RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 233 - Testo
della trasmissione di lunedì 21 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Nuova Zelanda: sale al trono il nuovo re dei Maori
Continua lo scambio di
accuse tra Israele ed Hezbollah sulla tenuta della tregua in Libano, mentre il governo israeliano
discute se avviare un dialogo con la Siria
21 agosto 2006
SULLA GIOIA DELL’ESSERE CRISTIANO, SOTTOLINEATA DA
BENEDETTO XVI NELLA
RECENTE INTERVISTA ALLA RADIO VATICANA, LA
RIFLESSIONE DELL’ARCIVESCOVO
ANGELO COMASTRI, VICARIO GENERALE DEL PAPA PER LA
CITTA’ DEL VATICANO
“Saper vedere anche l’aspetto
divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così
tragicamente”, è “molto importante”, “anche necessario” per il ministero
petrino: è uno dei passaggi della recente intervista concessa da Benedetto XVI
alla nostra emittente e a tre tv tedesche. Un’intervista che ha affrontato
molti aspetti della vita della Chiesa e del rapporto tra fede e cultura nel
mondo di oggi. Ma che ha anche mostrato alcuni aspetti della personalità del
Pontefice meno conosciuti. Ecco la riflessione dell’arcivescovo Angelo Comastri,
vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, intervistato da Alessandro
Gisotti:
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R. - Il Papa è un intellettuale,
è un grande pensatore è una grande mente. Giustamente, però, ha detto che la
vita non può essere soltanto razionalità, ed è interessante sentirlo dire da
lui! Dobbiamo talvolta avere un certo distacco anche dai problemi per guardarli
più serenamente. Il Papa ha detto che “gli angeli volano perché non si prendono
sul serio” e ciò perché indubbiamente hanno una capacità di sorridere, e questo
è un segno di grandezza, un segno di maturità. Mi viene in mente una frase di Chesterton: “Chi non sa sorridere non è serio”. Quelle
persone che vedono soltanto gli aspetti seri della vita vedono un aspetto,
quindi non sono assolutamente completi. Chi è completo sa guardare anche i più
grandi problemi con una certa serenità, soprattutto se è credente, perché sa
che le redini della storia sono sempre nelle mani di Dio. C’è una frase tipica
di madre Teresa di Calcutta che diceva: “Dio allenta le redini
ma non le cede a nessuno” e il fatto che le tenga sempre in mano è per
noi motivo di garanzia che ci fa sorridere anche in mezzo alle bufere.
D. - D’altro canto, si può dire
che il sorridere fa parte della tradizione cristiana, forse anche del suo DNA?
R. – Sì, c’è quella certezza che
questa storia, anche drammatica, ha un al di là, cioè una terra nuova, ed è una
novità assoluta. Con questa certezza anche in un campo di concentramento, come
è stato per San Massimiliano Kolbe, anche in quel campo si poteva sorridere
tanto che lui è morto dicendo: “Vado in cielo a festeggiare l’Assunta!”. Un
contesto più tragico di quello non ci poteva essere, eppure anche in quel
contesto è stato ottimista. Questo è il cristianesimo, noi sappiamo che la
storia non finisce con le frontiere di quaggiù, la storia finisce nella
Risurrezione!
D. - In fondo, Benedetto XVI può
essere definito il Papa della gioia, perché fin dall’inizio del suo ministero
ha messo l’accento sulla gioia che si prova nell’incontrare Cristo…
R. - E’ vero. E’ un tema che
ritorna nelle parole del Papa. Credere è bello! Seguire Gesù è bello, la fede è
bella, la fede rende bella la vita! Credo che oggi questo sia un messaggio
molto importante perché nonostante lo sviluppo tecnico, veramente grandioso,
oggi c’è poca voglia di vivere, c’è stanchezza di vivere e molta gente è
veramente triste. Il Papa giustamente ci ricorda che la gioia non si compra
nelle botteghe della tecnica. La gioia si incontra nella qualità della vita e
la qualità della vita dipende dall’incontro con Cristo. Mi viene in mente
ancora una frase di madre Teresa di Calcutta che diceva: “State attenti, il
Magnificat - l’inno alla gioia - non l’ha composto un’attrice, un’attrice
miliardaria, l’ha composto Maria, la poverella!
L’inno alla Creazione - che potremmo anche quello chiamarlo un inno di gioia -
non l’ha composto un industriale, ma l’ha composto Francesco d’Assisi, il poverello. Sapete perché? - aggiungeva lei - Perché avevano
Dio nel cuore!”.
D. - Sempre nell’intervista alla
nostra emittente, Benedetto XVI tiene a sottolineare che il cattolicesimo “non
è un cumulo di proibizioni ma la gioia di scoprire il volto umano di Dio in
Gesù Cristo”. Ecco, il Papa ‘pensa positivo’, si
potrebbe dire con una formula in voga tra i giovani…
R. - E’ vero, il Papa pensa
positivo. Ha stupito più volte, anche nell’incontro a Valencia, in Spagna.
Molti si aspettavano chissà quali fulmini avrebbe lanciato… Papa Benedetto,
invece, ha cantato la famiglia, ha cantato la bellezza della famiglia e
cantando la bellezza della famiglia evidentemente ha detto che quello che non è
famiglia è a danno dell’uomo.
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RECUPERARE LO SPORT AI SUOI
VALORI PIU’ ALTI, OVVERO AL BENE DELLA PERSONA
PIU’ CHE AL MERO RISULTATO ATLETICO: PUBBLICATO IL
VOLUME “IL MONDO
DELLO SPORT OGGI, CAMPO D’IMPEGNO
CRISTIANO”, CHE RIPRENDE UN SEMINARIO
DEL NOVEMBRE 2005, PROMOSSO DAL PONTIFICIO
CONIGLIO PER I LAICI
Da lungo tempo, la Chiesa guarda
con attenzione al mondo agonistico, sia quello dello sport di base, sia quello
delle grandi platee, dei campioni. Nei giorni scorsi, il Pontificio Consiglio
per i laici ha pubblicato per i tipi della Libreria Editrice Vaticana il libro
“Il mondo dello sport oggi – Campo di impegno cristiano”. Il volume raccoglie
in 140 pagine gli interventi dell’omonimo Seminario di studio svoltosi in
Vaticano tra l’11 e 12 novembre 2005. Una pubblicazione che abbraccia
l’orizzonte etico dello sport, in un periodo segnato da numerosi scandali in
vari settori agonistici. Sui contenuti del volume, il servizio di Alessandro De
Carolis:
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Il fine dello sport è il bonum, il bene
della persona umana. Lo affermava decenni or sono Pio XII, prima ancora che il
Concilio Vaticano II allargasse lo sguardo della
Chiesa su un mondo, quello sportivo, sviluppatosi nel Novecento con
un’accelerazione prodigiosa. Tale evoluzione ha reso però precari i valori di
base dello sport. Non sempre la correlazione “sport uguale pace” o “tolleranza”
ha trovato e trova riscontro nel panorama mondiale di oggi. Anzi, il prof. Dietmar Mieth, nel suo intervento
al Seminario dello scorso novembre, sostiene che lo sport rappresenta una
“comune eredità culturale dell’umanità”, ma tuttavia
nei fatti, esso “può benissimo fomentare l’odio”, quando ad esempio venga usato
come mezzo di contrapposizione tra “armate” atletiche di “differenti blocchi
politici”.
Nella sua disamina il prof. Mieth, docente di Teologia morale, passa in rassegna altri
aspetti negativi del macrocosmo sportivo. Oggi in particolare, afferma, si ha
la “riduzione dell’attività fisica a culto del corpo”, mentre
la ricerca della grande prestazione fisica finisce per eliminare la “dimensione
ricreativa” dello sport insieme con quella “ludica”. Inseguire il successo sportivo
all’interno di una competizione, osserva il docente di Teologia morale, snatura
l’aspetto del gioco, il quale – afferma invece la Chiesa - possiede di per sé
“un processo comunicativo carico di significato”. Viceversa, osserva con
realismo Mieth, nella moderna “cultura della
prestazione, la comunicazione è ridotta a livello di consumo di risultati”.
“l’Uomo moderno dovrebbe ‘allenarsi’ per ritrovare l’elemento ‘gioco’ nello
sport”. Altro aspetto negativo dello sport moderno – nota poi - è il suo
soggiacere alla commercializzazione. Lo sport oggi è sempre più un prodotto, un
prodotto dei mass media, di rapido consumo. “Più lo sport sarà ridotto alla
dimensione economica – avverte Meith - più la sua
valenza etica diventerà secondaria, e bisogni e valori non economici (non solo
i valori etici) saranno relegati ai margini”.
Nel volume della Libreria
Editrice Vaticana, molti sono i paragrafi di interesse, come quelli che
esplorano il rapporto tra lo sport e il business – col crescente bisogno di
denaro sia per fare attività sportiva di livello, sia per premiare le
performance migliori – oppure il rapporto tra sport e violenza, dove
quest’ultima “sporca” in un certo senso un settore ancora giudicato da larga
parte dell’opinione pubblica un privilegiato campo di educazione dei giovani.
Molti relatori insistono sulla necessità che lo sport, in coerenza con i suoi
valori peculiari, si svolga secondo criteri compatibili con la dignità umana. Del resto, i suoi diritti sono ben definiti e riguardano lo
sviluppo della persona; l’inviolabilità del corpo proprio e altrui; il diritto
di non essere sfruttato; la tutela dei gruppi più deboli, l’uguaglianza nell’accesso
allo sport, pur regolata dal talento e dai risultati ma senza discriminazioni;
il diritto alla condivisione delle risorse create dallo sport stesso.
Questa visione potrà “restituire
allo sport un volto e un’anima”, afferma Edio Costantini,
presidente del Centro sportivo italiano (CSI). In un’epoca in cui i valori
olimpici hanno perso la loro carica ideale, ciò che si può fare in concreto –
propone - è formare una generazione di operatori sportivi che unisca alla competenza una “passione educativa”. Ciò sarà in
grado di portare nello sport “un messaggio di umanità e di speranza”.
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Ma come lo sport può essere oggi
campo di impegno cristiano? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto a mons. Carlo Mazza, responsabile dell’Ufficio Sport e Tempo Libero
della Conferenza Episcopale Italiana:
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R. - Da sempre la Chiesa
sottolinea l’importanza e i valori dello sport, anche gli aspetti magari un po’
più ambigui. E’ una realtà che ormai sempre più diventa un fenomeno di massa,
un fenomeno sociale, culturale, e la Chiesa non può stare alla finestra a
guardare. Certamente non dico che entra in campo, ma partecipa, condivide
questo grande fenomeno dello sport di oggi per rendere più evidente ancora come
i Pontefici nel ’900 e anche ora hanno espresso interesse
nel valorizzare lo sport. Ora questo libro, in qualche modo, riporta con i
profili fondativi del fenomeno sportivo oltre che appunto gli interventi dei
magisteri, anche quelle che sono le forme attuali dello sport, domandandosi se
queste forme corrispondono a quello che è il grande insegnamento, la grande
visione cristiana dello sport. E soprattutto valorizzando quegli aspetti etici,
formativi, educativi che danno ragione ancora più forte del fare sport oggi.
D. - Monsignor Mazza durante il
Giubileo del 2000, nella giornata dedicata agli sportivi, Giovanni Paolo II
parlava dello sport come di un fenomeno ormai planetario. Quali le conseguenze,
secondo lei, di questo nuovo aspetto del mondo agonistico?
R. - Del tutto
positive. Nel senso che in qualche modo sono quegli eventi che danno la
misura dell’universalità e della partecipazione di tutte le nazioni ad un
evento unico, ad un evento unitario, al di là della divisione e dei conflitti.
E nella positività occorre sottolineare gli aspetti di positività, gli aspetti
di pace, gli aspetti di solidarietà. Certo l’aspetto negativo è un po’ una
sorta di massificazione, di alienazione, che sono i rischi effettivi dello
sport. Perché l’alienazione è dietro la porta: c’è un profilo di eccesso e dove
c’è l’eccesso certamente non c’è più il rispetto dell’uomo, della persona e dei
valori dello sport. E’ come se lo sport diventasse un idolo. Queste possibili
eccedenze occorre tenerle sempre sott’occhio e valutarle criticamente.
Certamente se diventa un idolo, diventa qualcosa di sacrale, che va al di là di
un atteggiamento puramente ludico. Non è più un valore effettivo
ma è un disvalore, per tutti.
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AGGIORNAMENTO
DEL COLLEGIO CARDINALIZIO, DOPO L’80.MO COMPLEANNO
DEL
CARDINALE MARIAN JAWORSKI
Cambia la composizione del
Collegio cardinalizio con il compimento, stamani, dell’80° anno da parte del
cardinale Marian Jaworski,
arcivescovo di Lviv dei Latini, al quale ieri
Benedetto XVI aveva inviato un telegramma di auguri
per il genetliaco. Il Collegio delle porpore, su un totale di 190 cardinali,
risulta ora composto 118 cardinbali elettori e 72
cardinali non elettori.
“IL GRANDE AMORE VERSO IL POPOLO UNGHERESE DI
GIOVANNI PAOLO II, COME PAPA
E COME
POLACCO”: È QUANTO HA RICORDATO IERI IL CARDINALE STANISLAW DZIWISZ A BUDAPEST,
IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI SANTO STEFANO D’UNGHERIA. 15 ANNI FA LA STORICA
VISITA DI GIOVANNI PAOLO II IN UNGHERIA
- Con noi il porporato -
“Il grande amore verso il popolo
ungherese di Giovanni Paolo II, come Papa e come polacco”: è quanto ha
ricordato ieri il cardinale Stanislaw Dziwisz a Budapest, in occasione della solennità di Santo
Stefano d’Ungheria. Come ogni anno, si è
svolta la celebrazione eucaristica nella cattedrale del Santo Patrono,
presieduta dal cardinale Péter Erdő,
arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate
d’Ungheria. Ma per la prima volta, ha concelebrato il
cardinale Dziwisz, arcivescovo metropolita di
Cracovia. Ha sottolineato il legame millenario dei due popoli esortando alla
collaborazione e alla solidarietà reciproca come all’epoca di Santo Stefano.
C’è da dire purtroppo che la festa è stata segnata dalla morte di diverse delle
centinaia di migliaia di persone che, in attesa dei
fuochi di artificio, sono state colpite da una tromba d’aria. Per loro, il
cardinale Dziwisz ha celebrato una messa in suffragio
stamattina.
Alla Chiesa in Ungheria il
cardinale ha portato in dono un breviario di Giovanni Paolo II ricordando la
visita apostolica del Servo di Dio, 15 anni fa, proprio in occasione della
festività di Santo Stefano d’Ungheria. Dunque, sul significato della
partecipazione del cardinale, che è stato segretario personale di Giovanni
Paolo II, ci parla lo stesso cardinale Dziwisz al
microfono di Marta Vertse della nostra redazione
ungherese:
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R. – Santo Stefano ha creato lo
Stato ungherese, ma ha anche posto le basi per il futuro del Paese; insieme con
la Polonia ha creato quell’atmosfera
di collaborazione e di solidarietà. Per questo per me venire qui
è stato un grande evento. Tornare alla storia, non rimanere nella storia per
andare avanti insieme, per costruire adesso l’Europa unita sulla base e sulle
radici che ha dato Santo Stefano, come in Polonia ha fatto Sant’Edvige.
D. – Con quale spirito si
rivolgeva agli ungheresi Giovanni Paolo II?
R. – Giovanni Paolo II è andato
in Ungheria 15 anni fa, quando l’Ungheria stava appena uscendo da un’epoca di
libertà molto limitata, e lo ha fatto con cuore aperto. Il Paese stava tornando
alla sovranità totale, dopo 50 anni di grandi sofferenze, anche per il popolo
polacco. Per questo è venuto con grande gioia, con grande amore per il popolo e
per il Paese, come Papa e come polacco. Come lei sa, non solo il corso della
storia ma anche i Santi dei due Paesi hanno reso Polonia e
Ungheria molto unite. Basti vedere la Cappella ungherese nelle Grotte
Vaticane o il Santuario della Divina Misericordia a Cracovia. Perciò, noi
abbiamo ricordato questo grande sentimento di Giovanni Paolo II verso il popolo
ungherese, ricordando il 15.mo anniversario della sua
visita qui, a Budapest.
D. – 15 anni fa, mentre Giovanni
Paolo II celebrava la Santa Messa solenne sulla monumentale Piazza degli Eroi
della capitale magiara, la crisi al Cremlino raggiungeva il suo apice: Gorbaciov, che all’epoca era il capo dell’Unione Sovietica,
da 30 ore era ostaggio del KGB in Crimea. La
situazione internazionale era tesissima, specialmente nei Paesi appena usciti
da lunghi decenni di dittatura comunista, perché si temeva un possibile ritorno
al regime totalitario. Eminenza, come il Papa seguì questi avvenimenti
drammatici?
R. – Naturalmente, durante la
Messa c’è stata trepidazione per le grandi tensioni a Mosca, e c’era poi la
preghiera, la speranza che non si fermasse il cambiamento verso l’Europa.
Certo, fu una visita storica: il Santo Padre era venuto per confermare
l’Ungheria libera!
D. – Eminenza, come furono
accolte le parole del Pontefice da parte dei fedeli? Quale fu l’atmosfera della
celebrazione?
R. – C’era entusiasmo,
ma entusiasmo serio, non artificiale: si vedeva! Tutta la celebrazione è
stata attraversata da questa atmosfera seria. Devo aggiungere che mentre il
comunismo parlava di nazionalismo, adesso torniamo all’Unione Europea. A questo
serve anche il ruolo della Chiesa. Il cardinale Erdö
ha iniziato un grande lavoro per riavvicinare i due Paesi all’Unione Europea, e
noi rispondiamo di cuore nel desiderio di compiere questo cammino insieme verso
l’Europa Unita, con le nostre radici cristiane.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio
vaticano – “Guarda la stella. Seguendo Lei non sbagli strada”: all'Angelus,
recitato nel cortile del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, Benedetto XVI
ripropone gli echi mariani della testimonianza di San Bernardo
di Chiaravalle.
Servizio
estero - Medio Oriente: l’Unione Europea discute il proprio ruolo nella
missione in Libano; attese decisioni in settimana.
Servizio
culturale - Un articolo di Angelo Mundula dal titolo
“Il ‘dovere’ del pudore”: riflessioni su una virtù in
disuso nella moderna civiltà.
Servizio
italiano - In primo piano l’articolo dal titolo “Immigrazione: altra strage nel
mare di Lampedusa”; si fa pressante la ricerca di un’intesa con i Paesi
coinvolti nell’ignobile traffico.
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21 agosto 2006
ANCORA IMMIGRATI AL LARGO DELLA
SICILIA: IN ITALIA SI CHIEDONO INTERVENTI
IMMEDIATI DEL GOVERNO, MENTRE LA
SPAGNA, CHE AFFRONTA LA STESSA SITUAZIONE NELLE CANARIE, RADDOPPIA I FONDI
INTERNAZIONALI PER LO SVILUPPO.
- Intervista con Franco Pittau -
Non si ferma l’emergenza clandestini:
in Italia, tra la notte scorsa e questa mattina, 47 immigrati sono sbarcati al
largo della Sicilia, sulle isole di Lampedusa e Pantelleria. Il ministro dei
Trasporti, Bianchi, chiede un intervento straordinario del governo. Intanto, in
Spagna, il premier Zapatero annuncia, per il 2007, il raddoppio degli aiuti
internazionali allo sviluppo per lottare contro l’immigrazione clandestina
dall’Africa subsahariana. Il servizio di Isabella Piro.
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Sbarchi senza sosta a largo della Sicilia, dove nella
notte e nelle prime ore della mattina sono arrivati 47 clandestini: 28 a
Lampedusa, a mezzanotte; altri 10 sull’Isola dei Conigli questa mattina, nove,
infine, a Pantelleria. Ma a 42 miglia dalle coste italiane, un altro barcone
con circa 200 persone a bordo è alla deriva da diverse ore. Il suo arrivo è
previsto in giornata. Intanto, continuano le ricerche
dei circa 70 immigrati dispersi dopo i due naufragi avvenuti, nella stessa zona,
venerdì e domenica. Sette unità navali e dieci velivoli della Guardia costiera
sono impegnate nelle operazioni di recupero, ma la preoccupazione
cresce a causa del peggioramento meteorologico, con venti a forza 4. I migranti
arrivati nei giorni scorsi, originari di Eritrea, Niger, Egitto e Sudan, hanno
raccontato di essere partiti dalla Libia e di essere rimasti in mare per 5
giorni. Alcuni di loro presentano segni di ustioni dovuti, secondo la Croce
Rossa, alla nafta che fuoriesce dai bidoni presenti sui barconi. Sul fronte
delle indagini, per il primo naufragio sembra confermata l’ipotesi di una
manovra sbagliata della ‘Minerva’, la corvetta della Marina militare che avrebbe
urtato l’imbarcazione dei clandestini. Intanto, il ministro dei Trasporti Alessandro
Bianchi, in visita sull’isola di Lampedusa, avanza una richiesta all’esecutivo
italiano: un intervento immediato e straordinario di 10 milioni di euro per
fronteggiare l’emergenza e un provvedimento ad hoc
contro gli scafisti. Quanto alla posizione da assumere nei confronti della
Libia, il ministro ha sottolineato che sulla disperazione dei migranti non si
tratta: “Cercheremo di convincere il governo libico –ha detto–
che il dramma degli immigrati non può essere oggetto di discussione sul dare e
avere”. E la lotta all’immigrazione interessa anche la Spagna, dove oltre mille
migranti illegali sono sbarcati venerdì scorso. Oggi il premier Zapatero ha
annunciato che per il 2007 il Paese raddoppierà l’aiuto internazionale allo
sviluppo, che attualmente ammonta a 600 milioni di euro, per contrastare gli
sbarchi clandestini dall’Africa subsahariana. Il
primo ministro spagnolo ha inoltre chiesto un maggior coinvolgimento
dell’Unione europea contro gli espatri clandestini, assicurando che il governo
spagnolo rafforzerà la cooperazione politica, economica e sociale con i Paesi
d’origine dei migranti. A tal fine, Zapatero ha annunciato che domani il ministro
dell’Interno spagnolo, Alfredo Perez Rubalcaba, si recherà in Senegal per proporre aiuti.
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Un crimine,
gli sbarchi clandestini di immigrati, una tragedia i naufragi: un’emergenza comunque
annunciata quella dei cosiddetti ‘viaggi della speranza’.
Roberta Gisotti ha interpellato Franco Pittau,
coordinatore del Dossier sull’Immigrazione Caritas/Migrantes:
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D. - Ogni volta si aspettano i morti, per accendere
il dibattito e poi si rimpallano le responsabilità? Ma ci sono soluzioni a
questo fenomeno, che riguarda in particolare l’Italia, ma anche la Spagna ed
altri Paesi del Mediterraneo?
R. - La continuità dell’attenzione aiuterebbe molto a
risolvere i problemi però - detto questo - bisogna riconoscere che la
situazione che vivono i Paesi del Mediterraneo, essendo frontiera esterna
dell’Unione, riguarda tutta l’Unione. Qua si intreccia anche un altro motivo
internazionale: noi - dico noi in generale, noi italiani, noi belgi, noi
tedeschi e così via - siamo contenti quando i problemi
riguardano un altro Stato membro e diventa più difficile mettersi d’accordo per
mandare avanti delle azioni congiunte. Quindi non direi una soluzione
impossibile, sarebbe esagerato, perché la storia non ci mette mai di fronte a
problemi che non possiamo risolvere. Vero è che alcuni problemi sono più
difficili di altri. Gli Stati più ricchi quando non ci sono aspetti drammatici
dimenticano le ragioni della cooperazione allo sviluppo, che si trova in una
situazione veramente deficitaria. Noi dovremmo allora abituarci, non ad accettare
tutto - che sarebbe sciocco, perché nella vita ci vuole razionalità, impostazione
- ma cercare di vedere le questioni anche da un altro punto di vista, quello
dei Paesi dai quali partono questi disperati che vogliono sopravvivere. E allora,
mettendo insieme tutti i pezzi, cosa bisogna dire? Che ci vuole pazienza, che è
l’unica arma della politica. Pazienza non vuol dire non fare niente. Intanto la
soluzione più immediata è insistere sugli accordi di cooperazione bilaterale e
cercare di coinvolgere sempre di più l’Unione Europea in questi accordi.
D. - Ma perché questi accordi di cooperazione bilaterale
segnano il passo?
R. - Segnano il passo perchè nessuno ha il desiderio di
fare il gendarme per conto dell’Italia o per conto della Spagna.
D. - Quindi hanno ragione l’Italia e la Spagna a lamentarsi che non
c’è una politica di solidarietà europea
su questo tema?
R. – Il problema può essere visto da due punti di vista: la
Libia, la Tunisia, il Marocco e altri Paesi possono concorrere - e in parte già
lo hanno fatto - ad aiutarci nella regolamentazione dei flussi migratori e però
siccome questa è una funzione antipatica nei confronti dei loro cittadini,
perché ha qualche cosa di repressivo, questo comporterebbe che noi, l’Europa,
per avere un’emigrazione ordinata ci impegnassimo a chiedere questo e a dare
anche degli altri vantaggi. Quindi cooperazione anche su altri campi e
specialmente aiuto ad alimentare di più le emigrazioni regolari, ad entrare di
più nelle quote programmate. Questo a dire il vero l’Italia, a prescindere
dagli schieramenti, lo fa da tanti anni. Solo che il problema è maledettamente
difficile perché in Libia e in Tunisia non passano solo libici o tunisini,
passano anche persone anche da altri Paesi che sono andati via disperati.
Quindi, da un lato bisogna controllare i flussi – e non si può senza una buona
regolamentazione, non necessariamente repressiva - e d’altro lato bisogna
investire sui Paesi di origine, perchè la solidarietà internazionale viene molto trascurata.
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RAGIONE E RICERCA DI DIO,
MATERNITA’ E FAMIGLIA
ALLA SECONDA GIORNATA DEL MEETING A RIMINI
- Con noi mons. Mariano De Nicolò e
Franco Marini -
Prosegue a Rimini la 27.ma
edizione del Meeting di Comunione e Liberazione. Al centro della riflessione di
oggi, il tema della ragione nella ricerca di Dio, la difesa della maternità e
la famiglia. Da Rimini ci riferisce Luca Collodi:
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Spazio a tutto quello che può documentare la capacità
della ragione umana ad aprirsi alla realtà ed alla ricerca di Dio: “in una società, ha commentato Emilia Guarnirei, presidente
dell’Associazione Meeting di Rimini, che celebra a parole la ragione mentre nei
fatti si dimostra sempre più incapace di risolvere i problemi reali”. Ma, “la
ragione se non si chiude e se non diventa ideologia, ha spiegato il vescovo di
Rimini mons. Mariano De Nicolò nella messa inaugurale, “può partecipare dell’Infinito”.
E non c’è realtà umana che ci è estranea, ha detto ai partecipanti al Meeting,
invitandoli a “dialogare con ogni cultura, purificandola da ciò che è lontano
dalla logica del Regno di Dio”.
D. – Monsignore, nel messaggio inviato da Benedetto XVI al
Meeting, il Papa dice che Dio si è reso incontrabile. Un messaggio positivo …
R. – E’ chiaro che è positivo perché tutta l’incarnazione
che cos’è? L’incarnazione del figlio, del logos, del verbo, è questo incontro,
questa possibilità - potremmo dire nell’involucro dell’umanità - di incontrare
Dio, perché Cristo è Dio.
D. – L’uomo è inquieto, sempre più inquieto. Spesso -
siamo in periodo estivo - viene a Rimini o in altre località turistiche
italiane per distendersi, per riposare. Ma in realtà che cosa incontra?
R. – Incontra quello che vuole. Può incontrare un mondo
religioso vivace, attivo e anche profondo.
D. – Le vacanze possono essere un incontro con Dio?
R. – Si, senz’altro. Volendo lo sono.
D. – Più che nella quotidianità del lavoro?
R. – Come dire, una certa facilità viene anche dalla
disponibilità del tempo.
D. – La cultura locale di un posto, siamo in Romagna, dove
la gente è sempre allegra disponibile e gentile, può aiutare il senso religioso
delle persone, questo spirito d’animo positivo?
R. – Questo senz’altro, perché dove c’è positività c’è
speranza, c’è possibilità di impegno.
Nella tavola rotonda di ieri pomeriggio, il presidente del
Senato, Franco Marini, vede “il rischio forte di un sostanziale disimpegno dei
cattolici nei confronti della vita politica e civile italiana”. Marini esorta i
cattolici a prendere più responsabilità nell’agenda culturale e politica del
Paese per trovare risposte adeguate alle sfide dell’educazione,
dell’integrazione razziale e sulle riforme.
D. – Presidente Marini, lei ha
parlato di un rinnovato impegno dei cattolici. Benedetto XVI può svolgere un
ruolo positivo per questo richiamo all’impegno culturale dei cattolici?
R. – Liquidare questa domanda con una battuta è poco,
meriterebbe una riflessione più approfondita. Ma sì, oltre che il ruolo di
pastore e di Pontefice, la sensibilità e la preparazione culturale del Papa, di
questo Papa, può dare forse una mano, un’ispirazione a questa riprecisazione di un forte impegno culturale dei cattolici
nella vita del nostro Paese.
D. – Presidente Marini, che cosa
manca ai cattolici oggi per tornare ad essere protagonisti?
R. – Forse manca proprio questa voglia di confronto e di
proposta sulle grandi questioni. Qualche volta forse seguono gli stimoli di
altri ambienti meno rappresentativi. Questa è una cosa che dovremmo vedere di
superare.
Stamani di scena al Meeting il tema della famiglia con la
difesa della maternità. Nel corso del dibatto sull’utilizzo
della Ru 486, la pillola è definita un
“farmaco incubo”, un composto ormonale letale che provoca la necrosi
dell’embrione per denutrimento ed un falso aborto
spontaneo molto doloroso per la donna, e soprattutto emorragico, entro un mese
dall’assunzione del farmaco. “La diffusione della Ru 486 ha lo scopo, secondo Eugenia Roccella, ex leader del Movimento di Liberazione per la
donna, di diffondere un’idea di ‘aborto a domicilio’
che renderebbe difficile qualsiasi tentativo di prevenzione e difesa della maternità”.
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SI AVVICINA IL PRESTIGIOSO
APPUNTAMENTO CON IL CINEMA DI VENEZIA:
GUARDIAMO ALLE PELLICOLE IN
PROGRAMMA NELLE GIORNATE DEGLI AUTORI
- Ai nostri microfoni Fabio Ferzetti
e Marina Spada -
Europa, terre lontane, culture fragili e sguardi d’autore:
molte sorprese riserveranno le pellicole selezionate per la terza edizione
delle Giornate degli Autori alla prossima Mostra d’Arte Cinematografica
di Venezia. Opere capaci di elaborare dialogo, suscitare emozioni e idee, dare
senso ai tanti interrogativi della nostra società. Il servizio di Luca Pellegrini.
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Un cinema che cambia per un mondo che altrettanto
rapidamente cambia, un mondo in divenire, con i suoi contrasti, problemi,
drammi. Il cinema per descrivere questo mondo dai confini geografici ed
esistenziali sempre più incerti, con personaggi nomadi per scelta o per
necessità, fisicamente o nello spirito, con film che vivono in modo labile il
confine tra documentario e finzione, indagine dei fatti e creazione personale
dell’autore. A dodici, diversi autori, emergenti da un panorama assai vario,
culturalmente e artisticamente, sono dedicate le Giornate degli Autori
che si pongono quale sezione parallela ed autonoma alla prossima Mostra del
Cinema veneziana. Giunte alla terza edizione dopo il successo delle due
precedenti, quest’anno sono guidate da un nuovo delegato generale, il critico
cinematografico Fabio Ferzetti, che così le descrive.
“Le Giornate sono nate per un’intuizione felice di Marco Müller che ha capito che era giusto che Venezia si dotasse,
come Cannes, come Berlino, di una “sezione satellite” indipendente, che avesse questo ruolo di giocare fino in fondo la carta
dell’assoluta indipendenza, quindi dell’esplorazione di spazi, di frontiera,
diciamo: di andare nel programma ricerca del cinema più nuovo e marginale, che
questo però non sia una limitazione, del cinema – così – un po’ più azzardato e
più ad alto rischio, che si fa nel mondo. Nel primo anno, le Giornate erano
europee, nel secondo si sono aperte e questo terzo
continua ad aprirsi”.
Rappresenta il cinema italiano alle Giornate la regista
Marina Spada con la sua opera seconda, Come l’ombra, un film rarefatto,
misterioso, allusivo, nel quale protagonista, più che i pochi personaggi del
film, è la città di Milano, suggestivamente fotografata da Gabriele Basilico.
Abbiamo chiesto alla regista in quale modo ha affrontato le mille storie di
emigrazione, sfruttamento, solitudine che una grande metropoli spesso nasconde
e occulta.
“Si racconta una storia normale di una persona normale,
una vita quotidiana, una persona che pensa di avere una vita completa, una vita
che abbia un senso; in verità, il senso non ce l’ha e
qualche cosa capiterà all’interno della sua vita per cui rivedrà il senso della
sua vita. E’ stata disegnata una città che dice la verità sulla città, cioè le
città sono dense di solitudine, sono dense di difficoltà di ogni tipo ma il problema è: sono i personaggi che vedono così la
città, o la città è così? Ma questo lo dico perché la collaborazione di Gabriele
Basilico me la sono andata a cercare. Il nostro sguardo sulla città di Milano
coincide: è il luogo e palestra del nostro sguardo. E’ Milano, ma può essere
qualsiasi città del Nord …”.
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21 agosto 2006
NUOVA
ZELANDA: SALE AL TRONO IL NUOVO RE DEI MAORI.
SI
TRATTA DI TUHEITIA PAKI, FIGLIO DELLA SOVRANA ‘DAME’ MORTA LA SETTIMANA SCORSA.
A LUI IL COMPITO DI MANTENERE UNITE LE DIVERSE TRIBÙ INDIGENE
WELLINGTON. = La popolazione
dei maori, gli indigeni della Nuova
Zelanda, ha scelto il nuovo re, successore nonché figlio del regina Te Arikinui Dame Te Atairangikaahu,
conosciuta come ‘Dame’. La sovrana è scomparsa la settimana scorsa, all’età di
75 anni, a causa di un’insufficienza renale. Secondo la tradizione, Tuheitia Paki, 51 anni, è
diventato il nuovo re contemporaneamente alla tumulazione della salma della
madre. Il feretro di Dame è stato trasportato in canoa sul fiume Waikato per essere poi sotterrato sulla montagna Taupiri, dove riposano tutti i re maori.
Migliaia di fedeli si sono radunati per assistere alla cerimonia, che ha visto
la presenza del primo ministro neozelandese, Helen Clark, e di numerosi rappresentanti del governo e di altri
Paesi del Pacifico. Il nuovo sovrano avrà il compito di seguire l’eredità
materna, che ha mantenuto unite le diverse tribù maori e raggiunto importanti risultati per i diritti
territoriali e politici del suo popolo. Paki è il
settimo re da quando, nel 1858, è stata istituita la
monarchia indigena neozelandese, per contrastare l’occupazione dei territori da
parte dei coloni europei. (I.P.)
RISCHIO
DI EPIDEMIA DI MENINGITE IN CINA:
ALMENO
50 PERSONE RICOVERATE A PECHINO DOPO AVER CONSUMATO
LUMACHE
CRUDE
PECHINO. = Sono almeno 50 le
persone finite in ospedale a Pechino a causa di malori, dopo che avevano consumato lumache crude o poco cotte in un
ristorante della provincia sud-occidentale del Sichuan.
Tutti i ricoverati presentavano sintomi della meningite, trasmessa forse dai
parassiti che infestano i molluschi: nausea, cefalea, febbre, paresi facciale, astenia. Lo riferisce il quotidiano
‘China Daily’, specificando che al momento non si
registrano decessi, ma che 5 pazienti versano in gravi condizioni. Il timore
dei medici è che possa diffondersi un’epidemia della patologia, poiché talvolta
i primi sintomi si manifestano soltanto un mese dopo il contagio. Bisogna
inoltre considerare che ogni lumaca
può ospitare fino a 6 mila parassiti, in grado di danneggiare il sistema
nervoso centrale dell’uomo. (I.P.)
SPAGNA,
MANIFESTAZIONE CONTRO IL ‘TERRORISMO INCENDIARIO’
A
SANTIAGO DE COMPOSTELA. PRESENTI OLTRE 20 MILA PERSONE
AL
GRIDO DI “MAI PIÙ”
SANTIAGO
DE COMPOSTELA. = “Fermiamo il terrorismo incendiario in Galizia”. Questo il
messaggio lanciato ieri da migliaia di cittadini spagnoli riuniti in una
manifestazione a Santiago de Compostela, in Galizia,
per protestare contro gli oltre 1.600 incendi che nelle ultime settimane hanno
provocato la morte di 4 persone e devastato oltre 92 mila ettari di bosco nella
regione. Al grido di “A chi giova che la Galizia bruci?’, oltre 20 mila dimostranti
sono scesi in piazza, rispondendo all’appello dell’organizzazione ‘Nunca Màis’, (Mai Più), creata
nel 2002, dopo l’affondamento della petroliera ‘Prestige’
al largo della regione del nord ovest della Spagna. Un incidente che provocò un
vero e proprio disastro ecologico. Secondo il governo regionale galiziano, le persone arrestate in relazione agli incendi
dolosi sono 34, di cui 14 tuttora detenute. Cinque mila è invece il numero dei
volontari provenienti dall’intera penisola iberica che collaboreranno con la
protezione civile nei lavori di rimboschimento del territorio. (A.Gr.)
NON
CORRE PERICOLI LA ‘CASA DELLA BEATA VERGINE MARIA’,
IL
SANTUARIO CRISTIANO SITUATO AD EFESO, IN TURCHIA,
E
MINACCIATO DA UN VIOLENTO INCENDIO
ANKARA. = È indenne e non
corre rischi la ‘Casa della Beata Vergine Maria’, il
santuario cristiano situato in Turchia, nell’antica cittadina greco-romana di
Efeso. Stamani, infatti, è stato domato il violento incendio che sabato scorso
si era sviluppato nei boschi del vicino monte Bulbul.
Lo ha annunciato l’agenzia turca ‘Anadolu’, precisando che i vigili del fuoco turchi hanno
lottato fino a questa mattina per domare le fiamme che avevano minacciato,
oltre al santuario cristiano, anche la cittadina turistica di Kusadasi, distante 30 km. Alle operazioni di spegnimento
dell’incendio, che ha distrutto circa mille ettari di pineta, hanno partecipato
più di dieci aerei-cisterna e altrettanti elicotteri. Secondo una tradizione
cristiana, la ‘Casa della Beata Vergine Maria’ è
stata l’ultima dimora terrena della madre di Gesù prima della sua Assunzione.
La tradizione nacque nel 1818 da una visione avuta da una mistica tedesca, Anne Catherine Emmerich; nel 1891, avvenne poi il ritrovamento di una casa
con le stesse caratteristiche e la stessa collocazione di quelle indicate dalla
religiosa. Da allora, decine di migliaia di fedeli visitano ogni anno il santuario,
che fu meta di pellegrinaggio anche dei pontefici Paolo VI nel 1967 e Giovanni
Paolo II nel 1979. (I.P.)
UNA
BUONA ISTRUZIONE E UNA SPERANZA DI LAVORO SICURO: LA SCUOLA
DEI
PADRI GESUITI NEL BIHAR, IN INDIA, REALIZZA IL SOGNO DI 350 BAMBINI
RAMPURWA. = Un sogno
impossibile che diventa realtà: per 350 bambini indiani, è questo il
significato della scuola ‘Bal Siksha
Vidyalaya’, gestita dai padri gesuiti nel remoto
villaggio di Rampurwa, nello Stato del Bihar, a 990 km ad ovest di New Delhi. Aperto nel gennaio
2005, l’istituto permette agli studenti tribali Tahru
di frequentare le classi dall’asilo al terzo grado. Come spiega l’agenzia Asia
News, in India le scuole pubbliche sono molto rare e molto costose: un mese di
istruzione richiede, infatti, circa 1.200 rupie, pari a 26 dollari. Un prezzo
elevato, calcolando che gran parte delle famiglie rurali hanno un reddito annuo
di circa 6 mila rupie. Nella scuola dei padri gesuiti, oltre a seguire le lezioni,
gli studenti possono restare a pensione: al termine dei corsi, infatti, le aule
diventano soggiorno e camere da letto per i bambini, molti dei quali provengono
da zone rese inaccessibili dai monsoni estivi, che durano da giugno ad ottobre.
Secondo Padre Joseph Srampichal,
gesuita missionario tra i Tahrau, oltre a fornire i
servizi di base, la scuola permette ai minori di uscire dalla povertà, poiché
dà loro l’istruzione adatta per accedere ai pubblici impieghi. (I.P.)
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21 agosto 2006
- A cura di Roberta
Moretti -
Mentre
continua lo scambio di accuse tra Israele ed Hezbollah sulla tenuta della
tregua in Libano, emergono divisioni nel governo israeliano sull’ipotesi di avviare un dialogo
con la Siria nel dopo guerra in Libano. Intanto, si moltiplicano le critiche
contro l’esecutivo di Olmert per le modalità di
conduzione della guerra nel Paese dei Cedri. Il nostro servizio:
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Israele non avvierà alcun
negoziato con la Siria finché questa continuerà a “sponsorizzare il
terrorismo”. E’ la presa di posizione del premier israeliano, Olmert, ribadita dopo che questa mattina il ministro della
Sicurezza, Avi Dichter, aveva
ipotizzato di restituire a Damasco le alture occupate del Golan, in cambio di un ritorno alla pace. Ieri, il ministro
degli Esteri, Tzipi Livni,
aveva incaricato un dirigente del ministero di esplorare la possibilità di
avviare contatti con Damasco. Intanto, cresce in Israele la protesta
dei reduci dal fronte libanese contro i dirigenti politici e militari, per le
modalità di conduzione della guerra. “Ai livelli sopra di noi – si legge in una
lettera aperta al governo, firmata da centinaia di riservisti e pubblicata oggi
sulla stampa locale – c'era solo impreparazione, insincerità, mancanza di acume
e incapacità di prendere decisioni razionali”. Da parte sua, la commissione
Difesa ed Esteri della Knesset, il Parlamento monocamerale israeliano, ha convocato oggi una riunione per
valutare tali critiche.
Intanto,
mentre continua lo scambio di accuse tra Israele ed Hezbollah sulla tenuta
della tregua in Libano, si cerca di abbreviare i termini per la costituzione
della forza internazionale di pace, prevista dalla
risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il
cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha auspicato
stamani che venga inviato al più presto in Libano
almeno un primo contingente di soldati delle forze di pace internazionali
UNIFIL. Ieri, il premier
israeliano, parlando telefonicamente con il presidente del
Consiglio italiano, Prodi, aveva ribadito l’importanza che fosse l’Italia a
guidare la forza di pace. Dal canto suo, la Francia ha
chiesto una riunione in sede UE, per chiarire la catena di comando della forza
e le cosiddette regole di ingaggio. Ma quali difficoltà potrà incontrare la
forza di pace internazionale? Eliana Astorri lo ha chiesto ad
Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore, appena rientrato da
Beirut:
R. – Si dice che sia una missione di peacekeeping, ma ormai le
missioni di peacekeeping
si differenziano molto difficilmente da quelle di peace enforcing, soprattutto su una frontiera
così calda come quella tra il Libano e Israele. Intanto, sarà difficile
arrivare nel Sud del Libano, perché mancano i presupposti logistici per lo
schieramento di un contingente multinazionale. Le strade sono tutte distrutte.
Quindi, ci sono problemi già a dispiegare l’esercito libanese. Dovranno essere
trovati dei modi anche per collocare sul territorio queste truppe che arrivano.
Poi bisogna vedere queste truppe di che cosa saranno dotate, questa UNIFIL
rafforzata. Come saranno appunto le regole d’ingaggio. Bisognerebbe, quindi,
anche stabilire un poco il quadro di questa situazione, non soltanto dal punto
di vista della missione internazionale, ma anche di quelle che sono le regole
della convivenza internazionale, che vengono continuamente
violate da una parte e dall’altra.
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E’ iniziato stamani
a Baghdad il secondo processo a Saddam Hussein e a 6 alti esponenti del suo
regime. L’accusa è di genocidio per la campagna di Anfal,
nel nord dell’Iraq, che tra il 1987 e il 1989 causò la morte di oltre 100 mila curdi. In apertura dell’udienza, l’ex dittatore si è
rifiutato di dichiarare il suo nome e ha respinto ogni addebito. Tra i coimputati
dell’ex rais c’è anche il cugino, Ali Hassan al Majid, meglio noto come ‘Alì il chimico’, che avrebbe organizzato
la campagna di avvelenamenti di massa con i gas. Sul campo, almeno 4 persone
sono morte oggi in diversi scontri, tra cui anche un bambino di 10 anni colpito
accidentalmente dalle forze americane a Kirkuk, nel
nord. Infine, è di 20 morti e 300 feriti il bilancio degli scontri avvenuti
ieri a Baghdad, durante le imponenti manifestazioni per l’anniversario della
morte del settimo imam sciita, Mousa
al Khadim, cui hanno partecipato oltre un milione di
pellegrini. L’anno scorso, nella stessa occasione, erano morte circa mille
persone.
Dopo l’arresto,
sabato, da parte di Israele, del vicepremier
palestinese, Nasser Shaer,
dirigente di spicco di Hamas, truppe israeliane hanno arrestato ieri sera anche
Mahmoud al-Ramhi,
segretario del Consiglio Legislativo, anch’egli appartenente al gruppo radicale
che attualmente controlla il governo palestinese. Una vera e propria ondata di
arresti sistematici a danno di politici e funzionari palestinesi ha avuto
inizio dal 25 giugno scorso, quando il caporale israeliano, Gilad
Shalit, venne sequestrato
dall’ala militare di Hamas.
“La Repubblica
islamica dell’Iran ha preso la sua decisione e, per quanto riguarda la questione
dell’energia nucleare, andrà avanti a pieno ritmo sulla sua strada e con
l’aiuto di Dio raccoglierà i dolci frutti dei suoi sforzi”: lo ha annunciato
stamani l’ayatollah supremo, Alì Khamenei,
rifiutando così il pacchetto di incentivi offerto quasi due mesi fa dai cinque
membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU più la
Germania per convincere il regime a rinunciare all'arricchimento dell’uranio.
Lo ha riferito in tarda mattinata la tv di Stato. Ieri, il segretario generale
delle Nazioni Unite, Kofi Annan,
aveva fatto un appello per il ‘sì’ di Teheran, dicendosi fiducioso. Scadrà il 31 agosto,
formalmente, il termine posto dal Consiglio di sicurezza all’Iran per bloccare
le attività di arricchimento dell’uranio, pena possibili sanzioni.
In Arabia
Saudita, le forze di sicurezza hanno circondato un edificio a Jeddah, città del mar Rosso, dove si sono nascosti quattro
uomini. Lo riferisce la televisione satellitare Al Arabiya.
Non è chiaro se si tratti di persone presenti nella lista dei militanti più
ricercati nel Paese. Secondo il ministero dell’Interno, sarebbero stati sparati
alcuni colpi di arma da fuoco.
Sembra sia stato un attentato e non un incidente,
come pensato inizialmente, l’esplosione avvenuta questa mattina in Russia,
nell’affollato mercato Cerkizovski, alla periferia nord-orientale di
Mosca. Nella deflagrazione hanno perso la vita almeno 7 persone, tra cui tre
bambini. La polizia ha fermato due uomini che erano stati visti lasciare
una borsa nel luogo dell’esplosione qualche secondo prima
che questa avvenisse e poi correre verso l’uscita. Un terzo uomo è riuscito a
fuggire.
L’ambasciatore russo in Kenya, Valeri Iegochkin, è stato
rapinato e accoltellato ieri da sconosciuti su un’autostrada nei pressi di
Nairobi ed è ora ricoverato in ospedale in gravi condizioni. Non si è fatta
attendere la reazione di Mosca, che ha chiesto che vengano
trovati e “puniti” al più presto i responsabili. Secondo una prima ricostruzione
dell’accaduto, l’auto dell’ambasciatore è stata costretta a fermarsi per
evitare di investire un bambino sull’autostrada, quando sono compersi i rapinatori armati di coltello.
E’
“imperdonabile” che la Serbia non abbia arrestato e portato davanti alla
giustizia il generale Ratko Mladic,
capo delle milizie serbo-bosniache all’epoca della guerra di Bosnia. Così il
procuratore capo del Tribunale internazionale dell’Aia, Carla del Ponte, alla
ripresa del processo sulla strage di Srebrenica. La
Del Ponte ha già più volte attaccato duramente il governo serbo e proprio le
sue accuse hanno spinto l’Unione europea a bloccare in maggio i negoziati con
Belgrado per un accordo di associazione e stabilizzazione. La strage, avvenuta
nel luglio del 1995, costò la vita a 8 mila musulmani.
E’ di
almeno 80 morti e 150 feriti il bilancio, ancora provvisorio, dell’incidente
ferroviario avvenuto questa mattina in Egitto, dove due treni sono entrati in
collisione vicino a Qalyoub,
cittadina situata nel Delta del Nilo, una ventina di chilometri a nord de Il
Cairo. Uno dei due convogli si sarebbe incendiato e sarebbe deragliato sul
binario vicino su cui viaggiava, sempre in direzione del Cairo, e un secondo
treno non è riuscito ad evitare l’impatto. Sul posto sono al lavoro squadre di
soccorritori.
Sale la tensione nella Repubblica Democratica del Congo. Almeno tre persone sono morte e altre dieci sono
rimaste ferite negli scontri scoppiati ieri sera a Kinshasa, subito dopo la
divulgazione dei risultati parziali relativi alle elezioni presidenziali, che
hanno decretato il ballottaggio, il prossimo 29 ottobre, tra il capo di Stato
uscente, Joseph Kabila, e il suo vice, Jean-Pierre Bemba. Il
primo si presenta con uno scarto di oltre il 20 per cento dal secondo. Tra le persone uccise c’è anche un
cittadino giapponese, rimasto coinvolto in una sparatoria davanti a un ufficio
postale, nel centro della capitale. Secondo fonti
della MONUC, la Missione delle Nazioni Unite nel Paese, avrebbero perso la vita
anche un membro della scorta di Bemba e un agente
della guardia presidenziale di Kabila. L’Esercito governativo ha schierato
nelle strade di Kinshasa blindati leggeri di vigilanza.
Il premier somalo, Ali Mohamed
Gedi, ha nominato stamani 31 nuovi ministri del suo governo
per tentare di sbloccare un esecutivo paralizzato da due anni di lotte e attualmente
sotto la pressione delle Corti Islamiche, che da giugno controllano Mogadiscio
e buona parte del sud del Paese. Due settimane fa, il presidente della Somalia, Abdullah Yusuf, aveva sciolto il governo definendolo inefficiente e
aveva ordinato a Gedi di nominare un esecutivo più
snello, la cui attività sarebbe stata valutata dopo tre mesi in carica. Ieri, intanto,
300 militari dell’Etiopia sono giunti presso la città di Baïdoa,
sede del governo di transizione somalo, per proteggere l’aereoporto
abbandonato dopo che alcuni miliziani avevano provato ad occuparlo. Il
Consiglio Supremo Islamico ha affermato che le truppe sono state richieste dal primo ministro Ali Mohamed, e
dal presidente Ah-med.
Almeno 16 mila persone sono
state messe in salvo dalle forti piogge che da un mese stanno cadendo
sull’Etiopia e che hanno già causato la morte di quasi 900 persone. Lo ha
annunciato la televisione di Stato. Tuttavia, si teme che il bilancio delle
vittime possa salire a causa del prolungarsi del maltempo. Secondo le stime
delle Nazioni Unite, sono circa 48 mila le persone rimaste senza un tetto in
seguito agli straripamenti in tutta l'Etiopia.
Elezioni
ieri nello Stato messicano del Chiapas, per scegliere
il nuovo governatore. Secondo i primi risultati, relativi al 52 per cento delle
schede, Juan Sabines,
candidato del Partito della rivoluzione democratica (PRD) sarebbe in lieve
vantaggio, con il 48,77 per cento dei voti, rispetto candidato del Partito
rivoluzionario istituzionale (PRI), José
Antonio Aguilar, con il 47,74 dei consensi. Nelle
ultime settimane, la tensione politica è cresciuta al massimo nello Stato per
la decisione del Partito Azione nazionale (PAN) e del Partito Nuova Alleanza (Panal) di ritirare i propri candidati per impedire una
vittoria della sinistra.
L’Indonesia
ha rinviato l’esecuzione, prevista questa settimana, per i tre uomini condannati
a morte per la strage di Bali dell’ottobre del 2002, quando
due autobomba piazzate fuori da alcuni locali notturni
a Kuta Beach provocarono 202 morti, 88 dei quali
turisti australiani. Lo rende noto la Procura generale di Giakarta, spiegando
che è stata accolta un’istanza della difesa dei tre terroristi, che giudica
prematura l’esecuzione in quanto le vie legali non sono ancora esaurite, nonostante
tutti i ricorsi in appello siano stati respinti. I tre imputati condannati sono
legati all’organizzazione della Jemaa Islamiyah (JI), considerata a sua volta legata ad al Qaeda. Le condanne a morte in Indonesia vengono solitamente eseguite mediante fucilazione.
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