RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 230 - Testo della trasmissione di venerdì 18 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Presentata
al Congresso di Toronto l’iniziativa “Pediatric Aids”
Aumentato
il budget dell’Unione Europea a sostegno delle regioni baltiche
Difficoltà nelle operazioni di soccorso in
Etiopia, colpita da oltre due settimane da piogge e inondazioni. Salvate
seimila persone dall’esercito etiopico
18 agosto 2006
UN
ANNO FA, LA GMG DI COLONIA, PRIMO VIAGGIO INTERNAZIONALE
DI
BENEDETTO XVI. SULL’EREDITA’ DI QUEL PARTICOLARE APPUNTAMENTO
CON I GIOVANI, LA RIFLESSIONE DELL’ARCIVESCOVO
ANGELO COMASTRI,
VICARIO
GENERALE DEL PAPA PER LA CITTA’ DEL VATICANO
“L’incontro di tanti giovani col Successore di Pietro è un
segno della vitalità della Chiesa. Sono felice di stare in mezzo ai giovani, di
sostenerne la fede e di animarne la speranza”: con queste parole, pronunciate
il 18 agosto dell’anno scorso all’aeroporto di Bonn-Colonia,
Benedetto XVI iniziava il suo primo viaggio internazionale. Occasione
dell’evento: la XX Giornata Mondiale della Gioventù, convocata tre anni prima
da Giovanni Paolo II a Colonia, la città che custodisce nel suo Duomo le
reliquie dei Re Magi. “Considero un amorevole gesto di riconciliazione – affermò
Benedetto XVI, sempre all’arrivo in Germania – che, senza che io l’abbia
voluto, la mia prima visita al di fuori dell’Italia si svolga nella mia patria”.
Per un ricordo di quel viaggio apostolico e una riflessione sull’eredità
spirituale della prima GMG di Papa Benedetto, Alessandro Gisotti ha intervistato
l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano:
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R. – L’incontro di Colonia è nella continuità di un lungo
cammino iniziato da Giovanni Paolo II nel 1984. Papa Benedetto si è trovato
questa stupenda eredità e ci si è ‘buttato’ con grande entusiasmo. Un Papa
anziano come lui, si vede che ha cercato in tutti i modi di trovare un
linguaggio giovane, semplice, accessibile. E bisogna dire che i discorsi di questo
grande teologo sono discorsi che vanno bene anche ai giovani; discorsi che
danno contenuto, che affrontano i problemi con concretezza, cercando di mettere
sempre in positivo il messaggio cristiano, cercando di far capire che è bello
credere, che la vita si illumina di bellezza e – direi anche – di voglia di
vivere, quando si incontra il Signore. Questo sforzo di tradurre in positivo il
messaggio evangelico che poi lo è di per sé, si può dire che è la
caratteristica di Papa Benedetto.
D. – Momento culminante della GMG di Colonia è stata
l’Adorazione eucaristica. Si può dire, sintetizzando, che in quei giorni il
Papa ha offerto ai giovani e non solo, ma in particolare ai giovani, una
grande, profonda catechesi sul Mistero eucaristico che cambia il mondo?
R. – Certamente. Si vede che Papa Benedetto ha una grande
sensibilità nei confronti del mistero, cioè del rapporto dell’uomo con Dio che
noi esprimiamo in questa parola, “mistero”. Dio è trascendente e vicino nello
stesso tempo. E quando noi ci mettiamo davanti a Dio, non possiamo banalizzare
questa relazione. La famiglia cristiana è una fraternità, che si apre a Dio.
Per questo il Papa ha voluto - proprio nel cuore della Giornata Mondiale della
Gioventù - quell’ora di Adorazione che è stata
impressionante! Io ricordo ancora a Colonia, questa folla di giovani in
silenzio, in adorazione, mentre sul monte era esposto Gesù. Da lì si capiva che
il Papa voleva dire ai giovani: “Guardate, che il cuore della Giornata non sono
io, anche se sono il Papa. Il cuore della Giornata è Lui!”.
D. – Ecco, un anno dopo la GMG di Colonia, qual è
l’eredità più fruttuosa di questo evento?
R. – Innanzitutto, questi grandi eventi hanno un senso se
hanno una preparazione e se hanno una continuazione. I giovani che sono stati
preparati ad un cammino sono stati accompagnati da guide che hanno il senso di
quella giornata. I giovani che continuano questo cammino hanno un grande
beneficio dalle Giornate Mondiali della Gioventù. Lo stesso beneficio che si ha
dalla domenica: la giornata di festa ti ricarica, ti riempie, ti ritempra, e
poi ritorni alla vita feriale ritemprato da quell’incontro.
Così sono, in un arco più grande, le Giornate Mondiali della Gioventù: grandi
momenti, momenti straordinari ma che devono avere una traduzione nel
quotidiano.
D. – Eccellenza, a Colonia il Papa ha incontrato i giovani
ma anche una delegazione di fedeli musulmani, e poi ci fu la storica visita
nella Sinagoga. Ecco, lei che ha vissuto personalmente e intensamente quelle
giornate, ha un ricordo particolare di un evento che non è stato solo per i
giovani?
R. – Il discorso molto lucido che il Papa ha fatto ai
fratelli musulmani, ricordo che ha colpito molto i giovani. Il Papa è stato
molto aperto ma anche molto fermo: ha chiarito con estrema chiarezza che la
violenza non è mai una strada di Dio. Ha chiarito con estrema chiarezza che
nella storia abbiamo tutti qualcosa di cui chiedere perdono, ma se vogliamo
veramente fare un cammino, un cammino nuovo, bisogna che impariamo tutti a
rispettarci profondamente nelle rispettive identità. E altrettanto ha fatto con
i fratelli ebrei, facendo sentire la carica di affetto che c’è da parte della
Chiesa cattolica. Il Papa voleva dire ai fratelli ebrei che noi siamo, nella
radice, ‘semiti’, come non si stancava di ripetere Pio
XI, e questa è una storia che non può essere né ignorata né tagliata. E
l’incontro con i fratelli ebrei ha messo in luce questo magnificamente. Credo
che poi sia stato particolarmente recepito da loro.
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BENEDETTO
XVI RICEVE A CASTEL GANDOLFO IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY,
SUO INVIATO SPECIALE IN LIBANO, DI RITORNO DAL
PAESE DEI CEDRI
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Benedetto
XVI riceve oggi in udienza, nel Palazzo Apostolico di Castel
Gandolfo, il cardinale Roger
Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace e del Pontificio Consiglio Cor Unum.
Ricordiamo
che il cardinale Etchegaray è di ritorno da una
visita in Libano, dove si è recato come Inviato speciale del Papa per portare a quella martoriata popolazione
“l’espressione della Sua spirituale vicinanza e della Sua concreta solidarietà
e per pregare per la grande intenzione della pace”. Lo scorso 15 agosto,
solennità dell’Assunzione di Maria in Cielo, il cardinale Etchegary
ha celebrato, assieme al Patriarca di Antiochia dei
Maroniti Nasrallah Sfeir,
una Messa per la pace in Medio Oriente, nel Santuario mariano libanese ad
Harissa.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - "La gioia del servire":
Benedetto XVI ha concesso un'intervista televisiva in occasione del viaggio
apostolico che compirà nella sua terra natale, in Germania, dal 9 al 14
settembre.
Servizio vaticano - Una pagina dedicata alla
celebrazione della solennità dell'Assunta nelle Diocesi italiane.
Servizio estero - Medio Oriente: si definiscono compiti e consistenza della forza ONU in Libano. Ancora
violenze nei Territori, ma si profila un rilancio del negoziato tra il Governo
israeliano e l'Autorità palestinese.
Servizio culturale - Un articolo di Francesco
Licinio Galati sul romanzo di Lernet-Holenia
dal titolo "Un sogno in rosso".
Servizio italiano - In primo piano l'articolo dal
titolo "Sì politico del Governo all'invio di militari italiani in
Libano".
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18 agosto 2006
RAPITO A BAGHDAD, IL 15 AGOSTO, UN SACERDOTE DEI
CATTOLICI CALDEI.
ANCORA SCONOSCIUTI GLI
AUTORI DEL SEQUESTRO, AI QUALI
IL PATRIARCATO SI APPELLA PER CHIEDERE LA
LIBERAZIONE DEL RELIGIOSO
- Intervista con mons. Philippe
Najem -
Un sacerdote rapito, un
nuovo dolore per la Chiesa e la popolazione irachena. Lo scorso 15 agosto,
subito dopo la celebrazione per la solennità dell’Assunta, padre Saad Sirop Hanna
- sacerdote della chiesa cattolica caldea di Saint Jacob, nel quartiere meridionale di Dora a Baghdad – è
stato fermato sull’auto in cui viaggiava e rapito da un gruppo di sconosciuti. La
notizia, inizialmente segnalata da un sito Internet di cattolici arabi, è stata
confermata da mons. Philippe Najem,
procuratore del Patriarcato di Babilonia dei Caldei
presso la Santa Sede. Alessandro De Carolis lo ha
intervistato, chiedendo anzitutto le reazioni del Patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly:
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R. - E’ in uno stato d’animo veramente molto amareggiato,
perché Saad Sirop è un sacerdote
giovane che deve continuare i suoi studi. Addirittura, doveva venire a proseguire
i suoi studi qui a Roma. E’ un sacerdote che ha dedicato la sua vita a servizio
sia della nazione sia di tutti i fedeli cristiani che ci vivono. E’ dispiaciuto
tantissimo a tutti noi.
D. - Le autorità irachene hanno qualche sospetto su chi siano stati gli autori del sequestro?
R. - Ad oggi, data la situazione, non possiamo individuare
quale sia la parte che l’ha sequestrato. Ma Sua Beatitudine
il Patriarca ha avuto un incontro molto importante con il primo ministro
dell’Iraq e tutti stanno cercando di risolvere questa situazione al più presto
possibile e di arrivare al rilascio del nostro sacerdote.
D. – Abbiamo letto che il Partito islamico iracheno, che
rappresenta la parte sunnita nel Parlamento del Paese,
ha subito condannato questo atto…
R. – Certamente. E questo dimostra quanto il popolo
iracheno sia unito e come non stia cercando di creare
alcuna divisione: siamo un unico popolo iracheno che cerca di vivere in pace,
perciò non mi ha sorpreso questa affermazione del Partito islamico in Iraq.
D. – C’è uno stato di sofferenza notevole, del quale
spesso poco si parla, della Chiesa cattolica in Iraq…
R. – Certamente. La Chiesa cattolica soffre tantissimo e quotidianamente,
come tutto il resto del popolo iracheno che soffre anche per la mancanza delle
cose indispensabili per vivere: manca l’acqua, manca l’elettricità, mancano gli
ospedali, il servizio sanitario e soprattutto manca la sicurezza. Oggi come
oggi, l’iracheno non è considerato quasi neanche più come un essere umano: tutti
vivono davvero una situazione molto difficile.
D. – Volete fare un appello per la liberazione di padre Saad Sirop?
R. – Certamente. Io faccio un appello e dico ai rapitori:
questo rapimento non serve a nessuno. Noi dobbiamo cercare di essere ancora
uniti, di servire la nostra patria, di servire il nostro popolo. Noi più che
mai abbiamo bisogno oggi di essere uniti e solidali uno con l’altro, e non
dimenticate che tutti siamo iracheni. Il Paese è nostro e dobbiamo costruirlo
noi, ma non costruirlo così, creando divisioni: dobbiamo essere tolleranti. Dio
ha creato la vita e la vita deve essere rispettata. Se noi veramente crediamo
in Dio allora dobbiamo rilasciare questo sacerdote al più presto possibile,
perché è un sacerdote che ha donato la sua vita per servire il popolo di Dio,
per servire la sua nazione.
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LE FORZE ISRAELIANE CONTINUANO A
RITIRARSI DAL SUD DEL LIBANO,
DOVE STAMANI I SOLDATI LIBANESI HANNO COMINCIATO A
PATTUGLIARE IL CONFINE CON ISRAELE. “SÌ” UNANIME DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
ITALIANO ALLA MISSIONE
DELL’ONU IN LIBANO
- Intervista con Raymond El Hachem -
Procedono, in Libano, il contemporaneo ritiro
dei militari israeliani ed il dispiegamento di soldati libanesi. L’esercito israeliano ha
trasferito al contingente dell’ONU la responsabilità di diverse zone del sud
del Libano. Soldati, inviati da Beirut, hanno poi cominciato a pattugliare il
confine con Israele. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Due soldati a bordo di una jeep, con una
grande bandiera libanese, hanno perlustrato il confine con Israele. Si è
trattato di una prima, breve missione ma di un evento denso di significato per
storia libanese. Per la prima volta, dopo decenni, dei militari libanesi hanno
raggiunto, infatti, l’area di frontiera con lo Stato ebraico. E in Israele, un
portavoce militare ha riferito, poi, che l’esercito israeliano ha trasferito ai
caschi blu della forza
di interposizione delle Nazioni Unite, l’UNIFIL, la responsabilità
nel sud del Libano di due terzi del territorio. Il piano, concordato nei giorni
scorsi tra ufficiali israeliani, libanesi e della missione ONU prevede poi che l’UNIFIL provveda, a sua volta, a trasferire la responsabilità del
sud del Libano alle truppe regolari libanesi.
Ieri, intanto, si è tenuto il primo vertice a porte chiuse
al Palazzo di Vetro con delegazioni di 49 Paesi “teoricamente pronti” a fornire
uomini all’UNIFIL. Durante l’incontro, è stato sottolineato che la forza
internazionale destinata ad affiancare 15 mila soldati libanesi nel sud del
Libano dovrà essere “robusta, ben armata” ma “non offensiva”. E’ stato ribadito
che, entro 10 giorni, saranno inviati 3500 caschi blu.
La risoluzione dell’ONU è stata presa in esame, infine, dai
vescovi maroniti che si sono riuniti ieri a Beirut. I presuli hanno espresso il
timore che il testo delle Nazioni Unite venga
interpretato in modo ambiguo. I drammi vissuti dai libanesi – si legge in un
comunicato – dimostrano che non è più ammissibile, in Libano, una “doppia
autorità politica”. I vescovi maroniti invitano, poi, tutta la popolazione ad
unire le forze sotto la sola autorità “del governo che gode della fiducia della
Camera eletta democraticamente”.
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E in Italia, il Consiglio dei ministri ha dato questa
mattina all’unanimità il via libera alla missione italiana in Libano. L’invio
del contingente darà seguito alla risoluzione 1701 delle
Nazioni Unite. Successivamente, il ministro degli Esteri D’Alema,
e quello della Difesa, Parisi, hanno riferito alle
rispettive Commissioni di Camera e Senato riunite congiuntamente. Cautela
dell’opposizione, mentre nel pomeriggio il voto sulla mozione politica del
governo. Servizio di Giampiero Guadagni.
.
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Quella in Libano sarà una missione di pace. Romano Prodi
spiega così la decisione presa questa mattina dal Consiglio dei ministri. E
precisa: il nostro punto di riferimento è la risoluzione ONU e dentro questo
ambito ci muoveremo, con regole chiare e definite. In questo senso, dunque,
sono prive di senso le polemiche sul disarmo delle milizie di Hezbollah, che secondo il centrodestra dovrebbe essere uno
dei compiti dei militari italiani. Prodi, comunque, ringrazia l’opposizione per
il contributo di questi giorni. Prodi sottolinea che la guerra doveva essere
evitata, ma che è iniziata per l’attacco di Hezbollah
in Israele del 12 luglio.
La missione italiana sarà lunga, rischiosa, costosa, ma
non per questo meno doverosa. E’ quanto ha detto da parte sua il ministro della
Difesa Parisi, per il quale servono regole di
ingaggio chiare. Sulla stessa linea D’Alema. Il
ministro degli Esteri è tornato sulle polemiche degli ultimi giorni che lo
hanno riguardato: da parte mia, puntualizza, nessuna ostilità nei confronti di
Israele, ma solo la convinzione che la guerra ha rafforzato le posizioni
estremiste.
Proprio l’intervento di D’Alema in Commissione esteri è stato al centro delle
critiche dell’opposizione. Forza Italia parla di cinico opportunismo diretto ad
ottenere il consenso della sinistra radicale. E se
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Mentre si lavora per la stabilizzazione del sud del Libano,
rimane alta l’emergenza umanitaria per gli sfollati libanesi. Secondo fonti locali, sarebbero quasi un milione. Circa 200
mila sono fuggiti dal Paese, altri hanno trovato rifugio presso famiglie, altri
ancora cercano di tornare alle proprie abitazioni sperando di trovarle intatte.
Sono molti gli organismi internazioni che si sono attivati per aiutare la
popolazione e, tra di essi, c’è anche
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R. – La guerra è stata una sorpresa per
D. – Caritas Libano interverrà anche nella ricostruzione
delle case?
R. – Ci sono altri organismi che si sono proposti per
questo incarico.
D. – Di cosa hanno bisogno principalmente queste persone?
R. – Queste persone hanno bisogno di tutto: hanno dovuto lasciare
le case, senza avere tempo di portare con loro le cose principali. Adesso i
grandi bisogni saranno certamente i soldi, gli arredamenti delle case, specialmente
la cucina, i letti ed i medicinali.
Accanto a questo, c’è soprattutto l’assistenza morale e psicologica,
soprattutto per i bambini. Vediamo i bambini che sono molto traumatizzati.
Basta vedere la televisione, basta vedere quello che succede, sentire e
ascoltare gli aerei che passano nel cielo del Libano, tutto il Libano. Questo
fatto ha davvero terrorizzato e traumatizzato tutti i bambini. Quindi, i bisogni
sono materiali, morali ed anche psicologici.
D. – Per molte persone sarà impossibile tornare a casa.
Come si potrà provvedere a questa necessità?
R. – Devo dire che tutte le case del Libano sono state
aperte per ricevere gli sfollati, senza nessuna discriminazione. I cristiani
non hanno mai pensato di ricevere soltanto i cristiani. Ci sono tante famiglie
cristiane che hanno ricevuto tanti bambini musulmani e viceversa. Quasi tutte
le scuole ufficiali e private del Libano sono state aperte agli sfollati.
Adesso, le persone che non potranno tornare a casa saranno certamente aiutate
ad affittare case, in attesa del restauro delle
proprie.
D. – Si può fare un bilancio dei danni?
R. – Alcuni hanno parlato di 15 mila case distrutte, in
totale, e così un buon numero di ponti e strade. Anche molte fabbriche sono
state distrutte. I morti sono più di 1200 finora, perché continuiamo a trovare,
anche oggi, molti morti sotto le distruzioni. Stiamo facendo le statistiche
finali.
D. – Per quanto riguarda gli aiuti internazionali,
R. – Devo dire che Caritas ha ricevuto sostegno da singole
persone. Ha ricevuto molti aiuti anche dalla Chiesa cattolica. Per quanto
riguarda le altre organizzazioni, riceviamo aiuti dai progetti bilaterali tra
Caritas ed altri organismi. Da quelli multilaterali, posso dire che, finora,
non abbiamo ricevuto quasi niente. Quello che vorrei aggiungere è che abbiamo
bisogno davvero di tutto. Quasi tutto il Libano è stato attaccato e gran parte
del Libano è stata distrutta.
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SI CONCLUDE A TORONTO LA 16.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AIDS
- Intervista con il prof. Giovanni Guidotti -
Si
conclude oggi a Toronto, in Canada, la 16.ma
Conferenza internazionale sull’AIDS, contrassegnata quest’anno dallo slogan “Passiamo all’azione”. Al congresso hanno
partecipato ben 24mila delegati della comunità scientifica, dei servizi
sanitari e dei governi di tutto il mondo. In primo piano, i progressi compiuti
fin qui nel campo clinico, epidemiologico e sociale. Ma cosa è emerso ai lavori
sulla lotta all’AIDS? Giada Aquilino lo ha chiesto al dottor Giovanni Guidotti, di DREAM, il programma di lotta all’AIDS in
Africa della Comunità di Sant’Egidio, organizzazione
presente alla conferenza di Toronto:
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R. - La lotta all’AIDS è al punto di finalizzare
l’utilizzo di grandi risorse finanziarie che i Paesi occidentali hanno messo a
disposizione per la cura, cioè il grande interrogativo del vaccino terapeutico
che potrebbe salvare milioni di vite. C’è il problema, nel frattempo, di
elaborare delle strategie terapeutiche per poter salvare più vite possibili nei
Paesi a risorse limitate e di far sopravvivere tanti nell’attesa della scoperta
del vaccino. La situazione nei Paesi africani è che su 40 milioni di malati nel
mondo, 30 risiedono in Africa e questo rappresenta chiaramente un’emergenza. Le
previsioni epidemiologiche per gli anni che vengono sono disastrose. L’Africa
tenderà a scomparire dal punto di vista demografico, dobbiamo quindi elaborare
con rapidità scelte che salvino più gente possibile.
D. - Dal 1985, quando ci fu la prima conferenza
internazionale sul virus, ad oggi come sono cambiate la cura della malattia e
la ricerca?
R. - Negli anni ’95, ’96 è stata rielaborata questa
strategia terapeutica, fondata sull’uso di tre farmaci antiretrovirali,
alcuni di questi sono i cosiddetti inibitori delle proteasi,
che hanno radicalmente cambiato la progressione clinica della malattia. Ancora
oggi, purtroppo, questa terapia non è largamente diffusa in Africa e questo
potrebbe rendere cronica una malattia che oggi è una malattia acuta in Africa.
E poi c’è questo grande interrogativo che è il vaccino. Purtroppo previsioni
ottimistiche stimano in dieci anni il tempo medio di attesa per l’ottenimento
di un vaccino efficace che curi chi è già malato di AIDS oppure prevenga la malattia per chi è a rischio.
D. – Stiamo parlando ancora di un problema di accesso ai
farmaci?
R. – Assolutamente sì. In Africa, purtroppo un grandissimo
numero di malati di AIDS necessiterebbe di un accesso immediato alla cura. Le
più ottimistiche stime parlano di circa 700.000 persone che attualmente
riescono ad accedere ai farmaci in Africa contro un fabbisogno di almeno 4
milioni di malati. Ci richiama un dovere, come dire, morale ed etico a fare di
più, a fare più velocemente mantenendo alti gli standard di qualità e provando
ad arginare questa epidemia che veramente sta decimando questo continente.
D. – Uno dei temi in esame a Toronto è stata la
partecipazione delle persone sieropositive ai processi decisionali sociali e
politici che riguardano al cura e la prevenzione
dell’AIDS. Quanto è importante quest’aspetto?
R. - Io direi che è decisivo. L’esperienza della Comunità
di Sant’Egidio attraverso il programma DREAM ha in
realtà svelato come ci sia una potenza, una forza
nelle persone malate di AIDS che scoprono, attraverso la possibilità di essere
curate, la responsabilità di poter aiutare e curare tanti altri malati,
testimoniando con la loro stessa vita che è possibile vivere, è possibile prevenire
la malattia è possibile sostenere tanti. Si riscopre, dall’essere
malati una responsabilità verso i tanti che ancora non riescono a
raggiungere i centri di cura e da questo c’è una grande forza di testimonianza
che può essere decisiva per orientare le politiche dei Paesi, per aiutare tanti
a fare scelte coraggiose, scelte e importanti.
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IL
BAROCCO IN MUSICA E NELL’ARTE: E’ LA PARTICOLARITA’
DEL
FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA VAL DI NOTO IN SICILIA
-
Intervista con Antonio Marcellino -
Il Barocco in musica e nell’arte: un accostamento
indovinato al centro del Festival internazionale della Val di Noto, intitolato
“Magie Barocche”. Giunta alla seconda edizione, la rassegna propone, fino al 16
settembre, concerti e spettacoli teatrali di artisti del ‘600
e ‘700 italiano. A fare da sfondo, 8 tra le più belle
cittadine siciliane. Il servizio di Isabella Piro:
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Modica, Noto, Palazzolo
Acreide, Ragusa Ibla. E
ancora: Scicli, Catania, Caltagirone,
Militello. In una parola: Val di Noto. Questo
suggestivo scenario della provincia siciliana nel 2002 è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, poiché rappresenta l’apice
e la fioritura dell’arte barocca in Europa.
Lungo questo percorso risuonano le musiche di Vivaldi, Corelli, Monteverdi, o i versi immortali
di Tasso ed Ariosto. Tutti artisti che hanno reso l’epoca barocca intramontabile
e magica. Antonio Marcellino, direttore artistico del Festival, spiega il
perché di questa magia:
“La magia del Barocco, secondo me, risiede innanzitutto
nello stupore di trovarsi di fronte queste piccole città, assolutamente
incantevoli e inaspettatamente belle. Questa è già una magia. L’altra, invece,
è trovare all’interno delle chiese il canto secondo una prassi esecutiva del
tempo: gli strumenti sono fatti di corda di budello con questi suoni così ovattati,
così antichi con delle novità sonore inaspettate. Tutto ciò crea un’atmosfera
forse magica”.
Sono 40 gli spettacoli messi in scena in chiese, chiostri,
piazze e teatri. Nessuno di loro viene replicato,
diventando così evento unico. Una scelta insolita, ma
molto riuscita:
“Il progetto è un progetto del turismo culturale nel senso
che, calibrando uno spettacolo di grande qualità in un comune molto distante
dai luoghi più conosciuti
come Ragusa, come Catania, c’è questa migrazione di
viaggiatori, di turisti e anche di residenti della Val di Noto verso la sede
dell’evento musicale”.
Largo spazio, naturalmente, è dedicato alla musica sacra,
come il “Messia” di Haendel e lo “Stabat
Mater” di Pergolesi. Ma fra
tutti gli spettacoli, ce ne è uno da non perdere:
“Quello di Valentina Cortese, che si svolgerà il 27, che è
una novità del nostro festival. Nel senso che Valentina Cortese per la prima
volta nella sua vita leggerà brani del Tasso, dell’Ariosto all’interno di
musiche di Monteverdi …”.
Oltre a portare alla ribalta antichi strumenti musicali,
appositamente restaurati, e partiture inedite, conservate in archivi nascosti,
la manifestazione ha soprattutto un altro scopo:
“Far capire al grande pubblico che non si tratta solo di
musica “d’élite”; si tratta semplicemente di musica
non conosciuta nella sua peculiarità più nascosta ma che ha delle connotazioni
assolutamente straordinarie. Diciamo che è il primo passo verso la grande
musica italiana”.
(musica)
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18 agosto 2006
PRESENTATA
AL CONGRESSO DI TORONTO L’INIZIATIVA “PEDIATRIC AIDS”
OBIETTIVO:
L’INVIO DI 250 MEDICI NELL’AFRICA SUBSAHARIANA
PER
CURARE 80 MILA BAMBINI AFFETTI DAL VIRUS DELL’HIV NEI PROSSIMI 5 ANNI
TORONTO. = Nell'Africa
sub-sahariana un solo pediatra può salvare la vita di 1.300 bambini ogni anno.
L’affermazione viene dal Congresso mondiale sull'AIDS in corso nella metropoli
canadese di Toronto: l’autore è Mark Kline, presidente dell'iniziativa internazionale “Pediatric Aids” promossa dal Baylor
College of Medicine di Houston. Kline ha presentato a
Toronto il programma di sostegno alle donne e ai bambini che partirà nei
prossimi giorni, nell'ambito dell'iniziativa “Secure the Future”, promossa sette anni fa
dall'azienda farmaceutica Bristol-Myers Squibb. Lunedì prossimo, i primi 50 pediatri specializzati
nella cura dell'AIDS partiranno per raggiungere alcuni dei centri allestiti
nell'Africa subsahariana come parte del programma “Pediatric Aids”. “A lungo i bambini sono stati il volto dimenticato
dell'epidemia”, ha detto il presidente del Congresso, Mark
Wainberg, presentando l'iniziativa in una conferenza
stampa a Toronto. “Per curare i bambini servono esperti - ha aggiunto - ed è
ugualmente importante dare alle donne le capacità e gli strumenti per
proteggere dal virus se stesse e i loro figli”. Dall'arrivo in Africa di 250
medici, nei prossimi cinque anni, si attende una diffusione significativa delle
terapie per i più piccoli nei sette Paesi che ospitano i centri clinici creati
da “Secure
the future”, ovvero Botswana, Burkina Faso, Lesoto,
Malawi, Swaziland, Tanzania e Uganda. Secondo le
stime più recenti del programma delle Nazioni Unite per la lotta contro l'AIDS
(UNAIDS), 2 milioni e 300 mila bambini al di sotto dei 15 anni vivono con l'infezione
da HIV e il 90% risiede nell'Africa subsahariana, ma
solo uno su dieci riesce ad avere una minima assistenza. L'iniziativa è
finanziata congiuntamente dalla Bristol-Myers Squibb e dal Baylor College per
un totale di 33,5 milioni di dollari. L'obiettivo è di riuscire a curare circa
80 mila bambini sieropositivi nei prossimi cinque anni. (A.D.C)
INCHIESTA
DELLA MISSIONE ONU NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
PER
FARE LUCE SULLE ACCUSE DI ABUSI SESSUALI PERPETRATE
DA
ALCUNI CASCHI BLU AI DANNI DI MINORENNI NEL SUD KIVU
KINSHASA. = La missione delle
Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo
(MONUC) ha aperto “un'inchiesta in seguito alle accuse di sfruttamento
sessuale” ai danni di giovani donne congolesi da
parte dei caschi blu nell'est del Paese. Lo rivela oggi un comunicato della
stessa missione ONU. “La MONUC – si legge nel testo del documento - ha ricevuto
accuse di un rilevante giro di prostituzione che coinvolgeva dei minori, nel Sud-Kivu”, provincia situata nell'est della Repubblica congolese (RDC). Alcune giovani donne hanno dichiarato che
“tra la loro clientela, composta maggiormente da militari e civili congolesi, figurano anche elementi del contingente della MONUC dispiegato nella regione”. Sylvie
van den Wildenberg,
portavoce della MONUC a Bukavu, nella regione del Sud-Kivu, ha precisato che “la maggioranza dei caschi blu
nella regione sono costituiti da un contingente pachistano, la cui etica
raramente è stata messa in discussione nei precedenti dossier su casi di
sfruttamento sessuale; da truppe indiane, che non sono mai state interessate da
accuse di questo tipo, e da militari sudafricani e uruguayani”. Negli scorsi
anni, la Missione ONU nella RDC aveva già subito analoghe accuse. Secondo Jean Tobie Okala,
portavoce aggiunto della MONUC a Kinshasa, a partire
dal dicembre 2004 sono stati riportati “almeno 140 casi di accuse per abusi
sessuali riguardanti il personale della MONUC”. In seguito alla scoperta di
abusi sessuali ai danni di una bambina di 13 anni, nel febbraio dello scorso
anno l'ONU aveva deciso di proibire ai caschi blu nella Repubblica Democratica del Congo di avere relazioni sessuali con le congolesi. La MONUC, creata nel 1999, conta 17.600 soldati
e rappresenta la più importante missione di pace delle Nazioni Unite
attualmente esistente. (A.D.C.)
MEZZO
MILIONE DI SFOLLATI NEL DARFUR, LA MARTORIATA REGIONE DEL
SUD SUDAN,
RISCHIA
LA FAME PER L’ESTREMA DIFFICOLTA’ DEGLI OPERATORI UMANITARI
DI
RAGGIUNGERE LE AREE DEI PROFUGHI. URGONO ANCHE NUOVI FINANZIAMENTI
KHARTOUM. = Il Sudan è nel
mezzo della cosiddetta “stagione della fame”, quando
prima del raccolto cresce la malnutrizione, e quasi mezzo milione di sfollati
nel Darfur - la remota regione occidentale dello
Stato africano teatro dal febbraio 2003 di un grave conflitto interno - è
tagliato fuori dalla distribuzione di aiuti alimentari d’emergenza, a causa
della crescente insicurezza. Il dramma è confermato da fonti ONU, secondo le
quali quasi il 30% dell’intera popolazione di sfollati interni (stimati in
circa 1.800.000) è conseguenza del conflitto sudanese. Preoccupazione sulla
situazione del Darfur arriva dal Programma alimentare
mondiale (PAM) ed è condivisa dal Coordinamento umanitario dell’ONU( (OCHA).
Quest’ultimo ha ribadito in una nota che, attualmente, gli operatori umanitari
“stanno registrando il più basso livello di accesso alla regione dall’inizio
del conflitto”. Sono settimane ormai che agenzie dell’ONU e organizzazioni non
governative nazionali e internazionali lanciano l’allarme e appelli sul grave
livello di insicurezza che si registra nella regione sudanese, nella quale alle
notizie di nuovi attacchi, di scontri tra diverse correnti dei movimenti
ribelli o di combattimenti tra forze anti-governative ed esercito regolare, si
sono andate sommando rapine, aggressioni e saccheggi ai danni degli operatori
umanitari ONU e non. Uno stato di cose che ha portato già molti organismi delle
Nazioni Unite e grandi ONG a sospendere i propri programmi o a ritirare dalle
aree a rischio il proprio personale, privando la popolazione locale dell’unico
sostegno organizzato disponibile. Inoltre, un ulteriore peggioramento del
quadro si registra sul fronte delle donazioni. L’ONU ha denunciato che mancano
all’appello 350 milioni di dollari per acquistare cibo per gli sfollati. Se
questi fondi non verranno messi a disposizione nei prossimi
mesi, le razioni di cibo di sei milioni di persone verranno ulteriormente ridotte.
(A.D.C.)
MILIONI
DI METRI CUBI DI LAVA ESPULSI DAL VULCANO ECUADORIANO TUNGURAHUA:
L’ERUZIONE
HA SEPOLTO DUE LOCALITA’ NEL SUD DEL PAESE. IL
PRESIDENTE
PALACIO
HA DECRETATO LO STATO DI EMERGENZA:
MIGLIAIA
DI FAMIGLIE COSTRETTE AD EVACUARE
PENIPE (ECUADOR). = È massima
allerta in quattro province del sud dell’Ecuador dove il vulcano Tungurahua ha espulso colate di lava, cenere e rocce incandescenti
che si sono abbattute su cinque villaggi provocando cinque morti e costringendo
3.200 persone ad evacuare. “Una sessantina di dispersi sono stati rinvenuti
sotto le macerie delle case e tratti in salvo”, ha riferito Juan
Salazar, sindaco di Penipe,
località a 135 chilometri a sud della capitale Quito
e centro abitato più colpito dopo Bilbao e Juive,
totalmente sepolti dalla lava. Il presidente Alfredo Palacio
ha decretato ieri sera lo stato d’emergenza nelle province
di Tungurahua, Chimborazo, Cotopaxy e Bolívar, mentre sono
rimasti chiusi gli aeroporti di Latacunga, Riobamba e Guayaquil. Secondo
l’Istituto geofisico ecuadoriano, la violenta eruzione del vulcano, alto 5.029
metri, ha portato lapilli e cenere anche oltre la costa del Pacifico
raggiungendo la città di Banos, popolata da circa
20.000 persone, e il territorio del vicino Perù.
“Abbiamo contato numerose esplosioni di forte intensità a cominciare dalla
mattina di giovedì per le 18 ore successive. Ora la fase più energica
dell’eruzione sembra superata”, ha riferito un portavoce dell’Istituto, pur
precisando che l’allarme resta alto. Quella di ieri è stata l’eruzione più
violenta del Tungurahua negli ultimi sette anni con
l’espulsione di milioni di metri cubi di lava e di una colonna di gas che ha
raggiunto gli otto metri d’altezza; si stima che siano andati distrutti oltre
20.000 ettari di coltivazioni.
AUMENTATO
IL BUDGET DELL’UNIONE EUROPEA A SOSTEGNO
DELLE
REGIONI BALTICHE. IL DATO E’ EMERSO DALLA CONFERENZA
“PROSPERITA’
E SOSTENIBILITA’”, SVOLTASI IN SVEZIA
BRUXELLES. = L'Europa
continuerà a sostenere le regioni del Mar Baltico attraverso politiche mirate e
l’ausilio di fondi strutturali. Lo ha dichiarato ieri Danuta
Hubner, commissaria europea alle Politiche regionali,
intervenendo in Svezia alla Conferenza “Prosperità e Sostenibilità”. “La
politica regionale europea e i fondi strutturali continueranno a sostenere lo
sviluppo delle Regioni del Mar Baltico”, ha affermato in un comunicato la Hubner, che ha sottolineato
come il programma di cooperazione transnazionale nell’area baltica sia
attualmente uno di quelli di “successo maggiore”. La Hubner ha anche ricordato che il budget dei fondi strutturali
per la cooperazione territoriale europea per il periodo 2007-2013 è aumentato
del 50% rispetto al periodo precedente. Oltre agli Stati membri dell'Unione
Europea che confinano con le Regioni del mar Baltico, anche la Russia, la Norvegia
e la Bielorussia partecipano ai programmi
transnazionali dell'area baltica. La Conferenza organizzata dal governo svedese
ha riunito 250 rappresentanti delle amministrazioni nazionali e regionali,
istituzioni internazionali e operatori economici per discutere dell’economia
sostenibile e dello sviluppo sociale e ambientale delle regioni baltiche. (A.D.C.)
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18 agosto 2006
- A cura di Eugenio Bonanata -
Sempre alta la tensione sul fronte palestinese, dove
prosegue l’offensiva israeliana. Due attivisti del movimento radicale della Jihad islamica sono stati uccisi questa mattina nel sud
della Cisgiordania. Almeno tre palestinesi, invece, sono
rimasti feriti nella notte a Gaza, durante un raid aereo israeliano. In questo
quadro il rappresentante dell’Autorità Palestinese a Mosca, Baker
Abdel Munem, ieri ha
affermato che il soldato israeliano catturato a giugno da gruppi armati
palestinesi potrebbe essere liberato “nei prossimi giorni” in cambio di 600
prigionieri palestinesi, detenuti in Israele. Sul piano politico, invece, il
presidente palestinese, Abu Mazen,
sempre ieri ha fatto sapere che i diversi gruppi armati avrebbero raggiunto un
accordo per sospendere il lancio dei razzi Qassam
contro il territorio israeliano. Infine, le condizioni poste dal primo ministro
palestinese Haniyeh rischiano di compromettere la
formazione di un governo di unità nazionale tra Hamas e al Fatah.
L’accusa di molestie sessuali nei confronti di una giovane
dipendente statale ha provocato le dimissioni del ministro israeliano della
Giustizia, Haim Ramon, che domenica prossima lascerà
ufficialmente la sua carica.
In Afghanistan una bomba sganciata da un aereo americano
ha ucciso 12 agenti della polizia di frontiera. L’incidente, avvenuto ieri
nella provincia di Paktika, ha causato anche diversi
feriti. Oggi intanto un militare della coalizione internazionale a guida
statunitense è rimasto ucciso e un altro ferito in scontri con “estremisti”
nella provincia orientale di Kunar. La coalizione,
presente in Afghanistan dal 2001, ha riferito di avere bombardato postazioni
ribelli, precisando però di non avere informazioni circa i danni provocati.
Fonti dell’intelligence pakistana riferiscono che uno dei massimi
dirigenti di al-Qaeda, coinvolto nell'organizzazione
del complotto terroristico scoperto in Gran Bretagna, si trova in Afghanistan.
L’uomo, che sarebbe il numero tre dell’organizzazione terroristica guidata da Bin Laden, opera nella provincia
di Kunar al confine con il Pakistan. Inoltre secondo
le fonti, Rashid Rauf, il
cittadino britannico arrestato all’inizio di agosto in Pakistan, e considerato
la mente del piano, è stato in contatto con il responsabile di al-Qaeda. Le indagini indicano infine che, Al Zawahiri, il numero due di Al Qaeda, avrebbe approvato personalmente il piano
terroristico.
Un tribunale di Detroit ha bloccato il programma di
intercettazioni, autorizzato dal presidente, Geoge Bush, dopo gli attacchi dell’11 settembre. Nella sentenza
si legge che il programma dell’Agenzia per la sicurezza interna “viola il
diritto di libertà di espressione e alla privacy”, come denunciato da
un’associazione che tutela i diritti civili negli Stati Uniti. Intanto ieri
sono state diffuse altre terribili telefonate effettuate ai soccorritori a New
York proprio il giorno degli attentati dell’11 settembre. Le conversazioni,
rese note in seguito ad un’azione legale intentata dal quotidiano New York Times e da un gruppo di parenti delle vittime, illustrano
le difficoltà in cui sono stati costretti ad operare i soccorritori, molti dei
quali hanno pagato con la vita il proprio coraggio.
Sempre nell’ambito della lotta al terrorismo
internazionale, la Commissione europea organizzerà all'inizio di novembre una
conferenza di esperti sui materiali esplosivi. L’obiettivo dell’incontro, che
si terrà probabilmente a Bruxelles, è quello di individuare la strada migliore
da seguire.
Rimangono difficili le operazioni di soccorso alle
popolazioni dell’Etiopia, colpite da oltre due settimane da piogge e
inondazioni. Ieri circa sei mila persone sono state tratte in salvo da elicotteri
e motoscafi dell’esercito etiopico. Fino ad ora il bilancio parla di 870 morti.
Dal Paese africano, il servizio di Giulio Albanese:
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Una tragedia che finora ha causato migliaia di morti, anche
se si tratta di una cifra destinata a salire. Lo straripamento dei corsi
d’acqua ha determinato uno scenario apocalittico. In numerose
zone rurali molta gente ha trovato riparo sui tetti delle case per
sfuggire alla furia delle acque. Ieri almeno 6.000 persone sono state tratte in
salvo nel sud del Paese dove lo straripamento del fiume Omo, avvenuto domenica
scorsa, ha provocato circa 400 morti. Per non parlare delle inondazioni nei
pressi del lago Tana, sorgente del Nilo blu, che hanno costretto alle fuga almeno 10.000 persone, ma il numero degli sfollati
secondo Medici senza frontiere potrebbe triplicare nelle prossime settimane.
Intanto le condizioni meteorologiche generali continuano a rimanere perturbate,
rendendo assai arduo il lavoro delle squadre di soccorso.
Per la Radio Vaticana Giulio Albanese, Addis Abeba.
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Gran Bretagna e Stati Uniti hanno presentato ieri una
risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l’invio di 17
mila caschi blu nella martoriata regione sudanese del Darfur.
Il governo del Sudan si è detto fermamente contrario alla proposta. La
risoluzione non necessita dell’autorizzazione del governo di Khartoum, però il dispiegamento delle forze ONU non sarebbe
praticabile senza il consenso dello Stato africano. In questo momento l'Unione
Africana rappresenta l’unico freno alla violenza in Darfur,
dove, in seguito ad anni di scorribande e pulizia etnica, più di due milioni di
persone non hanno più una casa e sono costrette a vivere nelle zone aride al
confine col Ciad. Dal 2003 si susseguono omicidi, stupri e vendette che non
risparmiano la popolazione civile. La risoluzione mira a favorire il
lavoro delle associazioni umanitarie presenti in Sudan, prevede la
collaborazione con l’Unione Africana e chiede l’invio del contingente non più
tardi del primo ottobre.
Il Presidente cubano, Fidel
Castro, si sta ristabilendo e la nazione è al sicuro da attacchi. Lo ha
affermato il ministro della Difesa cubana, Raul Castro, che, a 18 giorni dal
suo insediamento come presidente ad interim, parla per la prima volta in
un’intervista pubblicata dal quotidiano ufficiale ‘Granma’.
Il servizio è di Luis Badilla:
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Raul Castro ha annunciato che Cuba ha “mobilitato decine
di migliaia di riservisti” per fronteggiare un possibile attacco da parte degli
Stati Uniti. “Abbiamo sempre tenuto conto della minaccia del nemico, spiega
Raul Castro, che aggiunge che sarebbe da irresponsabili non farlo, considerato
che un governo come quello degli Stati Uniti arriva a dichiarare con un'audacia
incredibile di non accettare ciò che è contenuto nella costituzione cubana”. E
sono ancora più eloquenti le parole conclusive del presidente ad interim: “Non
è possibile ottenere nulla da Cuba con gli ultimatum e le minacce. Siamo sempre
stati disposti a cercare di normalizzare le relazioni su un piano di parità.
Quello che non accettiamo è una politica arrogante e interventista dell'attuale
amministrazione americana”. Intanto, ieri, un gruppo di opposizione cubano ha
proposto che Fidel Castro “ceda in modo definitivo il
potere” in modo da fare i passi necessari per la realizzazione di “future
elezioni”. In un comunicato reso noto all'Avana, l'organizzazione dissidente
“Arco Progresista” ha poi sottolineato che la
situazione esistente nell'isola costituisce “un doppio pericolo per la
sicurezza nazionale”: sia a causa delle “politiche erratiche” che vengono portate avanti dalle autorità, sia per le “pretese”
da parte di Washington di “programmare nuovi” scenari politici a Cuba.
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Non accenna a diminuire l’ondata migratoria di clandestini
verso le isole Canarie, dove solo tra ieri e oggi sono arrivati oltre 400 subsahariani irregolari. L’ultimo dei quattro barconi è approdato
oggi a Tenerife con 80 persone a bordo. Sono oltre 16 i clandestini giunti
quest’anno sulle isole. E’ “una situazione insostenibile”, come ha sottolineato
ieri il presidente, Anton Martin,
che ha ribadito come, per far fronte al fenomeno, servono nuovi mezzi da parte
del Governo e dell'Unione Europea, che oggi sono ancora ''scarsi''.
Gli sbarchi di clandestini proseguono senza sosta anche in
Italia. Sono infatti 216 gli immigrati soccorsi la
scorsa notte a circa 50 miglia a sud dell’isola di Lampedusa. Gli extracomunitari,
tra cui molte donne, erano ammassati in un barcone di circa 15 metri alla
deriva, avvistato da una motovedetta tunisina che ha lanciato l'SOS raccolto dall'unità della marina militare. Le
operazioni di soccorso sono però andate a rilento a causa delle cattive
condizioni del mare.
In Spagna, l’organizzazione separatista basca ETA
definisce “in una situazione di crisi evidente” il processo di pace avviato lo
scorso 24 marzo con il governo spagnolo. Attraverso un comunicato pubblicato
dal quotidiano basco “Gara”, l’ETA accusa inoltre il partito socialista (PSOE)
al governo in Spagna e il partito di maggioranza al governo basco di ostacolare
i negoziati.
In Bosnia, una fossa comune con più di mille corpi è stata
portata alla luce dagli esperti della scientifica nel villaggio di Karmenica, vicino Zvornik, nella parte orientale del Paese. Secondo un membro
della squadra che ha scoperto il luogo, si tratta di 1.153 scheletri - solo 144
dei quali integri - di vittime del massacro di Srebrenica,
compiuto nel luglio del 1995 dalle forze serbe contro i musulmani bosniaci. Si
tratta della più grande tra le otto fosse, scoperte dopo la strage.
Dopo alcuni giorni di flessione, le quotazioni del
petrolio sono salite oggi di oltre 60 centesimi a New York, portando il prezzo
del barile a 70,68 dollari. All’origine del rialzo l’imminente arrivo della
stagione degli uragani, che potrebbe provocare la chiusura di alcune
piattaforme petrolifere nel Golfo del Messico e negli USA. Altro motivo di
nervosismo è lo stallo delle trattative sul nucleare iraniano: si avvicina infatti il 31 agosto, la scadenza del termine imposto dalle
Nazioni Unite all’Iran per la cessazione dell'arricchimento dell'uranio.
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