Russia …
R. – Non conosco il testo di Alessio II e quindi non posso
pronunciarmi, ma credo che i rapporti tra il Patriarcato di Mosca e
D. – Si è appena chiuso con successo il viaggio in Turchia
e si guarda al prossimo viaggio in Brasile, un’altra grande sfida per Benedetto
XVI …
R. – Nell’America Latina c’è la sfida della nuova
evangelizzazione, pensiamo anche alla sfida delle sette e alle sfide delle
situazioni dei popoli latino-americani dove la Chiesa … deve agire sulla via
della carità sociale e sulla via dell’evangelizzazione.
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LE DIFFICILI SFIDE ED I RAPIDI CAMBIAMENTI
SOCIALI OBBLIGANO GLI INSEGNANTI
NELLE
SCUOLE AD UN COSTANTE E SERIO AGGGIORNAMENTO:
LETTERA
DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE AL PRESIDENTE DELL’UCIIM
-
Intervista con il prof. Luciano Corradini -
“Educare nella scuola. Nuovi scenari, nuove
responsabilità”: su questo tema si sono confrontati nei giorni scorsi a Roma i
partecipanti al Congresso nazionale dall’UCIIM, l’Unione cattolica italiana
degli insegnanti medi, associazione fondata nel 1944 dal prof. Gesualdo Nosengo, convinto che scuola e democrazia costituiscano il
cardine dello sviluppo di ogni nazione e popolo. Da qui l’incoraggiamento fatto
pervenire dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone,
a nome di Benedetto XVI, all’attuale presidente
dell’UCIIM, il prof. Luciano Corradini. Servizio di
Roberta Gisotti.
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“L’educazione –
scrive il segretario di Stato vaticano – rappresenta per
D. – Prof. Corradini,
quali maggiori sfide sui banchi di scuola oggi? Magari ci preoccupiamo dei
telefonini che squillano e non avvertiamo altri campanelli di allarme …
R. – Sì, il campanello di allarme fondamentale credo sia
il trovare un senso alla vita, un senso tra le cose brevi, immediate, che
riguardano la vita di ogni giorno e le prospettive del futuro. Ora bisogna che
i ragazzi sappiano che il mondo futuro non sarà facile, sarà duro, ma
attraverso la scoperta progressiva della propria capacità di emergere quotidianamente
dal ‘non senso’
dell’esistenza c’è la possibilità di diventare adulti credibili. Gli insegnanti
sono figure centrali di questa ‘operazione speranza’.
In sostanza, le istituzioni sono tutte sotto stress, tutte in crisi, hanno
bisogno di essere rilegittimate. Questa alleanza tra
Stato e Chiesa, non più come nel Congresso di Vienna per pensare alla reazione,
ma per pensare alla ricucitura degli strappi che ci sono nel nostro Paese,
nella nostra democrazia, credo sia importante. A scuola combattiamo il bullismo, ma soprattutto cerchiamo di aiutare i ragazzi a
capire che uno si realizza, diventa adulto, quando è capace di pensare agli
altri, non quando vuole difendere se stesso e
rivendicare un proprio spazio, un proprio potere.
D. – Ci sono sfide che interessano direttamente lo stesso
corpo docente, il cardinale Bertone richiama l’“autoeducazione”. Cosa ne pensa?
R. – Sì, l’autoeducazione, in
sostanza, è l’azione che compie una persona all’interno di se stesso. Io direi
però che c’è anche l’educazione che compiono i ragazzi tra di
loro. Di solito, fanno notizia gli episodi di bullismo,
cioè di violenza verbale o di altro genere, che sorge tra i ragazzi. Ma
l’esperienza della comunità scolastica, del gruppo di lavoro, è un’esperienza
bellissima. Noi sappiamo che i ragazzi possono mettersi in contatto anche con i
telefonini, con Internet, con le e-mail, per aiutarsi ad affrontare le vicende
quotidiane. Quando io sono in grado di occuparmi del problema di un altro, ho risolto
anche il problema di me stesso. Se ho la dignità di aiutare qualcun altro ho la
gioia di sperimentare che valgo qualcosa.
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L’ANNUNCIO DEL VANGELO E’ AL CENTRO DELLA
PASTORALE DEL TURISMO:
LO
RIBADISCE IL DOCUMENTO FINALE DELLA RIUNIONE DEI DIRETTORI NAZIONALI
PER
“L’annuncio di Gesù Cristo, il Signore, è il centro di
ogni pastorale, anche di quella del turismo”. E’ quanto si legge nel documento
finale, pubblicato oggi, della Riunione dei Direttori nazionali per la
pastorale del turismo in Europa, organizzata lo scorso novembre a Roma dal
Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. “Nella
società europea secolarizzata e sempre più interculturale e multi-religiosa
– si legge nel documento - il turismo può diventare uno strumento utile per la
diffusione dei valori evangelici (e la conoscenza dei simboli caratteristici
delle radici cristiane del continente) atto cioè a costruire una società più
umana e pacifica. Anche una visita turistica ben guidata alle opere d’arte e ai
luoghi storici della memoria può infatti essere una
naturale catechesi”. Il documento raccomanda dunque di “contemplare la
possibilità di presentare il cristianesimo ai turisti che non sono credenti in
Cristo”. Si chiede anche di incentivare “forme originali per un turismo dal ‘volto nuovo’: quello gratuito,
il viaggiare a basso costo, nei territori di missione, le vacanze di servizio
nei Paesi poveri, il turismo ecologico, i percorsi del silenzio, l’ospitalità
nei monasteri o nei centri di preghiera”. Un’azione – afferma il documento –
svolta all’insegna dell’acco-glienza, in una “prospettiva ecumenica e attenta
alla dimensione interreligiosa”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Un articolo di Giampaolo Mattei dal titolo “Il Successore di Pietro bussa alla Casa
di Maria, ‘icona’ eloquente del Tempo di Avvento”: il
gesto di Benedetto XVI ad Efeso, durante il viaggio apostolico in Turchia, ha
suscitato una forte ed essenziale esperienza spirituale.
Servizio estero - Nucleare: in caso di ostacoli al
processo di arricchimento dell’uranio, il presidente dell’Iran minaccia di “rivedere
le relazioni con gli europei”.
Servizio culturale - Un articolo di Susanna Paparatti dal titolo “L’‘arte del non senso’
che ribaltò le regole e convenzioni del XX secolo”: al Castello Visconteo
di Pavia la mostra “Dada e dadaismi del contemporaneo”.
Per l’“Osservatore libri” un articolo di Armando Rigobello dal titolo “Una riuscita connessione tra la
tradizione e il pensiero moderno”: Bompiani propone
la terza edizione dell’“Enciclopedia Filosofica”.
Servizio italiano - In rilievo sempre il tema della
finanziaria.
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5 dicembre 2006
IN
LIBANO, SINIORA
E IL SUO ESECUTIVO SONO BARRICATI
DA
VENERDI’ NEL
PALAZZO DEL GOVERNO:
MANIFESTANTI
DI HEZBOLLAH E ALLEATI PROSIRIANI CHIEDONO LE DIMISSIONI,
MENTRE
SINIORA PARLA DI TENTATIVO DI COLPO DI STATO
-
Intervista con Giuseppe Bettoni -
Situazione delicata in Libano. E’ il quinto giorno che Fuad Siniora e il suo esecutivo privo di sei ministri dimissionari sono barricati nel palazzo del governo nel cuore di Beirut, circondati da un numero
crescente di manifestanti di Hezbollah e
dei suoi alleati pro-siriani. I dimostranti chiedono che quello che definiscono il
“governo americano” di Siniora si dimetta e venga formato un “governo di unità”' in cui le forze
pro-siriane abbiano maggior voce in
capitolo. Da parte sua,
Siniora denuncia un
''tentativo di colpo di Stato per riportare il Libano sotto la tutela” siriana, alla quale il premier e la sua coalizione delle ‘Forze
del 14 Marzo’ avevano contribuito a porre fine con
l'imponente manifestazione dopo l'assassinio dell'ex premier Hariri, nel febbraio 2005. E c’è da dire che oggi una
grande folla ha preso parte a Beirut ai funerali di Ahmad
Mahmud, il giovane dimostrante sciita dell'opposizione ucciso due
giorni fa in scontri con rivali sunniti filogovernativi. A livello mediatico
stiamo sottovalutando quanto sta succedendo in Libano? Fausta Speranza lo ha
chiesto a Giuseppe Bettoni, docente di geopolitica
all’Università Tor Vergata di Roma:
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R. – Come al solito, cerchiamo di
concentrarci sugli eventi più vicini a
noi o guardiamo tutto da una scala più locale: quindi, vediamo il movimento di
strada sicuramente legato all’omicidio di Pierre Gemayel
e il conflitto storico tra cristiani maroniti e sciiti e pensiamo che questo è
il problema libanese. E’ sbagliato:noi dobbiamo passare ad un livello più elevato di analisi,
avendo bene sotto controllo i collegamenti tra Afghanistan e Pakistan da una
parte; Siria, Iran ed Iraq dall’altra, con il Libano in mezzo. E soprattutto
bisogna valutare sempre questo sul lungo periodo e chiederci quali sono le
relazioni storiche degli sciiti con i sunniti, quali le relazioni storiche
degli sciiti iraniani, in particolare, con le due fazioni sciite irachene. Fino
a che ci concentreremo sui fatti più esplosivi di cronaca, capiremo sempre meno
quello che accade in Medio Oriente e continueremo a parlarne male o a sottovalutarlo.
D. – Sembra non soltanto Siniora “sotto assedio”, ma anche il Paese.
Quanto è forte il rischio destabilizzazione?
R. – Il rischio destabilizzazione è sicuramente molto alto
in Libano in questo momento. Va tenuto presente che per capire quello che
succede o che succederà in Libano, in realtà, è necessario guardare a Damasco e
non a Beirut.
D. – Quali le implicazioni per tutta l’area, visto che
Iran e Siria stanno scendendo in campo per l’Iraq, in qualche modo, e sappiamo
che a voler deporre Siniora sono proprio forze pro-siriane…
R. – Effettivamente la cosa è abbastanza complessa in
questo momento. Perché a Beirut si muovono una serie di movimenti di piazza che
avranno in ogni modo ripercussioni su Damasco e quindi Damasco vorrebbe controllarle,
ma al tempo stesso ha bisogno di un rapporto molto forte con gli sciiti.
Ricordiamo che Damasco è prevalentemente un partito ‘basista’ e quindi laico,
legato più ai sunniti. E deve, dunque, stringere relazioni con gli sciiti
iraniani per controllare gli hezbollah, che gli fanno comodo in questo momento
in Libano. Quello che accadrà a Beirut, quindi, sarà il frutto di quello che
accadrà prevalentemente a Damasco e nei rapporti tra Damasco e Teheran. E sto pensando appunto alle loro intenzioni di
controllo della questione irachena e cioè ai rapporti tra sciiti e sunniti, che
dipendono per
gli sciiti direttamente da Teheran e per i sunniti da
Damasco. C’è una profonda interrelazione tra quello che accade in Iraq e nelle
capitali di Siria e Iran, e tutto ciò si ripercuote automaticamente in Libano.
Quindi, non si può capire la questione libanese se non si guarda a questa
sinergia profonda.
D. – Si tratta di una situazione molto complessa. Per
tentare di capire, quali punti fermi possiamo darci?
R. – Il primo punto fermo è la strategia americana di
coinvolgere Siria ed Iran in Iraq per il controllo della situazione regionale,
in maniera tale da potersi sempre più allontanare da loro. Resta da controllare
la situazione iraniana per il tentativo che gli sciiti iraniani fanno di
coinvolgere sempre più aree che fino ad oggi non erano a maggioranza sciita, come il
Pakistan e l’Afghanistan: tentano ininterrottamente di allearsi con Al Qaeda,
che è un movimento tipicamente sunnita e non sciita, ma non ci riescono per il
momento. Ci sarebbe da porsi la domanda: cosa accadrebbe se si riuscisse a
realizzare un’alleanza tra Iran e il movimento Al Qaeda? L’altro punto fermo è
la volontà, ormai scientifica, di Damasco di voler controllare la parte
dell’Iraq che la riguarda, che si coniuga al contempo con l’impegno a difendersi
da movimenti di strada troppo violenti in Libano.
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SI
CELEBRA OGGI LA GIORNATA INTERNAIZONALE DEL
VOLONTARIATO
- Ai
nostri microfoni Umberto dal Maso e Filippo Frazzetta
-
“La Giornata internazione del volontariato è un opportunità per ricordare a tutti coloro che cercano di
migliorare il nostro mondo che il loro contributo è sinceramente riconosciuto.
Il volontariato aiuta a colmare il vuoto tra le dichiarazioni di principio e la
realtà e ad aumentare l’impegno per il raggiungimento degli obiettivi”. Così il
segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, nella Giornata internazionale del volontariato, che
si celebra oggi, ha voluto salutare quei milioni di uomini e donne che ogni
giorno in tutto il mondo mettono a disposizione gratuitamente il loro tempo e
il loro lavoro, per permettere a chi vive in situazioni di disagio di sperare
in un domani migliore e in un futuro dignitoso. Il servizio di Marina Tomarro:
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Aiutare gli altri a non perdere la speranza che un domani
migliore è ancora possibile: è soprattutto questa la difficile missione di
milioni di volontari che ogni giorno portano il loro aiuto a quelle persone che
vivono in Paesi dove senza di loro il futuro sarebbe solo un miraggio lontano.
Ascoltiamo Umberto dal Maso, presidente di Volontari nel mondo FOCSIV:
“Le case, gli ospedali, le scuole … si potrebbero fare
anche senza mandare volontari. Ma la valenza della presenza del volontario è
veramente una valenza fondamentale tra Nord e Sud. L’esperienza del volontario
ti cambia talmente tanto, dentro, che poi dopo, una volta
rientrato in patria, vedi comunque il mondo in una dimensione e in una
prospettiva diversa. La grande scelta dei nostri organismi è quella di fare una
proposta di vita permanente ai volontari, non intendendo con questo andare in
Africa per 30 anni, ma dire ‘siate fedeli all’essenzialità della vita che
scoprite e a quella malattia che vi colpisce la pancia, che è l’attenzione a
chi è più sfortunato di te”.
E in questi giorni è stato assegnato anche l’Oscar del
volontariato internazionale 2006. Il vincitore è Filippo Frazzetta,
un giovane architetto catanese che in collaborazione
con l’organismo Co.P.E. (Cooperazione Paesi
Emergenti), è impegnato nella costruzione di un ospedale nel villaggio di Nyololo in Tanzania. Ascoltiamolo ai nostri microfoni:
“E’ una cosa bellissima ricevere questo premio, e ne sono
onorato, però è tutto frutto di un team di volontari che decide d’andare in
Tanzania e decide di ascoltare quali sono le necessità; è un team di persone
insieme ai locali che decide di trovare la soluzione ad una serie di problemi.
Quindi, la nascita di un ospedale viene fuori da una
richiesta ben precisa, da un’analisi dei dati della zona e il modo di
costruirlo è venuto fuori un po’ insieme, anche perché io non ho mai fatto un
ospedale in Tanzania, non ho mai costruito in Tanzania e non sapevo assolutamente
niente di come si potesse fare”.
E oltre all’ospedale Filippo ha costruito anche un
orfanotrofio per i bambini della zona che non hanno più nessuno, e ha dipinto
le stanze di questo edificio con colori che ricordano il continente africano:
giallo come il sole, verde come la savana e azzurro come i suoi grandi laghi.
“Dove c’è un desiderio, c’è una strada”, dice un vecchio proverbio della Tanzania,
e Filippo, in Africa ha trovato quella giusta per realizzare il suo progetto.
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PRESENTATO OGGI A ROMA UN PROGETTO PER
DI UN CENTRO DI ASSISTENZA SANITARIA NELLE BARACCOPOLI DI NAIROBI
- Intervista con il dott. Gianfranco Morino -
E’ stato presentato
oggi in Campidoglio il progetto “Watoto Wetu”, in lingua swahili “I nostri
bambini”, che mira alla realizzazione di un centro pediatrico e di un
programma di assistenza, prevenzione ed educazione
sanitaria a favore della popolazione delle baraccopoli di Nairobi, in Kenya. Ce
ne parla il dott. Gianfranco Morino, chirurgo
italiano che da più di vent’anni opera in Africa in situazioni di emergenza
umanitaria davvero drammatiche. Fondatore dell'Associazione World Friends
e premiato quest’anno col Nobel missionario, il dott. Morino sostiene con
tenacia il progetto: l’intervista è di Emanuela Campanile.
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R. – Il progetto “Watoto Wetu” dovrebbe essere un
centro di riferimento per i bambini, ma non solo per i bambini ma anche per le
loro mamme, delle baraccopoli di Nairobi. Adesso la necessità è soprattutto per
i più poveri di trovare un piccolo centro, un piccolo
ospedale dove poter andare, dove non essere rifiutati perché, almeno com’è
quasi in tutta l’Africa e soprattutto nelle megalopoli, la sanità è a
pagamento, per cui la stragrande maggioranza dei poveri non ha questo diritto,
non ha il diritto alla salute. E muoiono fuori dagli
ospedali. Ci sono ottimi ospedali a Nairobi, ma si entra con la carta di credito.
Questo sarebbe un po’ il primo centro al quale i più poveri potrebbero
rivolgersi in maniera assolutamente gratuita.
D. – Dottor Morino,
lei è in Africa da vent’anni. Di questo Paese cosa ama? Cosa la spinge a
rimanere lì?
R. – Il mio lavoro
di medico che ormai è inscindibile dalla mia persona, non riuscirei a vedermi
in alta maniera. E poi, mi ricordo quello che mi diceva un mio amico, che poi è
morto di AIDS; diceva: “l’Africa è il luogo dove le
persone si incontrano ancora”. E io penso che sia vero. Anche se anche lì,
questo valeva soprattutto per l’Africa rurale, l’Africa delle campagne, dove
c’è ancora famiglia, dove c’è ancora comunità, unità.
Adesso, purtroppo, anche in città questo non è più tanto vero. Nelle
megalopoli, soprattutto nelle baraccopoli, dove si disintegra qualsiasi valore,
anche quelli della tradizione antichissima dell’Africa, ed è un pochino il
ritorno, cioè, lo scopo, la sfida è proprio di ritornare a determinati valori,
e quelli della comunità. Ed è quello che si sta cercando insieme, insieme alla
popolazione, insieme alla gente: infatti, la stragrande maggioranza dei nostri
progetti è fatta da personale locale, che ha studiato attraverso la nostra
associazione, è diventato responsabile di alcuni dei progetti e ci lavora
dentro.
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5 dicembre 2006
ENNESIMO RAPIMENTO, A
BAGHDAD, DI UN SACERDOTE CATTOLICO IRACHENO:
IL PATRIARCATO DI
BABILONIA DEI CALDEI LANCIA UN APPELLO AI SEQUESTRATORI
PER L’INCOLUMITA’ DI
PADRE SAMY AL RAIYS
BAGHDAD. = Oramai è uno stillicidio sempre più preoccupante. Baghdad è
stata teatro ieri di un nuovo rapimento ai danni di un sacerdote cattolico.
Padre Samy Al Raiys, riferisce
l’agenzia AsiaNews, è stato sequestrato da sconosciuti, che lo hanno prelevato
insieme alla sua auto vicino casa. “Vi preghiamo di
non fargli del male e di trattarlo bene”, è l’appello che si legge sul sito
Internet del Patriarcato cattolico caldeo di Baghdad.
“Consegniamo padre Samy nella mani
del Signore e della Provvidenza, chiedendoGli di
aiutarci a salvare l’Iraq da questi rapimenti che terrorizzano tutti, grandi e
bambini”. L’appello si conclude con una invocazione
alla Madonna, perché salvi padre Al Raiys “e lo
faccia ritornare presto alla sua chiesa e al servizio dei fedeli”. Padre Samy era a pochi metri da casa, in via
Sinaa, a Baghdad, quando è avvenuto il sequestro.
Rettore del Seminario maggiore del Patriarcato caldeo,
il sacerdote si stava recando alla sua chiesa di Mar Khorkhis
(San Giorgio), dove di recente era stato trasferito in seguito alla chiusura
del seminario stesso per questioni di sicurezza. Padre Samy
è anche docente di Morale al Babel College, la
Facoltà di teologia nella capitale irachena. Tra pochi giorni, hanno raccontato
ad AsiaNews alcuni membri della comunità cristiana locale, il rettore avrebbe
dovuto presenziare all’apertura del nuovo anno accademico del seminario.
Domani, il seminario “Simon Pietro”, chiuso per la crescente insicurezza a
Baghdad, avrebbe ripreso le lezioni “per una settimana di prova”. “Ora – dicono
alcuni dei pochi studenti rimasti – il seminario avrà altri problemi, perché
oltre alla mancanza di sicurezza e alle minacce deve sostenere l’assenza del
suo rettore”. Il rapimento di padre Samy arriva ad
appena una settimana dal rilascio di padre Doglas Yousef Al Bazi, parroco caldeo di Sant’Elia a Baghdad, ancora in convalescenza dopo
9 giorni di sequestro. (A.D.C.)
TENSIONE ANCORA ALTA A OAXACA,
IN MESSICO, TEATRO DA SEI MESI DI UNA VASTA PROTESTA POPOLARE. LA DIOCESI
INVITA LE FORZE DELL’ORDINE A NON FOMENTARE
NUOVI DISORDINI, EVITANDO ARRESTI INDISCRIMINATI
TRA I MANIFESTANTI
OAXACA. = Il Messico
cerca la riconciliazione e la riconciliazione, scrive la Chiesa locale di Oaxaca, “passa, senza dubbio, attraverso la liberazione di
coloro che sono stati ingiustamente arrestati”. La lettera che reca questo
appello, resa nota dalla MISNA, è della diocesi di Antequera-Oaxaca,
ed è stata letta due giorni fa dall’ausiliare mons. Oscar Mario Campos Contreras. La cronaca ha
superato però stamani l’invito rivolto dalla “Comisión
Diocesana de Justicia y Paz”,
che ha messo insieme un dossier circa casi documentati di arresti arbitrari da
parte delle forze dell’ordine. Ad essere arrestato ieri, a Città del Messico, è
stato Flavio Sosa, capo della “Asamblea
Popular de los Pueblos de Oaxaca” (APPO), il
cartello di circa 200 organizzazioni che dallo scorso maggio protestano per
chiedere le dimissioni del governatore conservatore Ulises
Ruiz. Sequestro, lesioni aggravate, saccheggio e
danni materiali alle infrastrutture pubbliche e private sono le accuse rivolte
a Flavio Sosa, fermato ieri a Città del Messico con
altri dirigenti della sua organizzazione. La diocesi di Oaxaca
stigmatizzava nella sua lettera proprio questo atteggiamento delle forze
dell’ordine, ritenuto - si legge - un modo per rendere ancora più acuto il
conflitto. “Bisogna evitare tutto quello che alimenta lo scontro”, aveva
osservato mons. Campos Contreras,
giacché il conflitto esploso da oltre sei mesi rappresenta un’opportunità, per
quanto “dolorosa”, di “vedere la nostra realtà con i suoi profondi squilibri
sociali, economici, politici, educativi”. Iniziata nel maggio scorso come
richiesta di adeguamenti salariali per circa 70 mila insegnanti, la protesta è
diventata una sollevazione contro Ruiz, accusato di
brogli elettorali e metodi repressivi, costata finora 13 morti e decine di
feriti. (A.D.C.)
SI AGGRAVA IL DRAMMA NELLE
FILIPPINE, DOPO IL DISASTROSO PASSAGGIO
DEL TIFONE DURIAN. MIGLIAIA TRA MORTI, FERITI E
SENZA TETTO:
LA CARITAS ITALIANA AL LAVORO PER PORTARE
SOCCORSO,
MA SERVONO CIBO E GENERI DI CONFORTO
- A cura di Alessandro De Carolis -
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ALBAY
(FILIPPINE). = Quasi 1.300 tra morti e dispersi, un migliaio i feriti e 230
mila abitazioni spazzate via. Dalla colata di fango provocata dal passaggio del
tifone Durian nell’est delle Filippine emergono,
aggiornati dalle autorità, i dati del dramma. Un
centinaio sono stati i villaggi flagellati – con il tifone che sta colpendo ora
il Vietnam – e oltre 18 i milioni di dollari di danni
stimati dalla Protezione civile. Tra le macerie è già in azione la Caritas
Italiana. Il bilancio, da un’ottica strettamente ecclesiale, parla di 16 diocesi colpite, 7 nella regione di Bicol e 7 nel Pagolo meridionale,
con quattromila famiglie di sfollati alle quali l’organismo di solidarietà
della Chiesa ha già distribuito un
migliaio di sacchi di riso e generi di prima necessità. L’emergenza,
come di consueto, viene gestita con gli aiuti della
Caritas Italiana forniti attraverso la rete di Caritas Filippine. Ed è
un’emergenza, ha spiegato la sua direttrice, suor Rosanne
Mallillin, che ha bisogno ancora di grandi quantità
di materiale. “Cibo, tende, acqua e medicine – ha elencato - sono le necessità
più urgenti degli sfollati, alle quali stiamo cercando di far fronte. Quasi
tutti gli edifici pubblici sono stati scoperchiati e quindi non possono
ospitare chi ormai è senza casa”. La situazione più complicata si registra
nella regione di Bicol, specialmente nell’area del
Golfo di Albay. “Con enorme difficoltà – ha spiegato
ancora suor Mallillin – sono riuscita a contattare i
responsabili Caritas a Libmanan, Legazpi
e Daet. Due miei collaboratori si sono già recati sul
posto per aiutare i team di emergenza parrocchiali nel monitoraggio dei danni e
dei bisogni”. Per sostenere gli interventi in corso
(specificando nella causale “Alluvioni
Filippine 2006”) vi forniamo gli estremi previsti da Caritas Italiana: c/c postale n. 347013; c/c bancario 11113 -
Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzatè 2, Padova (CIN:
S ABI: 05018 CAB: 12100 Iban: IT23 S050 1812 1000
0000 0011 113 - Bic: CCRTIT2T84A); c/c bancario 10080707 - Banca Intesa, p.le
Gregorio VII, ROMA (CIN: D ABI: 03069 CAB: 05032 Iban:
IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707 - Bic: BCITITMM700).
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A
PALERMO, UN SEMINARIO ORGANIZZATO DALL'ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE
PER I RIFUGIATI E DAL CONSIGLIO ITALIANO PER I RIFUGIATI
DEDICATO AGLI
“ASPETTI
GIURIDICI E PRATICI LEGATI AGLI SBARCHI” DEGLI IMMIGRATI
- A
cura di Alessandra Zaffiro -
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PALERMO. = Alla fine del 2005, i rifugiati e gli altri
soggetti sotto la competenza dell’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati erano oltre 20 milioni, dei quali
8,4 i rifugiati, 800 mila i richiedenti asilo, oltre 1
milione i rifugiati rimpatriati. Sono i dati forniti oggi dall’Alto Commissariato ONU e dal Consiglio Italiano per i
Rifugiati (CIR) nel corso del seminario sul tema “Rifugiati in alto mare: quale
protezione?”. Un’occasione per presentare “Soccorso in mare”, la guida pratica
con riferimenti giuridici rivolta a tutti coloro che intervengono in situazioni
di salvataggio in mare. “Ciò che non si deve assolutamente fare
quando si salvano vite di rifugiati – ha spiegato Laura Boldrini, portavoce dall’Alto Commissariato ONU
per i Rifugiati – è rimandare persone bisognose di protezione nei Paesi dai
quali fuggono perché hanno timore di persecuzioni”. Il Consiglio
Italiano per i Rifugiati si batte per una legge sul diritto d’asilo:
“Non può esistere nessuna revisione della normativa in materia di immigrazione
– ha detto il neo presidente del CIR, Savino Pezzotta - senza una contemporanea introduzione di
una specifica legge sull’asilo. Una legge sulla quale in Italia si continua a
discutere da sette anni e la cui assenza ci colloca in una posizione di
assoluto isolamento in Europa”.
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LA PREFETTURA APOSTOLICA DEL NEPAL HA
POSTO ALLO STUDIO
IL PRIMO PIANO PASTORALE NAZIONALE PER RENDERE LA
CHIESA PIU’ VISIBILE
NEL NUOVO CONTESTO POLITICO DEL PAESE, CHE HA
IMBOCCATO LA STRADA
DELLA DEMOCRAZIA DOPO LA GUERRA CIVILE
KATHMANDU. = La Prefettura
apostolica del Nepal sta cominciando a preparare il suo primo piano di azione
pastorale nazionale da quando è stata istituita nel
1983. L’obiettivo è di rilanciare la missione della Chiesa locale approfittando
del nuovo corso politico nel Paese, che ha intrapreso la strada della
democrazia e della pacificazione dopo dieci anni di guerra civile tra
guerriglia maoista e governo. Quasi un centinaio tra sacerdoti, religiosi e
laici, in rappresentanza di tutte le realtà ecclesiali nepalesi, si sono
riuniti la settimana scorsa a Godavari per discutere
con il Prefetto apostolico, padre Anthony Sharma, l’impostazione del nuovo piano pastorale alla luce
degli utlimi sviluppi sociopolitici.
Numerose le proposte avanzate dai partecipanti, tutti d’accordo sulla necessità
di rendere la Chiesa non solo più visibile nella società nepalese, ma anche più
aperta al contributo dei laici. Sono stati quindi individuati sei temi
prioritari: formazione alla fede, dialogo ecumenico e interreligioso, dialogo
con la società nepalese nel suo insieme, sviluppo dei media
cattolici, promozione dell’educazione e di forme più dirette di
evangelizzazione, nel rispetto comunque delle tradizioni religiose e culturali
locali. La stesura del piano pastorale è stata affidata ad una speciale
commissione mista, che si è riunita la prima volta il 2 dicembre e che avrà sei
mesi di tempo per completare il lavoro. La
Missione del Nepal, affidata ai Gesuiti, è stata istituita nel 1983, con territorio
risultante dalla divisione della diocesi indiana di Patna
ed è stata elevata al rango di Prefettura apostolica nel 1996. Nel Paese
himalayano, si contano oggi tra i 6 e i 7.500 cattolici su una popolazione di
circa 25 milioni di abitanti, in netta maggioranza indù. La Chiesa ha sinora
concentrato le sue attività soprattutto nel campo sociale ed
educativo, attività che ha sempre svolto con una certa discrezione, a causa del
divieto posto ai missionari cattolici di fare proselitismo. Lo scorso maggio, tuttavia,
il nuovo Parlamento convocato dal Re Gyanendra ha
modificato lo status del Regno da confessionale a laico e questo potrebbe
migliorare la situazione per l’apostolato cattolico. Fino ad allora il Nepal
era l'unico Paese al mondo con l’induismo come religione di Stato. (L.Z.)
FIRMATO
UN ACCORDO PER LA MIGLIORE COLLABORAZIONE FRA STATO E CHIESA
NEL
SETTORE DEI BENI LIBRARI. CENTINAIA DI BIBLIOTECHE ECCLESIASTICHE
PARTECIPERANNO
AL SERVIZIO BIBLIOTECARIO NAZIONALE (SBN)
ROMA. = L’Aula Magna della Conferenza
episcopale italiana ha ospitato ieri la firma dell’Accordo in materia di
descrizione bibliografica e trattamento delle raccolte appartenenti alle biblioteche
ecclesiastiche tra la CEI e l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle
biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche del ministero per i
Beni e le attività Culturali (MIBAC). “L’Accordo tra il MIBAC e la CEI –
afferma un comunicato diffuso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni
sociali dell'episcopato italiano – si inserisce in un ampio quadro di rapporti
intercorsi tra Stato e Chiesa in materia di beni culturali, e riconosce
autorevolezza al Progetto per le Biblioteche Ecclesiastiche promosso
dall’Ufficio Nazionale Beni Culturali Ecclesiastici a sostegno della realtà ecclesiale”.
Inoltre, si legge ancora, l’Accordo “dà piena attuazione all’Intesa del 18
aprile 2000 per la conservazione e la consultazione degli archivi di interesse
storico e delle biblioteche appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche,
definendo meglio la collaborazione fra Stato e Chiesa nel settore specifico dei
beni librari”. L’obiettivo di questa iniziativa “è la realizzazione di una
cooperazione a largo raggio mediante la partecipazione al Servizio Bibliotecario
Nazionale (SBN) delle biblioteche ecclesiastiche, già largamente coinvolte in
alcune importanti iniziative di catalogazione in ambito nazionale, quali il
Censimento delle edizioni italiane del XVI secolo e il catalogo dei
manoscritti”. Il progetto di costituire un Polo SBN delle biblioteche
ecclesiastiche si inquadra in un più ampio progetto elaborato dalla CEI per
censire tutti i beni culturali, anche artistici e archivistici, delle diocesi,
spesso di grande pregio. Il progetto si rivolge a oltre 200 biblioteche
diocesane e a centinaia di biblioteche ecclesiastiche degli istituti di vita
consacrata e delle società di vita apostolica. (A.D.C.)
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5 dicembre 2006
- A cura di Fausta Speranza -
Anche oggi sangue nella capitale dell’Iraq. Tre autobomba,
esplose nei pressi di una stazione di servizio, hanno ucciso almeno 16 persone
e ne hanno ferite 25, in un’area del sud di Baghdad, Bayaa,
ad ‘etnia mista’: con sciiti
e sunniti. In un altro attentato sono morte sette reclute della polizia
irachena. E sempre nella capitale, o nei pressi, sono morti due militari
statunitensi: uno in un attacco, l’altro in un incidente. Su quanto si sta
muovendo a livello politico e diplomatico, mentre prosegue la carneficina
quotidiana, il nostro servizio:
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Dopo il presidente Talabani e il primo ministro iracheno al Maliki, oggi anche il ministro degli Esteri iracheno Zebari ha ribadito il ‘no’ del suo
governo a una conferenza di pace internazionale, così come proposta dal
segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Zebari lo ha fatto
offrendo invece il suo appoggio all’iniziativa araba di una “conferenza di
riconciliazione nazionale”, precisando che potranno prendervi parte anche rappresentanti
di altri Paesi od organizzazioni internazionali. Zebari
si trova al Cairo per partecipare alla riunione del Comitato ministeriale arabo
sull’Iraq, che si svolge presso la sede della Lega araba. Il ministro, che ha incontrato il presidente egiziano Mubarak
ha chiesto “una più chiara presenza araba in Iraq”. Resta da dire che domani verrà presentato il rapporto Baker,
sul cambio di strategia statunitense in Iraq, mentre
cade un altro esponente
dell’Amministrazione Bush: dopo il segretario
alla Difesa Donald Rumsfeld,
ieri è toccato a John Bolton,
il rappresentante permanente degli Stati Uniti all’ONU, favorevole alla linea
dura nei confronti di Iran e Corea del Nord.
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Il primo ministro palestinese Ismail
Haniyeh ha sollecitato la ripresa del dialogo per la
formazione di un governo di unità nazionale, pur ribadendo che il suo
movimento, Hamas, non farà “nessuna concessione”, quale il riconoscimento di
Israele. Parlando in serata a circa 2.000 palestinesi
nel campo profughi di Yarmuk, 15 km a sud di Damasco, alla presenza di responsabili di gruppi palestinesi di base in
Siria, Haniyeh ha detto di voler far scontare a
“coloro che vogliono sospendere il
dialogo le conseguenze” della rottura. Il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu
Mazen) ha annunciato a fine novembre la sospensione
del dialogo dopo il fallimento di colloqui sulla formazione di un governo di
unità nazionale, persistendo il movimento radicale nel rifiuto di riconoscere lo Stato ebraico e i
precedenti accordi israelo-palestinesi.
Intanto in Israele ha destato immediate polemiche la
decisione del ministro dell’Istruzione Yuli Tamir di indicare nei nuovi testi di studio la linea di demarcazione
fra Israele e i Territori, in vigore fra il 1949 e il 1967. “I nostri allievi -
ha detto Tamir (laburista, ex dirigente del movimento
Pace Adesso) - devono comprendere la realtà così come era fino al 1967”, quando Israele occupò la Cisgiordania, le alture del Golan e il Sinai. Nel corso degli anni Israele ha lasciato
il Sinai, parte del Golan e la striscia di Gaza. Nei
libri la ‘Linea Verde’ (ossia la linea di demarcazione in vigore fino al 1967) è andata scomparendo. “E’ necessario
- ha aggiunto Tamir - che gli allievi comprendano a
fondo le conseguenze della guerra dei sei giorni (1967) e la risoluzione 242
delle Nazioni Unite” che enuncia il principio della pace in cambio dei
territori occupati. Ma l’iniziativa del ministro non è piaciuta ai partiti di
destra che vi hanno visto un implicito tentativo di delegittimare gli
insediamenti ebraici in Cisgiordania.
L’Iran “rivedrà le sue relazioni” con alcuni Paesi europei
se questi “insisteranno a porre ostacoli” al programma nucleare di Teheran. Lo ha detto oggi il presidente Mahmud
Ahmadinejad. L’avvertimento di Ahmadinejad,
che parlava in un comizio in una provincia settentrionale, è arrivato poche ore
prima di una riunione a Parigi dei sei Paesi che conducono il confronto con Teheran sul suo programma nucleare: USA, Russia, Cina, Francia,
Germania e Gran Bretagna. Il ministro degli Esteri francese, Douste-Blazy, ha detto ieri che un accordo dovrebbe essere raggiunto
in questa sede per sanzioni contro la Repubblica islamica, che ha ignorato una
richiesta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU di sospendere entro il 31 agosto scorso
l’arricchimento dell’uranio.
In Italia, la procura di Milano ha chiesto il rinvio a
giudizio dell’ex direttore del SISMI, Nicolò Pollari, e di altre 34 persone per la vicenda del sequestro
dell’ex imam di Milano, Abu Omar. La
richiesta di rinvio a giudizio riguarda 26 agenti CIA, 5 funzionari del Sismi, tra cui lo stesso Pollari,ed
un ex carabiniere del ROS, tutti
accusati di concorso in sequestro di persona. E’ stato invece chiesto il
rinvio a giudizio per favoreggiamento di altri due funzionari del SISMI e del vice direttore del quotidiano Libero,
Renato Farina. Chiesta infine
l’archiviazione, invece, per altri tre funzionari del servizio segreto
militare, inizialmente accusati del sequestro, e di un cronista del quotidiano Libero,
indagato, invece, per favoreggiamento.
Il premier turco Tayyip Erdogan ha detto oggi al cancelliere tedesco, Angela Merkel, da gennaio presidente di turno dell’Unione Europea,
che sarebbe “un
errore storico” sospendere il negoziato con la Turchia, dato che - ha detto – “a perderci sarebbe soprattutto
l’Europa”. Lo ha fatto in vista del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’11
dicembre e del Vertice dell’UE del 14 e 15 dicembre. In queste sedi politiche,
i 25 Paesi dell’UE dovrebbero decidere, all’unanimità, se confermare o meno la raccomandazione della Commissione dell’UE di
sospendere il negoziato con la Turchia
su 8 dei 35 capitoli negoziali, oltre che bloccare la conclusione di tutti i
capitoli negoziali fino a quando la
Turchia non abbia aperto i suoi scali aerei e
marittimi alle merci provenienti da Cipro greca.
Il capo delle forze armate delle Isole Figi, commodoro Frank Bainimarama, che con un
colpo di Stato ha rovesciato oggi il premier Laisenia
Qarase, ha annunciato di aver assunto il ruolo di
presidente della Repubblica ed ha annunciato la nomina di un governo provvisorio,
in attesa di elezioni. Il premier ad interim sarà Jona Baravilala Senilagakali, un medico che non è membro delle Forze armate
e non ha un passato come politico. Bainimarama ha
fatto appello alla popolazione perché resti calma ed alle aziende, negozi ed
uffici perché continuino ad operare, assicurando che la presa di controllo
militare non sarà permanente. Secondo il
commodoro, il rifiuto del premier Qarase di accettare
la richiesta del presidente Ratu Josefa
Iloilo di dimettersi, lasciava le
Figi in una situazione di stallo e lo ha costretto ad agire.
Un uomo ha sparato con un’arma automatica questa mattina
all’alba contro l’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale yemenita Sanaa e i poliziotti di guardia hanno risposto ferendolo. Lo
ha annunciato la polizia yemenita precisando che l’uomo è stato arrestato ma
senza fornire ulteriori dettagli.
I medici dell’ex premier russo Egor
Gaidar, ammalato da qualche tempo, hanno constatato
“sintomi che non corrispondono ad alcuna malattia conosciuta” ma che non si
possono ricondurre “senza ambiguità” ad un avvelenamento, poiché non sono state
trovate “sostanze tossiche”. Lo ha annunciato oggi un comunicato dell’Istituto
che ha in cura Gaidar.
Gli Stati Uniti hanno respinto l’offerta di dialogo
lanciata sabato scorso da Raul Castro, definito un “dittatore in potenza”,
nonostante che alcuni esperti ritengano che l’assenza
dal potere di suo fratello Fidel crei un contesto
favorevole a discussioni tra i due Paesi. “Non vedo come si potrebbe far
avanzare la causa della democrazia in questo Paese aprendo il dialogo con un
dittatore in potenza, che vuole proseguire il sistema di governo che è servito
a reprimere il popolo cubano per decenni”, ha dichiarato in
serata il portavoce del dipartimento di Stato, Sean McCormack. “Il
dialogo che deve aprirsi, è quello con il popolo cubano”. Raul Castro aveva scelto sabato scorso, 2
dicembre, una data simbolica - quella del 50.mo
anniversario dello sbarco a Cuba di Fidel Castro e
dei suoi guerriglieri - per proporre l’avvio di un dialogo tra i due Paesi.
Quattro mesi dopo il temporaneo passaggio di poteri tra i due fratelli,
l’assenza del ‘Lider Maximo’ alle cerimonie che si sono svolte all’Avana nel
fine settimana per il suo 80.mo compleanno, dimostra che egli è “in cattiva
salute” e che “tutto è nelle mani di suo fratello”, ha commentato un’altra
esperta, Ana Faya, della
Fondazione canadese per l’America Latina (Focal).
Nell’agosto scorso, Raul Castro, 75 anni, aveva già fatto una proposta simile, in
un’intervista al quotidiano ufficiale cubano ‘Granma’.
Le Nazioni Unite hanno nominato Joaquim
Chissano, ex presidente del Mozambico, proprio
inviato speciale per tentare di rilanciare i negoziati tra governo ugandese e ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore
(LRA), in corso da mesi a Juba (Sud Sudan), che
appaiono in una preoccupante fase di stallo. Lo rende noto la
BBC on line. La ribellione nel Nord dell’Uganda, durata oltre 20 anni, ed
adesso praticamente ferma, salvo rari colpi di coda, ha causato centinaia di migliaia
di vittime tra i civili, almeno 20.000 bimbi rapiti e ridotti in schiavitù, e –
tra orrori senza fine – costretto oltre 1,5 milioni di persone a rifugiarsi in
campi profughi dove manca anche l’indispensabile per sopravvivere. I negoziati
di Juba vanno avanti con molta fatica, e tra veti
reciproci e concreti. Ora si spera che l’intervento di Chissano
possa cambiare la pericolosa deriva.
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