RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 229  - Testo della trasmissione di giovedì 17 agosto 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’umanità di Benedetto XVI al servizio della Chiesa e del dialogo tra i popoli e le culture: sulla recente intervista del Papa, la riflessione del sociologo delle religioni, Franco Garelli

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Primi soldati libanesi nel sud, dove l'ONU invierà nuove forze di pace la prossima settimana. L’esercito israeliano, in ritiro, parla di “trasferimento delle responsabilità” nel Libano meridionale: ce ne parlano Ugo Draetta e Silvio Greco

 

Il drammatico caso della ragazza pachistana uccisa nel bresciano per aver rifiutato il marito impostole dal padre: con noi, mons. Vincenzo Paglia

 

CHIESA E SOCIETA’:

La fase diocesana della causa di beatificazione di papa Giovanni Paolo I si chiuderà entro l’anno: lo annuncia il vice postulatore, mons. Lise, presentando le celebrazioni per il 28.mo anniversario dell’ascesa al soglio pontificio

 

Sembra siano centinaia, e non migliaia, le vittime delle inondazioni che hanno colpito il mese scorso la Corea del Nord

 

Al 26.mo Congresso mondiale sull’AIDS, in corso a Toronto, in Canada, il direttore dell’Istituto statunitense per la ricerca sulle malattie infettive ribadisce che la battaglia per combattere il virus HIV non è ancora finita

 

La Commissione europea lancia l’allarme incendi nella penisola iberica

 

La “Regata della Pace”, da Tunisi a Tiro, dedicata quest’anno alla crisi mediorientale

 

E’ in corso a Praga l’assemblea generale dell’Unione astronomica internazionale

 

24 ORE NEL MONDO:

Un soldato americano e 4 civili iracheni uccisi oggi in Iraq

 

15 membri di un’équipe medica locale sono stati rapiti nel Sud dell’Afghanistan

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 agosto 2006

 

 

L’UMANITA’ DI BENEDETTO XVI AL SERVIZIO DELLA CHIESA E DEL DIALOGO

 TRA I POPOLI E LE CULTURE: SULL’INTERVISTA DEL PAPA ALLA NOSTRA EMITTENTE,

 LA RIFLESSIONE DEL SOCIOLOGO DELLE RELIGIONI, FRANCO GARELLI

 

I grandi successi della tecnica, pur avendo migliorato la condizione dell’umanità, “lasciano però senza soluzione i quesiti più profondi dell’animo umano”. E’ uno dei passaggi forti della catechesi di Benedetto XVI all’udienza generale di ieri, a Castel Gandolfo. Il Papa ha ribadito che “solo l’apertura al mistero di Dio, che è Amore, può colmare la sete di verità e di felicità del nostro cuore”. Una riflessione, questa, che richiama un passaggio dell’intervista concessa dal Papa nei giorni scorsi alla nostra emittente e a tre Tv tedesche. “Il progresso – aveva affermato il Santo Padre ai nostri microfoni – può essere progresso vero solo se serve alla persona umana e se la persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo potere tecnico, ma anche la sua capacità morale”. Come prevedibile, l’intervista al Papa ha destato ampia eco, anche per aver toccato molteplici aspetti non legati esclusivamente alla vita della Chiesa. E’ stata inoltre un’occasione che ha offerto molti spunti sulla personalità stessa di Benedetto XVI. Fabio Colagrande ne ha parlato con il prof. Franco Garelli, sociologo della conoscenza e delle religioni, all’Università di Torino:

 

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R. – Ci sono molti passi in cui il Papa, da un lato, fa vedere il lato umano della sua vita e del suo essere anche Papa. Dall’altro lato, interloquisce con il giornalista in modo trasparente. C’è una sorta di spontaneità che emerge in tutta l’intervista, sia quando lui parla delle questioni o degli affetti personali, sia quando risponde come Papa, come capo della Chiesa, ad una serie di interrogativi.

 

D. – Dall’intervista emerge anche la figura di un Papa meno ‘programmato’ di quanto si possa pensare…

 

R. – E’ un Papa che sente forse un po’ il vincolo del protocollo e ogni tanto cerca di fare degli strappi. Ad esempio, ogni tanto programma delle visite non previste e si lascia scappare degli impegni a cui poi dovrà far fronte… eventi non programmati dal suo entourage. Ma più in generale, a me ha molto colpito quando il Papa dice che si potrebbero fare dei grandi film su grandi figure del cristianesimo: fa riferimento a Gregorio di Nazianzo e dice: “Anche perché era un Santo che ogni tanto cercava di sottrarsi al peso del suo ruolo!”.

 

D. – Quale immagine di Chiesa deriva da questa intervista?

 

R. – E’ difficilissimo che la gente possa normalmente incontrare o conoscere il pensiero di alte cariche nel mondo. Il fatto che il Papa riesca in qualche modo, con semplicità, a comunicare che c’è un disegno, che non tutto in questo disegno è prefigurato e che c’è una riflessione che si sta portando avanti, credo che sia un messaggio rilevante che emerge da questa intervista. Vediamo come il Papa intende governare la Chiesa e il fatto molto rilevante che lui comunica che ha già incontrato i vescovi dell’Africa e in parte dell’Asia. Se c’era una critica che stava emergendo o una riserva era che questo fosse un Papa sostanzialmente eurocentrico, mentre si vede che qui c’è una collegialità che si sta delineando, tipica di un Papa che incontra tutti i vescovi. Quindi, in qualche modo, si rende conto della polifonia delle culture che la Chiesa rappresenta. Questo a me è sembrato davvero un elemento di grande rilievo. C’è poi l’altro aspetto, per cui si avverte la società e la secolarizzazione, ma in qualche modo c’è sempre questa dimensione positiva che sta prendendo, forse, più corpo nel discorso del Papa.

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BENEDETTO XVI NOMINA MONS. JAMES PATRICK GREEN NUNZIO IN SUD AFRICA

E NAMIBIA. AL PRESULE ANCHE L’INCARICO DI DELEGATO APOSTOLICO IN BOTSWANA

 

Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Sud Africa e in Namibia, e delegato apostolico in Botswana, mons. James Patrick Green, dell’arcidiocesi statunitense di Filadelfia, finora consigliere di nunziatura presso la Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. In pari tempo, il Papa lo ha elevato alla sede titolare di Altino, con dignità di arcivescovo. Mons. Green è nato a Filadelfia nel 1950 ed è stato ordinato sacerdote nel 1976. Laureato in diritto canonico, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1987.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Il Papa pone nelle mani premurose della Regina della Pace le ansie dell'umanità: all'Angelus della Solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria la preghiera per la pace e per la riconciliazione in ogni luogo straziato dalla violenza.

Una nota dal titolo "Di fronte alla risoluzione numero 1701 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite". 

 

Servizio estero - Medio Oriente: si consolida il cessate-il-fuoco nel Sud del Libano. L'esercito di Beirut avvia il dispiegamento lungo il confine; l'ONU cerca di stringere i tempi per approntare la forza multinazionale.

 

Servizio culturale - In merito al volume di Francesco Tomatis "Filosofia della montagna" un articolo di Armando Rigobello dal titolo "Alpinismo e ascesi". 

 

Servizio italiano - Militari in Libano: verso il decreto.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 agosto 2006

 

 

SI SCHIERANO I PRIMI SOLDATI LIBANESI NEL SUD, DOVE L'ONU INVIERÀ

NUOVE FORZE DI PACE LA PROSSIMA SETTIMANA. L’ESERCITO ISRAELIANO,

CHE PROSEGUE NELLE OPERAZIONI DI RITIRO,

PARLA DI “TRASFERIMENTO DELLE RESPONSABILITÀ” NEL LIBANO MERIDIONALE

- Interviste con Ugo Draetta e con Silvio Greco -

 

Dopo quattro giorni di tregua con gli Hezbollah, continua il ritiro dei soldati israeliani dal sud del Libano, dove si sono già schierati i primi militari inviati da Beirut. Per la prossima settimana è atteso, inoltre, l’arrivo di altri caschi blu che si aggiungeranno a quelli già presenti in Libano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Per la prima volta, dopo 40 anni, truppe regolari libanesi si sono posizionate lungo il confine con Israele: dopo aver oltrepassato il fiume Litani, limite settentrionale dell’area di maggiore influenza degli Hezbollah, almeno 2500 soldati libanesi sono arrivati in una cittadina a pochi chilometri dal confine con lo Stato ebraico. Il piano, approvato martedì scorso dal governo libanese, prevede complessivamente l’invio di 15 mila soldati nel sud del Libano. Ma già poco dopo il dispiegamento delle prime truppe inviate da Beirut, l’esercito israeliano ha annunciato “il trasferimento delle responsabilità” nel Libano meridionale. Al contingente libanese saranno poi affiancate le truppe dell’UNIFIL, la forza di interposizione dell’ONU in Libano. Il comandante dei caschi blu nel Paese dei cedri ha annunciato che “nuove truppe delle Nazioni Unite sono attese all’inizio della prossima settimana”. Il contingente internazionale – ha detto il comandante senza fornire ulteriori dettagli – “sarà rafforzato con più soldati e con nuove regole di ingaggio”.

 

E proprio le modalità per garantire il cessate il fuoco e i compiti della forza internazionale sono stati al centro di una telefonata, ieri, tra il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, ed il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Prodi ha sottolineato come l’UNIFIL debba avere “un mandato chiaro, privo di ambiguità e con regole di ingaggio ben precise per i militari che saranno impegnati nella zona”. Prodi ha anche confermato la disponibilità italiana nell’ambito della missione e ribadito “un impegno parimenti significativo” per la ricostruzione. Il primo ministro libanese, Fuad Siniora, ha confermato inoltre al capo dell’esecutivo italiano, durante una “lunga e cordiale conversazione telefonica”, che gli Hezbollah hanno accettato le disposizioni della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite e che collaboreranno con la forza dell’ONU.

 

In Libano, il partito politico militare sciita fa sapere poi che “fino a quando non saranno disarmati i guerriglieri sciiti”, “non ci sarà alcun problema sul dispiegamento dell’esercito libanese e della forza internazionale”. Intanto, sul terreno la formazione sciita ha attivato la propria rete di istituzioni per portare aiuti alla popolazione e avviare la ricostruzione. Diversi combattenti, dopo aver riposto le uniformi, indossano adesso le vesti di assistenti sociali, operai e muratori. Si stima che almeno 15 mila case siano state completamente rase al suolo e che siano necessari 3 miliardi di dollari per la ricostruzione. Secondo fonti di intelligence statunitensi, più di 150 milioni di dollari sarebbero già stati trasferiti dall’Iran a istituti di credito vicini agli Hezbollah. A Beirut, infine, è atterrato oggi, dopo 36 giorni di blocco, il primo aereo ma l’apertura ufficiale dell’aeroporto di Beirut è prevista entro tre giorni.

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Nel sud del Libano si attende, dunque, il dispiegamento dei caschi blu come stabilito dalla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Ma si attendono anche, dall’ONU, risposte chiare sul mandato e sulle regole d’ingaggio. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Ugo Draetta, docente di diritto internazionale all’Università di Milano:

 

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R. – La Carta delle Nazioni Unite prevede due capitoli, il VI e il VII. Il VI si applica in caso di minacce alla pace o di violazione della pace in atto; il capitolo VII prevede l’uso della forza. Il testo della risoluzione 1701 non fa riferimento al capitolo VII. Ma precisa che vanno prese tutte le misure necessarie per aiutare le forze libanesi a prendere il completo controllo di quella zona. Il riferimento al possibile uso di “tutte le misure necessarie” potrebbe quindi far pensare al ricorso della forza. Ma non si fa, comunque, riferimento al capitolo VII.

 

D. – Quindi, di fatto, c’è un’ambiguità nella risoluzione ONU?

 

R. – La risoluzione è ambigua, come tutti i commentatori hanno rilevato. Per chiarirla, saranno importantissime le regole d’ingaggio che fisserà il Consiglio di sicurezza. Ritengo che il riferimento al capitolo VII, cioè al necessario uso della forza, sia implicito.

 

D. – Secondo lei, qual è lo scenario più possibile?

 

R. – I militari saranno sicuramente pronti a rispondere al fuoco. Se saranno attaccati, risponderanno; questo è chiaro. Il problema è se avranno un ruolo attivo nel disarmare i guerriglieri Hezbollah. Andranno a ricercare i rifugi di Hezbollah, le armi nascoste, condurranno questo tipo di azioni o si limiteranno solo a reazioni? Senza questo chiarimento, a mio avviso, non si dovrebbe partire; bisogna sapere, cioè, cosa si va a fare in Libano.

 

D. – Il partito politico militare degli Hezbollah ha avanzato delle riserve ed Israele ha dichiarato che risponderà ad eventuali attacchi. I soldati del contingente internazionale si troveranno tra due fuochi?

 

R. – E’ uno scenario pessimistico, però non è improbabile; non è improbabile che la forza UNIFIL, abituata finora al ruolo di semplice osservatore, trovi difficoltà se dovrà fermare un combattente Hezbollah che non vuole essere disarmato. Questo è il grosso punto interrogativo che dovrebbe essere risolto, più che sul piano militare, sul piano politico attraverso un negoziato in base al quale gli Hezbollah accettino veramente il disarmo.

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Il conflitto in Libano ha causato anche una grave emergenza ambientale. Nei giorni scorsi, l’ONU ha lanciato l’allarme per la marea di idrocarburi che sta inquinando le coste libanesi e siriane. L’olio combustibile è fuoriuscito dalle centrali elettriche bombardate da Israele. Tra le prime nazioni a rispondere all’appello dell’ONU, c’è l’Italia. Ma perché è urgente intervenire immediatamente? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Silvio Greco, commissario dell’ICRAM, l’Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologia applicata al mare:

 

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R. – E’ urgente intervenire, perché ovviamente più il tempo passa e più vi è una diffusione dell’inquinamento. Più si allarga la chiazza e più, di conseguenza, aumenta la zona che è poi interessata ad una contaminazione di questo olio pesante che tra l’altro, proprio per la sua natura chimica, non può essere neanche aggredito in modi diversi dall’aspirazione. Quindi, prima si interviene, prima si restringe la chiazza e si separa l’olio pesante dall’acqua.

 

D. – Quali sono i rischi per la popolazione civile di questo ulteriore dramma?

 

R. – Ormai il momento critico dell’inquinamento è stato l’incendio e la dispersione dell’argon nell’atmosfera. Quello, ormai, il danno l’ha già fatto: sono state immesse nell’atmosfera notevoli quantità di frazioni volatili di questo carburante e anche diossina prodotta dall’incendio. Ad oggi, il problema si trasferisce ai pesci e agli organismi viventi: il rischio è quello che si ingeriscano o si consumino pesci che sono venuti a contatto con questi elementi inquinanti.

 

D. – E’ possibile che la mobilitazione internazionale venga fatta in tempi brevi?

 

R. – L’Italia è stata il primo Paese a porsi questo problema. Il ministero dell’Ambiente ha già attivato un nucleo dell’ICRAM e, a giorni, dovrebbe partire un altro gruppo. Altre Nazioni che hanno risposto sono state la Norvegia e il Kuwait, che tra l’altro hanno ambedue grandi capacità operative in questo settore, vista tutta una serie di problemi che hanno già affrontato.

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IL DRAMMATICO CASO DELLA RAGAZZA PACHISTANA UCCISA NEL NORD ITALIA

PER AVER RIFIUTATO IL MARITO IMPOSTOLE DAL PADRE:

SECONDO LA PROCURA DI BRESCIA, SONO TRE GLI ASSASSINI.

E RESTA IL DIBATTITO SULLE DIFFICOLTA’ DI INTEGRAZIONE

- Con noi mons. Vincenzo Paglia -

 

Sono tre, secondo la Procura di Brescia, gli assassini di Hina Saalem, la giovane pachistana uccisa nel bresciano per aver rifiutato il marito impostole dal padre. Oltre a questi e allo zio, attualmente in stato di fermo, avrebbe partecipato al delitto anche il cognato della ragazza, latitante. Per il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, è “fondamentale l’adesione di chi si trasferisce in Italia ai principi umani che ne fondano la Costituzione, come il rispetto per le donne”. A questo proposito, Chiara Di Mattia ha intervistato mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo:

 

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R. – Non c’è dubbio che sia necessario, per chi entra in un Paese, accogliere il quadro istituzionale che regola la vita di questo Paese. Quest’episodio purtroppo non è il primo e questo caso ci obbliga a riflettere sulla complessità  dei diversi piani nei quali questo problema deve essere trattato. Non dobbiamo neppure dimenticare che certe atrocità non derivano solo da un problema giuridico, derivano da problemi anche tribali. A volte capitava anche in Italia, anche tra cattolici, per differenze di ordine sociale e culturale e non solo religiose.

 

D. – Episodi come questo possono generare diffidenza tra gli italiani o peggio ancora odio?

 

R. – Episodi di questo genere obbligano a chiarire e a ridefinire il quadro giuridico. Altra cosa è quella del rapporto tra immigrazione e cittadini residenti. Se per un verso è necessario chiarire il quadro giuridico, dall’altro verso è necessario avere la grande intelligenza di operare per una positiva integrazione. L’integrazione è necessaria ma non è scontata, richiede fatica e impegno e questo è il grande sforzo che tutti siamo chiamati a fare.

 

D. – Il rappresentante della comunità islamica di Brescia ha condannato il gesto del padre di Hina, ma è sembrata quasi una condanna proforma …

 

R. – La condanna deve essere chiara e ferma perché qui ci troviamo - come direbbe Papa Benedetto - nel campo del V comandamento, non uccidere. Quindi non c’è nessuna ragione al mondo che possa impedire o attutire la condanna di un omicidio. Nessuna religione può ammettere l’uccisione. Non c’è alcuna giustificazione, né naturale tanto meno religiosa, per un delitto di questo genere.

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CHIESA E SOCIETA’

17 agosto 2006

 

 

LA FASE DIOCESANA DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DI PAPA GIOVANNI PAOLO I

SI CHIUDERÀ ENTRO L’ANNO: AD ANNUNCIARLO, OGGI A CANALE D’AGORDO,

IN VENETO, IL VICE POSTULATORE, MONS. GIORGIO LISE, CHE HA PRESENTATO

LE CELEBRAZIONI PER IL 28.MO ANNIVERSARIO DELL’ASCESA AL SOGLIO PONTIFICIO DI PAPA LUCIANI, IL 26 AGOSTO PROSSIMO

- A cura di Roberta Moretti -

 

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CANALE D’AGORDO. = “Sono stati ascoltati 170 testimoni in 190 sessioni, ne mancano alcuni a Roma e Vittorio Veneto. La fase diocesana quindi è in dirittura d’arrivo ed entro novembre, in occasione forse della festa patronale di San Martino, l’11, si pensa di riuscire a chiuderla”: è quanto ha affermato stamani mons. Giorgio Lise, vicepostulatore della Causa di Beatificazione di Papa Albino Luciani, di cui il 26 agosto ricorrerà il 28.mo anniversario dell’ascesa al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo I. L’occasione è stata la presentazione delle celebrazioni in programma a Canale d’Agordo, il paese natale di Papa Luciani. L’attenzione è concentrata su un presunto miracolo avvenuto in Puglia: un uomo guarito da un tumore, senza una spiegazione scientifica. Mons. Lise ha sottoli-neato che il postulatore aveva già segnalato il caso alla Congregazione per le Cause dei Santi, che a sua volta aveva ritenuto la documentazione interessante, chiedendo di ricevere altre informazioni. “Adesso attendiamo risposta, ma siamo ottimisti”, ha commentato il vicepostulatore, che ha anche ricordato come la fama di santità che accompagna Giovanni Paolo I sia molto diffusa. Un dato testimoniato anche dalle numerose lettere e messaggi che il presule riceve come direttore delCentro Papa Luciani’ di Santa Giustina Bellunese. Le relazioni conclusive del lavoro della fase diocesana per la beatificazione, iniziata a Belluno nel 2003, saranno trasmesse alla Congregazione probabilmente entro fine anno. I tempi medi per l’esame della causa sono di circa dieci anni, che potrebbero però ridursi nel caso dell’attestazione dell’avvenuto miracolo. Intanto, la mattina del 26 agosto, il vescovo di Belluno-Feltre, mons. Giuseppe Andrich, salirà a Punta Rocca, sulla Marmolada, per la celebrazione di una Messa in ricordo di Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, mentre nel pomeriggio a Canale D'Agordo concelebrerà insieme a mons. Giuseppe Zenti, vescovo di Vittorio Veneto. Tra gli altri appuntamenti, il 24 agosto, il pellegrinaggio a piedi nei luoghi della fanciullezza e il 25 la presentazione del libro “Lo stupore di Dio Vita di Papa Luciani” di Nicola Scoppelliti e don Francesco Taffarel. Il 27 settembre, poi, la diocesi di Belluno-Feltre si recherà a Roma per partecipare all’udienza di Papa Benedetto XVI, mentre il 28, giorno della morte di Papa Luciani, mons. Andrich celebrerà la Messa nella Basilica San Pietro. (R.M.)

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SAREBBERO CENTINAIA, E NON MIGLIAIA, LE VITTIME DELLE INONDAZIONI

CHE HANNO COLPITO IL MESE SCORSO LA COREA DEL NORD: LO PRECISA STAMANI

LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA E DELLA MEZZALUNA ROSSA, CORREGGENDO LA STIMA DI 54.700 “TRA MORTI E DISPERSI”,

DIFFUSA IERI DA UN’ORGANIZZAZIONE SUDCOREANA

 

PYONGYANG. = Sarebbero nell’ordine di centinaia, e non di migliaia, le vittime delle inondazioni che hanno interessato il mese scorso la Corea del Nord: lo ha precisato stamani la Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, correggendo la stima diffusa da ‘Good Friends’, organizzazione sud-coreana considerata ben informata sulla situazione in nord Corea, che ieri aveva parlato di 54.700 “tra morti e dispersi” e di 2 milioni e mezzo di senzatetto. All’inizio del mese, senza rivelare le sue fonti, la stessa ‘Good Friends’ aveva parlato di circa 10 mila vittime. Secondo il quotidiano giapponese favorevole al regime di Pyongyang, Choson Shinbo, sarebbero invece almeno 549 i morti e 294 i dispersi. Oltre 7 mila le abitazioni distrutte o danneggiate e 16 mila gli ettari di terra coltivata spazzati via. Intanto, la Corea del Nord ha ammesso oggi di essere disposta ad accettare gli aiuti offerti dal Programma alimentare mondiale e dalla Croce Rossa sudcoreana, rifiutati precedentemente. In particolare, è atteso per sabato un primo incontro tra i rappresentanti della Croce Rossa delle due Coree per discutere dei termini dell’intervento. Seoul aveva interrotto la sua regolare assistenza alimentare in nord Corea per sfamare 23 milioni di cittadini: aveva congelato i suoi aiuti a Pyongyang, in seguito ai test missilistici del 5 luglio scorso. (R.M.)

 

 

NONOSTANTE I RISULTATI OTTENUTI FINO A OGGI, LA BATTAGLIA PER COMBATTERE L’AIDS NON È ANCORA FINITA: LO HA RIBADITO IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO

STATUNITENSE PER LA RICERCA SULLE MALATTIE INFETTIVE (NIAID), FAUCI,

DURANTE I LAVORI DEL 26. MO CONGRESSO MONDIALE SULL’AIDS,

IN CORSO A TORONTO, IN CANADA

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

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TORONTO. = La battaglia per combattere l’AIDS, nonostante i risultati ottenuti fino ad oggi, non è ancora finita. E’ uno degli impegni emersi a Toronto, dove, fino al 18 agosto, è in corso il 26esimo congresso mondiale sull’AIDS. L’iniziativa è un’occasione per guardarsi indietro e fare un bilancio sulla lotta all’AIDS. A ripercorrere questi 25 anni, fatti di successi, di speranze e anche di delusioni è stato Anthony Fauci, direttore dell'Istituto statunitense per la ricerca sulle malattie infettive (NIAID) che ha individuato i momenti chiave di questa storia. Innanzi tutto la scoperta del virus, nel 1983, da parte di Gallo e Montagnier, poi l’arrivo del test per la ricerca degli anticorpi, quindi i continui progressi nella ricerca sui farmaci. Farmaci che hanno permesso a tanti di sopravvivere ad una malattia la cui diagnosi, per anni, è stata sinonimo di una condanna. Ma Fauci non si fa illusioni: la battaglia non è terminata. Guardando al futuro c’è ancora tanto lavoro da fare. La ricerca tende a definire meglio il comportamento del virus, una tappa essenziale per la scoperta del vaccino. D’altro canto, però, i farmaci non sono tutto: nei Paesi in via di sviluppo soltanto 1,3 milioni di persone hanno oggi la possibilità di curarsi. Bisogna quindi garantire una maggiore diffusione delle cure. In altre parole, come ribadito più volte a Toronto in questi giorni, serve un approccio globale contro il virus che passi anche attraverso la prevenzione. Ma per tenere in piedi questa macchina, servono risorse. L’obbiettivo delle Nazioni Unite è di ridurre drasticamente l’impatto dell’epidemia entro il 2015. Per farlo, però, servono 22 miliardi di dollari.

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LA COMMISSIONE EUROPEA LANCIA L’ALLARME INCENDI NELLA PENISOLA IBERICA.

IN DUE SETTIMANE, È BRUCIATO CIRCA IL DOPPIO DELLA SUPERFICIE

ARSA DALLE FIAMME IN TUTTA EUROPA NEI PRIMI 7 MESI DELL’ANNO

 

BRUXELLES. = In due settimane, nella sola regione spagnola della Galizia e in Portogallo sono bruciati 122 mila ettari di boschi, una superficie circa due volte più grande rispetto a quella arsa dalle fiamme nei primi 7 mesi dell’anno in tutta Europa: è l’impressionante dato diffuso ieri dalla Commissione Europea, che ha lanciato l’allarme sulla base delle cifre pubblicate dal Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi (EFFIS), che segue via satellite gli incendi riguardanti aree superiori a 50 ettari. Tra il 31 luglio e il 14 agosto, infatti, in Galizia le superfici bruciate sono aumentate da 2.242 a 86.231 ettari, mentre in Portogallo sono passate da 13.591 a 36.290, per un totale di 122.521 ettari. Una cifra davvero consistente, rispetto ai 64.500 ettari di superficie boschiva dell’Unione Europea colpita da incendi da gennaio a luglio 2006. Questi stessi dati, tuttavia, indicano che la situazione europea appare in generale meno critica di quella dello scorso anno, perché negli ultimi sette mesi sono andati in fiamme solo il 10 per cento dei boschi bruciati nell’intero 2005: lo stesso anno si era registrato un aumento sia delle superfici bruciate, sia degli episodi di incendio rispetto alla media degli ultimi 25 anni nei cinque Paesi del Sud Europa (Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia). (R.M.)

 

 

APPRODATI IERI A NAPOLI, IN ITALIA, I PARTECIPANTI ALLA “REGATA DELLA PACE”. L’INIZIATIVA, CONOSCIUTA CON IL NOME “ROUTE D’ELISSA”, SI SVOLGE DA TUNISI

A TIRO, IN LIBANO, ED E’ DEDICATA QUEST’ANNO ALLA CRISI MEDIORIENTALE

 

NAPOLI. = “Ovunque la mia barca si avvicinerà, dirò agli amici e soprattutto ai nemici che è davvero l’ora di abbassare le armi e che dopo aver così tanto sofferto insieme, dobbiamo ora imparare a volerci bene”: a leggere le parole di Elissa, meglio conosciuta come Didone, regina libanese fondatrice dell’antica Cartagine, è stata ieri, nel porto di Napoli, Aisha Ayari, una delle organizzatrici della “Regata della Pace”. L’iniziativa, conosciuta con il nome “Route d’Elissa”, si tiene ogni anno da Tunisi a Tiro, nel Libano, e prevede la partecipazione di cinque equipaggi internazionali, inviati in cinque porti del Mediterraneo: Valencia, Marsiglia, Monaco, Atene e Napoli. Quest’anno, a causa della guerra in Libano, la competizione si è trasformata in “Regata della pace”. Ieri, ad accogliere nel porto di Napoli la barca a vela battente bandiera libanese, c’erano anche l’assessore al Lavoro della Regione Campania, Corrado Gabriele, e il consigliere diplomatico del presidente Bassolino, Antonio D’Andria. Gli equipaggi sono esclusivamente femminili, “perché – ha spiegato Aisha – la donna è ambasciatrice e simbolo di pace”. Tutte le imbarcazioni sono partite dal porto di Cartagine il 13 agosto, giorno della festa della donna in Tunisia, dove “proprio quest’anno – ha precisato Aisha – si festeggiano i 50 anni dello Statuto della donna e della famiglia”. “Vogliamo lanciare un messaggio universale di pace in un periodo difficile per il Mediterraneo”, ha aggiunto. Prima di arrivare nel porto di Napoli, l’imbarcazione libanese è stata accolta dalla motovedetta della capitaneria di porto e dalla pilotina dell’area marina protetta di Punta Campanella. La Proloco di Massalubrense ha organizzato una scorta con alcune barche d’epoca, tra cui la “Santarosa” del 1950 e un gruppo di “dinghy”, piccole imbarcazioni da regata. Il corteo è passato al largo dello scoglio del Vervece, sulla cui parete sono incastonate le targhe di 22 nazioni che ricordano i caduti in mare. (R.M.)

 

 

TRE NUOVI PIANETI POTREBBERO ENTRARE A FAR PARTE DEL SISTEMA SOLARE.  

LA RIVOLUZIONARIA DECISIONE, LEGATA A UN NUOVO CONCETTO DI “PIANETA”,

POTREBBE ESSERE PRESA ENTRO LA FINE DELLA SETTIMANA A PRAGA DAGLI STUDIOSI  DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’UNIONE ASTRONOMICA INTERNAZIONALE (IAU)

 

PRAGA. = Aumentare la composizione del sistema solare da nove a 12 pianeti, con l’aggiunta di tre nuovi corpi celesti: Cerere, Caronte e UB 313: è questa la ‘rivoluzionaria’ decisione che potrebbero prendere entro la fine della settimana gli studiosi dell’Unione Astronomica Internazionale, (IAU), riuniti dal 14 agosto a Praga. Il cambiamento potrebbe essere determinato dalla nuova definizione che gli studiosi attribuiscono al concetto di “pianeta”: un oggetto in orbita intorno a una stella, ma non satellite di un altro pianeta, (il che esclude la Luna e altre lune più grandi di altri pianeti), che abbia una massa sufficiente perché la propria gravità ne determini una forma quasi sferica. Secondo il presidente dell’IAU, Ron Ekers, “la vecchia definizione di pianeta, inteso come oggetto che si muove rispettando uno schema fisso, non può più essere valida nell’era dei telescopi tecnologici”. I tre nuovi pianeti che dovrebbero essere inseriti sono Caronte, prima considerato come luna di Plutone, ma ora descritto come suo doppio pianeta; Cerere, conosciuta dal 1801 come l’asteroide tra Marte e Venere; e UB313, identificato lo scorso anno al di là dell’orbita di Nettuno e più grande di Plutone. “Se dovesse passare la risoluzione con la nuova definizione di pianeta – ha affermato uno scienziato della commissione – ci sarebbero una o altre due dozzine di oggetti nel sistema solare che un giorno potrebbero essere inclusi nelclub planetario’”. (A.Gr.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

17 agosto 2006

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

 

Non c’è tregua nello Sri Lanka tra l’esercito nazionale e i ribelli delle Tigri tamil. 98 guerriglieri sono stati uccisi da militari srilankesi, secondo quanto riferito da fonti governative. Il portavoce del ministro della Difesa ha parlato di “un’azione difensiva” dopo un attacco notturno dei ribelli sferrato dal mare contro una base militare nella penisola di Jaffna. Dal canto suo, il presidente srilankese, Rajapakse, aveva affermato ieri che “per i ribelli Tamil resta aperta la porta dei colloqui di pace”. Intanto, la Norvegia, che si è fatta carico della mediazione, sta tentando di riannodare la trama del negoziato tra il governo di Colombo e la guerriglia tamil. Gli scontri tra militari e ribelli, solo quest’anno, hanno provocato 800 morti, tra cui molti civili.

 

Ancora violenze in Iraq. Oggi un soldato americano è stato ferito a morte nella provincia di Al-Anbar e almeno 4 persone hanno perso la vita in un attentato a Sadr City, il quartiere sciita di Baghdad. Solo ieri una serie di attentati aveva fatto 20 vittime in tutto il Paese. Della difficile situazione irachena ha parlato ieri il presidente Bush precisando che non è possibile avviare un ritiro accelerato delle truppe americane, senza il rischio di vedere nascere in Iraq uno Stato terrorista.

 

Sempre tesa la situazione in Afghanistan. 15 membri di un’equipe medica afghana sono stati rapiti da sconosciuti mentre, a bordo del loro bus, si recavano in un campo di rifugiati collocato nel sud del Paese. L’episodio è avvenuto nella provincia di Kadahar. Secondo responsabili del gruppo, al momento non ci sono stati contatti con i rapitori. Intanto, sempre nella zona sud del Paese, un soldato americano e otto poliziotti afghani sono stati feriti in due diversi attentati suicidi. Ieri invece, nella provincia orientale di Kunar, alcuni soldati della coalizione, guidata dagli Stati Uniti, hanno ucciso otto estremisti islamici.

 

Proseguono le ostilità nella Striscia di Gaza. Un palestinese è stato ucciso oggi da fuoco israeliano nel campo di El Bureij, nel centro della Striscia. In mattinata un nuovo raid aereo israeliano ha distrutto un’officina meccanica, che si riteneva fosse utilizzata da militanti palestinesi come fabbrica per confezionare armi.

 

E’ stato rilasciato senza accuse uno dei 24 arrestati in Gran Bretagna per gli sventati attentati terroristici della settimana scorsa. Intanto, nuove misure antiterrorismo sono state discusse ieri a Londra dai Paesi che reggeranno la presidenza europea nei prossimi semestri. Dalla capitale britannica, il servizio di Sagida Syed:

 

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L’Europa mantiene alto il livello di guardia, già scattato dopo gli attacchi nella capitale inglese, il 7 luglio 2005. Saranno incrementate le misure di controllo su Internet le intercettazioni telefoniche. Aumenterà la spesa per la prevenzione degli esplosivi chimici del tipo che sarebbe stato usato dai kamikaze del fallito attentato sui voli transatlantici, sventato il 10 agosto. Franco Frattini, commissario europeo alla Sicurezza, ha annunciato che sarà allestita un’equipe di esperti antiterrorismo e ha aggiunto che verranno valutate nuove forme di controllo negli aeroporti e che potrebbero essere introdotti identificatori biometrici. Il vertice ha anche portato ad una maggiore collaborazione tra tutte le autorità di intelligence degli Stati europei e al dialogo con i leader delle comunità musulmane. Al vaglio anche la proposta di addestrare degli imam contro il terrorismo, che si insidia nelle nuove generazioni di islamici nati in Occidente.

 

Da Londra, per la Radio Vaticana, Sagida Syed.

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La Russia ha minacciato gli Stati Uniti di sopprimere le condizioni preferenziali di cui beneficiano gli esportatori di carni americane se si dovessero bloccare i negoziati bilaterali per l’ingresso della Russia nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. La posizione di Mosca è contenuta in un comunicato del ministero dell’Economia russo.

 

In Messico, in attesa della sentenza sul vero vincitore delle elezioni presidenziali dello scorso 2 luglio, il Tribunale elettorale federale ha già sancito, ieri, il risultato definitivo per quanto riguarda il Parlamento. Il Partito d’Azione Nazionale (PAN) del presidente Fox avrà il controllo delle due camere, anche se sarà costretto a cercare alleanze per formare una maggioranza stabile. Ce ne parla Luis Badilla:

 

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Il Partito d’Azione Nazionale (PAN) di Felipe Calderón avrà al senato la maggioranza relativa di 52 seggi. Un dato, questo, che però non sarà sufficiente per sostenere da solo, un governo stabile e duraturo. Il Partito Istituzionale Rivoluzionario (PRI), che ha governato il Messico per oltre 70 anni, fino alla vittoria del presidente uscente Vicente Fox, avrà 33 seggi, mentre al partito di Lopez Obrador (PRD, Partito della Rivoluzione Democratica) andranno 28 seggi. Alla camera bassa, il partito del team FoxCalderón, potrà contare su 206 seggi, il PRD su 123 e il PRI su 105. In realtà, come sottolinea oggi la stampa messicana, si tratta di una sentenza scontata, poiché sulle legislative non c’erano gravi denunce di brogli ed irregolarità. Sia Calderón sia López avevano infatti accettato il conteggio delle preferenze per la formazione del Senato e della Camera. La questione di fondo, come si sa, riguarda invece il conteggio dei voti per l’elezione del Presidente della Repubblica. Secondo un primo risultato, avrebbe vinto Felipe Calderón con uno scarto di circa 240mila voti. Andrés López Obrador ha contestato il risultato denunciando gravi irregolarità amministrative ed elettroniche e, dopo una complessa battaglia legale, ha ottenuto l’autorizzazione per un nuovo conteggio, ma solo di 11.839 urne su un totale di 130.477. In questo quadro tutti in Messico, ma anche fuori, attendono la sentenza che determinerà definitivamente – si spera, ma non è detto che sarà così – il nome del nuovo presidente del Paese. In teoria c’è tempo fino al 6 settembre per emettere la sentenza, ma, fino ad oggi, fonti vicine all’organo costituzionale hanno sempre fatto capire che il risultato sarà reso pubblico entro il 18 agosto.

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Il presidente Alvaro Uribe ha ordinato ieri l’arresto dei vertici dei gruppi paramilitari di destra, denominati “Autodifese unite della Colombia” (AUC). Nel 2003 sono partite le trattative fra il governo di Bogotà e il gruppo paramilitare per un progressivo disarmo e reinserimento nella società civile. Da allora circa 30.000 uomini hanno accettato il progetto. La scorsa settimana, tuttavia, i vertici paramilitari hanno rifiutato di aderire completamente alla cosiddetta Legge di Giustizia e Pace, approvata dal Parlamento, giudicandola troppo severa.

 

In India cinque persone - fra cui un bambino - sono morte nell’esplosione di un ordigno, avvenuta nella tarda serata di ieri in un tempio dedicato a Krishna nel nord-est del Paese. Fra le centinaia di devoti che assistevano ad una cerimonia in ricordo della nascita del dio Krishna, ci sarebbero anche una trentina di feriti. Al momento nessun gruppo ha rivendicato l’attentato, ma la zona è scossa da diverse organizzazioni separatiste.

In Indonesia, il ministero della Sanità ha confermato che una bambina di nove anni morta all’inizio della settimana é la 45/esima vittima dell’influenza aviaria nel Paese asiatico. La bambina è morta martedì, sull’isola di Giava, dove si sono registrati molti focolai della malattia negli allevamenti di pollame.

 

 

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