RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 101 - Testo della trasmissione di martedì 11
aprile 2006
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Messaggio del Patriarca dei Latini
di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah
per la Santa Pasqua
E’
sempre più grave la situazione del Corno d'Africa per la siccità e la malnutrizione
Tragedia in Colombia: almeno sei persone sono
morte ieri a Bituma,
11 aprile 2006
OGGI POMERIGGIO, NELLA BASILICA VATICANA,
IL RITO PER LA RICONCILIAZIONE
PRESIEDUTO
DAL PENITENZIERE MAGGIORE, CARDINALE JAMES
FRANCIS
STAFFORD, SU INCARICO DI BENEDETTO XVI
- Ai nostri microfoni, padre Raniero Cantalamessa
-
Oggi pomeriggio - a partire dalle ore 17,20,
nella Basilica di San Pietro - il cardinale James
Francis Stafford, Penitenziere Maggiore, per incarico
del Santo Padre, presiederà il Rito per la Riconciliazione di più penitenti con
la confessione e l’assoluzione individuale. La celebrazione della Penitenza verrà trasmessa dalla nostra emittente – in radiocronaca
diretta – sull’onda media di 585 kHz e in modulazione
di frequenza di 105 MHz. Sul senso cristiano della
penitenza e del perdono, ecco la riflessione di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, raccolta
da Alessandro Gisotti:
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R. – Il perdono ha sempre due dimensioni: un perdono da
chiedere e un perdono da dare. Quello più importante è quello da chiedere a
Dio, perché tutto parte da lì. Noi dobbiamo perdonare
gli altri – dice San Paolo – come Dio ha perdonato noi in Cristo. E quindi, in
questa Settimana Santa, la cosa più importante credo che sia proprio chiedere
il perdono a Dio e farlo anche secondo l’antica tradizione della Chiesa, con il
Sacramento del perdono, della riconciliazione, che è la confessione:
confessarsi almeno a Pasqua, dice un canone che risale addirittura al Concilio
Lateranense IV, al tempo di San Francesco. Questo poi diventa l’incentivo e poi
crea in noi la possibilità di perdonare gli altri, perché perdonare gli altri
non viene dalla natura: non è possibile chiedere all’uomo una cosa del genere. Lo si può chiedere per la grazia di Dio seguendo l’esempio
di Cristo, che ha perdonato noi …
D. – Padre, il Sacramento della Riconciliazione – come si
sa – è forse, specie tra i giovani oggi, uno dei
Sacramenti meno praticati. Che cosa dice ad un padre, ad un pastore, questo
elemento?
R. – Sì, è vero: la Confessione è entrata in crisi per
diversi motivi. Alcuni generali – come la secolarizzazione – e altri sono
piuttosto pratici; bisogna ammettere che la Confessione spesso era ridotta a
una pratica amministrata in condizioni molto povere, che era ridotta spesso
proprio ad una pratica così, di dovere, e basta: una “tassa da pagare”, per
così dire, alla Chiesa. Papa Giovanni Paolo II ha fatto il possibile per
accelerare il processo di riscoperta della dimensione biblica, salvifica e
anche bella della Confessione. Perché la Confessione è
un’esperienza bella, pasquale: è l’incontro con il Cristo risorto che permette
di toccare le sue piaghe e di sentirsi dire la parola che tutti nel fondo
aspettano: “Vai in pace, i tuoi peccati ti sono perdonati!”. Credo che
dobbiamo fare il possibile per restituire alla Confessione questa sua
dimensione pasquale. Molto dipende anche dai confessori: il
confessore dovrebbe imitare Gesù, il quale era duro con i farisei, gli
ipocriti, quelli che credevano di non avere bisogno di perdono; ma era sempre
tenerissimo con i peccatori: tenerissimo! I pastori dovrebbero fare in
modo di rendere il meno possibile della Confessione, che è un Sacramento, una
specie di processo giuridico: assoluzione o condanna, ma di farne il più
possibile un incontro con il Cristo risorto.
D. – Ieri, il Papa, incontrando i giovani del convegno
“UNIV”, ha sottolineato che dall’incontro e dall’amicizia con Gesù dipende la
nostra felicità. Ecco, in fondo, l’amicizia ci dà la forza di perdonare …
R. – L’amicizia con Gesù significa anche desiderio di
imitarlo… non solo desiderio: l’amicizia con Gesù non è come l’amicizia con gli
uomini. Tra Gesù e il suo amico passa una corrente di grazia che si deve al
fatto che lui è morto per noi, ci ha meritato lo Spirito Santo ed è questo
Spirito Santo che, in definitiva, crea in noi la possibilità di perdonare gli
altri.
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DALLA CROCE DI GESU’
NASCE LA SANTITA’ DELLE GANDI FIGURE DELLA CHIESA
E IL
POTERE CHE SANA I MALI DEL MONDO DI OGGI: LO SCRIVE MONS.
COMASTRI,
AUTORE
DELLE MEDITAZIONI DELLA VIA CRUCIS AL COLOSSEO
Quattordici meditazioni e altrettante preghiere che
guardano al sacrificio di Gesù e ai mali dell’umanità di oggi. Nel testo della
Via Crucis che venerdì sera sarà presieduta da Benedetto XVI al Colosseo, l’autore delle riflessioni, l’arcivescovo Angelo
Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano, si sofferma con toni di
grande partecipazione sui mali della famiglia, gli attacchi alla vita, i poveri
che chiedono di uscire dall’anonimato dell’indifferenza. Il volumetto
è disponibile da oggi nelle librerie in numerose lingue e può essere richiesto
anche su ordinazione alla Libreria Editrice Vaticana. Sui contenuti del testo,
il servizio di Alessandro De Carolis.
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(musica)
Ci sono due poteri “certi” che si scontrano
mentre Gesù sale il Calvario: il potere “devastante” del peccato e
quello “sanante” dell’amore di Dio. Comincia così la lunga meditazione
dell’arcivescovo Angelo Comastri sulla Via Crucis. Le sue parole, evocative,
capaci di suscitare emozioni grazie ad un linguaggio figurato molto vivido, non
si limitano a riflettere sui dolori che costellarono duemila anni fa il cammino
straziante di Gesù verso il supplizio finale. Mons.
Comastri porta la Via della Croce direttamente nelle croci piantate nella
società oggi, tra aggressioni alla vita e alla famiglia, lo svilimento del
corpo, l’indecenza di chi muore per miseria contro chi
lo fa per abbondanza.
Le prime stazioni sono un invito alla purificazione per
l’uomo, del suo spirito come delle sue azioni. “Aiutaci – si legge nella prima
preghiera – a non diventare mai carnefici dei fratelli indifesi (…) aiutaci a
rifiutare l’acqua di Pilato perché non pulisce le
mani ma le sporca di sangue innocente”. Tra i volti
della folla che assistono alla Via dolorosa, Comastri pone simbolicamente
l’uomo contemporaneo. Se gli uomini, scrive, con i loro “assurdi peccati” hanno costruito la
croce della loro “inquietudine”, Dio la prende sulle spalle in un “mistero
insondabile di bontà”. Poi Gesù barcolla, e in questa prima caduta
il vicario del Papa per la Città del Vaticano vede la perdita del senso
del peccato. “Oggi si sta diffondendo, con subdola propaganda, una stolta
apologia del male”, afferma. “Un assurdo culto di satana (…) presentandoli come
conquiste di civiltà”. Quando Gesù incontra la madre, per mons. Comastri è il
momento di riflettere sul bisogno che il mondo ha di “donne, di spose, di
madri, che restituiscano agli uomini il volto bello dell’umanità”. Più avanti,
all’ottava stazione, nel pianto delle donne di Gerusalemme il presule coglie il
singhiozzo delle “mamme di assassini, di drogati, di terroristi” auspicando che
il pianto si trasformi “in amore che educa” in “dialogo che costruisce”.
(musica)
La Veronica che asciuga il viso di Gesù ispira un pensiero
per i tanti “senza volto” emarginati dalla vita. “Basterebbe un passo – dice
mons. Comastri – e il mendicante non sarebbe più solo”, in “famiglia tornerebbe
la pace”. Ed è nei confronti della famiglia che l’autore della Via Crucis vede
in atto un’“aggressione”, un’“anti-Genesi” tesa a “modificare la grammatica
stessa della vita così come Dio l’ha pensata e voluta”. Con la terza caduta di
Gesù, sono i poveri ad essere ricordati con metrica incisiva: “Il mondo –
osserva mons. Comastri – è composto in di due stanze:
in una stanza si spreca e nell’altra si crepa; in una si muore di abbondanza” e
nell’altra “di indigenza”. “Perché non apriamo una porta?”, si chiede il
presule. “Perché non formiamo una sola mensa?”. E ancora, nel corpo denudato di
Gesù mons. Comastri “venduto e comprato sui marciapiedi”: delle città, ma anche
sui “marciapiedi della televisione, “nelle case diventate marciapiedi”, giacché
– stigmatizza – un “silenzio impuro” è stato “astutamente imposto” sulla purezza,
dipinta come “nemica dell’amore”. Ma è dalla Croce su cui Gesù muore, elenca
poco più avanti mons. Comastri, che nascono “la povertà felice” di S. Francesco
o “la meravigliosa carità” di Madre Teresa, o ancora “il coraggio di Giovanni
Paolo II”. “Una certezza ci illumina: la strada – afferma il presule tra poesia
e spiritualità - non finisce sulla Croce ma va oltre,
va nel Regno della Vita e nell’esplosione della gioia, che nessuno potrà mai
rapirci”.
(musica)
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina – “Sono sempre i
più deboli le vittime della folle logica della guerra”. Dodicenne
palestinese muore in un raid israeliano su Gaza; in Afghanistan, razzi su una
scuola a Kunar provocano la morte di sei bambini.
Servizio vaticano - Una pagina
dedicata alle Lettere dei vescovi italiani.
Servizio estero - Iraq: Bush rinnova l’appello per la formazione del governo.
Servizio culturale - Un
articolo di Piero Viotto dal titolo “Il realismo di
un’arte che propone un ‘incontro’”: la singolare
figura di Michel Ciry,
novantenne terziario francescano che attraverso la scrittura e il disegno offre
la sua testimonianza di fede.
Per “L’Osservatore libri” un
articolo di Francesco Licinio Galati dal titolo
“Verso la gioia pasquale sulle orme di Cristo Signore”: omelie quaresimali di
Padre Turoldo raccolte nel libro “Cammino di fede”.
Servizio italiano - Elezioni:
vittoria di misura del centrosinistra.
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11 aprile 2006
LE ELEZIONI IN ITALIA: E’ SCONTRO TRA GLI SCHIERAMENTI.
IL
CENTROSINISTRA CANTA VITTORIA, MA
CHIEDE DI VERIFICARE LE
SCHEDE NULLE ALLA CAMERA
-
Interviste con Antonio Maria Baggio, Paola Binetti e Maria Luisa Santolini -
Le
elezioni in Italia. Si accende lo scontro tra gli schieramenti politici
sull’interpretazione del voto di domenica e lunedì. Il centrodestra contesta
l’annuncio di vittoria del centrosinistra. Al Senato si attende l’esito, a
questo punto decisivo, del voto degli italiani all’estero che sembra premiare
l’Unione. Il servizio di Giampiero Guadagni.
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38 milioni di votanti. Al Senato il centrodestra ha vinto
di 400 mila voti, alla Camera il centrosinistra di 25 mila voti. E’ dunque la
fotografia di un’Italia spaccata in due quella scattata dal voto elettorale.
Alla Camera l’Unione con il premio di maggioranza conquista 40 seggi in più. Al
Senato, la Casa delle Libertà ottiene un seggio in più. Ma i riflettori sono
ora tutti accesi su Castelnuovo di Porto, località vicino Roma dove si stanno scrutinando le schede degli
italiani all’estero, che assegnano sei seggi a Palazzo Madama, a questo punto
decisivi. Quattro ne dovrebbe avere ottenuti il centrosinistra e dunque la
situazione al Senato potrebbe essere ribaltata, sia pure sempre di stretta
misura. In questo modo, dunque, non ci sarebbe il pareggio, temuto soprattutto
dai mercati finanziari che privilegiano in ogni caso la stabilità. Ma tra molti
osservatori stranieri si fa strada l’opinione che il prossimo governo sarà
debole e probabilmente di breve durata. Primo vero banco di prova nel rapporto
tra le coalizioni sarà l’elezione il prossimo mese del Capo dello Stato.
Intanto
però l’aspra campagna elettorale sta vivendo un tempo supplementare altrettanto
conflittuale. Il leader dell’Unione Prodi parla di
vittoria e pensa ad un governo di legislatura. Posso governare cinque anni, dice,
la legge me lo permette, il presidente del Consiglio sarò io. E tuttavia,
aggiunge Prodi, servirà collaborazione. La Casa delle Libertà contesta la vittoria
dell’Unione da un punto di vista politico. E sottolinea anche come alla Camera
ci sono 500 mila schede nulle da verificare. Sotto accusa, infine, gli istituti
di sondaggi che in questi mesi e anche ieri fino a metà pomeriggio avevano dato
l’Unione nettamente vincente. Intanto il Capo dello Stato Ciampi
ha espresso compiacimento per lo svolgimento ordinato e regolare delle
elezioni. Soddisfazione anche per l’elevata partecipazione al voto, ricordiamo
l’affluenza alle urne dell’83,6%. Sottolinea Ciampi: una ulteriore prova della maturità democratica e
dell'impegno civile del popolo italiano.
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Il voto ha fatto emergere dunque un’Italia profondamente
divisa. E un fenomeno triste è stato quello della delegittimazione reciproca,
che purtroppo ha coinvolto talora anche l’elettorato cattolico. Di cosa ha bisogno ora il Paese? Fabio Colagrande lo ha chiesto al prof. Antonio Maria Baggio, docente di etica politica all’Università Gregoriana
di Roma:
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R. – Quello che ci vuole qui è una cultura dell’unità
della Nazione, un rispetto reciproco sul piano civile che ha vacillato nel
corso della legislatura ma senza queste cose non possiamo
affrontare gli anni che abbiamo davanti.
D. – Prof. Baggio,
a questo proposito, rispetto a questi risultati è evidente che alla classe
politica ora si chiede un grande senso di responsabilità. Ecco, l’opera di
delegittimazione reciproca che c’è stata durante la campagna elettorale – dobbiamo
dire a volte anche nell’area cattolica – potrebbe essere una delle cause anche
della situazione in cui ci troviamo adesso?
R. – Ma sì, certamente, perché anche i cattolici che
dovrebbero avere – in quanto cristiani – diciamo una competenza specifica nel
costruire comunità, non sono stati capaci o non hanno avuto abbastanza forza e
decisione nell’indicare le cose che uniscono più di quelle che dividono:
certamente non ci si può aspettare dagli altri questa cosa! Invece, una
comunità politica deve avere ben chiaro ciò che la unisce, perché altrimenti
non è in grado di affrontare le sfide. Ora, a questa cultura che cerca di unire
– secondo me – è stato fatto un attacco, grosso, con il potenziamento e
l’ingresso nell’agone politico e nell’area del centrosinistra, della componente
radicale che, secondo me, è un fatto nuovo che è intervenuto e che è
pericoloso. Ecco, qui, in genere, quando si delegittima l’altro, c’è sempre una
mistificazione in atto e una mistificazione che potrebbe essere tipica di
questi giorni viene proprio da quest’area politica quando
dice: “Senza di me il centrosinistra non avrebbe potuto vincere alla Camera:
siamo importanti”. Io ritengo – per le conoscenze che ho, per quello che ho
visto in questo periodo – che i voti persi dal centrosinistra per l’ingresso
dei radicali sono molti di più di quelli guadagnati. E anche così si spiega
come l’UDC, a destra, abbia notevolmente accresciuto i propri voti senza
toglierne agli alleati. Questi sono voti di cattolici orientati a sinistra che
hanno cambiato parere.
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I cattolici dunque si sono schierati sui due fronti. Ai
nostri microfoni abbiamo la professoressa Paola Binetti,
già presidente del Comitato Scienza e Vita, candidata al Senato nella lista
della Margherita, e la professoressa Maria Luisa Santolini,
candidata alla Camera nelle liste dell’UDC, già presidente del Forum delle Associazioni
familiari. Luca Collodi le ha intervistate:
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D. - Professoressa Binetti, come commenta
l’esito elettorale?
R. – Diciamo che l’esito elettorale ha creato da un lato
una convinzione chiara che l’elettorato si attesta verso posizioni che sono
posizioni prevalentemente di tipo centristico, sia a
destra, sia a sinistra. E in questa attestazione dell’elettorato, si riflette
un desiderio che è proprio del popolo italiano, che è quello della tutela di un
certo stile di valori che sono quelli legati non solo alla famiglia e alla
vita, ma che sono anche quelli legati a modelli economici che rappresentino per
loro un’ipotesi rassicurante. Questo è un dato di cui tutti devono tenere conto
…
D. – Maria Luisa Santolini,
dell’UDC: lei è d’accordo con la professoressa Binetti?
R. – In parte sono d’accordo, ma bisognerebbe mettere a
fuoco anche il fatto che la Margherita, purtroppo, è calata nei voti e questo
francamente mi dispiace molto, perché invece è salita Rifondazione e la Rosa
nel pugno ha preso meno di quanto si dicesse all’inizio ma
comunque il 2,5% non è proprio poco, e quindi la mia paura è che a sinistra poi
venga impedito alle correnti centriste moderate, quelle che esprimono proprio i
valori di fondo che noi condividiamo … sarà tutto da vedere. La mia paura è che
appunto con la sinistra così, i voti cattolici si disperdano e non ce la
facciano a fermare questa ondata laicista: mi auguro che davvero il Paese sia
governabile.
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ARRESTATO IN SICILIA BERNARDO PROVENZANO:
IL
BOSS MAFIOSO ERA LATITANTE DA OLTRE 40 ANNI
-
Interviste con Giuseppe Carlo Marino e Guido Lo Forte
-
E’ stato arrestato il boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano: classe 1933, corleonese, il suo
nome compare in decine di processi e in tutte le dichiarazioni dei pentiti. In
tasca ai suoi jeans aveva numerosi ‘pizzini’, i foglietti
con cui negli oltre 40 anni di latitanza ha continuato a comunicare e ad
impartire ordini ai suoi fedelissimi. Il servizio di Fausta Speranza.
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Dopo l’ennesimo
agguato della faida fra la cosca di Luciano Liggio, di cui Provenzano
faceva parte, e quella di Michele Navarra, il 18
settembre 1963 iniziava ufficialmente la latitanza della primula rossa di Corleone. Del boss restava una foto segnaletica del 1959.
Per oltre quarant’anni, è il capo più misterioso di Cosa Nostra, conosciuto
come “zu Binu” o come “u tratturi”, il trattore, per la sua determinazione. E’ il
boss che vanta il primato della più lunga latitanza nella storia della mafia.
Quello che si sa da tempo è che dopo la cattura di Totò Riina,
nel gennaio del ’93, è toccato a lui il compito di prendere in mano le redini
di Cosa Nostra, decimata dagli arresti, indebolita dalle “cantate” dei pentiti,
impoverita dai sequestri di armi e di denaro.
Nell’ordinanza
di rinvio a giudizio del maxiprocesso, i giudici di Palermo definivano Provenzano “uno dei personaggi più sfuggenti ed
inafferrabili, oltre che uno dei più feroci e sanguinari, di Cosa Nostra”. La
sua scalata criminale comincia negli anni Cinquanta. Tra la fine degli anni
Settanta ed i primi anni Ottanta, dopo aver infiltrato
ogni cosca con uomini di stretta osservanza “corleonese”,
ed avere poi eliminato tutti gli avversari, Provenzano
e Riina sono i capi assoluti di Cosa Nostra. Né Liggio
né Riina, nelle loro dichiarazioni processuali, hanno
accreditato la “statura” mafiosa di Provenzano.
Secondo il pentito Totò Cancemi, è il boss che “tiene
in mano tutti gli appalti ed i rapporti con i politici”.
Negli ultimi anni, si intrecciano le ipotesi più disparate,
compresa quella della morte, smentita dallo stesso boss. Nell’aprile del
’94, infatti, Provenzano inviò una lettera al presidente
della Corte d’Assise di Palermo per nominare due avvocati suoi legali di fiducia,
nel processo per l’omicidio di Giannuzzu Lallicata. La lettera, ritenuta autentica, risultava
spedita da un nome di fantasia. Oggi l’arresto. Ma quali implicazioni potrà
avere? Lo chiediamo allo storico della mafia Giuseppe Carlo Marino, docente di
storia contemporanea all'Università di Palermo:
R. – Attendiamo delle informazioni credibili sulle
protezioni che hanno reso possibile una così lunga latitanza. Di solito il
ricambio avviene attraverso la consegna del capo, che non serve più, alla
polizia; è molto strano che un personaggio come Provenzano
riuscisse a stare probabilmente a casa sua, non nascosto magari dentro qualche
botola, forse qualche botola c’era pure, ma riuscisse a stare addirittura a
casa sua, nel suo paese e che per 40 anni nessuno fosse stato capace di
trovarlo. Questa davvero è una cosa assai inquietante, che spiega però il
radicamento del fenomeno della mafia nella società, e soprattutto i suoi
rapporti con un più complesso sistema di potere.
Questa è una vecchia storia che si riproduce nella tradizione della mafia, riguarda
personaggi come Luciano Liggio, come Salvatore Riina,
detto “Totò”, riguarda anche personaggi più antichi, dei tempi del prefetto
Mori degli anni ’20, che fruivano di ampie e radicate protezioni che ad un
certo punto venivano meno e nel momento in cui venivano meno se ne verificava
l’arresto da parte della polizia. Può darsi che proprio la liquidazione,
diciamo formale, di Provenzano, coincida con la
riorganizzazione del sistema mafioso ad un livello ancora più pericoloso.
D. – Potrà comunque portarlo in tribunale e rivelarci
pagine importanti della storia mafiosa …
R. – Io
penso che attraverso Provenzano passi un’ampia parte
almeno sociale della Sicilia e non solo della Sicilia. Quindi nell’eventualità
in cui lui parlasse si creerebbero situazioni direi imprevedibili per gli
attuali equilibri di potere in Sicilia e forse in Italia. Sicuramente Provenzano non è quel rozzo e incolto personaggio che la
stampa ci ha rappresentato, egli è certamente un elemento importante e qualitativamente
di livello dell’organizzazione mafiosa, direi “un grande manager del sistema”;
e molto francamente io ritengo che della mafia si sia capito piuttosto poco,
finora. La mafia non è solo e soltanto un fenomeno criminale; la mafia è un
complesso sistema di potere, e un sistema di potere adeguato alla globalizzazione, ai processi in corso di modernizzazione del
nostro tempo, non poteva più avere capi incapaci di leggere e scrivere o appena
al di là della soglia dell’alfabetizzazione. Ora, invece, il sistema mafioso ha
bisogno di manager di altro tipo, di altre qualità. Quindi Provenzano
rappresentava, tutto sommato, il residuo di una vecchia mafia, ormai superata.
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Grandissima
la soddisfazione alla Procura di Palermo: come conferma, nell’intervista di
Francesca Sabatinelli, il procuratore aggiunto di
Palermo, Guido Lo Forte:
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R. –
Non corro certo il rischio di enfatizzare se dico che l’atmosfera che si
respira alla Procura di Palermo è di grande entusiasmo e di grande
soddisfazione. Prima di tutto un grazie, un
riconoscimento sentito, di cuore, alla eccellente professionalità della Polizia
di Stato, che ha consentito di realizzare questo importantissimo risultato.
D. – Dott. Lo Forte, questo
importantissimo risultato si basa sul fatto che non è stata arrestata la
memoria storica, è stato arrestato un uomo che era ancora attivo …
R. – In Sicilia contano molto i simboli. Bernardo Provenzano non era più
un capo militare come era stato Salvatore Riina, però
rappresentava, e rappresenta tuttora, per la mafia, per la Cosa Nostra
siciliana, il simbolo della tradizione storica, della sua coesione. Quindi, dal
punto di vista simbolico – e i simboli contano moltissimo in Sicilia – la sua
cattura ha una grandissima importanza.
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11 aprile 2006
AMAREZZA PER
E’ QUANTO SCRIVE, NEL MESSAGGIO PER
IL PATRIARCA DEI LATINI DI GERUSALEMME, MONS.
MICHEL SABBAH
- A
cura di Graziano Motta -
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GERUSALEMME.
= Tanta amarezza nella constatazione della tragica situazione in Terra Santa,
ma anche tanta forza nel proclamare la ricchezza e la potenza dell’amore di Dio
e la speranza nella capacità di amare di israeliani e palestinesi. “Amarezza
quando – afferma il Patriarca – la nostra vita quotidiana sembra essere ben
lontana dalla visione del Dio con noi, del suo amore per tutti e del frutto
dello Spirito in noi”. Perché l’operato dei capi, come la vita di individui e
gruppi, non fa che svilupparsi secondo la logica che occorre uccidere per
sopravvivere, odiare perché si ha paura e perché si è oppressi. Eppure – afferma
mons. Sabbah – nonostante tutta questa dura realtà,
dobbiamo proclamare e ripetere che la terra dove Dio ha parlato e in cui ha
fatto conoscere il suo amore per tutti, può restare tale. “Noi siamo capaci di
amare e di far giustizia, capaci di liberarci dalla
morte che finora ci è stata imposta dalla paura nata nella violenza e nel
terrorismo, dall’occupazione imposta dalla legge del più forte e dalla logica
della morte dell’odio”. Ma occorre ripartire da nuovi
principi, da una nuova visione della vita, scongiurando: “Voi che uccidete,
smettete di uccidere; voi che odiate, smettete di odiare; voi che occupate la
terra restituitela ai proprietari, perché solo
l’amore e la fiducia possono fare riacquistare la libertà perduta, la sicurezza
persa e l’indipendenza desiderata”. Certo – riconosce mons. Sabbah - questo linguaggio è estraneo a tutti coloro che
detengono il potere. Ma rivolgendosi ad essi, il Patriarca
afferma: “Anche voi siete capaci di amare, di vivere e di trasformare i
rapporti tra i due popoli di terra santa in termini di vita e di pace, e auguro
ad essi in questa pasqua cristiana tutte le benedizioni del Signore”.
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IN
ARABIA SAUDITA, ARRESTATO ED ESPULSO UN SACERDOTE
ACCUSATO
DI AVER SVOLTO NEL PAESE ARABO ATTIVITÀ RELIGIOSE ILLECITE
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
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TRIVANDRUM. = Fermato e poi
espulso dall’Arabia Saudita per aver celebrato una Messa nel Paese arabo, dove
è proibita qualsiasi pratica religiosa che non segua l’Islam. E’ questa
l’esperienza vissuta da padre George Joshua, che ha rivelato
all’Agenzia “Asia News” i particolari di questa vicenda. Il sacerdote, che si è
recato in Arabia Saudita per preparare
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È
SEMPRE PIÙ GRAVE LA SITUAZIONE DEL CORNO D'AFRICA. LA TERRIBILE SICCITÀ
CHE HA
AFFLITTO LA REGIONE, DOVE NON PIOVE DA QUASI DUE ANNI,
HA
DETERMINATO GRAVI CONSEGUENZE: MALATTIE E MALNUTRIZIONE
GINEVRA. = La prolungata siccità e la conseguente carestia
nel Corno d’Africa continuano a provocare epidemie. Secondo dati forniti
dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e riportati dall’Agenzia MISNA,
sono la malaria, il colera, la tubercolosi e numerose infezioni respiratorie le
malattie più gravi. Tali patologie continuano a sconvolgere soprattutto le
popolazioni di Somalia, Etiopia, Gibuti e nord-est
del Kenya. Si stima che in questi Stati siano circa 8 milioni le persone a rischiare la
vita. Sono, inoltre, più di 1,5 milioni i bambini
sotto i cinque anni minacciati dalle drammatiche conseguenze della siccità. Secondo
l’OMS, la copertura immunitaria garantita da campagne di vaccinazione infantile
resta poi molto bassa in tutta la regione.
L’Africa continua, dunque, ad essere il continente maggiormente
sconvolto dal flagello della fame: lo studio rivela che un bambino su cinque di
età inferiore ai 5 anni è affetto da denutrizione. E sono ormai oltre 12
milioni le persone esposte alle conseguenze della siccità. In Somalia, in
particolare, sono oltre 2 milioni coloro che rischiano di essere colpiti da una
“grave emergenza alimentare”. Per far fronte a questa tragica situazione, le
Nazioni Unite hanno recentemente lanciato un appello per raccogliere circa 426
milioni di dollari necessari all’assistenza delle vittime della siccità nel
Corno d’Africa. L’ONU ha anche presentato nel suo appello una lista di oltre 100 progetti messi a punto insieme
con altre organizzazioni umanitarie per garantire acqua, cibo, assistenza
sanitaria e sostenere la ripresa economica dei Paesi colpiti. (S.C.)
IN
CALABRIA, AVVELENATE LE SERRE E DATO ALLE FIAMME UN DEPOSITO
DI UNA
COOPERATIVA NATA SU INIZIATIVA
DEL
VESCOVO DI LOCRI-GERACE, MONS. GIANCARLO MARIA
BREGANTINI.
LA
CARITAS ITALIANA ESPRIME
LOCRI. = Due nuovi, inquietanti episodi legati al mondo
della criminalità organizzata hanno colpito, in Calabria,
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11 aprile 2006
- A cura di Fausta Speranza -
Tragedia in Colombia: almeno sei persone sono morte ieri a
Bituma, 70 chilometri da Bogotà, per il crollo del
tetto di una chiesa durante la Messa. Il tetto dell’edificio è crollato al
momento della comunione a causa del maltempo che si è abbattuto sulla regione
con venti e violenti piogge. Tra i feriti, di cui undici sono in gravi
condizioni, ci sono anche tre bambini.
C’è ancora incertezza in Perù su chi sfiderà nel
ballottaggio presidenziale di maggio l’ex militare nazionalista, Ollanta Humala, vincitore alle
elezioni di domenica scorsa. Si contendono il ruolo di sfidante la candidata di
destra, Lourdes Flores, e l’ex capo dello Stato, il social-democratico Alan Garcia. Una situazione di
incertezza che si riflette anche sulla governabilità del Paese. Il servizio di
Maurizio Salvi:
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Lo spoglio di oltre tre quarti delle schede, delle
elezioni svoltesi domenica, non è stato sufficiente a sciogliere l’enigma su
chi, fra la democristiana, Lourdes Flores ed il social democratico, Alan Garcia, accompagnerà il
leader nazionalista, Ollanta Humala,
nel ballottaggio presidenziale di fine maggio. Humala
ha vinto, sia pure con un risultato inferiore alle previsioni, ma
un’incredibile parità, caratterizza il risultato degli altri due principali
candidati. Secondo gli analisti peruviani, è molto probabile che la corsa del
leader nazionalista dell’Unione per il Perù per la presidenza si infranga sulla
legge dei numeri. Humala, infatti, non dovrebbe
usufruire, se non in minima parte, del riporto di voti degli altri candidati,
cosa che avverrebbe invece con una certa facilità a favore della Flores o
dell’ex presidente, Alan Garcia.
Ma gli osservatori sottolineano anche che chiunque succederà ad Alejandro Toledo ritroverà il problema di dover creare una
maggioranza parlamentare e il compito appare quanto mai complesso.
L’ingovernabilità è un brutto presagio per il Perù, che in 50 anni è passato
per sette volte dalla democrazia alla dittatura.
Dall’America Latina, Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio
Vaticana.
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Il principale
schieramento di opposizione, il Partito delle regioni, con il 32,14% dei suffragi
ha vinto le elezioni politiche tenute lo scorso mese in Ucraina, secondo i
risultati definitivi resi noti ieri. Il partito di Viktor
Ianukovich, il candidato filo-russo, con 8,1 milioni
di voti raccolti ha sorpassato il Blocco Iulia Timoshenko, ex alleata del presidente Viktor
Iushenko, passata all'opposizione, che ha ottenuto
5,7 milioni di voti. Secondo quanto ha annunciato alla Tv pubblica, la Commissione
elettorale ucraina, la coalizione presidenziale Nostra Ucraina è arrivata al
terzo posto con 3,5 milioni di voti. Seguono i socialisti e i comunisti che
hanno superato lo sbarramento del 3% necessario per essere rappresentati in
Parlamento. I risultati finali confermano che nessun partito ha ottenuto la
maggioranza assoluta e trattative sono in corso per la formazione di un governo
di coalizione.
I ministri degli
Esteri dell’Unione Europea hanno bandito ieri l’ingresso nell’UE al presidente bielorusso, Alexander Lukashenko e ad altri 30 ministri. La restrizione della libertà
di movimento sul territorio comunitario è la reazione dell’UE alle contestate
elezioni presidenziali dello scorso 19 marzo.
E sempre i ministri degli
Esteri dell’Unione Europea hanno confermato il congelamento temporaneo dei
fondi destinati al governo palestinese guidato da Hamas, poiché il movimento
islamico non ha riconosciuto il diritto all’esistenza di Israele né rinunciato
alla violenza. Gli aiuti umanitari proseguiranno, comunque, attraverso canali
alternativi.
In Iraq, si è concluso senza un’intesa il
vertice tra i leader politici sciiti sulla candidatura di Ibrahim
al Jaafari come futuro premier iracheno. Jaafari è stato indicato lo scorso mese di febbraio come
candidato primo ministro dall’Alleanza sciita, ma sulla sua nomina c’è il veto
dei partiti sunniti e curdi. Intanto, un ennesimo
attentato ha scosso il quartiere sciita di Baghdad: un’autobomba è esplosa su
un minibus causando la morte di almeno 3 persone.
Messa da parte, in Francia, la contestata legge sul
contratto di primo impiego che prevedeva la possibilità di licenziamento anche
senza giusta causa per i minori di 26 anni. Le proteste di piazza hanno avuto,
dunque, la meglio sul governo e, ieri mattina, il presidente Chirac ha annunciato che la normativa verrà
sostituita. In attesa della nuova legge, ci si chiede
quali siano le motivazioni della decisione dell’Eliseo.
Trascorsi cento giorni prescritti per legge il
governo israeliano ha oggi preso atto all'unanimità che Ariel Sharon - in coma
profondo dal 4 gennaio scorso - non è in grado di riprendersi e dunque non può
più fungere da premier. Di conseguenza Ehud Olmert, che finora aveva la
carica di primo ministro ad interim, da venerdì a mezzanotte sarà premier a
tutti gli effetti. In queste settimane Olmert ha
sempre avuto cura di non sedersi sulla poltrona del premier e si è astenuto
dall'entrare nell'ufficio di Sharon. In
seguito alle elezioni politiche del 28 marzo Olmert
ha intanto ricevuto dal capo dello stato Moshe Katzav
l'incarico di formare
un nuovo governo che sarà guidato dal partito centrista Kadima fondato da
Sharon nel novembre scorso.
“Le notizie sui piani per un attacco militare
americano contro l’Iran, sono speculazioni”. Lo ha detto ieri il presidente Bush commentando gli articoli usciti durante il fine
settimana su diversi giornali americani, che parlavano anche di un possibile
uso delle armi atomiche per distruggere i siti dove si concentra il programma nucleare
della Repubblica Islamica.
Due razzi hanno colpito una scuola alle porte di Asadabad, nella provincia orientale di Kunar,
in Afghanistan, uccidendo almeno sei bambini
e ferendone almeno altri 15. Lo si apprende
dalla polizia locale.
La legge sull’immigrazione infiamma le
piazze americane. Centinaia di migliaia di dimostranti hanno invaso ieri le
strade di Washington e di numerose altre città statunitensi contro l’ipotesi di
un giro di vite anti-clandestini. Alla Camera è già stata approvata una bozza
di legge che criminalizza gli immigrati che lavorano negli USA senza permesso,
mentre al Senato un progetto sullo stesso tema prevede misure più favorevoli ai
circa 11 milioni di clandestini che vivono negli Stati Uniti.
Presunti
ribelli delle Tigri Tamil hanno ucciso 12 militari
della marina e ne hanno feriti altri otto in un attacco compiuto con una mina a
frammentazione contro un veicolo che trasportava i militari, nella parte nordorientale del Paese. Le forze armate ritengono che a
compiere l'attacco siano state le Tigri per la liberazione del Tamil Eelam che sono state anche
accusate di essere responsabili di un attacco analogo
compiuto ieri nel nord dello Sri Lanka con un
bilancio di sette morti. Il governo ed i
ribelli hanno in programma un incontro la prossima settimana in Svizzera
nell'ambito di un percorso negoziale per giungere alla fine della ribellione tamil.
Persiste lo stato
di tensione in Nepal. Le autorità di Kathmandou hanno
esteso, per la quarta volta consecutiva, il coprifuoco diurno imposto per
bloccare le manifestazioni. I partiti di opposizione, sostenuti dai maoisti,
protestano contro re Gyanendra, che nel febbraio 2005
si è attribuito pieni poteri.
Disastroso rogo in
India. Almeno 100 persone, uomini, donne e bambini, hanno perso la vita
nell’incendio che è divampato ieri in una fiera tecnologica a Meerut. Le fiamme, provocate da un corto circuito, hanno
ridotto in cenere tre gigantesche tende, che disponevano di un’unica entrata ed
un’unica uscita.
A Tokyo si sono rimessi in moto
i colloqui multilaterali a sei sulla crisi nucleare nord-coreana, avviati nel
2003 e interrotti da mesi dopo il rifiuto della Nord
Corea di ritornare al tavolo negoziale per protesta contro possibili sanzioni
economiche degli Stati Uniti.
Boris Gryzlov,
speaker della Duma, la Camera bassa del parlamento
russo, ha avvertito oggi che il Cremlino ritarderà il processo di adesione al
WTO - l'organizzazione mondiale del commercio - se si cercherà di imporgli
condizioni svantaggiose. “L'adesione al WTO non è un fine in sé. Non
accetteremo condizioni svantaggiose”, ha affermato Gryzlov,
un fedelissimo del presidente Vladimir Putin. La
Russia stenta a completare i negoziati per la cooptazione
nel WTO soprattutto per le richieste avanzate dall'amministrazione Bush, che non vede di buon occhio la politica economica di Putin, insiste per una maggiore liberalizzazione in vari
settori (incominciando da quello bancario) e per una lotta più efficace contro
la piaga della pirateria.
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