RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 227 - Testo della trasmissione di martedì15 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il Papa terrà l’udienza generale domani alle 11.00 a
Castel Gandolfo
OGGI IN PRIMO PIANO:
Regge la tregua in Libano, dove
i soldati israeliani lasciano il Sud e gli sfollati tornano a casa
CHIESA E SOCIETA’:
Autorizzata dal leader
nordcoreano Kim Jong Il la costruzione di una chiesa ortodossa a Pyongyang
Oggi, nel Duomo di
Monterotondo, i funerali di Angelo Frammartino, il giovane volontario
italiano ucciso giovedì scorso a Gerusalemme
15 agosto 2006
NELLA FESTA DELL'ASSUNZIONE IL PAPA AFFIDA ALLA
REGINA DELLA PACE
LE
ANSIE DELL'UMANITÀ PER OGNI LUOGO STRAZIATO DALLA VIOLENZA
Nella Festa dell’Assunzione della Vergine il Papa, durante
l’Angelus a Castel Gandolfo, invoca
Maria, Regina della pace, perché ottenga la concordia per tutto il mondo. Il
suo pensiero è andato ancora una volta al Libano e alla Terra Santa, ma anche
all’Iraq e allo Sri Lanka. Il servizio è di Sergio Centofanti.
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Il Papa parla della “consolante verità di fede”
dell’Assunzione in cielo di Maria: “nel suo trionfo – rileva – il popolo
cristiano pellegrino nella storia intravede il compimento delle sue attese e il
segno certo della sua speranza”. “Maria
– aggiunge Benedetto XVI – è esempio e
sostegno per tutti i credenti: ci incoraggia a non perderci di fiducia dinanzi
alle difficoltà e agli inevitabili problemi di tutti i giorni. Ci assicura il
suo aiuto e ci ricorda che l’essenziale è cercare e pensare alle cose di lassù,
non a quelle della terra” :
“Presi dalle
occupazioni quotidiane rischiamo infatti di ritenere che sia qui, in questo
mondo nel quale siamo solo di passaggio, lo scopo ultimo dell’umana esistenza.
Invece è il Paradiso la vera meta del nostro pellegrinaggio terreno. Quanto diverse
sarebbero le nostre giornate se ad animarle fosse questa prospettiva! Così è
stato per i santi. Le loro esistenze testimoniano che quando si vive con il
cuore costantemente rivolto al cielo, le realtà terrene sono vissute nel loro
giusto valore perché ad illuminarle è la verità eterna dell’amore divino”.
Quindi il Papa invoca l’intercessione della Vergine per la
pace:
“Alla Regina della
pace, che contempliamo nella gloria celeste, vorrei affidare ancora una volta
le ansie dell’umanità per ogni luogo del mondo straziato dalla violenza”.
Il Papa si unisce a quanti si sono raccolti nel Santuario
di Nostra Signora del Libano ad Harissa per una Celebrazione eucaristica
presieduta dal cardinal Roger Etchegaray, che si è recato in Libano come suo
Inviato Speciale, “per portare conforto e concreta solidarietà a tutte le
vittime del conflitto e pregare per la grande intenzione della pace”. Ed
esprime la sua comunione anche con i pastori e i fedeli della Chiesa in Terra
Santa, riuniti nella Basilica dell’Annunciazione a Nazareth, attorno al
rappresentante pontificio in Israele e Palestina, l’arcivescovo Antonio Franco,
“per pregare per le stesse intenzioni”.
Il pensiero del Papa si volge infine anche ad altri due Paesi sconvolti
da drammatiche guerre:
“Il mio pensiero va
pure alla cara Nazione dello Sri Lanka, minacciata dal deterioramento del
conflitto etnico; all’Iraq, dove la spaventosa e quotidiana scia di sangue
allontana la prospettiva della riconciliazione e della ricostruzione. Ottenga Maria
per tutti sentimenti di comprensione, volontà di intesa e desiderio di concordia!”
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NELLA MESSA
PER LA SOLENNITA’ DELL’ASSUNZIONE DI MARIA IN CIELO,
IL PAPA NELLA PARROCCHIA PONTIFICIA DI CASTEL
GANDOLFO, HA SOTTOLINEATO
CHE ATTRAVERSO MARIA COMPRENDIAMO CHE L’AMORE DI DIO
PREVALE SEMPRE
SULLA VIOLENZA DEL MONDO
Prima
dell’Angelus, il Papa ha celebrato la Santa Messa per la Solennità
dell’Assunzione di Maria, nella parrocchia pontificia San Tommaso da Villanova,
in Castel Gandolfo. Benedetto XVI ha affermato che nel volto della Vergine possiamo
vedere la bellezza di Dio e, attraverso il suo esempio, sperimentare che
l’amore di Dio vince sempre il male. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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(cori)
Maria, dimora
di Dio, ci indica la via per trovare la vera felicità. Nell’omelia, tenuta a
braccio, il Papa ha sottolineato come Maria ci mostri che non l’odio, ma
l’amore di Dio vince nella storia e, con questo amore, prevale la pace.
Richiamandosi alla Prima Lettura, tratta dall’Apocalisse di San Giovanni,
Benedetto XVI ha affermato che Dio sconfigge il drago, simbolo di tutti i
poteri della violenza del mondo. Riflessione corredata da un’invocazione a
Maria per la pace tra i popoli:
“Preghiamo Maria, la
Regina della Pace, perché aiuti per la vittoria della pace, oggi”.
Maria, ha affermato il Papa, è Beata per tutte le
generazioni perché ha creduto, “perché è unita a Dio, vive con Dio”. Maria, ha
proseguito, “ha preparato qui in terra la dimora per Dio con corpo e anima” ed
ha “aperto la terra per il cielo”. E questo, ha detto, “è tutto il contenuto
del dogma dell’Assunzione di Maria alla gloria del cielo”. Quindi, è tornato a sottolineare il
significato fondamentale delle parole di Elisabetta alla Madre di Dio: “Beata
colei che ha creduto”:
“Il primo e
fondamentale atto per trovare dimora in Dio e per trovare così la felicità definitiva
è credere. E’ la fede, la fede in Dio, quel Dio che si è mostrato in Gesù
Cristo e si fa sentire nella Parola divina della Sacra Scrittura”.
Credere, ha detto ancora, “non è aggiungere
un’opinione ad altre”. Se Dio non c’è, infatti, “la vita è vuota, il futuro è
vuoto”. Se Dio c’è, invece, “tutto è cambiato, la vita è luce, il nostro
avvenire è luce e abbiamo l’orientamento per come vivere”. Maria, è la riflessione
del Pontefice, oltre a questo “atto fondamentale della fede, che è un atto
vitale” aggiunge nel Magnificat: “Stende la sua misericordia su quelli
che lo temono”. Parla dunque del “timor di Dio”. Un timore, ha spiegato il
Papa, che non è angoscia, giacché come figli “non abbiamo angoscia del Padre”:
“Timor di Dio è quel
senso di responsabilità che noi dobbiamo avere, responsabilità, per la porzione
del mondo che ci è affidata nella nostra vita. Responsabilità di amministrare
bene questa parte del mondo e della storia che siamo noi e così servire per
l’edificazione giusta del mondo, servire per la vittoria del bene e della pace”.
In una parrocchia gremita di fedeli, che hanno
pregato per la pace in Medio Oriente, il Papa ha dunque voluto ribadire che
“proprio vedendo il volto di Maria” possiamo vedere la “bellezza di Dio, la sua
bontà, la sua misericordia”.
(cori)
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IL PAPA TERRA’ L’UDIENZA GENERALE DOMANI ALLE
11.00 A CASTEL GANDOLFO
Domani mattina alle 11.00
il Papa terrà l’udienza generale del mercoledì nel Cortile del Palazzo
Apostolico di Castel Gandolfo.
IL RUOLO DELLA DONNA NELLA CHIESA,
DELLA MODERNITA’, TRA I TEMI TRATTATI DAL PAPA
NELL’INTERVISTA RILASCIATA
A TRE TV TEDESCHE E ALLA RADIO VATICANA.
OGGI LA SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA
Ha fatto il giro del mondo l’intervista rilasciata da
Benedetto XVI a tre TV tedesche e alla
Radio Vaticana, e trasmessa ieri dal nostro Radiogiornale. Molti commentatori
hanno messo in risalto la frase in cui il Papa afferma che “il cattolicesimo non è un cumulo di
proibizioni ma un’opzione positiva” e che bisogna far capire all’uomo di oggi
che “credere è bello”, per “riscoprire” il “volto umano” di Dio in Cristo. Molti gli argomenti toccati dal Papa in
questa lunga intervista, di cui oggi vogliamo offrirvi la seconda parte. Tra
questi il ruolo della donna nella Chiesa. Ascoltiamo le parole di Benedetto
XVI:
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R. – Ja, darüber wird natürlich sehr nachgedacht. …
Su questo argomento
naturalmente si riflette molto. Come Lei sa, noi riteniamo che la nostra fede,
la costituzione del Collegio degli Apostoli ci impegnino e non ci permettano di
conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne. Ma non bisogna neppure pensare
che nella Chiesa l’unica possibilità di avere un qualche ruolo di rilievo sia
di essere sacerdote. Nella storia della Chiesa vi sono moltissimi compiti e
funzioni. A cominciare dalle sorelle dei Padri della Chiesa, per giungere al
medioevo, quando grandi donne hanno svolto un ruolo molto determinante, e fino
all’epoca moderna. Pensiamo a Ildegarda di Bingen, che protestava con forza nei
confronti di Vescovi e del Papa; a Caterina da Siena e a Brigida di Svezia.
Così anche nel tempo moderno le donne devono – e noi con loro – cercare sempre
di nuovo il loro giusto posto. Oggi, esse sono ben presenti nei Dicasteri della
Santa Sede. Ma c’è un problema giuridico: quello della giurisdizione, cioè il
fatto che secondo il Diritto Canonico il potere di prendere decisioni
giuridicamente vincolanti è legato all’Ordine sacro. Da questo punto di vista
vi sono quindi dei limiti. Ma io credo che le stesse donne, con il loro slancio
e la loro forza, con la loro – per così dire - preponderanza, con la loro
“potenza spirituale”, sapranno farsi il loro spazio. E noi dovremmo cercare di
metterci in ascolto di Dio, per non essere noi ad opporci a Lui, ma anzi ci
rallegriamo che l’elemento femminile ottenga nella Chiesa il posto operativo
che gli conviene, a cominciare dalla Madre di Dio e da Maria Maddalena.
D. – In tutto il mondo i
credenti attendono dalla Chiesa cattolica risposte ai problemi globali più
urgenti, come l’AIDS e la sovrappopolazione. Perché
R. – Ja, nun, das ist die Frage: Stellen wir
wirklich die Moral so heraus? …
Già, questo è il problema:
insistiamo veramente tanto sulla morale? Io direi – me ne sono convinto sempre
più anche nel dialogo con i Vescovi africani – che la questione fondamentale,
se vogliamo fare dei passi avanti in questo campo, si chiama educazione,
formazione. Il progresso può essere progresso vero solo se serve alla persona
umana e se la persona umana stessa cresce; se non cresce solo il suo potere
tecnico, ma anche la sua capacità morale. E penso che il vero problema della
nostra situazione storica sia lo squilibrio fra la crescita incredibilmente
rapida del nostro potere tecnico e quella della nostra capacità morale, che non
è cresciuta in modo proporzionale. Perciò la formazione della persona umana è
la vera ricetta, la chiave di tutto direi, e questa è anche la nostra via. E
questa formazione ha – per dirla in breve - due dimensioni. Anzitutto
naturalmente dobbiamo imparare: acquisire sapere, capacità, know-how come si
suol dire. In questa direzione l’Europa, e l’America negli ultimi decenni,
hanno fatto molto, ed è una cosa importante. Ma se si diffonde solo know-how,
se si insegna solo come si costruiscono e usano le macchine, e come si
impiegano i mezzi di contraccezione, allora non bisogna poi meravigliarsi che
alla fine ci si ritrovi con le guerre e con le epidemie di AIDS. Noi abbiamo
bisogno di due dimensioni: ci vuole allo stesso tempo la formazione del cuore –
se così posso esprimermi – con cui la persona umana acquisisce dei riferimenti
e impara così anche ad usare correttamente la tecnica, che pure ci vuole. Ed è
questo che cerchiamo di fare. In tutta l’Africa e anche in molti paesi
dell’Asia abbiamo una grande rete di scuole di ogni grado, dove anzitutto si
può imparare, acquisire vera conoscenza, capacità professionale, e con ciò
raggiungere autonomia e libertà. Ma in queste scuole noi cerchiamo appunto non
solo di comunicare know-how, ma di formare persone umane, che vogliano
riconciliarsi, che sappiano che dobbiamo costruire e non distruggere, e che
abbiano i riferimenti necessari per saper convivere. In gran parte dell’Africa
le relazioni fra musulmani e cristiani sono esemplari. I Vescovi hanno formato
comitati comuni insieme con i musulmani per vedere come creare pace nelle
situazioni di conflitto. E questa rete delle scuole, dell’apprendimento e della
formazione umana, che è molto importante, viene completata da una rete di
ospedali e di centri di assistenza, che raggiunge capillarmente anche i
villaggi più remoti. E in molti luoghi, dopo tutte le distruzioni della guerra,
D. – Le società moderne
nelle decisioni importanti riguardo alla politica e alla scienza non si
orientano secondo i valori cristiani e
R. – Ja, ich würde sagen, das ist auf jeden Fall
ein Auftrag an uns, …
Direi che in ogni caso
abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di
positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le
religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche l’anima
asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità.
È importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è
importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede
cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri
mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua
tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca
in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal
quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo,
possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale
viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una
razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo
mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo
per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva
anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di
mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così
dire – ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.
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NESSUN ACCORDO DI PACE POTRA’
DURARE SE NON E’ ACCOMPAGNATO DALLA PACE
NEI CUORI: COSI’, IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY, INVIATO
SPECIALE DEL PAPA
IN LIBANO, NELLA MESSA DI STAMANI NEL SANTUARIO MARIANO AD
HARISSA.
IL PORPORATO HA RIBADITO CHE IL VERO CAMMINO DELLA PACE
E’ SOPRATTUTTO SPIRITUALE E DEVE QUINDI FONDARSI SUL
PERDONO
Una
vera pace si costruisce con il perdono e la conversione dei cuori: è
l’esortazione ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà rivolta oggi dal
cardinale Roger Etchegaray, Inviato Speciale del Papa in Libano. Il porporato
che ha celebrato stamani una Messa nel Santuario mariano libanese ad Harissa,
ha ribadito l’importanza della preghiera per ottenere la pace. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
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“Cristo
non solo ci dona la pace, Egli è la nostra pace”: il cardinale Roger Etchegaray
ha sottolineato come la pace e la preghiera siano legate l’una all’altra.
Pregare, ha affermato “è la prova più sicura che noi abbiamo preso sul serio la
pace”. Sono venuto in Libano, ha detto il porporato, come “messaggero del
Papa”, messaggero di pace. Con questo spirito, ha aggiunto, “siamo uniti a
quanti si raccolgono in preghiera nella città di Nazareth”. Li come in questo
luogo “noi condividiamo le sofferenze, le angosce, le speranze dei popoli”
travolti da una “guerra fratricida della quale Benedetto XVI ha detto: “nulla
può giustificare lo spargimento di sangue da qualsiasi parte provenga”.
Quindi, ha parlato di un’emorragia “particolarmente grave” per il popolo
libanese. Il cardinale Etchegaray si è riferito ad un dato drammatico: “Il 30
per cento delle vittime” di questa guerra “ha meno di 12 anni”. Ha così rivolto
il pensiero alle madri di famiglia e ai tanti sfollati libanesi.
Di
fronte all’ampiezza di tale orrore, è stata la riflessione dell’Inviato del
Papa, non ci sarà “alcun rimedio” finché “non andremo alle radici del male”;
fino a quando “umilmente ciascuno non
riconoscerà che i nemici non sono soltanto gli altri, ma anche loro stessi”. Il
vero cammino per la pace, ha constatato, “è spirituale ancor più che politico”.
Per questo, “nessuna pace stabilita da un accordo potrà tenere se non sarà
accompagnata anche dalla pace dei cuori”. Ma, ha aggiunto, “solo Dio può
addolcire i cuori induriti” specie in un’epoca in cui “la violenza si infiltra
nella vita quotidiana suscitando quella paura che rende l’uomo una bestia”.
Nessuna religione, ha avvertito, può pretendere di “catturare Dio per
metterlo nel proprio campo contro l’altro”. Tutte le fedi sono, invece,
“chiamate a fare appello a Dio clemente e misericordioso”. Ancora, ha
affermato, in questo “clima di odio che respiriamo troppo spesso”, capiamo che
“solo il perdono può condurci alla riconciliazione”, un perdono che “non è né
l’usura del tempo, né la dimenticanza, né il calcolo interessato”. Solo quando
l’uomo sarà in grado di perdonare, allora la terra vivrà “in una pace ricolma
di gioia”.
Il
cardinale Etchegaray non ha mancato di rivolgere l’attenzione al conflitto israelo-palestinese:
si tratta, ha evidenziato, di “uno di quei drammi che se non si troverà rapidamente
una soluzione equa, non lascerà alcuna parte, alcuno Stato innocente né indenne
per il proprio avvenire”. Finché non avremo “verità e giustizia” per entrambi i
popoli “non avremo pace durevole nel mondo”. Specie in questo luogo, ha
aggiunto, “vivere insieme è una sfida e un programma”. L’Inviato del Papa ha
pregato anche per le vittime delle altre guerre, quelle dimenticate, e per il
popolo iracheno così duramente provato.
Ha poi
ricordato che, proprio 21 anni fa, Giovanni Paolo II lo inviò in Libano, in un
momento di grande prova per il popolo libanese afflitto da un’altra terribile
guerra. Il porporato ha voluto ripetere le parole di allora: “Libano, tu non
morirai”. “Sotto le macerie fumanti della violenza e della vendetta”, ha
proseguito il cardinale Etchegaray, scopriamo che “la tua anima è ancora
intatta”. Il Libano è una “terra di comunione e condivisione”. “Non le
mancheranno mai il mare e le montagne: la montagna per darle identità, il mare
per dialogare”. Il Libano, è stata l’esortazione finale del porporato, “sia sempre
fedele alla sua vocazione di far coesistere le culture e le religioni”.
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15 agosto 2006
REGGE
LA TREGUA IN LIBANO, DOVE I SOLDATI ISRAELIANI LASCIANO IL SUD
E GLI
SFOLLATI TORNANO A CASA. SUL TERRENO, INTANTO, DUE CIVILI MORTI
PER
L’ESPLOSIONE DI DUE ORDIGNI SGANCIATI NEI GIORNI SCORSI
DA
AEREI ISRAELIANI NEL SUD DEL LIBANO
In Medio Oriente, il cessate-il-fuoco sembra tenere,
nonostante alcuni sporadici episodi di violenza: questa mattina due civili sono
morti per la deflagrazione di due ordigni sganciati, nei giorni scorsi, da
aerei israeliani nel sud del Libano. La notte scorsa sono stati sparati,
inoltre, diversi colpi di mortaio, da parte di guerriglieri Hezbollah, contro postazioni
presidiate da soldati dello Stato ebraico. Fortunatamente, non ci sono state vittime.
Ieri, poi, sei combattenti sciiti sono rimasti uccisi in scontri isolati con
soldati israeliani. Ma la situazione sul terreno appare comunque tranquilla. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
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La tregua sembra reggere e gli sfollati
tornano a casa. Almeno un milione di persone sta cercando di districarsi tra
strade e ponti distrutti per tornare nel sud, dove oltre 15 mila abitazioni
sono crollate durante i bombardamenti. E proprio nel sud del Libano, l’esercito
dello Stato ebraico ha reso noto di essere pronto ad abbandonare le proprie
posizioni. Fonti locali riferiscono che il ritiro dei soldati israeliani dal Libano potrebbe essere
completato entro la prossima settimana. La rapidità dell’operazione dipenderà
dai tempi di dispiegamento della forza internazionale di interposizione e di 15
mila soldati libanesi. Secondo fonti militari israeliane, un’avanguardia del
contingente multinazionale delle Nazioni Unite potrebbe arrivare già nelle
prossime 48 ore.
Sul versante politico, il presidente americano George Bush
ha definito la risoluzione dell’ONU, che ha portato alla cessazione delle
ostilità, un “passo avanti significativo” verso la pace in Medio Oriente. Il governo di Beirut ha definitivamente accolto, inoltre, la
risoluzione delle Nazioni Unite precisando che è stata accettata da tutte le
componenti libanesi. Il leader degli Hezbollah ha proclamato, poi, la vittoria
dei guerriglieri sciiti, festeggiata in Libano e in Iran, e ha escluso che la
prossima tappa sarà il disarmo dei suoi combattenti. Sull’altro fronte, il
premier israeliano, Ehud Olmert, si è assunto tutte le responsabilità della
guerra davanti al Parlamento. Israele – ha spiegato il primo ministro -
non intende però scusarsi per il conflitto contro gli Hezbollah in Libano, dove
non c'è stata nessuna reazione “sproporzionata”. “La
nostra guerra e la guerra contro il terrorismo – ha concluso Olmert – non è iniziata
ieri e non finirà nel prossimo futuro”.
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MONS. BRUNO FORTE, ARCIVESCOVO DI CHIETI-VASTO,
COMMENTA
LE PAROLE DEL PAPA SUL RUOLO DELLA DONNA NELLA CHIESA
-
Intervista di Manuela Campanile -
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R. – Quando il Papa ha detto nell’intervista che il fatto
che la donna sia esclusa dal ministero sacerdotale non vuole assolutamente dire
una inferiorità, ma semplicemente indicare una diversità di forme di
espressione, di partecipazione nella Chiesa: egli ha tradotto con un linguaggio
esistenziale e personale quello che dice questa verità teologica. Cioè, non
essere prete non significa che la donna sia in una condizione di inferiorità;
significa – come lo è stata Maria nei confronti di Gesù – di vivere una
partecipazione nella reciprocità.
D. – Allora perché non possono essere interscambiabili i
ruoli all’interno della Chiesa?
R. – Perché ci sono dei ruoli legati ad una identità
sacramentale, che è quella del vescovo, del presbitero, del diacono, cioè
realtà sacramentali legate alla figura – potremmo dire – ‘paterna’. E ci sono
dei ruoli, invece, legati al carisma e che si caratterizzano nella specificità
maschile e femminile dove invece la donna ha un amplissimo spazio. Per esempio:
la catechista. ‘Catechista’ significa colui o colei cui è affidata la
responsabilità della trasmissione della fede alle nuove generazioni, per esempio
la vita contemplativa. Noi abbiamo nella Chiesa moltissime contemplative, che
sono radice e fondamento e abbiamo esperienza contemplativa anche nella santità
vissuta nella vita familiare, da parte – in modo speciale – delle donne. Per
esempio, la vita caritativa: la donna ha una capacità di protagonismo nella
carità che spesso l’uomo non ha, proprio per le sue attitudini di trasmissione
della vita che sono legate alle sue capacità di ascolto, di accoglienza
dell’altro, di generazione – appunto – della vita nel cuore dell’altro. Ecco:
su questo triplice piano che potremmo dire ‘profetico’, in qualche modo,
caritativo e legato anche alla trasmissione della vita che ha la sua sorgente
nei sacramenti, la donna ha uno spazio di protagonismo amplissimo che tutta la
storia della Chiesa dimostra e che essa
sempre più, sotto l’azione dello Spirito, potrà manifestare. Dunque, ciò che il
Papa ha detto è soprattutto l’impulso a uomini e donne nella Chiesa, a
valorizzare il protagonismo femminile restando in ascolto degli impulsi dello
Spirito che ci faranno sempre più capire come oggi, per il nostro tempo, quello
che la donna ha vissuto in altri tempi e che ha avuto ruoli fondamentali nella
storia della comunità – si pensi ad una Santa Caterina da Siena o ad una Santa
Teresa d’Avila – può oggi esercitare, perché
D. – E secondo lei, attraverso questa analisi e guardando
all’oggi, la donna in cosa potrebbe essere maggiormente coinvolta, sempre
all’interno della Chiesa?
R. – Io valorizzerei la dimensione della profezia, cioè la
donna al servizio della Parola di Dio, per la trasmissione della fede, come
catechista, come teologa, come contemplativa della Parola, come testimone nel
dialogo: la donna ha straordinaria capacità di ascolto dell’altro, e quindi
anche di dialogo. Secondo, in rapporto alla liturgia, la donna come capace di
preparare all’accoglienza dell’altro che si compie nell’evento liturgico che è
il culmine di tutta la vita della Chiesa, e la donna come capace di accogliere
e trasmettere la vita, che dalla sorgente eucaristica o battesimale viene data
a tutti, nella Chiesa.
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15 agosto 2006
Il presidente della Corea del nord ha AUTORIZZATO LA
COSTRUZIONE
A PYONGYANG DI una chiesa ortodossa consacrata,
domenica scorsa,
dal metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad
MOSCA. = Il leader nordcoreano, Kim Jong Il, ha permesso
la costruzione di una chiesa ortodossa russa dedicata alla Santissima Trinità,
a Pyongyang. Domenica scorsa si è svolta la cerimonia di consacrazione alla
presenza del metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad, capo del
dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Il metropolita
ha anche consacrato sacerdote il parroco della nuova chiesa, il nordcoreano
Fjodor Kim che ha studiato al seminario di Mosca. Kirill ha ringraziato Kim
Jong Il per la sua iniziativa. L’importanza politica dell’avvenimento – secondo
il quotidiano “Avvenire” – è sottolineata dal fatto che alla cerimonia ha preso
parte anche il vice premier della Corea del Nord, Kwaw Pom Ki. Dal 1945, con
l’instaurazione del regime comunista, la Corea del Nord ha svolto una costante
politica anti religiosa. Secondo l’arcivescovo di Seoul, il cardinale
sudcoreano Cheong Jinsuk, prima del 1945 in Corea del Nord c’erano 55 mila cattolici
in circa 50 parrocchie con 166 sacerdoti e religiosi, di cui oggi non si sa più
niente. (E. B.)
“Aiutateci a costruire la pace”. E’ quanto chiedono
ai governanti
i 600 giovani che hanno partecipato
all’incontro internazionale sulla pace,
conclusosi domenica scorsa ad assisi
ASSISI. = Il terrorismo, le divisioni tra popoli nel nome
della religione, che sono all’origine di molte guerre, preoccupano fortemente i
giovani. Proprio per questo, a conclusione del IV meeting internazionale “I
giovani verso Assisi”, conclusosi domenica scorsa nella città di San Francesco,
600 ragazzi di 27 nazioni hanno scritto un messaggio di pace, che attraverso
alcuni diplomatici accreditati presso la Santa Sede, è giunto a molti capi di
Stato. Visti gli episodi di guerra e gli allarmi di attentati verificatisi in
questi giorni, i giovani scrivono: “Non si sta creando una cultura del
sospetto, del timore, del giudizio e della discriminazione tra i popoli? Non è
forse questa la guerra più pericolosa?” Nella lettera i giovani sottolineano
che in centinaia, percorrendo tanti chilometri, sono accorsi ad Assisi da
diversi Paesi per condividere in fraternità e letizia il sogno della pace in
nome Dio. “Questa pace – osservano i ragazzi – perché non fa notizia?” I
giovani affermano di conoscere tante ingiustizie di natura politica, economica
e sociale nei rispettivi Paesi. Per questo – chiedono ai capi di Stato –
“eliminiamole insieme. Ascoltateci e con noi investite sulla pace”. Nei sette
giorni di confronti e dibattiti, il meeting ha definito sette specifiche
richieste indirizzate ai governanti. Così, oltre ad impegnarsi di più per
ridurre il debito dei Paesi poveri, si chiede anche di contrastare le cause
delle ingiustizie, di ascoltare di più i bisogni dei popoli e di lavorare per
il bene comune. I ragazzi chiedono ai governanti di dare più spazio a politiche per i giovani: incrementare
quindi gli scambi culturali e soprattutto di “non investire più sulla
costruzione delle armi ma sulla formazione umana”. (E. B.)
Nei prossimi quattro anni, in africa, il virus
dell’aids porterà
a quota 16 milioni il numero di orfani. è la stima
del rapporto unicef,
presentato durante il congresso mondiale sull’aids di
Toronto.
rinnovato l’appello a finanziare le ricerce sulla
prevenzione
TORONTO. = Il virus dell’AIDS nell’Africa subshariana potrebbe
portare, entro il 2010, a circa 16 milioni il numero di orfani, pari al 30% dei
53 milioni di bambini africani, con un aumento di quattro milioni rispetto a
quelli odierni. E’ la stima presentata durante il congresso mondiale sull'AIDS
di Toronto, contenuta nel rapporto redatto da UNICEF, UNAIDS e dal programma
per la lotta all’AIDS della presidenza degli Stati Uniti (PEPFAR). Secondo il
rapporto quasi tutti gli orfani africani per l’AIDS sono adolescenti fra 12 e
17 anni e sebbene i più piccoli (da zero a 5 anni) siano il 16%, sono anche i
più fragili perché hanno un continuo bisogno di assistenza al quale la società
non è in grado di rispondere. Si prevede
che soltanto in cinque Paesi (Comore, Ghana, Mauritius, Rwanda e Zimbabwe) il
numero degli orfani potrà stabilizzarsi o addirittura ridursi leggermente.
Tuttavia nella maggior parte dei Paesi a Sud del Sahara (Ciad, Gabon,
Guinea-Bissau, Malawi, Mozambico, Namibia, Sudafrica e Swaziland) si prevede
che gli orfani aumenteranno del 15%, o anche oltre, entro i prossimi quattro
anni. Anche se in alcuni Paesi la comparsa di nuovi casi dovesse rallentare,
l’intervallo fra la comparsa dell’infezione e la morte farà sì che il numero
degli orfani continuerà a salire ancora per anni. Come rileva il rapporto,
sopravvivere senza i genitori nell’Africa subsahariana significa essere
estremamente vulnerabili: non andare più a scuola, mangiare cibi poco nutrienti
e poco sicuri, soffrire di ansia e depressione, essere più esposto al rischio
di infezioni da HIV. Il quadro, certamente preoccupante, come affermato più
volte a Toronto in questi giorni, sottolinea ancora una volta la necessità
della prevenzione del virus. L’appello a finanziare nuove ricerche sulla prevenzione
è uno dei motivi dominanti del congresso
mondiale sull'AIDS in corso a Toronto.
NELL’ ISOLA DI JAVA, UN CENTRO ABITATO E UNA LINEA
FERROVIARIA
SONO STATI INVASI DAL FANGO BOLLENTE PROVENIENTE DA
UN POZZO MINERARIO. CIRCA 10 MILA gli sfollati. A RISCHIO ANCHE IMPORTANTI VIE
DI COMUNICAZIONE
JAKARTA. = L’incessante fuoriuscita di fango bollente da
un pozzo minerario nell’isola di Java, in Indonesia, ha provocato l’invasione
di un centro abitato e di una linea ferroviaria. Fino ad ora, 10 mila persone
sono state costrette ad abbandonare le loro case. Dallo scorso 27 maggio, scrive l’agenzia
Asianews, circa 50 mila metri cubi di fango, alla temperatura di 60 gradi
centigradi, fuoriescono quotidianamente da tale pozzo minerario profondo 3
chilometri situato nei pressi della città industriale di Surabaya, nella parte
orientale dell’isola. Circa 25 chilometri quadrati di territorio costituiti da
terreni agricoli, canali di irrigazione e strade sono stati danneggiati dal
fango bollente. Ad oggi, ogni tentativo di contrastare la fuoriuscita del fango
è fallito. Il ministro dell’Ambiente, Rachmat Witoelar, per evitare
l’alterazione dell’ecosistema, si è opposto all’eventualità di convogliarlo nel
mare e ha proposto invece di realizzare una buca di contenimento. Le tre
società proprietarie della miniera, riferendosi ad un recente terremoto che ha
colpito l’area, hanno parlato di “cause naturali” all’origine del disastro. Per
questo ritengono che i danni dovrebbero essere pagati dal governo. Dal canto
suo il vice presidente indonesiano, Jusuf Kalla, riscontrando irregolarità
nelle misure di sicurezza adottate, ha addossato invece la responsabilità ad
una delle società, che deve ora risarcire le migliaia di danneggiati. (A.Gr.)
Ammainata la bandiera nigeriana nella penisola di
Bakassi,
sostituita da quella del Camerun. la consegna
ufficiale del territorio,
sancita dalla corte internazionale DI GIUSTIZIA
DELL’ONU,
è avvenuta dopo una disputa pluridecennale,
che aveva portato i due Paesi sull’orlo di un
conflitto
YAOUNDE’ – ABUJA. = La bandiera del Camerun sventola da
ieri sulla penisola di Bakassi, in sostituzione di quella nigeriana. Una
cerimonia, svoltasi ad Archibong Town, capitale dell’area, ricca di giacimenti
petroliferi off-shore, ha sancito la consegna formale del territorio, sgombrato
dalle truppe nigeriane nel fine settimana. Come informa l’agenzia MISNA, dopo
una disputa pluridecennale, che aveva anche portato i due Paesi sull’orlo di un
conflitto, la Corte internazionale di Giustizia dell’ONU aveva deciso nel 2002
che la Nigeria doveva consegnare Bakassi al confinante Camerun. I relativi
documenti ufficiali sono stati firmati dai ministri della Difesa dei due Paesi
e da un rappresentante dell’ONU. La parte meridionale della penisola resterà
per due anni sotto l’amministrazione civile della Nigeria; gli abitanti
potranno decidere se intendono restarvi con la possibilità di mantenere la
nazionalità nigeriana, chiedere quella camerunese oppure trasferirsi altrove in
Nigeria. (E. B.)
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15 agosto 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco e Alessandro
Grifi -
Nel nord dello Sri Lanka, continuano gli
scontri fra truppe inviate da Colombo e ribelli delle Tigri Tamil. Si teme una
nuova guerra civile: le scuole sono rimaste chiuse e i ribelli hanno minacciato
di attaccare obiettivi anche non militari. Nella zona, inoltre, è in vigore il
coprifuoco: migliaia di persone sono state ospitate in chiese e abitazioni.
Secondo diversi operatori umanitari, sono più di 100 mila i nuovi profughi nel
nord-est dello Sri Lanka, dopo i violenti scontri scoppiati nelle scorse
settimane nonostante la tregua siglata nel 2002. Gli episodi più gravi sono
avvenuti ieri: le Tigri Tamil hanno accusato il governo di aver
bombardato una scuola femminile. I ribelli hanno dichiarato che l’attacco ha provocato
la morte di 61 studentesse. Secondo l’esecutivo di Colombo, invece, sono morti
nel raid decine di guerriglieri. Poco prima, almeno 7 persone erano rimaste
uccise in seguito ad un attacco suicida contro un convoglio dell’ambasciata del
Pakistan, uno dei maggiori fornitori di armi dello Sri Lanka.
Il tifone ‘Saomai’ ha
provocato la morte di quasi 300 persone in Cina. Lo ha riferito l’agenzia
ufficiale ‘Nuova Cina’ aggiungendo che l’ultimo bilancio provvisorio è di 295
morti e di 94 dispersi. Saomai è il più violento tifone abbattutosi sulla Cina
da 50 anni.
Forte rischio di una “marea nera” in Asia: migliaia di tonnellate di greggio
si sono riversate nell’Oceano Indiano per una collisione avvenuta, ieri, fra
una petroliera giapponese ed un mercantile di Singapore. Secondo varie fonti,
il forte impatto – che comunque non ha provocato vittime - potrebbe aver fatto
perdere alla petroliera fino a 4.500 tonnellate
di greggio. Nelle ultime ore, la fuoriuscita è stata comunque bloccata. La
collisione si è verificata mentre l’equipaggio della petroliera stava tentando
di soccorrere il cargo, in preda ad un incendio. Secondo l’agenzia di stampa
nipponica ‘Kyodo’, potrebbe essere il
più grave incidente ambientale mai provocato da una petroliera
giapponese.
Il premier giapponese,
Junichiro Koizumi, ha compiuto oggi una visita al sacrario di Yasukuni,
sollevando molte polemiche. Nel tempio shintoista sono sepolti anche diversi
generali e militari giapponesi, responsabili di crimini e atrocità commessi
durante la seconda guerra mondiale. I governi di Cina e Corea del Sud hanno
protestato per la visita del primo ministro giapponese nel tempio.
L’India celebra oggi il 59.esimo anniversario
dell’indipendenza, ma sulla festa incombe la minaccia del terrorismo, dopo
l’allerta di Washington su possibili attacchi da parte di militanti islamici.
Per questo, le misure di sicurezza sono state rafforzate e migliaia di poliziotti
presidiano la capitale. Il premier indiano Manmohan Singh, nel discorso rivolto
alla nazione, ha ricordato l’indipendenza dalla Gran Bretagna Londra,
conquistata nel 1947. Il premier ha anche ribadito al Pakistan la richiesta di
massimo impegno per arginare il terrorismo.
Lotta al terrorismo e sicurezza aerea. Sono i temi al
centro della riunione che si terrà domani a Londra, alla presenza del ministro
dell’Interno britannico, John Reid. La riunione è stata proposta dai governi di
Londra ed Helsinki dopo l’annuncio, da parte della Gran Bretagna, degli
attentati sventati con una serie di arresti. Intanto, un documento del dipartimento
di polizia di New York, conferma che erano stati messi a punto piani per far
saltare in aria, con esplosivo liquido,
aerei diretti negli Stati Uniti. Secondo la polizia americana, sarebbero
almeno 50 le persone coinvolte, in tutto il mondo, nei progetti terroristici.
Nel testo si precisa, inoltre, che ad ogni velivolo sarebbero stati assegnati
tre terroristi.
Due
soldati turchi sono stati uccisi oggi durante alcuni scontri armati con i
ribelli separatisti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), nel sud est
della Turchia. I combattimenti sono avvenuti sulle montagne di Gabar, nella
provincia di Sirnak, vicino alla frontiera irachena. A renderlo noto, un
comunicato del governatorato del Sirnak inviato a Diyarbakir, principale città
del sud-est turco abitato in maggioranza da curdi.
In Iraq, almeno 4 persone sono
rimaste uccise a Mossul, nel nord del Paese, per l’esplosione di un camion
bomba guidato da un kamikaze. L’attentato è avvenuto vicino agli uffici
dell’Unione patriottica del Kurdistan (PUK), partito del presidente iracheno,
Jalal Talabani. A Kerbala, poi, 6 persone sono morte per scontri tra insorti e
soldati dell’esercito iracheno.
Scontri e attacchi
imperversano anche nel sud dell’Afghanistan: soldati della coalizione hanno
ucciso un membro di al Qaeda nella provincia di Khost, nel sud-est. I taleban,
invece, hanno attaccato e ucciso cinque poliziotti, nella provincia di Farah.
Sono ore di angoscia per i due giornalisti, uno
statunitense e un neozelandese della televisione ‘Fox News’, sequestrati ieri a
Gaza da miliziani armati. Il rapimento non è stato rivendicato, finora, da
alcuna organizzazione. Intanto, il portavoce del governo palestinese, Ghazi
Hammad, ha detto che sono buone le condizioni di Ghilad Shalit, il soldato rapito
dal braccio armato di Hamas lo scorso 25 giugno. Per la sua liberazione - ha
aggiunto il portavoce palestinese - Israele dovrà rilasciare detenuti
palestinesi, in primo luogo donne e giovani.
Ultimo saluto, oggi, al giovane volontario italiano
Angelo Frammartino, ucciso giovedì scorso a Gerusalemme: nel pomeriggio, alle
ore 16, si terranno i funerali nel Duomo del suo paese d’origine, Monterotondo,
vicino a Roma. La messa funebre sarà presieduta dal vescovo di Sabina – Poggio
Mirteto, mons. Lino Fumagalli. Il giovane volontario, che si era recato a
Gerusalemme per un progetto di solidarietà, ha sempre sostenuto che la pace e il dialogo tra i popoli restano
l’unica strada percorribile. “Sarebbe
bello – si legge in alcuni dei suoi scritti - sposare la pratica non violenta
nell’affrontare ogni problematica e la pace come stadio al quale tendere”. “La
violenza che c’è nel mondo - aggiungeva - non ce ne consente altra”. Per un
ricordo di Angelo, ascoltiamo al microfono di Luca Collodi, il sindaco di
Monterotondo, Antonino Lupi:
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E’ uno dei tanti ragazzi che sono l’espressione migliore
della nostra gioventù, un ragazzo pulito che credeva fortemente sia nel valore
dell’impegno civile sia nella politica. Riteneva, poi, che la non violenza
fosse lo strumento per garantire la pace nel mondo, anche nei luoghi così
disastrati, come appunto la città di Gerusalemme. Quindi, la scelta di andare
volontario nell’ambito di questo progetto è proprio frutto di questa idea: vale
la pena spendersi utilizzando gli strumenti del dialogo, là dove c’è tanto odio
e questo odio può essere vinto soltanto con questi mezzi. Sicuramente, in
questo ci appare assolutamente improprio l’aggettivo usato da un quotidiano
italiano che definisce Angelo, “il volontario illuso vittima del pacifismo
sbagliato”. Credo che questa sia la più grande offesa alla memoria di un
ragazzo che, credendo nei valori della pace e della non violenza, ha dato la
propria vita per questi ideali.
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La televisione cubana ha mostrato, per la prima volta,
immagini video di Fidel Castro convalescente dopo l’operazione all’intestino.
Il filmato documenta l’incontro tra il capo di Stato cubano ed il presidente
venezuelano, Hugo Chavez. Castro appare pallido e stanco, ma sorride e parla con
Chavez e con il fratello Raul, cui ha trasferito temporaneamente i poteri
presidenziali. Il giornale del partito comunista cubano “Granma” aveva già
pubblicato, ieri, alcune foto dell’incontro.
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