RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 221 - Testo della trasmissione di mercoledì 9 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Oggi, Giornata internazionale dei popoli indigeni: ce ne parla il prof. Gerardo Bamonte
Nagasaki ricorda il 61° anniversario del bombardamento atomico:
con noi Ernesto Olivero
Omaggio a Mozart
al Rossini Opera Festival: intervista con Giovanni Agostinucci
CHIESA E SOCIETA’:
Riuniti
ad Assisi in questi giorni oltre 600 giovani per il IV
Meeting internazionale francescano
In Cina
sei persone sono morte dopo aver assunto un antibiotico
Riparte oggi in Messico il riconteggio
dei voti espressi nelle presidenziali del 2 luglio scorso
9 agosto 2006
SOSTITUIRE
ALLE ARMI LA BUONA VOLONTA’, LA
FIDUCIA E IL RISPETTO DEI PATTI:
IL
NUOVO APPELLO DI BENEDETTO XVI
PER
UNA TREGUA IN LIBANO CHE APRA ALLA PACE.
LA
CATECHESI DELL’UDIENZA GENERALE DEDICATA ALLA NOVITA’
DEL CRISTIANESIMO,
DESCRITTA
DALL’APOSTOLO GIOVANNI: DIO E’ AMORE
“Non più gli
uni contro gli altri”, ma una soluzione “giusta e duratura” del conflitto
libanese creata sulle basi della ragionevolezza, della buona volontà, del
rispetto e della fiducia. Benedetto XVI ha implorato ancora una volta la pace
per il Medio Oriente, a conclusione dell’udienza generale di questa mattina
incentrata al tema dell’amore di Dio nell’evangelista Giovanni. Alla crisi
mediorientale e alle sue vittime il Papa aveva dedicato anche una sosta in
preghiera ieri pomeriggio, durante una visita privata compiuta nell’antico
Santuario della Madonna del Tufo, che sorge a Rocca di Papa, località dei Castelli
Romani non lontana dalla residenza estiva di Castel Gandolfo. La cronaca
dell’udienza generale nel servizio di Alessandro De Carolis.
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“Cari fratelli e
sorelle, il mio accorato pensiero va ancora una volta all’amata regione del
Medio Oriente. In riferimento al tragico conflitto in
corso ripropongo le parole di Papa Paolo VI all'ONU, nell'ottobre del 1965:
‘Non più gli uni contro gli altri, non più, giammai! ... Se volete essere
fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani’.
Di fronte agli sforzi in atto per giungere finalmente al cessate-il-fuoco e ad
una soluzione giusta e duratura del conflitto ripeto, con l'immediato mio
Predecessore Giovanni Paolo II, che è possibile cambiare il corso degli avvenimenti quando prevalgono la ragione, la buona volontà,
la fiducia nell'altro, l'attuazione degli impegni assunti e la cooperazione fra
partners responsabili (Discorso al Corpo diplomatico, 13 gennaio 2003). A tutti rinnovo l'esortazione ad intensificare la preghiera
per ottenere il desiderato dono della pace”.
Per far risuonare la preoccupazione e la solidarietà che
occupano in questi giorni e in queste ore il suo cuore di pastore, Benedetto
XVI prende a prestito accenti e parole di Paolo VI e Giovanni Paolo
II, purtroppo ancora attuali in una cronaca che non riesce a cambiare. Il Papa
si appella alla buona volontà, alla fiducia, al rispetto. Valori umani che
finiscono assunti e sublimati nell’alveo di un valore più grande, che fa del
cristianesimo un unicum religioso:
l’amore.
Riannodando con la catechesi di oggi il filo dei suoi
insegnamenti sul rapporto tra gli Apostoli e la Chiesa, Benedetto XVI passa
dalla figura dell’Apostolo Giovanni, commentata prima della sosta estiva, alla
“folgorante intuizione” che fa da perno a tutta la produzione del quarto
evangelista: “Dio è amore”. Si tratta, spiega Benedetto XVI, di un argomento
“caratteristico” non solo del Vangelo e delle Lettere di Giovanni, ma di un
“dato peculiare” di tutta la religione cristiana, che perciò si distingue da
altre fedi nelle quali “è molto difficile trovare testi del genere”. Giovanni,
osserva il Papa, non tratta l’amore di Dio in modo “astratto”,
ma “concreto” e “verificabile” da ogni persona, distinguendo i “tre momenti”
che lo caratterizzano: l’Amore, essenza stessa di Dio, l’ingresso di questo Amore
nella storia umana attraverso Gesù, la “risposta d’amore” che l’uomo è chiamato
a dare al Comandamento nuovo.
Già dal primo dei tre momenti, l’intuizione
dell’evangelista mostra tutta la sua eccezionalità nel definire Dio:
“Si noti bene: non viene affermato semplicemente che ‘Dio ama’
e tanto meno che ‘l'amore è Dio!’. In altre parole: Giovanni non si limita a
descrivere l'agire divino, ma procede fino alle sue radici. Inoltre, non
intende attribuire una qualità divina a un amore generico e magari impersonale;
non sale dall’amore a Dio, ma si volge direttamente a Dio per definire la sua
natura con la dimensione infinita dell'amore. Con ciò Giovanni vuol dire che il
costitutivo essenziale di Dio è l’amore e quindi tutta
l'attività di Dio nasce dall’amore ed è improntata all'amore: tutto ciò che Dio
fa, lo fa per amore e con amore. Anche se non sempre possiamo subito capire che
questo è l’amore, ma è l’amore vero”.
Nel secondo “momento costitutivo dell’amore di Dio”, entra
in scena il Figlio, incarnato, morto e risorto per gli uomini. Con Gesù,
afferma Benedetto XVI, è Dio stesso che si è “impegnato e ha ‘pagato’ in prima
persona”. Dunque, “sostando in contemplazione dinanzi a questo ‘eccesso’ di
amore” che lo riguarda, l’uomo – riconosce il Papa, “non può non domandarsi
quale sia la doverosa risposta”. Ed è la natura di questa risposta l’oggetto
del terzo momento. “Da destinatari recettivi di un amore che ci precede e sovrasta
– dice Benedetto XVI - siamo chiamati all’impegno di una risposta attiva, che
per essere adeguata non può essere che una risposta d’amore”. Una risposta nuova come “nuovo” è
il Comandamento di Gesù che chiede di amare il prossimo non come se stessi, ma
come Lui, il Cristo, lo ha amato:
“E’ così che l'amore
diventa davvero cristiano: sia nel senso che esso deve essere indirizzato verso
tutti senza distinzioni, sia soprattutto in quanto deve pervenire fino alle estreme
conseguenze, non avendo altra misura che l’essere senza misura. Quelle parole
di Gesù, ‘come io vi ho amati’,
ci invitano e insieme ci inquietano; sono una meta cristologica
che può apparire irraggiungibile, ma al tempo stesso sono uno stimolo che non
ci permette di adagiarci su quanto abbiamo potuto realizzare”.
Ed ha aggiunto a braccio:
“Preghiamo il Padre
di poterlo vivere così intensamente, anche se in modo imperfetto, e tuttavia da
contagiarne quanti incontriamo sul nostro cammino”.
(applausi)
Di fronte a un’Aula Paolo VI particolarmente festosa,
Benedetto XVI ha poi concluso l’udienza con i tradizionali saluti in varie
lingue e un pensiero particolare per alcuni dei gruppi presenti, tra i quali i
seminaristi maggiori italiani impegnati in questi giorni nel loro incontro
estivo, i partecipanti al campo internazionale promosso dall’Opera Giorgio
La Pira di Firenze e i giovani partecipanti al Meeting internazionale
promosso dai Frati Minori Conventuali. “Iddio – ha detto loro il Papa -
vi renda sempre più testimoni e costruttori di pace, seguendo le orme del Poverello di Assisi”. L’ultimo pensiero di Benedetto XVI è
andato alla Santa Patrona d’Europa, Teresa Benedetta della Croce, al secolo
Edith Stein, festeggiata oggi dalla Chiesa. “Questa
eroica testimone del Vangelo – ha concluso - aiuti ciascuno ad avere sempre
fiducia in Cristo e a incarnare nella propria esistenza il suo messaggio di
salvezza”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Titolo di apertura: “Il cuore del
Padre batte per l'amata regione del Medio Oriente” - Di fronte agli sforzi per
giungere al cessate-il-fuoco e ad una soluzione giusta
e duratura del conflitto, all'udienza generale Benedetto XVI rinnova il suo
pressante appello per la pace, nel solco di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. La
catechesi del Santo Padre: “Giovanni, il teologo”. A seguire: si profila un possibile
compromesso per fermare la guerra in Medio Oriente - La risoluzione dell’ONU
potrebbe accogliere le modifiche chieste da Beirut e dalla
Lega Araba alla bozza franco-statunitense.
Servizio vaticano - Al Santuario della Madonna del
Tufo, il Papa prega per la pace in Medio Oriente. Un mese dal viaggio
apostolico del Santo Padre a Valencia.
Servizio estero - Medio Oriente: non si fermano lo
strazio e la strage dei civili inermi travolti dalla guerra. India: villaggi
sommersi dalle inondazioni, duecento morti e 860.000 sfollati. Iraq: Baghdad
chiede la proroga di un anno della missione di assistenza dell’ONU.
Servizio culturale - Il restauro de “La conversione
di Saulo” del Caravaggio.
Servizio italiano - I temi degli incidenti sul
lavoro, della Finanziaria e del caro petrolio
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9 agosto 2006
IN
LIBANO, ALMENO 10 MORTI, PER UN RAID ISRAELIANO CONTRO UN COMMANDO
DI
GUERRIGLIERI HEZBOLLAH. INTANTO, FRANCIA E STATI UNITI LAVORANO
PER
UNA NUOVA RISOLUZIONE, DA PORTARE AL CONSIGLIO DI SICUREZZA
DELL’ONU,
PER PORRE FINE ALLE OSTILITA’
-
Interviste con padre Giovanni Abdou e suor Sylvie Touazan -
In
Libano si continua a combattere: l’aviazione israeliana ha bombardato il quartier generale dei guerriglieri Hezbollah nel villaggio
di Bint Jbeilnel, nel Sud
del Paese. In seguito al raid, sono morti almeno 10 militanti sciiti. La
televisione ‘Al Arabiya’ ha rivelato, poi, che 4
soldati israeliani sono rimasti uccisi nel Sud del Libano. Sull’altro fronte,
combattenti Hezbollah hanno lanciato razzi verso Haifa
e la Galilea, senza fortunatamente causare vittime. Ma oltre alle azioni
militari e agli attacchi proseguono anche gli sforzi della comunità
internazionale per arrivare, prima possibile, ad una cessazione delle ostilità.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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La
diplomazia internazionale è al lavoro: si cerca un’intesa su una nuova bozza da
portare al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla crisi in Libano, Stato sempre
più devastato. Il Paese dei Cedri, infatti, è sconvolto: oltre a centinaia di
vittime, molti ponti, strade e case sono distrutti. Anche i danni ambientali
sono notevoli in seguito ad attacchi che hanno colpito diverse fabbriche ed
industrie chimiche. Una risoluzione che ponga immediatamente
fine alle violenze è dunque una priorità. Francia e Stati Uniti stanno
preparando un nuovo testo tenendo conto delle obiezioni del Libano e della Lega
Araba. Una precedente bozza è stata respinta dal governo di Beirut perché
avrebbe consentito alle forze israeliane di rimanere in Libano fino alla fine
delle ostilità. L’obiettivo del negoziato è quello di arrivare ad una tregua
che garantisca stabilità a tutta la regione. Per
questo, il ministro degli Esteri francesi ha dichiarato che il governo libanese
deve assicurare non solo, come annunciato, l’invio di propri soldati lungo la
frontiera ma anche il ritiro degli Hezbollah dal Sud del Libano. Secondo il
presidente francese, Jacques Chirac,
una forza internazionale in Libano potrebbe essere dispiegata entro un mese a
partire da un eventuale accordo politico.
Ai
passi della Francia lungo possibili spazi di
trattativa, si aggiungono poi le mosse degli Stati Uniti: l’assistente del
segretario di Stato americano per il Medio Oriente si è incontrato con il
presidente del Parlamento di Beirut ed il premier libanese, Fuad
Siniora. Poco dopo il colloquio, il primo ministro libanese ha lanciato un
nuovo appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite perché approvi una
risoluzione che preveda un immediato cessate il fuoco sulla base delle condizioni
poste dal governo del Paese dei Cedri. Siniora ha anche chiesto un’inchiesta
internazionale per quelle che definisce “azioni criminali” commesse da Israele
in Libano. Ieri il segretario generale dell’ONU, Kofi
Annan, riferendosi alla strage di Cana
costata la vita lo scorso 30 luglio a 28 civili, ha parlato di “violazioni del
diritto internazionale” da parte di Israele. E nello Stato ebraico, intanto, è
riunito il Consiglio di sicurezza per decidere se ampliare le operazioni fino
al fiume Litani. Il ministro della Difesa israeliano,
Amir Peretz, ha ribadito la
necessità di un’offensiva di vasta scala. Alcuni ministri temono, invece, la
reazione della Siria, le cui forze armate sono già in allerta. Resta
drammatica, infine, la situazione nei Territori palestinesi: due palestinesi sono stati uccisi stamani a Jenin,
in Cisgiordania, durante un raid aereo israeliano su un campo profughi.
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Il Papa
ha lanciato oggi, all’udienza, un nuovo appello per la pace in Libano. Ma come
rispondono i libanesi, e soprattutto i cristiani, a queste invocazioni? Amedeo
Lomonaco lo ha chiesto a padre Giovanni Abdou,
superiore della casa dei carmelitani a Kobayath Akkar, nel Nord del Libano.
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R. – Il Papa cerca la pace in tutto il mondo, e questa è
la nostra missione. La pace vive nel cuore del cristiano e nei cuori di tutto
il mondo. Viviamo nelle comunità cristiane, pregando il Signore, soprattutto in
questa situazione. La guerra è grave, però non abbiamo paura in questa situazione
perché il Signore è con noi.
D. – Quali sono le vostre speranze?
R. – Il Signore ci dice: “Non abbiate paura!”. La pace,
però, risiede nella convivenza quotidiana con il Signore nell’Eucaristia: solo
così, si può vivere con la speranza di fare del nostro meglio per arrivare alla
pace in tutto il mondo.
D. – Cosa vuol dire vivere l’Eucaristia in tempo di
guerra?
R. – Vivere l’Eucaristia vuol dire vivere Gesù, avere la
speranza di Gesù: anche Gesù ha vissuto la paura di questi tempi! Gesù ha avuto
fiducia nel Suo Padre. La preghiera coinvolge la persona
intera: con la preghiera, abbiamo questa speranza nel Signore e
nell’Eucaristia: mangiamo il Suo Corpo, beviamo il
Suo Sangue. Questo ci dà luce per un mondo nuovo, per un mondo migliore!
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E rispondendo all’appello del Papa, anche il Sovrano
Militare Ordine di Malta è in prima linea nel portare aiuto alle popolazioni
libanesi. Per far fronte all’emergenza, l’Ordine ha stanziato già 260 mila
euro. Il Malteser International,
corpo di soccorso internazionale dell'Ordine di Malta, è pronto inoltre ad
intervenire in caso di cessate-il-fuoco. Numerosi sono
i centri medico-sociali dell’Ordine nel Paese dei Cedri, dove in questi giorni
si fronteggia soprattutto l’emergenza profughi. Ecco
la testimonianza di suor Sylvie Touazan,
delle Figlie della Carità, coordinatrice per l’Ordine di Malta dell’assistenza
ai profughi, raggiunta telefonicamente a Beirut da Laure
Stephan:
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R. - C’est principalement des
familles qui viennent des regions …
Sono sostanzialmente famiglie che vengono dalle regioni
più bombardate, cioè dalle zone del Sud, dalla zona frontaliera;
noi abbiamo un Centro nello Shouf, che si chiama
“Rom” e che accoglie nei locali stessi della struttura un migliaio di profughi.
Offriamo loro le cure mediche, ovviamente, assistenza igienica, prodotti
alimentari e acqua potabile. In particolare, prestiamo assistenza medica
all’infanzia, alle donne per quanto riguarda l’igiene personale. Si tratta però
sempre di scuole, assolutamente non adatte a ricevere questo tipo di persone. E
per tale motivo noi abbiamo grandi problemi sanitari. C’è poi una certa,
obbligata, promiscuità che può avere quali conseguenze patologie che nascono
dalla promiscuità stessa, come la scabbia e le dermatosi. Inoltre, dobbiamo
affrontare il problema della sovrappopolazione: cominciamo ad avere carenza di
medicinali, di latte in polvere per i piccoli e di prodotti di igiene di base …
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OGGI, GIORNATA INTERNAZIONALE
DEGLI INDIGENI NEL MONDO,
CUSTODI DELLA DIVERSITÀ CULTURALE
- Con
noi, il prof. Gerardo Bamonte -
“Soltanto rispettando le diversità e il diritto delle
popolazioni indigene all’autodeterminazione possiamo veramente lavorare insieme
per un reale partenariato”: così, il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel messaggio per
l’odierna Giornata internazionale degli indigeni nel mondo. Dagli Adivasi in India ai Saami nel
Nord Europa, dagli Aborigeni australiani ai San
dell’Africa meridionale, sono oltre 370 milioni le persone che appartengono a
circa 5 mila popoli indigeni, la maggioranza dei quali sono in Asia e in America
Latina. Ma per molti di loro la vita non è facile. Roberta
Moretti:
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Sono il quattro per cento della popolazione mondiale, ma
rappresentano il 90 per cento della “diversità culturale” del pianeta.
“Comunità di popoli e nazioni”, e non solo “minoranze etniche”, con una
ricchezza straordinaria di tradizioni, religioni e lingue che rischiano di
scomparire. A minacciare la sopravvivenza delle comunità indigene, spesso
radicate in aree boschive, sono le industrie minerarie, energetiche, petrolifere
e del legname, che sfruttano le risorse naturali presenti nel loro territorio.
Le terre degli indigeni fanno gola anche ai grandi produttori agricoli. In
Vietnam, ad esempio, i boschi popolati da queste comunità sono stati sostituiti
da grandi piantagioni di caffè. Senza le loro terre, gli indigeni perdono la
loro fonte di sussistenza, la loro identità e il loro futuro. A questo si affianca
lo spettro della discriminazione, della repressione e della violazione dei
diritti umani, come nel caso dei Pigmei dell’Africa centrale, considerati “inferiori” dalla popolazione locale ed esclusi dalle scuole
e dalle strutture sanitarie. E capita anche che le comunità indigene perdano i
diritti conquistati a fatica, come nel caso degli Aborigeni australiani. Per
porre l’attenzione sui diritti negati a questi popoli e rafforzare la
cooperazione intergovernativa, le Nazioni Unite hanno dedicato due decenni alla
questione, il secondo dei quali si concluderà nel 2015.
Ma per ripercorrere le tappe
dell’impegno della comunità internazionale, ascoltiamo la nota di Luis Badilla:
“L’ingresso della questione popoli indigeni nelle
Nazioni Unite cominciò con una sconfitta: l’opposizione del Canada, nel 1923,
fece naufragare l’accettazione di 6 nazioni irochesi
nell’allora Società delle Nazioni. Così nacque però la lotta, in sede
internazionale, per il riconoscimento dei diritti dei popoli autoctoni. Nel
1997, per la prima volta, una delegazione di pellerossa e di indios venne invitata a prendere
parte all’incontro sui diritti dei popoli indigeni dell’emisfero occidentale.
Un anno dopo fu creato un Gruppo di lavoro permanente a Ginevra, all’interno
della Commissione ONU per i diritti umani, al quale parteciparono indigeni di
tutto il mondo. Dopo la recente riforma di questa Commissione, ora Consiglio,
si attende con interesse il futuro della stesura della Dichiarazione dei
diritti dei popoli indigeni che dovrebbe essere votata dall'Assemblea Generale
dell'ONU, dando cittadinanza nel diritto internazionale alle specifiche
rivendicazioni dei popoli indigeni”.
La vera difesa di queste comunità e popoli, esige dunque
l’approvazione di un documento vincolante per gli Stati. Le convenzioni
esistenti, infatti, come quella n. 169 dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro (ILO), possono essere applicate o meno a discrezione
dei singoli governi. Sembra comunque che proprio di recente qualche passo in
avanti sia stato fatto, come riferisce il prof. Gerardo Bamonte,
membro da oltre 20 anni del Gruppo di lavoro sui popoli indigeni dell’ONU:
R. – Adesso, in questi
ultimi giorni, con un colpo di mano, il nuovo Consiglio dei Diritti Umani ha
accettato la “Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni” e l’ha passata
direttamente all’Assemblea Generale per l’approvazione. Erano quindici anni che
si discuteva di come migliorarla. Non era stata migliorata, ma è passata lo
stesso così. Dovremmo, quindi, cercare di creare degli standard giuridici per
fare in modo che gli indigeni vengano protetti prima
di tutto dai governi, che non li riconoscono, e poi, in generale, da tutto il
mondo, che dovrebbe riconoscere l’importanza di queste culture, che potrebbero
sicuramente insegnarci moltissime cose.
“Chiedo ai Governanti in nome della Chiesa – diceva
Giovanni Paolo II, durante l’Incontro con i popoli indigeni in Guatemala, nel
1983 – una legislazione che vi protegga efficacemente
dagli abusi e vi offra l’ambiente e i mezzi adeguati per il vostro normale
sviluppo. Che nessuno, per nessun motivo, disprezzi la vostra esistenza”.
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AL
SECOLO EDITH STEIN, VERGINE E MARTIRE, PATRONA D’EUROPA
Oggi
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(musica)
Edith Stein nasce a Breslavia nel 1891
da genitori ebrei. A 14 anni abbandona la religione della famiglia: è
agnostica, vuole cercare la verità con la ragione e lo studio. Diventa assistente
del filosofo Husserl all’università di Friburgo:
segue l’indirizzo fenomenologico del suo maestro. Un
metodo che cerca di percorrere la strada oggettiva della verità liberando
l’uomo da ogni pregiudizio. Edith entra in crisi: quel metodo non la soddisfa
né la convince. Un giorno prende casualmente dalla biblioteca
l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila. La legge
d’un fiato. Alla fine esclama: “questa è la verità”.
E’ il 1921: Edith Stein, a 30 anni, si converte al cattolicesimo:
lei, che da filosofa aveva cercato a lungo la verità,
scopre che questa non è un’idea o un concetto, ma una persona, Cristo. “Dio è la verità – afferma
- chi cerca la verità, cerca Dio, che ne sia cosciente o no". Verità che coincide con un amore senza riduzioni: il
prossimo che devo amare – sottolinea - “non è quello che mi va, ma quello che
mi passa accanto”. La sua conversione
reca un dolore immenso alla madre. Di lì a poco anche la sorella Rosa la
seguirà sulla via di Cristo. Si fa carmelitana con il nome di Teresa Benedetta
della Croce: “più uno vive raccolto in Dio – scrive -
più irradia luce su tutti”. In Germania imperversa il nazismo e la persecuzione
anti-ebraica. Lascia il suo Paese per recarsi in un convento carmelitano in
Olanda con la sorella. Nel 1942 i vescovi olandesi denunciano in un documento
la persecuzione antisemita. La rappresaglia nazista è immediata: i cattolici di
origine ebrea in Olanda vengono deportati, comprese le
due sorelle Stein: Edith rifiuta una proposta di fuga
e dice a Rosa: “Vieni, andiamo per il nostro popolo”. Si sente figlia d’Israele
e vuole condividere fino in fondo il suo destino. Per lei appartenere al popolo ebraico è
essenziale: “significa – afferma - appartenere a Cristo non solo
con lo spirito, ma con il sangue".
Muoiono entrambe ad Auschwitz il 9 agosto 1942. “Più si fa buio intorno a noi –
dice - più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’Alto”. E’
(musica)
“Il mondo è in
fiamme: la lotta tra Cristo e anticristo si è accanita apertamente, perciò se
ti decidi per Cristo può esserti chiesto anche il sacrificio della vita. Contempla
il Signore che pende davanti a te sul legno, perché è stato obbediente fino
alla morte di Croce … Attraverso la potenza della Croce puoi essere presente su
tutti i luoghi del dolore, dovunque ti porta la tua compassionevole carità…
(musica)
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NON
DIMENTICARE NAGASAKI: 61 ANNI FA L’ATTACCO ATOMICO
CHE DISTRUSSE LA CITTA’ GIAPPONESE,
TRAGICO
EPILOGO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
- Ai
nostri microfoni, Ernesto Olivero -
Il tragico
epilogo del conflitto più sanguinoso della storia dell’umanità: 61 anni fa, veniva rasa al suolo la città giapponese di Nagasaki,
simbolo assieme ad Hiroshima dell’olocausto nucleare. Nel bombardamento
americano morirono, all’istante, almeno 40 mila persone, mentre un numero
imprecisato perse la vita negli anni successivi a causa delle radiazioni. La
Chiesa giapponese commemora l’anniversario con una fiaccolata dalla Cattedrale
al Parco della Pace e con una Messa presieduta da mons. Joseph
Mitsuaki Takami, arcivescovo
di Nagasaki. Per una riflessione sull’attualità di questo anniversario, che
riguarda tutta l’umanità e non solo il Giappone, Alessandro Gisotti ha
intervistato Ernesto Olivero, fondatore del Sermig –
Arsenale della Pace:
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R. – Solo la pace porta la pace. Noi siamo accecati
dall’odio. Siamo pieni di esempi come Nagasaki e a me pare
che viviamo un tempo in cui pochi si chiedono: “Perché?” Basterebbe vedere i
guai che hanno fatto le armi per dire: “Perché le dobbiamo costruire?”
D. – Nagasaki è stato il tragico epilogo del conflitto più
sanguinoso della storia, una guerra che ha mietuto soprattutto vittime civili
e, purtroppo, vediamo, è cronaca di questi giorni, che l’uomo non ha appreso
niente, in fondo…
R. – Io credo che noi che lavoriamo per la pace dobbiamo
smettere di essere pacifisti, ed essere invece
pacificatori! Dobbiamo smettere di enunciare, ma crederci veramente. Ai giovani
che arrivano all’Arsenale della Pace noi diciamo sempre che per essere
veramente operatori di pace bisogna consumare meno acqua, meno cibo, perché c’è
tantissima gente che muore per mancanza di cibo e mancanza di acqua. Come
Chiesa dobbiamo crederci veramente, di modo che la Chiesa diventi il punto di
riferimento nel mondo contro la fame e contro la guerra.
D. – Nella Pacem in Terris di Giovanni XXIII è molto chiaro al Papa questo
pericolo di annichilimento, per cui dopo l’inizio
dell’era nucleare con Hiroshima e Nagasaki non è più possibile - “Alienum est a ratione” – è assolutamente inconcepibile la guerra…
R. – Certo, io sono pienamente d’accordo con questo, e sono pienamente
d’accordo con
Benedetto XVI, con l’Enciclica Deus Caritas est.
Oggi potrebbe essere il tempo dell’amore. Noi Chiesa dovremmo essere i maestri
dell’amore, i maestri che sono costantemente allievi, che possono indicare al
mondo una via. Perché noi ci crediamo veramente! Con Papa Benedetto abbiamo una
possibilità in più di chiarezza per dire al mondo: “E’ possibile vivere
insieme, però dobbiamo imboccare la strada dell’amore, la strada del disarmo,
la strada degli enti come l’ONU, perché facciano finalmente il loro dovere”. Io
penso veramente, con molta speranza, che questo tempo difficilissimo possa offire una grande opportunità d’amore.
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IL
ROSSINI OPERA FESTIVAL DI PESARO
RENDE
OMAGGIO A MOZART NEL 250.MO ANNIVERSARIO
DELLA SUA NASCITA
-
Intervista con Giovanni Agostinucci -
Il Rossini Opera Festival rende
omaggio a Mozart in occasione del
250° anniversario della nascita proponendo un dramma sacro, L’obbligo del primo comandamento,
affiancato alla farsa rossiniana La cambiale di matrimonio: un dittico interessante messo in scena
ieri sera in un nuovo, imponente spazio teatrale ricavato nel palazzetto dello sport di Pesaro. Sul podio, per entrambi
gli allestimenti, Umberto Benedetti Michelangeli e
una buona compagnia di canto. Il servizio di Luca Pellegrini.
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“Lascia che i sogni siano sogni”: sono le parole
sussurrate dallo Spirito mondano per tentare il Cristiano tiepido. “Dedicati a
voluttà – prosegue – anziché alle virtù”. Ma ecco scendere in campo lo Spirito
cristiano, in costume da crociato, affiancato da Misericordia e Giustizia,
nobili e immacolate: una formale contesa si scatena per conquistare l’anima del
fedele dubbioso che alla fine, costretto a rientrare nel mondo, inizierà il
buon combattimento della fede. Soggetto ostico per un’opera musicale?
L’undicenne Mozart non lo pensava certo, nella
Salisburgo del 1767, quando ricevette l’incarico dall’Arcivescovo Colloredo di comporre un breve “dramma sacro” su testo tedesco
per il periodo della Quaresima, di argomento edificante, come all'epoca si
usava. Ecco allora la fantasia di un piccolo genio, già navigato nell’arte
musicale, scrivere L’obbligo del primo
comandamento, cinque figure allegoriche che si dividono sette arie
convenzionali e un terzetto, cui è seguita l’esecuzione della farsa rossiniana, La
cambiale di matrimonio, scritta nel 1810 da un Gioachino anch’egli
giovanissimo, appena diciottenne. Pur nell’evidente diversità di stili e
contenuti, l’operazione risulta di indubbia qualità culturale, anche per il
tentativo di teatralizzazione, non facile, del lavoro
mozartiano, firmato da Giovanni Agostinucci
in veste di regista, al quale abbiamo chiesto quale tipo di spettacolo ha
ideato per raccontare una storia fatta di tentazioni e di sottili ragionamenti
etici e teologici:
“Ho deciso di rappresentare quest’opera in un luogo sacro,
come se fosse un lato di una grande chiesa abbandonato,
e questi profani per divertirsi entrassero dentro, venissero da una festa. La
scelta stilistica, di regia, che ho voluto dare a quest’opera è il grande
confronto che c’è tra spirito cristiano e spirito mondano; portare il non
credente ad avere la fede e a vedere la luce. Quindi, c’è tutto un
combattimento fra questi due spiriti, dove però lo
spirito cristiano io lo rappresento come un crociato, come un combattente per
la fede, e lo spirito mondano è una figura allegorica che interviene e fa le
sue azioni. All’ultimo vincerà lo spirito cristiano, tramite le due figure
allegoriche, Giustizia e Misericordia. Lo spirito cristiano rappresenta la
fede, la forza, e riesce a vincere”.
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9 agosto 2006
INDONESIA:
LEADER RELIGIOSI FIRMANO UN DOCUMENTO IN CUI CONDANNANO
LE INCURSIONI ISRAELIANE IN LIBANO E LANCIANO UN APPELLO DI PACE
JAKARTA. = Cento capi religiosi ed esponenti di
organizzazioni non governative, insieme a fedeli di diverse confessioni, hanno
manifestato pacificamente a Jakarta, in Indonesia,
contro le incursioni israeliane in Libano. I leader religiosi, scrive l’agenzia
MISNA, hanno firmato un documento nel quale condannano “severamente i
bombardamenti israeliani che hanno ucciso donne e bambini, e distrutto luoghi
di culto”. La dichiarazione include un appello particolare rivolto al mondo
intero ad “unirsi nella promozione di una vera pace in Medio Oriente” ed invita
ad aiutare le persone ferite e a pregare per le vittime. “È giunto per noi il momento
di unirci al mondo intero per combattere il crimine contro l’umanità”, ha detto
padre Benny Susetyo,
segretario della commissione interreligiosa della Conferenza episcopale
indonesiana, che ha sottolineato l’opposizione della chiesa alla guerra perché
“fa vittime solo tra le persone innocenti”. Hanno aderito alla dichiarazione –
di cui una copia è stata consegnata ad un rappresentante delle Nazioni Unite –
diversi leader musulmani, confuciani, indù, ortodossi
e buddisti. (T.C.)
LE
AUTORITÀ DELLE ISOLE SULAWESI CENTRALI, IN INDONESIA,
HANNO EMESSO L’ORDINE PER L’ESECUZIONE DEI TRE CRISTIANI
CONDANNATI
A MORTE COME RESPONSABILI DEGLI SCONTRI INTERRELIGIOSI
NEL 2000 A POSO. SARANNO FUCILATI SABATO
PALU. = L’ufficio del pubblico ministero delle Isole Sulawesi centrali, in Indonesia, ha emesso
l’ordine e dato l’annuncio ufficiale per l’esecuzione dei tre cattolici
condannati a morte come responsabili del massacro di 200 musulmani a Poso,
durante gli scontri interreligiosi del 2000. Fabianus
Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwa, riferisce l’agenzia
Asianews, si presenteranno davanti al plotone che li
fucilerà, a Palu, il 12 agosto, quindici minuti dopo
la mezzanotte. Il figlio maggiore di Fabianus Tibo, Robert, 29 anni, ha ricevuto
una lettera dall’ufficio del procuratore di Palu,
recapitata tramite un rappresentante di spicco della comunità cristiana locale,
il reverendo Rinaldy Damanik,
presidente delle Chiese del Sinodo di Sulawesi
centrali. “Il sacerdote - dice Robert Tibo – ha inviato la lettera a un prete cattolico a Tentena, dove mi sono recato per ritirarla”. Stando alle
dichiarazioni del reverendo Damanik, le autorità
hanno chiesto a lui di riferire ai familiari dei detenuti il messaggio “per
motivi psicologici”. La legge indonesiana prevede che l’ufficio del pubblico
ministero locale comunichi data e ora dell’esecuzione solo alla famiglia del
condannato o ai suoi avvocati. Risulta dunque fuori norma la modalità con cui
la notizia è stata riferita ai parenti dei tre cattolici. Dal canto loro, le
famiglie Tibo, da Silva e Riwa,
continuano ad opporsi a quella che ritengono una “condanna ingiusta” e
rifiutano di firmare la lettera di avvenuta consegna. Respingono inoltre l’esecuzione poiché dal processo non è emerso in modo chiaro
il presunto coinvolgimento di Fabianus, Dominggus e Marinus nel conflitto
di Poso. “Siamo addolorati di apprendere – spiega Robert
Tibo – che tutte le nuove prove legali, fornite dal
gruppo di avvocati del Padma, non siano state prese
in seria considerazione da giudici e governo”. Negli ultimi mesi pare sia stata
valutata la possibilità di un’amnistia per le persone coinvolte nelle violenze
tra cristiani e musulmani a Poso dal 1998 al 2001. Ma sembra che i nomi di Fabianus Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwa siano sempre rimasti fuori dalla
lista di chi dovrebbe beneficiare del provvedimento. (T.C.)
DEI 17
OPERATORI UMANITARI NELLO SRI LANKA E IL MANCATO RISPETTO
DEI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA LEGGE
UMANITARIA INTERNAZIONALE
NEI
PAESI OGGI MARTORIATI DA GUERRE E VIOLENZE
ROMA. = “Tristezza e rabbia”. Con queste parole
DIVENTARE
COSTRUTTORI DI PACE ALLA SCUOLA DI SAN
FRANCESCO. È L’OBIETTIVO DEGLI OLTRE 600 GIOVANI RIUNITI AD ASSISI IN QUESTI
GIORNI PER IL IV MEETING INTERNAZIONALE FRANCESCANO.
OGGI A
ROMA UNA DELEGAZIONE ALL’UDIENZA DEL PAPA
ASSISI. = I partecipanti al quarto meeting internazionale
“Giovani verso Assisi” hanno fatto tappa oggi a Roma per prendere parte all’udienza
generale del Papa. Riuniti in questi giorni ad Assisi, in Umbria, per
riflettere sul messaggio di pace di San Francesco, gli oltre 600 giovani
provenienti da 28 Paesi sono stati radunati dal Centro nazionale unitario di
pastorale giovanile e vocazionale dei frati minori conventuali. Domenica sono
stati accolti dal custode del Sacro Convento, padre Vincenzo Coli. La giornata
di oggi prevede riflessioni sul tema “Francesco uomo ecclesiale”, un tema che i
giovani hanno voluto approfondire facendo propri i ripetuti appelli di
Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente. “La pace di Francesco d’Assisi è
Cristo – ha detto padre Giuseppe De Stefano coordinatore del meeting – e non
esiste pace per Francesco al di fuori di Cristo”. A preparare i giovani all’incontro
di oggi con il Papa è stato il vescovo di Palestrina, Domenico Segalini, che ai
giovani ha voluto ricordare quanto ogni ricerca cristiana che non approda ad
una comunità sia vana facendo ritorcere l’uomo su se stesso e creandogli la
tortura della solitudine. “Molti uomini hanno tentato di fare da soli – ha
spiegato il presule – ma si sono costruiti degli
idoli. Il cristiano sa che Dio si fa vedere nella comunità”. Sapere di dover
approdare ad una comunità o fare i conti con questa dà una certezza della vita
altrimenti impossibile - spiega mons. Sigalini - il
futuro è un cammino tra fratelli che sorregge, stempera le forzature, mette a
confronto. La giornata di domani sarà dedicata alla riconciliazione, mentre venerdì
si svolgerà il ritiro alla Verna. Domenica, infine,
avverrà la consegna agli ambasciatori accreditati presso
CON
5,7 MILIONI DI SIEROPOSITIVI L’INDIA È IL PAESE CON IL
NUMERO PIÙ ELEVATO
DI
PERSONE CONTAGIATE DAL VIRUS HIV. A RIVELARLO È UNO STUDIO DELL’ONU
ROMA. = L’India è il Paese con il più alto numero di
sieropositivi: se ne contano 5,7 milioni. Stando a uno studio pubblicato
dall’agenzia dell’ONU UNAIDS, l’India occupa attualmente il primo posto nella
graduatoria mondiale dei Paesi con il più alto tasso di persone contagiate dal
virus HIV. Secondo il quotidiano Times of India,
rischia di essere colpita da un’epidemia di AIDS che nei prossimi 20 anni
potrebbe uccidere 11 milioni di persone. Le autorità indiane hanno rifiutato i
dati dell’UNAIDS e continuano a parlare di 5,2 milioni tra sieropositivi e
malati di Aids. Il governo, però, ha annunciato oggi un piano per effettuare
una campagna di informazione contro il contagio nelle campagne, dove vive oltre
il 60 per cento della popolazione. Fino all’inizio di quest'anno - osserva il
rapporto - a contare il maggior numero di sieropositivi era il Sudafrica.
(T.C.)
IN
CINA SEI PERSONE SONO MORTE DOPO AVER ASSUNTO UN ANTIBIOTICO.
PIÙ DI 80
HANNO MANIFESTATO MALORI CAUSATI DAL FARMACO.
SOTTO
ACCUSA L’AUTORITÀ SANITARIA CHE HA TARDATO A DIFFONDERE
PECHINO.= Un
antibiotico killer ha ucciso in Cina 6 persone mentre
altre 80 sono state colpite da malori. Il farmaco, scrive l’agenzia AsiaNews, è
stato vietato dall’autorità locale soltanto da pochi giorni, ma non sono state
chiarite le cause dei suoi effetti mortali. Sotto inchiesta è finita
l’Amministrazione statale per gli alimenti e le medicine, l’ASEM, accusata di
aver tardato a diffondere la notizia della pericolosità dell’antibiotico. Zhang Jixiang, portavoce dell’ASEM, avrebbe risposto che le notizie
sui farmaci vanno rese in linea con accertamenti seri e scientifici. Solo il 7
agosto il ministro della Sanità cinese ha diramato la descrizione dei possibili
sintomi negativi per l’assunzione del farmaco. La ditta Anhui
Huayuan Worldbest Biology Pharmacy,, che produce il medicinale afferma di averne ritirato
760 mila confezioni. Decine i pazienti che dopo l’assunzione del farmaco hanno
manifestato vomito, diarrea e dolori al petto. (A.Gr.)
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9 agosto 2006
- A cura di
Fausta Speranza -
Tre
civili iracheni sono stati uccisi nella parte ovest di Baghdad, mentre i corpi
di cinque persone assassinate sono stati scoperti nelle vicinanze della
capitale. Sempre oggi un elicottero con soldati americani è precipitato in
Iraq, nella regione occidentale di Anbar. Secondo
prime informazioni, vi sono quattro feriti e due membri dell'equipaggio
dispersi. Intanto, viene reso noto che oltre 1.800
cadaveri sono stati trasportati
nell'obitorio di Baghdad nel solo mese di luglio: si tratta del numero più alto da quando nel febbraio scorso un
attentato esplosivo contro un mausoleo
sciita a Samarra ha alimentato una nuova ondata di violenze che continua a insanguinare l'Iraq. Per far fronte a un
numero quotidiano di attacchi in crescita, di recente gli Stati Uniti hanno
annunciato lo spostamento di migliaia di militari Usa da diverse parti
dell'Iraq alla capitale.
Ancora morte in Afghanistan: dodici guerriglieri hanno
perso la vita e due soldati americani sono rimasti feriti nella provincia del Nuristan, nel nord-est del Paese, per lo scontro a fuoco
provocato dai guerriglieri. Nella provincia di Helmand,
invece, una donna e suo figlio sono stati uccisi da guerriglieri taleban, che li avevano accusati di
essere spie al servizio delle truppe straniere in Afghanistan. I taleban uccidono i civili che rifiutano di dare ai loro
guerriglieri rifugio e cibo.
Cinque persone sono morte in Sri
Lanka nell'attacco contro l'ambulanza sulla quale
viaggiavano. Lo riferisce il sito dei ribelli Tamil, Tamilnet, aggiungendo che un reparto speciale dell'esercito
dello Sri Lanka avrebbe attaccato
l'ambulanza. Le vittime sono un dottore, sua moglie, due infermiere e l'autista
di una ambulanza dell'ospedale Nedunkerni.
L'attacco è avvenuto a Pandarakulam, nel nordest del
Paese. Da parte sua, il comando cingalese ha detto di non sapere nulla
dell'episodio. Ma perché in questi giorni è riesploso
violento il conflitto in Sri Lanka? Giada Aquilino lo
ha chiesto al prof. Emilio Asti, docente di Cultura orientale all’Università
Cattolica di Milano:
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R. – Anche se il conflitto etnico tra tamil
e i cingalesi era caduto nell’oblio, rimane tuttora una questione aperta.
Alcune voci parlano anche di dissidi anche all’interno del movimento delle
Tigri tamil. Ci sarebbe una fazione tamil favorevole alla ripresa della lotta armata, e
purtroppo la pace rimane ancora un sogno lontano …
D. – Quali sono le condizioni di vita della popolazione
civile in Sri Lanka?
R. – La parte settentrionale è ancora in preda di grossi
problemi economici e sociali e penso che attraverso negoziati ragionevoli si
possa trovare un’intesa tra tamil e cingalesi. Credo
che l’intervento della Norvegia e di altri Paesi possa dare un contributo
importante alla soluzione del conflitto.
D. – Ma ci sono ragioni storiche per queste divergenze e
violenze tra cingalesi e tamil?
R. – Sì. Il conflitto etnico è iniziato nel 1983, però già
in passato la convivenza tra la popolazione tamil,
stanziata nelle aree settentrionali e orientali, e i cingalesi che
costituiscono la maggioranza della popolazione, è stata difficile. Inoltre, i tamil sono stati molte volte appoggiati anche dai tamil che vivono nello Stato indiano del Tamil-Nadu e l’India era anche intervenuta nel conflitto
etnico, nel 1987, con l’invio di una forza di pace che però non era riuscita
nel suo compito. Io penso che sia importante anche il ruolo della comunità tamil all’estero: questa comunità può far sentire la sua
voce e attivarsi per porre termine al conflitto. Ricordiamoci che ci sono molte
comunità tamil in Australia, in Canada, in tutta
l’Europa occidentale e loro possono darsi da fare per suggerire una soluzione
al conflitto.
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In Messico comincia oggi l’operazione del riconteggio dei voti relativi a 11.839 seggi. Si riapre dunque la battaglia elettorale tra Calderon e Lopez, dopo le
elezioni del 2 luglio e la Chiesa invita tutti a rispettare la legge e a
lavorare per la riconciliazione, il dialogo e l’intesa. Il servizio di Fausta
Speranza:
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Il Tribunale elettorale del potere giudiziario della
Federazione (TEPJF) autorizza il conteggio non di tutti i voti del 2 luglio,
come aveva chiesto il candidato del Partito della
rivoluzione democratica (PRD), López Obrador, ma solo del 9%. Ma questo basta per riaprire in
sede amministrativa la corsa per la conquista della presidenza messicana. In discussione sono i voti di 11.839
seggi di 149 distretti (la metà dei 300 esistenti) e dunque la differenza dello
0,58% (poco più di 243 mila voti) esistente fra i due candidati potrebbe
annullarsi o ribaltarsi. In esame sono 4 grandi regioni - Jalisco,
Baja California, Tamaulipas
e Veracruz - tutte legate al partito di Felipe Calderón.
C’è da dire che, nella sentenza, il Tribunale è molto
critico con i responsabili dei 300 distretti elettorali, ma soprattutto con
l'Istituto federale elettorale (IFE), organismo statale che avrebbe
dovuto essere garante della correttezza delle operazioni di voto.
Intanto, decine di migliaia di militanti della sinistra sono nelle strade:
oltre a mantenere bloccati la storica piazza dello Zocalo,
nel centro della capitale, ed il Paseo de la Reforma, i militanti hanno deciso di attuare un “marcamento
personale” del presidente uscente, Vicente Fox, e di concentrare un gran numero di militanti davanti
alla sede del Tribunale. L’operazione di riconteggio
durerà cinque giorni. Per quanto
riguarda la posizione della Chiesa cattolica, ricordiamo che lo scorso
20 luglio i vescovi del Messico avevano convocato una
Settimana di preghiera (31 luglio - domenica 6 agosto) per implorare da Dio
pace, dialogo e riconciliazione. Ora, la Conferenza episcopale, con un
documento a firma del presidente e del segretario del Comitato di presidenza e
dei due cardinali Rivera Carrera
e Sandoval Íñiguez si
affida al verdetto del Tribunale elettorale, sottolineando che l’istituzione
“gode di una meritata reputazione d’imparzialità e autonomia e, dunque,
consente di attendere la sua sentenza con fiducia”.
“Il Messico – si legge nel documento - è sempre di più un
Paese pluralista, nel quale raggiungere una convivenza pacifica e rispettosa.
Inoltre, i vescovi sottolineano che “se in una famiglia sono legittime le
differenze e le divergenze, non è concepibile l’odio e meno ancora la violenza,
da condannare sempre”. E c’è poi
l’invito “a lavorare di più per sradicare la corruzione, l’ignoranza e le
profonde disuguaglianze sociali. La Chiesa cattolica, in
definitiva, chiede a tutti di rispettare la legge e di lavorare per la
riconciliazione, il dialogo e l’intesa; lancia un accorato appello alla
serenità, alla tolleranza e alla moderazione; esige dalle autorità di agire
nella verità e nella giustizia e chiede alle forze politiche di comportarsi con
“maturità, generosità e onestà”.
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Due lavoratori norvegesi e due ucraini sono stati rapiti
in Nigeria da sconosciuti mentre si trovavano su una
nave di rifornimento davanti alla costa. Lo ha comunicato oggi il governo norvegese.
La Compagnia, che ha confermato l'accaduto, ha riferito di non aver avuto
alcuna richiesta di riscatto. La regione del delta del delta del Niger è la
principale zona di estrazione del petrolio della Nigeria. Le compagnie petrolifere
che vi operano sono spesso soggette ad attacchi di miliziani armati, che
chiedono risarcimenti per i danni ambientali causati dalle trivellazioni e una
più equa redistribuzione dei proventi.
Il petrolio rimane sopra quota 76 dollari nelle quotazioni
after hours
di New York. Il prezzo del barile è salito di appena 2 centesimi rispetto alla
chiusura di ieri arrivando a 76,33 dollari. Il greggio ha rallentato la sua
corsa per la convinzione, diffusa tra gli operatori del mercato, che le scorte
americane saranno sufficienti a coprire il fabbisogno del Paese, nonostante
l'interruzione dell'attività nel giacimento BP in Alaska.
Ci sono segnali di un superamento della crisi missilistica
nordcoreana: entro la fine della settimana è stato
programmato un incontro per la ripresa di alcuni aiuti umanitari di Seul a Pyongyang. Lo indica oggi l'agenzia sudcoreana
Yonhap, precisando che l'incontro si svolgerà fra il
ministro per l'Unificazione, Lee Jongseok,
e il direttore della Croce Rossa nordcoreana, Han Wansang. L'assistenza
umanitaria di Seul a Pyongyang era stata sospesa dopo
una serie di esperimenti missilistici compiuti dalla Corea del Nord il 5 luglio
e condannati dall'ONU. Nei giorni scorsi, la Corea del Nord è stata colpita da
gravi inondazioni, che avrebbero fatto centinaia di morti e avrebbero
ulteriormente aggravato la situazione economica del Paese. Pyongyang
ha ufficialmente rifiutato qualsiasi offerta di aiuto, ma l'incontro
preannunciato oggi potrebbe indicare l'inizio di un disgelo.
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