RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 230  - Testo della trasmissione di venerdì 18  agosto 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Un anno fa, la GMG di Colonia, primo viaggio internazionale di Benedetto XVI. Sull’eredità di quell’appuntamento particolare con i giovani, la riflessione dell’arcivescovo Angelo Comastri   

 

Benedetto XVI riceve a Castel Gandolfo il cardinale Roger Etchegaray, suo inviato speciale in Libano, di ritorno dal Paese dei Cedri

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Rapito il 15 agosto in Iraq, dopo la Messa dell’Assunta, padre Saad Sirop Hanna, sacerdote della Chiesa cattolica caldea: con noi mons. Philippe Najem

 

Le forze israeliane continuano a ritirarsi dal sud del Libano, dove stamani i soldati libanesi hanno cominciato a pattugliare il confine con Israele. ‘Sì’ unanime del Consiglio dei ministri italiano alla missione dell’ONU in Libano: ce ne parla Raymond El Hachem

 

Si conclude a Toronto la 16.ma Conferenza internazionale sull’AIDS: ai nostri microfoni Giovanni Guidotti

 

Il Barocco in musica e nell’arte: è la particolarità del Festival internazionale della Val di Noto in Sicilia: intervista con Antonio Marcellino

 

CHIESA E SOCIETA’:

Presentata al Congresso di Toronto l’iniziativa “Pediatric Aids”

 

Inchiesta della missione ONU nella Repubblica democratica del Congo per fare luce sulle accuse di abusi sessuali perpetrate da alcuni Caschi Blu ai danni di minorenni nel Sud Kivu

 

Mezzo milione di sfollati nel Darfur: la martoriata regione del sud Sudan rischia la fame per l’estrema difficoltà degli operatori umanitari di raggiungere le aree dei profughi

 

Milioni di metri cubi di lava espulsi dal vulcano ecuadoriano Tungurahua: l’eruzione ha sepolto due località nel Sud del Paese

 

Aumentato il budget dell’Unione Europea a sostegno delle regioni baltiche

 

24 ORE NEL MONDO:

Difficoltà nelle operazioni di soccorso in Etiopia, colpita da oltre due settimane da piogge e inondazioni. Salvate seimila persone dall’esercito etiopico

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 agosto 2006

 

 

UN ANNO FA, LA GMG DI COLONIA, PRIMO VIAGGIO INTERNAZIONALE

DI BENEDETTO XVI. SULL’EREDITA’ DI QUEL PARTICOLARE APPUNTAMENTO

 CON I GIOVANI, LA RIFLESSIONE DELL’ARCIVESCOVO ANGELO COMASTRI,

VICARIO GENERALE DEL PAPA PER LA CITTA’ DEL VATICANO

 

“L’incontro di tanti giovani col Successore di Pietro è un segno della vitalità della Chiesa. Sono felice di stare in mezzo ai giovani, di sostenerne la fede e di animarne la speranza”: con queste parole, pronunciate il 18 agosto dell’anno scorso all’aeroporto di Bonn-Colonia, Benedetto XVI iniziava il suo primo viaggio internazionale. Occasione dell’evento: la XX Giornata Mondiale della Gioventù, convocata tre anni prima da Giovanni Paolo II a Colonia, la città che custodisce nel suo Duomo le reliquie dei Re Magi. “Considero un amorevole gesto di riconciliazione – affermò Benedetto XVI, sempre all’arrivo in Germania – che, senza che io l’abbia voluto, la mia prima visita al di fuori dell’Italia si svolga nella mia patria”. Per un ricordo di quel viaggio apostolico e una riflessione sull’eredità spirituale della prima GMG di Papa Benedetto, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano:

 

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R. – L’incontro di Colonia è nella continuità di un lungo cammino iniziato da Giovanni Paolo II nel 1984. Papa Benedetto si è trovato questa stupenda eredità e ci si è ‘buttato’ con grande entusiasmo. Un Papa anziano come lui, si vede che ha cercato in tutti i modi di trovare un linguaggio giovane, semplice, accessibile. E bisogna dire che i discorsi di questo grande teologo sono discorsi che vanno bene anche ai giovani; discorsi che danno contenuto, che affrontano i problemi con concretezza, cercando di mettere sempre in positivo il messaggio cristiano, cercando di far capire che è bello credere, che la vita si illumina di bellezza e – direi anche – di voglia di vivere, quando si incontra il Signore. Questo sforzo di tradurre in positivo il messaggio evangelico che poi lo è di per sé, si può dire che è la caratteristica di Papa Benedetto.

 

D. – Momento culminante della GMG di Colonia è stata l’Adorazione eucaristica. Si può dire, sintetizzando, che in quei giorni il Papa ha offerto ai giovani e non solo, ma in particolare ai giovani, una grande, profonda catechesi sul Mistero eucaristico che cambia il mondo?

 

R. – Certamente. Si vede che Papa Benedetto ha una grande sensibilità nei confronti del mistero, cioè del rapporto dell’uomo con Dio che noi esprimiamo in questa parola, “mistero”. Dio è trascendente e vicino nello stesso tempo. E quando noi ci mettiamo davanti a Dio, non possiamo banalizzare questa relazione. La famiglia cristiana è una fraternità, che si apre a Dio. Per questo il Papa ha voluto - proprio nel cuore della Giornata Mondiale della Gioventù - quell’ora di Adorazione che è stata impressionante! Io ricordo ancora a Colonia, questa folla di giovani in silenzio, in adorazione, mentre sul monte era esposto Gesù. Da lì si capiva che il Papa voleva dire ai giovani: “Guardate, che il cuore della Giornata non sono io, anche se sono il Papa. Il cuore della Giornata è Lui!”.

 

D. – Ecco, un anno dopo la GMG di Colonia, qual è l’eredità più fruttuosa di questo evento?

 

R. – Innanzitutto, questi grandi eventi hanno un senso se hanno una preparazione e se hanno una continuazione. I giovani che sono stati preparati ad un cammino sono stati accompagnati da guide che hanno il senso di quella giornata. I giovani che continuano questo cammino hanno un grande beneficio dalle Giornate Mondiali della Gioventù. Lo stesso beneficio che si ha dalla domenica: la giornata di festa ti ricarica, ti riempie, ti ritempra, e poi ritorni alla vita feriale ritemprato da quell’incontro. Così sono, in un arco più grande, le Giornate Mondiali della Gioventù: grandi momenti, momenti straordinari ma che devono avere una traduzione nel quotidiano.

 

D. – Eccellenza, a Colonia il Papa ha incontrato i giovani ma anche una delegazione di fedeli musulmani, e poi ci fu la storica visita nella Sinagoga. Ecco, lei che ha vissuto personalmente e intensamente quelle giornate, ha un ricordo particolare di un evento che non è stato solo per i giovani?

 

R. – Il discorso molto lucido che il Papa ha fatto ai fratelli musulmani, ricordo che ha colpito molto i giovani. Il Papa è stato molto aperto ma anche molto fermo: ha chiarito con estrema chiarezza che la violenza non è mai una strada di Dio. Ha chiarito con estrema chiarezza che nella storia abbiamo tutti qualcosa di cui chiedere perdono, ma se vogliamo veramente fare un cammino, un cammino nuovo, bisogna che impariamo tutti a rispettarci profondamente nelle rispettive identità. E altrettanto ha fatto con i fratelli ebrei, facendo sentire la carica di affetto che c’è da parte della Chiesa cattolica. Il Papa voleva dire ai fratelli ebrei che noi siamo, nella radice,semiti’, come non si stancava di ripetere Pio XI, e questa è una storia che non può essere né ignorata né tagliata. E l’incontro con i fratelli ebrei ha messo in luce questo magnificamente. Credo che poi sia stato particolarmente recepito da loro.

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BENEDETTO XVI RICEVE A CASTEL GANDOLFO IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY,

 SUO INVIATO SPECIALE IN LIBANO, DI RITORNO DAL PAESE DEI CEDRI

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Benedetto XVI riceve oggi in udienza, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e del Pontificio Consiglio Cor Unum.

 

Ricordiamo che il cardinale Etchegaray è di ritorno da una visita in Libano, dove si è recato come Inviato speciale del Papa per portare a quella martoriata popolazione “l’espressione della Sua spirituale vicinanza e della Sua concreta solidarietà e per pregare per la grande intenzione della pace”. Lo scorso 15 agosto, solennità dell’Assunzione di Maria in Cielo, il cardinale Etchegary ha celebrato, assieme al Patriarca di Antiochia dei Maroniti Nasrallah Sfeir, una Messa per la pace in Medio Oriente, nel Santuario mariano libanese ad Harissa.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - "La gioia del servire": Benedetto XVI ha concesso un'intervista televisiva in occasione del viaggio apostolico che compirà nella sua terra natale, in Germania, dal 9 al 14 settembre.

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata alla celebrazione della solennità dell'Assunta nelle Diocesi italiane.

 

Servizio estero - Medio Oriente: si definiscono compiti e consistenza della forza ONU in Libano. Ancora violenze nei Territori, ma si profila un rilancio del negoziato tra il Governo israeliano e l'Autorità palestinese.

 

Servizio culturale - Un articolo di Francesco Licinio Galati sul romanzo di Lernet-Holenia dal titolo "Un sogno in rosso".

 

Servizio italiano - In primo piano l'articolo dal titolo "Sì politico del Governo all'invio di militari italiani in Libano".

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

18 agosto 2006

 

 

RAPITO A BAGHDAD, IL 15 AGOSTO, UN SACERDOTE DEI CATTOLICI CALDEI.

ANCORA SCONOSCIUTI GLI AUTORI DEL SEQUESTRO, AI QUALI

IL PATRIARCATO SI APPELLA PER CHIEDERE LA LIBERAZIONE DEL RELIGIOSO

- Intervista con mons. Philippe Najem -

 

Un sacerdote rapito, un nuovo dolore per la Chiesa e la popolazione irachena. Lo scorso 15 agosto, subito dopo la celebrazione per la solennità dell’Assunta, padre Saad Sirop Hanna - sacerdote della chiesa cattolica caldea di Saint Jacob, nel quartiere meridionale di Dora a Baghdad – è stato fermato sull’auto in cui viaggiava e rapito da un gruppo di sconosciuti. La notizia, inizialmente segnalata da un sito Internet di cattolici arabi, è stata confermata da mons. Philippe Najem, procuratore del Patriarcato di Babilonia dei Caldei presso la Santa Sede. Alessandro De Carolis lo ha intervistato, chiedendo anzitutto le reazioni del Patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly:

 

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R. - E’ in uno stato d’animo veramente molto amareggiato, perché Saad Sirop è un sacerdote giovane che deve continuare i suoi studi. Addirittura, doveva venire a proseguire i suoi studi qui a Roma. E’ un sacerdote che ha dedicato la sua vita a servizio sia della nazione sia di tutti i fedeli cristiani che ci vivono. E’ dispiaciuto tantissimo a tutti noi.

 

D. - Le autorità irachene hanno qualche sospetto su chi siano stati gli autori del sequestro?

 

R. - Ad oggi, data la situazione, non possiamo individuare quale sia la parte che l’ha sequestrato. Ma Sua Beatitudine il Patriarca ha avuto un incontro molto importante con il primo ministro dell’Iraq e tutti stanno cercando di risolvere questa situazione al più presto possibile e di arrivare al rilascio del nostro sacerdote.

 

D. – Abbiamo letto che il Partito islamico iracheno, che rappresenta la parte sunnita nel Parlamento del Paese, ha subito condannato questo atto…

 

R. – Certamente. E questo dimostra quanto il popolo iracheno sia unito e come non stia cercando di creare alcuna divisione: siamo un unico popolo iracheno che cerca di vivere in pace, perciò non mi ha sorpreso questa affermazione del Partito islamico in Iraq.

 

D. – C’è uno stato di sofferenza notevole, del quale spesso poco si parla, della Chiesa cattolica in Iraq…

 

R. – Certamente. La Chiesa cattolica soffre tantissimo e quotidianamente, come tutto il resto del popolo iracheno che soffre anche per la mancanza delle cose indispensabili per vivere: manca l’acqua, manca l’elettricità, mancano gli ospedali, il servizio sanitario e soprattutto manca la sicurezza. Oggi come oggi, l’iracheno non è considerato quasi neanche più come un essere umano: tutti vivono davvero una situazione molto difficile.

 

D. – Volete fare un appello per la liberazione di padre Saad Sirop?

 

R. – Certamente. Io faccio un appello e dico ai rapitori: questo rapimento non serve a nessuno. Noi dobbiamo cercare di essere ancora uniti, di servire la nostra patria, di servire il nostro popolo. Noi più che mai abbiamo bisogno oggi di essere uniti e solidali uno con l’altro, e non dimenticate che tutti siamo iracheni. Il Paese è nostro e dobbiamo costruirlo noi, ma non costruirlo così, creando divisioni: dobbiamo essere tolleranti. Dio ha creato la vita e la vita deve essere rispettata. Se noi veramente crediamo in Dio allora dobbiamo rilasciare questo sacerdote al più presto possibile, perché è un sacerdote che ha donato la sua vita per servire il popolo di Dio, per servire la sua nazione.

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LE FORZE ISRAELIANE CONTINUANO A RITIRARSI DAL SUD DEL LIBANO,

DOVE STAMANI I SOLDATI LIBANESI HANNO COMINCIATO A PATTUGLIARE IL CONFINE CON ISRAELE. “SÌ” UNANIME DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ITALIANO ALLA MISSIONE

DELL’ONU IN LIBANO

- Intervista con Raymond El Hachem -

 

Procedono, in Libano, il contemporaneo ritiro dei militari israeliani ed il dispiegamento di soldati libanesi. L’esercito israeliano ha trasferito al contingente dell’ONU la responsabilità di diverse zone del sud del Libano. Soldati, inviati da Beirut, hanno poi cominciato a pattugliare il confine con Israele. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Due soldati a bordo di una jeep, con una grande bandiera libanese, hanno perlustrato il confine con Israele. Si è trattato di una prima, breve missione ma di un evento denso di significato per storia libanese. Per la prima volta, dopo decenni, dei militari libanesi hanno raggiunto, infatti, l’area di frontiera con lo Stato ebraico. E in Israele, un portavoce militare ha riferito, poi, che l’esercito israeliano ha trasferito ai caschi blu della forza di interposizione delle Nazioni Unite, l’UNIFIL, la responsabilità nel sud del Libano di due terzi del territorio. Il piano, concordato nei giorni scorsi tra ufficiali israeliani, libanesi e della missione ONU prevede poi che l’UNIFIL provveda, a sua volta, a trasferire la responsabilità del sud del Libano alle truppe regolari libanesi.

 

Ieri, intanto, si è tenuto il primo vertice a porte chiuse al Palazzo di Vetro con delegazioni di 49 Paesi “teoricamente pronti” a fornire uomini all’UNIFIL. Durante l’incontro, è stato sottolineato che la forza internazionale destinata ad affiancare 15 mila soldati libanesi nel sud del Libano dovrà essere “robusta, ben armata” ma “non offensiva”. E’ stato ribadito che, entro 10 giorni, saranno inviati 3500 caschi blu. La Francia, da dove sono già partiti 200 uomini, si è detta inoltre pronta ad assumere il comando del contingente. Ma dal vertice, che avrebbe dovuto precisare i termini dell’impegno delle truppe internazionali, non sono emerse decisioni rilevanti sulla missione. Sulle regole di ingaggio, il vice segretario generale dell’ONU ha parlato solo di “uso della forza per aiutare il governo libanese a rendere sicure le proprie frontiere”. La seduta, quindi, è stata aggiornata all’inizio della prossima settimana.

 

La risoluzione dell’ONU è stata presa in esame, infine, dai vescovi maroniti che si sono riuniti ieri a Beirut. I presuli hanno espresso il timore che il testo delle Nazioni Unite venga interpretato in modo ambiguo. I drammi vissuti dai libanesi – si legge in un comunicato – dimostrano che non è più ammissibile, in Libano, una “doppia autorità politica”. I vescovi maroniti invitano, poi, tutta la popolazione ad unire le forze sotto la sola autorità “del governo che gode della fiducia della Camera eletta democraticamente”.

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E in Italia, il Consiglio dei ministri ha dato questa mattina all’unanimità il via libera alla missione italiana in Libano. L’invio del contingente darà seguito alla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Successivamente, il ministro degli Esteri D’Alema, e quello della Difesa, Parisi, hanno riferito alle rispettive Commissioni di Camera e Senato riunite congiuntamente. Cautela dell’opposizione, mentre nel pomeriggio il voto sulla mozione politica del governo. Servizio di Giampiero Guadagni.

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Quella in Libano sarà una missione di pace. Romano Prodi spiega così la decisione presa questa mattina dal Consiglio dei ministri. E precisa: il nostro punto di riferimento è la risoluzione ONU e dentro questo ambito ci muoveremo, con regole chiare e definite. In questo senso, dunque, sono prive di senso le polemiche sul disarmo delle milizie di Hezbollah, che secondo il centrodestra dovrebbe essere uno dei compiti dei militari italiani. Prodi, comunque, ringrazia l’opposizione per il contributo di questi giorni. Prodi sottolinea che la guerra doveva essere evitata, ma che è iniziata per l’attacco di Hezbollah in Israele del 12 luglio.

 

La missione italiana sarà lunga, rischiosa, costosa, ma non per questo meno doverosa. E’ quanto ha detto da parte sua il ministro della Difesa Parisi, per il quale servono regole di ingaggio chiare. Sulla stessa linea D’Alema. Il ministro degli Esteri è tornato sulle polemiche degli ultimi giorni che lo hanno riguardato: da parte mia, puntualizza, nessuna ostilità nei confronti di Israele, ma solo la convinzione che la guerra ha rafforzato le posizioni estremiste.

 

Proprio l’intervento di D’Alema in Commissione esteri è stato al centro delle critiche dell’opposizione. Forza Italia parla di cinico opportunismo diretto ad ottenere il consenso della sinistra radicale. E se la Lega dice il suo chiaro e deciso “no”, i leader di AN e UDC, Fini e Casini, denunciano l’ambiguità della mozione che sarà votata nel pomeriggio dalle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato.

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Mentre si lavora per la stabilizzazione del sud del Libano, rimane alta l’emergenza umanitaria per gli sfollati libanesi. Secondo fonti locali, sarebbero quasi un milione. Circa 200 mila sono fuggiti dal Paese, altri hanno trovato rifugio presso famiglie, altri ancora cercano di tornare alle proprie abitazioni sperando di trovarle intatte. Sono molti gli organismi internazioni che si sono attivati per aiutare la popolazione e, tra di essi, c’è anche la Caritas. Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente in Libano Raymond El Hachem, oggi volontario Caritas ed ex segretario generale di Caritas Libano.

 

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R. – La guerra è stata una sorpresa per la Caritas Libano. La Caritas, come sanno tutti, si è occupata dei progetti di sviluppo e non di assistenza. Subito dopo questa guerra, i responsabili della Caritas Libano, con tanti volontari, si sono trovati come un esercito di pace e di emergenza umanitaria, per rispondere a tanti bisogni materiali ed anche morali. Gli attacchi aerei, gli scontri armati, hanno distrutto tanti villaggi qui, specialmente nel sud, ma anche nel centro, nel nord e nella città di Beirut. Gli attacchi aerei hanno distrutto migliaia e migliaia di case. I bisogni sono tanti: mancano prodotti alimentari, medicinali…

 

D. – Caritas Libano interverrà anche nella ricostruzione delle case?

 

R. – Ci sono altri organismi che si sono proposti per questo incarico. La Caritas sta facendo le statistiche finali e sta studiando adesso i campi nei quali dovrà intervenire. Forse la sua missione sarà quella di aiutare gli sfollati a livello di servizi sanitari, tramite gli ambulatori fissi, i centri medico-sociali e le dieci cliniche mobili che si spostavano prima della guerra in quasi settecento piccoli paesi. La Caritas dovrà anche aiutare per quanto riguarda gli arredamenti delle case, fornendo cucine, letti. Darà qualcosa per aiutare i padri di famiglia a riprendere il lavoro e assicurare il necessario alla famiglia.

 

D. – Di cosa hanno bisogno principalmente queste persone?

 

R. – Queste persone hanno bisogno di tutto: hanno dovuto lasciare le case, senza avere tempo di portare con loro le cose principali. Adesso i grandi bisogni saranno certamente i soldi, gli arredamenti delle case, specialmente la cucina, i letti ed i medicinali.  Accanto a questo, c’è soprattutto l’assistenza morale e psicologica, soprattutto per i bambini. Vediamo i bambini che sono molto traumatizzati. Basta vedere la televisione, basta vedere quello che succede, sentire e ascoltare gli aerei che passano nel cielo del Libano, tutto il Libano. Questo fatto ha davvero terrorizzato e traumatizzato tutti i bambini. Quindi, i bisogni sono materiali, morali ed anche psicologici.

 

D. – Per molte persone sarà impossibile tornare a casa. Come si potrà provvedere a questa necessità?

 

R. – Devo dire che tutte le case del Libano sono state aperte per ricevere gli sfollati, senza nessuna discriminazione. I cristiani non hanno mai pensato di ricevere soltanto i cristiani. Ci sono tante famiglie cristiane che hanno ricevuto tanti bambini musulmani e viceversa. Quasi tutte le scuole ufficiali e private del Libano sono state aperte agli sfollati. Adesso, le persone che non potranno tornare a casa saranno certamente aiutate ad affittare case, in attesa del restauro delle proprie.

 

D. – Si può fare un bilancio dei danni?

 

R. – Alcuni hanno parlato di 15 mila case distrutte, in totale, e così un buon numero di ponti e strade. Anche molte fabbriche sono state distrutte. I morti sono più di 1200 finora, perché continuiamo a trovare, anche oggi, molti morti sotto le distruzioni. Stiamo facendo le statistiche finali.

 

D. – Per quanto riguarda gli aiuti internazionali, la Caritas ne sta ricevendo?

    

R. – Devo dire che Caritas ha ricevuto sostegno da singole persone. Ha ricevuto molti aiuti anche dalla Chiesa cattolica. Per quanto riguarda le altre organizzazioni, riceviamo aiuti dai progetti bilaterali tra Caritas ed altri organismi. Da quelli multilaterali, posso dire che, finora, non abbiamo ricevuto quasi niente. Quello che vorrei aggiungere è che abbiamo bisogno davvero di tutto. Quasi tutto il Libano è stato attaccato e gran parte del Libano è stata distrutta.

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SI CONCLUDE A TORONTO LA 16.MA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AIDS

- Intervista con il prof. Giovanni Guidotti -

 

Si conclude oggi a Toronto, in Canada, la 16.ma Conferenza internazionale sull’AIDS, contrassegnata quest’anno dallo slogan “Passiamo all’azione”. Al congresso hanno partecipato ben 24mila delegati della comunità scientifica, dei servizi sanitari e dei governi di tutto il mondo. In primo piano, i progressi compiuti fin qui nel campo clinico, epidemiologico e sociale. Ma cosa è emerso ai lavori sulla lotta all’AIDS? Giada Aquilino lo ha chiesto al dottor Giovanni Guidotti, di DREAM, il programma di lotta all’AIDS in Africa della Comunità di Sant’Egidio, organizzazione presente alla conferenza di Toronto:

 

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R. - La lotta all’AIDS è al punto di finalizzare l’utilizzo di grandi risorse finanziarie che i Paesi occidentali hanno messo a disposizione per la cura, cioè il grande interrogativo del vaccino terapeutico che potrebbe salvare milioni di vite. C’è il problema, nel frattempo, di elaborare delle strategie terapeutiche per poter salvare più vite possibili nei Paesi a risorse limitate e di far sopravvivere tanti nell’attesa della scoperta del vaccino. La situazione nei Paesi africani è che su 40 milioni di malati nel mondo, 30 risiedono in Africa e questo rappresenta chiaramente un’emergenza. Le previsioni epidemiologiche per gli anni che vengono sono disastrose. L’Africa tenderà a scomparire dal punto di vista demografico, dobbiamo quindi elaborare con rapidità scelte che salvino più gente possibile.

 

D. - Dal 1985, quando ci fu la prima conferenza internazionale sul virus, ad oggi come sono cambiate la cura della malattia e la ricerca?

 

R. - Negli anni ’95, ’96 è stata rielaborata questa strategia terapeutica, fondata sull’uso di tre farmaci antiretrovirali, alcuni di questi sono i cosiddetti inibitori delle proteasi, che hanno radicalmente cambiato la progressione clinica della malattia. Ancora oggi, purtroppo, questa terapia non è largamente diffusa in Africa e questo potrebbe rendere cronica una malattia che oggi è una malattia acuta in Africa. E poi c’è questo grande interrogativo che è il vaccino. Purtroppo previsioni ottimistiche stimano in dieci anni il tempo medio di attesa per l’ottenimento di un vaccino efficace che curi chi è già malato di AIDS oppure prevenga la malattia per chi è a rischio.

 

D. – Stiamo parlando ancora di un problema di accesso ai farmaci?

 

R. – Assolutamente sì. In Africa, purtroppo un grandissimo numero di malati di AIDS necessiterebbe di un accesso immediato alla cura. Le più ottimistiche stime parlano di circa 700.000 persone che attualmente riescono ad accedere ai farmaci in Africa contro un fabbisogno di almeno 4 milioni di malati. Ci richiama un dovere, come dire, morale ed etico a fare di più, a fare più velocemente mantenendo alti gli standard di qualità e provando ad arginare questa epidemia che veramente sta decimando questo continente.

 

D. – Uno dei temi in esame a Toronto è stata la partecipazione delle persone sieropositive ai processi decisionali sociali e politici che riguardano al cura e la prevenzione dell’AIDS. Quanto è importante quest’aspetto?

 

R. - Io direi che è decisivo. L’esperienza della Comunità di Sant’Egidio attraverso il programma DREAM ha in realtà svelato come ci sia una potenza, una forza nelle persone malate di AIDS che scoprono, attraverso la possibilità di essere curate, la responsabilità di poter aiutare e curare tanti altri malati, testimoniando con la loro stessa vita che è possibile vivere, è possibile prevenire la malattia è possibile sostenere tanti. Si riscopre, dall’essere malati una responsabilità verso i tanti che ancora non riescono a raggiungere i centri di cura e da questo c’è una grande forza di testimonianza che può essere decisiva per orientare le politiche dei Paesi, per aiutare tanti a fare scelte coraggiose, scelte e importanti.

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IL BAROCCO IN MUSICA E NELL’ARTE: E’ LA PARTICOLARITA’

DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA VAL DI NOTO IN SICILIA

- Intervista con Antonio Marcellino -

 

Il Barocco in musica e nell’arte: un accostamento indovinato al centro del Festival internazionale della Val di Noto, intitolato “Magie Barocche”. Giunta alla seconda edizione, la rassegna propone, fino al 16 settembre, concerti e spettacoli teatrali di artisti del600 e ‘700 italiano. A fare da sfondo, 8 tra le più belle cittadine siciliane. Il servizio di Isabella Piro:

 

 

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Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa Ibla. E ancora: Scicli, Catania, Caltagirone, Militello. In una parola: Val di Noto. Questo suggestivo scenario della provincia siciliana nel 2002 è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, poiché rappresenta l’apice e la fioritura dell’arte barocca in Europa.

 

Lungo questo percorso risuonano le musiche di Vivaldi, Corelli, Monteverdi, o i versi immortali di Tasso ed Ariosto. Tutti artisti che hanno reso l’epoca barocca intramontabile e magica. Antonio Marcellino, direttore artistico del Festival, spiega il perché di questa magia:

 

“La magia del Barocco, secondo me, risiede innanzitutto nello stupore di trovarsi di fronte queste piccole città, assolutamente incantevoli e inaspettatamente belle. Questa è già una magia. L’altra, invece, è trovare all’interno delle chiese il canto secondo una prassi esecutiva del tempo: gli strumenti sono fatti di corda di budello con questi suoni così ovattati, così antichi con delle novità sonore inaspettate. Tutto ciò crea un’atmosfera forse magica”.

 

Sono 40 gli spettacoli messi in scena in chiese, chiostri, piazze e teatri. Nessuno di loro viene replicato, diventando così evento unico. Una scelta insolita, ma molto riuscita:

 

“Il progetto è un progetto del turismo culturale nel senso che, calibrando uno spettacolo di grande qualità in un comune molto distante dai luoghi  più conosciuti come Ragusa, come Catania, c’è questa migrazione di viaggiatori, di turisti e anche di residenti della Val di Noto verso la sede dell’evento musicale”.

 

Largo spazio, naturalmente, è dedicato alla musica sacra, come il “Messia” di Haendel e lo “Stabat Mater” di Pergolesi. Ma fra tutti gli spettacoli, ce ne è uno da non perdere:

 

“Quello di Valentina Cortese, che si svolgerà il 27, che è una novità del nostro festival. Nel senso che Valentina Cortese per la prima volta nella sua vita leggerà brani del Tasso, dell’Ariosto all’interno di musiche di Monteverdi …”.

 

Oltre a portare alla ribalta antichi strumenti musicali, appositamente restaurati, e partiture inedite, conservate in archivi nascosti, la manifestazione ha soprattutto un altro scopo:

 

“Far capire al grande pubblico che non si tratta solo di musica “d’élite”; si tratta semplicemente di musica non conosciuta nella sua peculiarità più nascosta ma che ha delle connotazioni assolutamente straordinarie. Diciamo che è il primo passo verso la grande musica italiana”.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

18 agosto 2006

 

 

PRESENTATA AL CONGRESSO DI TORONTO L’INIZIATIVA “PEDIATRIC AIDS”

OBIETTIVO: L’INVIO DI 250 MEDICI NELL’AFRICA SUBSAHARIANA

PER CURARE 80 MILA BAMBINI AFFETTI DAL VIRUS DELL’HIV NEI PROSSIMI 5 ANNI

 

TORONTO. = Nell'Africa sub-sahariana un solo pediatra può salvare la vita di 1.300 bambini ogni anno. L’affermazione viene dal Congresso mondiale sull'AIDS in corso nella metropoli canadese di Toronto: l’autore è Mark Kline, presidente dell'iniziativa internazionale “Pediatric Aids” promossa dal Baylor College of Medicine di Houston. Kline ha presentato a Toronto il programma di sostegno alle donne e ai bambini che partirà nei prossimi giorni, nell'ambito dell'iniziativa “Secure the Future”, promossa sette anni fa dall'azienda farmaceutica Bristol-Myers Squibb. Lunedì prossimo, i primi 50 pediatri specializzati nella cura dell'AIDS partiranno per raggiungere alcuni dei centri allestiti nell'Africa subsahariana come parte del programma “Pediatric Aids”. “A lungo i bambini sono stati il volto dimenticato dell'epidemia”, ha detto il presidente del Congresso, Mark Wainberg, presentando l'iniziativa in una conferenza stampa a Toronto. “Per curare i bambini servono esperti - ha aggiunto - ed è ugualmente importante dare alle donne le capacità e gli strumenti per proteggere dal virus se stesse e i loro figli”. Dall'arrivo in Africa di 250 medici, nei prossimi cinque anni, si attende una diffusione significativa delle terapie per i più piccoli nei sette Paesi che ospitano i centri clinici creati da “Secure the future”, ovvero Botswana, Burkina Faso, Lesoto, Malawi, Swaziland, Tanzania e Uganda. Secondo le stime più recenti del programma delle Nazioni Unite per la lotta contro l'AIDS (UNAIDS), 2 milioni e 300 mila bambini al di sotto dei 15 anni vivono con l'infezione da HIV e il 90% risiede nell'Africa subsahariana, ma solo uno su dieci riesce ad avere una minima assistenza. L'iniziativa è finanziata congiuntamente dalla Bristol-Myers Squibb e dal Baylor College per un totale di 33,5 milioni di dollari. L'obiettivo è di riuscire a curare circa 80 mila bambini sieropositivi nei prossimi cinque anni. (A.D.C)

 

 

INCHIESTA DELLA MISSIONE ONU NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

PER FARE LUCE SULLE ACCUSE DI ABUSI SESSUALI PERPETRATE

DA ALCUNI CASCHI BLU AI DANNI DI MINORENNI NEL SUD KIVU

 

KINSHASA. = La missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUC) ha aperto “un'inchiesta in seguito alle accuse di sfruttamento sessuale” ai danni di giovani donne congolesi da parte dei caschi blu nell'est del Paese. Lo rivela oggi un comunicato della stessa missione ONU. “La MONUC – si legge nel testo del documento - ha ricevuto accuse di un rilevante giro di prostituzione che coinvolgeva dei minori, nel Sud-Kivu”, provincia situata nell'est della Repubblica congolese (RDC). Alcune giovani donne hanno dichiarato che “tra la loro clientela, composta maggiormente da militari e civili congolesi, figurano anche elementi del contingente della MONUC dispiegato nella regione”. Sylvie van den Wildenberg, portavoce della MONUC a Bukavu, nella regione del Sud-Kivu, ha precisato che “la maggioranza dei caschi blu nella regione sono costituiti da un contingente pachistano, la cui etica raramente è stata messa in discussione nei precedenti dossier su casi di sfruttamento sessuale; da truppe indiane, che non sono mai state interessate da accuse di questo tipo, e da militari sudafricani e uruguayani”. Negli scorsi anni, la Missione ONU nella RDC aveva già subito analoghe accuse. Secondo Jean Tobie Okala, portavoce aggiunto della MONUC a Kinshasa, a partire dal dicembre 2004 sono stati riportati “almeno 140 casi di accuse per abusi sessuali riguardanti il personale della MONUC”. In seguito alla scoperta di abusi sessuali ai danni di una bambina di 13 anni, nel febbraio dello scorso anno l'ONU aveva deciso di proibire ai caschi blu nella Repubblica Democratica del Congo di avere relazioni sessuali con le congolesi. La MONUC, creata nel 1999, conta 17.600 soldati e rappresenta la più importante missione di pace delle Nazioni Unite attualmente esistente. (A.D.C.)

 

 

MEZZO MILIONE DI SFOLLATI NEL DARFUR, LA MARTORIATA REGIONE DEL SUD SUDAN,

RISCHIA LA FAME PER L’ESTREMA DIFFICOLTA’ DEGLI OPERATORI UMANITARI

DI RAGGIUNGERE LE AREE DEI PROFUGHI. URGONO ANCHE NUOVI FINANZIAMENTI

 

KHARTOUM. = Il Sudan è nel mezzo della cosiddetta “stagione della fame”, quando prima del raccolto cresce la malnutrizione, e quasi mezzo milione di sfollati nel Darfur - la remota regione occidentale dello Stato africano teatro dal febbraio 2003 di un grave conflitto interno - è tagliato fuori dalla distribuzione di aiuti alimentari d’emergenza, a causa della crescente insicurezza. Il dramma è confermato da fonti ONU, secondo le quali quasi il 30% dell’intera popolazione di sfollati interni (stimati in circa 1.800.000) è conseguenza del conflitto sudanese. Preoccupazione sulla situazione del Darfur arriva dal Programma alimentare mondiale (PAM) ed è condivisa dal Coordinamento umanitario dell’ONU( (OCHA). Quest’ultimo ha ribadito in una nota che, attualmente, gli operatori umanitari “stanno registrando il più basso livello di accesso alla regione dall’inizio del conflitto”. Sono settimane ormai che agenzie dell’ONU e organizzazioni non governative nazionali e internazionali lanciano l’allarme e appelli sul grave livello di insicurezza che si registra nella regione sudanese, nella quale alle notizie di nuovi attacchi, di scontri tra diverse correnti dei movimenti ribelli o di combattimenti tra forze anti-governative ed esercito regolare, si sono andate sommando rapine, aggressioni e saccheggi ai danni degli operatori umanitari ONU e non. Uno stato di cose che ha portato già molti organismi delle Nazioni Unite e grandi ONG a sospendere i propri programmi o a ritirare dalle aree a rischio il proprio personale, privando la popolazione locale dell’unico sostegno organizzato disponibile. Inoltre, un ulteriore peggioramento del quadro si registra sul fronte delle donazioni. L’ONU ha denunciato che mancano all’appello 350 milioni di dollari per acquistare cibo per gli sfollati. Se questi fondi non verranno messi a disposizione nei prossimi mesi, le razioni di cibo di sei milioni di persone verranno ulteriormente ridotte. (A.D.C.)

 

 

 

MILIONI DI METRI CUBI DI LAVA ESPULSI DAL VULCANO ECUADORIANO TUNGURAHUA:

L’ERUZIONE HA SEPOLTO DUE LOCALITA’ NEL SUD DEL PAESE. IL PRESIDENTE

PALACIO HA DECRETATO LO STATO DI EMERGENZA:

MIGLIAIA DI FAMIGLIE COSTRETTE AD EVACUARE

 

PENIPE (ECUADOR). = È massima allerta in quattro province del sud dell’Ecuador dove il vulcano Tungurahua ha espulso colate di lava, cenere e rocce incandescenti che si sono abbattute su cinque villaggi provocando cinque morti e costringendo 3.200 persone ad evacuare. “Una sessantina di dispersi sono stati rinvenuti sotto le macerie delle case e tratti in salvo”, ha riferito Juan Salazar, sindaco di Penipe, località a 135 chilometri a sud della capitale Quito e centro abitato più colpito dopo Bilbao e Juive, totalmente sepolti dalla lava. Il presidente Alfredo Palacio ha decretato ieri sera lo stato d’emergenza nelle province di Tungurahua, Chimborazo, Cotopaxy e Bolívar, mentre sono rimasti chiusi gli aeroporti di Latacunga, Riobamba e Guayaquil. Secondo l’Istituto geofisico ecuadoriano, la violenta eruzione del vulcano, alto 5.029 metri, ha portato lapilli e cenere anche oltre la costa del Pacifico raggiungendo la città di Banos, popolata da circa 20.000 persone, e il territorio del vicino Perù. “Abbiamo contato numerose esplosioni di forte intensità a cominciare dalla mattina di giovedì per le 18 ore successive. Ora la fase più energica dell’eruzione sembra superata”, ha riferito un portavoce dell’Istituto, pur precisando che l’allarme resta alto. Quella di ieri è stata l’eruzione più violenta del Tungurahua negli ultimi sette anni con l’espulsione di milioni di metri cubi di lava e di una colonna di gas che ha raggiunto gli otto metri d’altezza; si stima che siano andati distrutti oltre 20.000 ettari di coltivazioni.

 

 

AUMENTATO IL BUDGET DELL’UNIONE EUROPEA A SOSTEGNO

DELLE REGIONI BALTICHE. IL DATO E’ EMERSO DALLA CONFERENZA

“PROSPERITA’ E SOSTENIBILITA’”, SVOLTASI IN SVEZIA

 

BRUXELLES. = L'Europa continuerà a sostenere le regioni del Mar Baltico attraverso politiche mirate e l’ausilio di fondi strutturali. Lo ha dichiarato ieri Danuta Hubner, commissaria europea alle Politiche regionali, intervenendo in Svezia alla Conferenza “Prosperità e Sostenibilità”. “La politica regionale europea e i fondi strutturali continueranno a sostenere lo sviluppo delle Regioni del Mar Baltico”, ha affermato in un comunicato la Hubner, che ha sottolineato come il programma di cooperazione transnazionale nell’area baltica sia attualmente uno di quelli di “successo maggiore”. La Hubner ha anche ricordato che il budget dei fondi strutturali per la cooperazione territoriale europea per il periodo 2007-2013 è aumentato del 50% rispetto al periodo precedente. Oltre agli Stati membri dell'Unione Europea che confinano con le Regioni del mar Baltico, anche la Russia, la Norvegia e la Bielorussia partecipano ai programmi transnazionali dell'area baltica. La Conferenza organizzata dal governo svedese ha riunito 250 rappresentanti delle amministrazioni nazionali e regionali, istituzioni internazionali e operatori economici per discutere dell’economia sostenibile e dello sviluppo sociale e ambientale delle regioni baltiche. (A.D.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

18 agosto 2006

 

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

 

 Sempre alta la tensione sul fronte palestinese, dove prosegue l’offensiva israeliana. Due attivisti del movimento radicale della Jihad islamica sono stati uccisi questa mattina nel sud della Cisgiordania. Almeno tre palestinesi, invece, sono rimasti feriti nella notte a Gaza, durante un raid aereo israeliano. In questo quadro il rappresentante dell’Autorità Palestinese a Mosca, Baker Abdel Munem, ieri ha affermato che il soldato israeliano catturato a giugno da gruppi armati palestinesi potrebbe essere liberato “nei prossimi giorni” in cambio di 600 prigionieri palestinesi, detenuti in Israele. Sul piano politico, invece, il presidente palestinese, Abu Mazen, sempre ieri ha fatto sapere che i diversi gruppi armati avrebbero raggiunto un accordo per sospendere il lancio dei razzi Qassam contro il territorio israeliano. Infine, le condizioni poste dal primo ministro palestinese Haniyeh rischiano di compromettere la formazione di un governo di unità nazionale tra Hamas e al Fatah.

                                                      

L’accusa di molestie sessuali nei confronti di una giovane dipendente statale ha provocato le dimissioni del ministro israeliano della Giustizia, Haim Ramon, che domenica prossima lascerà ufficialmente la sua carica.

 

In Afghanistan una bomba sganciata da un aereo americano ha ucciso 12 agenti della polizia di frontiera. L’incidente, avvenuto ieri nella provincia di Paktika, ha causato anche diversi feriti. Oggi intanto un militare della coalizione internazionale a guida statunitense è rimasto ucciso e un altro ferito in scontri con “estremisti” nella provincia orientale di Kunar. La coalizione, presente in Afghanistan dal 2001, ha riferito di avere bombardato postazioni ribelli, precisando però di non avere informazioni circa i danni provocati.

 

Fonti dell’intelligence pakistana riferiscono che uno dei massimi dirigenti di al-Qaeda, coinvolto nell'organizzazione del complotto terroristico scoperto in Gran Bretagna, si trova in Afghanistan. L’uomo, che sarebbe il numero tre dell’organizzazione terroristica guidata da Bin Laden, opera nella provincia di Kunar al confine con il Pakistan. Inoltre secondo le fonti, Rashid Rauf, il cittadino britannico arrestato all’inizio di agosto in Pakistan, e considerato la mente del piano, è stato in contatto con il responsabile di al-Qaeda. Le indagini indicano infine che, Al Zawahiri, il numero due di Al Qaeda, avrebbe approvato personalmente il piano terroristico.

 

Un tribunale di Detroit ha bloccato il programma di intercettazioni, autorizzato dal presidente, Geoge Bush, dopo gli attacchi dell’11 settembre. Nella sentenza si legge che il programma dell’Agenzia per la sicurezza interna “viola il diritto di libertà di espressione e alla privacy”, come denunciato da un’associazione che tutela i diritti civili negli Stati Uniti. Intanto ieri sono state diffuse altre terribili telefonate effettuate ai soccorritori a New York proprio il giorno degli attentati dell’11 settembre. Le conversazioni, rese note in seguito ad un’azione legale intentata dal quotidiano New York Times e da un gruppo di parenti delle vittime, illustrano le difficoltà in cui sono stati costretti ad operare i soccorritori, molti dei quali hanno pagato con la vita il proprio coraggio.

 

Sempre nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale, la Commissione europea organizzerà all'inizio di novembre una conferenza di esperti sui materiali esplosivi. L’obiettivo dell’incontro, che si terrà probabilmente a Bruxelles, è quello di individuare la strada migliore da seguire.

 

Rimangono difficili le operazioni di soccorso alle popolazioni dell’Etiopia, colpite da oltre due settimane da piogge e inondazioni. Ieri circa sei mila persone sono state tratte in salvo da elicotteri e motoscafi dell’esercito etiopico. Fino ad ora il bilancio parla di 870 morti. Dal Paese africano, il servizio di Giulio Albanese:

 

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Una tragedia che finora ha causato migliaia di morti, anche se si tratta di una cifra destinata a salire. Lo straripamento dei corsi d’acqua ha determinato uno scenario apocalittico. In numerose zone rurali molta gente ha trovato riparo sui tetti delle case per sfuggire alla furia delle acque. Ieri almeno 6.000 persone sono state tratte in salvo nel sud del Paese dove lo straripamento del fiume Omo, avvenuto domenica scorsa, ha provocato circa 400 morti. Per non parlare delle inondazioni nei pressi del lago Tana, sorgente del Nilo blu, che hanno costretto alle fuga almeno 10.000 persone, ma il numero degli sfollati secondo Medici senza frontiere potrebbe triplicare nelle prossime settimane. Intanto le condizioni meteorologiche generali continuano a rimanere perturbate, rendendo assai arduo il lavoro delle squadre di soccorso.

 

Per la Radio Vaticana Giulio Albanese, Addis Abeba.

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Gran Bretagna e Stati Uniti hanno presentato ieri una risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l’invio di 17 mila caschi blu nella martoriata regione sudanese del Darfur. Il governo del Sudan si è detto fermamente contrario alla proposta. La risoluzione non necessita dell’autorizzazione del governo di Khartoum, però il dispiegamento delle forze ONU non sarebbe praticabile senza il consenso dello Stato africano. In questo momento l'Unione Africana rappresenta l’unico freno alla violenza in Darfur, dove, in seguito ad anni di scorribande e pulizia etnica, più di due milioni di persone non hanno più una casa e sono costrette a vivere nelle zone aride al confine col Ciad. Dal 2003 si susseguono omicidi, stupri e vendette che non risparmiano la popolazione civile. La risoluzione mira a favorire il lavoro delle associazioni umanitarie presenti in Sudan, prevede la collaborazione con l’Unione Africana e chiede l’invio del contingente non più tardi del primo ottobre.

 

Il Presidente cubano, Fidel Castro, si sta ristabilendo e la nazione è al sicuro da attacchi. Lo ha affermato il ministro della Difesa cubana, Raul Castro, che, a 18 giorni dal suo insediamento come presidente ad interim, parla per la prima volta in un’intervista pubblicata dal quotidiano ufficiale ‘Granma’. Il servizio è di Luis Badilla:

 

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Raul Castro ha annunciato che Cuba ha “mobilitato decine di migliaia di riservisti” per fronteggiare un possibile attacco da parte degli Stati Uniti. “Abbiamo sempre tenuto conto della minaccia del nemico, spiega Raul Castro, che aggiunge che sarebbe da irresponsabili non farlo, considerato che un governo come quello degli Stati Uniti arriva a dichiarare con un'audacia incredibile di non accettare ciò che è contenuto nella costituzione cubana”. E sono ancora più eloquenti le parole conclusive del presidente ad interim: “Non è possibile ottenere nulla da Cuba con gli ultimatum e le minacce. Siamo sempre stati disposti a cercare di normalizzare le relazioni su un piano di parità. Quello che non accettiamo è una politica arrogante e interventista dell'attuale amministrazione americana”. Intanto, ieri, un gruppo di opposizione cubano ha proposto che Fidel Castro “ceda in modo definitivo il potere” in modo da fare i passi necessari per la realizzazione di “future elezioni”. In un comunicato reso noto all'Avana, l'organizzazione dissidente “Arco Progresista” ha poi sottolineato che la situazione esistente nell'isola costituisce “un doppio pericolo per la sicurezza nazionale”: sia a causa delle “politiche erratiche” che vengono portate avanti dalle autorità, sia per le “pretese” da parte di Washington di “programmare nuovi” scenari politici a Cuba.

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Non accenna a diminuire l’ondata migratoria di clandestini verso le isole Canarie, dove solo tra ieri e oggi sono arrivati oltre 400 subsahariani irregolari. L’ultimo dei quattro barconi è approdato oggi a Tenerife con 80 persone a bordo. Sono oltre 16 i clandestini giunti quest’anno sulle isole. E’ “una situazione insostenibile”, come ha sottolineato ieri il presidente, Anton Martin, che ha ribadito come, per far fronte al fenomeno, servono nuovi mezzi da parte del Governo e dell'Unione Europea, che oggi sono ancora ''scarsi''.

 

Gli sbarchi di clandestini proseguono senza sosta anche in Italia. Sono infatti 216 gli immigrati soccorsi la scorsa notte a circa 50 miglia a sud dell’isola di Lampedusa. Gli extracomunitari, tra cui molte donne, erano ammassati in un barcone di circa 15 metri alla deriva, avvistato da una motovedetta tunisina che ha lanciato l'SOS raccolto dall'unità della marina militare. Le operazioni di soccorso sono però andate a rilento a causa delle cattive condizioni del mare.

 

In Spagna, l’organizzazione separatista basca ETA definisce “in una situazione di crisi evidente” il processo di pace avviato lo scorso 24 marzo con il governo spagnolo. Attraverso un comunicato pubblicato dal quotidiano basco “Gara”, l’ETA accusa inoltre il partito socialista (PSOE) al governo in Spagna e il partito di maggioranza al governo basco di ostacolare i negoziati.

 

In Bosnia, una fossa comune con più di mille corpi è stata portata alla luce dagli esperti della scientifica nel villaggio di Karmenica, vicino Zvornik, nella parte orientale del Paese. Secondo un membro della squadra che ha scoperto il luogo, si tratta di 1.153 scheletri - solo 144 dei quali integri - di vittime del massacro di Srebrenica, compiuto nel luglio del 1995 dalle forze serbe contro i musulmani bosniaci. Si tratta della più grande tra le otto fosse, scoperte dopo la strage.

 

Dopo alcuni giorni di flessione, le quotazioni del petrolio sono salite oggi di oltre 60 centesimi a New York, portando il prezzo del barile a 70,68 dollari. All’origine del rialzo l’imminente arrivo della stagione degli uragani, che potrebbe provocare la chiusura di alcune piattaforme petrolifere nel Golfo del Messico e negli USA. Altro motivo di nervosismo è lo stallo delle trattative sul nucleare iraniano: si avvicina infatti il 31 agosto, la scadenza del termine imposto dalle Nazioni Unite all’Iran per la cessazione dell'arricchimento dell'uranio.

 

 

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