RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 222 - Testo della trasmissione di giovedì 10 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La
Chiesa ricorda oggi San Lorenzo, martire
Aumenta
in India il numero delle vittime colpite dalle piogge monsoniche
Sbarchi record di immigrati africani nelle Isole Canarie
nell’arco di 24 ore
In Messico si ricontano i voti delle elezioni
presidenziali: riscontrate le prime irregolarità
10 agosto 2006
ALL’INDOMANI DEL NUOVO APPELLO
DEL PAPA PER LA FINE DEL CONFLITTO
IN MEDIO ORIENTE, RIPERCORRIAMO DA BENEDETTO XV AD OGGI,
L’IMPEGNO DEI PONTEFICI PER LA PACE, IN UN SECOLO SEGNATO
DALLE GUERRE
Sostituire alle armi la buona
volontà, la fiducia e il rispetto dei patti: ieri, all’udienza generale, il
nuovo accorato appello di Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente. Il Papa
ha citato due suoi predecessori, Paolo VI e Giovanni Paolo II, che hanno levato
alta la voce in difesa dei popoli innocenti travolti dalle guerre. Come loro,
tutti i Pontefici dell’ultimo secolo sono stati promotori di pace e dialogo. Il
servizio di Alessandro Gisotti:
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(musica - Bach)
Laddove una guerra ha travolto
vite umane, mortificato speranze, i Papi hanno dato voce a chi non l’aveva. Nel
Novecento, secolo che ha conosciuto le guerre più sanguinose nella storia dell’uomo
e in quest’inizio di Terzo Millennio così drammaticamente segnato dalla
violenza, i Pontefici sono stati testimoni di pace, promotori di dialogo tra i
popoli e le religioni.
All’alba del secolo scorso,
l’Europa viene scossa dal fragore dei cannoni.
Nell’estate del 1914, proprio mentre la armi mietono le prime vittime, il
cardinale Giacomo Della Chiesa viene eletto Papa. E’
un’ora drammatica per l’umanità. Benedetto XV indirizza subito un’Esortazione apostolica “a
tutti i cattolici del mondo”. “Ci ha riempito l’animo di orrore e di amarezza”,
scrive nella Ubi Primum,
constatare che “tanta parte dell’Europa, devastata dal ferro e dal fuoco,
rosseggia del sangue dei cristiani”. Preghiamo e “scongiuriamo vivamente –
prosegue il Papa – coloro che reggono le sorti dei popoli a deporre tutti i
loro dissidi nell’interesse della società umana”. Tre anni dopo, le armi non
tacciono ancora, ma Benedetto XV non cede e il primo agosto
1917 invia ai capi dei popoli belligeranti l’Esortazione, Dès le début, nella
quale indica soluzioni volte a far cessare quella che definisce l’“inutile
strage”.
Come Papa Della Chiesa, anche Papa Pacelli
deve fronteggiare l’immane tragedia di un conflitto su scala mondiale, perfino
più sanguinoso di quello conclusosi nel 1918. Pio XII sfrutta il mezzo della Radio Vaticana, istituita 8 anni
prima da Pio XI, per far giungere a tutte le genti il suo accorato appello. E’
il 24 agosto 1939:
“Un’ora grave
suona nuovamente per la grande famiglia umana, ora di tremende deliberazioni
(...). Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace.
Tutto può esserlo con la guerra”.
Alla pace è legato
inscindibilmente il nome di Giovanni XXIII, che con la Enciclica
Pacem in Terris
ha posto una pietra miliare sul cammino della convivenza pacifica tra i popoli.
Papa Roncalli si appella – per la
prima volta – non solo ai cattolici, ma a “tutti gli uomini di buona
volontà”. Fin dal frontespizio dell’Enciclica, pubblicata nel 1963, il
Pontefice indica i quattro pilastri della pace fra le genti: verità, giustizia,
amore e libertà. Pubblicata pochi mesi dopo la crisi di Cuba, che trascinò
l’umanità sul baratro della Terza Guerra Mondiale, la Pacem
in terris chiede con forza che “si mettano al
bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da
controlli efficaci”. E aggiunge: “Riesce quasi impossibile pensare che nell’era
atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”.
Due anni dopo, il 4 ottobre
1965, risuonano forti le parole di Paolo VI alle Nazioni Unite, quasi un inno
alla pace:
“Jamais plus la guerre, jamais plus
la guerre! C’est la paix, la paix …”.
“Mai più la guerra, mai più la
guerra! La pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità”. Papa Montini, in quello storico discorso al Palazzo di Vetro di
New York dinnanzi ai governanti delle nazioni, sottolinea che per costruire la
pace, bisogna impegnarsi innanzitutto per il disarmo. “Se volete essere fratelli
– è il richiamo di Paolo VI – lasciate cadere le armi dalle vostre mani”.
Instancabile apostolo della
pace è Giovanni Paolo II, che in tutto il suo lungo Pontificato è vicino ai
popoli che soffrono, a causa delle guerre. Alla pace, il Papa polacco che ha vissuto
in prima persona l’orrore della Seconda Guerra Mondiale, consacra le giornate
di preghiera ad Assisi. Commoventi ed indimenticabili i suoi appelli per la
pace in Terra Santa e nei Balcani. E per la pace in
tanti Paesi africani, afflitti da guerre dimenticate. Profetico si rivela il
suo messaggio Urbi et
Orbi del Natale 1990, alla vigilia della prima guerra del Golfo Persico:
“Per l’area del Golfo, trepidanti, aspettiamo il
dileguarsi della minaccia delle armi. Si persuadano i responsabili che la
guerra è avventura senza ritorno! Con la ragione, con la pazienza e con il
dialogo, e nel rispetto dei diritti inalienabili dei popoli e delle genti, è possibile
individuare e percorrere le strade dell’intesa e della pace”.
Come il suo amato
predecessore, anche Benedetto XVI, fin dai primi passi del suo Pontificato, indica
nel dialogo tra le nazioni un impegno irrinunciabile. “Nella verità, la pace”,
scrive nel suo primo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, istituita
da Paolo VI. Ripetuti gli appelli per la fine delle violenze in Iraq e, venendo
al dramma di questi giorni, per la pace in Medio Oriente. All’udienza generale
del 2 agosto scorso, Benedetto XVI riassume così il suo pensiero sulla
disumanità della guerra:
“Desidero ripetere che nulla può
giustificare lo spargimento di sangue innocente, da qualunque parte esso venga!
Con il cuore colmo di afflizione, rinnovo ancora una volta un pressante appello
all’immediata cessazione di tutte le ostilità e di tutte le violenze!”.
(musica)
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IERI ALL’UDIENZA GENERALE, NELLA CATECHESI
SULL’AMORE CRISTIANO,
IL
PAPA HA CITATO “L’IMITAZIONE DI CRISTO”, CELEBRE LIBRO DI ASCETICA
DEL
TARDO MEDIOEVO, PER SECOLI PUNTO DI RIFERIMENTO
PER
Il Papa, all’udienza generale di ieri in Vaticano, ha
svolto una bellissima catechesi sull’amore seguendo gli scritti di San Giovanni
Apostolo. In particolare ha messo l’accento sulla novità del cristianesimo che
si fonda sul “comandamento nuovo” che Gesù ci ha dato. L’Antico Testamento
dice: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Il Nuovo
Testamento ci esorta ad amare gli altri “come” Cristo ci ha amati. Gesù stesso
diventa modello supremo dell’amore: dunque, da imitare. E qui Benedetto XVI ha
citato il celebre libro di spiritualità intitolato “L’Imitazione di Cristo”. Ce
ne parla Sergio Centofanti.
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L’Imitazione di Cristo è un piccolo libro che ha
costituito per secoli un preciso punto di riferimento per la spiritualità
cristiana, tanto da essere definito un tempo il “Quinto Vangelo”: l’autore
resta sconosciuto, anche se può essere collocato in ambiente monastico, forse
benedettino o agostiniano, tra il 1200 e il 1300. E’ un semplice e concreto tracciato di vita
ascetica meditato tanto nei monasteri, quanto dai laici, come
manuale di formazione cristiana
per una profonda spiritualità personale. Esorta con forza a meditare la
vita di Gesù e a imitarla. “Che ti serve – dice in modo provocatorio – saper
discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità
tu dispiaci”? “Tutto è vanità – esclama con il Qoelet
– fuorché amare Dio”. Ascoltiamo le parole del Papa:
“Quell’aureo testo di spiritualità che è il piccolo
libro del tardo medioevo intitolato Imitazione
di Cristo scrive in proposito: ‘Il nobile amore
di Gesù ci spinge a operare cose grandi e ci incita a desiderare cose sempre
più perfette. L'amore vuole stare in alto e non essere trattenuto da nessuna
bassezza. L’amore vuole essere libero e disgiunto da ogni affetto mondano...
l’amore infatti è nato da Dio, e non può riposare se
non in Dio al di là di tutte le cose create. Colui che ama vola, corre e
gioisce, è libero, e non è trattenuto da nulla. Dona tutto per tutti e ha tutto
in ogni cosa, poiché trova riposo nel Solo grande che è sopra tutte le cose,
dal quale scaturisce e proviene ogni bene’ ”
(libro III, cap. 5).
L’autore dell’Imitazione di Cristo
ricorda tuttavia che “di innamorati del suo regno celeste, Gesù ne trova molti;
pochi invece ne trova di pronti a portare la sua croce … Molti seguono Gesù
fino alla distribuzione del pane, pochi invece fino al momento di bere il
calice della passione”. Chi ama davvero invece “in Dio confida e spera sempre,
anche quando non lo sente vicino, perché non si vive nell'amore senza dolore.
Colui che non è pronto a soffrire ogni cosa e ad ubbidire al suo Diletto –
afferma l’autore medievale – non è degno di essere chiamato uomo d'amore”. Poi
aggiunge: “l’amore è sollecito, sincero e devoto;
lieto e sereno; forte e paziente; fedele e prudente; longanime; virile e sempre
dimentico di sé: perché, se uno cerca se stesso, esce fuori dall'amore”. E poi
ancora: “spesso l’amore non conosce misura, in un
fervore che oltrepassa ogni confine”:
“Quale miglior
commento del ‘comandamento nuovo’,
enunciato da Giovanni? Preghiamo il Padre di poterlo vivere, anche se sempre in
modo imperfetto, così intensamente da contagiarne quanti incontriamo sul nostro
cammino”.
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IL CARDINALE MEDINA ESTÉVEZ INVIATO SPECIALE DEL
PAPA
PER LA
CERIMONIA DI CHIUSURA DEL CONCILIO PLENARIO DEL VENEZUELA
Il Santo Padre ha nominato il cardinale Jorge Arturo Medina Estévez,
prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Titolo di apertura: “Prevalga una
reale volontà di pace” - Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ancora lontano da
un’intesa su una risoluzione volta a mettere fine ai combattimenti in Libano.
Israele si prepara a sferrare un’offensiva in profondità. Di giorno in giorno più difficili i soccorsi alle
popolazioni civili. Terrorismo: sventato un piano per abbattere diversi aerei
nei cieli di Londra
Servizio vaticano - A nome
del Santo Padre, le esequie del cardinale Johannes Willebrands sono state presiedute dal cardinale Walter Kasper nella cattedrale di Utrecht. Un mese fa, il viaggio
apostolico di Benedetto XVI a Valencia. Pagine dedicate al cammino della Chiesa
in America
Servizio estero - Iraq: strage nella
città di Najaf, non meno di trenta vittime in un
attentato in un mercato. Afghanistan: battaglia con i Taleban al
confine pakistano
Servizio culturale - Una biografia intellettuale di
Elémire Zolla. La morte di Francesco Leoni, Rettore
della Libera Università “San Pio V”
Servizio italiano - Ancora incidenti sul
lavoro. A seguire, il tema dell’Economia
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10
agosto 2006
LONDRA SVENTA ATTACCHI TERRORISTICI CONTRO GLI AEREI DI LINEA IN VOLO
PER
GLI STATI UNITI: ARRESTATE 21 PERSONE, IN GRAN PARTE BRITANNICI
MUSULMANI,
CHE INTENDEVANO USARE ESPLOSIVO LIQUIDO
CAPACE
DI PASSARE IL CONTROLLO
DEL
METAL DETECTOR. CHIUSO L’AEROPORTO DI HEATROW
-
Intervista con Guido Olimpio -
Stato di massima allerta in Gran
Bretagna, dopo che Scotland Yard ed i servizi segreti
britannici hanno sventato una serie di attacchi su aerei di linea, in volo
verso gli Stati Uniti. I presunti terroristi volevano servirsi di esplosivo
liquido, che sarebbe passato inosservato al controllo dei metal detector.
Secondo gli esperti, gli attentati sventati oggi potrebbero portare la firma di Al Qaeda. Notevoli i ritardi dei voli negli aeroporti inglesi e diverse le compagnie
europee che hanno cancellato le partenze per
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Una possibile strage: questa l’intenzione dei presunti
terroristi arrestati durante la notte a Londra e Birmingham. Così si è espresso
il ministro degli Interni, John Reed,
in conferenza stampa, allertando la popolazione del
massimo livello di allarme, sia negli aeroporti che nelle metropolitane.
Ventuno le persone che sono state arrestate e di cui non si conosce l’identità.
Si tratta in gran parte di musulmani britannici, alcuni di origine pakistana,
sospettati di voler fare esplodere bombe chimiche su aerei diretti in America.
Nelle loro abitazioni, ha precisato il vice capo di Scotland
Yard, John Stevens, è stato
trovato materiale che poteva essere usato per un attacco terroristico. Nel
frattempo, restano a terra tutti gli aerei in partenza
per ogni destinazione e il primo ministro Tony Blair
dalle Barbados, dove si trova in vacanza, resta in stretto contatto con il
Parlamento, riunito in seduta straordinaria. Intanto si fanno già le prime
ipotesi sulle ragioni di questo attentato, sventato grazie ad un’operazione di
polizia tuttora in corso. Secondo gli esperti, la politica estera britannica e
la sua forte alleanza con gli Stati Uniti sarebbero la causa maggiore del
pericolo terroristico ai danni di Blair e del suo
governo, nonché della popolazione civile.
Da Londra, per
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Questi nuovi attentati sventati
in Gran Bretagna, dimostrano che non bisogna mai abbassare la guardia. Ne è
convinto Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera,
raggiunto telefonicamente da Salvatore Sabatino:
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R. – Questa è la prova che il
terrorismo è in agguato e soprattutto minaccia il trasporto civile. Se sono
vere queste notizie, si parla di una azione multipla
per distruggere diversi aerei e quindi si può capire la pericolosità della sfida.
D. – Quanto la difficile
situazione in Libano, ma un po’ in tutto il Medio Oriente, può influire sulle
organizzazioni terroristiche e il reclutamento di kamikaze potrebbe essere facilitato?
R. – Sì, e non solo il
reclutamento dei kamikaze, ma anche la spinta a compiere nuovi attacchi. Sono
tutti pretesti. Qualsiasi guerra in Medio Oriente, da quella in Iraq a quella
in Libano, a quella in Palestina sono sempre pretesti per compiere azioni, per
poter colpire e soprattutto per poter colpire i Paesi occidentali, che sono
ritenuti sostenitori di Israele.
D. – Si ritorna, purtroppo, a
parlare di guerra di civiltà: avrà una fine questa situazione che si sta
creando?
R. – Non credo. Fin quanto
perdureranno questi conflitti, ritengo che ci saranno sempre degli spunti di
lotta, questi elementi per favorire azioni violente contro l’Occidente.
D. – Possiamo parlare a questo
punto di un allarme generalizzato, globale?
R. – Non ritengo che sia globale.
Sono delle fasi. Ci sono fasi dove i terroristi stanno tranquilli, si
preparano, studiano, e fasi in cui vanno all’attacco. Non ritengo che bisogna
esagerare la minaccia, ma bisogna essere consapevoli che c’è.
D. – Quali saranno le mosse
della politica internazionale? S
i
prevede qualche azione concreta da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna,
in questo caso?
R. – Dovranno cercare di
risolvere il problema libanese: cosa, questa, non facile. E’ un mese che sono
dietro a queste iniziative, ma non si vede ancora la luce. Questo dà l’idea
della complessità. Il Libano si aggiunge all’Iraq, l’Iraq si aggiunge alla
Palestina: tre crisi, tre fronti piuttosto gravi, dove la diplomazia internazionale
non mi sembra che abbia dato grandi prove.
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LE
TRUPPE ISRAELIANE PRONTE
AD ESTENDERE
NUOVI
RAZZI HEZBOLLAH SULLA GALILEA
-
Intervista con padre Samir Khalil
Samir -
In Libano prosegue l’offensiva israeliana, anche se ieri
il consiglio di Sicurezza di Gerusalemme ha concesso qualche giorno all’azione
diplomatica. Il servizio di Eugenio Bonanata:
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Le truppe israeliane nelle ultime ore si sono ritirate da
alcuni villaggi del sud libanese, conquistati nella notte. Però i caccia hanno
continuato a bombardare in mattinata altre zone del
Paese, inclusa la capitale Beirut. Israele ha poi avvertito gli ultimi abitanti
della capitale di allontanarsi dalla città. Queste azioni militari puntellano
il rinvio della seconda fase dell’offensiva israeliana, deciso ieri dai vertici
dello stato ebraico a Gerusalemme. L’obiettivo è quello di concedere un breve
tempo supplementare alla diplomazia dell’ONU, prima di dare il via ad un nuovo
massiccio affondo al già martoriato sud libanese, per sbarazzarsi
definitivamente dalla minaccia di Hezbollah. La
diplomazia però è ancora lontana da un accordo che metta
fine alle ostilità. Oggi al Palazzo di Vetro si discute sull'ennesima proposta
di compromesso arrivata dalla Francia. Parigi propone
un ritiro graduale delle truppe israeliane dal sud del Paese dei cedri, seguito
da un ingresso delle truppe libanesi, coordinate con l’ONU. Ma per Washington e
Israele il ritiro delle truppe israeliane può avvenire solo dopo il
dispiegamento di una forza internazionale. Dal canto loro i miliziani di Hezbollah continuano a lanciare razzi verso il nord di
Israele. Due persone, tra cui un bambino, sono morti nel villaggio druso di Deir al Assad, centrato da una
cinquantina di colpi. C’è poi da ricordare che ieri il leader di Hezbollah, Nasrallah, ha minacciato
di trasformare il Sud del Libano in un “cimitero per gli invasori sionisti”.
Sempre tramite emittente TV, al Manar, gli Hezbollah hanno poi negato “categoricamente” che nelle proprie
fila ci siano degli iraniani. Si tratta di bugie – affermano - che il nemico
sta cercando di propagandare. In questo quadro, dalle autorità di Beirut, è
arrivato un nuovo bilancio della guerra. Sotto le bombe hanno perso la vita,
fino ad ora, mille civili, di cui il 30 % ragazzi
sotto i 12 anni di età. Intanto nel Nord del Libano, gli aerei di Israele hanno
gettato volantini nei quali si avverte che dopo le 20 ogni camion o furgone
sarà sospettato di trasportare armi, per cui sarà
bombardato. Un monito che rende ancora più difficile il lavoro delle agenzie
umanitarie, impegnate a soccorrere la popolazione. E proprio sulla drammatica
situazione umanitaria che si è venuta a creare in tutto il Medio Oriente, ascoltiamo,
al microfono di Amedeo Lomonaco, il padre gesuita Samir
Khalil Samir, docente di
Storia della cultura araba e Islamologia
all’Università Saint-Joseph di Beirut:
R. – Ormai il Libano, che è già piccolissimo, uno dei più
piccoli Paesi del mondo, è diviso in una decina di paesini. Non si riesce a
passare da un villaggio all’altro, perchè tutte le strade sono tagliate, oltre
al fatto che la benzina è aumentata dieci volte di più e in certe zone 50 volte
di più o non ce n’è più.
D. – Un Paese, dunque, isolato dove la distruzione è
causata non solo dagli attacchi israeliani, ma anche dalle pretese degli Hezbollah?
R. – Materialmente la distruzione è unicamente d’Israele. Hezbollah può essere considerato come quello che ha
provocato la reazione israeliana. E’ la reazione israeliana, però, che ha
causato distruzione. Hezbollah ha un’immensa
responsabilità, perchè in realtà sta usando il Libano per raggiungere i suoi
scopi, che non sono quelli del Libano. Israele ha approfittato di questo
pretesto per dire: “Dobbiamo sradicare definitivamente Hezbollah,
come Hamas”. Questa è la visione discutibile, la tattica, secondo me,
d’Israele. Perché - per utilizzare il linguaggio israeliano e nordamericano -
pensa di combattere il terrorismo, in questo caso islamico, con la guerra. I
fatti hanno dimostrato sia in Afghanistan, sia in Iraq, sia altrove nel mondo,
che il terrorismo non si distrugge con un esercito, ma che, essendo
un’ideologia, vanno sradicate le idee che stanno sotto, la mentalità che sta sotto.
Questa è la vera lotta contro il terrorismo.
D. – Come interpretare storicamente, io direi soprattutto
umanamente, la durissima reazione d’Israele, il cui popolo ha già conosciuto
purtroppo la sofferenza, la vera sofferenza?
R. – Israele è come se fosse ossessionato dall’idea di
essere la vittima del mondo e, in questo momento, del mondo arabo e del mondo
musulmano. In realtà, ciò è sbagliato. Entrambi sono vittime. I palestinesi
sono storicamente, certamente, le prime vittime nella regione, ma non è questo
il problema. Hanno pensato di poter sradicare con un bombardamento ben mirato
tutte le forze degli Hezbollah, il che non è accaduto
e non potrà mai accadere, perché si sa che, tecnicamente, non si può sradicare
il terrorismo in questo modo. Gli Stati Uniti non sono riusciti a prendere Bin Laden con tutta la loro
tecnica, la più avanzata nel mondo. Lo stesso accadrà qui. Una cosa mi colpisce
sempre: Israele non ha accettato, ed anche in questi giorni, la presenza di una
forza internazionale. Quando si dice che deve essere creata una forza
internazionale robusta per separare le parti, si dice sempre che deve essere
alla frontiera dell’altro Paese, cioè quella libanese. Perché non mettere,
invece, cinque chilometri in Israele e cinque chilometri in Libano, per fare
una zona tampone di dieci chilometri? L’idea di decidere per gli altri, del
bene e del male, pare purtroppo la caratteristica dei capi attuali d’Israele.
C’è la psicosi della guerra, del “noi siamo vittime e non c’è altro metodo che
la guerra”. Io penso, invece, che dobbiamo fare un lavoro su di noi, interiore:
noi arabi, come gli israeliani, noi libanesi, come i palestinesi, come i siriani,
per liberarci da tutte queste psicosi e dire “vogliamo sì o no
creare una zona di pace, una regione che potrebbe essere una delle più belle
della terra, la regione mediorientale?” Dobbiamo e possiamo fare l’unione mediorientale.
D. – Un’unione che includa anche Israele?
R. – Ma certo. Che includa l’Iran, la Turchia, l’Iraq.
Tutti vogliono il loro spazio e non lo trovano. Giustamente lo vogliono.
Concluderei con San Paolo, quando dice: “Del resto noi sappiamo che tutto
concorre al bene di coloro che amano Dio”. E Sant’Agostino
aggiungeva come commento: “Anche il peccato”. Da
questa guerra può germogliare un fiore meraviglioso, come può germogliare la
morte.
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10 agosto 2006
NEL
III SECOLO CHE SPESE
- A cura di Tiziana Campisi
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ROMA. = Era un giovane diacono, Lorenzo; vissuto a Roma
nel III secolo, aveva il compito di distribuire ai poveri quanto la comunità
cristiana metteva in comune per le necessità dei fratelli. Ma assisteva anche
il vescovo dell’Urbe nelle celebrazioni e distribuiva il pane della mensa
eucaristica. Era l’anno 258 quando l’imperatore
Valeriano proibì ai cristiani di radunarsi, vietò l’accesso alle catacombe,
dove i cristiani solevano riunirsi per rendere culto ai defunti, e ordinò la
condanna a morte per presbiteri e vescovi. Ad essere arrestato fu anche papa
Sisto II, che incontrato il suo diacono Lorenzo gli diede le ultime raccomandazioni
perché non venisse meno il servizio alla comunità cristiana. Convinto che
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IN UN
DOCUMENTO DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE, DELLA FEDERAZIONE MONDIALE
LUTERANA E DELL’ALLEANZA DELLE CHIESE RIFORMATE L’APPELLO
AL
CESSATE IL FUOCO IN MEDIO ORIENTE
GINEVRA. = Il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC),
MIGLIAIA
DI PERSONE STANNO MANIFESTANDO IN QUESTE ORE IN DIVERSE CITTÀ DELL’INDONESIA
CONTRO L’ESECUZIONE DELLA PENA CAPITALE, PREVISTA SABATO,
PER I TRE CRISTIANI RITENUTI RESPONSABILI
DEGLI SCONTRI DI POSO NEL 2001
JAKARTA. = Oltre cinquemila persone chiedono la riapertura
di quello che definiscono un “processo ingiusto”, che ha condannato a morte Fabianus Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwa, i tre cattolici ritenuti responsabili degli scontri
tra cristiani e musulmani nel 2001 a Poso, nelle isole Sulawesi.
Migliaia di abitanti della provincia indonesiana di East
Nusa Tenggara, riferisce
l’agenzia Asianews, stanno manifestando contro
l’esecuzione capitale fissata dalle autorità per il 12 agosto. Numerosi i
cortei in diverse città che chiedono al presidente Susilo
Bambang Yudhoyono di ascoltare
la voce del popolo. Gli avvocati che difendono i tre cattolici hanno fatto
sapere che, se l’Ufficio del pubblico ministero di Sulawesi
ha ufficialmente deciso, il capo di Stato deve ancora pronunciarsi sulla
seconda richiesta di grazia inviata dalle famiglie. “Ogni piano per portare a
termine la condanna a morte – spiega uno dei difensori dei condannati – è
illegale, se prima non arriva una risposta da Susilo”.
Ciò è quanto prevede la legge N° 22/2002 sulla
clemenza presidenziale. Intanto, a Jakarta, i
rappresentanti di numerose ONG si stanno riunendo al Wahid
Institute, retto dall’ex presidente indonesiano Abdurrahman “Gus Dur” Wahid, già in passato
schieratosi al fianco dei tre cattolici. All’appuntamento ci saranno anche
membri del Sinodo delle Chiese indonesiane e della Conferenza episcopale
indonesiana. Tra i promotori delle dimostrazioni di oggi anche padre Maxi Un Bria, della Commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi
di Kupang. Il sacerdote ha diffuso un comunicato in
cui invita i cattolici locali a manifestare pacificamente e a pregare per i
condannati. “La morte di un uomo – dice – è nelle mani di Dio, non di un
plotone di esecuzione”. A Makassar, provincia del sud
Sulawesi, stanno manifestano anche molti studenti del
gruppo Students to Defend and Care for Justice, convinti che la decisione di giustiziare Tibo e i suoi amici sia “insensata
e del tutto sbagliata”. (T.C.)
AUMENTA
IN INDIA IL NUMERO DELLE VITTIME COLPITE DALLE PIOGGE MONSONICHE. ALMENO 311 I
MORTI E 4 MILIONI E MEZZO GLI SFOLLATI
AHMEDABAD.= Aumenta il bilancio delle vittime
nelle regioni meridionali dell’India, colpite nei giorni scorsi dalle furiose
piogge monsoniche: almeno 311 i morti e 4 milioni e mezzo gli sfollati. Sono
cinque i Paesi colpiti dalle violente precipitazioni. Il disastro più grave si
è verificati nel Maharashtra, nell’ovest dell’India,
dove sono morte 163 persone, 86 delle quali nelle ultime 48 ore, e in 200 mila
sono rimasti senza casa. Nello Stato dell’Andhra Paradesh si contano 112 morti ed un milione e mezzo di
senzatetto. Nel Gujarat sono stati sommersi oltre 200
villaggi e la città industriale di Surat. Sono almeno
3 milioni e mezzo gli sfollati. Esercito e forze dell’ordine si sono mobilitati
per prestare aiuti. Per l’emergenza sfollati il
governo centrale ha messo a disposizione navi ed elicotteri. Inoltre, ha
approntato servizi per accogliere superstiti in fuga dai villaggi sommersi e
per far arrivare viveri, acqua potabile e medicinali ai sopravvissuti bloccati
sui tetti delle case inondate. (A.Gr.)
SBARCHI RECORD DI MIGRANTI NELLE ISOLE
CANARIE NELL’ARCO DI 24 ORE:
276 PERSONE HANNO RAGGIUNTO
IL PORTO DI LOS CRISTIANOS
LOS CRISTIANOS. = Centoquattro migranti irregolari sono
sbarcati nel corso della notte nel porto de Los Cristianos,
nel sud dell’arcipelago delle Isole Canarie. Due i barconi approdati nella
città, dove ieri sono arrivate altre 172 persone a bordo di un’imbarcazione di
30 metri. I nuovi sbarchi, riferisce l’agenzia MISNA, portano gli arrivi,
dall’inizio dell’anno, alla cifra record di 14.912. Un numero
tre volte superiore a quello, già alto, segnato l’anno scorso, che ha
visto l’arrivo di 4.751 immigrati irregolari sulle coste dell’arcipelago.
L’isola più interessata dagli arrivi, nei primi 8 mesi dell’anno, è stata
quella di Tenerife (8.072 persone). Il dato più preoccupante, per le autorità
spagnole, è che, nonostante gli accordi bilaterali con diversi Paesi
dell’Africa occidentale e settentrionale, le operazioni di rimpatrio dei clandestini
procedono a rilento. Ciò comporta un soprannumero di migranti privi di permesso
di soggiorno nei centri di accoglienza. Le Canarie sono dunque in piena
emergenza, mentre le navi che pattugliano il Mediterraneo non sembrano per ora
in grado di bloccare tutte le barche che partono dall’Africa del Nord per
raggiungere
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10 agosto 2006
- A cura di
Eugenio Bonanata -
Proseguono i combattimenti in Sri Lanka.
Nel Nord-Est del Paese, un’offensiva delle truppe governative ha provocato la
morte di almeno 50 civili. A darne notizia un portavoce delle Tigri Tamil. Sempre nella stessa area, altri scontri avevano
fatto decine di feriti fra i soldati. Nelle violenze degli ultimi giorni, tra
esercito regolare e ribelli Tamil, le vittime sono
oltre 400.
Ennesima strage in Iraq. In un attentato suicida, avvenuto
in mattinata nel cuore di Najaf,
a Sud di Baghdad, sono morte 34 persone mentre sarebbero 60 i feriti. Il kamikaze,
che indossava un giubbotto esplosivo, si è fatto saltare in aria in un
affollato mercato, adiacente al mausoleo dell’Imam
Ali, il luogo sacro più importante della città santa dell’Iraq meridionale,
meta per i fedeli sciiti di tutto il mondo. E a causa di una bomba, a Baghdad,
hanno perso la vita 10 soldati iracheni, mentre 5 sono rimasti feriti. I
militari viaggiavano in un convoglio quando la
deflagrazione ha distrutto il mezzo. All’esplosione è seguita una sparatoria
fra i soldati ed uomini armati sconosciuti. Ed è di pochi minuti fa la notizia
di un’altra bomba esplosa a Baghdad in un ristorante. Sei i morti e quattro i feriti.
Sempre teso il clima in Afghanistan. Si segnalano scontri
fra forze di polizia afghane e guerriglieri Taleban nella provincia meridionale di Kandahar.
Secondo le prime testimonianze, ancora confuse, ci sarebbero diverse vittime.
Ieri, sempre nella zona meridionale del Paese, hanno perso la vita due soldati
della Forza Internazionale per l’Assistenza alla Sicurezza.
Il governo del Nepal e i ribelli maoisti hanno annunciato
di aver trovato un accordo sul controllo delle armi nel regno himalayano. Le due parti hanno deciso ieri di affidare alle
Nazioni Unite il compito di vigilare sul rispetto della pace nel Paese. I
ribelli maoisti hanno espresso soddisfazione per la decisione, che, per il
governo, rappresenta il primo vero passo verso l’elezione di un’Assemblea costituente.
Arrestato in Pakistan il fondatore di Lashkar-i-Taiba, il movimento integralista islamico
considerato il principale gruppo separatista attivo nel Kashmir, la regione himalayana contesa tra lo stesso Pakistan e l’India.
L’estremista, Haiz Mohammad
Saeed, fino a quasi cinque anni fa era anche il
leader supremo del movimento; poi si dimise per diventare coordinatore di Jamaat-ud-Dawa, una fondazione
assistenziale con il fine di trovare finanziamenti, ritenuta una struttura
gemella della prima. Ambedue sono state inserite dagli Stati Uniti nella ‘lista
nera’ delle organizzazioni terroristiche.
Nuovo stop per la pace in Uganda. La delegazione dei
ribelli dell’Esercito di resistenza del signore ha abbandonato i colloqui di
pace con i rappresentanti del governo ugandese a Juba, in Sud Sudan, ed ha annunciato che non siederà al
tavolo delle trattative fino a che il governo di Kampala non annuncerà il cessate-il-fuoco. Si attende,
dunque, un segnale forte in direzione di quella pace che metterebbe fine a
venti anni di guerra civile. Sentiamo il fondatore dell’agenzia MISNA, padre
Giulio Albanese:
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La decisione presa ieri dalla delegazione dei ribelli nord-ugandesi dell’Esercito di resistenza del signore segna
una battuta d’arresto nel difficili cammino di
riconciliazione in una delle regioni più tormentate dell’Africa sub-sahariana.
I rappresentanti del movimento armato hanno abbandonato il tavolo negoziale di Juba, nel Sudan meridionale, e la delegazione dei ribelli
ha fatto sapere che non riprenderà i colloqui finché il governo di Kampala non
annuncerà formalmente il cessate-il-fuoco,
dando così un segnale forte in direzione di questa pace, che metterebbe fine ai
20 anni di guerra civile, ha riferito il portavoce dei ribelli. La settimana
scorsa erano stati gli stessi ribelli ad annunciare il loro cessate-il-fuoco unilaterale. Lo aveva riferito in un
primo momento il loro leader, il feroce Joseph Kony, e successivamente la conferma era arrivata dal numero
due del gruppo armato, Vincent Otti.
Kampala, da parte sua, aveva risposto che non avrebbe cessato gli assalti alle
postazioni ribelli per paura che essi possano approfittare della momentanea
tregua per procurarsi armi e riorganizzare l’offensiva. Una posizione, questa,
che è stata ribadita ieri al tavolo di Juba.
Giulio Albanese, per la Radio Vaticana.
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In Somalia le milizie delle Corti Islamiche hanno preso il
controllo della città di Beledwein, situata non
lontano dal confine con l’Etiopia, sottraendola al controllo del governo di transizione.
Lo afferma l’agenzia MISNA, citando fonti locali. Martedì il presidente somalo ad
interim, Adbullavi Yusuf,
ha sciolto l’esecutivo di transizione e dato sei giorni di tempo al premier,
Ali Mohamed Gedi, per
riformarlo. Nelle ultime settimane
quaranta ministri del gabinetto di Gedi, si erano
dimessi per protestare contro la decisione del premier di rinviare i contatti
in Sudan con gli emissari delle Corti Islamiche.
In Messico, prosegue l’operazione di riconteggio
dei voti delle presidenziali del 2 luglio scorso, relativi a più di 11 mila
seggi del 9% dei voti. Il Tribunale elettorale federale elettorale (TEPJF), una
squadra di 192 magistrati e giudici, renderà pubblico il suo verdetto
definitivo. Intanto emergono alcune irregolarità. Il servizio è di Luis Badilla:
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La stampa locale afferma oggi che nelle operazioni svolte fino
a questo momento sono già state riscontrate alcune irregolarità e cita, come
esempio, la scomparsa di 21 voti registrati e l’assegnazione al candidato
vincente, Felipe Calderon,
di 80 preferenze che, in realtà, erano a favore di Lopez
Obrador. In altri casi, invece, si trarrebbe di
correzioni a favore del Partito del presidente uscente, Vicente
Fox. Lopez Obrador ha già messo le
mani avanti avvertendo che il movimento che si è creato attorno alla sua
coalizione “Per il bene di tutti”, punta “a trasformare le istituzioni del
Messico”, indipendentemente dal fatto che “il Tribunale finisca per imporre la
vittoria di Calderon”. “Dobbiamo moralizzare la vita
pubblica - ha sentenziato ancora Obrador - piaccia o
non piaccia ai nostri avversari”. Il “delfino” di Fox,
e fino ad oggi il vincitore, Felipe Calderon, ha scelto invece la strada del basso profilo
evitando ogni polemica. Il 14 agosto sarà reso pubblico il verdetto finale e
definitivo. Per gli analisti messicani le alternative sono tre. Una conferma della vittoria del PAN e di Felipe
Calderón; una rettifica del risultato, e quindi la
conseguente proclamazione di López Obrador come capo dello Stato; oppure un annullamento puro
e semplice delle elezioni per il dubbio fondato di brogli.
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“Disarmare o morire: questa è l’unica alternativa”. E’ il
duro monito lanciato ieri dal presidente di Haiti, René
Preval, alle bande armate che si stanno rendendo
protagoniste di molti episodi di violenza. E’ dei giorni scorsi, l’uccisione
del commerciante italiano, Guido Vitiello, e il
rapimento della moglie, Gigliola Martino. Proprio per risolvere questa vicenda,
i rapitori avrebbero avanzato una richiesta di riscatto alla famiglia, che, da
parte sua, non ha fornito dettagli sulle trattative e ha chiesto invece il
silenzio stampa.
L’Armenia è sempre più dipendente dalle rimesse
finanziarie della sua diaspora, che rappresentano più del 15% del prodotto
interno lordo dell’ex repubblica sovietica. Lo ha reso noto un esperto della
Banca centrale armena, che ha specificato come il volume di questi
trasferimenti finanziari sia aumentato del 37% nel biennio 2003-2005. Lo scorso
anno la cifra si è assestata a 940 milioni di dollari, 732 milioni di euro. La
maggioranza dei fondi (72%) proviene dagli armeni che vivono in Russia, il 14%
dagli USA, mentre il resto arriva da Gran Bretagna, Grecia e Ucraina (5% per
ciascun Paese).
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