RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 220  - Testo della trasmissione di martedì 8 agosto 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Nella memoria odierna di San Domenico, insigne predicatore del Vangelo, guardiamo al magistero di Benedetto XVI centrato sulla verità nella carità

 

Oggi in Olanda, nella cattedrale di Utrecht, il cardinale Walter Kasper ha presieduto le esequie del cardinale Johannes Willebrands, ricordando che fu un grande promotore dell’unità dei cristiani e del dialogo con gli ebrei

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il ministro degli Esteri tedesco annuncia una possibile intesa all’ONU per la cessazione delle ostilità in Libano. Dal Paese dei Cedri, la testimonianza di padre Samuele, missionario francescano ad Harissa

 

Il futuro status della provincia serba del Kosovo è al centro dei colloqui fra i vertici di Belgrado e di Pristina, in corso da ieri a Vienna: ce ne parla Federico Eichberg

 

In Italia, dopo il voto sull’indulto, varato un piano per favorire il reinserimento lavorativo di circa 2000 ex detenuti: intervista con il ministro della giustizia, Clemente Mastella

 

CHIESA E SOCIETA’:

Negli ultimi tre anni praticamente dimezzata la presenza dei cristiani in Iraq. Violenza e mancanza di sicurezza hanno indotto circa 700 mila persone a lasciare la loro terra

 

Aiutare i giovani nel loro cammino di fede e promuovere programmi perché possano diventare “portatori di speranza”: sono alcune delle proposte emerse alla conclusione, la scorsa settimana, della IV Giornata asiatica della gioventù

 

A Multan, in Pakistan, un’industria di fertilizzanti ha demolito una chiesa per ampliare i propri stabilimenti. Forti le proteste della comunità cristiana

 

50 anni fa a Marcinelle, in Belgio, la tragedia nella miniera di carbone in cui persero la vita 262 persone, di cui la maggior parte italiani  

 

Un programma per i messicani immigrati negli USA consentirà il rientro in patria a migliaia di persone. Circa 5 mila quanti hanno chiesto di poterne beneficiare

 

24 ORE NEL MONDO:

Almeno 20 morti nella capitale irachena, per una serie di diversi attacchi

 

Nessuna novità sull’italiana rapita ad Haiti, dopo l’uccisione del marito

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 agosto 2006

 

 

NELLA MEMORIA ODIERNA DI SAN DOMENICO, INSIGNE PREDICATORE DEL VANGELO,

IL MAGISTERO DI BENEDETTO XVI INCENTRATO SULLA VERITA’ NELLA CARITA’

 

E’ la figura di un grande Santo spagnolo, Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Frati predicatori, più conosciuti come Domenicani, ad essere al centro dell’odierna memoria liturgica della Chiesa. Di San Domenico - recitano le preghiere del giorno - si ricorda che fu un “insigne predicatore” della Verità di Dio, annunciata da Cristo. Un tema, quello della verità evangelica, da sempre prediletto dagli insegnamenti di Benedetto XVI. Il servizio di Alessandro De Carolis.   

 

**********

Non poteva immaginare, 29 anni fa, che il motto col quale intendeva accompagnare il proprio ministero di pastore sarebbe divenuto un giorno la bussola del proprio magistero pontificio. Nel marzo del 1977, il neo arcivescovo di Monaco e Frisinga, Joseph Ratzinger, sceglie come frase-guida del suo nuovo servizio, al quale lo ha chiamato Paolo VI, la celebre esortazione di Giovanni ad essere “cooperatores veritatis, cooperatori della verità, accanto agli Apostoli. Il pastore di anime e il brillante teologo che convivono in lui si modellano lungo gli anni attorno a questa imprescindibile esigenza di testimoniare la verità di Dio, che Cristo ha rivelato agli uomini.

 

Eletto Papa, questa esigenza si rafforza e assume per la Chiesa valenza universale. Benedetto XVI ha ben presente che proprio la figura del vescovo, come depositario della verità del Vangelo, ha bisogno di essere riscoperta da molti cristiani del 21.mo secolo. Così, l’udienza generale del mercoledì diventa un luogo e uno spazio privilegiati per “ricatechizzare” i fedeli sul rapporto che lega la Chiesa agli Apostoli e ai vescovi, che dei Dodici rappresentano la continuità. Durante l’udienza generale del 5 aprile di quest’anno, dunque, il Papa afferma: “La Chiesa dell’amore è anche la Chiesa della verità, intesa anzitutto come fedeltà al Vangelo, affidato dal Signore Gesù ai suoi. Ma la famiglia dei figli di Dio per vivere nell’unità e nella pace – ha osservato ancora il Papa - ha bisogno di chi la custodisca nella verità e la guidi con discernimento sapiente e autorevole. E’ ciò che fa il ministero degli apostoli”:  

 

“Il compito dei vescovi, dei successori degli apostoli, è in questo senso, anzitutto, un servizio di amore. E la carità che essi devono vivere e promuovere è, come detto, inseparabile dalla verità che custodiscono (…) E tutto questo, che vediamo nella Chiesa nascente, ci fa pregare per i successori degli apostoli, per tutti i vescovi e per i successori di Pietro, che siano realmente insieme, custodi della verità e della carità, che siano in questo senso realmente apostoli di Cristo e che la sua luce non si spenga mai nella Chiesa e nel mondo”.  

 

“La Chiesa dell’amore è anche la Chiesa della verità”. Un’affermazione che rivela un altro aspetto-cardine del magistero di Benedetto XVI: la centralità dell’amore di Dio nella vita della fede. Non a caso la sua prima enciclica è dedicata al tema di Dio-Amore, Deus caritas est. Ma in che modo la carità rientra nell’annuncio della verità? Benedetto XVI ne dà una spiegazione lo scorso 26 maggio, quando a  Czestochowa incontra i religiosi, seminaristi e rappresentanti dei Movimenti ecclesiali. “La sapienza evangelica (…) - osserva - va portata in modo maturo, non infantile e non aggressivo, nel mondo della cultura e del lavoro, nel mondo dei media e della politica, nel mondo della vita familiare e di quella sociale”.

 

Del resto, aveva affermato poche ore prima nella Messa presieduta a Varsavia, non solo vescovi e sacerdoti bensì “ogni cristiano è tenuto a confrontare continuamente le proprie convinzioni con i dettami del Vangelo e della Tradizione della Chiesa nell'impegno di rimanere fedele alla parola di Cristo, anche quando essa è esigente e umanamente difficile da comprendere. Non dobbiamo cadere – aggiunge tornando su un punto a lui molto caro - nella tentazione del relativismo o dell'interpretazione soggettivistica e selettiva delle Sacre Scritture. Solo la verità integra ci può aprire all'adesione a Cristo morto e risorto per la nostra salvezza”.

 

E al Convegno della diocesi di Roma su “La gioia della fede”, appena due mesi fa, Benedetto XVI invita esplicitamente tutte le vocazioni della Chiesa ad una “pastorale dell’intelligenza”, per un annuncio, specialmente ai giovani, incisivo e affascinante della verità cristiana:

 

“Nell’educazione delle nuove generazioni non dobbiamo dunque avere alcun timore di porre la verità della fede a confronto con le autentiche conquiste della conoscenza umana. I progressi della scienza sono oggi molto rapidi e non di rado vengono presentati come contrapposti alle affermazioni della fede, provocando confusione e rendendo più difficile l’accoglienza della verità cristiana”.

 

E dunque, conclude, la verità così annunciata colpisce tanto il cuore quanto la mente e fa percepire per intero la bellezza del cristianesimo:

 

“Il dialogo tra fede e ragione, se condotto con sincerità e rigore, offre la possibilità di percepire, in modo più efficace e convincente, la ragionevolezza della fede in Dio – non in un Dio qualsiasi ma in quel Dio che si è rivelato in Gesù Cristo – e altresì di mostrare che nello stesso Gesù Cristo si trova il compimento di ogni autentica aspirazione umana.

**********

 

 

OGGI IN OLANDA, NELLA CATTEDRALE DI UTRECHT, IL CARDINALE WALTER KASPER

HA PRESIEDUTO LE ESEQUIE DEL CARDINALE JOHANNES WILLEBRANDS,

RICORDANDO CHE FU UN GRANDE PROMOTORE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

E DEL DIALOGO CON GLI EBREI

 

Un uomo che volle incarnare la figura del buon pastore, che volle prendersi particolarmente cura delle persone affidategli dal Signore. Questo è stato il cardinale Johannes Willebrands: lo ha sottolineato stamattina, nella cattedrale di Utrecht, in Olanda, il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che ha celebrato i funerali del porporato scomparso il 2 agosto. Il cardinale Willebrands era un uomo assai aperto al dialogo; grande studioso, si interessò parecchio di John Henry Newmann nel quale trovò un maestro di cui volle seguire l’esempio. Profondo conoscitore degli insegnamenti del Concilio Vaticano II se ne fece promotore servendo soprattutto la causa della comunione dei fedeli. Il cardinale Kasper, nella sua omelia, ha ricordato il grande impegno del porporato per la promozione di rapporti di stima tra cristiani di diverse denominazioni, così come il suo spendersi senza riserve per far crescere il dialogo con la comunità ebraica. La sua, ha concluso il porporato, è stata una testimonianza fatta non di grandi parole, ma profondamente radicata nella preghiera quotidiana e in umili devozioni, particolarmente verso la Madre di Dio.

 

========ooo========

 

 

OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - Titolo di apertura: "Slitta ancora la decisione delle Nazioni Unite", rinviato il voto del Consiglio di Sicurezza sulla proposta di risoluzione presentata da Francia e Usa - Appoggio della Lega Araba alle richieste di Beirut. La furia della guerra miete ogni giorno nuove vittime: decine di civili uccisi nei raid aerei mentre non si arrestano gli attacchi missilistici degli Hezbollah. Campagna di vaccinazione dell'UNICEF contro morbillo e poliomielite.

 

Servizio vaticano - Haifa: secondo anniversario della morte di suor Tarcisia del SS.mo Sacramento e dello Spirito Santo. Eritrea: 25° anniversario della morte di suor Ghebregziabiher, delle Cappuccine di Madre Rubatto.

 

Servizio estero - Iraq: massacro al mercato di Shroja, due bombe esplodono a Baghdad causando dieci morti e 69 feriti. Belgio: 50 anni dalla morte di 262 minatori a Marcinelle. Sri Lanka: autobomba uccide due persone a Colombo.

 

Servizio culturale - A Trento la mostra di opere di Girolamo Romanino.

 

Servizio italiano - Ancora incidenti sul lavoro. A seguire, i temi del fisco, della Sanità e dell'immigrazione.

 

 

========ooo========

 

 

OGGI IN PRIMO PIANO

8 agosto 2006

 

 

SECONDO IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO

PRATICAMENTE E’ STATA RAGGIUNTA L’INTESA ALL’ONU

PER LA CESSAZIONE DELLE OSTILITÀ IN LIBANO.

DAL PAESE DEI CEDRI, LA TESTIMONIANZA DI PADRE SAMUELE,

MISSIONARIO FRANCESCANO AD HARISSA, NEL NORD DEL LIBANO

 

I membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU sembrano essersi messi d’accordo sul testo di una risoluzione sul conflitto tra Israele e guerriglieri Hezbollah. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri tedesco prima di partire in missione per il Medio Oriente. In Libano, intanto, nuovi attacchi israeliani hanno causato la morte di almeno 7 combattenti sciiti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

***********

Le bombe continuano a sconvolgere il sud del Libano e i razzi lanciati dai combattenti Hezbollah continuano ad arrivare nel nord di Israele. Fonti israeliane riferiscono che 7 guerriglieri sono rimasti uccisi durante scontri nel sud del Paese dei cedri. Almeno 40 razzi sono stati lanciati poi verso la Galilea, dove fortunatamente non si registra nessuna vittima. Oltre alle bombe, sono anche stati lanciati, nel sud del Libano, volantini per annunciare che l’esercito israeliano “colpirà qualsiasi veicolo sospettato di trasportare equipaggiamento militare”. L’esecutivo dello Stato ebraico ha poi reso noto di voler estendere le proprie operazioni se la diplomazia internazionale non riuscirà a fermare le azioni dei combattenti sciiti contro Israele. In Iran, l’ayatollah Ali Khamenei ha chiamato inoltre “tutta la comunità islamica a difendere gli Hezbollah”.

 

Nonostante questa nuova ondata di violenze e i proclami di Israele e Iran, sembrano comunque aprirsi, per il Medio Oriente, importanti spiragli di pace: il ministro degli Esteri tedesco, Frank Walter Steinmeier, ha detto, stamani, che sarebbe stato raggiunto un accordo, all’interno del Consiglio di sicurezza dell’ONU, sulla risoluzione per la fine delle ostilità. Prima di partire per la sua missione in Medio Oriente, il ministro tedesco ha anche spiegato che Israele e Libano devono accettare il dispiegamento di una forza internazionale lungo il confine. La Russia ha comunque precisato che non darà il suo sostegno ad una risoluzione che non sia condivisa dal Libano. In giornata, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite valuterà, inoltre, la bozza di risoluzione messa a punto da Francia e Stati Uniti, con gli emendamenti presentati da una delegazione della Lega araba. Segnali di apertura provengono anche da Israele, dove il premier Ehud Olmert ha definito “un passo interessante” la decisione annunciata ieri sera dal governo di Beirut di voler dislocare 15.000 soldati lungo il confine, dopo il ritiro israeliano. Il primo ministro ha anche ribadito che un dispiegamento delle forze armate libanesi nel sud deve essere appoggiato da una forza internazionale, per impedire che i guerriglieri Hezbollah tornino a minacciare lo Stato ebraico.

***********

 

E per una testimonianza sulla situazione in Libano, Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente padre Samuele, missionario ad Harissa, nel nord del Paese, dove si trova il convento dei francescani:

 

**********

R. – Dove mi trovo io, ora, c’è più sicurezza rispetto ad altre zone del Libano. Da qui, comunque, si vedono e si sentono i bombardamenti. Se ci spostiamo di sette chilometri, vediamo la guerra: vediamo ponti e case distrutte. Noi qui viviamo quasi ‘sicuri’, perché c’è la montagna della Madonna, che è un simbolo cristiano per tutto il Libano, e poi qui c’è anche la sede del Patriarcato.

 

D. – Come si avvicina, in questi giorni, la popolazione locale alla preghiera e alle attività della Chiesa?

 

R. – Certamente qui tutti stanno seguendo le indicazioni della Chiesa dalla quale si aspettano molto. In tutte le nostre chiese, quasi ogni giorno c’è l’adorazione del Santissimo, la Santa Messa. Molta gente viene in chiesa.

 

D. – Siamo abituati a vedere, in questi giorni, drammatiche scene di guerra. Ma ci sono anche immagini che possono far sperare nella pace?

 

R. – Scene che fanno sperare nella pace sono quelle che mostrano quanti si offrono spontaneamente per aiutare, nonostante la guerra e la gente che soffre. Sono molti, quelli che si offrono!

 

D. – E tra questi, ci sono anche cristiani?

 

R. – Sì, molti cristiani. Non soltanto con la preghiera, ma anche con i fatti. Ci sono famiglie che offrono da mangiare, la loro casa, le scuole e poi, tutti si sentono uniti. Non pensano più alla differenza tra musulmani e cristiani, non pensano più alla differenza tra un gruppo e l’altro …

 

D. – Padre, se avesse la possibilità di parlare con un soldato israeliano e con un guerrigliero Hezbollah, cosa gli direbbe?

 

R. – Gli direi: “Ricordati che hai una moglie, dei figli, hai una famiglia. Noi vediamo ogni giorno persone senza pane, senza tetto, senza casa … Vediamo bambini che soffrono, donne che gridano… Tutti sono impauriti! Ma tutti – ebrei, cristiani e musulmani - crediamo in un Dio. Tutti abbiamo lo stesso Dio e guardiamo alla Sua misericordia. Impariamo dalla Sua misericordia per essere anche noi misericordiosi!”.

**********

 

 

IL FUTURO STATUS DELLA PROVINCIA SERBA DEL KOSOVO

 È AL CENTRO DEI COLLOQUI FRA I VERTICI DI BELGRADO E DI PRISTINA,

 IN CORSO DA IERI A VIENNA

- Intervista con Federico Eichberg -

 

Il futuro status della provincia serba del Kosovo, attualmente amministrata dall’ONU, è al centro dei colloqui fra i vertici di Belgrado e di Pristina, in corso da ieri a Vienna. Il summit segue quello di fine luglio, in cui per la prima volta le parti si sono incontrate esternando le proprie posizioni. Da parte sua la delegazione governativa di alto livello giunta da Mosca ha affermato che la Russia  è contraria a soluzioni sul futuro status della provincia serba a maggioranza albanese del Kosovo che dovessero essere “imposte alla Serbia”. Il nodo resta sempre quello dell'indipendenza del Kosovo, rivendicata dagli albanesi ma osteggiata dai serbi. Ma cosa ci si può aspettare dai colloqui? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Federico Eichberg, esperto di questioni balcaniche:

 

**********

R. – Le posizioni sono inconciliabili rispetto all’obiettivo finale e non rispetto ai passi. Da un lato, abbiamo avuto il referendum del Montenegro, in cui la diplomazia serba ha mostrato molto realismo e molta apertura; dall’altro abbiamo in corso un forte negoziato riferito ai criminali di guerra, in cui ugualmente Belgrado deve giocare un ruolo importante. Se sappiamo leggere i negoziati del Kosovo in questo scenario, probabilmente la soluzione non è così lontana.

 

D. – Quale sarà l’atteggiamento delle Nazioni Unite?

 

R. – Da parte delle Nazioni Unite c’è una duplice visione: da un lato, c’è uno sbocco verso l’indipendenza abbastanza prossima, dall’altro, c’è molta più cautela, perché si vedono i rischi paventabili nel caso di una indipendenza prematura. Alla luce di questo fatto, le Nazioni Unite si sono poste una scadenza, che non per forza porterà all’indipendenza – a giudizio di chi parla – ma potrebbe portare a quel famoso less than full indipendence, che è sempre un giusto punto di incontro in questa fase.

 

D. – Qualcuno paventa conseguenze estreme fra Serbia e Kosovo, lei cosa pensa al riguardo?

 

R. – Su questo, a mio avviso, ci vuole molto realismo: le fazioni della leadership kosovare sono abbastanza frammentarie, sono incapaci di esprimere una linea comune. E, alla luce di questa frammentazione, ci sono vie negoziali, con cui una leadership finalmente autorevole di Belgrado può negoziare quel margine lasciato aperto dalle divisioni fra le fazioni kosovare. Così  si potrebbe  raggiungere un obiettivo molto realistico e che non urterebbe le sensibilità ancora presenti nell’opinione pubblica serba, ma al contempo lascerebbe  quel margine di sovranità, di parziale sovranità, di cui ha bisogno oggi la leadership kosovara per non uscire dal negoziato avendo perso la faccia.

 

 

D. – Questa situazione come può influenzare l’area balcanica, gli  altri Paesi della regione?

 

R. – Le conseguenze possono essere, nell’ambito di un clima complessivamente di maggior distensione, conseguenze positive. Se da Skopjie uscirà un governo - sembra nelle prossime settimane - con presenza albanese, se si va verso una completa distensione – come sembra – nei rapporti tra il neo-costituito Montenegro e la Serbia, nell’ambito di quei dossier che erano rimasti aperti dalle sedi diplomatiche fino alle Forze Armate, e se questi dossier verranno affrontati con reciproca comprensione, la crisi del Kosovo o meglio la soluzione della crisi del Kosovo sarà l’ennesimo tassello in una regione che va normalizzandosi.

 

D. – Qual è la posizione della Comunità Internazionale? Penso a Stati Uniti, Russia ed Unione Europea ….

 

R. – Qui c’è l’aspetto più interessante, secondo me. L’Unione Europea sta discutendo in questo ore – perché è stata chiamata in causa direttamente – se subentrare alla guida del contingente in loco per quanto riguarda la sicurezza del Kosovo. Da questo punto di vista, l’Unione Europea ha tutto l’interesse ad essere il più coinvolta possibile, perché ha l’aspetto – come dire - della leadership da affermare in un’area che vede nello sbocco dell’integrazione continentale il proprio naturale obiettivo. D’altro canto, Stati Uniti e Russia sanno che quello che sembrava l’obiettivo fino a qualche mese fa da perseguire, e cioè un Kosovo indipendente, ha in realtà una serie di controindicazioni che potrebbero far abbracciare una soluzione molto più realistica, che progressivamente porti ad una integrazione europea ed euroatlantica per la regione.

**********

 

IN ITALIA, DOPO IL VOTO SULL’INDULTO, VARATO UN PIANO PER

FAVORIRE IL REINSERIMENTO LAVORATIVO DI CIRCA 2000 EX DETENUTI

CHE HANNO BENEFICIATO DEL PROVVEDIMENTO

- Intervista con Clemente Mastella -

 

In Italia, piano congiunto del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, e del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, per favorire il reinserimento lavorativo di circa 2000 ex detenuti che hanno beneficiato dell’indulto. Ad oggi – ha spiegato il Guardasigilli - sono 11.964 gli ex detenuti che sono stati oggetto del provvedimento di clemenza approvato dal Parlamento lo scorso 29 luglio. Complessivamente, dell'atto di clemenza dovrebbero beneficiare 15.000 persone. Nessuna situazione di emergenza - ha assicurato il ministro Mastella - si è creata nel Paese a seguito della fuoriuscita dalle carceri degli ex detenuti che hanno beneficiato dell'indulto. Ma ascoltiamo lo stesso ministro della Giustizia, Clemente Mastella, intervistato da Stefano Leszczynski:

 

**********

R. – Io voglio ringraziare il ministero del Lavoro, perchè ha determinato una condizione per la quale con un piano di concertazione, che riguarda noi in parte e soprattutto loro, ha dato la possibilità a quasi duemila ex detenuti di poter avviarsi a realizzare un’aspettativa di vita, che è quella di essere inseriti a pieno titolo nel mondo del lavoro. Quindi, ci daranno congrui o discreti investimenti. Siamo nell’ordine dei 10 milioni di euro per quanto riguarda il ministero del Lavoro. Invece, per quanto riguarda il mio ministero, daremo 3 milioni di euro per coloro che operano nel volontariato, per gli enti locali, per i progetti che sono finalizzati al reinserimento dei detenuti.

 

D. – Quindi, un coinvolgimento della società civile, che pure ha partecipato tanto emotivamente a questo indulto…

 

R. – Guardi, io voglio ringraziare le associazioni di volontariato - da quelle cattoliche a quelle laiche - i miei collaboratori nel ministero, quelli che sono in giro, sparsi per l’Italia, gli stessi magistrati, alcuni dei quali sono tornati dalle ferie. Un ringraziamento a tutti loro per quello che stanno facendo. Certo, è una cosa un po’ delicata e difficile. Spero soltanto che gli ex detenuti siano responsabilmente compresi di questo senso di generosità che lo Stato ha fatto nei loro confronti.

 

D. – Un provvedimento che è stato molto apprezzato, ma che è stato anche la base di alcune polemiche, sia all’interno della maggioranza che con l’opposizione…

 

R. – Come ricorderà anche dall’appello che fece Giovanni Paolo II, ci si è mossi nella considerazione che lo Stato a volte appare infernale, quello del girone in cui si trovavano e si trovano tanti detenuti. Quindi, era giusto operare una deflazione umana, da questo punto di vista, e far uscire tantissime persone dal carcere per la semplice ragione che il carcere è invivibile. Certo, questo è un evento eccezionale e come tale va valutato. Dopo di che dovremo apportare strumenti adeguati sul piano normativo per realizzare condizioni per le quali ci siano pene alternative, ci sia una visione dei codici per i quali chi ruba una mela non sia considerato alla stregua di chi ammazza una persona. Si tratta, insomma, di lavorare da questo punto di vista in maniera molto seria e molto responsabile.    

**********   

 

=======ooo=======

 

 

CHIESA E SOCIETA’

8 agosto 2006

 

 

NEGLI ULTIMI TRE ANNI SI E’ PRATICAMENTE DIMEZZATA LA PRESENZA DEI CRISTIANI IN IRAQ. VIOLENZA E MANCANZA DI SICUREZZA HANNO INDOTTO CIRCA

700 MILA PERSONE A LASCIARE LA LORO TERRA

 

LONDRA. = Prosegue l’esodo dei cristiani dall’Iraq, dove la guerra civile continua a mietere le sue vittime quotidiane. A confermarlo nei giorni scorsi, alla sezione inglese dell’“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), è stato il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad Andreos Abouna. In questi tre anni, ha riferito il presule che tiene aggiornata l’organizzazione caritativa sull’evoluzione della situazione religiosa nel Paese, la popolazione cristiana si è praticamente dimezzata: da un milione e 200 mila fedeli (pari al 3 per cento della popolazione irachena) presente prima dell’inizio della guerra, nel 2003, si è oggi passati ad appena 600 mila. In particolare, i cattolici di rito caldeo, la comunità cristiana più numerosa in Iraq, sono oggi meno di 500 mila, contro gli 800 mila di tre anni fa. La maggior parte si riversa nei Paesi vicini: Turchia, Siria e Giordania. Secondo mons. Abouna, difficilmente queste persone potranno rientrare in patria. Anche se la comunità cristiana non è più esposta delle altre agli attentati e agli attacchi, essa si sente sempre più vulnerabile e insicura e chi può va via, lasciando indietro chi non ha i mezzi per farlo. Questi del resto sono i sentimenti prevalenti in tutta la popolazione irachena, esacerbata dalle violenze e dalla mancanza di sicurezza e di fiducia in un processo che doveva creare una nuova era di pace, democrazia e legalità. “La costituzione e gli sviluppi politici di questi ultimi 18 mesi - ha detto mons. Abouna - in concreto non hanno aiutato per nulla”. (L.Z. – T.C.)

 

 

AIUTARE I GIOVANI NEL LORO CAMMINO DI FEDE E PROMUOVERE PROGRAMMI

PERCHÈ POSSANO DIVENTARE “PORTATORI DI SPERANZA”:

SONO ALCUNE DELLE PROPOSTE EMERSE ALLA CONCLUSIONE, LA SCORSA SETTIMANA, DELLA IV GIORNATA ASIATICA DELLA GIOVENTÙ

 

HONG KONG. = Si è conclusa con una serie di propositi volti a sostenere i giovani la IV Giornata Asiatica della Gioventù che si è svolta la settimana scorsa ad Hong Kong, in Cina. Le proposte emerse durante l’incontro sono state raccolte in un documento che si articola in cinque punti: aiutare i giovani nel loro cammino di fede e preghiera; promuovere programmi perchè possano diventare “portatori di speranza” nelle proprie famiglie; sviluppare nelle parrocchie una pastorale giovanile che li stimoli a contribuire a rafforzare i legami familiari; sfruttare meglio Internet per orientare i giovani in cerca di “risposte”; semplificare gli insegnamenti sociali della Chiesa per renderli più accessibili alle nuove generazioni. La IV Giornata Asiatica della Gioventù è stata promossa dalla Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (Fabc). Circa 800 i giovani provenienti da  25 Paesi che si sono incontrati per discutere e scambiare esperienze sul tema “Gioventù, speranza delle famiglie dell’Asia”. Un argomento scelto in continuità con le conclusioni dell’8ª Plenaria della Federazione, celebrata nell’estate 2004 a Daejeon, in Corea, e dedicata appunto alla famiglia in Asia. L’evento è stato un’occasione per ribadire la particolare sollecitudine pastorale della Chiesa verso la famiglia quale cellula fondamentale della società e veicolo della Buona Novella. Ma al contempo ha voluto evidenziare - come si legge nel comunicato finale - le “potenzialità” dei giovani “fonte di speranza a sostegno delle loro famiglie”. Di fronte alle difficoltà e alle sfide che oggi insidiano l’Asia, tra cui globalizzazione, povertà, migrazioni, instabilità politica e degrado ambientale, essi potranno svolgere un importante ruolo – sottolinea in conclusione la dichiarazione - se si faranno crescere bene “i semi della loro fede”. (T.C. - L.Z.)

 

 

PAKISTAN: UN’INDUSTRIA DI FERTILIZZANTI HA DEMOLITO A MULTAN UNA CHIESA PER AMPLIARE I PROPRI STABILIMENTI. FORTI LE PROTESTE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

 

MULTAN. = Circa 150 cristiani di Multan, in Pakistan, hanno protestato contro la demolizione di una chiesa da parte dell’industria di fertilizzanti Pak-Arab Fertilizers Limited. I dimostranti, riferisce l’agenzia Asianews, hanno bloccato la strada di Multan-Lahore per alcune ore e invocato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria in merito. Contro la compagnia di fertilizzanti si è schierato anche il parroco della chiesa distrutta, padre Yaqoob Masih, che ha chiesto l’intervento del presidente Pervez Musharraf.  Anche il presidente della All Pakistan Minorities Aliante, Shahbaz Bhatti, si è unito alla protesta, facendo notare che una moschea situata vicino la chiesa distrutta è rimasta intatta. “Solo la chiesa simbolo della vulnerabilità della minoranza cristiana - spiega Bhatti - è stata vittima dell’intolleranza di questi industriali”. Umair Ahamed, portavoce dell’industria, ha garantito invece l’inesistenza di moventi religiosi dietro la distruzione del luogo di culto, situato su un terreno di proprietà della compagnia. L’abbattimento dell’edificio, ha affermato Ahamed, è avvenuto esclusivamente allo scopo di espandere l’azienda. La ditta di fertilizzanti ha fatto sapere di essere disposta ad offrire ai fedeli un risarcimento economico per quanto accaduto, ma la comunità cristiana ha risposto: “Non abbiamo bisogno di soldi, ma solo della nostra chiesa”. (A.Gr.)

 

 

50 ANNI FA A MARCINELLE, IN BELGIO, LA TRAGEDIA NELLA MINIERA DI CARBONE

IN CUI PERSERO LA VITA 262 PERSONE. IN GRAN PARTE ITALIANE LE VITTIME

 

BRUXELLES. = L’otto agosto di 50 anni fa morivano in Belgio, a Marcinelle, nella miniera di carbone Bois de Cazier, 126 minatori belgi, francesi, tedeschi, polacchi, ucraini, russi, greci, ungheresi, olandesi, inglesi e 136 italiani, per lo più abruzzesi. A 975 metri di profondità quel giorno si erano calati 274 uomini quando un incidente danneggiò due cavi elettrici ad alta tensione provocando la rottura di una tubazione dell’aria compressa. Le fiamme avvolsero travi e strutture in legno e solo sette operai riuscirono a risalire in superficie. 417 gli orfani delle 248 famiglie toccate dalla tragedia. Diverse le cerimonie commemorative in programma oggi in Belgio e in Italia. “Il lavoro di tutti venga sempre e in ogni luogo rispettato e protetto, così che mai più si verifichino in futuro eventi tanto funesti” come la tragedia di 50 anni fa a Marcinelle, ha scritto in un messaggio il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. La memoria di quegli eroi del lavoro, ha detto il capo dello Stato, costituisce al tempo stesso un esempio ed un monito per le generazioni presenti e future: l’esempio dell’impegno e del sacrificio, grazie ai quali si potè ricostruire dalle macerie dell’Europa post-bellica una società più giusta. Il presidente del consiglio dei ministri Romano Prodi ha definito quanti hanno perso la vita nella miniera di Marcinelle “martiri dell’operosità italiana e del progresso civile”, mentre il presidente della camera, Fausto Bertinotti, ha ricordato che solo in Italia, ogni giorno, sui luoghi di lavoro, muoiono quattro persone e che oggi, sulle condizioni di sicurezza di molti lavoratori, poco è cambiato rispetto a 50 anni fa. A Marcinelle il viceministro degli Esteri italiano Franco Danieli ha inaugurato una targa in ricordo delle vittime della tragedia ed ha consegnato le medaglie d’oro al Merito Civile ai familiari che non l’hanno ricevuta da Carlo Azeglio Ciampi nel maggio 2005 perché impossibilitati a venire in Italia. Nel 2001, su proposta di Mirko Tremaglia, in nome delle vittime di Marcinelle il governo italiano ha anche istituito la Giornata Nazionale del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo. Nel 1956 erano 47 mila gli italiani che lavoravano nelle miniere del Belgio, più del 30 per cento di tutti i minatori nel Paese. La loro presenza era il frutto dell’accordo economico firmato dieci anni prima tra i governi italiano e belga, che prevedeva l’invio di circa 50 mila lavoratori italiani in cambio di carbone da parte del Belgio. Il dramma di Marcinelle segnò la fine della massiccia immigrazione italiana. (T.C.)

 

 

UN PROGRAMMA PER I MESSICANI IMMIGRATI NEGLI USA CONSENTIRÀ

IL RIENTRO IN PATRIA A MIGLIAIA DI PERSONE.

CIRCA 5 MILA QUANTI HANNO CHIESTO DI POTERNE BENEFICIARE

 

CITTÀ DEL MESSICO. = Migliaia di cittadini messicani immigrati negli Stati Uniti potranno rientrare nel loro Paese senza alcun rischio di sanzioni e pericoli grazie ad un nuovo programma varato di recente. Si tratta, riferisce l’agenzia MISNA, del  ‘Programma de riparacion volontaria 2006’, istituito in seguito agli accordi di Washington tra Usa e Messico nel 2004. Sono quasi 5 mila i cittadini messicani irregolari che, in meno di un mese, hanno fatto domanda di rientro, secondo i dati forniti dal governo del Paese centroamericano. Tra coloro che beneficeranno di un passaggio aereo gratis saranno presenti anche 612 minori e 679 donne, provenienti soprattutto dallo Stato meridionale del Chiapas. Il programma rimarrà attivo fino al prossimo 30 settembre e l’impegno di Washington è di garantire il trasporto alla frontiera, dove poi subentrano i servizi d’immigrazione messicani. Negli ultimi due anni sono state circa 34 mila le persone che hanno potuto fare ritorno nelle loro terre grazie agli accordi siglati nel 2004. Il Programma de riparacion volontaria 2006 è aperto anche ai cittadini messicani detenuti in carceri di frontiera con l’accusa di immigrazione illegale. (A.Gr.)

 

 

=======ooo=======

 

 

24 ORE NEL MONDO

8 agosto 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

        

In Iraq, il parlamento ha chiesto al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il prolungamento di un anno della missione ONU nel Paese, che scade venerdì prossimo. Dal canto suo oggi il premier al Maliki ha criticato l’operazione, lanciata domenica scorsa da forze americane e irachene sul quartiere di Sadr City a Baghdad. L’operazione, che ha scatenato violenti scontri successivi, “è avvenuta – ha affermato il premier Al Maliki - senza il mio consenso”. Il premier ha poi definito atti del genere, che hanno provocato morte e distruzione, contrari al processo di riconciliazione nel Paese. Intanto sul terreno iracheno si continua a morire. Stamani almeno una ventina di persone hanno perso la vita in diversi attentati, che a Baghdad hanno colpito zone affollate di civili come mercati e stazioni. Il bilancio della mattinata, benché provvisorio, parla anche di decine di feriti. Ieri, altre 26 persone sono state uccise nel corso di vari attacchi, avvenuti in diverse località del Paese. In questi giorni stiamo dunque assistendo ad una recrudescenza delle violenze nel Paese iracheno. Ma è possibile che la guerriglia ne stia approfittando, perché l’attenzione dei media internazionali è puntata sul Libano? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Francesco Battistini, inviato del Corriere della Sera:

 

**********

R. – E’ molto probabile. Basta vedere le televisioni americane e inglesi che hanno spostato ormai le grandi firme da Baghdad al nuovo fronte libanese. C’è anche una spinta da parte dell’amministrazione americana perché i giornali, i grandi network, considerino proprio il fronte libanese quasi un nuovo fronte della guerra globale al terrorismo. Quindi, la questione irachena diventa, in questa fase, una retrovia rispetto a quello che sta accadendo in Libano.

 

D. – C’è da dire che anche la comunità internazionale si sta in un certo senso disinteressando alla difficile situazione nel Paese del Golfo. Come interrompere, secondo te, questa spirale di violenza?

 

R. – Naturalmente questo è il problema che da tre anni si sta ponendo e che si sta accentuando ancora di più in questa fase. Il piano di stabilizzazione di Baghdad, varato il 14 giugno, sta per compiere due mesi, senza che ci siano stati dei progressi significativi. Anzi,  gli stessi militari americani hanno riconosciuto che a Baghdad il numero degli attacchi giornalieri delle milizie armate è passato da 24 a 35. Uscire da una situazione di questo tipo appare quasi impossibile. Qualche giorno fa, sul New York Times, Thomas Friedman, uno dei più acuti osservatori della situazione irachena, diceva che forse è venuto il momento di capire che non si riuscirà a fare da ‘levatrici’ di nessuna democrazia in Iraq e che forse è venuto il momento di provare ad essere ‘levatrici’ almeno di una tregua. E quindi suggeriva di convocare magari una conferenza di pace in stile Dayton - la conferenza di pace che fu fatta per i Balcani - chiamando tutte le forze dell’area attorno ad un tavolo per ragionare della questione Iraq. Quello che accade in Libano è di una “casualità” quasi imbarazzante, perché viene proprio a bloccare questa svolta che anche all’interno dell’amministrazione americana si stava prospettando e naturalmente tutto questo rinvia ancora di più la soluzione al problema iracheno.

 

D. – L’Iraq è comunque un Paese che può sperare in una normalizzazione, secondo te?

 

R. – Secondo me, può sperare ormai in un allargamento della questione irachena a tutti i Paesi dell’area. Pensare di risolvere solo militarmente la questione irachena, credo sia una soluzione che nemmeno i più estremisti della destra americana considerino possibile. L’unico modo è quello di scegliere la via che l’amministrazione Bush finora ha tenuto chiusa, cioè un coinvolgimento nella questione irachena anche di quelle forze dell’area che hanno l’ultima voce in capitolo. I rapporti tra Teheran e Washington in questo momento sono al minimo storico. E’ ben difficile pensare che sulla questione irachena si possa immaginare una ricucitura tra Iran e Stati Uniti. Al momento non vedo soluzioni, almeno entro l’anno.

**********

 

Sempre alta la tensione in Sri Lanka, dove proseguono i combattimenti tra i guerriglieri Tamil e le forze dell’esercito nazionale. Due persone, tra le quali un bambino, sono morte oggi a Colombo, la capitale del Paese, per l’esplosione di un’autobomba. Secondo le prima informazioni ci sarebbero anche diversi feriti. Deplorando l’episodio di ieri, in cui sono stati ritrovati i corpi di 17 operatori      umanitari srilankesi che lavoravano per una ONG francese, l’Unione Europea ha precisato che in caso di altre violenze gli aiuti potrebbero essere sospesi.

 

Dal ministero degli Esteri italiano non ci sono novità sulla sorte di Gigliola Martino Vitello, l’italiana sequestrata ieri ad Haiti. Durante il rapimento i malviventi hanno ucciso il marito della donna, la quale risiedeva da 30 anni a Port-au-Prince, capitale di Haiti, e che appena lo scorso anno era stata vittima di un sequestro a scopo di estorsione.

 

Dovrebbero riprendere oggi a Juba, nel sud Sudan, i colloqui di pace per l’Uganda, che coinvolgono i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore e il governo di Kampala. Un primo incontro, fissato per ieri, è slittato di 24 ore per il protrarsi della riunione preparatoria. Il servizio di Giulio Albanese:

 

**********

Fonti ufficiose riferiscono che il mediatore ufficiale, vice presidente sudanese, grande sostenitore dell’intesa, è preoccupato per l’assenza al tavolo delle trattative sia di Joseph Kony, fondatore del Movimento ribelle ugandese, che del suo vice Vincent Otti. D’altronde sui leader dell’Esercito di Resistenza del Signore pesano i mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Le incriminazioni includono accuse di omicidio, di mutilazioni, torture, violenze carnali e rapimento di bambini. Sta di fatto che un accordo di pace per essere duraturo nel Nord Uganda non può prescindere, stando alla maggioranza degli osservatori, da un coinvolgimento diretto di Cogne e dei suoi luogotenenti. Non resta, dunque, che attendere gli sviluppi di una trattativa in cui la diplomazia deve misurarsi con le rigide disposizioni, almeno per ora, della giustizia internazionale.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

**********

 

Si riaccende la paura per la diffusione dell’influenza aviaria. La Cina ha confermato oggi un nuovo caso di contagio umano, il primo dal 2003. A renderlo noto, un comunicato del ministero della Salute di Pechino. Intanto l’Indonesia ha annunciato due nuovi decessi causati dall’influenza aviaria, avvenuti nelle ultime ore. Il Paese asiatico con 44 vittime si conferma la zona più colpita dal virus H5N1.

 

Il prezzo del petrolio, pur restando vicino ai livelli massimi, rallenta la sua corsa dopo l’impennata di ieri in seguito all’annuncio della chiusura del più importante giacimento degli Stati Uniti in Alaska. L’oro nero a New York è stato quotato 76,74 dollari, 24 centesimi in meno rispetto alla chiusura di ieri sera.

 

Pattuglie spagnole e mauritane hanno intercettato in questi giorni 152 clandestini che cercavano di raggiungere l’arcipelago spagnolo delle Canarie. Una prima imbarcazione, che trasportava 124 migranti, è stata localizzata domenica dalle autorità spagnole in acque mauritane. Un secondo barcone, con a bordo 28 migranti, è stato fermato ieri da una pattuglia spagnola vicino al porto di Nouadhibou.

 

 

 

=======ooo=======