RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 221  - Testo della trasmissione di mercoledì 9  agosto 2006

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Sostituire alle armi la buona volontà, la fiducia e il rispetto dei patti: il nuovo appello di Benedetto XVI per una tregua in Libano che apra alla pace. La catechesi dell’udienza generale dedicata alla novità del cristianesimo, descritta dall’Apostolo Giovanni: Dio è amore

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

In Libano, almeno 10 morti per un raid israeliano contro il quartier generale dei guerriglieri Hezbollah. Altri razzi sulla Galilea. Francia e Stati Uniti lavorano per una nuova risoluzione ONU per porre fine alle ostilità: le testimonianze di padre Giovanni Abdou e suor Sylvie Touazan

 

Oggi, Giornata internazionale dei popoli indigeni: ce ne parla il prof. Gerardo Bamonte

 

La Chiesa ricorda oggi Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, Patrona d’Europa. Morta martire ad Auschwitz, il Papa oggi l’ha definita un’eroica testimone del Vangelo

 

Nagasaki ricorda il 61° anniversario del bombardamento atomico: con noi Ernesto Olivero

 

Omaggio a Mozart al Rossini Opera Festival: intervista con Giovanni Agostinucci

 

CHIESA E SOCIETA’:

Indonesia: leader religiosi firmano un documento in cui condannano le incursioni israeliane in Libano e lanciano un appello di pace

 

Le autorità delle Isole Sulawesi Centrali, in Indonesia, hanno emesso l’ordine per l’esecuzione dei tre cristiani condannati a morte come responsabili degli scontri interreligiosi nel 2000 a Poso

 

La Caritas Internationalis condanna l’uccisione dei 17 operatori umanitari nello Sri Lanka e il mancato rispetto dei principi fondamentali della legge umanitaria internazionale nei Paesi oggi martoriati da guerre e violenze

 

Con 5,7 milioni di sieropositivi l’India è il Paese con il numero più elevato di persone contagiate dal virus HIV

 

Riuniti ad Assisi in questi giorni oltre 600 giovani per il IV Meeting internazionale francescano

 

In Cina sei persone sono morte dopo aver assunto un antibiotico

 

24 ORE NEL MONDO:

Riparte oggi in Messico il riconteggio dei voti espressi nelle presidenziali del 2 luglio scorso

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

9 agosto 2006

 

 

SOSTITUIRE ALLE ARMI LA BUONA VOLONTA’, LA FIDUCIA E IL RISPETTO DEI PATTI:

IL NUOVO APPELLO DI BENEDETTO XVI

PER UNA TREGUA IN LIBANO CHE APRA ALLA PACE.

LA CATECHESI DELL’UDIENZA GENERALE DEDICATA ALLA NOVITA’ DEL CRISTIANESIMO,

DESCRITTA DALL’APOSTOLO GIOVANNI: DIO E’ AMORE

 

         “Non più gli uni contro gli altri”, ma una soluzione “giusta e duratura” del conflitto libanese creata sulle basi della ragionevolezza, della buona volontà, del rispetto e della fiducia. Benedetto XVI ha implorato ancora una volta la pace per il Medio Oriente, a conclusione dell’udienza generale di questa mattina incentrata al tema dell’amore di Dio nell’evangelista Giovanni. Alla crisi mediorientale e alle sue vittime il Papa aveva dedicato anche una sosta in preghiera ieri pomeriggio, durante una visita privata compiuta nell’antico Santuario della Madonna del Tufo, che sorge a Rocca di Papa, località dei Castelli Romani non lontana dalla residenza estiva di Castel Gandolfo. La cronaca dell’udienza generale nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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“Cari fratelli e sorelle, il mio accorato pensiero va ancora una volta all’amata regione del Medio Oriente. In riferimento al tragico conflitto in corso ripropongo le parole di Papa Paolo VI all'ONU, nell'ottobre del 1965: ‘Non più gli uni contro gli altri, non più, giammai! ... Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani’. Di fronte agli sforzi in atto per giungere finalmente al cessate-il-fuoco e ad una soluzione giusta e duratura del conflitto ripeto, con l'immediato mio Predecessore Giovanni Paolo II, che è possibile cambiare il corso degli avvenimenti quando prevalgono la ragione, la buona volontà, la fiducia nell'altro, l'attuazione degli impegni assunti e la cooperazione fra partners responsabili (Discorso al Corpo diplomatico, 13 gennaio 2003). A tutti rinnovo l'esortazione ad intensificare la preghiera per ottenere il desiderato dono della pace”.

 

Per far risuonare la preoccupazione e la solidarietà che occupano in questi giorni e in queste ore il suo cuore di pastore, Benedetto XVI prende a prestito accenti e  parole di Paolo VI e Giovanni Paolo II, purtroppo ancora attuali in una cronaca che non riesce a cambiare. Il Papa si appella alla buona volontà, alla fiducia, al rispetto. Valori umani che finiscono assunti e sublimati nell’alveo di un valore più grande, che fa del cristianesimo un unicum religioso: l’amore.

 

Riannodando con la catechesi di oggi il filo dei suoi insegnamenti sul rapporto tra gli Apostoli e la Chiesa, Benedetto XVI passa dalla figura dell’Apostolo Giovanni, commentata prima della sosta estiva, alla “folgorante intuizione” che fa da perno a tutta la produzione del quarto evangelista: “Dio è amore”. Si tratta, spiega Benedetto XVI, di un argomento “caratteristico” non solo del Vangelo e delle Lettere di Giovanni, ma di un “dato peculiare” di tutta la religione cristiana, che perciò si distingue da altre fedi nelle quali “è molto difficile trovare testi del genere”. Giovanni, osserva il Papa, non tratta l’amore di Dio in modo “astratto”, ma “concreto” e “verificabile” da ogni persona, distinguendo i “tre momenti” che lo caratterizzano: l’Amore, essenza stessa di Dio, l’ingresso di questo Amore nella storia umana attraverso Gesù, la “risposta d’amore” che l’uomo è chiamato a dare al Comandamento nuovo.

 

Già dal primo dei tre momenti, l’intuizione dell’evangelista mostra tutta la sua eccezionalità nel definire Dio:

 

“Si noti bene: non viene affermato semplicemente che ‘Dio ama’ e tanto meno che ‘l'amore è Dio!’. In altre parole: Giovanni non si limita a descrivere l'agire divino, ma procede fino alle sue radici. Inoltre, non intende attribuire una qualità divina a un amore generico e magari impersonale; non sale dall’amore a Dio, ma si volge direttamente a Dio per definire la sua natura con la dimensione infinita dell'amore. Con ciò Giovanni vuol dire che il costitutivo essenziale di Dio è l’amore e quindi tutta l'attività di Dio nasce dall’amore ed è improntata all'amore: tutto ciò che Dio fa, lo fa per amore e con amore. Anche se non sempre possiamo subito capire che questo è l’amore, ma è l’amore vero”.

 

Nel secondo “momento costitutivo dell’amore di Dio”, entra in scena il Figlio, incarnato, morto e risorto per gli uomini. Con Gesù, afferma Benedetto XVI, è Dio stesso che si è “impegnato e ha ‘pagato’ in prima persona”. Dunque, “sostando in contemplazione dinanzi a questo ‘eccesso’ di amore” che lo riguarda, l’uomo – riconosce il Papa, “non può non domandarsi quale sia la doverosa risposta”. Ed è la natura di questa risposta l’oggetto del terzo momento. “Da destinatari recettivi di un amore che ci precede e sovrasta – dice Benedetto XVI - siamo chiamati all’impegno di una risposta attiva, che per essere adeguata non può essere che una risposta d’amore”. Una risposta  nuova come “nuovo” è il Comandamento di Gesù che chiede di amare il prossimo non come se stessi, ma come Lui, il Cristo, lo ha amato:

 

“E’ così che l'amore diventa davvero cristiano: sia nel senso che esso deve essere indirizzato verso tutti senza distinzioni, sia soprattutto in quanto deve pervenire fino alle estreme conseguenze, non avendo altra misura che l’essere senza misura. Quelle parole di Gesù,come io vi ho amati’, ci invitano e insieme ci inquietano; sono una meta cristologica che può apparire irraggiungibile, ma al tempo stesso sono uno stimolo che non ci permette di adagiarci su quanto abbiamo potuto realizzare”.

 

Ed ha aggiunto a braccio:

 

“Preghiamo il Padre di poterlo vivere così intensamente, anche se in modo imperfetto, e tuttavia da contagiarne quanti incontriamo sul nostro cammino”.

 

(applausi)

 

Di fronte a un’Aula Paolo VI particolarmente festosa, Benedetto XVI ha poi concluso l’udienza con i tradizionali saluti in varie lingue e un pensiero particolare per alcuni dei gruppi presenti, tra i quali i seminaristi maggiori italiani impegnati in questi giorni nel loro incontro estivo, i partecipanti al campo internazionale promosso dall’Opera Giorgio La Pira di Firenze e i giovani partecipanti al Meeting internazionale promosso dai Frati Minori Conventuali. “Iddio – ha detto loro il Papa - vi renda sempre più testimoni e costruttori di pace, seguendo le orme del Poverello di Assisi”. L’ultimo pensiero di Benedetto XVI è andato alla Santa Patrona d’Europa, Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, festeggiata oggi dalla Chiesa. “Questa eroica testimone del Vangelo – ha concluso - aiuti ciascuno ad avere sempre fiducia in Cristo e a incarnare nella propria esistenza il suo messaggio di salvezza”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - Titolo di apertura: “Il cuore del Padre batte per l'amata regione del Medio Oriente” - Di fronte agli sforzi per giungere al cessate-il-fuoco e ad una soluzione giusta e duratura del conflitto, all'udienza generale Benedetto XVI rinnova il suo pressante appello per la pace, nel solco di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. La catechesi del Santo Padre: “Giovanni, il teologo”. A seguire: si profila un possibile compromesso per fermare la guerra in Medio Oriente - La risoluzione dell’ONU potrebbe accogliere le modifiche chieste da Beirut e dalla Lega Araba alla bozza franco-statunitense.

 

Servizio vaticano - Al Santuario della Madonna del Tufo, il Papa prega per la pace in Medio Oriente. Un mese dal viaggio apostolico del Santo Padre a Valencia.

 

Servizio estero - Medio Oriente: non si fermano lo strazio e la strage dei civili inermi travolti dalla guerra. India: villaggi sommersi dalle inondazioni, duecento morti e 860.000 sfollati. Iraq: Baghdad chiede la proroga di un anno della missione di assistenza dell’ONU.

 

Servizio culturale - Il restauro de “La conversione di Saulo” del Caravaggio.

 

Servizio italiano - I temi degli incidenti sul lavoro, della Finanziaria e del caro petrolio

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

9 agosto 2006

 

 

IN LIBANO, ALMENO 10 MORTI, PER UN RAID ISRAELIANO CONTRO UN COMMANDO

DI GUERRIGLIERI HEZBOLLAH. INTANTO, FRANCIA E STATI UNITI LAVORANO

PER UNA NUOVA RISOLUZIONE, DA PORTARE AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU,

 PER PORRE FINE ALLE OSTILITA’

- Interviste con padre Giovanni Abdou e suor Sylvie Touazan -

 

In Libano si continua a combattere: l’aviazione israeliana ha bombardato il quartier generale dei guerriglieri Hezbollah nel villaggio di Bint Jbeilnel, nel Sud del Paese. In seguito al raid, sono morti almeno 10 militanti sciiti. La televisione ‘Al Arabiya’ ha rivelato, poi, che 4 soldati israeliani sono rimasti uccisi nel Sud del Libano. Sull’altro fronte, combattenti Hezbollah hanno lanciato razzi verso Haifa e la Galilea, senza fortunatamente causare vittime. Ma oltre alle azioni militari e agli attacchi proseguono anche gli sforzi della comunità internazionale per arrivare, prima possibile, ad una cessazione delle ostilità. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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La diplomazia internazionale è al lavoro: si cerca un’intesa su una nuova bozza da portare al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla crisi in Libano, Stato sempre più devastato. Il Paese dei Cedri, infatti, è sconvolto: oltre a centinaia di vittime, molti ponti, strade e case sono distrutti. Anche i danni ambientali sono notevoli in seguito ad attacchi che hanno colpito diverse fabbriche ed industrie chimiche. Una risoluzione che ponga immediatamente fine alle violenze è dunque una priorità. Francia e Stati Uniti stanno preparando un nuovo testo tenendo conto delle obiezioni del Libano e della Lega Araba. Una precedente bozza è stata respinta dal governo di Beirut perché avrebbe consentito alle forze israeliane di rimanere in Libano fino alla fine delle ostilità. L’obiettivo del negoziato è quello di arrivare ad una tregua che garantisca stabilità a tutta la regione. Per questo, il ministro degli Esteri francesi ha dichiarato che il governo libanese deve assicurare non solo, come annunciato, l’invio di propri soldati lungo la frontiera ma anche il ritiro degli Hezbollah dal Sud del Libano. Secondo il presidente francese, Jacques Chirac, una forza internazionale in Libano potrebbe essere dispiegata entro un mese a partire da un eventuale accordo politico.

 

Ai passi della Francia lungo possibili spazi di trattativa, si aggiungono poi le mosse degli Stati Uniti: l’assistente del segretario di Stato americano per il Medio Oriente si è incontrato con il presidente del Parlamento di Beirut ed il premier libanese, Fuad Siniora. Poco dopo il colloquio, il primo ministro libanese ha lanciato un nuovo appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite perché approvi una risoluzione che preveda un immediato cessate il fuoco sulla base delle condizioni poste dal governo del Paese dei Cedri. Siniora ha anche chiesto un’inchiesta internazionale per quelle che definisce “azioni criminali” commesse da Israele in Libano. Ieri il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, riferendosi alla strage di Cana costata la vita lo scorso 30 luglio a 28 civili, ha parlato di “violazioni del diritto internazionale” da parte di Israele. E nello Stato ebraico, intanto, è riunito il Consiglio di sicurezza per decidere se ampliare le operazioni fino al fiume Litani. Il ministro della Difesa israeliano, Amir Peretz, ha ribadito la necessità di un’offensiva di vasta scala. Alcuni ministri temono, invece, la reazione della Siria, le cui forze armate sono già in allerta. Resta drammatica, infine, la situazione nei Territori palestinesi: due palestinesi sono stati uccisi stamani a Jenin, in Cisgiordania, durante un raid aereo israeliano su un campo profughi.

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Il Papa ha lanciato oggi, all’udienza, un nuovo appello per la pace in Libano. Ma come rispondono i libanesi, e soprattutto i cristiani, a queste invocazioni? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a padre Giovanni Abdou, superiore della casa dei carmelitani a Kobayath Akkar, nel Nord del Libano.

 

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R. – Il Papa cerca la pace in tutto il mondo, e questa è la nostra missione. La pace vive nel cuore del cristiano e nei cuori di tutto il mondo. Viviamo nelle comunità cristiane, pregando il Signore, soprattutto in questa situazione. La guerra è grave, però non abbiamo paura in questa situazione perché il Signore è con noi.

 

D. – Quali sono le vostre speranze?

 

R. – Il Signore ci dice: “Non abbiate paura!”. La pace, però, risiede nella convivenza quotidiana con il Signore nell’Eucaristia: solo così, si può vivere con la speranza di fare del nostro meglio per arrivare alla pace in tutto il mondo.

 

D. – Cosa vuol dire vivere l’Eucaristia in tempo di guerra?

 

R. – Vivere l’Eucaristia vuol dire vivere Gesù, avere la speranza di Gesù: anche Gesù ha vissuto la paura di questi tempi! Gesù ha avuto fiducia nel Suo Padre. La preghiera coinvolge la persona intera: con la preghiera, abbiamo questa speranza nel Signore e nell’Eucaristia: mangiamo il Suo Corpo, beviamo il Suo Sangue. Questo ci dà luce per un mondo nuovo, per un mondo migliore!

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E rispondendo all’appello del Papa, anche il Sovrano Militare Ordine di Malta è in prima linea nel portare aiuto alle popolazioni libanesi. Per far fronte all’emergenza, l’Ordine ha stanziato già 260 mila euro. Il Malteser International, corpo di soccorso internazionale dell'Ordine di Malta, è pronto inoltre ad intervenire in caso di cessate-il-fuoco. Numerosi sono i centri medico-sociali dell’Ordine nel Paese dei Cedri, dove in questi giorni si fronteggia soprattutto l’emergenza profughi. Ecco la testimonianza di suor Sylvie Touazan, delle Figlie della Carità, coordinatrice per l’Ordine di Malta dell’assistenza ai profughi, raggiunta telefonicamente a Beirut da Laure Stephan:

 

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R. - C’est principalement des familles qui viennent des regions …

Sono sostanzialmente famiglie che vengono dalle regioni più bombardate, cioè dalle zone del Sud, dalla zona frontaliera; noi abbiamo un Centro nello Shouf, che si chiama “Rom” e che accoglie nei locali stessi della struttura un migliaio di profughi. Offriamo loro le cure mediche, ovviamente, assistenza igienica, prodotti alimentari e acqua potabile. In particolare, prestiamo assistenza medica all’infanzia, alle donne per quanto riguarda l’igiene personale. Si tratta però sempre di scuole, assolutamente non adatte a ricevere questo tipo di persone. E per tale motivo noi abbiamo grandi problemi sanitari. C’è poi una certa, obbligata, promiscuità che può avere quali conseguenze patologie che nascono dalla promiscuità stessa, come la scabbia e le dermatosi. Inoltre, dobbiamo affrontare il problema della sovrappopolazione: cominciamo ad avere carenza di medicinali, di latte in polvere per i piccoli e di prodotti di igiene di base …

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OGGI, GIORNATA INTERNAZIONALE DEGLI INDIGENI NEL MONDO,

CUSTODI DELLA DIVERSITÀ CULTURALE

- Con noi, il prof. Gerardo Bamonte -

 

“Soltanto rispettando le diversità e il diritto delle popolazioni indigene all’autodeterminazione possiamo veramente lavorare insieme per un reale partenariato”: così, il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel messaggio per l’odierna Giornata internazionale degli indigeni nel mondo. Dagli Adivasi in India ai Saami nel Nord Europa, dagli Aborigeni australiani ai San dell’Africa meridionale, sono oltre 370 milioni le persone che appartengono a circa 5 mila popoli indigeni, la maggioranza dei quali sono in Asia e in America Latina. Ma per molti di loro la vita non è facile. Roberta Moretti:

 

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Sono il quattro per cento della popolazione mondiale, ma rappresentano il 90 per cento della “diversità culturale” del pianeta. “Comunità di popoli e nazioni”, e non solo “minoranze etniche”, con una ricchezza straordinaria di tradizioni, religioni e lingue che rischiano di scomparire. A minacciare la sopravvivenza delle comunità indigene, spesso radicate in aree boschive, sono le industrie minerarie, energetiche, petrolifere e del legname, che sfruttano le risorse naturali presenti nel loro territorio. Le terre degli indigeni fanno gola anche ai grandi produttori agricoli. In Vietnam, ad esempio, i boschi popolati da queste comunità sono stati sostituiti da grandi piantagioni di caffè. Senza le loro terre, gli indigeni perdono la loro fonte di sussistenza, la loro identità e il loro futuro. A questo si affianca lo spettro della discriminazione, della repressione e della violazione dei diritti umani, come nel caso dei Pigmei dell’Africa centrale, considerati “inferiori” dalla popolazione locale ed esclusi dalle scuole e dalle strutture sanitarie. E capita anche che le comunità indigene perdano i diritti conquistati a fatica, come nel caso degli Aborigeni australiani. Per porre l’attenzione sui diritti negati a questi popoli e rafforzare la cooperazione intergovernativa, le Nazioni Unite hanno dedicato due decenni alla questione, il secondo dei quali si concluderà nel 2015.

 

Ma per ripercorrere le tappe dell’impegno della comunità internazionale, ascoltiamo la nota di Luis Badilla:

 

“L’ingresso della questione popoli indigeni nelle Nazioni Unite cominciò con una sconfitta: l’opposizione del Canada, nel 1923, fece naufragare l’accettazione di 6 nazioni irochesi nell’allora Società delle Nazioni. Così nacque però la lotta, in sede internazionale, per il riconoscimento dei diritti dei popoli autoctoni. Nel 1997, per la prima volta, una delegazione di pellerossa e di indios venne invitata a prendere parte all’incontro sui diritti dei popoli indigeni dell’emisfero occidentale. Un anno dopo fu creato un Gruppo di lavoro permanente a Ginevra, all’interno della Commissione ONU per i diritti umani, al quale parteciparono indigeni di tutto il mondo. Dopo la recente riforma di questa Commissione, ora Consiglio, si attende con interesse il futuro della stesura della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni che dovrebbe essere votata dall'Assemblea Generale dell'ONU, dando cittadinanza nel diritto internazionale alle specifiche rivendicazioni dei popoli indigeni”.

 

La vera difesa di queste comunità e popoli, esige dunque l’approvazione di un documento vincolante per gli Stati. Le convenzioni esistenti, infatti, come quella n. 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), possono essere applicate o meno a discrezione dei singoli governi. Sembra comunque che proprio di recente qualche passo in avanti sia stato fatto, come riferisce il prof. Gerardo Bamonte, membro da oltre 20 anni del Gruppo di lavoro sui popoli indigeni dell’ONU:

 

R. – Adesso, in questi ultimi giorni, con un colpo di mano, il nuovo Consiglio dei Diritti Umani ha accettato la “Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni” e l’ha passata direttamente all’Assemblea Generale per l’approvazione. Erano quindici anni che si discuteva di come migliorarla. Non era stata migliorata, ma è passata lo stesso così. Dovremmo, quindi, cercare di creare degli standard giuridici per fare in modo che gli indigeni vengano protetti prima di tutto dai governi, che non li riconoscono, e poi, in generale, da tutto il mondo, che dovrebbe riconoscere l’importanza di queste culture, che potrebbero sicuramente insegnarci moltissime cose.

 

“Chiedo ai Governanti in nome della Chiesa – diceva Giovanni Paolo II, durante l’Incontro con i popoli indigeni in Guatemala, nel 1983 – una legislazione che vi protegga efficacemente dagli abusi e vi offra l’ambiente e i mezzi adeguati per il vostro normale sviluppo. Che nessuno, per nessun motivo, disprezzi la vostra esistenza”.

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LA CHIESA RICORDA OGGI SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE,

AL SECOLO EDITH STEIN, VERGINE E MARTIRE, PATRONA D’EUROPA

 

Oggi la Chiesa, come ha ricordato il Papa all’udienza generale, celebra la memoria liturgica di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, Patrona d’Europa insieme a Santa Brigida e Santa Caterina da Siena. Ebrea tedesca, filosofa, carmelitana, è morta martire nel Campo di concentramento nazista di Auschwitz nell’agosto del 1942: non aveva ancora 51 anni. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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(musica)

 

Edith Stein nasce a Breslavia nel 1891 da genitori ebrei. A 14 anni abbandona la religione della famiglia: è agnostica, vuole cercare la verità con la ragione e lo studio. Diventa assistente del filosofo Husserl all’università di Friburgo: segue l’indirizzo fenomenologico del suo maestro. Un metodo che cerca di percorrere la strada oggettiva della verità liberando l’uomo da ogni pregiudizio. Edith entra in crisi: quel metodo non la soddisfa né la convince.  Un giorno prende casualmente dalla biblioteca l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila. La legge d’un fiato. Alla fine esclama: “questa è la verità”. E’ il 1921: Edith Stein, a 30 anni, si converte al cattolicesimo: lei, che da filosofa aveva cercato a lungo la verità, scopre che questa non è un’idea o un concetto, ma una persona, Cristo. “Dio è la verità – afferma - chi cerca la verità, cerca Dio, che ne sia cosciente o no". Verità che coincide con un amore senza riduzioni: il prossimo che devo amare – sottolinea - “non è quello che mi va, ma quello che mi passa accanto”.  La sua conversione reca un dolore immenso alla madre. Di lì a poco anche la sorella Rosa la seguirà sulla via di Cristo. Si fa carmelitana con il nome di Teresa Benedetta della Croce: “più uno vive raccolto in Dio – scrive - più irradia luce su tutti”. In Germania imperversa il nazismo e la persecuzione anti-ebraica. Lascia il suo Paese per recarsi in un convento carmelitano in Olanda con la sorella. Nel 1942 i vescovi olandesi denunciano in un documento la persecuzione antisemita. La rappresaglia nazista è immediata: i cattolici di origine ebrea in Olanda vengono deportati, comprese le due sorelle Stein: Edith rifiuta una proposta di fuga e dice a Rosa: “Vieni, andiamo per il nostro popolo”. Si sente figlia d’Israele e vuole condividere fino in fondo il suo destino.  Per lei appartenere al popolo ebraico è essenziale: “significa – afferma -  appartenere a Cristo non solo con lo spirito, ma con il sangue".  Muoiono entrambe ad Auschwitz il 9 agosto 1942. “Più si fa buio intorno a noi – dice - più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’Alto”. E’ la Croce “l’unica speranza”:

 

(musica)

 

“Il mondo è in fiamme: la lotta tra Cristo e anticristo si è accanita apertamente, perciò se ti decidi per Cristo può esserti chiesto anche il sacrificio della vita. Contempla il Signore che pende davanti a te sul legno, perché è stato obbediente fino alla morte di Croce … Attraverso la potenza della Croce puoi essere presente su tutti i luoghi del dolore, dovunque ti porta la tua compassionevole carità… La Croce è la via che dalla terra conduce al cielo. Chi l'abbraccia con fede, amore, speranza viene portato in alto, fino al seno della Trinità … Ave Croce, unica speranza!”

 

(musica)

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NON DIMENTICARE NAGASAKI: 61 ANNI FA L’ATTACCO ATOMICO

 CHE DISTRUSSE LA CITTA’ GIAPPONESE,

TRAGICO EPILOGO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

- Ai nostri microfoni, Ernesto Olivero -

 

Il tragico epilogo del conflitto più sanguinoso della storia dell’umanità: 61 anni fa, veniva rasa al suolo la città giapponese di Nagasaki, simbolo assieme ad Hiroshima dell’olocausto nucleare. Nel bombardamento americano morirono, all’istante, almeno 40 mila persone, mentre un numero imprecisato perse la vita negli anni successivi a causa delle radiazioni. La Chiesa giapponese commemora l’anniversario con una fiaccolata dalla Cattedrale al Parco della Pace e con una Messa presieduta da mons. Joseph Mitsuaki Takami, arcivescovo di Nagasaki. Per una riflessione sull’attualità di questo anniversario, che riguarda tutta l’umanità e non solo il Giappone, Alessandro Gisotti ha intervistato Ernesto Olivero, fondatore del Sermig – Arsenale della Pace:

 

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R. – Solo la pace porta la pace. Noi siamo accecati dall’odio. Siamo pieni di esempi come Nagasaki e a me pare che viviamo un tempo in cui pochi si chiedono: “Perché?” Basterebbe vedere i guai che hanno fatto le armi per dire: “Perché le dobbiamo costruire?”

 

D. – Nagasaki è stato il tragico epilogo del conflitto più sanguinoso della storia, una guerra che ha mietuto soprattutto vittime civili e, purtroppo, vediamo, è cronaca di questi giorni, che l’uomo non ha appreso niente, in fondo…

 

R. – Io credo che noi che lavoriamo per la pace dobbiamo smettere di essere pacifisti, ed essere invece pacificatori! Dobbiamo smettere di enunciare, ma crederci veramente. Ai giovani che arrivano all’Arsenale della Pace noi diciamo sempre che per essere veramente operatori di pace bisogna consumare meno acqua, meno cibo, perché c’è tantissima gente che muore per mancanza di cibo e mancanza di acqua. Come Chiesa dobbiamo crederci veramente, di modo che la Chiesa diventi il punto di riferimento nel mondo contro la fame e contro la guerra.

 

D. – Nella Pacem in Terris di Giovanni XXIII è molto chiaro al Papa questo pericolo di annichilimento, per cui dopo l’inizio dell’era nucleare con Hiroshima e Nagasaki non è più possibile - “Alienum est a ratione” – è assolutamente inconcepibile la guerra…

 

R. – Certo, io sono pienamente d’accordo con questo, e sono pienamente d’accordo con Benedetto XVI, con l’Enciclica Deus Caritas est. Oggi potrebbe essere il tempo dell’amore. Noi Chiesa dovremmo essere i maestri dell’amore, i maestri che sono costantemente allievi, che possono indicare al mondo una via. Perché noi ci crediamo veramente! Con Papa Benedetto abbiamo una possibilità in più di chiarezza per dire al mondo: “E’ possibile vivere insieme, però dobbiamo imboccare la strada dell’amore, la strada del disarmo, la strada degli enti come l’ONU, perché facciano finalmente il loro dovere”. Io penso veramente, con molta speranza, che questo tempo difficilissimo possa offire una grande opportunità d’amore.

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IL ROSSINI OPERA FESTIVAL DI PESARO

RENDE OMAGGIO A MOZART NEL 250.MO ANNIVERSARIO DELLA SUA NASCITA

- Intervista con Giovanni Agostinucci -

 

Il Rossini Opera Festival rende omaggio a Mozart in occasione del 250° anniversario della nascita proponendo un dramma sacro, L’obbligo del primo comandamento, affiancato alla farsa rossiniana La cambiale di matrimonio: un dittico interessante messo in scena ieri sera in un nuovo, imponente spazio teatrale ricavato nel palazzetto dello sport di Pesaro. Sul podio, per entrambi gli allestimenti, Umberto Benedetti Michelangeli e una buona compagnia di canto. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

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“Lascia che i sogni siano sogni”: sono le parole sussurrate dallo Spirito mondano per tentare il Cristiano tiepido. “Dedicati a voluttà – prosegue – anziché alle virtù”. Ma ecco scendere in campo lo Spirito cristiano, in costume da crociato, affiancato da Misericordia e Giustizia, nobili e immacolate: una formale contesa si scatena per conquistare l’anima del fedele dubbioso che alla fine, costretto a rientrare nel mondo, inizierà il buon combattimento della fede. Soggetto ostico per un’opera musicale? L’undicenne Mozart non lo pensava certo, nella Salisburgo del 1767, quando ricevette l’incarico dall’Arcivescovo Colloredo di comporre un breve “dramma sacro” su testo tedesco per il periodo della Quaresima, di argomento edificante, come all'epoca si usava. Ecco allora la fantasia di un piccolo genio, già navigato nell’arte musicale, scrivere L’obbligo del primo comandamento, cinque figure allegoriche che si dividono sette arie convenzionali e un terzetto, cui è seguita l’esecuzione della farsa rossiniana, La cambiale di matrimonio, scritta nel 1810 da un Gioachino anch’egli giovanissimo, appena diciottenne. Pur nell’evidente diversità di stili e contenuti, l’operazione risulta di indubbia qualità culturale, anche per il tentativo di teatralizzazione, non facile, del lavoro mozartiano, firmato da Giovanni Agostinucci in veste di regista, al quale abbiamo chiesto quale tipo di spettacolo ha ideato per raccontare una storia fatta di tentazioni e di sottili ragionamenti etici e teologici:

 

“Ho deciso di rappresentare quest’opera in un luogo sacro, come se fosse un lato di una grande chiesa abbandonato, e questi profani per divertirsi entrassero dentro, venissero da una festa. La scelta stilistica, di regia, che ho voluto dare a quest’opera è il grande confronto che c’è tra spirito cristiano e spirito mondano; portare il non credente ad avere la fede e a vedere la luce. Quindi, c’è tutto un combattimento fra questi due spiriti, dove però lo spirito cristiano io lo rappresento come un crociato, come un combattente per la fede, e lo spirito mondano è una figura allegorica che interviene e fa le sue azioni. All’ultimo vincerà lo spirito cristiano, tramite le due figure allegoriche, Giustizia e Misericordia. Lo spirito cristiano rappresenta la fede, la forza, e riesce a vincere”.

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CHIESA E SOCIETA’

9 agosto 2006

 

 

INDONESIA: LEADER RELIGIOSI FIRMANO UN DOCUMENTO IN CUI CONDANNANO

 LE INCURSIONI ISRAELIANE IN LIBANO E LANCIANO UN APPELLO DI PACE

 

JAKARTA. = Cento capi religiosi ed esponenti di organizzazioni non governative, insieme a fedeli di diverse confessioni, hanno manifestato pacificamente a Jakarta, in Indonesia, contro le incursioni israeliane in Libano. I leader religiosi, scrive l’agenzia MISNA, hanno firmato un documento nel quale condannano “severamente i bombardamenti israeliani che hanno ucciso donne e bambini, e distrutto luoghi di culto”. La dichiarazione include un appello particolare rivolto al mondo intero ad “unirsi nella promozione di una vera pace in Medio Oriente” ed invita ad aiutare le persone ferite e a pregare per le vittime. “È giunto per noi il momento di unirci al mondo intero per combattere il crimine contro l’umanità”, ha detto padre Benny Susetyo, segretario della commissione interreligiosa della Conferenza episcopale indonesiana, che ha sottolineato l’opposizione della chiesa alla guerra perché “fa vittime solo tra le persone innocenti”. Hanno aderito alla dichiarazione – di cui una copia è stata consegnata ad un rappresentante delle Nazioni Unite – diversi leader musulmani, confuciani, indù, ortodossi e buddisti. (T.C.)

 

 

LE AUTORITÀ DELLE ISOLE SULAWESI CENTRALI, IN INDONESIA,

 HANNO EMESSO L’ORDINE PER L’ESECUZIONE DEI TRE CRISTIANI

CONDANNATI A MORTE COME RESPONSABILI DEGLI SCONTRI INTERRELIGIOSI

 NEL 2000 A POSO. SARANNO FUCILATI SABATO

 

PALU. = L’ufficio del pubblico ministero delle Isole Sulawesi centrali, in Indonesia, ha emesso l’ordine e dato l’annuncio ufficiale per l’esecuzione dei tre cattolici condannati a morte come responsabili del massacro di 200 musulmani a Poso, durante gli scontri interreligiosi del 2000. Fabianus Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwa, riferisce l’agenzia Asianews, si presenteranno davanti al plotone che li fucilerà, a Palu, il 12 agosto, quindici minuti dopo la mezzanotte. Il figlio maggiore di Fabianus Tibo, Robert, 29 anni, ha ricevuto una lettera dall’ufficio del procuratore di Palu, recapitata tramite un rappresentante di spicco della comunità cristiana locale, il reverendo Rinaldy Damanik, presidente delle Chiese del Sinodo di Sulawesi centrali. “Il sacerdote - dice Robert Tibo – ha inviato la lettera a un prete cattolico a Tentena, dove mi sono recato per ritirarla”. Stando alle dichiarazioni del reverendo Damanik, le autorità hanno chiesto a lui di riferire ai familiari dei detenuti il messaggio “per motivi psicologici”. La legge indonesiana prevede che l’ufficio del pubblico ministero locale comunichi data e ora dell’esecuzione solo alla famiglia del condannato o ai suoi avvocati. Risulta dunque fuori norma la modalità con cui la notizia è stata riferita ai parenti dei tre cattolici. Dal canto loro, le famiglie Tibo, da Silva e Riwa, continuano ad opporsi a quella che ritengono una “condanna ingiusta” e rifiutano di firmare la lettera di avvenuta consegna. Respingono inoltre l’esecuzione poiché dal processo non è emerso in modo chiaro il presunto coinvolgimento di Fabianus, Dominggus e Marinus nel conflitto di Poso. “Siamo addolorati di apprendere – spiega Robert Tibo – che tutte le nuove prove legali, fornite dal gruppo di avvocati del Padma, non siano state prese in seria considerazione da giudici e governo”. Negli ultimi mesi pare sia stata valutata la possibilità di un’amnistia per le persone coinvolte nelle violenze tra cristiani e musulmani a Poso dal 1998 al 2001. Ma sembra che i nomi di Fabianus Tibo, Dominggus da Silva e Marinus Riwa siano sempre rimasti fuori dalla lista di chi dovrebbe beneficiare del provvedimento. (T.C.)

 

 

LA CARITAS INTERNATIONALIS CONDANNA L’UCCISIONE

DEI 17 OPERATORI UMANITARI NELLO SRI LANKA E IL MANCATO RISPETTO

 DEI PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA LEGGE UMANITARIA INTERNAZIONALE

NEI PAESI OGGI MARTORIATI DA GUERRE E VIOLENZE

 

ROMA. = “Tristezza e rabbia”. Con queste parole la Caritas Internationalis ha condannato ieri, in un comunicato stampa, l’uccisione, nello Sri Lanka, dei 17 operatori umanitari tamil da parte di gruppi armati. Tutte le persone uccise lavoravano per la “Action contre la faim”, (ACF). Lo Sri Lanka è attualmente teatro di scontri fra esercito governativo e ribelli separatisti delle Tigri. Il presidente dell’organizzazione cattolica Denis Viènot, riferisce l’agenzia Asianews, ha inviato messaggi di cordoglio alle famiglie delle vittime assicurando loro preghiere come pure per tutti coloro che oggi soffrono a causa della violenza in Medio Oriente, Darfur e altri Paesi. Lo scorso aprile la stessa Caritas ha subito l’uccisione di due suoi operatori che lavoravano in programmi post-tsunami nella penisola di Jaffna, in seguito all’esplosione di una mina anti-carro. Il crescente numero di morti tra gli operatori umanitari ha spinto ora la Caritas a chiedere alla comunità internazionale “di fare di più per assicurare che tutte le parti coinvolte in conflitti armati rispondano agli obblighi previsti dalla legge umanitaria internazionale sulla protezione dei civili e l’accesso ai soccorsi”. Commentando gli eventi degli ultimi giorni, il segretario generale della Caritas Internationalis Duncan Mac Laren ha evidenziato che i recenti omicidi sono frutto di unmancato rispetto’ dei fondamentali principi della legge umanitaria internazionale. (A.Gr.)

 

 

DIVENTARE COSTRUTTORI DI PACE ALLA SCUOLA DI SAN FRANCESCO. È L’OBIETTIVO DEGLI OLTRE 600 GIOVANI RIUNITI AD ASSISI IN QUESTI GIORNI PER IL IV MEETING INTERNAZIONALE FRANCESCANO.

OGGI A ROMA UNA DELEGAZIONE ALL’UDIENZA DEL PAPA

 

ASSISI. = I partecipanti al quarto meeting internazionale “Giovani verso Assisi” hanno fatto tappa oggi a Roma per prendere parte all’udienza generale del Papa. Riuniti in questi giorni ad Assisi, in Umbria, per riflettere sul messaggio di pace di San Francesco, gli oltre 600 giovani provenienti da 28 Paesi sono stati radunati dal Centro nazionale unitario di pastorale giovanile e vocazionale dei frati minori conventuali. Domenica sono stati accolti dal custode del Sacro Convento, padre Vincenzo Coli. La giornata di oggi prevede riflessioni sul tema “Francesco uomo ecclesiale”, un tema che i giovani hanno voluto approfondire facendo propri i ripetuti appelli di Benedetto XVI per la pace in Medio Oriente. “La pace di Francesco d’Assisi è Cristo – ha detto padre Giuseppe De Stefano coordinatore del meeting – e non esiste pace per Francesco al di fuori di Cristo”. A preparare i giovani all’incontro di oggi con il Papa è stato il vescovo di Palestrina, Domenico Segalini, che ai giovani ha voluto ricordare quanto ogni ricerca cristiana che non approda ad una comunità sia vana facendo ritorcere l’uomo su se stesso e creandogli la tortura della solitudine. “Molti uomini hanno tentato di fare da soli – ha spiegato il presule – ma si sono costruiti degli idoli. Il cristiano sa che Dio si fa vedere nella comunità”. Sapere di dover approdare ad una comunità o fare i conti con questa dà una certezza della vita altrimenti impossibile - spiega mons. Sigalini - il futuro è un cammino tra fratelli che sorregge, stempera le forzature, mette a confronto. La giornata di domani sarà dedicata alla riconciliazione, mentre venerdì si svolgerà il ritiro alla Verna. Domenica, infine, avverrà la consegna agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede di una “lettera di pace” che i giovani di Assisi rivolgono ai capi delle nazioni. (T.C.)

 

 

CON 5,7 MILIONI DI SIEROPOSITIVI L’INDIA È IL PAESE CON IL NUMERO PIÙ ELEVATO

DI PERSONE CONTAGIATE DAL VIRUS HIV. A RIVELARLO È UNO STUDIO DELL’ONU

 

ROMA. = L’India è il Paese con il più alto numero di sieropositivi: se ne contano 5,7 milioni. Stando a uno studio pubblicato dall’agenzia dell’ONU UNAIDS, l’India occupa attualmente il primo posto nella graduatoria mondiale dei Paesi con il più alto tasso di persone contagiate dal virus HIV. Secondo il quotidiano Times of India, rischia di essere colpita da un’epidemia di AIDS che nei prossimi 20 anni potrebbe uccidere 11 milioni di persone. Le autorità indiane hanno rifiutato i dati dell’UNAIDS e continuano a parlare di 5,2 milioni tra sieropositivi e malati di Aids. Il governo, però, ha annunciato oggi un piano per effettuare una campagna di informazione contro il contagio nelle campagne, dove vive oltre il 60 per cento della popolazione. Fino all’inizio di quest'anno - osserva il rapporto - a contare il maggior numero di sieropositivi era il Sudafrica. (T.C.)

 

 

IN CINA SEI PERSONE SONO MORTE DOPO AVER ASSUNTO UN ANTIBIOTICO.

PIÙ DI 80 HANNO MANIFESTATO MALORI CAUSATI DAL FARMACO.

SOTTO ACCUSA L’AUTORITÀ SANITARIA CHE HA TARDATO A DIFFONDERE LA NOTIZIA

 

PECHINO.= Un antibiotico killer ha ucciso in Cina 6 persone mentre altre 80 sono state colpite da malori. Il farmaco, scrive l’agenzia AsiaNews, è stato vietato dall’autorità locale soltanto da pochi giorni, ma non sono state chiarite le cause dei suoi effetti mortali. Sotto inchiesta è finita l’Amministrazione statale per gli alimenti e le medicine, l’ASEM, accusata di aver tardato a diffondere la notizia della pericolosità dell’antibiotico. Zhang Jixiang, portavoce dell’ASEM, avrebbe risposto che le notizie sui farmaci vanno rese in linea con accertamenti seri e scientifici. Solo il 7 agosto il ministro della Sanità cinese ha diramato la descrizione dei possibili sintomi negativi per l’assunzione del farmaco. La ditta Anhui Huayuan Worldbest Biology Pharmacy,, che produce il medicinale afferma di averne ritirato 760 mila confezioni. Decine i pazienti che dopo l’assunzione del farmaco hanno manifestato vomito, diarrea e dolori al petto. (A.Gr.)

 

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24 ORE NEL MONDO

9 agosto 2006

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

           

Tre civili iracheni sono stati uccisi nella parte ovest di Baghdad, mentre i corpi di cinque persone assassinate sono stati scoperti nelle vicinanze della capitale. Sempre oggi un elicottero con soldati americani è precipitato in Iraq, nella regione occidentale di Anbar. Secondo prime informazioni, vi sono quattro feriti e due membri dell'equipaggio dispersi. Intanto, viene reso noto che oltre 1.800 cadaveri  sono stati trasportati nell'obitorio di Baghdad nel solo mese di luglio: si tratta del numero  più alto da quando nel febbraio scorso un attentato esplosivo  contro un mausoleo sciita a Samarra ha alimentato una nuova  ondata di violenze che continua a  insanguinare l'Iraq. Per far fronte a un numero quotidiano di attacchi in crescita, di recente gli Stati Uniti hanno annunciato lo spostamento di migliaia di militari Usa da diverse parti dell'Iraq alla capitale.

 

Ancora morte in Afghanistan: dodici guerriglieri hanno perso la vita e due soldati americani sono rimasti feriti nella provincia del Nuristan, nel nord-est del Paese, per lo scontro a fuoco provocato dai guerriglieri. Nella provincia di Helmand, invece, una donna e suo figlio sono stati uccisi da guerriglieri taleban, che li avevano accusati di essere spie al servizio delle truppe straniere in Afghanistan. I taleban uccidono i civili che rifiutano di dare ai loro guerriglieri rifugio e cibo. 

 

Cinque persone sono morte in Sri Lanka nell'attacco contro l'ambulanza sulla quale viaggiavano. Lo riferisce il sito dei ribelli Tamil, Tamilnet, aggiungendo che un reparto speciale dell'esercito dello Sri Lanka avrebbe attaccato l'ambulanza. Le vittime sono un dottore, sua moglie, due infermiere e l'autista di una ambulanza dell'ospedale Nedunkerni. L'attacco è avvenuto a Pandarakulam, nel nordest del Paese. Da parte sua, il comando cingalese ha detto di non sapere nulla dell'episodio. Ma perché in questi giorni è riesploso violento il conflitto in Sri Lanka? Giada Aquilino lo ha chiesto al prof. Emilio Asti, docente di Cultura orientale all’Università Cattolica di Milano:

 

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R. – Anche se il conflitto etnico tra tamil e i cingalesi era caduto nell’oblio, rimane tuttora una questione aperta. Alcune voci parlano anche di dissidi anche all’interno del movimento delle Tigri tamil. Ci sarebbe una fazione tamil favorevole alla ripresa della lotta armata, e purtroppo la pace rimane ancora un sogno lontano …

 

D. – Quali sono le condizioni di vita della popolazione civile in Sri Lanka?

 

R. – La parte settentrionale è ancora in preda di grossi problemi economici e sociali e penso che attraverso negoziati ragionevoli si possa trovare un’intesa tra tamil e cingalesi. Credo che l’intervento della Norvegia e di altri Paesi possa dare un contributo importante alla soluzione del conflitto.

 

D. – Ma ci sono ragioni storiche per queste divergenze e violenze tra cingalesi e tamil?

 

R. – Sì. Il conflitto etnico è iniziato nel 1983, però già in passato la convivenza tra la popolazione tamil, stanziata nelle aree settentrionali e orientali, e i cingalesi che costituiscono la maggioranza della popolazione, è stata difficile. Inoltre, i tamil sono stati molte volte appoggiati anche dai tamil che vivono nello Stato indiano del Tamil-Nadu e l’India era anche intervenuta nel conflitto etnico, nel 1987, con l’invio di una forza di pace che però non era riuscita nel suo compito. Io penso che sia importante anche il ruolo della comunità tamil all’estero: questa comunità può far sentire la sua voce e attivarsi per porre termine al conflitto. Ricordiamoci che ci sono molte comunità tamil in Australia, in Canada, in tutta l’Europa occidentale e loro possono darsi da fare per suggerire una soluzione al conflitto.

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In Messico comincia oggi l’operazione del riconteggio dei voti relativi a 11.839 seggi.  Si riapre dunque la battaglia elettorale tra Calderon e Lopez, dopo le elezioni del 2 luglio e la Chiesa invita tutti a rispettare la legge e a lavorare per la riconciliazione, il dialogo e l’intesa. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Il Tribunale elettorale del potere giudiziario della Federazione (TEPJF) autorizza il conteggio non di tutti i voti del 2 luglio, come aveva chiesto il candidato del Partito della rivoluzione democratica (PRD), López Obrador, ma solo del 9%. Ma questo basta per riaprire in sede amministrativa la corsa per la conquista della presidenza messicana. In discussione sono i voti di 11.839 seggi di 149 distretti (la metà dei 300 esistenti) e dunque la differenza dello 0,58% (poco più di 243 mila voti) esistente fra i due candidati potrebbe annullarsi o ribaltarsi. In esame sono 4 grandi regioni - Jalisco, Baja California, Tamaulipas e Veracruz - tutte legate al partito di Felipe Calderón. 

 

C’è da dire che, nella sentenza, il Tribunale è molto critico con i responsabili dei 300 distretti elettorali, ma soprattutto con l'Istituto federale elettorale (IFE), organismo statale che avrebbe dovuto essere garante della correttezza delle operazioni di voto. Intanto, decine di migliaia di militanti della sinistra sono nelle strade: oltre a mantenere bloccati la storica piazza dello Zocalo, nel centro della capitale, ed il Paseo de la Reforma, i militanti hanno deciso di attuare un “marcamento personale” del presidente uscente, Vicente Fox, e di concentrare un gran numero di militanti davanti alla sede del Tribunale. L’operazione di riconteggio durerà cinque giorni. Per quanto riguarda la posizione della Chiesa cattolica, ricordiamo che lo scorso 20 luglio i vescovi del Messico avevano convocato una Settimana di preghiera (31 luglio - domenica 6 agosto) per implorare da Dio pace, dialogo e riconciliazione. Ora, la Conferenza episcopale, con un documento a firma del presidente e del segretario del Comitato di presidenza e dei due cardinali Rivera Carrera e Sandoval Íñiguez si affida al verdetto del Tribunale elettorale, sottolineando che l’istituzione “gode di una meritata reputazione d’imparzialità e autonomia e, dunque, consente di attendere la sua sentenza con fiducia”.

 

“Il Messico – si legge nel documento - è sempre di più un Paese pluralista, nel quale raggiungere una convivenza pacifica e rispettosa. Inoltre, i vescovi sottolineano che “se in una famiglia sono legittime le differenze e le divergenze, non è concepibile l’odio e meno ancora la violenza, da condannare sempre”.  E c’è poi l’invito “a lavorare di più per sradicare la corruzione, l’ignoranza e le profonde disuguaglianze sociali. La Chiesa cattolica, in definitiva, chiede a tutti di rispettare la legge e di lavorare per la riconciliazione, il dialogo e l’intesa; lancia un accorato appello alla serenità, alla tolleranza e alla moderazione; esige dalle autorità di agire nella verità e nella giustizia e chiede alle forze politiche di comportarsi con “maturità, generosità e onestà”.

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Due lavoratori norvegesi e due ucraini sono stati rapiti in Nigeria da sconosciuti mentre si trovavano su una nave di rifornimento davanti alla costa. Lo ha comunicato oggi il governo norvegese. La Compagnia, che ha confermato l'accaduto, ha riferito di non aver avuto alcuna richiesta di riscatto. La regione del delta del delta del Niger è la principale zona di estrazione del petrolio della Nigeria. Le compagnie petrolifere che vi operano sono spesso soggette ad attacchi di miliziani armati, che chiedono risarcimenti per i danni ambientali causati dalle trivellazioni e una più equa redistribuzione dei proventi.

 

Il petrolio rimane sopra quota 76 dollari nelle quotazioni after hours di New York. Il prezzo del barile è salito di appena 2 centesimi rispetto alla chiusura di ieri arrivando a 76,33 dollari. Il greggio ha rallentato la sua corsa per la convinzione, diffusa tra gli operatori del mercato, che le scorte americane saranno sufficienti a coprire il fabbisogno del Paese, nonostante l'interruzione dell'attività nel giacimento BP in Alaska.

 

Ci sono segnali di un superamento della crisi missilistica nordcoreana: entro la fine della settimana è stato programmato un incontro per la ripresa di alcuni aiuti umanitari di Seul a Pyongyang. Lo indica oggi l'agenzia sudcoreana Yonhap, precisando che l'incontro si svolgerà fra il ministro per l'Unificazione, Lee Jongseok, e il direttore della Croce Rossa nordcoreana, Han Wansang. L'assistenza umanitaria di Seul a Pyongyang era stata sospesa dopo una serie di esperimenti missilistici compiuti dalla Corea del Nord il 5 luglio e condannati dall'ONU. Nei giorni scorsi, la Corea del Nord è stata colpita da gravi inondazioni, che avrebbero fatto centinaia di morti e avrebbero ulteriormente aggravato la situazione economica del Paese. Pyongyang ha ufficialmente rifiutato qualsiasi offerta di aiuto, ma l'incontro preannunciato oggi potrebbe indicare l'inizio di un disgelo.

 

 

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