RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 229 - Testo della trasmissione di giovedì 17 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La Commissione europea lancia
l’allarme incendi nella penisola iberica
La “Regata della Pace”, da
Tunisi a Tiro, dedicata quest’anno alla crisi mediorientale
E’ in corso a Praga l’assemblea
generale dell’Unione astronomica internazionale
Un soldato americano e 4 civili iracheni uccisi
oggi in Iraq
15 membri di un’équipe
medica locale sono stati rapiti nel Sud dell’Afghanistan
17 agosto 2006
L’UMANITA’
DI BENEDETTO XVI AL SERVIZIO DELLA CHIESA E DEL DIALOGO
TRA I POPOLI E LE CULTURE: SULL’INTERVISTA DEL
PAPA ALLA NOSTRA EMITTENTE,
LA RIFLESSIONE DEL SOCIOLOGO DELLE RELIGIONI,
FRANCO GARELLI
I grandi
successi della tecnica, pur avendo migliorato la condizione dell’umanità,
“lasciano però senza soluzione i quesiti più profondi dell’animo umano”. E’ uno
dei passaggi forti della catechesi di Benedetto XVI all’udienza generale di
ieri, a Castel Gandolfo. Il
Papa ha ribadito che “solo l’apertura al mistero di Dio, che è Amore, può
colmare la sete di verità e di felicità del nostro cuore”. Una riflessione,
questa, che richiama un passaggio dell’intervista concessa dal Papa nei giorni
scorsi alla nostra emittente e a tre Tv tedesche. “Il progresso – aveva affermato il
Santo Padre ai nostri microfoni – può essere progresso vero solo se serve alla
persona umana e se la persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo
potere tecnico, ma anche la sua capacità morale”. Come prevedibile, l’intervista al Papa ha destato ampia eco,
anche per aver toccato molteplici aspetti non legati esclusivamente alla vita
della Chiesa. E’ stata inoltre un’occasione che ha offerto molti spunti sulla
personalità stessa di Benedetto XVI. Fabio Colagrande
ne ha parlato con il prof. Franco Garelli, sociologo
della conoscenza e delle religioni, all’Università di Torino:
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R. – Ci sono molti passi in cui il Papa, da un lato, fa
vedere il lato umano della sua vita e del suo essere anche Papa. Dall’altro
lato, interloquisce con il giornalista in modo trasparente. C’è una sorta di
spontaneità che emerge in tutta l’intervista, sia quando lui parla delle
questioni o degli affetti personali, sia quando risponde come Papa, come capo
della Chiesa, ad una serie di interrogativi.
D. – Dall’intervista emerge anche la figura di un Papa
meno ‘programmato’ di quanto si possa pensare…
R. – E’ un Papa che sente forse un po’ il vincolo del
protocollo e ogni tanto cerca di fare degli strappi. Ad esempio, ogni tanto
programma delle visite non previste e si lascia scappare degli impegni a cui poi dovrà far fronte… eventi non programmati dal suo
entourage. Ma più in generale, a me ha molto colpito quando
il Papa dice che si potrebbero fare dei grandi film su grandi figure del
cristianesimo: fa riferimento a Gregorio di Nazianzo
e dice: “Anche perché era un Santo che ogni tanto cercava di sottrarsi al peso
del suo ruolo!”.
D. – Quale immagine di Chiesa deriva da questa intervista?
R. – E’ difficilissimo che la gente possa normalmente
incontrare o conoscere il pensiero di alte cariche nel mondo. Il fatto che il
Papa riesca in qualche modo, con semplicità, a comunicare che c’è un disegno,
che non tutto in questo disegno è prefigurato e che c’è una riflessione che si
sta portando avanti, credo che sia un messaggio rilevante che emerge da questa
intervista. Vediamo come il Papa intende governare la Chiesa e il fatto molto
rilevante che lui comunica che ha già incontrato i vescovi dell’Africa e in
parte dell’Asia. Se c’era una critica che stava emergendo o una riserva era che
questo fosse un Papa sostanzialmente eurocentrico,
mentre si vede che qui c’è una collegialità che si sta delineando, tipica di un
Papa che incontra tutti i vescovi. Quindi, in qualche modo, si rende conto
della polifonia delle culture che la Chiesa rappresenta. Questo a me è sembrato
davvero un elemento di grande rilievo. C’è poi l’altro aspetto, per cui si avverte la società e la secolarizzazione, ma in
qualche modo c’è sempre questa dimensione positiva che sta prendendo, forse,
più corpo nel discorso del Papa.
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BENEDETTO XVI NOMINA MONS. JAMES
PATRICK GREEN NUNZIO IN SUD AFRICA
E NAMIBIA. AL PRESULE ANCHE L’INCARICO DI DELEGATO
APOSTOLICO IN BOTSWANA
Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Sud Africa e
in Namibia, e delegato apostolico in Botswana, mons. James Patrick Green, dell’arcidiocesi statunitense di Filadelfia,
finora consigliere di nunziatura presso la Sezione per gli Affari Generali
della Segreteria di Stato. In pari tempo, il Papa lo ha elevato alla sede
titolare di Altino, con dignità di arcivescovo. Mons. Green è nato a Filadelfia nel 1950 ed è stato
ordinato sacerdote nel 1976. Laureato in diritto canonico, è entrato nel
servizio diplomatico della Santa Sede nel 1987.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il Papa pone nelle mani
premurose della Regina della Pace le ansie dell'umanità: all'Angelus della
Solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria la preghiera per la pace e
per la riconciliazione in ogni luogo straziato dalla violenza.
Una nota dal titolo "Di fronte alla
risoluzione numero 1701 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite".
Servizio estero - Medio Oriente: si consolida il cessate-il-fuoco nel Sud del
Libano. L'esercito di Beirut avvia il dispiegamento lungo il confine; l'ONU
cerca di stringere i tempi per approntare la forza multinazionale.
Servizio culturale - In merito al volume di
Francesco Tomatis "Filosofia della
montagna" un articolo di Armando Rigobello dal
titolo "Alpinismo e ascesi".
Servizio italiano - Militari in Libano: verso il
decreto.
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17 agosto 2006
SI SCHIERANO I PRIMI SOLDATI LIBANESI NEL SUD, DOVE L'ONU INVIERÀ
NUOVE
FORZE DI PACE
CHE PROSEGUE
NELLE OPERAZIONI DI RITIRO,
PARLA
DI “TRASFERIMENTO DELLE RESPONSABILITÀ” NEL LIBANO MERIDIONALE
- Interviste
con Ugo Draetta e con Silvio Greco -
Dopo
quattro giorni di tregua con gli Hezbollah, continua
il ritiro dei soldati israeliani dal sud del Libano, dove si sono già schierati
i primi militari inviati da Beirut. Per la prossima settimana è atteso,
inoltre, l’arrivo di altri caschi blu che si aggiungeranno a quelli già
presenti in Libano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Per la prima volta, dopo 40 anni,
truppe regolari libanesi si sono posizionate lungo il confine con Israele: dopo
aver oltrepassato il fiume Litani, limite settentrionale
dell’area di maggiore influenza degli Hezbollah,
almeno 2500 soldati libanesi sono arrivati in una cittadina a pochi chilometri
dal confine con lo Stato ebraico. Il piano, approvato martedì scorso dal
governo libanese, prevede complessivamente l’invio di 15 mila soldati nel sud
del Libano. Ma già poco dopo il dispiegamento delle prime truppe inviate da Beirut,
l’esercito israeliano ha annunciato “il trasferimento delle responsabilità” nel
Libano meridionale. Al contingente libanese saranno poi affiancate le truppe
dell’UNIFIL, la forza di interposizione dell’ONU in Libano. Il comandante dei
caschi blu nel Paese dei cedri ha annunciato che “nuove truppe delle Nazioni
Unite sono attese all’inizio della prossima settimana”. Il contingente
internazionale – ha detto il comandante senza fornire ulteriori dettagli –
“sarà rafforzato con più soldati e con nuove regole di ingaggio”.
E proprio le modalità per
garantire il cessate il fuoco e i compiti della forza internazionale sono stati
al centro di una telefonata, ieri, tra il presidente del Consiglio italiano,
Romano Prodi, ed il segretario generale dell’ONU, Kofi
Annan. Prodi ha sottolineato come l’UNIFIL debba
avere “un mandato chiaro, privo di ambiguità e con regole di ingaggio ben
precise per i militari che saranno impegnati nella zona”. Prodi ha anche confermato
la disponibilità italiana nell’ambito della missione e ribadito “un impegno
parimenti significativo” per la ricostruzione. Il primo ministro libanese, Fuad Siniora, ha confermato inoltre
al capo dell’esecutivo italiano, durante una “lunga e cordiale conversazione
telefonica”, che gli Hezbollah hanno accettato le
disposizioni della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite e che collaboreranno
con la forza dell’ONU.
In Libano, il partito politico
militare sciita fa sapere poi che “fino a quando non saranno disarmati i
guerriglieri sciiti”, “non ci sarà alcun problema sul dispiegamento
dell’esercito libanese e della forza internazionale”. Intanto, sul terreno la
formazione sciita ha attivato la propria rete di istituzioni per portare aiuti
alla popolazione e avviare la ricostruzione. Diversi combattenti, dopo aver
riposto le uniformi, indossano adesso le vesti di assistenti sociali, operai e
muratori. Si stima che almeno 15 mila case siano state completamente rase al
suolo e che siano necessari 3 miliardi di dollari per la ricostruzione. Secondo fonti di intelligence statunitensi, più di 150
milioni di dollari sarebbero già stati trasferiti dall’Iran a istituti di
credito vicini agli Hezbollah. A Beirut, infine, è
atterrato oggi, dopo 36 giorni di blocco, il primo aereo ma
l’apertura ufficiale dell’aeroporto di Beirut è prevista entro tre giorni.
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Nel sud del Libano si attende,
dunque, il dispiegamento dei caschi blu come stabilito dalla
risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Ma si attendono anche, dall’ONU,
risposte chiare sul mandato e sulle regole d’ingaggio. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Ugo Draetta, docente di diritto internazionale all’Università
di Milano:
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R. – La Carta delle Nazioni Unite prevede due capitoli, il
VI e il VII. Il VI si applica in caso di minacce alla pace o di violazione
della pace in atto; il capitolo VII prevede l’uso della forza. Il testo della risoluzione 1701 non fa riferimento al
capitolo VII. Ma precisa che vanno prese tutte le misure necessarie per aiutare
le forze libanesi a prendere il completo controllo di quella zona. Il riferimento
al possibile uso di “tutte le misure necessarie” potrebbe quindi far pensare al
ricorso della forza. Ma non si fa, comunque, riferimento al capitolo VII.
D. – Quindi, di fatto, c’è un’ambiguità nella risoluzione
ONU?
R. – La risoluzione è ambigua, come tutti i commentatori
hanno rilevato. Per chiarirla, saranno importantissime le regole d’ingaggio che
fisserà il Consiglio di sicurezza. Ritengo che il riferimento al capitolo VII,
cioè al necessario uso della forza, sia implicito.
D. – Secondo lei, qual è lo scenario più possibile?
R. – I militari saranno sicuramente pronti a rispondere al
fuoco. Se saranno attaccati, risponderanno; questo è chiaro. Il problema è se
avranno un ruolo attivo nel disarmare i guerriglieri Hezbollah.
Andranno a ricercare i rifugi di Hezbollah, le armi nascoste,
condurranno questo tipo di azioni o si limiteranno solo a reazioni? Senza
questo chiarimento, a mio avviso, non si dovrebbe partire; bisogna sapere,
cioè, cosa si va a fare in Libano.
D. – Il partito politico militare degli Hezbollah ha avanzato delle riserve ed Israele ha dichiarato
che risponderà ad eventuali attacchi. I soldati del contingente internazionale
si troveranno tra due fuochi?
R. – E’ uno scenario pessimistico, però non è improbabile;
non è improbabile che la forza UNIFIL, abituata finora al ruolo di semplice
osservatore, trovi difficoltà se dovrà fermare un combattente Hezbollah che non vuole essere disarmato. Questo è il
grosso punto interrogativo che dovrebbe essere risolto, più che sul piano
militare, sul piano politico attraverso un negoziato in base al quale gli Hezbollah accettino veramente il disarmo.
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Il conflitto in Libano ha
causato anche una grave emergenza ambientale. Nei giorni scorsi, l’ONU ha
lanciato l’allarme per la marea di idrocarburi che sta inquinando le coste libanesi
e siriane. L’olio combustibile è fuoriuscito dalle centrali elettriche bombardate
da Israele. Tra le prime nazioni a rispondere all’appello dell’ONU, c’è
l’Italia. Ma perché è urgente intervenire immediatamente? Giancarlo
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R. – E’ urgente intervenire,
perché ovviamente più il tempo passa e più vi è una diffusione
dell’inquinamento. Più si allarga la chiazza e più, di conseguenza, aumenta la
zona che è poi interessata ad una contaminazione di questo olio pesante che tra
l’altro, proprio per la sua natura chimica, non può essere neanche aggredito in
modi diversi dall’aspirazione. Quindi, prima si interviene, prima si restringe
la chiazza e si separa l’olio pesante dall’acqua.
D. – Quali sono i rischi per la
popolazione civile di questo ulteriore dramma?
R. – Ormai il momento critico
dell’inquinamento è stato l’incendio e la dispersione dell’argon nell’atmosfera.
Quello, ormai, il danno l’ha già fatto: sono state immesse nell’atmosfera
notevoli quantità di frazioni volatili di questo carburante e anche diossina
prodotta dall’incendio. Ad oggi, il problema si trasferisce ai pesci e agli organismi
viventi: il rischio è quello che si ingeriscano o si consumino pesci che sono venuti
a contatto con questi elementi inquinanti.
D. – E’ possibile che la
mobilitazione internazionale venga fatta in tempi
brevi?
R. – L’Italia è stata il primo
Paese a porsi questo problema. Il ministero dell’Ambiente ha già attivato un
nucleo dell’ICRAM e, a giorni, dovrebbe partire un altro gruppo. Altre Nazioni
che hanno risposto sono state
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IL DRAMMATICO CASO DELLA RAGAZZA
PACHISTANA UCCISA NEL NORD ITALIA
PER
AVER RIFIUTATO IL MARITO IMPOSTOLE DAL PADRE:
SECONDO
LA PROCURA DI BRESCIA, SONO TRE GLI ASSASSINI.
E
RESTA IL DIBATTITO SULLE DIFFICOLTA’ DI INTEGRAZIONE
- Con
noi mons. Vincenzo Paglia -
Sono tre, secondo
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R. – Non c’è dubbio che sia necessario, per chi entra in
un Paese, accogliere il quadro istituzionale che regola la vita di questo
Paese. Quest’episodio purtroppo non è il primo e questo caso ci obbliga a
riflettere sulla complessità dei diversi piani nei quali questo problema
deve essere trattato. Non dobbiamo neppure dimenticare che certe atrocità non
derivano solo da un problema giuridico, derivano da problemi anche tribali. A
volte capitava anche in Italia, anche tra cattolici, per differenze di ordine
sociale e culturale e non solo religiose.
D. – Episodi come questo possono generare diffidenza tra
gli italiani o peggio ancora odio?
R. – Episodi di questo genere obbligano a chiarire e a
ridefinire il quadro giuridico. Altra cosa è quella del rapporto tra
immigrazione e cittadini residenti. Se per un verso è necessario chiarire il
quadro giuridico, dall’altro verso è necessario avere la grande intelligenza di
operare per una positiva integrazione. L’integrazione è necessaria
ma non è scontata, richiede fatica e impegno e questo è il grande sforzo
che tutti siamo chiamati a fare.
D. – Il rappresentante della comunità islamica di Brescia
ha condannato il gesto del padre di Hina, ma è
sembrata quasi una condanna proforma …
R. – La condanna deve essere chiara e ferma perché qui ci
troviamo - come direbbe Papa Benedetto - nel campo del V comandamento, non
uccidere. Quindi non c’è nessuna ragione al mondo che possa
impedire o attutire la condanna di un omicidio. Nessuna religione può ammettere
l’uccisione. Non c’è alcuna giustificazione, né naturale tanto meno religiosa,
per un delitto di questo genere.
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17 agosto 2006
LA FASE DIOCESANA DELLA CAUSA DI
BEATIFICAZIONE DI PAPA GIOVANNI PAOLO I
SI CHIUDERÀ ENTRO L’ANNO: AD ANNUNCIARLO, OGGI A CANALE D’AGORDO,
IN VENETO, IL VICE POSTULATORE, MONS.
GIORGIO LISE, CHE HA PRESENTATO
LE CELEBRAZIONI PER IL 28.MO
ANNIVERSARIO DELL’ASCESA AL SOGLIO PONTIFICIO DI PAPA LUCIANI, IL 26 AGOSTO
PROSSIMO
- A cura di Roberta Moretti -
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CANALE D’AGORDO. = “Sono stati ascoltati 170
testimoni in 190 sessioni, ne mancano alcuni a Roma e Vittorio Veneto. La fase
diocesana quindi è in dirittura d’arrivo ed entro novembre, in occasione forse
della festa patronale di San Martino, l’11, si pensa di riuscire a chiuderla”:
è quanto ha affermato stamani mons. Giorgio Lise, vicepostulatore della Causa di Beatificazione di Papa
Albino Luciani, di cui il 26 agosto ricorrerà il 28.mo anniversario dell’ascesa al soglio pontificio con
il nome di Giovanni Paolo I. L’occasione è stata la presentazione delle celebrazioni
in programma a Canale d’Agordo, il paese natale di
Papa Luciani. L’attenzione è concentrata su un presunto miracolo avvenuto in
Puglia: un uomo guarito da un tumore, senza una spiegazione scientifica. Mons. Lise ha sottoli-neato che il postulatore aveva già
segnalato il caso alla Congregazione per le Cause dei Santi, che a sua volta
aveva ritenuto la documentazione interessante, chiedendo di ricevere altre
informazioni. “Adesso attendiamo risposta, ma siamo ottimisti”, ha commentato
il vicepostulatore, che ha anche ricordato come la fama
di santità che accompagna Giovanni Paolo I sia molto diffusa. Un dato testimoniato
anche dalle numerose lettere e messaggi che il presule riceve come direttore
del ‘Centro Papa Luciani’ di
Santa Giustina Bellunese. Le relazioni conclusive del
lavoro della fase diocesana per la beatificazione, iniziata a Belluno nel 2003,
saranno trasmesse alla Congregazione probabilmente entro fine anno. I tempi
medi per l’esame della causa sono di circa dieci anni, che potrebbero però
ridursi nel caso dell’attestazione dell’avvenuto miracolo. Intanto, la mattina
del 26 agosto, il vescovo di Belluno-Feltre, mons.
Giuseppe Andrich, salirà a Punta Rocca, sulla
Marmolada, per la celebrazione di una Messa in ricordo di Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, mentre nel pomeriggio a Canale D'Agordo concelebrerà insieme a
mons. Giuseppe Zenti, vescovo di Vittorio Veneto. Tra
gli altri appuntamenti, il 24 agosto, il pellegrinaggio a piedi nei luoghi
della fanciullezza e il 25 la presentazione del libro “Lo stupore di Dio Vita
di Papa Luciani” di Nicola Scoppelliti e don
Francesco Taffarel. Il 27 settembre, poi, la diocesi
di Belluno-Feltre si recherà a Roma per partecipare
all’udienza di Papa Benedetto XVI, mentre il 28, giorno della morte di Papa
Luciani, mons. Andrich celebrerà la Messa nella
Basilica San Pietro. (R.M.)
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SAREBBERO CENTINAIA, E NON MIGLIAIA, LE VITTIME DELLE INONDAZIONI
CHE HANNO COLPITO IL MESE SCORSO LA COREA DEL NORD: LO PRECISA STAMANI
LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA E DELLA MEZZALUNA
ROSSA, CORREGGENDO LA STIMA DI 54.700 “TRA MORTI E DISPERSI”,
DIFFUSA IERI DA
UN’ORGANIZZAZIONE SUDCOREANA
PYONGYANG. = Sarebbero nell’ordine di
centinaia, e non di migliaia, le vittime delle inondazioni che hanno
interessato il mese scorso la Corea del Nord: lo ha precisato stamani la
Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, correggendo
la stima diffusa da ‘Good Friends’,
organizzazione sud-coreana considerata ben informata sulla situazione in nord
Corea, che ieri aveva parlato di 54.700 “tra morti e dispersi” e di 2 milioni e
mezzo di senzatetto. All’inizio del mese, senza rivelare le sue fonti, la
stessa ‘Good Friends’ aveva parlato di circa 10 mila vittime. Secondo
il quotidiano giapponese favorevole al regime di Pyongyang,
Choson Shinbo, sarebbero
invece almeno 549 i morti e 294 i dispersi. Oltre 7 mila le abitazioni
distrutte o danneggiate e 16 mila gli ettari di terra coltivata spazzati via. Intanto,
la Corea del Nord ha ammesso oggi di essere disposta ad accettare gli aiuti
offerti dal Programma alimentare mondiale e dalla Croce Rossa sudcoreana, rifiutati precedentemente. In particolare, è
atteso per sabato un primo incontro tra i rappresentanti della Croce Rossa
delle due Coree per discutere dei termini dell’intervento. Seoul
aveva interrotto la sua regolare assistenza alimentare in nord Corea per sfamare
23 milioni di cittadini: aveva congelato i suoi aiuti a Pyongyang,
in seguito ai test missilistici del 5 luglio scorso. (R.M.)
NONOSTANTE I RISULTATI OTTENUTI FINO A OGGI, LA BATTAGLIA PER COMBATTERE
L’AIDS NON È ANCORA FINITA: LO HA RIBADITO IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO
STATUNITENSE
PER LA RICERCA SULLE MALATTIE INFETTIVE (NIAID), FAUCI,
DURANTE
I LAVORI DEL 26. MO CONGRESSO MONDIALE
SULL’AIDS,
IN
CORSO A TORONTO, IN CANADA
- A
cura di Eugenio Bonanata -
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TORONTO. = La battaglia per combattere l’AIDS, nonostante
i risultati ottenuti fino ad oggi, non è ancora finita. E’ uno degli impegni
emersi a Toronto, dove, fino al 18 agosto, è in corso il 26esimo congresso
mondiale sull’AIDS. L’iniziativa è un’occasione per guardarsi indietro e fare
un bilancio sulla lotta all’AIDS. A ripercorrere questi 25 anni, fatti di
successi, di speranze e anche di delusioni è stato Anthony
Fauci, direttore dell'Istituto statunitense per la ricerca sulle malattie infettive
(NIAID) che ha individuato i momenti chiave di questa storia. Innanzi tutto la scoperta del virus, nel 1983, da parte di Gallo e Montagnier, poi l’arrivo del test per la ricerca degli
anticorpi, quindi i continui progressi nella ricerca sui farmaci. Farmaci che
hanno permesso a tanti di sopravvivere ad una malattia la cui diagnosi, per
anni, è stata sinonimo di una condanna. Ma Fauci non si fa illusioni: la
battaglia non è terminata. Guardando al futuro c’è ancora tanto lavoro da fare.
La ricerca tende a definire meglio il comportamento del virus, una tappa essenziale
per la scoperta del vaccino. D’altro canto, però, i farmaci non sono tutto: nei
Paesi in via di sviluppo soltanto 1,3 milioni di persone hanno oggi la possibilità
di curarsi. Bisogna quindi garantire una maggiore diffusione delle cure. In
altre parole, come ribadito più volte a Toronto in questi giorni, serve un
approccio globale contro il virus che passi anche attraverso la prevenzione. Ma
per tenere in piedi questa macchina, servono risorse. L’obbiettivo delle Nazioni
Unite è di ridurre drasticamente l’impatto dell’epidemia entro il 2015. Per
farlo, però, servono 22 miliardi di dollari.
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LA COMMISSIONE EUROPEA LANCIA L’ALLARME INCENDI NELLA PENISOLA IBERICA.
IN DUE SETTIMANE, È BRUCIATO CIRCA IL DOPPIO DELLA SUPERFICIE
ARSA DALLE FIAMME IN TUTTA EUROPA NEI PRIMI 7 MESI DELL’ANNO
BRUXELLES. = In due settimane, nella sola
regione spagnola della Galizia e in Portogallo sono bruciati 122 mila ettari di
boschi, una superficie circa due volte più grande rispetto a quella arsa dalle
fiamme nei primi 7 mesi dell’anno in tutta Europa: è l’impressionante dato
diffuso ieri dalla Commissione Europea, che ha lanciato l’allarme sulla base
delle cifre pubblicate dal Sistema europeo di informazione sugli incendi
boschivi (EFFIS), che segue via satellite gli incendi
riguardanti aree superiori a 50 ettari. Tra il 31 luglio e il 14 agosto,
infatti, in Galizia le superfici bruciate sono aumentate da 2.242 a 86.231
ettari, mentre in Portogallo sono passate da 13.591 a 36.290, per un totale di
122.521 ettari. Una cifra davvero consistente, rispetto ai 64.500 ettari di
superficie boschiva dell’Unione Europea colpita da incendi da gennaio a luglio
2006. Questi stessi dati, tuttavia, indicano che la situazione europea appare
in generale meno critica di quella dello scorso anno, perché negli ultimi sette
mesi sono andati in fiamme solo il 10 per cento dei boschi bruciati nell’intero
2005: lo stesso anno si era registrato un aumento sia delle superfici bruciate,
sia degli episodi di incendio rispetto alla media degli ultimi 25 anni nei
cinque Paesi del Sud Europa (Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia).
(R.M.)
NAPOLI. = “Ovunque la mia barca si avvicinerà, dirò agli
amici e soprattutto ai nemici che è davvero l’ora di abbassare le armi e che
dopo aver così tanto sofferto insieme, dobbiamo ora imparare a volerci bene”: a
leggere le parole di Elissa, meglio conosciuta come Didone, regina libanese fondatrice dell’antica Cartagine, è stata ieri, nel porto di Napoli, Aisha Ayari, una delle
organizzatrici della “Regata della Pace”. L’iniziativa, conosciuta con il nome
“Route d’Elissa”, si tiene ogni anno da Tunisi a Tiro,
nel Libano, e prevede la partecipazione di cinque equipaggi internazionali,
inviati in cinque porti del Mediterraneo: Valencia, Marsiglia, Monaco, Atene e
Napoli. Quest’anno, a causa della guerra in Libano, la competizione si è
trasformata in “Regata della pace”. Ieri, ad accogliere nel porto di Napoli la
barca a vela battente bandiera libanese, c’erano anche l’assessore al Lavoro
della Regione Campania, Corrado Gabriele, e il consigliere diplomatico del presidente
Bassolino, Antonio D’Andria.
Gli equipaggi sono esclusivamente femminili, “perché – ha spiegato Aisha – la donna è ambasciatrice e simbolo di pace”. Tutte
le imbarcazioni sono partite dal porto di Cartagine
il 13 agosto, giorno della festa della donna in Tunisia, dove “proprio quest’anno
– ha precisato Aisha – si festeggiano i 50 anni dello
Statuto della donna e della famiglia”. “Vogliamo lanciare un messaggio universale
di pace in un periodo difficile per il Mediterraneo”, ha aggiunto. Prima di
arrivare nel porto di Napoli, l’imbarcazione libanese è stata accolta dalla
motovedetta della capitaneria di porto e dalla pilotina dell’area marina
protetta di Punta Campanella.
TRE NUOVI PIANETI POTREBBERO ENTRARE A FAR PARTE DEL
SISTEMA SOLARE.
LA RIVOLUZIONARIA DECISIONE, LEGATA A UN NUOVO CONCETTO DI
“PIANETA”,
POTREBBE ESSERE PRESA ENTRO LA FINE DELLA SETTIMANA A PRAGA
DAGLI STUDIOSI DELL’ASSEMBLEA
GENERALE DELL’UNIONE ASTRONOMICA INTERNAZIONALE (IAU)
PRAGA. = Aumentare la composizione del sistema solare da nove a 12
pianeti, con l’aggiunta di tre nuovi corpi celesti: Cerere,
Caronte e UB 313: è questa la ‘rivoluzionaria’ decisione
che potrebbero prendere entro la fine della settimana gli studiosi dell’Unione
Astronomica Internazionale, (IAU), riuniti dal 14 agosto a Praga. Il cambiamento
potrebbe essere determinato dalla nuova definizione che gli studiosi attribuiscono al concetto di “pianeta”: un oggetto
in orbita intorno a una stella, ma non satellite di un altro pianeta, (il che
esclude la Luna e altre lune più grandi di altri pianeti), che abbia una massa
sufficiente perché la propria gravità ne determini una forma quasi sferica.
Secondo il presidente dell’IAU, Ron Ekers, “la vecchia definizione di pianeta, inteso come
oggetto che si muove rispettando uno schema fisso, non può più essere valida
nell’era dei telescopi tecnologici”. I tre nuovi pianeti che
dovrebbero essere inseriti sono Caronte, prima considerato
come luna di Plutone, ma ora descritto come suo
doppio pianeta; Cerere, conosciuta dal 1801 come
l’asteroide tra Marte e Venere; e UB313, identificato lo scorso anno al di là
dell’orbita di Nettuno e più grande di Plutone.
“Se dovesse passare la risoluzione con la nuova definizione di pianeta – ha
affermato uno scienziato della commissione – ci sarebbero una o altre due
dozzine di oggetti nel sistema solare che un giorno potrebbero essere inclusi
nel ‘club planetario’”. (A.Gr.)
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17 agosto 2006
- A cura di Eugenio Bonanata -
Non c’è tregua nello Sri Lanka
tra l’esercito nazionale e i ribelli delle Tigri tamil.
98 guerriglieri sono stati uccisi da militari srilankesi,
secondo quanto riferito da fonti governative. Il portavoce del ministro della
Difesa ha parlato di “un’azione difensiva” dopo un attacco notturno dei ribelli
sferrato dal mare contro una base militare nella penisola di Jaffna. Dal canto suo, il presidente srilankese,
Rajapakse, aveva affermato ieri che “per i ribelli Tamil resta aperta la porta dei colloqui di pace”. Intanto,
la Norvegia, che si è fatta carico della mediazione, sta tentando di riannodare
la trama del negoziato tra il governo di Colombo e la guerriglia tamil. Gli scontri tra militari e ribelli, solo quest’anno,
hanno provocato 800 morti, tra cui molti civili.
Ancora violenze in Iraq. Oggi un soldato americano è stato
ferito a morte nella provincia di Al-Anbar e almeno 4
persone hanno perso la vita in un attentato a Sadr
City, il quartiere sciita di Baghdad. Solo ieri una serie di attentati aveva
fatto 20 vittime in tutto il Paese. Della difficile situazione irachena ha
parlato ieri il presidente Bush precisando che non è
possibile avviare un ritiro accelerato delle truppe americane, senza il rischio
di vedere nascere in Iraq uno Stato terrorista.
Sempre tesa la situazione in Afghanistan. 15 membri di
un’equipe medica afghana sono stati rapiti da sconosciuti mentre, a bordo del loro bus, si recavano in un
campo di rifugiati collocato nel sud del Paese. L’episodio è avvenuto nella
provincia di Kadahar. Secondo responsabili del
gruppo, al momento non ci sono stati contatti con i rapitori. Intanto, sempre
nella zona sud del Paese, un soldato americano e otto poliziotti afghani sono
stati feriti in due diversi attentati suicidi. Ieri invece, nella provincia
orientale di Kunar, alcuni soldati della coalizione,
guidata dagli Stati Uniti, hanno ucciso otto estremisti islamici.
Proseguono le ostilità nella Striscia di Gaza. Un
palestinese è stato ucciso oggi da fuoco israeliano nel campo di El Bureij, nel centro della
Striscia. In mattinata un nuovo raid aereo israeliano
ha distrutto un’officina meccanica, che si riteneva fosse utilizzata da militanti
palestinesi come fabbrica per confezionare armi.
E’ stato rilasciato senza accuse uno dei 24 arrestati in
Gran Bretagna per gli sventati attentati terroristici della settimana scorsa.
Intanto, nuove misure antiterrorismo sono state discusse ieri a Londra dai
Paesi che reggeranno la presidenza europea nei prossimi semestri. Dalla
capitale britannica, il servizio di Sagida Syed:
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L’Europa mantiene alto il livello di guardia, già scattato
dopo gli attacchi nella capitale inglese, il 7 luglio 2005. Saranno
incrementate le misure di controllo su Internet le intercettazioni telefoniche.
Aumenterà la spesa per la prevenzione degli esplosivi chimici del tipo che sarebbe stato usato dai kamikaze del fallito attentato sui
voli transatlantici, sventato il 10 agosto. Franco Frattini,
commissario europeo alla Sicurezza, ha annunciato che sarà allestita un’equipe
di esperti antiterrorismo e ha aggiunto che verranno
valutate nuove forme di controllo negli aeroporti e che potrebbero essere
introdotti identificatori biometrici.
Il vertice ha anche portato ad una maggiore collaborazione tra tutte le autorità
di intelligence degli Stati europei e al dialogo con i leader delle comunità
musulmane. Al vaglio anche la proposta di addestrare degli imam
contro il terrorismo, che si insidia nelle nuove generazioni di islamici nati
in Occidente.
Da Londra, per la Radio Vaticana, Sagida Syed.
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La Russia ha minacciato gli Stati Uniti di sopprimere le
condizioni preferenziali di cui beneficiano gli esportatori di carni americane
se si dovessero bloccare i negoziati bilaterali per
l’ingresso della Russia nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. La posizione
di Mosca è contenuta in un comunicato del ministero dell’Economia russo.
In Messico, in attesa della
sentenza sul vero vincitore delle elezioni presidenziali dello scorso 2 luglio,
il Tribunale elettorale federale ha già sancito, ieri, il risultato definitivo
per quanto riguarda il Parlamento. Il Partito d’Azione Nazionale (PAN) del
presidente Fox avrà il controllo delle due camere,
anche se sarà costretto a cercare alleanze per formare una maggioranza stabile.
Ce ne parla Luis Badilla:
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Il Partito d’Azione Nazionale (PAN) di Felipe
Calderón avrà al senato la maggioranza relativa di 52
seggi. Un dato, questo, che però non sarà sufficiente per sostenere da solo, un
governo stabile e duraturo. Il Partito Istituzionale Rivoluzionario (PRI), che
ha governato il Messico per oltre 70 anni, fino alla vittoria del presidente
uscente Vicente Fox, avrà
33 seggi, mentre al partito di Lopez Obrador (PRD, Partito della Rivoluzione Democratica)
andranno 28 seggi. Alla camera bassa, il partito del team Fox
– Calderón, potrà contare su 206 seggi, il PRD su 123
e il PRI su 105. In realtà, come sottolinea oggi la stampa messicana, si tratta
di una sentenza scontata, poiché sulle legislative non c’erano gravi denunce di
brogli ed irregolarità. Sia Calderón sia López avevano infatti accettato il
conteggio delle preferenze per la formazione del Senato e della Camera. La
questione di fondo, come si sa, riguarda invece il conteggio dei voti per
l’elezione del Presidente della Repubblica. Secondo un primo risultato, avrebbe
vinto Felipe Calderón con
uno scarto di circa 240mila voti. Andrés López Obrador ha contestato il
risultato denunciando gravi irregolarità amministrative ed elettroniche e, dopo
una complessa battaglia legale, ha ottenuto l’autorizzazione per un nuovo
conteggio, ma solo di 11.839 urne su un totale di 130.477. In questo quadro
tutti in Messico, ma anche fuori, attendono la sentenza che determinerà
definitivamente – si spera, ma non è detto che sarà così – il nome del nuovo
presidente del Paese. In teoria c’è tempo fino al 6 settembre per emettere la
sentenza, ma, fino ad oggi, fonti vicine all’organo costituzionale hanno sempre
fatto capire che il risultato sarà reso pubblico entro il 18 agosto.
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Il presidente Alvaro Uribe ha
ordinato ieri l’arresto dei vertici dei gruppi paramilitari di destra,
denominati “Autodifese unite della Colombia” (AUC). Nel 2003 sono partite le
trattative fra il governo di Bogotà e il gruppo
paramilitare per un progressivo disarmo e reinserimento nella società civile.
Da allora circa 30.000 uomini hanno accettato il progetto. La scorsa settimana,
tuttavia, i vertici paramilitari hanno rifiutato di aderire completamente alla
cosiddetta Legge di Giustizia e Pace, approvata dal Parlamento, giudicandola
troppo severa.
In India cinque persone - fra cui un bambino - sono morte
nell’esplosione di un ordigno, avvenuta nella tarda serata di ieri in un tempio
dedicato a Krishna nel nord-est del Paese. Fra le
centinaia di devoti che assistevano ad una cerimonia
in ricordo della nascita del dio Krishna, ci
sarebbero anche una trentina di feriti. Al momento nessun gruppo ha rivendicato
l’attentato, ma la zona è scossa da diverse organizzazioni separatiste.
In Indonesia, il ministero della Sanità ha confermato che
una bambina di nove anni morta all’inizio della settimana é la 45/esima vittima
dell’influenza aviaria nel Paese asiatico. La bambina è morta martedì,
sull’isola di Giava, dove si sono registrati molti focolai
della malattia negli allevamenti di pollame.
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