RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 224  - Testo della trasmissione di sabato 12 agosto 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Le parole del Papa sulla predilezione di Dio per gli ultimi nelle vicende della storia

 

La comunità cristiana del Libano attende l’arrivo del cardinale Roger Etchegaray, Inviato Speciale del Papa: ai nostri microfoni il patriarca Nasrallah Sfeir e l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Sì di Israele e Libano alla risoluzione approvata dall’ONU per porre fine, prima possibile, alle ostilità nel Paese dei Cedri. Intanto, continuano le violenze

 

Dopo l’appello del Papa, le autorità indonesiane rinviano la condanna a morte, prevista per oggi, di tre cattolici: intervista con Maria Laura Conte

 

Il Vangelo di domani: il commento di padre Marko Ivan Rupnik

 

CHIESA E SOCIETA’:

La salma del giovane volontario italiano, ucciso giovedì a Gerusalemme, giungerà forse lunedì prossimo in Italia

 

La povertà deruba il mondo di un potenziale di oltre 1 miliardo di giovani: lo afferma Kofi Annan, nel messaggio per la Giornata ONU per la gioventù

 

Invitare i giovani alla missione evangelizzatrice. Questo l’obiettivo del Congresso missionario organizzato dalla Conferenza episcopale thailandese

 

Emergono nuovi dettagli circa l’arresto, avvenuto nei giorni scorsi in Cina, di mons. Yao Liang, vescovo ausiliare della diocesi di Xiwanzi

 

Nord Uganda: ridotto da 25 mila a 4 mila, in due anni, il numero dei bambini pendolari che ogni notte si mettono in marcia per sfuggire alle violenze perpetrate dai guerriglieri

 

24 ORE NEL MONDO:

Dopo lo sventato attacco terroristico agli aerei diretti dal Regno Unito verso gli Stati Uniti, le indagini proseguono serrate: forse l’ordine per l’attentato doveva partire dal Pakistan

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

12 agosto 2006

 

 

LE PAROLE DI BENEDETTO XVI SULLA PREDILEZIONE DI DIO PER GLI ULTIMI

E I POVERI NELLE VICENDE DELLA STORIA UMANA

 

Anche in questo mese d’agosto ferve l’attività della Santa Sede di fronte alle sfide dell’attualità. Il Papa, dopo i numerosi appelli per la pace in Medio Oriente, invia il cardinale Etchegaray in Libano ma senza dimenticare altri Paesi: così ha invocato la grazia per i tre cattolici condannati a morte in Indonesia. E proprio la Liturgia odierna ci aiuta a interpretare le vicende del nostro tempo. Parla del silenzio di Dio nella storia. Il profeta Abacuc protesta contro il Signore: perché – grida – “Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male e non puoi guardare l’iniquità …vedendo i malvagi, taci mentre l’empio ingoia il giusto?”. Dio risponde con una visione che parla di un termine, di una scadenza: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”.  I giusti – afferma il Papa – sono i poveri del Signore, gli anawim, che seguono lo stile misterioso di Dio: non appaiono, ma incidono nella storia più dei potenti. Il servizio di Sergio Centofanti:

 

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Il Papa nell’Enciclica “Deus caritas est” parla del silenzio di Dio di fronte alle vicende umane. Cita Sant'Agostino: “Se tu lo comprendi, allora non è Dio”. Il Creatore – afferma Benedetto XVI – “non s’impone, non entra mai con la forza” nella storia, ma si nasconde nel Bambino di Betlemme chiedendo di essere accolto:

 

“È il paradosso cristiano. Proprio questo nascondimento costituisce la più eloquente ‘manifestazione’ di Dio: l'umiltà, la povertà, la stessa ignominia della Passione ci fanno conoscere come Dio è veramente”. (Messa  per l’Epifania, 6\1\2006)

 

Il fulgore della luce divina brilla sugli umili, Maria, Giuseppe, i pastori:

 

“Restano in ombra i palazzi del potere di Gerusalemme, dove la notizia della nascita del Messia … suscita non gioia, ma timore e reazioni ostili. Misterioso disegno divino: ‘la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie’". (Messa  per l’Epifania, 6\1\2006)

 

Maria diventa il modello dei giusti che vivranno per la loro fede. Nel Magnificat la sua anima “magnifica”, cioè “rende grande il Signore”: lei invece è piccola:

 

“È un canto che rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano ‘poveri’ non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell'umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell'orgoglio, aperto all'irruzione della grazia divina salvatrice”. (Udienza generale, 15\2\2006)

 

Dio – proclama il Magnificat -  disperde  i superbi, rovescia i potenti, innalza gli umili,  rimanda i ricchi a mani vuote:

 

“Egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare ‘i superbi, i potenti e i ricchi’. Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: ‘Coloro che lo temono’, fedeli alla sua parola; ‘gli umili, gli affamati, Israele suo servo’, ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono ‘poveri’, puri e semplici di cuore”.(Udienza generale, 15\2\2006)

 

“Per il credente – scrive il Papa nella sua Enciclica - non è possibile pensare” che Dio “sia impotente” di fronte alle sofferenze umane. “Piuttosto è vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà. I cristiani – afferma infine Benedetto XVI - pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi”.

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LA COMUNITA’ CRISTIANA LIBANESE ATTENDE L’ARRIVO

DEL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY INVIATO SPECIALE DEL PAPA.

ALLA RADIO VATICANA, L’APPELLO PER LA PACE DEL PATRIARCA DI ANTIOCHIA

 DEI MARONITI, NASRALLAH SFEIR. L’IMPEGNO DELLA DIPLOMAZIA VATICANA,

TESTIMONIATO, SEMPRE AI NOSTRI MICROFONI, DA MONS. TOMASI,

 OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE ALL’ONU DI GINEVRA

 

Un mese di guerra in Medio Oriente, un mese di impegno per la pace di Benedetto XVI. Ieri, l’ultima iniziativa presa dal Papa per esprimere, innanzitutto, la sua vicinanza spirituale alle popolazioni colpite dal conflitto. Il Santo Padre ha chiesto al cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, di recarsi in Libano come suo Inviato Speciale. La visita, che “ha carattere essenzialmente religioso” prevede “se sarà possibile, la celebrazione della Santa Messa”, presieduta dal cardinale Etchegaray nel “Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa”, il 15 agosto prossimo solennità dell’Assunzione di Maria. Concelebrerà il cardinale Pierre Nasrallah Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti. Proprio al cardinale Sfeir, Jeremy Brossard ha chiesto di esprimere i sentimenti con i quali la comunità cristiana libanese si appresta a ricevere l’inviato del Papa:

 

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R. – Nous remercions le saint pere de ce geste…

Noi ringraziamo il Santo Padre di questo gesto paterno che compie nei nostri riguardi. Non è la prima volta. L’Inviato Speciale potrà vedere direttamente quello che sta succedendo in Libano. Noi ci riuniremo in preghiera per domandare a Dio di ispirare ed illuminare i responsabili, affinché mettano fine a questa guerra. Per questo ringraziamo il Santo Padre.

 

D. – Avete preso la decisione di incontrarvi per una riunione la prossima settimana: ce ne può parlare?

 

R. – C’est une réunion extraordinaire

         Si tratta di una riunione straordinaria, abbiamo infatti già tenuto la nostra riunione all’inizio del mese. Vogliamo fare il punto su cosa sta succedendo. Sono molti i vescovi che vanno un po’ ovunque, presso i rifugiati, per vedere come vivono, di cosa hanno bisogno, ma anche per consolarli e soprattutto incoraggiarli.

 

D. – Qual è oggi il messaggio dei cristiani del Libano nella situazione attuale?

 

R. – C’est un message…

E’ un messaggio di carità, di amore, di fiducia nella Provvidenza. Ci sono circa un milione di sfollati, che hanno dovuto abbandonare le loro città, perdendo tutto ciò che avevano: le loro case, i loro affetti... Questi profughi hanno trovato rifugio presso i cristiani ed hanno bisogno di tutto. Noi ringraziamo tutti coloro che hanno aiutato e continuano ad aiutare il popolo libanese: gli aiuti, soprattutto quelli alimentari, non smettono di giungere. Le Organizzazioni, specie Caritas-Libano lavorano e si impegnano fortemente per cercare di trovare rimedio a tutto quello che è successo.

 

D. – In questo contesto di guerra, c’è una solidarietà più forte tra cristiani e musulmani del Libano?

 

R. – Qui, il y a beaucoup des chrietiens…

Sì, certamente. Ci sono molti cristiani che vengono accolti da musulmani e molti musulmani che, a loro volta, sono accolti da cristiani. Ci sono i padri salesiani di Don Bosco che operano nella regione di Jbeil. Mi hanno detto di aver dato accoglienza sia ai musulmani che ai cristiani nel loro convento in montagna.

 

D. – Come prosegue la vita della comunità cristiana in Libano, sotto i bombardamenti?

 

R. – C'est une atmosphère

C’è una strana atmosfera, sicuramente di desolazione. Ma c’è anche speranza. E’ per questo che preghiamo, affinché cessino le ostilità. Crediamo che ci sia ancora una speranza, ma c’è anche distruzione, macerie e soprattutto molta gente che è sfollata e rifugiata; ci sono danni, ci sono infrastrutture demolite, circa 400 ponti sono stati già distrutti.

 

D. - Questa notte c’è stato un accordo a New York per una Risoluzione. Come accogliete questa adozione?

 

R. – Certainement avec soulagement ….

         Sicuramente con sollievo, nonostante ci siano ancora delle imperfezioni. La gente è stanca dei continui bombardamenti e delle vittime. E’ per questo che noi speriamo che torni la pace e che le cose possano quindi riprendere il loro corso normale.

 

D. – Per concludere, avete un messaggio da indirizzare a tutti coloro che ascoltano la Radio Vaticana? Che cosa vorreste dir loro?

 

R. –  Je remercie tout ceux qui …

Ringrazio tutti coloro che hanno soccorso il Libano, che hanno inviato derrate alimentari ed aiuti dei quali la popolazione ha così tanto bisogno. Spero che tutti coloro che sono stati costretti a scappare, possano presto ritornare, però purtroppo non troveranno le loro case, perché tutto è ormai distrutto. Credo che inizialmente dovremo sistemarli in case prefabbricate o in tende fin quando non riusciremo a ricostruire le loro case.

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Anche la diplomazia vaticana è in prima linea per la pace in Medio Oriente. Ieri, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra è intervenuto alla sessione speciale del Consiglio per i diritti umani sulla crisi libanese. Il presule ha ribadito che vanno rispettati i diritti di tutti i popoli del Medio Oriente. Intervistato da Alessandro Gisotti, mons. Tomasi si sofferma sulle principali preoccupazioni della Santa Sede per la crisi israelo-libanese:

 

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R. - Anzitutto c’è la preoccupazione per la popolazione civile che è stata messa in situazione di estrema difficoltà. La distruzione, infatti, delle infrastrutture del Libano, ponti, strade, centrali elettriche, ha colpito indiscriminatamente un po’ tutta la popolazione. Inoltre ricordando le parole del Santo Padre, che la pace è dono di Dio, si è voluto far capire che né il terrorismo, né gli attacchi militari porteranno ad una soluzione.

 

D. - Fin dall’inizio della crisi, il Papa si è prodigato per la pace su più fronti. Come è stato accolto alle Nazioni Unite questo instancabile impegno del Pontefice?

 

R. - La voce della ragione che viene espressa dagli interventi del Santo Padre fa presa su tutte le persone di buona volontà. In modo particolare alcuni Paesi arabi e musulmani sono rimasti colpiti della decisione e della insistenza con cui il Papa ha voluto portare l’attenzione dell’opinione pubblica su quest’ultima crisi così grave e soprattutto focalizzare l’attenzione sul Libano. Perché il Libano rappresenta più che un piccolo Paese, è un modo di vivere, di coesistenza, di capacità, di tolleranza e di dialogo tra confessioni religiose diverse, per cercare appunto di cercare di creare uno Stato, dove nella diversità e nel pluralismo, è possibile convivere. La distruzione del Libano in qualche modo è la distruzione anche di un modello di convivenza che potrebbe essere additato ai Paesi del Medio Oriente, come una formula veramente vincitrice per portare la pace.

 

D. - All’ONU di New York è stato raggiunto un accordo sulla risoluzione per la cessazione dell’ostilità. Che giudizio si può dare di questo passo verso la pace?

 

R. - Certo è importante che, dopo tanta esitazione e tanta incapacità di coagulare una maggioranza o un’unanimità, finalmente davanti all’estrema tragedia del Libano delle popolazioni civili nel nord di Israele, si arrivi ad un cessate il fuoco. E’ da augurarsi che questa decisione delle Nazioni Unite porti veramente a un alt dell’attività militare. Bisogna continuare, non solo a insistere attraverso le strutture della comunità internazionale perché si arrivi a un’attuazione delle decisioni raggiunte, ma anche perchè cambi la mentalità e si trovi un metodo nuovo di affrontare i problemi. Perché la forza, la violenza, l’uso dei cannoni che abbiamo visto in questi ultimi 50 anni, in quella regione, non è la strada che può portare alla pace.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - Titolo di apertura: "L'ONU approva la risoluzione per far tacere le armi" in Medio Oriente - Terrorismo: l'impronta di "Al Qaeda" sulla strage sventata da Scotland Yard. Messa sul Terminillo in ricordo del vescovo Rinaldi.

 

Servizio vaticano - Quinto anniversario dell'approvazione della Regola dell'Ordine dei Minimi. Eredità kolbiana: carisma e partecipazione: pubblicati gli Atti del Simposio svoltosi a Niepokalanòw, Polonia, dal 28 al 31 agosto 2005. A Roma l'83° Capitolo generale dei Frati Minori Cappuccini. Il cammino della Chiesa in Asia.

 

Servizio estero - Bosnia ed Erzegovina: esumate da una fossa comune centinaia di vittime del massacro di Srebrenica. Afghanistan: uccisi 4 soldati dell'"Isaf". Indonesia: rinviata l'esecuzione di tre cittadini di religione cattolica. Sri Lanka: nuovi combattimenti tra esercito e ribelli secessionisti delle tigri Tamil. Immigrazione: sedici africani morti su una barca alla deriva al largo della Mauritania.

 

Servizio culturale - L'Elzeviro di Mario Gabriele Giordano: "La questione del latino".

 

Servizio italiano - Ancora incidenti sul lavoro. Reazioni e commenti sulla morte del volontario italiano ucciso a Gerusalemme. 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

12 agosto 2006

 

SI DI ISRALE E LIBANO ALLA RISOLUZIONE APPROVATA DALL’ONU PER PORRE FINE,

PRIMA POSSIBILE, ALLE OSTILITÀ NEL PAESE DEI CEDRI. SECONDO FONTI ISRAELIANE, L’OFFENSIVA MILITARE DELLO STATO EBRAICO TERMINERÀ ENTRO LUNEDÌ.

SUL TERRENO, INTANTO, CONTINUANO LE VIOLENZE

 

Israele e Libano hanno accettato la risoluzione approvata nella notte, all’unanimità, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il documento prevede, “appena possibile”, il cessate-il-fuoco nel sud del Libano. I tempi per la cessazione delle ostilità verranno direttamente negoziati dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Secondo fonti ufficiali dello Stato ebraico, Israele porrà fine alle ostilità entro lunedì. Sul terreno, intanto, almeno 20 civili libanesi sono morti per un nuovo raid israeliano. L’esercito dello Stato ebraico ha annunciato, poi, che sono rimasti uccisi, stamani, almeno 30 Hezbollah. Sulla risoluzione approvata dall’ONU e sulla situazione in Libano, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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La risoluzione, esige “una totale cessazione delle ostilità”: ai guerriglieri Hezbollah si chiede di fermare subito gli attacchi e ad Israele di porre fine a qualunque operazione legata all’offensiva militare. Per raggiungere questo obiettivo, garantire la distribuzione degli aiuti umanitari e creare le condizioni per una pace duratura e stabile, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha chiesto il dispiegamento, nel sud del Libano, di un contingente formato da soldati libanesi e da militari dell’UNIFIL, la forza di interposizione provvisoria delle Nazioni Unite già attiva al momento, nel Paese dei cedri, con circa 8 mila uomini. L’operazione prevede, oltre al dispiegamento di 15 mila caschi blu dell’ONU e di altri 15 mila soldati libanesi, anche il graduale ritiro delle forze israeliane. Secondo fonti delle Nazioni Unite, il dispiegamento inizierà entro dieci giorni.

 

La risoluzione estende poi le facoltà dell’UNIFIL: saranno autorizzate non solo azioni militari per autodifesa, ma anche operazioni offensive. La guida del contingente internazionale, che sarà composto da militari francesi, spagnoli, italiani e turchi, sarà affidato alla Francia. E’ stato anche deciso di adottare l’embargo sulle armi per “qualsiasi entità o individuo in Libano” che non faccia parte dell’esercito libanese. In questo caso, è chiaro il riferimento ai combattenti Hezbollah. Per quanto riguarda le fattorie di Shebaa, zona di confine rivendicata dal Libano, il documento si limita a chiedere al segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, di avanzare una proposta per ridisegnare i confini dell’area. La risoluzione ha ricevuto l’approvazione di Israele e Libano. Secondo fonti ufficiali dello Stato ebraico, le azioni militari termineranno, entro lunedì. Il governo di Beirut, pur esprimendo dubbi sull’efficacia della risoluzione, si è detto comunque favorevole alla bozza approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Intanto, in attesa di una effettiva applicazione della risoluzione, non si arrestano le violenze: l’esercito israeliano ha annunciato l’estensione dell'offensiva di terra nel sud del Libano, nella fascia tra il confine e il fiume Litani. E a sud di Tiro, almeno 20 persone sono morte in seguito a nuovi raid. Sempre nel sud del Libano, sono rimasti uccisi trenta combattenti sciiti. Sull’altro fronte, guerriglieri Hezbollah hanno lanciato una ventina di razzi contro la Galilea, nel nord di Israele. Dal movimento politico militare sciita non è ancora arrivata, infine, alcuna reazione alla notizia dell’approvazione, da parte dell’ONU, della risoluzione che chiede, prima possibile, la fine delle ostilità in Libano.

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DOPO L’APPELLO DI BENEDETTO XVI E IL FORTE MOVIMENTO D’OPINIONE LOCALE,

LE AUTORITA’ INDONESIANE HANNO DECISO DI RINVIARE

L’ESECUZIONE CAPITALE DEI TRE CATTOLICI CONDANNATI A MORTE

- Intervista con Maria Laura Conte -

        

Un rinvio della pena, non un vero e proprio annullamento, ma comunque un segnale positivo. E’ quanto accaduto ieri in Indonesia, dove per la mezzanotte di oggi, ora locale, era in programma l’esecuzione capitale di tre cattolici, condannati come responsabili dei violenti disordini scoppiati nell’isola di Sulawesi tra il 2000 e il 2001. Anche Benedetto XVI era intervenuto ieri presso il capo di Stato indonesiano per chiedere un “gesto di clemenza” in favore dei tre uomini, accompagnati in queste ore da una vasta catena di solidarietà, in patria e fuori. Le autorità locali hanno comunicato che la pena slitta dal 12 al 20 agosto, giacché l’Indonesia si prepara a celebrare il 61.mo dell’indipendenza. Ma per la Chiesa locale e per le numerose ONG schieratesi in favore del no alla pena di morte il rinvio equivale a un successo, in un Paese dove la presenza cattolica arriva al 3% sugli oltre 220 milioni di abitanti. Della vicenda, Alessandro De Carolis ha parlato con Maria Laura Conte, autrice di un recente reportage sull’Indonesia per la rivista Oasis:

 

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R. – La storia comincia nel 2000, quando nella città di Poso si verificarono scontri e violenze che portarono alla morte centinaia di persone. Furono individuati i tre cattolici come i responsabili di questi scontri e condannati a morte. Da lì, però, è partita tutta un’azione di grande solidarietà in tutta l’Indonesia per difendere questi cristiani e soprattutto per richiedere l’apertura delle indagini. In sostanza, musulmani, cristiani ma anche capi di altre religioni - che spesso si uniscono in Indonesia per la richiesta di pace, di rispetto dei diritti umani, della democrazia - hanno chiesto di riprendere in mano questi fatti e di leggerli in modo più approfondito, al di là delle semplificazioni rapide che erano state fatte. Del resto, Poso, in sé, è un luogo emblematico di ciò che è oggi l’Indonesia. La realtà del Paese è molto lontana dalla nostra. Basti pensare solo a qualche numero che inquadra questa nazione lontana: 13.000 isole con 220 milioni di abitanti e il numero cresce molto velocemente, e poi 300 etnie, 250 lingue. Un Paese che ha un’economia in ripresa, sì, ma che ha subito alla fine degli anni ’90 un crack economico terribile. La situazione politica è di assestamento di una giovane democrazia, tuttavia ha a che fare ancora con i poteri messi da parte e che vogliono riconquistare visibilità, come l’esercito. Dal punto di vista religioso, infine, l’Indonesia è un mosaico molto ricco che oggi avverte, come il resto del mondo, il pericolo della presenza di cellule di un Islam radicale, che non hanno nulla a che fare con la tradizione locale indonesiana ma che sono importate.

 

D. – Quella di Benedetto XVI è stata l’ultima forte voce che ieri si è levata per chiedere un atto di clemenza nei confronti dei tre condannati. Possiamo parlare di un successo e, secondo te, lascia speranza per il futuro, giacché si parla solo di una sospensione?

 

R. - Credo che il movimento messo in atto possa aprire spiragli di speranza, perchè la situazione in Indonesia è di un forte movimento trasversale che unisce i rappresentanti di tutte le religioni. Stanno facendo un lavoro di sensibilizzazione che parte dalla base, per recuperare quel carattere di armonia che caratterizza la cultura indonesiana.

 

D. – Qual è la reale capacità di influenza della piccola minoranza cattolica in Indonesia?

 

R. -  C’è da dire questo: i cattolici, per quanto siano una minoranza, sono attivi a più livelli, nel mondo dell’educazione, nel mondo della sanità, delle parrocchie e anche nel mondo dei media. C’è un dato da segnalare, a questo proposito. Il principale quotidiano indonesiano, il Kompas, appartiene a un gruppo editoriale che ha al suo interno, a livello dirigenziale, dei cattolici, e anche il quotidiano di lingua inglese più diffuso, il Jakarta Post, fa riferimento a questo stesso gruppo editoriale. Grazie anche alla presenza dei Gesuiti, da tempo c’è in moto in Indonesia un lavoro dei cattolici di utilizzo e sensibilizzazione dei media, per l’avvio di un’informazione più vera e più obiettiva sui fatti che avvengono nelle varie isole.

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IL VANGELO DI DOMANI

 

 

Domani, 13 agosto, 19.ma Domenica del Tempo Ordinario, la Liturgia ci propone il discorso in cui Gesù afferma di essere “il pane disceso dal cielo” suscitando incredulità tra gli ascoltatori. «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? – domandano alcuni - Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?». Ma Gesù ribadisce:

 

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 

 

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del teologo gesuita padre Marco Ivan Rupnik:

 

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(musica)                 

 

Quando Cristo dice di essere il pane che discende dal cielo, vuol dire che la sua origine è in cielo, che viene da Dio e che è la vita per il mondo. Chi mangia sopravvive, ma chi mangia questo pane disceso dal cielo che è Cristo non sopravvive, ma vive in eterno. La gente però si è fermata sull’aspetto umano di Cristo, sulla sua presenza storica senza riuscire a cogliere la novità radicale della sua persona. Noi siamo la generazione dopo l’Ascensione di Nostro Signore e dopo la Pentecoste. Cristo è allo stesso tempo con il Padre e nella Chiesa, in mezzo alle vicende della storia. Il suo corpo si continua rivelare a noi proprio nel pane del Sacramento. Il Vangelo odierno avverte anche noi di considerare seriamente Cristo come vero pane presente oggi nella Chiesa e non fermarsi solo su alcuni aspetti della sua presenza storica.

 

(musica)                 

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CHIESA E SOCIETA’

12 agosto 2006

 
 

la salma del giovane volontario italiano, ucciso giovedì a Gerusalemme, giungerà forse lunedì prossimo in italia.

nelle prossime ore sarà eseguita l’autopsia

 

ROMA. = Non ci sono novità sulla morte di Angelo Frammartino, il giovane volontario italiano ucciso giovedì sera a Gerusalemme. Si attende l’autopsia del ragazzo, che sarà eseguita nelle prossime ore. All’operazione assisterà anche un medico italiano, un aspetto questo, che sveltirà le pratiche per l’espatrio della salma, che potrebbe giungere a Roma, all’aeroporto di Ciampino, nel pomeriggio di lunedì 14. La camera ardente sarà allestita presso il Comune di Monterotondo, località alle porte di Roma, dove risiedeva il ragazzo, mentre i funerali si svolgeranno prevedibilmente martedì prossimo. La polizia israeliana sta preparando un identikit dell’assassino, grazie alle testimonianze rese in questi giorni da una delle tre ragazze italiane che si trovavano vicino ad Angelo. Al momento dell’aggressione. Gli inquirenti seguono tutte le piste ma hanno avanzato l’ipotesi di un atto di terrorismo con motivazioni politiche. Intanto, il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ieri ha inviato un messaggio di cordoglio alla famiglia Frammartino: “Tutti gli italiani – ha affermato il presidente - sono uniti nel dolore per la scomparsa di Angelo, la cui vita generosa è stata stroncata da un barbaro assassinio”. Anche il premier, Romano Prodi, ha espresso vicinanza alla famiglia, come tante altre cariche istituzionali. Intanto, sempre ieri, i compagni di Angelo sono rientrati in Italia. Del gruppo facevano parte otto ragazze e tre ragazzi, alcuni giovanissimi, tra i 18 e i 20 anni. Giunti in serata all’aeroporto romano di Fiumicino, non hanno nascosto la loro commozione, ma non hanno rilasciato alcuna dichiarazione. (E.B.)

 

 

LA POVERTÀ DERUBA IL MONDO DI UN POTENZIALE DI OLTRE 1 MILIARDO DI GIOVANI:

LO AFFERMA IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, ANNAN, NEL MESSAGGIO

PER LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA GIOVENTU’,

INVITANDO I GOVERNI A INVESTIRE IN ISTRUZIONE E LAVORO

 

BRUXELLES. = Un dollaro al giorno per dire di avere un futuro. E’ l’utopia di un ragazzo su cinque tra i 15 e i 24 anni, in molte parti del mondo. Per non parlare di chi non riesce a trovare un lavoro, di chi è povero e dunque sarà poco o niente istruito e probabilmente discriminato. Per questa enorme fascia si muove l’ONU, che chiede ai governanti del pianeta, attraverso il suo segretario generale, Kofi Annan, uno “sforzo globale” per sradicare la povertà e migliorare le condizioni di vita del mondo giovanile. Il quadro a tinte fosche e l’appello che segue sono contenuti nel messaggio di Kofi Annan per la Giornata internazionale della gioventù di oggi. “Affrontiamo la povertà insieme: i giovani e lo sradicamento della povertà”. Il mondo dei giovani, afferma il segretario generale dell’ONU, “corrisponde attualmente ad oltre un miliardo, sono una delle più importanti risorse per lo sviluppo e possono essere degli agenti fondamentali d’innovazione e di un positivo cambiamento sociale. Tuttavia – osserva - il bilancio della povertà giovanile deruba il mondo di quel potenziale. In un mondo di grande ricchezze, circa un ragazzo su cinque tra i 15 ed i 24 anni deve guadagnarsi con difficoltà un’esistenza con meno di un dollaro al giorno, e quasi la metà vive con meno di due dollari al giorno”. Annan denuncia la mancanza di un “lavoro dignitoso” per moltissimi ragazzi e ragazze e rilancia: “La nostra sfida è chiara: dobbiamo porre più attenzione all’istruzione e, in maniera particolare, alla transizione dall’istruzione all’occupazione. In più – prosegue - l’abilità dei giovani a trovare un impiego a tempo pieno e produttivo deve essere un obiettivo centrale nelle strategie di sviluppo nazionali, incluse le linee di condotta di riduzione della povertà”. In questo Giornata internazionale per la Gioventù, conclude, “afferriamo quest’occasione, e raddoppiamo i nostri sforzi per sostenere i giovani e sprigionare il loro enorme potenziale, a beneficio di tutti noi”. (A.D.C.)

 

 

Spingere i giovani ad essere più decisi nel riconoscere il dovere

di evangelizzare. questo l’obiettivo del congresso missionario organizzato, ieri ed oggi, dalla conferenza episcopale tHailandese.

l’incontro è stato anche un momento di preparazione

del Congresso asiatico del prossimo ottobre

 

Bangkok. = La Conferenza episcopale thailandese ha radunato, ieri ed oggi, i giovani delle scuole cattoliche del Paese per un Congresso missionario, tenutosi presso il seminario san Giuseppe di Samphran. L’incontro – afferma l’agenzia AsiaNews - aveva come tema “Andate da tutti i popoli, in tutte le nazioni, e fateli miei discepoli”, ispirato al versetto del vangelo di Matteo (28,19). L’obiettivo principale del convegno era quello di spingere i giovani ad essere più decisi nel riconoscere il dovere di evangelizzare e nel cercare di vivere come “missionari”. L’incontro, organizzato da padre Vidhaya Kaew-waen, responsabile della Commissione per la pastorale e la missione dell’arcidiocesi di Bangkok, voleva essere anche una preparazione al primo Congresso missionario asiatico, che si terrà a Chiang Mai, dal 19 al 22 ottobre di quest’anno. Organizzato dalla Federazione dei vescovi asiatici (FABC) e dalla Congregazione vaticana per l’Evangelizzazione dei popoli, il prossimo Congresso vuole sostenere un’idea cara a Giovanni Paolo II: quella che il Terzo Millennio possa essere quello dell’evangelizzazione dell’Asia. La Thailandia è stata scelta come luogo ospitante, perché è una delle nazioni asiatiche più libere dal punto di vista religioso. La Chiesa thai si è preparata a questo impegno per tutto l’anno: dal 15 ottobre 2005 si sta infatti celebrando l’anno dell’evangelizzazione, che terminerà il 14 ottobre 2006. (E.B.)

 

 

Emergono nuovi dettagli circa l’arresto, avvenuto nei giorni scorsi in Cina, di mons. Yao Liang, vescovo ausiliare della diocesi di Xiwanzi.

Fermato e torturato anche un giovane sacerdote,

mentre un secondo risulta disperso. Arrestato un giornalista

 che indagava sulla repressione dei cristiani in cina

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

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PECHINO. = Il vescovo, mons. Yao Liang, è stato arrestato con l’inganno. L’UAR, L’Ufficio affari religiosi della regione dell’Hebei, aveva invitato il presule nella città di Zhangjiakou con il pretesto di discutere della restituzione di alcune proprietà della Chiesa. Un pretesto, appunto, al quale è seguito il fermo, il secondo subito dall’anziano presule dopo quello avvenuto nel 2005. Da quel giorno, il 30 luglio scorso, non si sono avute più notizie di mons. Yao. A denunciare l’accaduto, lo ricordiamo, era stata la Kung Foundation, un’organizzazione con sede negli Stati Uniti, che opera per la libertà religiosa in Cina. L’altro particolare riguarda padre Li Huisheng, che è stato arrestato per la prima volta l’1 agosto, torturato dalla polizia e quindi rilasciato. Secondo AsiaNews, i fedeli hanno confermato il precario stato di salute di Padre Li che, dopo il rilascio, è stato subito portato in ospedale per un breve controllo. In seguito, una novantina di fedeli hanno manifestato davanti alla sede della polizia, che, da parte sua ha disperso la folla, provocando diversi feriti. Poi, nella notte, 500 agenti hanno lanciato una retata arrestando padre Li, che intanto era tornato in chiesa, e altre 90 persone. Di queste, almeno una ventina resta tuttora in prigione, assieme al sacerdote. Anche un p. Wang Zhong, un altro sacerdote della diocesi, risulta scomparso. All’origine di tutto vi è un pellegrinaggio al monte Muozi nella Mongolia interna, che la diocesi organizza ormai da un centinaio di anni. La polizia però quest’anno lo ha proibito e, attraverso l’UAR, ha eseguito gli arresti. Le autorità locali non hanno aggiunto spiegazioni sulla vicenda. L’Hebei è la regione con il più alto numero di cattolici in Cina. Questi rifiutano il controllo dell’Associazione patriottica (AP) che, da parte sua, ha lanciato da tempo una campagna di arresti contro vescovi, sacerdoti e fedeli dell’area per sottometterli. Infine, l’organizzazione Reporter senza frontiere (RFS) ha reso noto l’arresto, avvenuto ieri, da parte delle autorità cinesi, di un giornalista locale che aveva pubblicato articoli relativi alla distruzione di alcune chiese cristiane e agli arresti di cristiani avvenuti nella provincia orientale dello Zhejiang. “Questo nuovo arresto – afferma RSF, che ha lanciato un appello per la liberazione dell’uomo – mostra crudelmente che per un giornalista cinese è impossibile investigare o scrivere su temi quali la persecuzione delle minoranze religiose”.

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NORD UGANDA: RIDOTTO DA 25 MILA A 4 MILA, IN DUE ANNI, IL NUMERO DEI BAMBINI PENDOLARI CHE OGNI NOTTE SI METTONO IN MARCIA PER SFUGGIRE DALLE VIOLENZE PERPETRATE DALL’ESERCITO DI RESISTENZA DEL SIGNORE

 

KAMPALA. = È diminuito in Uganda il numero dei “night commuters”, i bambini pendolari che ogni notte si allontanano dalle loro case, nelle zone rurali di Gulù, percorrendo decine di chilometri, per mettersi in salvo dagli attacchi e dai sequestri dei ribelli dell’Esercito di Liberazione del Signore (LRA). Nel febbraio del 2004, riferisce l’agenzia Misna, erano più di 25 mila i bambini in marcia. Oggi sono meno di 4 mila. I dati sono stati riferiti nelle ultime ore dall’UNICEF, il Fondo dell’ONU per l’infanzia, proprio mentre a Juba, in Sud Sudan, sono in corso trattative tra i ribelli e il governo di Kampala per porre fine alla ventennale guerra civile, portatrice di morte, sequestri e schiavitù di bambini. “I 4 mila piccoli che ancora fuggono - ha spiegato un operatore umanitario - non lo fanno più per paura dei sequestri, ormai cessati, quanto per via delle disgregate strutture sociali, culturali e familiari nelle quali vivono”. La soluzione perciò – conclude – “non è incrementare i rifugi dove i bambini cercano protezione, ma alleviare il disagio familiare”. (A.Gr.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

12 agosto 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata e Amedeo Lomonaco -

 

Resta ancora alto l’allarme attentati 2 giorni dopo l’annuncio di Scotland Yard di uno sventato piano di attacco su aerei diretti negli Stati Uniti. Le indagini proseguono anche in Pakistan, dove le autorità stanno interrogando diversi presunti terroristi. Il servizio, da Londra, di Sagida Syed:

 

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Proseguono senza sosta gli interrogatori delle 23 persone arrestate per lo sventato complotto terroristico di giovedì scorso. La polizia avrà tempo fino a mercoledì prima di incriminarli formalmente. Di 19 di essi sono stati resi noti nomi ed età, confermando la loro origine pakistana, anche se tutti hanno cittadinanza britannica. L’operazione terroristica preparata nei minimi dettagli, secondo il materiale sequestrato da Scotland Yard nelle abitazioni dei presunti terroristi, sarebbe stata finanziata da un gruppo legato ad Al Qaeda, attraverso Rashid Rauf, forse la mente del fallito attentato, arrestato dalla polizia pakistana una decina di giorni fa. E la pista pakistana battuta dai vertici dell’anti terrorismo britannico ha provocato le reazioni della comunità musulmana, che ha pubblicato sui giornali di oggi una lettera firmata da parlamentari e leader islamici, che critica apertamente la politica estera di Tony Blair, accusandola di fomentare l’islamofobia e il fondamentalismo tra i giovani musulmani di seconda e terza generazione. Proprio oggi il primo ministro ha comunicato che visiterà nei prossimi giorni la Palestina, per una visita ufficiale.

Da Londra, per la Radio Vaticana, Sagida Syed.

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E in tutto il mondo sale lo stato d’allerta, sulla scia degli attentati sventati in Gran Bretagna. Le autorità indiane hanno innalzato il livello di sicurezza nella capitale New Delhi e a Mumbai, per la paura di possibili azioni terroristiche in prossimità della festa nazionale dell’Indipendenza del 15 agosto. In Italia, 40 persone sono finite in manette per legami con gli estremisti islamici. Avviate, inoltre, 114 procedure di espulsione.

 

Nuovi episodi di violenza in Iraq: almeno 26 ribelli sono rimasti uccisi ieri sera a Ramadi durante scontri con le forze della coalizione. Tre persone sono morte poi, stamani, per l’esplosione di una bomba nei pressi di un mercato di Bassora. Due ex membri del partito Baath, la formazione dell’ex presidente iracheno, Saddam Hussein, sono rimasti uccisi, infine, in due diversi agguati compiuti nel sud del Paese.

 

Violenze anche in Afghanistan, dove tre soldati della coalizione sono stati uccisi durante scontri con guerriglieri talebani nella provincia nordorientale di Nooristan. Lo riferisce il comando militare americano senza precisare la nazionalità delle vittime.

 

Sempre grave la situazione in Sri Lanka: nuovi scontri tra le Tigri Tamil e le forze di regolari di Colombo hanno provocato oggi 127 morti e centinaia di feriti. L’episodio è avvenuto nel nord-est del Paese.

 

Il parlamento è “mafioso e paramilitare” e per questo “nessuno dei nostri portavoce parlerà di fronte all’Assemblea”. Con queste parole, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) hanno respinto l’invito del presidente del Senato, Dilian Toro, di avviare colloqui di pace tra governo e guerriglieri in Parlamento. Già diversi mesi prima delle elezioni del 28 maggio, vinte da Uribe, le FARC avevano chiarito la loro non disponibilità al cosiddetto ‘accordo umanitario’ per il rilascio di una sessantina di rapiti in cambio della scarcerazione di 500 loro militanti reclusi nei penitenziari nazionali.

 

Il presidente cubano Fidel Castro, che domani compie 80 anni, si sta riprendendo. La rassicurazione è giunta dal ministro della Cultura, Abiel Prieto, che è intervenuto durante l’inaugurazione, nella Città Vecchia, di una mostra fotografica sul leader cubano. Il ministro non ha però precisato quando ci saranno informazioni ufficiali sull'evoluzione della salute di Fidel e non ha parlato di un possibile messaggio alla nazione dello stesso presidente. “Credo che la gente stia aspettando – ha affermato Prieto, ma lui ha chiesto pazienza”.

 

In Italia, 39 clandestini, tra cui sei donne, sono giunti stamani nell’isola di Lampedusa su un barcone intercettato dalla guardia costiera all'imboccatura del porto. Gli immigrati sono stati trasferiti nel centro di prima accoglienza dell’isola.

 

Sempre in Italia, a Palermo, gli ex detenuti, che da una settimana occupavano la cattedrale del capoluogo siculo, hanno deciso oggi di abbandonare il Duomo. Gli uomini chiedevano un posto di lavoro nei servizi sociali del Comune. Il 30 agosto la vicenda sarà esaminata in una riunione in prefettura. 

 

 

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