RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 242 - Testo
della trasmissione di mercoledì 30 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
“Israele si ritiri dal Sud
del Libano e gli hezbollah rilascino i soldati
israeliani rapiti dai combattenti sciiti”: è l’appello lanciato stamani da Kofi Annan a Gerusalemme, dopo
l’incontro con il premier israeliano
Almeno 36 morti in Iraq
per due attentati compiuti in un mercato di Baghdad e in un centro di
reclutamento, a sud della capitale
30 agosto 2006
SEGUIRE CRISTO VUOL DIRE STACCARSI DA OGNI COSA:
È L’INSEGNAMENTO
DA BENEDETTO XVI ALL’UDIENZA GENERALE
DEDICATA
ALLA FIGURA DELL’APOSTOLO MATTEO. “NON È AMMISSIBILE
–
HA AFFERMATO – L’ATTACCAMENTO A COSE INCOMPATIBILI
–
CON LA SEQUELA DI GESÙ,
COME È
IL CASO DELLE RICCHEZZE DISONESTE”
L’apostolo Matteo, l’esattore
delle imposte che chiamato da Gesù, si alzò e lo seguì, è l’esempio di colui
che si distacca da ogni cosa per seguire Cristo. E’ questo l’insegnamento che
Benedetto XVI ha offerto oggi ai fedeli presenti all’udienza generale nell’Aula
Paolo VI. “Anche oggi – ha detto il
Papa - non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di
Gesù, come è il caso delle ricchezze disoneste”. Il servizio di Tiziana Campisi:
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(musica)
Gesù non esclude nessuno dalla
propria amicizia e il buon annuncio del Vangelo consiste proprio nell’offerta
della grazia di Dio al peccatore. Si può sintetizzare con queste parole la
catechesi di Benedetto XVI, oggi centrata sulla figura
dell’apostolo Matteo. Il pubblicano seduto al banco delle imposte al quale Gesù
dice semplicemente “Seguimi!”, e che alzatosi lo
seguì, è l’esempio, ha sottolineato il Papa, della prontezza nel rispondere
alla chiamata, l’abbandono di qualunque cosa. Quella di Matteo, ha proseguito
il Santo Padre, è una storia che ancora oggi insegna qualcosa:
“Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli
consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio. Facilmente intuibile
l’appli-cazione al presente: anche oggi non è ammissibile l’attaccamento a cose
incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchezze
disoneste”.
Nella sequela di Matteo, ha
aggiunto Benedetto XVI, “è legittimo leggere il distacco da una situazione di
peccato ed insieme l’adesione consapevole ad un’esistenza nuova”. Nella figura
di questo apostolo, ha affermato il Pontefice, “i Vangeli ci propongono un vero
e proprio paradosso”:
“Chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino
un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi
effetti nella propria esistenza”.
Matteo, che in ebraico significa
“dono di Dio”, l’esattore delle imposte, è un uomo che secondo le concezioni in
voga nell’Israele dei primi secoli era considerato un pubblico peccatore.
“Maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente
estranea al popolo di Dio”, ha spiegato il Papa, e “collaborava anche con
un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere
determinati anche in modo arbitrario”. Eppure, Gesù lo accoglie nel gruppo dei
suoi intimi, offrendo un grande insegnamento:
“Mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi,
in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che
egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l'importante
dichiarazione: ‘Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non
sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori’.
Benedetto XVI ha ricordato infine
che Matteo è l’autore del primo Vangelo: l’apostolo lo scrisse in ebraico ma noi oggi possediamo solo la traduzione in greco.
Un Vangelo, ha concluso il Papa, in cui il discepolo seguita ad annunciarci la
misericordia salvatrice di Dio:
“E sentiamo questo messaggio di San Matteo, meditiamolo sempre di
nuovo, per imparare anche noi ad alzarci e a seguire Gesù completamente”.
(applausi)
Infine, Benedetto XVI, dopo aver
salutato in varie lingue gli ottomila pellegrini presenti all’udienza, ha
rivolto un pensiero ai giovani ai malati e ai neosposi. A loro ha indicato
“l’eroico esempio di San Giovanni Battista”, di cui ieri la Chiesa ha celebrato
il martirio, come stimolo per progettare un’esistenza in piena fedeltà a
Cristo, per affrontare la sofferenza con coraggio e per testimoniare un amore
sincero per Dio e verso il prossimo.
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LA COMUNITA’ DI FEDELI
DELL’ABBRUZZO ATTENDE CON TREPIDAZIONE
LA VISITA DI BENEDETTO XVI A MANOPPELLO. LA
TESTIMONIANZA DI PADRE
CARMINE CUCINELLI, RETTORE DEL SANTUARIO DEL VOLTO
SANTO,
DOVE IL PAPA
SI RECHERA’ IN PREGHIERA VENERDI’ MATTINA
- Intervista con il religioso -
Da quattro
secoli, il Santuario del Volto Santo, nella località abruzzese di Manoppello è meta di pellegrini provenienti dall’Italia e
da altre parti del mondo. Studiosi, teologi, uomini dotti e di
umili origini si sono soffermati in preghiera dinanzi alla reliquia
sacra. Nessun Pontefice si era però recato finora al Santuario, retto dai Frati
Minori Cappuccini. Comprensibile, dunque, la trepidazione con la quale la
comunità di fedeli dell’Abruzzo attenda la visita di Benedetto XVI, venerdì
prossimo. Per conoscere meglio la storia della straordinaria reliquia custodita
a Manoppello, Alessandro Gisotti ha intervistato
padre Carmine Cucinelli, rettore del Santuario del
Volto Santo:
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R. – La storia del Volto Santo è
desunta da una “Memoria Historica” scritta da un
nostro frate cappuccino, padre Donato da Bomba, il quale - per aver sentito
testimonianze di persone anziane - racconta di come un pellegrino, arrivato a Manoppello, abbia consegnato ad un medico del paese
abruzzese una sacra immagine che questi ha ritenuto fosse l’immagine di Gesù.
Il medico l’ha collocata nella sua casa con tanta cura, ed è rimasta nella sua
casa 102 anni. Poi è passata di mano: l’ha presa un militare, con la forza,
questo militare che era stato incarcerato e che, praticamente, ha venduto la
sacra immagine per uscire dal carcere ad un altro medico di Manoppello.
Il quale, dopo 20 anni, l’ha regalata ai Frati Cappuccini. I Frati Cappuccini
l’hanno da sempre custodito, questo velo, ponendolo in un reliquiario d’argento
ed esponendolo alla devozione dei fedeli in pubblico. Fino ad oggi è conservato
in questa maniera.
D. – Ecco, ora ci sarà anche un
pellegrino straordinario: il primo Papa che viene al Santuario di Manoppello. Come vi preparate ad accogliere Benedetto XVI?
R. – Anzitutto, con la preghiera.
Infatti, questa sera faremo una solenne Veglia di preghiera per preparare
questo grande evento, e poi anche con delle cose pratiche: offrendo dei doni…
Ma sono soprattutto i cuori ad essere pronti, in
attesa trepida di accogliere questo straordinario pellegrino.
D. – Peraltro, quest’anno si
celebrano 500 anni – secondo la tradizione – dall’arrivo a Manoppello
della Veronica, del Volto Santo: quale migliore occasione, quindi, per
celebrare questo momento storico…
R. – E’ vero, è proprio così. E’
capitata una grande occasione dentro un’altra occasione, anche rilevante. La
presenza del Papa è più importante dell’anniversario dei 500 anni. Però, forse
questi 500 anni verranno in seguito ricordati perché in questo centenario c’è
stata una presenza particolare: quella del Papa.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina
l’udienza generale.
Servizio vaticano - Una
pagina dedicata al cammino della Chiesa in Italia.
Servizio estero - Medio
Oriente: Kofi Annan chiede
ad Olmert di ritirare entro alcuni giorni le truppe
ancora dispiegate nel Sud del Libano.
Servizio culturale - Un articolo di Claudio Toscani dal titolo “Un’opera permeata
della presenza del divino”: è morto Nagib Mahfuz, Nobel per la letteratura nel 1988.
Un articolo di Giuseppe
Appella dal titolo “I quadri sono simili a drammi teatrali, pronti ad
un’avventura ignota in uno spazio sconosciuto”: Mark Rothko e il pensiero dell’arte.
Servizio italiano - In
primo piano il tema della finanziaria.
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30 agosto 2006
IL DISAGIO FAMILIARE E INFANTILE, E LE ESPERIENZE
POSITIVE DI RECUPERO,
AL
CENTRO DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE PROMOSSO
DALL’ASSOCIAZIONE
“AMICI DEI BAMBINI”
-
Intervista con padre Maurizio Chiodi e Marco Griffini
-
Chiude oggi a Bellària,
in provincia di Rimini, il Convegno internazione proposto dalla ONG “Amici dei
bambini”, che in questa edizione ha visto la partecipazione di giovani
cresciuti negli orfanotrofi, di figli, famiglie adottive e 180 associazioni
familiari internazionali e del privato sociale. Un percorso di tre giorni fatto
di ascolto e racconti per non arrendersi alla difficile situazione di
solitudine in cui versano milioni di bambini. Di questo incontro, riferisce padre Maurizio Chiodi, docente di Teologia morale presso la
Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, intervistato da
Emanuela Campanile:
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R. – Sono due le cose che ci hanno
maggiormente colpito delle esperienze raccontate. Dalle loro storie emergeva la
profondità e l’irreversibilità del male patito. L’abbandono è qualcosa di
assurdo. Essere abbandonati dai propri genitori, da coloro che ti hanno messo
al mondo, è un assurdo e come sempre l’assurdo del male non ha un perché. Dalle
loro testimonianze emergeva molto chiaro che la domanda “perché” rimane come un grumo non risolvibile, una domanda senza
risposta ineliminabile. Ciò che è accaduto non può essere modificato, anche se
può essere rielaborato, rivissuto, addirittura può dare inizio a qualcosa di
nuovo.
D. – In questo quadro, come può
inserirsi il volto del bene?
R. – La cosa straordinaria che è
affiorata è che in ciascuno di questi giovani emergeva la forza della speranza
con una chiarezza nitida, straordinaria. Direi che è la forza della speranza,
come un piccolo seme che fa capolino dopo l’inverno: è testarda, tenace,
cocciuta. E’ come se ciascuno di quei giovani ci avesse aiutato a capire che
nella trama della vita c’era nascosto un filo luminoso che consentiva di
continuare a sperare e attraverso la paziente attenzione a seguire questo filo,
piano piano, ascoltando quelle storie, ci veniva come
spiegato dinanzi un disegno nuovo, un filo che è appunto capace di ricostruire
un senso straordinario, incredibile.
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Tra i relatori dell’incontro,
figura anche Marco Griffini, presidente
dell’Associazione Amici dei Bambini, che – sempre al microfono di Emanuela
Campanile – spiega le motivazioni che hanno spinto a scegliere come
protagonisti del Convegno chi ha vissuto l’esperienza dell’abbandono e quella
dell’accoglienza:
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R. – Questa volta abbiamo chiamato
effettivamente coloro che sono davvero gli esperti, cioè coloro che hanno
vissuto l’esperienza dell’abbandono sulla loro pelle e coloro che hanno accolto
il bambino abbandonato. Sono loro i protagonisti perché noi vogliamo affrontare
una soluzione a questo tremendo paradosso dell’accoglienza, dell’abbandono per cui abbiamo da una parte milioni di bambini abbandonati
che vivono nell’attesa di diventare dei figli e dall’altra parte altrettanti
milioni di famiglie che vivono anche loro nell’attesa di offrire questa loro
disponibilità all’accoglienza. Sono però i 20 anni di questo nostro movimento
di famiglie e oggi devo proprio alzare le mani perché non sappiamo più cosa
fare per poter fare un’adozione, per poter fare un affido.
D. – Perché?
R. – Perché si è scoperto
solamente da poco che questi milioni di bambini abbandonati sono schiavi, sono
letteralmente schiavi di miti, di miti che noi adulti abbiamo creato e sono i
miti della famiglia di origine e il mito per cui “il
bambino l’ho fatto io e anche se non me ne prendo più cura è comunque mio figlio
e lo Stato deve tenerlo”, tenerlo segregato fin quando io decido di
riprenderlo. Sono schiavi del “mito dell’assistenza”, al bambino abbandonato
gli dò da mangiare, lo vesto, lo mando a scuola e
cosa si vuole di più… L’assistenza pensiamo che superi l’abbandono,
sono miti della cultura, di una cultura di origine che vorrebbe dire: “Il
bambino è di questo Paese e deve vivere anche da abbandonato in questo Paese”.
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CONCLUSE IERI SERA, NEL CAPOLUOGO ABRUZZESE
DELL’AQUILA,
LE
CELEBRAZIONI DELLA 712.MA PERDONANZA CELESTINIANA
-
Intervista con il vescovo Giuseppe Molinari -
Con una
cerimonia solenne e semplice allo stesso tempo, ieri sera all’Aquila, in
Abruzzo, l’arcivescovo della città, mons. Giuseppe Molinari,
ha presieduto il rito di chiusura della Porta Santa della basilica di Santa
Maria di Collemaggio, a conclusione della 712.ma Perdonanza celestiniana. La ricorrenza, istituita nel 1294 da Papa
Celestino V, ha dato modo a migliaia di fedeli di ottenere l’indulgenza
plenaria. Il servizio del nostro inviato all’Aquila Giancarlo La Vella:
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E’
stata dunque archiviata la 712.ma ricorrenza della Perdonanza celestiniana, che ha
coinvolto migliaia di fedeli aquilani, abruzzesi, ma tantissimi anche da fuori
della regione. Per ognuno, un significato particolare, profondo, personale, nel
passare la Porta Santa e nell’ottenere, dopo la preghiera, la riconciliazione e
la comunione, l’indulgenza plenaria, secondo l’antica tradizione istituita da
Papa Celestino V nel 1294. Tracciamo allora un bilancio di
questa edizione 2006. Lo facciamo insieme con l’arcivescovo dell’Aquila,
mons. Giuseppe Molinari:
R. –
Nelle cose della fede, dello spirito, è sempre difficile fare dei bilanci: li
conosce solo il Signore. Tuttavia, dall’esterno, abbiamo visto tanta gente,
uomini e donne che sono venuti qui, si sono accostati
al sacramento della Riconciliazione, hanno cercato l’incontro con Dio che poi è
il presupposto più forte per un vero incontro con i fratelli. Dobbiamo solo
ringraziare il Signore per tutto questo fiume di grazia che si è riversato in
questo Santuario del perdono.
D. – Si
è chiusa la Porta Santa della Perdonanza, ma forse
solo in senso materiale. Invece, il messaggio lanciato 712 anni fa da Papa
Celestino V continua ancora ad andare verso il mondo?
R. – E’
l’augurio che noi ci facciamo, è il proposito che rinnoviamo ogni anno, perché
non si riduca tutto ai due giorni di agosto, ma diventi un clima che accompagni
tutte le nostre giornate, tutto l’anno. Che la Perdonanza
diventi un messaggio di pace, di dialogo, di tolleranza, di accoglienza
dell’altro: un messaggio del quale abbiamo tanto bisogno ai nostri giorni.
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DIALOGO E TOLLERANZA CON ALTRE RELEGIONI E CULTURE
SI
BASANO SU UN CONFRONTO TRA IDENTITA’ FORTI E NON INDISTINTE:
L’OPINIONE
DI MONS. FRANCESCO FOLLO, OSSERVATORE DELLA S. SEDE
ALL’UNESCO
- Intervista con il presule -
“Una identità
forte non è un ostacolo al vero dialogo”. L’affermazione dell’arcivescovo
Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO, è
stata resa dal presule al Meeting di Rimini di Comunione e liberazione,
conclusosi sabato scorso. Mons. Follo è intervenuto
in un dibattito dedicato al tema dell’incontro tra le culture. “La tolleranza è
riconoscere l’altro come valore e non come problema”, ha sottolineato,
“paragonando il dialogo ad una 'polifonia delle culture'”.
Luca Collodi, nostro inviato al Meeting riminese, ha
chiesto a mons. Follo di approfondire l’argomento:
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R. – E’ una frase di Benedetto
XVI, che ho sentito nella sua intervista alla Radio Vaticana e alla televisione
tedesca, e mi sembra una frase felice, perchè rispetto a quella mentalità
basata sul “meticciato” delle culture, questa è più
propositiva e più rispettosa. Il meticciato, infatti,
dà sempre un’idea di qualcosa che arriva per caso. La polifonia, invece, ha
come analogia l’orchestra, in cui ogni strumento resta se stesso, ma compone
una musica nuova. Quindi, mi sembra sempre un’analogia, ma soprattutto una
metafora da sviluppare proprio a livello culturale e dialogico.
D. – Come si può oggi armonizzare
questa polifonia nella realtà concreta della politica, della storia
contemporanea tra i popoli, tra i Paesi?
R. – Il primo passo è quello del
rispetto, che è termine migliore rispetto a quello di tolleranza. L’altro
aspetto, secondo me, è cominciare almeno una riconoscenza. In francese funziona
meglio, perché reconnaissance
vuol dire sia riconoscere l’altro che essere grato. Quindi, se io riconosco l’altro
non come problema, ma come valore, gli sono grato di esistere. Invece, a volte,
l’altro è vissuto come problema da integrare.
D. – Si parla però di recuperare
una forte identità, per arrivare ad un dialogo più efficiente. Non c’è un po’
di contrasto?
R. – No, perché nella Santissima
Trinità, più Dio è Padre, più è in unione al Figlio e allo Spirito Santo.
L’unione non implica fusione, ma esaltazione della
propria identità. Quindi, noi seguiamo il modello che Dio è Padre. Sant’Agostino dice: “Dio è l’amante, Cristo è l’amato e lo
Spirito Santo è l’amore”. Quindi, l’identità vera non è contrapposizione, è
quello che mi permette di dialogare con l’altro.
D. – Mons.
Follo, lei è osservatore permanente all’UNESCO per la Santa Sede. Cosa può fare
l’UNESCO per la pace nel mondo?
R. – L’atto costitutivo
dell’UNESCO afferma che, visto che le guerre nascono nei cuori umani, bisogna
partire dall’educazione del cuore. Quindi, più si svilupperanno delle politiche
educative e culturali e più sarà possibile costruire una società, come diceva Paolo VI, sulla civiltà dell’amore. Finalmente
l’amore, anche grazie all’enciclica del Papa, non diventa più una cosa solo
spirituale, ma diventa un fondamento culturale. Prima, invece, per il mondo
“concreto” occorreva la solidarietà, come se l’amore cristiano fosse meno
concreto della solidarietà.
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INAUGURATO
A VENEZIA IL 63.MO FESTIVAL DEL CINEMA:
EPISODI
E FASI DELLA STORIA MONDIALE DEGLI ULTIMI 40 ANNI
AL
CENTRO DI MOLTI DEI FILM IN CONCORSO
E’ affidato all’americano Brian De
Palma, con il torbido noir “The Black
Dalia”, tratto dall’omonimo romanzo di James Ellroy, il compito di inaugurare questa sera la 63.ma Mostra internazionale d’Arte cinematografica di
Venezia. Undici giorni per riflettere sull’uomo, la sua storia, il passato e il
presente, attraverso le sensibilità artistiche di registi e di opere
provenienti da ogni parte del mondo. Il servizio di Luca Pellegrini:
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Non è bello iniziare con le
polemiche, seppure a distanza. Lasciamo, dunque, che la rassegna d’arte
cinematografica veneziana inizi, offra le sue sorprese, finisca con i
tradizionali verdetti dei giurati, quest’anno capitanati
da Catherine Deneuve, cinquant’anni di cinema alle spalle. La polemica sarebbe
con la temuta Festa di Roma ad ottobre. Troppo vicina. Troppo ricca. Speriamo
che lancio di accuse e repentine difese non siano mezzi pubblicitari per
entrambe. Il cinema può trarre giovamento da una sana concorrenza. E, ad un
Festival di cinema, è sempre più dignitoso e culturalmente nobile parlare di
cinema e dei suoi riflessi sul cuore e la coscienza umani. Nel frattempo a
Venezia quest’anno dovrebbero mancare, e anche questo è un bene, nei ventuno
titoli in concorso (più uno a sorpresa), scandali veri e finti. E dovrebbero mancare
anche temi predeterminati. Ne troviamo, forse, uno, uno
soltanto: la vita e il nostro mondo, entro cui scrutare tensioni sociali, paure
contemporanee, risultati della storia, memorie interrotte, conflitti domestici,
visioni di un futuro in cui l’umanità si trova agli sgoccioli, per non aver
rispettato se stessa e il pianeta che abitiamo. Degrado del Creato cui ha fatto
riferimento il Santo Padre nella preghiera dell’Angelus della scorsa domenica,
conscio dell’urgenza di questo inderogabile problema! Così: il cinema è lo
specchio dei nostri tempi? Ebbene, sono certamente confusi.
Attesa, dunque, per i due italiani
in concorso: Gianni Amelio e Emanuele Crialese, il
primo con una storia girata nella Cina delle fabbriche
che poco hanno di umano, il secondo con un poderoso affresco sulla migrazione
italiana verso l’America nei primi del ‘900. Attesa per i molti orientali, i
molti americani, per il Leone d’Oro alla Carriera David Lynch
e per il novantottenne maestro portoghese Manoel De Oliveira, che confeziona un personale omaggio al grande Bunuel. Infine, tre titoli per riflettere
su alcuni episodi difficili di storia contemporanea: “World Trade
Center” di Oliver Stone,
per raccontare una delle più tragiche giornate dell’America contemporanea, l’11
settembre 2001; “Bobby” di Emilio Estevez,
che torna ad un giorno più antico, quello in cui fu assassinato Robert Kennedy, 6 giugno 1968;
“The Queen”, nel quale Stephen
Frears ha il coraggio di portare sul set Elisabetta
II ai tempi della morte di Lady Diana, 31 agosto 1997. La storia:
dovrebbe insegnarci a non ripetere errori, a costruire un presente diverso, a
progettare un futuro migliore.
Da Venezia, Luca Pellegrini per
Radio Vaticana.
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AVVISO
Rendiamo
noto che dal 1° settembre 2006 non sarà più possibile ascoltare l’edizione del Radiogiornale delle 14.00 sulla frequenza di 5885 khz in onda
corta, che verrà soppressa a partire da quella
data. Vi ricordiamo che è sempre possibile ascoltare l’informazione della Radio
Vaticana sulle altre consuete frequenze e sul sito internet
www.radiovaticana.va, sul quale è in funzione il servizio di podcasting.
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30 agosto 2006
“RICONOSCETE L’ERRORE COMMESSO E COMPORTATEVI DI CONSEGUENZA”:
E’ L’APPELLO LANCIATO OGGI DAL NUNZIO APOSTOLICO IN SRI LANKA,
MONS. MARIO ZENARI, AI RESPONSABILI DELLA
SCOMPARSA, IL 20 AGOSTO SCORSO NELLA PENISOLA SETTENTRIONALE DI JAFFNA, DI
PADRE NIHAL JIM BROWN
COLOMBO. =: “Faccio appello ai vostri sentimenti di umanità,
chiedendovi di riconoscere il vostro errore e di agire di conseguenza”: così, il nunzio
apostolico in Sri Lanka, mons. Mario Zenari, nell’appello lanciato oggi, attraverso i microfoni di
AsiaNews, ai responsabili della scomparsa, il 20
agosto scorso, di padre Nihal Jim
Brown, parroco di Allaipiddy,
nella penisola di Jaffna, insieme al suo assistente, Vimalathas. “Siamo tristi e scoraggiati per la scomparsa di
padre Brown – ha detto il presule - e allo stesso
tempo testimoniamo come ora più che mai quanto egli sia presente nei cuori
della sua gente, che ama la pace”. Da subito, per il sacerdote scomparso si è
mobilitato il vescovo di Jaffna, mons. Thomas Savundaranayagam. E’ stato
lo stesso presule a raccontare ad AsiaNews di essersi rivolto ieri, per la seconda volta,
al presidente dello Sri Lanka, Mahinda
Rajapakse: “Gli ho chiesto – ha raccontato – di
rispondere alla nostra lettera sulla scomparsa di padre Jim
e del suo assistente, ma non abbiamo sentito niente finora”. Cresce, intanto,
l’ansia tra i cattolici di Jaffna e della vicina
diocesi di Mannar, dove il sacerdote ha lavorato per
due anni. La settimana scorsa si sono svolti incontri di preghiera e proteste
pacifiche. La comunità ha presentato appelli alle autorità locali e allo stesso
Rajapakse. Mobilitate anche
CON
UNA DICHIARAZIONE CONGIUNTA DEI LEADER MUSULMANI,
NELLA
QUALE SI INVOCA
L’OTTAVA
CONFERENZA MONDIALE DELLE RELIGIONI PER
- A
cura di Chiaretta Zucconi -
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KYOTO. = L’ottava Conferenza mondiale delle religioni per la pace,
conclusasi ieri a Kyoto, in Giappone, non poteva che terminare che con un’accorata dichiarazione congiunta
dei leader musulmani, nella quale si invoca la pace in Iraq. Altro gesto
significativo è stata la lunga stretta di mano tra i rappresentati indo e buddisti, provenienti dal martoriato Sri Lanka, che hanno sollecitato il cessate-il-fuoco e la ripresa dei colloqui di pace
nel Paese. Ma nell’ultima giornata dei lavori, cui hanno
partecipato oltre due mila leader religiosi provenienti da più di 100 Paesi, si è parlato anche di Darfur, di Libano e Israele, e di lotta alla povertà.
L’incontro interreligioso per la pace, svoltosi nell’antica capitale del
Giappone, dove 30 anni fa si tenne la prima Conferenza,
ha approvato anche una Dichiarazione sulla violenza contro i bambini, che
impegna le comunità religiose e i credenti a lottare contro gli abusi sui
minori. Il documento, che promuove la santità della vita in tutte le diverse
fasi dello sviluppo del bambino, è stato elaborato a Toledo nel maggio scorso,
durante una consultazione globale promossa dall’UNICEF e dalla coalizione
internazionale e interconfessionale “Religion for Peace”. Sarà presentato alle
Nazioni Unite e ai governi dei Paesi membri in occasione dell’Assemblea
generale dell’ONU, l’11 ottobre prossimo.
Per
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“ESSERE
LAICO SIGNIFICA SOPRATTUTTO ACCETTARE E RISPETTARE
NEI
GIORNI SCORSI AL MONTEVIDEO, AL SEMINARIO NAZIONALE
SULLO
STUDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
- A
cura di Luis Badilla -
MONTEVIDEO. = “Va sempre ricordato
che “laicità”, “laicismo” e “laico” sono termini simili, ma in realtà indicano
cose molto diverse”: è quanto ha dichiarato, domenica scorsa a Montevideo, il presidente dell’Uruguay, Tabaré
Vásquez, intervenendo all’ultimo giorno di lavori del
Seminario nazionale dedicato allo Studio della Dottrina Sociale della Chiesa,
incentrato sulla “preparazione per agire di fronte alle sfide del XXI secolo”.
La partecipazione di Vásquez all’incontro appare come
un evento eccezionale, visto che l’Uruguay è ritenuto da sempre il Paese più
laico e, a volte, il più laicista dell’America Latina. In alcuni momenti della
storia di questa nazione, infatti, la laicità, intesa come laicismo, si è anche
tradotta in movimenti politici e sociali, nonché culturali, aggressivamente
anticlericali. Tuttavia, da qualche anno le cose stanno cambiando nella
direzione del dialogo. “La laicità dello Stato, da non confondere con il
laicismo – ha dichiarato il capo di Stato, citato sul sito internet della
Conferenza episcopale uruguayana – è un fattore che sostiene e aiuta allo
sviluppo della democrazia”. Secondo Vásquez, “lo
Stato laico deve garantire a tutti gli stessi diritti e le medesime opportunità
e, senza patteggiare a favore di nessuno, deve comunque tener conto delle
sensibilità e delle tradizioni che fanno parte della storia del Paese da
sempre”. Essere laico – ha aggiunto il presidente - significa soprattutto
accettare e rispettare la diversità dell’altro, riconoscendo il diritto di
ciascuno a difendere e sviluppare le proprie idee e convinzioni religiose, nel
rispetto della convivenza sancita nelle leggi”. L’apertura del Seminario,
venerdì scorso, era stata a carico di mons. Pablo Jaime Galimberti di Vietri, presidente della Conferenza episcopale uruguaiana,
che ha incentrato le sue riflessioni “sull’interazione
tra Chiesa e Stato”, estendendo l’analisi anche sulle “condizioni vere e
necessarie per promuovere lo sviluppo integrale”. Nelle riunioni di gruppo,
nelle plenarie e nei laboratori, si sono succeduti decine di esperti, per
discutere di fenomeni sociali di grandi attualità, quali, l’emarginazione
sociale, i valori condivisi della società uruguayana e, appunto, la laicità.
MAGGIORE PREVENZIONE PER
COMBATTERE IL TRAFFICO DI BAMBINI
DELL’EUROPA SUD-ORIENTALE: È QUANTO CHIEDONO
L’UNICEF
E TERRE DES HOMMES, IN UN RAPPORTO PUBBLICATO OGGI
LONDRA. = “I
bambini dell’Europa sud-orientale cadono vittime dei trafficanti perché le
attività di prevenzione sono troppo scarse e troppo tardive”: è l’allarme
lanciato oggi dall’UNICEF e da Terre des Hommes, in un Rapporto dal titolo: “Agire per prevenire il
traffico di bambini in Europa sud-orientale: uno studio di valutazione
preliminare”. Nel Rapporto, che include le voci e le opinioni di piccole
vittime di Albania, Moldova, Romania e Kosovo, si sottolinea la necessità di concentrarsi non più solo sulla
repressione, ma soprattutto sulla prevenzione del fenomeno. “Le
campagne di sensibilizzazione – si legge nel documento – sono spesso sbagliate,
fuorvianti e non sistematiche”. “Alcune – continua il rapporto – usano immagini stereotipate di
uomini in agguato nell’ombra, mentre in realtà i trafficanti sono spesso
familiari o amici; altre, invece, trascurano le forme di traffico a fini
diversi dallo sfruttamento sessuale, per esempio per il lavoro domestico,
l’elemosina o il furto”. Inoltre, “la maggior parte dei messaggi sono
rivolti agli adulti anziché ai bambini e quindi danno poca o nessuna
informazione su come i bambini possano proteggersi, a chi rivolgersi o dove
chiedere aiuto”. Occorre
dunque, secondo l’UNICEF e Terre des Hommes, “combattere il traffico di bambini, affrontando le
cause alla radice del problema e i modelli di domanda e offerta che governano
il ciclo”. Nel rapporto si chiede “la
realizzazione di una rete di servizi e sistemi armonizzati tra loro,
sincronizzati e senza falle o sovrapposizioni, sia internamente sia tra Stati
diversi, per proteggere i bambini”. Si sottolineano, inoltre, “gli obblighi
in tal senso per gli Stati e per genitori, tutori e personale che abbia
rapporti professionali coi bambini ai sensi della Convenzione ONU sui diritti
dell’infanzia e di altri strumenti normativi internazionali”. Occorre, infine,
“raccogliere e condividere estesamente, al di là dei confini nazionali,
indicatori e dati standardizzati e comparabili”. (R.M.)
SIGLATO UN ACCORDO TRA ZIMBABWE, BOTSWANA E ZAMBIA PER LA
COSTRUZIONE
DI UN PONTE SUL FIUME ZAMBEZI CHE COLLEGHERÀ I TRE PAESI
HARARE. = E’ stato
sottoscritto nei giorni scorsi, dai presidenti di Zimbabwe,
Botswana e Zambia, un memorandum d’intesa, che
permetterà la costruzione di un ponte sul fiume Zambezi,
in grado di collegare i tre Paesi. “Kanzugula” –
questo il nome del ponte, secondo quanto riportato dall’agenzia MISNA – costerà
55 milioni di euro e consentirà di varcare il fiume, collegando alcune isole
nel punto in cui il corso d’acqua principale esce dalle Cascate Vittoria, al
confine tra i tre Paesi e
SCOPERTO E RICOSTRUITO IN BRASILE LO SCHELETRO
DI UNA
NUOVA SPECIE DI DINOSAURO, VISSUTO 80 MILIONI DI ANNI FA
RIO DE JANEIRO. = “Maxakalisaurus topai”: è il nome
di una nuova specie di dinosauro, il cui scheletro è stato scoperto e
ricostruito in Brasile da un’equipe di paleontologi dell’università di Rio de
Janeiro. Chiamato così in omaggio agli indiani Maxakali,
che abitavano la regione dove sono stati rinvenuti resti, il gigantesco
rettile, vissuto 80 milioni di anni fa, appartiene alla famiglia dei titanosauri. Lungo 13 metri, il dinosauro pesava
originariamente oltre nove tonnellate. I suoi resti, risalenti al periodo tardo
Cretaceo, sono stati trovati tra il 1998 e il 2002, vicino a un’autostrada
nella zona di Serra de Boa Vista. I paleontologi anno impiegato alcuni anni per
ricostruire lo scheletro dell’animale. Rispetto all’ampiezza del corpo, il
dinosauro, dal collo e dalla coda lunghissimi, ha una testa relativamente
piccola. Sulle sue ossa sono stati scoperti segni di denti. Probabilmente, dopo
la sua morte, l’animale e’ stato divorato da dinosauri carnivori. (A.Gr.)
E’ MORTO STAMANI A IL CAIRO LO SCRITTORE,
NAGUIB MAHFOUZ,
PREMIO NOBEL PER
IL CAIRO. = Divenne
famoso nel mondo nel 1988, quando l’Accademia di Svezia gli assegnò il Nobel
per
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30 agosto 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
L’Unione Europea contribuirà con
un primo pacchetto di 42 milioni di euro al recupero e alla ricostruzione del
Libano. Lo ha annunciato
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Kofi Annan
ha lanciato un appello agli Hezbollah per il
“rilascio incondizionato” dei due soldati israeliani rapiti da guerriglieri
sciiti libanesi lo scorso 12 luglio. Il capo uno delle Nazioni Unite ha anche
rinnovato la richiesta ad Israele di revocare il blocco aereo e navale imposto
al Libano all’inizio del conflitto e tuttora in vigore. Ma il governo israeliano ha respinto la richiesta, spiegando
che il blocco sarà revocato solo quando i valichi di confine non saranno più usati per
rifornire di armi gli Hezbollah. Il primo ministro israeliano ha
escluso, inoltre, che le truppe dello Stato ebraico si ritireranno
nei prossimi giorni dal sud del Libano, dopo l’arrivo di 5000 caschi blu.
Israele - ha precisato Olmert indicando tempi più
lunghi - si ritirerà dal Libano quando la risoluzione
1701 dell’ONU sarà completamente attuata. Il premier dello Stato ebraico ha
espresso, poi, la speranza che il cessate-il-fuoco
imposto dalle Nazioni Unite sia l’inizio di un nuovo tipo di relazioni tra
Israele e Libano. Ma la situazione nella regione mediorientale continua ad
essere estremamente difficile: almeno 6 palestinesi sono morti stamani a Gaza,
durante scontri tra attivisti radicali e forze israeliane. Secondo
fonti locali, le vittime sarebbero civili che stavano cercando di
scappare dalle loro case circondate da carri armati israeliani. Proprio nei
Territori palestinesi è iniziato da poco l’incontro a Ramallah
tra Kofi Annan ed il
presidente palestinese, Abu Mazen.
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Due bombe sono esplose in rapida
successione, in Iraq, causando la morte di almeno 36 persone. L’episodio più
grave è avvenuto in una zona centrale di Baghdad: 24 civili sono rimasti uccisi
per l’esplosione di una bomba nascosta tra i banchi di un mercato, già teatro
di attacchi da parte di insorti che contestano il governo del premier sciita Nuri Al Maliki. Poche ore prima,
un ordigno - posizionato secondo fonti locali su una bicicletta - era esploso ad Hilla, città a sud della
capitale. In questo caso, è stato scelto come obiettivo un centro di
reclutamento. Nell’esplosione, avvenuta tra una folla di giovani in fila per
arruolarsi, sono morte 12 persone. Il centro era stato aperto appena quattro
giorni fa, per trovare nuove reclute tra gli abitanti delle città sciite di Samawa, Najaf e Kerbala. L’arruolamento di forze nuove è essenziale
per l’apparato governativo iracheno, in vista del già programmato ritiro
graduale delle unità militari straniere, inquadrate nella coalizione
multinazionale guidata dagli Stati Uniti. Sono infine saliti a 75 i morti per
l’esplosione, ieri, di un oleodotto provocata non da un attacco kamikaze ma dalla fatale imprudenza di decine di persone
che, nel tentativo di prelevare abusivamente del carburante, hanno innescato un
gigantesco incendio.
E le violenze continuano a
sconvolgere anche l’Afghanistan, dove ieri almeno 18 ribelli sono morti in
seguito a violenti scontri, divampati nella parte meridionale del Paese, tra
forze della coalizione e insorti. Sempre nel sud dello Stato asiatico, due
civili sono poi rimasti uccisi per un attacco kamikaze contro un convoglio
delle forze della NATO. Le truppe dell’Alleanza
atlantica sono subentrate lo scorso 31 luglio, in cinque delle sei regioni
meridionali dell’Afghanistan, ad alcuni contingenti della forza di coalizione.
Si stima che, dall’inizio dell’anno, siano state circa 2000 le persone morte
nel Paese in seguito ad attacchi e scontri. Nella maggioranza dei casi, si
tratta di ribelli e soldati afgani. Tra le vittime ci sono anche civili,
operatori umanitari ed almeno 90 militari stranieri. Complessivamente, il 2006
è stato l’anno con il bilancio più pesante per l’Afghanistan dalla caduta dal
regime integralista dei Talebani.
Scade domani l’ultimatum dell’ONU
all’Iran per avere risposte sulla sospensione del programma nucleare. Ieri, il
presidente della Repubblica islamica, Mahmoud Ahmadinejad, ha confermato i consueti toni
intransigenti nel dibattito con la comunità internazionale. Il capo dello Stato
ha nuovamente respinto le pressioni dell’ONU, ribadendo che l’Iran “non si
piegherà alle minacce dell’Occidente”. Che cosa, dunque, ci si può attendere
dall’Iran alla scadenza dell’ultimatum? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Alberto Zanconato
dell’Ansa di Teheran:
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R. – I dirigenti iraniani hanno
sempre dichiarato, durante queste settimane prima di questa scadenza, che non
avrebbero sospeso l’arricchimento dell’uranio.
Però, hanno anche sottolineato che non l’avrebbero fatto come pre-condizione per poi iniziare i negoziati con
l’Occidente. Quindi, questa è la posizione che ha ribadito anche ieri il
presidente Ahmadinejad: “L’Iran è pronto a negoziati,
però respinge la richiesta di sospensione dell’arricchimento dell’uranio”.
Quindi, c’è un rifiuto ma c’è anche la volontà di non
rompere completamente con il fronte delle grandi potenze.
D. – Secondo te, è eccessivo il
timore dell’Occidente nei confronti del programma nucleare iraniano?
R. – L’Iran ha lavorato alla
tecnologia per l’arricchimento dell’uranio in segreto per 18 anni, senza dire
nulla alle grandi potenze, e ha dovuto ammettere di avere questo programma quando la notizia è stata resa pubblica dal
maggiore gruppo armato dell’opposizione, i mujaheddin
del popolo. E’ una tecnologia che può essere utilizzata sì per alimentare
centrali nucleari per l’energia elettrica, ma anche usando la stessa tecnologia
in un numero superiore di centrifughe si può arricchire l’uranio fino ad un
livello sufficiente per costruire ordigni atomici. Da qui nasce il sospetto, da
qui le preoccupazioni della comunità internazionale. A questo scenario, si
aggiunge poi il fatto che l’Iran, proprio in questi giorni, ha fatto un
ulteriore passo verso la realizzazione di un reattore ad acqua pesante. Da
questo si può ricavare plutonio, che è un altro materiale che può essere
impiegato nella costruzione di armi nucleari.
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I responsabili della
morte di 17 impiegati di etnia tamil
dell’organizzazione non governativa francese “Azione contro la fame” (ACF) sono
i soldati dell’esercito nazionale dello Sri Lanka. Lo
ha dichiarato oggi con un comunicato
Una persona è rimasta
ferita per l’esplosione di una bomba a Mersin, sulla
costa mediterranea turca. Si tratta del sesto attentato in una località
turistica della Turchia: cinque ordigni sono esplosi tra domenica e lunedì
causando la morte di tre persone. Gli attentati sono stati rivendicati dal
sedicente gruppo curdo dei “Falchi per la liberazione
del Kurdistan” che, secondo le autorità turche, è un’emanazione del Partito dei
lavoratori curdi (PKK).
Proseguono gli sforzi
di Gran Bretagna e Stati Uniti per aprire la strada alla costituzione di una
forza di pace per la martoriata regione sudanese del Darfur:
i governi di Londra e Washington hanno infatti
chiesto, nonostante l’opposizione dell’esecutivo del Sudan, di votare giovedì
prossimo una risoluzione per l’invio di 17 mila caschi blu. Le potenze
occidentali sono comunque convinte che il Sudan, dopo aver accettato la
presenza di una forza internazionale nella parte meridionale del Paese,
approverà anche il dispiegamento dei caschi blu nel Darfur.
E’ stato rilasciato dai suoi
sequestratori ed è in buone condizioni di salute Mario Pavesi, il tecnico
italiano rapito lo scorso 24 agosto nel distretto petrolifero della Nigeria. Lo
ha reso noto il governo nigeriano e confermato il ministro degli
Esteri italiano. In Niger, intanto, il governo ha annunciato che “si
disimpegnerà totalmente” dai negoziati per la liberazione dei due turisti
italiani, Claudio Chiodi e Ivano De Capitani, ancora nelle mani dei rapitori,
lamentando “assenza di cooperazione” da parte delle autorità italiane.
Negli Stati Uniti, è cessato in
Florida lo stato di allerta per Ernesto, che è stato declassato da uragano a
semplice tempesta tropicale moderata. L’arrivo di Ernesto in Florida ha
comunque provocato, finora, la morte di due persone in seguito a due incidenti
causati da intemperie.
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