RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 220 - Testo della trasmissione di martedì 8 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Almeno 20 morti nella
capitale irachena, per una serie di diversi attacchi
Nessuna novità
sull’italiana rapita ad Haiti, dopo l’uccisione del
marito
8 agosto 2006
NELLA MEMORIA
ODIERNA DI SAN DOMENICO, INSIGNE PREDICATORE DEL VANGELO,
IL
MAGISTERO DI BENEDETTO XVI INCENTRATO SULLA VERITA’
NELLA CARITA’
E’ la figura di un grande Santo
spagnolo, Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine
dei Frati predicatori, più conosciuti come Domenicani, ad essere al centro
dell’odierna memoria liturgica della Chiesa. Di San Domenico - recitano le
preghiere del giorno - si ricorda che fu un “insigne predicatore” della Verità
di Dio, annunciata da Cristo. Un tema, quello della verità evangelica, da
sempre prediletto dagli insegnamenti di Benedetto XVI. Il servizio di
Alessandro De Carolis.
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Non poteva immaginare, 29 anni fa,
che il motto col quale intendeva accompagnare il proprio ministero di pastore
sarebbe divenuto un giorno la bussola del proprio magistero pontificio. Nel
marzo del 1977, il neo arcivescovo di Monaco e Frisinga,
Joseph Ratzinger, sceglie
come frase-guida del suo nuovo servizio, al quale lo ha chiamato Paolo VI, la
celebre esortazione di Giovanni ad essere “cooperatores veritatis”, cooperatori della verità,
accanto agli Apostoli. Il pastore di anime e il brillante teologo che convivono
in lui si modellano lungo gli anni attorno a questa imprescindibile esigenza di
testimoniare la verità di Dio, che Cristo ha rivelato agli uomini.
Eletto Papa, questa esigenza si
rafforza e assume per la Chiesa valenza universale. Benedetto XVI ha ben
presente che proprio la figura del vescovo, come depositario della verità del
Vangelo, ha bisogno di essere riscoperta da molti cristiani del 21.mo secolo. Così, l’udienza generale del mercoledì diventa
un luogo e uno spazio privilegiati per “ricatechizzare”
i fedeli sul rapporto che lega la Chiesa agli Apostoli e ai vescovi, che dei
Dodici rappresentano la continuità. Durante l’udienza generale del 5 aprile di
quest’anno, dunque, il Papa afferma: “La Chiesa
dell’amore è anche la Chiesa della verità, intesa anzitutto come fedeltà al
Vangelo, affidato dal Signore Gesù ai suoi. Ma la famiglia dei figli di Dio per
vivere nell’unità e nella pace – ha osservato ancora il Papa - ha bisogno di
chi la custodisca nella verità e la guidi con
discernimento sapiente e autorevole. E’ ciò che fa il ministero degli
apostoli”:
“Il compito dei vescovi, dei
successori degli apostoli, è in questo senso, anzitutto, un servizio di amore.
E la carità che essi devono vivere e promuovere è, come detto, inseparabile
dalla verità che custodiscono (…) E tutto questo, che vediamo nella Chiesa
nascente, ci fa pregare per i successori degli apostoli, per tutti i vescovi e
per i successori di Pietro, che siano realmente
insieme, custodi della verità e della carità, che siano in questo senso
realmente apostoli di Cristo e che la sua luce non si spenga mai nella Chiesa e
nel mondo”.
“La Chiesa dell’amore è anche la
Chiesa della verità”. Un’affermazione che rivela un altro aspetto-cardine del
magistero di Benedetto XVI: la centralità dell’amore di Dio nella vita della
fede. Non a caso la sua prima enciclica è dedicata al tema di Dio-Amore, Deus caritas est. Ma in che modo la carità rientra nell’annuncio della verità? Benedetto
XVI ne dà una spiegazione lo scorso 26 maggio, quando a Czestochowa
incontra i religiosi, seminaristi e rappresentanti dei Movimenti ecclesiali.
“La sapienza evangelica (…) - osserva - va portata in modo maturo, non
infantile e non aggressivo, nel mondo della cultura e del lavoro, nel mondo dei media e della politica, nel mondo della vita familiare e
di quella sociale”.
Del resto, aveva affermato poche
ore prima nella Messa presieduta a Varsavia, non solo vescovi e sacerdoti bensì
“ogni cristiano è tenuto a confrontare continuamente le proprie convinzioni con
i dettami del Vangelo e della Tradizione della Chiesa nell'impegno di rimanere
fedele alla parola di Cristo, anche quando essa è esigente e umanamente
difficile da comprendere. Non dobbiamo cadere – aggiunge tornando su un punto a
lui molto caro - nella tentazione del relativismo o dell'interpretazione
soggettivistica e selettiva delle Sacre Scritture. Solo la verità integra ci può
aprire all'adesione a Cristo morto e risorto per la nostra salvezza”.
E al Convegno della diocesi di
Roma su “La gioia della fede”, appena due mesi fa, Benedetto XVI invita
esplicitamente tutte le vocazioni della Chiesa ad una “pastorale
dell’intelligenza”, per un annuncio, specialmente ai giovani, incisivo e
affascinante della verità cristiana:
“Nell’educazione delle nuove generazioni non dobbiamo dunque avere
alcun timore di porre la verità della fede a confronto con le autentiche
conquiste della conoscenza umana. I progressi della scienza sono oggi molto
rapidi e non di rado vengono presentati come
contrapposti alle affermazioni della fede, provocando confusione e rendendo più
difficile l’accoglienza della verità cristiana”.
E dunque, conclude, la verità così
annunciata colpisce tanto il cuore quanto la mente e fa percepire per intero la
bellezza del cristianesimo:
“Il dialogo tra fede e ragione, se condotto con sincerità e rigore,
offre la possibilità di percepire, in modo più efficace e convincente, la
ragionevolezza della fede in Dio – non in un Dio qualsiasi ma in quel Dio che
si è rivelato in Gesù Cristo – e altresì di mostrare che nello stesso Gesù
Cristo si trova il compimento di ogni autentica aspirazione umana.
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OGGI IN OLANDA, NELLA CATTEDRALE DI UTRECHT, IL
CARDINALE WALTER KASPER
HA
PRESIEDUTO LE ESEQUIE DEL CARDINALE JOHANNES WILLEBRANDS,
RICORDANDO
CHE FU UN GRANDE PROMOTORE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI
E DEL
DIALOGO CON GLI EBREI
Un uomo che volle incarnare la
figura del buon pastore, che volle prendersi particolarmente cura delle persone
affidategli dal Signore. Questo è stato il cardinale Johannes
Willebrands: lo ha sottolineato stamattina, nella
cattedrale di Utrecht, in Olanda, il cardinale Walter Kasper,
presidente del Pontificio consiglio per
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Titolo di
apertura: "Slitta ancora la decisione delle Nazioni Unite", rinviato
il voto del Consiglio di Sicurezza sulla proposta di risoluzione presentata da
Francia e Usa - Appoggio della Lega Araba alle richieste di Beirut. La furia
della guerra miete ogni giorno nuove vittime: decine di civili uccisi nei raid
aerei mentre non si arrestano gli attacchi missilistici degli Hezbollah.
Campagna di vaccinazione dell'UNICEF contro morbillo e poliomielite.
Servizio vaticano - Haifa: secondo anniversario della morte di suor Tarcisia
del SS.mo Sacramento e dello Spirito Santo. Eritrea:
25° anniversario della morte di suor Ghebregziabiher,
delle Cappuccine di Madre Rubatto.
Servizio estero - Iraq:
massacro al mercato di Shroja, due bombe esplodono a
Baghdad causando dieci morti e 69 feriti. Belgio: 50 anni dalla morte di 262
minatori a Marcinelle. Sri Lanka: autobomba uccide due persone a Colombo.
Servizio culturale - A
Trento la mostra di opere di Girolamo Romanino.
Servizio italiano -
Ancora incidenti sul lavoro. A seguire, i temi del fisco, della Sanità e
dell'immigrazione.
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8 agosto 2006
SECONDO
IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO
PRATICAMENTE
E’ STATA RAGGIUNTA L’INTESA ALL’ONU
PER LA
CESSAZIONE DELLE OSTILITÀ IN LIBANO.
DAL PAESE
DEI CEDRI, LA TESTIMONIANZA DI PADRE SAMUELE,
MISSIONARIO
FRANCESCANO AD HARISSA, NEL NORD DEL LIBANO
I membri del Consiglio di
sicurezza dell’ONU sembrano essersi messi d’accordo sul testo di una
risoluzione sul conflitto tra Israele e guerriglieri Hezbollah. Lo ha
dichiarato il ministro degli Esteri tedesco prima di partire in missione per il
Medio Oriente. In Libano, intanto, nuovi attacchi israeliani hanno causato la
morte di almeno 7 combattenti sciiti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Le bombe continuano a sconvolgere
il sud del Libano e i razzi lanciati dai combattenti Hezbollah continuano ad
arrivare nel nord di Israele. Fonti israeliane riferiscono che 7 guerriglieri
sono rimasti uccisi durante scontri nel sud del Paese dei cedri. Almeno 40
razzi sono stati lanciati poi verso la Galilea, dove fortunatamente non si
registra nessuna vittima. Oltre alle bombe, sono anche stati lanciati, nel sud
del Libano, volantini per annunciare che l’esercito israeliano “colpirà
qualsiasi veicolo sospettato di trasportare equipaggiamento militare”.
L’esecutivo dello Stato ebraico ha poi reso noto di voler estendere le proprie
operazioni se la diplomazia internazionale non riuscirà a fermare le azioni dei
combattenti sciiti contro Israele. In Iran, l’ayatollah Ali Khamenei
ha chiamato inoltre “tutta la comunità islamica a difendere gli Hezbollah”.
Nonostante questa nuova ondata di
violenze e i proclami di Israele e Iran, sembrano comunque aprirsi, per il
Medio Oriente, importanti spiragli di pace: il ministro degli Esteri tedesco, Frank Walter Steinmeier, ha
detto, stamani, che sarebbe stato raggiunto un accordo, all’interno del
Consiglio di sicurezza dell’ONU, sulla risoluzione per la fine delle ostilità.
Prima di partire per la sua missione in Medio Oriente, il ministro tedesco ha
anche spiegato che Israele e Libano devono accettare il dispiegamento di una
forza internazionale lungo il confine. La Russia ha comunque precisato che non
darà il suo sostegno ad una risoluzione che non sia condivisa dal Libano. In giornata, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
valuterà, inoltre, la bozza di risoluzione messa a punto da Francia e Stati
Uniti, con gli emendamenti presentati da una delegazione della Lega araba.
Segnali di apertura provengono anche da Israele, dove il premier Ehud Olmert ha definito “un passo
interessante” la decisione annunciata ieri sera dal governo di Beirut di voler
dislocare 15.000 soldati lungo il confine, dopo il ritiro israeliano. Il primo
ministro ha anche ribadito che un dispiegamento delle forze armate libanesi nel
sud deve essere appoggiato da una forza internazionale, per impedire che i
guerriglieri Hezbollah tornino a minacciare lo Stato ebraico.
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E per una testimonianza sulla
situazione in Libano, Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente padre
Samuele, missionario ad Harissa,
nel nord del Paese, dove si trova il convento dei francescani:
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R. – Dove mi trovo io, ora, c’è
più sicurezza rispetto ad altre zone del Libano. Da qui, comunque, si vedono e
si sentono i bombardamenti. Se ci spostiamo di sette chilometri, vediamo la
guerra: vediamo ponti e case distrutte. Noi qui viviamo quasi ‘sicuri’, perché
c’è la montagna della Madonna, che è un simbolo cristiano per tutto il Libano,
e poi qui c’è anche la sede del Patriarcato.
D. – Come si avvicina, in questi
giorni, la popolazione locale alla preghiera e alle attività della Chiesa?
R. – Certamente qui tutti stanno
seguendo le indicazioni della Chiesa dalla quale si aspettano molto. In tutte
le nostre chiese, quasi ogni giorno c’è l’adorazione del Santissimo, la Santa
Messa. Molta gente viene in chiesa.
D. – Siamo abituati a vedere, in
questi giorni, drammatiche scene di guerra. Ma ci sono anche immagini che
possono far sperare nella pace?
R. – Scene che fanno sperare nella
pace sono quelle che mostrano quanti si offrono spontaneamente per aiutare,
nonostante la guerra e la gente che soffre. Sono molti, quelli che si offrono!
D. – E tra questi, ci sono anche
cristiani?
R. – Sì, molti cristiani. Non
soltanto con la preghiera, ma anche con i fatti. Ci sono famiglie che offrono
da mangiare, la loro casa, le scuole e poi, tutti si sentono uniti. Non pensano
più alla differenza tra musulmani e cristiani, non pensano più alla differenza
tra un gruppo e l’altro …
D. – Padre, se avesse la
possibilità di parlare con un soldato israeliano e con un guerrigliero
Hezbollah, cosa gli direbbe?
R. – Gli direi: “Ricordati che hai
una moglie, dei figli, hai una famiglia. Noi vediamo ogni giorno persone senza
pane, senza tetto, senza casa … Vediamo bambini che soffrono, donne che
gridano… Tutti sono impauriti! Ma tutti – ebrei, cristiani e musulmani -
crediamo in un Dio. Tutti abbiamo lo stesso Dio e guardiamo alla Sua
misericordia. Impariamo dalla Sua misericordia per essere anche noi
misericordiosi!”.
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IL FUTURO STATUS DELLA PROVINCIA SERBA DEL KOSOVO
È AL CENTRO
DEI COLLOQUI FRA I VERTICI DI BELGRADO E DI PRISTINA,
IN CORSO DA IERI A VIENNA
- Intervista con Federico Eichberg -
Il futuro status della provincia serba del Kosovo, attualmente
amministrata dall’ONU, è al centro dei colloqui fra i vertici di Belgrado e di
Pristina, in corso da ieri a Vienna. Il summit segue quello di fine luglio, in
cui per la prima volta le parti si sono incontrate esternando le proprie
posizioni. Da parte sua la delegazione governativa di alto livello giunta da
Mosca ha affermato che
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R. – Le posizioni sono
inconciliabili rispetto all’obiettivo finale e non rispetto ai passi. Da un
lato, abbiamo avuto il referendum del Montenegro, in cui la diplomazia serba ha
mostrato molto realismo e molta apertura; dall’altro abbiamo in corso un forte
negoziato riferito ai criminali di guerra, in cui ugualmente Belgrado deve
giocare un ruolo importante. Se sappiamo leggere i negoziati del Kosovo in
questo scenario, probabilmente la soluzione non è così lontana.
D. – Quale sarà l’atteggiamento
delle Nazioni Unite?
R. – Da parte delle Nazioni Unite
c’è una duplice visione: da un lato, c’è uno sbocco verso l’indipendenza
abbastanza prossima, dall’altro, c’è molta più cautela, perché si vedono i
rischi paventabili nel caso di una indipendenza
prematura. Alla luce di questo fatto, le Nazioni Unite si sono poste una
scadenza, che non per forza porterà all’indipendenza –
a giudizio di chi parla – ma potrebbe portare a quel famoso less than full indipendence,
che è sempre un giusto punto di incontro in questa fase.
D. – Qualcuno paventa conseguenze
estreme fra Serbia e Kosovo, lei cosa pensa al riguardo?
R. – Su questo, a mio avviso, ci
vuole molto realismo: le fazioni della leadership kosovare sono abbastanza
frammentarie, sono incapaci di esprimere una linea comune. E, alla luce di
questa frammentazione, ci sono vie negoziali, con cui una leadership finalmente
autorevole di Belgrado può negoziare quel margine lasciato aperto dalle
divisioni fra le fazioni kosovare. Così si potrebbe raggiungere un obiettivo molto realistico e
che non urterebbe le sensibilità ancora presenti nell’opinione pubblica serba,
ma al contempo lascerebbe quel margine
di sovranità, di parziale sovranità, di cui ha bisogno oggi la leadership kosovara per non uscire dal negoziato avendo perso la
faccia.
D. – Questa situazione come può
influenzare l’area balcanica, gli altri Paesi della regione?
R. – Le conseguenze possono
essere, nell’ambito di un clima complessivamente di maggior distensione,
conseguenze positive. Se da Skopjie uscirà un governo - sembra nelle prossime
settimane - con presenza albanese, se si va verso una completa distensione –
come sembra – nei rapporti tra il neo-costituito Montenegro e
D. – Qual è la posizione della
Comunità Internazionale? Penso a Stati Uniti, Russia ed Unione Europea ….
R. – Qui c’è l’aspetto più
interessante, secondo me. L’Unione Europea sta discutendo in
questo ore – perché è stata chiamata in causa direttamente – se
subentrare alla guida del contingente in loco per quanto riguarda la sicurezza
del Kosovo. Da questo punto di vista, l’Unione Europea ha tutto l’interesse ad
essere il più coinvolta possibile, perché ha l’aspetto – come dire - della
leadership da affermare in un’area che vede nello sbocco dell’integrazione
continentale il proprio naturale obiettivo. D’altro canto, Stati Uniti e Russia
sanno che quello che sembrava l’obiettivo fino a qualche mese fa da perseguire,
e cioè un Kosovo indipendente, ha in realtà una serie di controindicazioni che
potrebbero far abbracciare una soluzione molto più
realistica, che progressivamente porti ad una integrazione europea ed euroatlantica per la regione.
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IN ITALIA, DOPO IL VOTO SULL’INDULTO, VARATO UN PIANO PER
FAVORIRE IL REINSERIMENTO LAVORATIVO DI CIRCA 2000 EX DETENUTI
CHE HANNO BENEFICIATO DEL PROVVEDIMENTO
- Intervista con Clemente Mastella -
In
Italia, piano congiunto del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, e del ministro
della Giustizia, Clemente Mastella, per favorire il
reinserimento lavorativo di circa 2000 ex detenuti che hanno beneficiato
dell’indulto. Ad oggi – ha spiegato il Guardasigilli - sono 11.964 gli ex
detenuti che sono stati oggetto del provvedimento di clemenza approvato dal
Parlamento lo scorso 29 luglio. Complessivamente, dell'atto di clemenza
dovrebbero beneficiare 15.000 persone. Nessuna situazione di emergenza - ha
assicurato il ministro Mastella - si è creata nel
Paese a seguito della fuoriuscita dalle carceri degli ex detenuti che hanno
beneficiato dell'indulto. Ma ascoltiamo lo stesso ministro della Giustizia,
Clemente Mastella, intervistato da Stefano
Leszczynski:
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R. – Io voglio ringraziare il
ministero del Lavoro, perchè ha determinato una condizione per la quale con un
piano di concertazione, che riguarda noi in parte e soprattutto loro, ha dato
la possibilità a quasi duemila ex detenuti di poter avviarsi a realizzare
un’aspettativa di vita, che è quella di essere inseriti a pieno titolo nel
mondo del lavoro. Quindi, ci daranno congrui o discreti investimenti. Siamo
nell’ordine dei 10 milioni di euro per quanto riguarda il ministero del Lavoro.
Invece, per quanto riguarda il mio ministero, daremo 3 milioni di euro per
coloro che operano nel volontariato, per gli enti locali, per i progetti che
sono finalizzati al reinserimento dei detenuti.
D. – Quindi, un coinvolgimento
della società civile, che pure ha partecipato tanto emotivamente a questo
indulto…
R. – Guardi, io voglio ringraziare
le associazioni di volontariato - da quelle cattoliche a quelle laiche - i miei
collaboratori nel ministero, quelli che sono in giro, sparsi
per l’Italia, gli stessi magistrati, alcuni dei quali sono tornati dalle ferie.
Un ringraziamento a tutti loro per quello che stanno facendo. Certo, è una cosa
un po’ delicata e difficile. Spero soltanto che gli ex detenuti siano
responsabilmente compresi di questo senso di generosità che lo Stato ha fatto
nei loro confronti.
D. – Un provvedimento che è stato
molto apprezzato, ma che è stato anche la base di alcune polemiche, sia
all’interno della maggioranza che con l’opposizione…
R. – Come ricorderà anche
dall’appello che fece Giovanni Paolo II, ci si è mossi nella considerazione che
lo Stato a volte appare infernale, quello del girone in cui si trovavano e si
trovano tanti detenuti. Quindi, era giusto operare una deflazione umana, da
questo punto di vista, e far uscire tantissime persone dal carcere per la
semplice ragione che il carcere è invivibile. Certo,
questo è un evento eccezionale e come tale va valutato. Dopo di che dovremo
apportare strumenti adeguati sul piano normativo per realizzare condizioni per
le quali ci siano pene alternative, ci sia una visione dei codici per i quali
chi ruba una mela non sia considerato alla stregua di chi ammazza una persona.
Si tratta, insomma, di lavorare da questo punto di vista in maniera molto seria
e molto responsabile.
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8 agosto 2006
NEGLI ULTIMI TRE
ANNI SI E’ PRATICAMENTE DIMEZZATA LA PRESENZA DEI CRISTIANI IN IRAQ. VIOLENZA E
MANCANZA DI SICUREZZA HANNO INDOTTO CIRCA
700 MILA PERSONE A LASCIARE
LONDRA. = Prosegue l’esodo dei
cristiani dall’Iraq, dove la guerra civile continua a mietere le sue vittime
quotidiane. A confermarlo nei giorni scorsi, alla sezione inglese dell’“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), è
stato il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad Andreos Abouna. In questi tre
anni, ha riferito il presule che tiene aggiornata l’organizzazione caritativa
sull’evoluzione della situazione religiosa nel Paese, la popolazione cristiana
si è praticamente dimezzata: da un milione e 200 mila
fedeli (pari al 3 per cento della popolazione irachena) presente prima
dell’inizio della guerra, nel 2003, si è oggi passati ad appena 600 mila. In
particolare, i cattolici di rito caldeo, la comunità
cristiana più numerosa in Iraq, sono oggi meno di 500 mila, contro gli 800 mila
di tre anni fa. La maggior parte si riversa nei Paesi vicini: Turchia, Siria e
Giordania. Secondo mons. Abouna, difficilmente queste
persone potranno rientrare in patria. Anche se la comunità cristiana non è più
esposta delle altre agli attentati e agli attacchi, essa si sente sempre più
vulnerabile e insicura e chi può va via, lasciando indietro chi non ha i mezzi
per farlo. Questi del resto sono i sentimenti prevalenti in tutta la
popolazione irachena, esacerbata dalle violenze e dalla mancanza di sicurezza e
di fiducia in un processo che doveva creare una nuova era di pace, democrazia e
legalità. “La costituzione e gli sviluppi politici di questi ultimi 18 mesi -
ha detto mons. Abouna - in concreto non hanno aiutato
per nulla”. (L.Z. – T.C.)
AIUTARE
I GIOVANI NEL LORO CAMMINO DI FEDE E PROMUOVERE PROGRAMMI
PERCHÈ
POSSANO DIVENTARE “PORTATORI DI SPERANZA”:
SONO
ALCUNE DELLE PROPOSTE EMERSE ALLA CONCLUSIONE,
HONG KONG. = Si è conclusa con una
serie di propositi volti a sostenere i giovani
PAKISTAN:
UN’INDUSTRIA DI FERTILIZZANTI HA DEMOLITO A MULTAN UNA CHIESA PER AMPLIARE I
PROPRI STABILIMENTI. FORTI LE PROTESTE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA
MULTAN. = Circa 150 cristiani di Multan, in Pakistan, hanno protestato contro la demolizione
di una chiesa da parte dell’industria di fertilizzanti Pak-Arab Fertilizers Limited. I dimostranti, riferisce l’agenzia Asianews, hanno bloccato la strada di Multan-Lahore
per alcune ore e invocato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria in merito.
Contro la compagnia di fertilizzanti si è schierato anche il parroco della
chiesa distrutta, padre Yaqoob Masih,
che ha chiesto l’intervento del presidente Pervez Musharraf. Anche il
presidente della All Pakistan Minorities
Aliante, Shahbaz Bhatti, si
è unito alla protesta, facendo notare che una moschea situata vicino la chiesa
distrutta è rimasta intatta. “Solo la chiesa simbolo della vulnerabilità della
minoranza cristiana - spiega Bhatti - è stata vittima
dell’intolleranza di questi industriali”. Umair Ahamed, portavoce dell’industria, ha garantito invece
l’inesistenza di moventi religiosi dietro la distruzione del luogo di culto,
situato su un terreno di proprietà della compagnia. L’abbattimento
dell’edificio, ha affermato Ahamed, è avvenuto
esclusivamente allo scopo di espandere l’azienda. La ditta di fertilizzanti ha
fatto sapere di essere disposta ad offrire ai fedeli un risarcimento economico
per quanto accaduto, ma la comunità cristiana ha risposto: “Non abbiamo bisogno di soldi, ma solo della nostra chiesa”. (A.Gr.)
50 ANNI FA A MARCINELLE, IN BELGIO,
IN CUI
PERSERO
BRUXELLES. = L’otto agosto di 50
anni fa morivano in Belgio, a Marcinelle, nella
miniera di carbone Bois de Cazier,
126 minatori belgi, francesi, tedeschi, polacchi, ucraini, russi, greci,
ungheresi, olandesi, inglesi e 136 italiani, per lo
più abruzzesi. A 975 metri di profondità quel giorno si erano calati 274 uomini quando un incidente danneggiò due cavi elettrici ad
alta tensione provocando la rottura di una tubazione dell’aria compressa. Le
fiamme avvolsero travi e strutture in legno e solo
sette operai riuscirono a risalire in superficie. 417 gli orfani delle 248
famiglie toccate dalla tragedia. Diverse le cerimonie commemorative in
programma oggi in Belgio e in Italia. “Il lavoro di tutti venga sempre e in
ogni luogo rispettato e protetto, così che mai più si verifichino in futuro eventi tanto funesti” come la tragedia di 50 anni
fa a Marcinelle, ha scritto in un messaggio il
presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. La memoria di quegli
eroi del lavoro, ha detto il capo dello Stato, costituisce al tempo stesso un
esempio ed un monito per le generazioni presenti e future: l’esempio
dell’impegno e del sacrificio, grazie ai quali si potè
ricostruire dalle macerie dell’Europa post-bellica una società più giusta. Il
presidente del consiglio dei ministri Romano Prodi ha definito quanti hanno
perso la vita nella miniera di Marcinelle “martiri
dell’operosità italiana e del progresso civile”, mentre il presidente della
camera, Fausto Bertinotti, ha ricordato che solo in
Italia, ogni giorno, sui luoghi di lavoro, muoiono quattro persone e che oggi,
sulle condizioni di sicurezza di molti lavoratori, poco è cambiato rispetto a
50 anni fa. A Marcinelle il viceministro
degli Esteri italiano Franco Danieli
ha inaugurato una targa in ricordo delle vittime della tragedia ed ha
consegnato le medaglie d’oro al Merito Civile ai familiari che non l’hanno
ricevuta da Carlo Azeglio Ciampi nel maggio 2005 perché impossibilitati a venire
in Italia. Nel 2001, su proposta di Mirko Tremaglia, in nome delle vittime di Marcinelle
il governo italiano ha anche istituito
UN
PROGRAMMA PER I MESSICANI IMMIGRATI NEGLI USA CONSENTIRÀ
IL
RIENTRO IN PATRIA A MIGLIAIA DI PERSONE.
CIRCA
5 MILA QUANTI HANNO CHIESTO DI POTERNE BENEFICIARE
CITTÀ
DEL MESSICO. = Migliaia di cittadini messicani immigrati negli Stati Uniti
potranno rientrare nel loro Paese senza alcun rischio di sanzioni e pericoli
grazie ad un nuovo programma varato di recente. Si tratta, riferisce l’agenzia
MISNA, del ‘Programma
de riparacion volontaria 2006’, istituito in seguito
agli accordi di Washington tra Usa e Messico nel 2004. Sono quasi 5 mila i
cittadini messicani irregolari che, in meno di un mese, hanno fatto domanda di
rientro, secondo i dati forniti dal governo del Paese centroamericano. Tra
coloro che beneficeranno di un passaggio aereo gratis saranno presenti anche
612 minori e 679 donne, provenienti soprattutto dallo Stato meridionale del Chiapas. Il programma rimarrà attivo fino al prossimo 30
settembre e l’impegno di Washington è di garantire il trasporto alla frontiera,
dove poi subentrano i servizi d’immigrazione messicani. Negli ultimi due anni
sono state circa 34 mila le persone che hanno potuto fare ritorno nelle loro
terre grazie agli accordi siglati nel 2004. Il Programma de riparacion
volontaria 2006 è aperto anche ai cittadini messicani detenuti in carceri di
frontiera con l’accusa di immigrazione illegale. (A.Gr.)
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8 agosto 2006
- A cura di
Eugenio Bonanata -
In Iraq, il parlamento ha chiesto
al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il prolungamento di un anno della missione ONU nel
Paese, che scade venerdì prossimo. Dal canto suo oggi il premier al Maliki ha criticato l’operazione, lanciata domenica scorsa
da forze americane e irachene sul quartiere di Sadr
City a Baghdad. L’operazione, che ha scatenato violenti scontri successivi, “è
avvenuta – ha affermato il premier Al Maliki - senza
il mio consenso”. Il premier ha poi definito atti del genere, che hanno
provocato morte e distruzione, contrari al processo di
riconciliazione nel Paese. Intanto sul terreno iracheno si continua a morire.
Stamani almeno una ventina di persone hanno perso la vita in diversi attentati,
che a Baghdad hanno colpito zone affollate di civili come mercati e stazioni.
Il bilancio della mattinata, benché provvisorio, parla anche di decine di
feriti. Ieri, altre 26 persone sono state uccise nel corso di vari attacchi,
avvenuti in diverse località del Paese. In questi giorni stiamo dunque
assistendo ad una recrudescenza delle violenze nel Paese iracheno. Ma è
possibile che la guerriglia ne stia approfittando, perché l’attenzione
dei media internazionali è puntata sul Libano? Salvatore Sabatino lo ha
chiesto a Francesco Battistini, inviato del Corriere
della Sera:
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R. – E’
molto probabile. Basta vedere le televisioni americane e inglesi che hanno
spostato ormai le grandi firme da Baghdad al nuovo fronte libanese. C’è anche
una spinta da parte dell’amministrazione americana perché i giornali, i grandi
network, considerino proprio il fronte libanese quasi un nuovo fronte della
guerra globale al terrorismo. Quindi, la questione irachena diventa, in questa
fase, una retrovia rispetto a quello che sta accadendo in Libano.
D. – C’è
da dire che anche la comunità internazionale si sta in un certo senso
disinteressando alla difficile situazione nel Paese del Golfo. Come
interrompere, secondo te, questa spirale di violenza?
R. –
Naturalmente questo è il problema che da tre anni si sta ponendo e che si sta
accentuando ancora di più in questa fase. Il piano di stabilizzazione di
Baghdad, varato il 14 giugno, sta per compiere due mesi, senza che ci siano
stati dei progressi significativi. Anzi, gli stessi militari americani hanno
riconosciuto che a Baghdad il numero degli attacchi giornalieri delle milizie
armate è passato da
D. –
L’Iraq è comunque un Paese che può sperare in una normalizzazione, secondo te?
R. –
Secondo me, può sperare ormai in un allargamento della questione irachena a
tutti i Paesi dell’area. Pensare di risolvere solo militarmente la questione
irachena, credo sia una soluzione che nemmeno i più estremisti della destra
americana considerino possibile. L’unico modo è quello di scegliere la via che
l’amministrazione Bush finora ha tenuto chiusa, cioè
un coinvolgimento nella questione irachena anche di quelle forze dell’area che
hanno l’ultima voce in capitolo. I rapporti tra Teheran
e Washington in questo momento sono al minimo storico. E’ ben difficile pensare
che sulla questione irachena si possa immaginare una ricucitura tra Iran e
Stati Uniti. Al momento non vedo soluzioni, almeno entro l’anno.
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Sempre alta la tensione in Sri Lanka, dove proseguono i combattimenti tra i guerriglieri Tamil e le forze dell’esercito nazionale. Due persone, tra
le quali un bambino, sono morte oggi a Colombo, la capitale del Paese, per
l’esplosione di un’autobomba. Secondo le prima informazioni
ci sarebbero anche diversi feriti. Deplorando l’episodio di ieri, in cui sono
stati ritrovati i corpi di 17 operatori umanitari srilankesi
che lavoravano per una ONG francese, l’Unione Europea ha precisato che in caso
di altre violenze gli aiuti potrebbero essere sospesi.
Dal ministero degli
Esteri italiano non ci sono novità sulla sorte di Gigliola Martino
Vitello, l’italiana sequestrata ieri ad Haiti. Durante il rapimento i
malviventi hanno ucciso il marito della donna, la quale risiedeva da 30 anni a Port-au-Prince, capitale di Haiti,
e che appena lo scorso anno era stata vittima di un sequestro a scopo di
estorsione.
Dovrebbero riprendere oggi a Juba, nel sud Sudan, i colloqui di pace per l’Uganda, che
coinvolgono i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore e il governo di
Kampala. Un primo incontro, fissato per ieri, è slittato di 24 ore per il
protrarsi della riunione preparatoria. Il servizio di Giulio Albanese:
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Fonti ufficiose riferiscono che il
mediatore ufficiale, vice presidente sudanese, grande sostenitore dell’intesa,
è preoccupato per l’assenza al tavolo delle trattative sia di Joseph Kony, fondatore del
Movimento ribelle ugandese, che del suo vice Vincent Otti. D’altronde sui
leader dell’Esercito di Resistenza del Signore pesano i mandati di arresto
emessi dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Le
incriminazioni includono accuse di omicidio, di mutilazioni, torture, violenze
carnali e rapimento di bambini. Sta di fatto che un accordo di pace per essere
duraturo nel Nord Uganda non può prescindere, stando alla maggioranza degli
osservatori, da un coinvolgimento diretto di Cogne e dei suoi luogotenenti. Non
resta, dunque, che attendere gli sviluppi di una trattativa in cui la
diplomazia deve misurarsi con le rigide disposizioni, almeno per ora, della
giustizia internazionale.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Si riaccende la paura per la
diffusione dell’influenza aviaria. La Cina ha
confermato oggi un nuovo caso di contagio umano, il primo dal 2003. A renderlo
noto, un comunicato del ministero della Salute di Pechino. Intanto l’Indonesia
ha annunciato due nuovi decessi causati dall’influenza aviaria, avvenuti nelle
ultime ore. Il Paese asiatico con 44 vittime si conferma la zona più colpita
dal virus H5N1.
Il prezzo del petrolio, pur
restando vicino ai livelli massimi, rallenta la sua corsa dopo l’impennata di
ieri in seguito all’annuncio della chiusura del più importante giacimento degli
Stati Uniti in Alaska. L’oro nero a New York è stato quotato 76,74 dollari, 24
centesimi in meno rispetto alla chiusura di ieri sera.
Pattuglie spagnole e mauritane hanno intercettato in questi giorni 152
clandestini che cercavano di raggiungere l’arcipelago spagnolo delle Canarie.
Una prima imbarcazione, che trasportava 124 migranti, è stata localizzata
domenica dalle autorità spagnole in acque mauritane.
Un secondo barcone, con a bordo 28 migranti, è stato
fermato ieri da una pattuglia spagnola vicino al porto di Nouadhibou.
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