RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 224 - Testo della trasmissione di sabato 12 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Le parole del Papa sulla
predilezione di Dio per gli ultimi nelle vicende della storia
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il Vangelo di domani: il
commento di padre Marko Ivan Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
Dopo lo sventato attacco terroristico agli aerei
diretti dal Regno Unito verso gli Stati Uniti, le indagini proseguono serrate:
forse l’ordine per l’attentato doveva partire dal Pakistan
12 agosto 2006
LE
PAROLE DI BENEDETTO XVI SULLA PREDILEZIONE DI DIO PER GLI ULTIMI
E I
POVERI NELLE VICENDE DELLA STORIA UMANA
Anche in questo mese d’agosto ferve l’attività della Santa
Sede di fronte alle sfide dell’attualità. Il Papa, dopo i numerosi appelli per
la pace in Medio Oriente, invia il cardinale Etchegaray in Libano ma senza
dimenticare altri Paesi: così ha invocato la grazia per i tre cattolici condannati
a morte in Indonesia. E proprio
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Il Papa nell’Enciclica “Deus caritas est” parla del
silenzio di Dio di fronte alle vicende umane. Cita Sant'Agostino: “Se tu lo
comprendi, allora non è Dio”. Il Creatore – afferma
Benedetto XVI – “non s’impone, non entra mai con la forza” nella storia, ma si
nasconde nel Bambino di Betlemme chiedendo di essere accolto:
“È il paradosso
cristiano. Proprio questo nascondimento costituisce la più eloquente
‘manifestazione’ di Dio: l'umiltà, la povertà, la stessa ignominia della
Passione ci fanno conoscere come Dio è veramente”. (Messa per l’Epifania, 6\1\2006)
Il
fulgore della luce divina brilla sugli umili, Maria, Giuseppe, i pastori:
“Restano in ombra i
palazzi del potere di Gerusalemme, dove la notizia della nascita del Messia …
suscita non gioia, ma timore e reazioni ostili. Misterioso disegno divino: ‘la
luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce,
perché le loro opere erano malvagie’". (Messa per l’Epifania, 6\1\2006)
Maria diventa il modello dei giusti che vivranno per la
loro fede. Nel Magnificat la sua anima “magnifica”, cioè “rende grande il
Signore”: lei invece è piccola:
“È un canto che
rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli
che si riconoscevano ‘poveri’ non solo nel distacco da ogni idolatria della
ricchezza e del potere, ma anche nell'umiltà profonda del cuore, spoglio dalla
tentazione dell'orgoglio, aperto all'irruzione della grazia divina salvatrice”.
(Udienza generale,
15\2\2006)
Dio –
proclama il Magnificat - disperde i superbi, rovescia i potenti, innalza gli
umili, rimanda i ricchi a mani vuote:
“Egli si schiera
dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il
terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare ‘i superbi, i potenti e
i ricchi’. Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per
mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: ‘Coloro che lo temono’, fedeli alla
sua parola; ‘gli umili, gli affamati, Israele suo servo’, ossia la comunità del
popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono ‘poveri’, puri e
semplici di cuore”.(Udienza
generale, 15\2\2006)
“Per il credente – scrive il Papa nella sua Enciclica -
non è possibile pensare” che Dio “sia impotente” di fronte alle sofferenze
umane. “Piuttosto è vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di
Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede
nella sua sovrana potestà. I cristiani – afferma infine Benedetto XVI - pur
immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della
storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il
suo silenzio rimane incomprensibile per noi”.
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LA COMUNITA’ CRISTIANA LIBANESE ATTENDE L’ARRIVO
DEL
CARDINALE ROGER ETCHEGARAY INVIATO SPECIALE DEL PAPA.
ALLA
RADIO VATICANA, L’APPELLO PER LA PACE DEL PATRIARCA DI ANTIOCHIA
DEI MARONITI, NASRALLAH SFEIR. L’IMPEGNO DELLA
DIPLOMAZIA VATICANA,
TESTIMONIATO,
SEMPRE AI NOSTRI MICROFONI, DA MONS. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
ALL’ONU DI GINEVRA
Un mese di
guerra in Medio Oriente, un mese di impegno per la pace di Benedetto XVI. Ieri,
l’ultima iniziativa presa dal Papa per esprimere, innanzitutto, la sua
vicinanza spirituale alle popolazioni colpite dal conflitto. Il Santo Padre ha
chiesto al cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace, di recarsi in Libano come suo Inviato
Speciale. La visita, che “ha carattere essenzialmente religioso” prevede “se
sarà possibile, la celebrazione della Santa Messa”, presieduta dal cardinale
Etchegaray nel “Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa”, il 15
agosto prossimo solennità dell’Assunzione di Maria. Concelebrerà il cardinale
Pierre Nasrallah Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti. Proprio al
cardinale Sfeir, Jeremy Brossard ha chiesto di esprimere i sentimenti con i
quali la comunità cristiana libanese si appresta a ricevere l’inviato del Papa:
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R. – Nous remercions le saint
pere de ce geste…
Noi ringraziamo il Santo Padre di questo gesto paterno che
compie nei nostri riguardi. Non è la prima volta. L’Inviato Speciale potrà
vedere direttamente quello che sta succedendo in Libano. Noi ci riuniremo in
preghiera per domandare a Dio di ispirare ed illuminare i responsabili,
affinché mettano fine a questa guerra. Per questo ringraziamo il Santo Padre.
D. –
Avete preso la decisione di incontrarvi per una riunione la prossima settimana:
ce ne può parlare?
R. – C’est une réunion extraordinaire …
Si tratta di una riunione straordinaria, abbiamo infatti
già tenuto la nostra riunione all’inizio del mese. Vogliamo fare il punto su
cosa sta succedendo. Sono molti i vescovi che vanno un po’ ovunque, presso i
rifugiati, per vedere come vivono, di cosa hanno bisogno, ma anche per
consolarli e soprattutto incoraggiarli.
D. – Qual è oggi il messaggio dei cristiani del Libano
nella situazione attuale?
R. –
C’est un message…
E’ un messaggio di carità, di amore, di fiducia nella
Provvidenza. Ci sono circa un milione di sfollati, che hanno dovuto abbandonare
le loro città, perdendo tutto ciò che avevano: le loro case, i loro affetti...
Questi profughi hanno trovato rifugio presso i cristiani ed hanno bisogno di
tutto. Noi ringraziamo tutti coloro che hanno aiutato e continuano ad aiutare
il popolo libanese: gli aiuti, soprattutto quelli alimentari, non smettono di
giungere. Le Organizzazioni, specie Caritas-Libano lavorano e si impegnano
fortemente per cercare di trovare rimedio a tutto quello che è successo.
D. – In questo contesto di guerra, c’è una solidarietà più
forte tra cristiani e musulmani del Libano?
R. –
Qui, il y a beaucoup des chrietiens…
Sì, certamente. Ci sono molti cristiani che vengono
accolti da musulmani e molti musulmani che, a loro volta, sono accolti da
cristiani. Ci sono i padri salesiani di Don Bosco che operano nella regione di
Jbeil. Mi hanno detto di aver dato accoglienza sia ai musulmani che ai
cristiani nel loro convento in montagna.
D. – Come prosegue la vita della comunità cristiana in
Libano, sotto i bombardamenti?
R. – C'est
une atmosphère
C’è una strana atmosfera, sicuramente di desolazione. Ma
c’è anche speranza. E’ per questo che preghiamo, affinché cessino le ostilità.
Crediamo che ci sia ancora una speranza, ma c’è anche distruzione, macerie e
soprattutto molta gente che è sfollata e rifugiata; ci sono danni, ci sono
infrastrutture demolite, circa 400 ponti sono stati già distrutti.
D. - Questa notte c’è stato un accordo a New York per una
Risoluzione. Come accogliete questa adozione?
R. – Certainement
avec soulagement ….
Sicuramente
con sollievo, nonostante ci siano ancora delle imperfezioni. La gente è stanca
dei continui bombardamenti e delle vittime. E’ per questo che noi speriamo che
torni la pace e che le cose possano quindi riprendere il loro corso normale.
D. – Per concludere, avete un messaggio da indirizzare a
tutti coloro che ascoltano la Radio Vaticana? Che cosa vorreste dir loro?
R. – Je
remercie tout ceux qui …
Ringrazio tutti coloro che hanno soccorso il Libano, che
hanno inviato derrate alimentari ed aiuti dei quali la popolazione ha così
tanto bisogno. Spero che tutti coloro che sono stati costretti a scappare,
possano presto ritornare, però purtroppo non troveranno le loro case, perché
tutto è ormai distrutto. Credo che inizialmente dovremo sistemarli in case
prefabbricate o in tende fin quando non riusciremo a ricostruire le loro case.
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Anche la
diplomazia vaticana è in prima linea per la pace in Medio Oriente. Ieri,
l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede
all’ONU di Ginevra è intervenuto alla sessione speciale del Consiglio per i
diritti umani sulla crisi libanese. Il presule ha ribadito che vanno rispettati
i diritti di tutti i popoli del Medio Oriente. Intervistato da Alessandro
Gisotti, mons. Tomasi si sofferma sulle principali preoccupazioni della Santa
Sede per la crisi israelo-libanese:
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R. - Anzitutto c’è la preoccupazione per la popolazione
civile che è stata messa in situazione di estrema difficoltà. La distruzione,
infatti, delle infrastrutture del Libano, ponti, strade, centrali elettriche,
ha colpito indiscriminatamente un po’ tutta la popolazione. Inoltre ricordando
le parole del Santo Padre, che la pace è dono di Dio, si è voluto far capire
che né il terrorismo, né gli attacchi militari porteranno ad una soluzione.
D. - Fin dall’inizio della crisi, il Papa si è prodigato
per la pace su più fronti. Come è stato accolto alle Nazioni Unite questo
instancabile impegno del Pontefice?
R. - La voce della ragione che viene espressa dagli
interventi del Santo Padre fa presa su tutte le persone di buona volontà. In
modo particolare alcuni Paesi arabi e musulmani sono rimasti colpiti della
decisione e della insistenza con cui il Papa ha voluto portare l’attenzione
dell’opinione pubblica su quest’ultima crisi così grave e soprattutto
focalizzare l’attenzione sul Libano. Perché il Libano rappresenta più che un
piccolo Paese, è un modo di vivere, di coesistenza, di capacità, di tolleranza
e di dialogo tra confessioni religiose diverse, per cercare appunto di cercare
di creare uno Stato, dove nella diversità e nel pluralismo, è possibile
convivere. La distruzione del Libano in qualche modo è la distruzione anche di
un modello di convivenza che potrebbe essere additato ai Paesi del Medio
Oriente, come una formula veramente vincitrice per portare la pace.
D. - All’ONU di New York è stato raggiunto un accordo
sulla risoluzione per la cessazione dell’ostilità. Che giudizio si può dare di
questo passo verso la pace?
R. - Certo è importante che, dopo tanta esitazione e tanta
incapacità di coagulare una maggioranza o un’unanimità, finalmente davanti
all’estrema tragedia del Libano delle popolazioni civili nel nord di Israele,
si arrivi ad un cessate il fuoco. E’ da augurarsi che questa decisione delle
Nazioni Unite porti veramente a un alt dell’attività militare. Bisogna
continuare, non solo a insistere attraverso le strutture della comunità
internazionale perché si arrivi a un’attuazione delle decisioni raggiunte, ma
anche perchè cambi la mentalità e si trovi un metodo nuovo di affrontare i
problemi. Perché la forza, la violenza, l’uso dei cannoni che abbiamo visto in
questi ultimi 50 anni, in quella regione, non è la strada che può portare alla
pace.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Titolo di apertura: "L'ONU
approva la risoluzione per far tacere le armi" in Medio Oriente -
Terrorismo: l'impronta di "Al Qaeda" sulla strage sventata da
Scotland Yard. Messa sul Terminillo in ricordo del vescovo Rinaldi.
Servizio vaticano - Quinto anniversario
dell'approvazione della Regola dell'Ordine dei Minimi. Eredità kolbiana:
carisma e partecipazione: pubblicati gli Atti del Simposio svoltosi a Niepokalanòw,
Polonia, dal 28 al 31 agosto 2005. A Roma l'83° Capitolo generale dei Frati
Minori Cappuccini. Il cammino della Chiesa in Asia.
Servizio estero - Bosnia ed Erzegovina:
esumate da una fossa comune centinaia di vittime del massacro di Srebrenica.
Afghanistan: uccisi 4 soldati dell'"Isaf". Indonesia: rinviata l'esecuzione
di tre cittadini di religione cattolica. Sri Lanka: nuovi combattimenti tra
esercito e ribelli secessionisti delle tigri Tamil. Immigrazione: sedici
africani morti su una barca alla deriva al largo della Mauritania.
Servizio culturale - L'Elzeviro di Mario Gabriele
Giordano: "La questione del latino".
Servizio italiano - Ancora incidenti sul
lavoro. Reazioni e commenti sulla morte del volontario italiano ucciso a
Gerusalemme.
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12 agosto 2006
SI DI
ISRALE E LIBANO ALLA RISOLUZIONE APPROVATA DALL’ONU PER
PORRE FINE,
PRIMA
POSSIBILE, ALLE OSTILITÀ NEL PAESE DEI CEDRI. SECONDO FONTI ISRAELIANE,
L’OFFENSIVA MILITARE DELLO STATO EBRAICO TERMINERÀ ENTRO LUNEDÌ.
SUL
TERRENO, INTANTO, CONTINUANO LE VIOLENZE
Israele e Libano hanno accettato la risoluzione approvata
nella notte, all’unanimità, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il documento
prevede, “appena possibile”, il cessate-il-fuoco nel sud del Libano. I tempi
per la cessazione delle ostilità verranno direttamente negoziati dal segretario
generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Secondo fonti ufficiali dello Stato
ebraico, Israele porrà fine alle ostilità entro lunedì. Sul terreno, intanto,
almeno 20 civili libanesi sono morti per un nuovo raid israeliano. L’esercito
dello Stato ebraico ha annunciato, poi, che sono rimasti uccisi, stamani,
almeno 30 Hezbollah. Sulla risoluzione approvata dall’ONU e sulla situazione in
Libano, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco:
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La risoluzione, esige “una
totale cessazione delle ostilità”: ai guerriglieri Hezbollah si chiede di
fermare subito gli attacchi e ad Israele di porre fine a qualunque operazione legata
all’offensiva militare. Per raggiungere questo obiettivo, garantire la
distribuzione degli aiuti umanitari e creare le condizioni per una pace
duratura e stabile, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha chiesto il
dispiegamento, nel sud del Libano, di un contingente formato da soldati
libanesi e da militari dell’UNIFIL, la forza di interposizione provvisoria
delle Nazioni Unite già attiva al momento, nel Paese dei cedri, con circa 8
mila uomini. L’operazione prevede, oltre al dispiegamento di 15 mila caschi blu
dell’ONU e di altri 15 mila soldati libanesi, anche il graduale ritiro delle
forze israeliane. Secondo fonti delle Nazioni Unite, il dispiegamento inizierà
entro dieci giorni.
La risoluzione estende poi le
facoltà dell’UNIFIL: saranno autorizzate non solo azioni militari per
autodifesa, ma anche operazioni offensive. La guida del contingente internazionale,
che sarà composto da militari francesi, spagnoli, italiani e turchi, sarà
affidato alla Francia. E’ stato anche deciso di adottare l’embargo sulle armi
per “qualsiasi entità o individuo in Libano” che non faccia parte dell’esercito
libanese. In questo caso, è chiaro il riferimento ai combattenti Hezbollah. Per
quanto riguarda le fattorie di Shebaa, zona di confine rivendicata dal Libano,
il documento si limita a chiedere al segretario generale dell’ONU, Kofi Annan,
di avanzare una proposta per ridisegnare i confini dell’area. La risoluzione ha
ricevuto l’approvazione di Israele e Libano. Secondo fonti ufficiali dello
Stato ebraico, le azioni militari termineranno, entro lunedì. Il governo di
Beirut, pur esprimendo dubbi sull’efficacia della risoluzione, si è detto
comunque favorevole alla bozza approvata dal Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite.
Intanto, in attesa di una
effettiva applicazione della risoluzione, non si arrestano le violenze: l’esercito israeliano ha annunciato
l’estensione dell'offensiva di terra nel sud del Libano, nella fascia tra il
confine e il fiume Litani. E a sud di Tiro, almeno 20 persone sono morte in
seguito a nuovi raid. Sempre nel sud del Libano, sono rimasti uccisi trenta
combattenti sciiti. Sull’altro fronte, guerriglieri
Hezbollah hanno lanciato una ventina di razzi contro
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DOPO
L’APPELLO DI BENEDETTO XVI E IL FORTE MOVIMENTO D’OPINIONE LOCALE,
LE
AUTORITA’ INDONESIANE HANNO DECISO DI RINVIARE
L’ESECUZIONE
CAPITALE DEI TRE CATTOLICI CONDANNATI A MORTE
-
Intervista con Maria Laura Conte -
Un rinvio della pena, non un vero e proprio annullamento,
ma comunque un segnale positivo. E’ quanto accaduto ieri in Indonesia, dove per
la mezzanotte di oggi, ora locale, era in programma l’esecuzione capitale di
tre cattolici, condannati come responsabili dei violenti disordini scoppiati
nell’isola di Sulawesi tra il 2000 e il 2001. Anche Benedetto XVI era
intervenuto ieri presso il capo di Stato indonesiano per chiedere un “gesto di
clemenza” in favore dei tre uomini, accompagnati in queste ore da una vasta
catena di solidarietà, in patria e fuori. Le autorità locali hanno comunicato
che la pena slitta dal 12 al 20 agosto, giacché l’Indonesia si prepara a
celebrare il 61.mo dell’indipendenza. Ma per la Chiesa locale e per le numerose
ONG schieratesi in favore del no alla pena di morte il rinvio equivale a un
successo, in un Paese dove la presenza cattolica arriva al 3% sugli oltre 220
milioni di abitanti. Della vicenda, Alessandro De Carolis ha parlato con Maria
Laura Conte, autrice di un recente reportage sull’Indonesia per la rivista
Oasis:
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R. – La storia comincia nel 2000, quando nella città di
Poso si verificarono scontri e violenze che portarono alla morte centinaia di
persone. Furono individuati i tre cattolici come i responsabili di questi
scontri e condannati a morte. Da lì, però, è partita tutta un’azione di grande
solidarietà in tutta l’Indonesia per difendere questi cristiani e soprattutto
per richiedere l’apertura delle indagini. In sostanza, musulmani, cristiani ma
anche capi di altre religioni - che spesso si uniscono in Indonesia per la
richiesta di pace, di rispetto dei diritti umani, della democrazia - hanno
chiesto di riprendere in mano questi fatti e di leggerli in modo più approfondito,
al di là delle semplificazioni rapide che erano state fatte. Del resto, Poso,
in sé, è un luogo emblematico di ciò che è oggi l’Indonesia. La realtà del
Paese è molto lontana dalla nostra. Basti pensare solo a qualche numero che
inquadra questa nazione lontana: 13.000 isole con 220 milioni di abitanti e il
numero cresce molto velocemente, e poi 300 etnie, 250 lingue. Un Paese che ha
un’economia in ripresa, sì, ma che ha subito alla fine degli anni ’90 un crack
economico terribile. La situazione politica è di assestamento di una giovane
democrazia, tuttavia ha a che fare ancora con i poteri messi da parte e che
vogliono riconquistare visibilità, come l’esercito. Dal punto di vista
religioso, infine, l’Indonesia è un mosaico molto ricco che oggi avverte, come
il resto del mondo, il pericolo della presenza di cellule di un Islam radicale,
che non hanno nulla a che fare con la tradizione locale indonesiana ma che sono
importate.
D. – Quella di Benedetto XVI è stata l’ultima forte voce
che ieri si è levata per chiedere un atto di clemenza nei confronti dei tre
condannati. Possiamo parlare di un successo e, secondo te, lascia speranza per
il futuro, giacché si parla solo di una sospensione?
R. - Credo che il movimento messo in atto possa aprire
spiragli di speranza, perchè la situazione in Indonesia è di un forte movimento
trasversale che unisce i rappresentanti di tutte le religioni. Stanno facendo
un lavoro di sensibilizzazione che parte dalla base, per recuperare quel
carattere di armonia che caratterizza la cultura indonesiana.
D. – Qual è la reale capacità di influenza della piccola
minoranza cattolica in Indonesia?
R. - C’è da dire
questo: i cattolici, per quanto siano una minoranza, sono attivi a più livelli,
nel mondo dell’educazione, nel mondo della sanità, delle parrocchie e anche nel
mondo dei media. C’è un dato da segnalare, a questo proposito. Il principale
quotidiano indonesiano, il Kompas, appartiene a un gruppo editoriale che ha al
suo interno, a livello dirigenziale, dei cattolici, e anche il quotidiano di
lingua inglese più diffuso, il Jakarta Post, fa riferimento a questo stesso
gruppo editoriale. Grazie anche alla presenza dei Gesuiti, da tempo c’è in moto
in Indonesia un lavoro dei cattolici di utilizzo e sensibilizzazione dei media,
per l’avvio di un’informazione più vera e più obiettiva sui fatti che avvengono
nelle varie isole.
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Domani, 13 agosto, 19.ma Domenica del Tempo Ordinario,
«Io sono il pane
vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane
che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del
teologo gesuita padre Marco Ivan Rupnik:
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(musica)
Quando Cristo dice di essere il pane che discende dal
cielo, vuol dire che la sua origine è in cielo, che viene da Dio e che è la
vita per il mondo. Chi mangia sopravvive, ma chi mangia questo pane disceso dal
cielo che è Cristo non sopravvive, ma vive in eterno. La gente però si è
fermata sull’aspetto umano di Cristo, sulla sua presenza storica senza riuscire
a cogliere la novità radicale della sua persona. Noi siamo la generazione dopo
l’Ascensione di Nostro Signore e dopo
(musica)
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12 agosto 2006
la salma del giovane volontario italiano, ucciso
giovedì a Gerusalemme, giungerà forse lunedì prossimo in italia.
nelle prossime ore sarà eseguita l’autopsia
ROMA. = Non ci sono novità sulla morte di Angelo
Frammartino, il giovane volontario italiano ucciso giovedì sera a Gerusalemme.
Si attende l’autopsia del ragazzo, che sarà eseguita nelle prossime ore.
All’operazione assisterà anche un medico italiano, un aspetto questo, che
sveltirà le pratiche per l’espatrio della salma, che potrebbe giungere a Roma,
all’aeroporto di Ciampino, nel pomeriggio di lunedì 14. La camera ardente sarà
allestita presso il Comune di Monterotondo, località alle porte di Roma, dove
risiedeva il ragazzo, mentre i funerali si svolgeranno prevedibilmente martedì
prossimo. La polizia israeliana sta preparando un identikit dell’assassino,
grazie alle testimonianze rese in questi giorni da una delle tre ragazze
italiane che si trovavano vicino ad Angelo. Al momento dell’aggressione. Gli
inquirenti seguono tutte le piste ma hanno avanzato l’ipotesi di un atto di
terrorismo con motivazioni politiche. Intanto, il presidente della Repubblica
italiana, Giorgio Napolitano, ieri ha inviato un messaggio di cordoglio alla
famiglia Frammartino: “Tutti gli italiani – ha affermato il presidente - sono
uniti nel dolore per la scomparsa di Angelo, la cui vita generosa è stata
stroncata da un barbaro assassinio”. Anche il premier, Romano Prodi, ha
espresso vicinanza alla famiglia, come tante altre cariche istituzionali.
Intanto, sempre ieri, i compagni di Angelo sono rientrati in Italia. Del gruppo
facevano parte otto ragazze e tre ragazzi, alcuni giovanissimi, tra i 18 e i 20
anni. Giunti in serata all’aeroporto romano di Fiumicino, non hanno nascosto la
loro commozione, ma non hanno rilasciato alcuna dichiarazione. (E.B.)
BRUXELLES. = Un dollaro al giorno per dire di avere un
futuro. E’ l’utopia di un ragazzo su cinque tra i 15 e i 24 anni, in molte
parti del mondo. Per non parlare di chi non riesce a trovare un lavoro, di chi
è povero e dunque sarà poco o niente istruito e probabilmente discriminato. Per
questa enorme fascia si muove l’ONU, che chiede ai governanti del pianeta,
attraverso il suo segretario generale, Kofi Annan, uno “sforzo globale” per
sradicare la povertà e migliorare le condizioni di vita del mondo giovanile. Il
quadro a tinte fosche e l’appello che segue sono contenuti nel messaggio di
Kofi Annan per la Giornata internazionale della gioventù di oggi. “Affrontiamo la povertà insieme:
i giovani e lo sradicamento della povertà”. Il mondo dei giovani, afferma il
segretario generale dell’ONU, “corrisponde attualmente ad oltre un miliardo,
sono una delle più importanti risorse per lo sviluppo e possono essere degli
agenti fondamentali d’innovazione e di un positivo cambiamento sociale.
Tuttavia – osserva - il bilancio della povertà giovanile deruba il mondo di
quel potenziale. In un mondo di grande ricchezze, circa un ragazzo su cinque
tra i 15 ed i 24 anni deve guadagnarsi con difficoltà un’esistenza con meno di
un dollaro al giorno, e quasi la metà vive con meno di due dollari al giorno”.
Annan denuncia la mancanza di un “lavoro dignitoso” per moltissimi ragazzi e ragazze
e rilancia: “La nostra sfida è chiara: dobbiamo porre più attenzione
all’istruzione e, in maniera particolare, alla transizione dall’istruzione
all’occupazione. In più – prosegue - l’abilità dei giovani a trovare un impiego
a tempo pieno e produttivo deve essere un obiettivo centrale nelle strategie di
sviluppo nazionali, incluse le linee di condotta di riduzione della povertà”.
In questo Giornata internazionale per la Gioventù, conclude, “afferriamo
quest’occasione, e raddoppiamo i nostri sforzi per sostenere i giovani e
sprigionare il loro enorme potenziale, a beneficio di tutti noi”. (A.D.C.)
Spingere i giovani ad essere più decisi nel
riconoscere il dovere
di evangelizzare. questo l’obiettivo del congresso
missionario organizzato, ieri ed oggi, dalla conferenza episcopale tHailandese.
l’incontro è stato anche un momento di preparazione
del Congresso asiatico del prossimo ottobre
Bangkok. = La Conferenza episcopale
thailandese ha radunato, ieri ed oggi, i giovani delle scuole cattoliche del Paese
per un Congresso missionario, tenutosi presso il seminario san Giuseppe di
Samphran. L’incontro – afferma l’agenzia AsiaNews - aveva come tema “Andate da
tutti i popoli, in tutte le nazioni, e fateli miei discepoli”, ispirato al versetto
del vangelo di Matteo (28,19). L’obiettivo principale del convegno era quello
di spingere i giovani ad essere più decisi nel riconoscere il dovere di
evangelizzare e nel cercare di vivere come “missionari”. L’incontro,
organizzato da padre Vidhaya Kaew-waen, responsabile della Commissione per la
pastorale e la missione dell’arcidiocesi di Bangkok, voleva essere anche una
preparazione al primo Congresso missionario asiatico, che si terrà a Chiang
Mai, dal 19 al 22 ottobre di quest’anno. Organizzato dalla Federazione dei vescovi
asiatici (FABC) e dalla Congregazione vaticana per l’Evangelizzazione dei
popoli, il prossimo Congresso vuole sostenere un’idea cara a Giovanni Paolo II:
quella che il Terzo Millennio possa essere quello dell’evangelizzazione
dell’Asia. La Thailandia è stata scelta come luogo ospitante, perché è una
delle nazioni asiatiche più libere dal punto di vista religioso. La Chiesa thai
si è preparata a questo impegno per tutto l’anno: dal 15 ottobre 2005 si sta
infatti celebrando l’anno dell’evangelizzazione, che terminerà il 14 ottobre
2006. (E.B.)
Emergono nuovi dettagli circa l’arresto, avvenuto nei
giorni scorsi in Cina, di mons. Yao Liang, vescovo ausiliare della diocesi di Xiwanzi.
Fermato e torturato anche un giovane sacerdote,
mentre un secondo risulta disperso. Arrestato un
giornalista
che indagava
sulla repressione dei cristiani in cina
- A cura di Eugenio Bonanata -
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PECHINO. = Il vescovo, mons. Yao Liang, è stato arrestato
con l’inganno. L’UAR, L’Ufficio affari religiosi della regione dell’Hebei,
aveva invitato il presule nella città di Zhangjiakou con il pretesto di
discutere della restituzione di alcune proprietà della Chiesa. Un pretesto,
appunto, al quale è seguito il fermo, il secondo subito dall’anziano presule
dopo quello avvenuto nel 2005. Da quel giorno, il 30 luglio scorso, non si sono
avute più notizie di mons. Yao. A denunciare l’accaduto, lo ricordiamo, era
stata la Kung Foundation, un’organizzazione con sede negli Stati Uniti, che
opera per la libertà religiosa in Cina. L’altro particolare riguarda padre Li
Huisheng, che è stato arrestato per la prima volta l’1 agosto, torturato dalla
polizia e quindi rilasciato. Secondo AsiaNews, i fedeli hanno confermato il
precario stato di salute di Padre Li che, dopo il rilascio, è stato subito
portato in ospedale per un breve controllo. In seguito, una novantina di fedeli
hanno manifestato davanti alla sede della polizia, che, da parte sua ha
disperso la folla, provocando diversi feriti. Poi, nella notte, 500 agenti
hanno lanciato una retata arrestando padre Li, che intanto era tornato in
chiesa, e altre 90 persone. Di queste, almeno una ventina resta tuttora in
prigione, assieme al sacerdote. Anche un p. Wang Zhong, un altro sacerdote
della diocesi, risulta scomparso. All’origine di tutto vi è un pellegrinaggio
al monte Muozi nella Mongolia interna, che la diocesi organizza ormai da un
centinaio di anni. La polizia però quest’anno lo ha proibito e, attraverso
l’UAR, ha eseguito gli arresti. Le autorità locali non hanno aggiunto spiegazioni
sulla vicenda. L’Hebei è la regione con il più alto numero di cattolici in
Cina. Questi rifiutano il controllo dell’Associazione patriottica (AP) che, da
parte sua, ha lanciato da tempo una campagna di arresti contro vescovi,
sacerdoti e fedeli dell’area per sottometterli. Infine, l’organizzazione
Reporter senza frontiere (RFS) ha reso noto l’arresto, avvenuto ieri, da parte
delle autorità cinesi, di un giornalista locale che aveva pubblicato articoli
relativi alla distruzione di alcune chiese cristiane e agli arresti di
cristiani avvenuti nella provincia orientale dello Zhejiang. “Questo nuovo
arresto – afferma RSF, che ha lanciato un appello per la liberazione dell’uomo
– mostra crudelmente che per un giornalista cinese è impossibile investigare o
scrivere su temi quali la persecuzione delle minoranze religiose”.
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NORD
UGANDA: RIDOTTO DA 25 MILA A 4 MILA, IN DUE ANNI, IL NUMERO DEI BAMBINI
PENDOLARI CHE OGNI NOTTE SI METTONO IN MARCIA PER SFUGGIRE DALLE VIOLENZE
PERPETRATE DALL’ESERCITO DI RESISTENZA DEL SIGNORE
KAMPALA.
= È diminuito in Uganda il numero dei “night commuters”, i bambini pendolari
che ogni notte si allontanano dalle loro case, nelle zone rurali di Gulù,
percorrendo decine di chilometri, per mettersi in salvo dagli attacchi e dai
sequestri dei ribelli dell’Esercito di Liberazione del Signore (LRA). Nel
febbraio del 2004, riferisce l’agenzia Misna, erano più di 25 mila i bambini in
marcia. Oggi sono meno di 4 mila. I dati sono stati riferiti nelle ultime ore
dall’UNICEF, il Fondo dell’ONU per l’infanzia, proprio mentre a Juba, in Sud Sudan,
sono in corso trattative tra i ribelli e il governo di Kampala per porre fine
alla ventennale guerra civile, portatrice di morte, sequestri e schiavitù di
bambini. “I 4 mila piccoli che ancora fuggono - ha spiegato un operatore
umanitario - non lo fanno più per paura dei sequestri, ormai cessati, quanto
per via delle disgregate strutture sociali, culturali e familiari nelle quali
vivono”. La soluzione perciò – conclude – “non è incrementare i rifugi dove i
bambini cercano protezione, ma alleviare il disagio familiare”. (A.Gr.)
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12 agosto 2006
- A cura di Eugenio Bonanata e Amedeo
Lomonaco -
Resta ancora alto l’allarme attentati 2 giorni dopo
l’annuncio di Scotland Yard di uno sventato piano di attacco su aerei diretti
negli Stati Uniti. Le indagini proseguono anche in Pakistan, dove le autorità
stanno interrogando diversi presunti terroristi. Il servizio, da Londra, di
Sagida Syed:
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Proseguono senza sosta gli interrogatori delle 23 persone
arrestate per lo sventato complotto terroristico di giovedì scorso. La polizia
avrà tempo fino a mercoledì prima di incriminarli formalmente. Di 19 di essi
sono stati resi noti nomi ed età, confermando la loro origine pakistana, anche
se tutti hanno cittadinanza britannica. L’operazione terroristica preparata nei
minimi dettagli, secondo il materiale sequestrato da Scotland Yard nelle abitazioni
dei presunti terroristi, sarebbe stata finanziata da un gruppo legato ad Al
Qaeda, attraverso Rashid Rauf, forse la mente del fallito attentato, arrestato
dalla polizia pakistana una decina di giorni fa. E la pista pakistana battuta
dai vertici dell’anti terrorismo britannico ha provocato le reazioni della
comunità musulmana, che ha pubblicato sui giornali di oggi una lettera firmata
da parlamentari e leader islamici, che critica apertamente la politica estera
di Tony Blair, accusandola di fomentare l’islamofobia e il fondamentalismo tra
i giovani musulmani di seconda e terza generazione. Proprio oggi il primo
ministro ha comunicato che visiterà nei prossimi giorni
Da Londra, per la Radio Vaticana, Sagida Syed.
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E in
tutto il mondo sale lo stato d’allerta, sulla scia degli attentati sventati in
Gran Bretagna. Le autorità indiane hanno innalzato il livello di sicurezza
nella capitale New Delhi e a Mumbai, per la paura di possibili azioni
terroristiche in prossimità della festa nazionale dell’Indipendenza del 15
agosto. In Italia, 40 persone sono finite in manette per legami con gli
estremisti islamici. Avviate, inoltre, 114 procedure di espulsione.
Nuovi episodi di violenza in
Iraq: almeno 26 ribelli sono rimasti uccisi ieri sera a Ramadi durante scontri
con le forze della coalizione. Tre persone sono morte poi, stamani, per
l’esplosione di una bomba nei pressi di un mercato di Bassora. Due ex membri del partito Baath,
la formazione dell’ex presidente iracheno, Saddam Hussein, sono rimasti uccisi,
infine, in due diversi agguati compiuti nel sud del Paese.
Violenze anche in Afghanistan, dove tre
soldati della coalizione sono stati uccisi durante scontri con guerriglieri
talebani nella provincia nordorientale di Nooristan. Lo riferisce il comando
militare americano senza precisare la nazionalità delle vittime.
Sempre grave la situazione in
Sri Lanka: nuovi scontri tra le Tigri Tamil e le forze di regolari di Colombo
hanno provocato oggi 127 morti e centinaia di feriti. L’episodio è avvenuto nel
nord-est del Paese.
Il parlamento è “mafioso e
paramilitare” e per questo “nessuno dei nostri portavoce parlerà di fronte
all’Assemblea”. Con queste parole, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia
(FARC) hanno respinto l’invito del presidente del Senato, Dilian Toro, di avviare
colloqui di pace tra governo e guerriglieri in Parlamento. Già diversi mesi
prima delle elezioni del 28 maggio, vinte da Uribe, le FARC avevano chiarito la
loro non disponibilità al cosiddetto ‘accordo umanitario’ per il rilascio di
una sessantina di rapiti in cambio della scarcerazione di 500 loro militanti
reclusi nei penitenziari nazionali.
Il presidente cubano Fidel Castro, che domani compie 80
anni, si sta riprendendo. La rassicurazione è giunta dal ministro della
Cultura, Abiel Prieto, che è intervenuto durante l’inaugurazione, nella Città
Vecchia, di una mostra fotografica sul leader cubano. Il ministro non ha però
precisato quando ci saranno informazioni ufficiali sull'evoluzione della salute
di Fidel e non ha parlato di un possibile messaggio alla nazione dello stesso
presidente. “Credo che la gente stia aspettando – ha affermato Prieto, ma lui
ha chiesto pazienza”.
In Italia, 39 clandestini, tra
cui sei donne, sono giunti stamani nell’isola di Lampedusa su un barcone
intercettato dalla guardia costiera all'imboccatura del porto. Gli immigrati sono
stati trasferiti nel centro di prima accoglienza dell’isola.
Sempre in Italia, a Palermo,
gli ex detenuti, che da una settimana occupavano la cattedrale del capoluogo
siculo, hanno deciso oggi di abbandonare il Duomo. Gli uomini chiedevano un
posto di lavoro nei servizi sociali del Comune. Il 30 agosto la vicenda sarà esaminata
in una riunione in prefettura.
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