RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 222  - Testo della trasmissione di giovedì 10  agosto 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

All’indomani del nuovo appello del Papa per la pace in Medio Oriente, ripercorriamo da Benedetto XV ad oggi, l’impegno dei Pontefici per la pace, in un secolo segnato dalle guerre

 

Ieri all’udienza generale, nella catechesi sull’amore cristiano, il Papa ha citato “L’imitazione di Cristo”, celebre libro di ascetica del tardo Medioevo, per secoli punto di riferimento per la spiritualità cristiana

 

Il cardinale Jorge Arturo Medina Estévez inviato speciale del Papa per la cerimonia di chiusura del Concilio plenario del Venezuela

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Londra sventa attacchi terroristici contro gli aerei di linea in volo per gli Stati Uniti: arrestate 21 persone, in gran parte britannici musulmani, che intendevano usare esplosivo liquido capace di passare il controllo del metal detector. Chiuso l’aeroporto di Heathrow: con noi, Guido Olimpio

 

Le truppe israeliane pronte ad avanzare nel Libano meridionale: proseguono i lanci di razzi in Galilea. Ai nostri microfoni, padre Samir Khalil Samir

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Chiesa ricorda oggi San Lorenzo, martire

 

In un documento del Consiglio Ecumenico delle Chiese, della Federazione Mondiale Luterana e dell’Alleanza delle Chiese Riformate, l’appello al cessate-il-fuoco in Medio Oriente

 

Migliaia di persone stanno manifestando in Indonesia contro l’esecuzione capitale, prevista sabato, per i tre cristiani ritenuti responsabili degli scontri di Poso nel 2001

 

Aumenta in India il numero delle vittime colpite dalle piogge monsoniche

 

Sbarchi record di immigrati africani nelle Isole Canarie nell’arco di 24 ore

 

24 ORE NEL MONDO:

In Messico si ricontano i voti delle elezioni presidenziali: riscontrate le prime irregolarità

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 agosto 2006

 

ALL’INDOMANI DEL NUOVO APPELLO DEL PAPA PER LA FINE DEL CONFLITTO

IN MEDIO ORIENTE, RIPERCORRIAMO DA BENEDETTO XV AD OGGI,

L’IMPEGNO DEI PONTEFICI PER LA PACE, IN UN SECOLO SEGNATO DALLE GUERRE

 

Sostituire alle armi la buona volontà, la fiducia e il rispetto dei patti: ieri, all’udienza generale, il nuovo accorato appello di Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente. Il Papa ha citato due suoi predecessori, Paolo VI e Giovanni Paolo II, che hanno levato alta la voce in difesa dei popoli innocenti travolti dalle guerre. Come loro, tutti i Pontefici dell’ultimo secolo sono stati promotori di pace e dialogo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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(musica  - Bach)     

 

Laddove una guerra ha travolto vite umane, mortificato speranze, i Papi hanno dato voce a chi non l’aveva. Nel Novecento, secolo che ha conosciuto le guerre più sanguinose nella storia dell’uomo e in quest’inizio di Terzo Millennio così drammaticamente segnato dalla violenza, i Pontefici sono stati testimoni di pace, promotori di dialogo tra i popoli e le religioni.

 

All’alba del secolo scorso, l’Europa viene scossa dal fragore dei cannoni. Nell’estate del 1914, proprio mentre la armi mietono le prime vittime, il cardinale Giacomo Della Chiesa viene eletto Papa. E’ un’ora drammatica per l’umanità. Benedetto XV indirizza subito un’Esortazione apostolica “a tutti i cattolici del mondo”. “Ci ha riempito l’animo di orrore e di amarezza”, scrive nella Ubi Primum, constatare che “tanta parte dell’Europa, devastata dal ferro e dal fuoco, rosseggia del sangue dei cristiani”. Preghiamo e “scongiuriamo vivamente – prosegue il Papa – coloro che reggono le sorti dei popoli a deporre tutti i loro dissidi nell’interesse della società umana”. Tre anni dopo, le armi non tacciono ancora, ma Benedetto XV non cede e il primo agosto 1917 invia ai capi dei popoli belligeranti l’Esortazione, Dès le début, nella quale indica soluzioni volte a far cessare quella che definisce l’“inutile strage”.

 

Come Papa Della Chiesa, anche Papa Pacelli deve fronteggiare l’immane tragedia di un conflitto su scala mondiale, perfino più sanguinoso di quello conclusosi nel 1918. Pio XII sfrutta il mezzo della Radio Vaticana, istituita 8 anni prima da Pio XI, per far giungere a tutte le genti il suo accorato appello. E’ il 24 agosto 1939:

 

“Un’ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana, ora di tremende deliberazioni (...). Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”.

 

Alla pace è legato inscindibilmente il nome di Giovanni XXIII, che con la Enciclica Pacem in Terris ha posto una pietra miliare sul cammino della convivenza pacifica tra i popoli. Papa Roncalli si appella – per la prima volta – non solo ai cattolici, ma a “tutti gli uomini di buona volontà”. Fin dal frontespizio dell’Enciclica, pubblicata nel 1963, il Pontefice indica i quattro pilastri della pace fra le genti: verità, giustizia, amore e libertà. Pubblicata pochi mesi dopo la crisi di Cuba, che trascinò l’umanità sul baratro della Terza Guerra Mondiale, la Pacem in terris chiede con forza che “si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci”. E aggiunge: “Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”.

 

Due anni dopo, il 4 ottobre 1965, risuonano forti le parole di Paolo VI alle Nazioni Unite, quasi un inno alla pace:

        

Jamais plus la guerre, jamais plus la guerre! C’est la paix, la paix …”.

“Mai più la guerra, mai più la guerra! La pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità”. Papa Montini, in quello storico discorso al Palazzo di Vetro di New York dinnanzi ai governanti delle nazioni, sottolinea che per costruire la pace, bisogna impegnarsi innanzitutto per il disarmo. “Se volete essere fratelli – è il richiamo di Paolo VI – lasciate cadere le armi dalle vostre mani”.

 

Instancabile apostolo della pace è Giovanni Paolo II, che in tutto il suo lungo Pontificato è vicino ai popoli che soffrono, a causa delle guerre. Alla pace, il Papa polacco che ha vissuto in prima persona l’orrore della Seconda Guerra Mondiale, consacra le giornate di preghiera ad Assisi. Commoventi ed indimenticabili i suoi appelli per la pace in Terra Santa e nei Balcani. E per la pace in tanti Paesi africani, afflitti da guerre dimenticate. Profetico si rivela il suo messaggio Urbi et Orbi del Natale 1990, alla vigilia della prima guerra del Golfo Persico:

 

“Per l’area del Golfo, trepidanti, aspettiamo il dileguarsi della minaccia delle armi. Si persuadano i responsabili che la guerra è avventura senza ritorno! Con la ragione, con la pazienza e con il dialogo, e nel rispetto dei diritti inalienabili dei popoli e delle genti, è possibile individuare e percorrere le strade dell’intesa e della pace”.

 

Come il suo amato predecessore, anche Benedetto XVI, fin dai primi passi del suo Pontificato, indica nel dialogo tra le nazioni un impegno irrinunciabile. “Nella verità, la pace”, scrive nel suo primo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, istituita da Paolo VI. Ripetuti gli appelli per la fine delle violenze in Iraq e, venendo al dramma di questi giorni, per la pace in Medio Oriente. All’udienza generale del 2 agosto scorso, Benedetto XVI riassume così il suo pensiero sulla disumanità della guerra:

 

“Desidero ripetere che nulla può giustificare lo spargimento di sangue innocente, da qualunque parte esso venga! Con il cuore colmo di afflizione, rinnovo ancora una volta un pressante appello all’immediata cessazione di tutte le ostilità e di tutte le violenze!”.

 

(musica)

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IERI ALL’UDIENZA GENERALE, NELLA CATECHESI SULL’AMORE CRISTIANO,

IL PAPA HA CITATO “L’IMITAZIONE DI CRISTO”, CELEBRE LIBRO DI ASCETICA

DEL TARDO MEDIOEVO, PER SECOLI PUNTO DI RIFERIMENTO

PER LA SPIRITUALITA’ CRISTIANA

 

Il Papa, all’udienza generale di ieri in Vaticano, ha svolto una bellissima catechesi sull’amore seguendo gli scritti di San Giovanni Apostolo. In particolare ha messo l’accento sulla novità del cristianesimo che si fonda sul “comandamento nuovo” che Gesù ci ha dato. L’Antico Testamento dice: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Il Nuovo Testamento ci esorta ad amare gli altri “come” Cristo ci ha amati. Gesù stesso diventa modello supremo dell’amore: dunque, da imitare. E qui Benedetto XVI ha citato il celebre libro di spiritualità intitolato “L’Imitazione di Cristo”. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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L’Imitazione di Cristo è un piccolo libro che ha costituito per secoli un preciso punto di riferimento per la spiritualità cristiana, tanto da essere definito un tempo il “Quinto Vangelo”: l’autore resta sconosciuto, anche se può essere collocato in ambiente monastico, forse benedettino o agostiniano, tra il 1200 e il 1300.  E’ un semplice e concreto tracciato di vita ascetica meditato tanto nei monasteri, quanto dai laici, come manuale di formazione cristiana  per una profonda spiritualità personale. Esorta con forza a meditare la vita di Gesù e a imitarla. “Che ti serve – dice in modo provocatorio – saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci”? “Tutto è vanità – esclama con il Qoelet – fuorché amare Dio”. Ascoltiamo le parole del Papa:

 

Quell’aureo testo di spiritualità che è il piccolo libro del tardo medioevo intitolato Imitazione di Cristo scrive in proposito:Il nobile amore di Gesù ci spinge a operare cose grandi e ci incita a desiderare cose sempre più perfette. L'amore vuole stare in alto e non essere trattenuto da nessuna bassezza. L’amore vuole essere libero e disgiunto da ogni affetto mondano... l’amore infatti è nato da Dio, e non può riposare se non in Dio al di là di tutte le cose create. Colui che ama vola, corre e gioisce, è libero, e non è trattenuto da nulla. Dona tutto per tutti e ha tutto in ogni cosa, poiché trova riposo nel Solo grande che è sopra tutte le cose, dal quale scaturisce e proviene ogni bene’ ” (libro III, cap. 5).

 

L’autore dell’Imitazione di Cristo ricorda tuttavia che “di innamorati del suo regno celeste, Gesù ne trova molti; pochi invece ne trova di pronti a portare la sua croce … Molti seguono Gesù fino alla distribuzione del pane, pochi invece fino al momento di bere il calice della passione”. Chi ama davvero invece “in Dio confida e spera sempre, anche quando non lo sente vicino, perché non si vive nell'amore senza dolore. Colui che non è pronto a soffrire ogni cosa e ad ubbidire al suo Diletto – afferma l’autore medievale – non è degno di essere chiamato uomo d'amore”. Poi aggiunge: “l’amore è sollecito, sincero e devoto; lieto e sereno; forte e paziente; fedele e prudente; longanime; virile e sempre dimentico di sé: perché, se uno cerca se stesso, esce fuori dall'amore”. E poi ancora: “spesso l’amore non conosce misura, in un fervore che oltrepassa ogni confine”:

 

“Quale miglior commento delcomandamento nuovo’, enunciato da Giovanni? Preghiamo il Padre di poterlo vivere, anche se sempre in modo imperfetto, così intensamente da contagiarne quanti incontriamo sul nostro cammino”.

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IL CARDINALE MEDINA ESTÉVEZ INVIATO SPECIALE DEL PAPA

PER LA CERIMONIA DI CHIUSURA DEL CONCILIO PLENARIO DEL VENEZUELA

 

Il Santo Padre ha nominato il cardinale Jorge Arturo Medina Estévez, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Suo Inviato Speciale alla cerimonia di chiusura del Concilio Plenario del Venezuela, che avrà luogo a Caracas il 7 ottobre 2006.

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - Titolo di apertura: “Prevalga una reale volontà di pace” - Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ancora lontano da un’intesa su una risoluzione volta a mettere fine ai combattimenti in Libano. Israele si prepara a  sferrare un’offensiva in profondità. Di giorno in giorno più difficili i soccorsi alle popolazioni civili. Terrorismo: sventato un piano per abbattere diversi aerei nei cieli di Londra

 

Servizio vaticano - A nome del Santo Padre, le esequie del cardinale Johannes Willebrands sono state presiedute dal cardinale Walter Kasper nella cattedrale di Utrecht. Un mese fa, il viaggio apostolico di Benedetto XVI a Valencia. Pagine dedicate al cammino della Chiesa in America

 

Servizio estero - Iraq: strage nella città di Najaf, non meno di trenta vittime in un attentato in un mercato. Afghanistan: battaglia con i Taleban al confine pakistano 

 

Servizio culturale - Una biografia intellettuale di Elémire Zolla. La morte di Francesco Leoni, Rettore della Libera Università “San Pio V”

 

Servizio italiano -  Ancora incidenti sul lavoro. A seguire, il tema dell’Economia

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

10 agosto 2006

 

LONDRA SVENTA ATTACCHI TERRORISTICI CONTRO GLI AEREI DI LINEA IN VOLO

PER GLI STATI UNITI: ARRESTATE 21 PERSONE, IN GRAN PARTE BRITANNICI

MUSULMANI, CHE INTENDEVANO USARE ESPLOSIVO LIQUIDO

CAPACE DI PASSARE IL CONTROLLO

DEL METAL DETECTOR. CHIUSO L’AEROPORTO DI HEATROW

- Intervista con Guido Olimpio -

 

Stato di massima allerta in Gran Bretagna, dopo che Scotland Yard ed i servizi segreti britannici hanno sventato una serie di attacchi su aerei di linea, in volo verso gli Stati Uniti. I presunti terroristi volevano servirsi di esplosivo liquido, che sarebbe passato inosservato al controllo dei metal detector. Secondo gli esperti, gli attentati sventati oggi potrebbero portare la firma di Al Qaeda. Notevoli i ritardi dei voli negli aeroporti inglesi e diverse le compagnie europee che hanno cancellato le partenze per la Gran Bretagna. Da Londra, Sagida Syed:

 

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Una possibile strage: questa l’intenzione dei presunti terroristi arrestati durante la notte a Londra e Birmingham. Così si è espresso il ministro degli Interni, John Reed, in conferenza stampa, allertando la popolazione del massimo livello di allarme, sia negli aeroporti che nelle metropolitane. Ventuno le persone che sono state arrestate e di cui non si conosce l’identità. Si tratta in gran parte di musulmani britannici, alcuni di origine pakistana, sospettati di voler fare esplodere bombe chimiche su aerei diretti in America. Nelle loro abitazioni, ha precisato il vice capo di Scotland Yard, John Stevens, è stato trovato materiale che poteva essere usato per un attacco terroristico. Nel frattempo, restano a terra tutti gli aerei in partenza per ogni destinazione e il primo ministro Tony Blair dalle Barbados, dove si trova in vacanza, resta in stretto contatto con il Parlamento, riunito in seduta straordinaria. Intanto si fanno già le prime ipotesi sulle ragioni di questo attentato, sventato grazie ad un’operazione di polizia tuttora in corso. Secondo gli esperti, la politica estera britannica e la sua forte alleanza con gli Stati Uniti sarebbero la causa maggiore del pericolo terroristico ai danni di Blair e del suo governo, nonché della popolazione civile.

 

Da Londra, per la Radio Vaticana, Sagida Syed.

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Questi nuovi attentati sventati in Gran Bretagna, dimostrano che non bisogna mai abbassare la guardia. Ne è convinto Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera, raggiunto telefonicamente da Salvatore Sabatino:

 

 

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R. – Questa è la prova che il terrorismo è in agguato e soprattutto minaccia il trasporto civile. Se sono vere queste notizie, si parla di una azione multipla per distruggere diversi aerei e quindi si può capire la pericolosità della sfida.

 

D. – Quanto la difficile situazione in Libano, ma un po’ in tutto il Medio Oriente, può influire sulle organizzazioni terroristiche e il reclutamento di kamikaze potrebbe essere facilitato?

 

R. – Sì, e non solo il reclutamento dei kamikaze, ma anche la spinta a compiere nuovi attacchi. Sono tutti pretesti. Qualsiasi guerra in Medio Oriente, da quella in Iraq a quella in Libano, a quella in Palestina sono sempre pretesti per compiere azioni, per poter colpire e soprattutto per poter colpire i Paesi occidentali, che sono ritenuti sostenitori di Israele.

 

D. – Si ritorna, purtroppo, a parlare di guerra di civiltà: avrà una fine questa situazione che si sta creando?

 

R. – Non credo. Fin quanto perdureranno questi conflitti, ritengo che ci saranno sempre degli spunti di lotta, questi elementi per favorire azioni violente contro l’Occidente.

 

D. – Possiamo parlare a questo punto di un allarme generalizzato, globale?

 

R. – Non ritengo che sia globale. Sono delle fasi. Ci sono fasi dove i terroristi stanno tranquilli, si preparano, studiano, e fasi in cui vanno all’attacco. Non ritengo che bisogna esagerare la minaccia, ma bisogna essere consapevoli che c’è.

 

D. – Quali saranno le mosse della politica internazionale? S

i prevede qualche azione concreta da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, in questo caso?

 

R. – Dovranno cercare di risolvere il problema libanese: cosa, questa, non facile. E’ un mese che sono dietro a queste iniziative, ma non si vede ancora la luce. Questo dà l’idea della complessità. Il Libano si aggiunge all’Iraq, l’Iraq si aggiunge alla Palestina: tre crisi, tre fronti piuttosto gravi, dove la diplomazia internazionale non mi sembra che abbia dato grandi prove.

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LE TRUPPE ISRAELIANE PRONTE  AD ESTENDERE LA LORO OFFENSIVA NEL SUD LIBANO. MONITO AGLI ABITANTI DI BEIRUT: LASCIATE I QUARTIERI MERIDIONALI.

NUOVI RAZZI HEZBOLLAH SULLA GALILEA

- Intervista con padre Samir Khalil Samir -

 

In Libano prosegue l’offensiva israeliana, anche se ieri il consiglio di Sicurezza di Gerusalemme ha concesso qualche giorno all’azione diplomatica. Il servizio di Eugenio Bonanata:

 

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Le truppe israeliane nelle ultime ore si sono ritirate da alcuni villaggi del sud libanese, conquistati nella notte. Però i caccia hanno continuato a bombardare in mattinata altre zone del Paese, inclusa la capitale Beirut. Israele ha poi avvertito gli ultimi abitanti della capitale di allontanarsi dalla città. Queste azioni militari puntellano il rinvio della seconda fase dell’offensiva israeliana, deciso ieri dai vertici dello stato ebraico a Gerusalemme. L’obiettivo è quello di concedere un breve tempo supplementare alla diplomazia dell’ONU, prima di dare il via ad un nuovo massiccio affondo al già martoriato sud libanese, per sbarazzarsi definitivamente dalla minaccia di Hezbollah. La diplomazia però è ancora lontana da un accordo che metta fine alle ostilità. Oggi al Palazzo di Vetro si discute sull'ennesima proposta di compromesso arrivata dalla Francia. Parigi propone un ritiro graduale delle truppe israeliane dal sud del Paese dei cedri, seguito da un ingresso delle truppe libanesi, coordinate con l’ONU. Ma per Washington e Israele il ritiro delle truppe israeliane può avvenire solo dopo il dispiegamento di una forza internazionale. Dal canto loro i miliziani di Hezbollah continuano a lanciare razzi verso il nord di Israele. Due persone, tra cui un bambino, sono morti nel villaggio druso di Deir al Assad, centrato da una cinquantina di colpi. C’è poi da ricordare che ieri il leader di Hezbollah, Nasrallah, ha minacciato di trasformare il Sud del Libano in un “cimitero per gli invasori sionisti”. Sempre tramite emittente TV, al Manar, gli Hezbollah hanno poi negato “categoricamente” che nelle proprie fila ci siano degli iraniani. Si tratta di bugie – affermano - che il nemico sta cercando di propagandare. In questo quadro, dalle autorità di Beirut, è arrivato un nuovo bilancio della guerra. Sotto le bombe hanno perso la vita, fino ad ora, mille civili, di cui il 30 % ragazzi sotto i 12 anni di età. Intanto nel Nord del Libano, gli aerei di Israele hanno gettato volantini nei quali si avverte che dopo le 20 ogni camion o furgone sarà sospettato di trasportare armi, per cui sarà bombardato. Un monito che rende ancora più difficile il lavoro delle agenzie umanitarie, impegnate a soccorrere la popolazione. E proprio sulla drammatica situazione umanitaria che si è venuta a creare in tutto il Medio Oriente, ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, il padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura araba e Islamologia all’Università Saint-Joseph di Beirut:

 

R. – Ormai il Libano, che è già piccolissimo, uno dei più piccoli Paesi del mondo, è diviso in una decina di paesini. Non si riesce a passare da un villaggio all’altro, perchè tutte le strade sono tagliate, oltre al fatto che la benzina è aumentata dieci volte di più e in certe zone 50 volte di più o non ce n’è più.

 

D. – Un Paese, dunque, isolato dove la distruzione è causata non solo dagli attacchi israeliani, ma anche dalle pretese degli Hezbollah?

 

R. – Materialmente la distruzione è unicamente d’Israele. Hezbollah può essere considerato come quello che ha provocato la reazione israeliana. E’ la reazione israeliana, però, che ha causato distruzione. Hezbollah ha un’immensa responsabilità, perchè in realtà sta usando il Libano per raggiungere i suoi scopi, che non sono quelli del Libano. Israele ha approfittato di questo pretesto per dire: “Dobbiamo sradicare definitivamente Hezbollah, come Hamas”. Questa è la visione discutibile, la tattica, secondo me, d’Israele. Perché - per utilizzare il linguaggio israeliano e nordamericano - pensa di combattere il terrorismo, in questo caso islamico, con la guerra. I fatti hanno dimostrato sia in Afghanistan, sia in Iraq, sia altrove nel mondo, che il terrorismo non si distrugge con un esercito, ma che, essendo un’ideologia, vanno sradicate le idee che stanno sotto, la mentalità che sta sotto. Questa è la vera lotta contro il terrorismo.

 

D. – Come interpretare storicamente, io direi soprattutto umanamente, la durissima reazione d’Israele, il cui popolo ha già conosciuto purtroppo la sofferenza, la vera sofferenza?

 

R. – Israele è come se fosse ossessionato dall’idea di essere la vittima del mondo e, in questo momento, del mondo arabo e del mondo musulmano. In realtà, ciò è sbagliato. Entrambi sono vittime. I palestinesi sono storicamente, certamente, le prime vittime nella regione, ma non è questo il problema. Hanno pensato di poter sradicare con un bombardamento ben mirato tutte le forze degli Hezbollah, il che non è accaduto e non potrà mai accadere, perché si sa che, tecnicamente, non si può sradicare il terrorismo in questo modo. Gli Stati Uniti non sono riusciti a prendere Bin Laden con tutta la loro tecnica, la più avanzata nel mondo. Lo stesso accadrà qui. Una cosa mi colpisce sempre: Israele non ha accettato, ed anche in questi giorni, la presenza di una forza internazionale. Quando si dice che deve essere creata una forza internazionale robusta per separare le parti, si dice sempre che deve essere alla frontiera dell’altro Paese, cioè quella libanese. Perché non mettere, invece, cinque chilometri in Israele e cinque chilometri in Libano, per fare una zona tampone di dieci chilometri? L’idea di decidere per gli altri, del bene e del male, pare purtroppo la caratteristica dei capi attuali d’Israele. C’è la psicosi della guerra, del “noi siamo vittime e non c’è altro metodo che la guerra”. Io penso, invece, che dobbiamo fare un lavoro su di noi, interiore: noi arabi, come gli israeliani, noi libanesi, come i palestinesi, come i siriani, per liberarci da tutte queste psicosi e dire “vogliamo sì o no creare una zona di pace, una regione che potrebbe essere una delle più belle della terra, la regione mediorientale?” Dobbiamo e possiamo fare l’unione mediorientale.

 

D. – Un’unione che includa anche Israele?

 

R. – Ma certo. Che includa l’Iran, la Turchia, l’Iraq. Tutti vogliono il loro spazio e non lo trovano. Giustamente lo vogliono. Concluderei con San Paolo, quando dice: “Del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. E Sant’Agostino aggiungeva come commento: “Anche il peccato”. Da questa guerra può germogliare un fiore meraviglioso, come può germogliare la morte.

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CHIESA E SOCIETA’

10 agosto 2006

 

LA CHIESA RICORDA OGGI SAN LORENZO, GIOVANE DIACONO ROMANO VISSUTO

NEL III SECOLO CHE SPESE LA SUA VITA NEL SERVIZIO ALLA COMUNITÀ CRISTIANA

 - A cura di Tiziana Campisi -

 

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ROMA. = Era un giovane diacono, Lorenzo; vissuto a Roma nel III secolo, aveva il compito di distribuire ai poveri quanto la comunità cristiana metteva in comune per le necessità dei fratelli. Ma assisteva anche il vescovo dell’Urbe nelle celebrazioni e distribuiva il pane della mensa eucaristica. Era l’anno 258 quando l’imperatore Valeriano proibì ai cristiani di radunarsi, vietò l’accesso alle catacombe, dove i cristiani solevano riunirsi per rendere culto ai defunti, e ordinò la condanna a morte per presbiteri e vescovi. Ad essere arrestato fu anche papa Sisto II, che incontrato il suo diacono Lorenzo gli diede le ultime raccomandazioni perché non venisse meno il servizio alla comunità cristiana. Convinto che la Chiesa possedesse molte ricchezze, il prefetto di Roma fermò allora il giovane intimandogli di consegnargliele. Lorenzo rispose che aveva bisogno di tempo, così distribuì agli indigenti le donazioni affidate alla sua amministrazione e poi si presentò al prefetto. “Ecco, i tesori della Chiesa sono questi”, gli disse mostrandogli i malati, gli storpi e gli emarginati che lo accompagnavano. Fu condannato a morte e il suo corpo venne sepolto in una tomba sulla via Tiburtina, dove poi Costantino fece costruire una basilica. E oggi, nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, per ricordare il martire resta esposto per tutta la giornata il reliquiario che contiene il suo cranio, custodito durante l’anno nella cappella Redemptoris Mater, la cappella del Papa. Venerando il diacono romano la tradizione ha denominato “fuochi di San Lorenzo” le stelle cadenti della notte del 10 agosto. La coincidenza del passaggio degli asteroidi della costellazione di Perseo nell’orbita terrestre nel giorno in cui Lorenzò subì il martirio, ha fatto sì che le scie luminose lasciate dai corpi celesti venissero viste come le scintille della graticola sulla quale il diacono sarebbe stato arso o le lacrime da lui versate prima della morte. Un segno di speranza che ogni anno San Lorenzo dona a quanti credono in Cristo, per ricordare che, caduto sulla terra, solo se muore il chicco di grano produce molto frutto.

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IN UN DOCUMENTO DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE, DELLA FEDERAZIONE MONDIALE LUTERANA E DELL’ALLEANZA DELLE CHIESE RIFORMATE L’APPELLO

AL CESSATE IL FUOCO IN MEDIO ORIENTE

 

GINEVRA. = Il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), la Federazione Mondiale Luterana (LWF) e l’Alleanza mondiale delle Chiese riformate (WARC) hanno firmato un documento dal titolo ‘Appello a fermare la violenza’. Il testo, scrive l’agenzia MISNA, invita alla cessazione delle ostilità in Medio Oriente. “Noi chiediamo a Israele e Hezbollah di mettere fine ai combattimenti in Libano, e chiediamo agli Stati Uniti, l’Unione Europea e agli Stati arabi di esercitare la loro influenza in questo senso” hanno dichiarato all’unisono Samuel Kobia, segretario generale del CEC, Mark Hanson, presidente del LWF e Clifton Kirkpatrick del WARC. Il documento ribadisce la condanna per “la spietata violenza, morte e distruzione che avviene in Libano, Israele e Palestina”. Il cessate il fuoco è un “punto imperativo per fermare la violenza”, affermano i tre rappresentanti che rivolgono un appello pressante al “governo israeliano, alle autorità palestinesi e a Hamas” anche per la fine del conflitto nella Striscia di Gaza. Per permettere una pacifica risoluzione del conflitto attuale la coalizione delle Chiese cristiane invita Israele a “ritirarsi dal territorio libanese” e Hezbollah a interrompere “le azioni contro il popolo israeliano”. (T.C.)

 

 

MIGLIAIA DI PERSONE STANNO MANIFESTANDO IN QUESTE ORE IN DIVERSE CITTÀ DELL’INDONESIA CONTRO L’ESECUZIONE DELLA PENA CAPITALE, PREVISTA SABATO,

 PER I TRE CRISTIANI RITENUTI RESPONSABILI DEGLI SCONTRI DI POSO NEL 2001

 

JAKARTA. = Oltre cinquemila persone chiedono la riapertura di quello che definiscono un “processo ingiusto”, che ha condannato a morte Fabianus Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwa, i tre cattolici ritenuti responsabili degli scontri tra cristiani e musulmani nel 2001 a Poso, nelle isole Sulawesi. Migliaia di abitanti della provincia indonesiana di East Nusa Tenggara, riferisce l’agenzia Asianews, stanno manifestando contro l’esecuzione capitale fissata dalle autorità per il 12 agosto. Numerosi i cortei in diverse città che chiedono al presidente Susilo Bambang Yudhoyono di ascoltare la voce del popolo. Gli avvocati che difendono i tre cattolici hanno fatto sapere che, se l’Ufficio del pubblico ministero di Sulawesi ha ufficialmente deciso, il capo di Stato deve ancora pronunciarsi sulla seconda richiesta di grazia inviata dalle famiglie. “Ogni piano per portare a termine la condanna a morte – spiega uno dei difensori dei condannati – è illegale, se prima non arriva una risposta da Susilo”. Ciò è quanto prevede la legge 22/2002 sulla clemenza presidenziale. Intanto, a Jakarta, i rappresentanti di numerose ONG si stanno riunendo al Wahid Institute, retto dall’ex presidente indonesiano AbdurrahmanGus DurWahid, già in passato schieratosi al fianco dei tre cattolici. All’appuntamento ci saranno anche membri del Sinodo delle Chiese indonesiane e della Conferenza episcopale indonesiana. Tra i promotori delle dimostrazioni di oggi anche padre Maxi Un Bria, della Commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi di Kupang. Il sacerdote ha diffuso un comunicato in cui invita i cattolici locali a manifestare pacificamente e a pregare per i condannati. “La morte di un uomo – dice – è nelle mani di Dio, non di un plotone di esecuzione”. A Makassar, provincia del sud Sulawesi, stanno manifestano anche molti studenti del gruppo Students to Defend and Care for Justice, convinti che la decisione di giustiziare Tibo e i suoi amici sia “insensata e del tutto sbagliata”. (T.C.)

 

 

AUMENTA IN INDIA IL NUMERO DELLE VITTIME COLPITE DALLE PIOGGE MONSONICHE. ALMENO 311 I MORTI E 4 MILIONI E MEZZO GLI SFOLLATI

 

AHMEDABAD.= Aumenta il bilancio delle vittime nelle regioni meridionali dell’India, colpite nei giorni scorsi dalle furiose piogge monsoniche: almeno 311 i morti e 4 milioni e mezzo gli sfollati. Sono cinque i Paesi colpiti dalle violente precipitazioni. Il disastro più grave si è verificati nel Maharashtra, nell’ovest dell’India, dove sono morte 163 persone, 86 delle quali nelle ultime 48 ore, e in 200 mila sono rimasti senza casa. Nello Stato dell’Andhra Paradesh si contano 112 morti ed un milione e mezzo di senzatetto. Nel Gujarat sono stati sommersi oltre 200 villaggi e la città industriale di Surat. Sono almeno 3 milioni e mezzo gli sfollati. Esercito e forze dell’ordine si sono mobilitati per prestare aiuti. Per l’emergenza sfollati il governo centrale ha messo a disposizione navi ed elicotteri. Inoltre, ha approntato servizi per accogliere superstiti in fuga dai villaggi sommersi e per far arrivare viveri, acqua potabile e medicinali ai sopravvissuti bloccati sui tetti delle case inondate. (A.Gr.)

 

 

SBARCHI RECORD DI MIGRANTI NELLE ISOLE CANARIE NELL’ARCO DI 24 ORE:

 276 PERSONE HANNO RAGGIUNTO IL PORTO DI LOS CRISTIANOS

 

LOS CRISTIANOS. = Centoquattro migranti irregolari sono sbarcati nel corso della notte nel porto de Los Cristianos, nel sud dell’arcipelago delle Isole Canarie. Due i barconi approdati nella città, dove ieri sono arrivate altre 172 persone a bordo di un’imbarcazione di 30 metri. I nuovi sbarchi, riferisce l’agenzia MISNA, portano gli arrivi, dall’inizio dell’anno, alla cifra record di 14.912. Un numero tre volte superiore a quello, già alto, segnato l’anno scorso, che ha visto l’arrivo di 4.751 immigrati irregolari sulle coste dell’arcipelago. L’isola più interessata dagli arrivi, nei primi 8 mesi dell’anno, è stata quella di Tenerife (8.072 persone). Il dato più preoccupante, per le autorità spagnole, è che, nonostante gli accordi bilaterali con diversi Paesi dell’Africa occidentale e settentrionale, le operazioni di rimpatrio dei clandestini procedono a rilento. Ciò comporta un soprannumero di migranti privi di permesso di soggiorno nei centri di accoglienza. Le Canarie sono dunque in piena emergenza, mentre le navi che pattugliano il Mediterraneo non sembrano per ora in grado di bloccare tutte le barche che partono dall’Africa del Nord per raggiungere la Spagna. Intanto un triste bilancio è stato reso noto ieri: dal 1988 ad oggi almeno 5.001 persone sono morte nell’attraversare il Mediterraneo. La stima è di ‘Fortress Europe’, una rassegna stampa in sei lingue che ha raccolto tutti gli articoli pubblicati negli ultimi 18 anni in materia di migrazioni clandestine attraverso il Mediterraneo. (T.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

10 agosto 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

        

Proseguono i combattimenti in Sri Lanka. Nel Nord-Est del Paese, un’offensiva delle truppe governative ha provocato la morte di almeno 50 civili. A darne notizia un portavoce delle Tigri Tamil. Sempre nella stessa area, altri scontri avevano fatto decine di feriti fra i soldati. Nelle violenze degli ultimi giorni, tra esercito regolare e ribelli Tamil, le vittime sono oltre 400.

 

Ennesima strage in Iraq. In un attentato suicida, avvenuto in mattinata nel cuore di Najaf, a Sud di Baghdad, sono morte 34 persone mentre sarebbero 60 i feriti. Il kamikaze, che indossava un giubbotto esplosivo, si è fatto saltare in aria in un affollato mercato, adiacente al mausoleo dell’Imam Ali, il luogo sacro più importante della città santa dell’Iraq meridionale, meta per i fedeli sciiti di tutto il mondo. E a causa di una bomba, a Baghdad, hanno perso la vita 10 soldati iracheni, mentre 5 sono rimasti feriti. I militari viaggiavano in un convoglio quando la deflagrazione ha distrutto il mezzo. All’esplosione è seguita una sparatoria fra i soldati ed uomini armati sconosciuti. Ed è di pochi minuti fa la notizia di un’altra bomba esplosa a Baghdad in un ristorante. Sei i morti e quattro i feriti.

 

Sempre teso il clima in Afghanistan. Si segnalano scontri fra forze di polizia afghane e guerriglieri Taleban nella provincia meridionale di Kandahar. Secondo le prime testimonianze, ancora confuse, ci sarebbero diverse vittime. Ieri, sempre nella zona meridionale del Paese, hanno perso la vita due soldati della Forza Internazionale per l’Assistenza alla Sicurezza.

 

Il governo del Nepal e i ribelli maoisti hanno annunciato di aver trovato un accordo sul controllo delle armi nel regno himalayano. Le due parti hanno deciso ieri di affidare alle Nazioni Unite il compito di vigilare sul rispetto della pace nel Paese. I ribelli maoisti hanno espresso soddisfazione per la decisione, che, per il governo, rappresenta il primo vero passo verso l’elezione di un’Assemblea costituente.

 

Arrestato in Pakistan il fondatore di Lashkar-i-Taiba, il movimento integralista islamico considerato il principale gruppo separatista attivo nel Kashmir, la regione himalayana contesa tra lo stesso Pakistan e l’India. L’estremista, Haiz Mohammad Saeed, fino a quasi cinque anni fa era anche il leader supremo del movimento; poi si dimise per diventare coordinatore di Jamaat-ud-Dawa, una fondazione assistenziale con il fine di trovare finanziamenti, ritenuta una struttura gemella della prima. Ambedue sono state inserite dagli Stati Uniti nella ‘lista nera’ delle organizzazioni terroristiche.

 

Nuovo stop per la pace in Uganda. La delegazione dei ribelli dell’Esercito di resistenza del signore ha abbandonato i colloqui di pace con i rappresentanti del governo ugandese a Juba, in Sud Sudan, ed ha annunciato che non siederà al tavolo delle trattative fino a che il governo di Kampala non annuncerà il cessate-il-fuoco. Si attende, dunque, un segnale forte in direzione di quella pace che metterebbe fine a venti anni di guerra civile. Sentiamo il fondatore dell’agenzia MISNA, padre Giulio Albanese:

 

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La decisione presa ieri dalla delegazione dei ribelli nord-ugandesi dell’Esercito di resistenza del signore segna una battuta d’arresto nel difficili cammino di riconciliazione in una delle regioni più tormentate dell’Africa sub-sahariana. I rappresentanti del movimento armato hanno abbandonato il tavolo negoziale di Juba, nel Sudan meridionale, e la delegazione dei ribelli ha fatto sapere che non riprenderà i colloqui finché il governo di Kampala non annuncerà formalmente il cessate-il-fuoco, dando così un segnale forte in direzione di questa pace, che metterebbe fine ai 20 anni di guerra civile, ha riferito il portavoce dei ribelli. La settimana scorsa erano stati gli stessi ribelli ad annunciare il loro cessate-il-fuoco unilaterale. Lo aveva riferito in un primo momento il loro leader, il feroce Joseph Kony, e successivamente la conferma era arrivata dal numero due del gruppo armato, Vincent Otti. Kampala, da parte sua, aveva risposto che non avrebbe cessato gli assalti alle postazioni ribelli per paura che essi possano approfittare della momentanea tregua per procurarsi armi e riorganizzare l’offensiva. Una posizione, questa, che è stata ribadita ieri al tavolo di Juba.

 

Giulio Albanese, per la Radio Vaticana.

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In Somalia le milizie delle Corti Islamiche hanno preso il controllo della città di Beledwein, situata non lontano dal confine con l’Etiopia, sottraendola al controllo del governo di transizione. Lo afferma l’agenzia MISNA, citando fonti locali. Martedì il presidente somalo ad interim, Adbullavi Yusuf, ha sciolto l’esecutivo di transizione e dato sei giorni di tempo al premier, Ali Mohamed Gedi, per riformarlo.  Nelle ultime settimane quaranta ministri del gabinetto di Gedi, si erano dimessi per protestare contro la decisione del premier di rinviare i contatti in Sudan con gli emissari delle Corti Islamiche.

 

In Messico, prosegue l’operazione di riconteggio dei voti delle presidenziali del 2 luglio scorso, relativi a più di 11 mila seggi del 9% dei voti. Il Tribunale elettorale federale elettorale (TEPJF), una squadra di 192 magistrati e giudici, renderà pubblico il suo verdetto definitivo. Intanto emergono alcune irregolarità. Il servizio è di Luis Badilla:

 

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La stampa locale afferma oggi che nelle operazioni svolte fino a questo momento sono già state riscontrate alcune irregolarità e cita, come esempio, la scomparsa di 21 voti registrati e l’assegnazione al candidato vincente, Felipe Calderon, di 80 preferenze che, in realtà, erano a favore di Lopez Obrador. In altri casi, invece, si trarrebbe di correzioni a favore del Partito del presidente uscente, Vicente Fox.  Lopez Obrador ha già messo le mani avanti avvertendo che il movimento che si è creato attorno alla sua coalizione “Per il bene di tutti”, punta “a trasformare le istituzioni del Messico”, indipendentemente dal fatto che “il Tribunale finisca per imporre la vittoria di Calderon”. “Dobbiamo moralizzare la vita pubblica - ha sentenziato ancora Obrador - piaccia o non piaccia ai nostri avversari”. Il “delfino” di Fox, e fino ad oggi il vincitore, Felipe Calderon, ha scelto invece la strada del basso profilo evitando ogni polemica. Il 14 agosto sarà reso pubblico il verdetto finale e definitivo. Per gli analisti messicani le alternative sono tre. Una conferma della vittoria del PAN e di Felipe Calderón; una rettifica del risultato, e quindi la conseguente proclamazione di López Obrador come capo dello Stato; oppure un annullamento puro e semplice delle elezioni per il dubbio fondato di brogli.

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“Disarmare o morire: questa è l’unica alternativa”. E’ il duro monito lanciato ieri dal presidente di Haiti, René Preval, alle bande armate che si stanno rendendo protagoniste di molti episodi di violenza. E’ dei giorni scorsi, l’uccisione del commerciante italiano, Guido Vitiello, e il rapimento della moglie, Gigliola Martino. Proprio per risolvere questa vicenda, i rapitori avrebbero avanzato una richiesta di riscatto alla famiglia, che, da parte sua, non ha fornito dettagli sulle trattative e ha chiesto invece il silenzio stampa.

 

L’Armenia è sempre più dipendente dalle rimesse finanziarie della sua diaspora, che rappresentano più del 15% del prodotto interno lordo dell’ex repubblica sovietica. Lo ha reso noto un esperto della Banca centrale armena, che ha specificato come il volume di questi trasferimenti finanziari sia aumentato del 37% nel biennio 2003-2005. Lo scorso anno la cifra si è assestata a 940 milioni di dollari, 732 milioni di euro. La maggioranza dei fondi (72%) proviene dagli armeni che vivono in Russia, il 14% dagli USA, mentre il resto arriva da Gran Bretagna, Grecia e Ucraina (5% per ciascun Paese). 

 

 

 

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