RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 219  - Testo della trasmissione di lunedì 7  agosto 2006

 

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Ieri all’Angelus il nuovo appello del Papa per la pace in Medio Oriente: ma lo sguardo di Benedetto XVI  è rivolto alle emergenze umanitarie di tutto il mondo

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

1000 morti in Libano in 27 giorni di bombardamenti israeliani: oggi un’altra strage di civili nel Sud-Est del Paese: 40 le vittime, tra cui 9 bambini, secondo fonti locali. Gli hezbollah continuano a lanciare razzi in Galilea: morti ieri 12 riservisti israeliani. Ai nostri microfoni padre Casimiro Gaiowy e Riccardo Noury

 

5000 scout europei, turchi, libanesi ed israeliani in viaggio attraverso l’Italia per scoprire l’unità nella diversità: intervista con Laura Galimberti

 

Al via oggi a Pesaro il Rossini Opera Festival: con noi Mario Martone

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nella parrocchia caldea del Santo Spirito di Mosul, in Iraq, 80 bambini hanno ricevuto la Prima Comunione mentre in città imperversavano esplosioni e spari

 

Il presidente della Conferenza episcopale indiana, mons. Oswald Gracias, critica l’entrata in vigore nel Chattisgarh della legge anticonversione, perché “riduce la libertà di pensiero e credo”

 

Per il cardinale cubano Jaime Ortega la Chiesa non accetterebbe alcun intervento straniero nel Paese

 

Secondo la Banca Mondiale, sono aumentate nell’ultimo decennio le emissioni di anidride carbonica

 

Da oggi, in rete, un nuovo sito internet che monitora in tempo reale il livello di inquinamento da ozono in Europa

 

24 ORE NEL MONDO:

Oggi, il presidente della Colombia, Alvaro Uribe, s’insedia per il suo secondo mandato

 

Aperta in Bolivia l’Assemblea che riscriverà la Costituzione

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

7 agosto 2006

 

DALLA TERRA SANTA ALL’AFRICA, DAL TERRORISMO ALLA POVERTA’,

L’ATTENZIONE COSTANTE DI BENEDETTO XVI ALLE EMERGENZE UMANITARIE

DEL PIANETA E I SUOI RIPETUTI APPELLI ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

PER UN IMPEGNO BASATO SULLA VERITA’ E LA GIUSTIZIA

 

La voce di Benedetto XVI continua con insistenza chiedere la pace per il Libano, nonostante l’amarezza per i precedenti appelli rimasti inascoltati. Da Castel Gandolfo, ieri all’Angelus, il Papa si è richiamato alla coscienza degli uomini di tutte le istituzioni per indurre le parti in conflitto a rinunciare alle armi. In passato, del resto, non solo la crisi libanese ma anche le emergenze che rendono intollerabile la vita di milioni di persone in altre aree del globo – dall’Africa all’Asia, dal terrorismo alla povertà - erano state ricordate con puntualità da Benedetto XVI, soprattutto in determinate occasioni. Ce le ricorda questo servizio di Alessandro De Carolis.

        

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Ogni Pontefice chiamato a guidare la Chiesa ha tra i suoi massimi impegni quello di possedere uno sguardo e un cuore universali, capaci di percepire il respiro del mondo. Questo tratto è tanto più evidente, quando ad essere chiamati in causa sono i grandi valori sui quali l’uomo misura da sempre il proprio agire. La pace è uno di essi. Nei suoi 14 mesi di Pontificato, Benedetto XVI – poggiando il suo magistero sulle grandi linee dottrinali dei suoi predecessori – ha individuato in un altro valore assoluto, la verità, il fondamento della pace, e nel suo opposto, la menzogna, l’ostacolo al suo raggiungimento.

 

Nel giro di una decina di giorni, tra il primo gennaio di quest’anno e il nove, il Papa ha modo di spiegare bene il suo pensiero. In particolare, nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI afferma che l’obiettivo della pace non può prescindere da quattro precisi “impegni” verso la verità. “L’impegno per la verità – afferma anzitutto nel suo lungo intervento - è l’anima della giustizia”. Inoltre, osserva più avanti, “l’impegno per la verità dà fondamento e vigore al diritto di libertà”, quindiapre la via al perdono ed alla riconciliazione” e, in definitiva, “apre a nuove speranze”. E’ come una “spina dorsale”, lungo la quale corrono i nervi che possono muovere il pianeta verso il progresso piuttosto che la distruzione:

 

“Chi è impegnato per la verità non può non rifiutare la legge del più forte, che vive di menzogna e che – a livello nazionale ed internazionale – ha tante volte segnato di tragedie la storia dell’uomo. La menzogna si ammanta spesso di un’apparenza di verità, ma in realtà è sempre selettiva e tendenziosa, egoisticamente rivolta a strumentalizzare l’uomo e, in definitiva a sopraffarlo. Sistemi politici del passato, ma non solo del passato, ne sono un’amara esemplificazione”.

        

“Sul versante opposto – prosegue Benedetto XVI, davanti alla platea degli ambasciatori - si collocano la verità e la veracità, che portano all’incontro dell’altro, al suo riconoscimento ed all’intesa: per quello splendore che le è proprio – lo splendor veritatis - la verità non può non diffondersi; e l’amore del vero è, per suo intrinseco dinamismo, tutto rivolto alla comprensione imparziale ed equanime ed alla condivisione, nonostante qualsiasi difficoltà”. Ovviamente, per il Papa la pace è un dono di Dio, del Dio che ancora Bambino porta una luce nella notte di Betlemme. E qui, Benedetto XVI si rivolge ad ogni individuo con parole che vanno da cuore a cuore: “Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà - scrive nel Messaggio Urbi et Orbi dello scorso Natale - lasciati prender per mano dal Bambino di Betlemme; non temere, fidati di Lui! La forza vivificante della sua luce ti incoraggia ad impegnarti nell’edificazione di un nuovo ordine mondiale, fondato su giusti rapporti etici ed economici. Il suo amore guidi i popoli e ne rischiari la comune coscienza di essere ‘famiglia’ chiamata a costruire rapporti di fiducia e di vicendevole sostegno”. Senza la sua presenza che illumina gli uomini, soggiunge, “è a rischio il futuro del pianeta”. Rischi che Benedetto XVI stigmatizza una settimana più tardi, all’omelia del primo gennaio, della 39.ma Giornata mondiale della pace 1° gennaio 2006:

 

“Di fronte al permanere di situazioni di ingiustizia e di violenza che continuano ad opprimere diverse zone della terra, davanti a quelle che si presentano come le nuove e più insidiose minacce alla pace - il terrorismo, il nichilismo ed il fondamentalismo fanatico - diventa più che mai necessario operare insieme per la pace! È necessario unsussulto’ di coraggio e di fiducia in Dio e nell'uomo per scegliere di percorrere il cammino della pace. E questo da parte di tutti: singoli individui e popoli, Organizzazioni internazionali e potenze mondiali”.

 

Benedetto XVI si richiama più volte all’ONU e al suo mandato di organismo garante dei diritti, promotore della giustizia e della solidarietà. Tuttavia, il suo cuore di pastore si dilata a comprendere tutte le zone di crisi, ben al di là dei riflettori dei media, che per loro natura tendono a nutrire per le singole emergenze un interesse a tempo. Quindi, la Terra Santa, certo, il Libano e l’Iraq: il Papa trova per ciascuno di questi Paesi e zone un auspicio di miglioramento. Ma il suo pensiero prosegue:  

 

“Esso va all’Africa, e soprattutto a Paesi della Regione dei Grandi Laghi, dove ancora si sentono le tragiche conseguenze delle guerre fratricide degli anni passati; va alle inermi popolazioni del Darfur, colpite da esecrabile ferocia, con pericolose ripercussioni internazionali; va a tante altre terre, in diverse parti del mondo, che sono teatro di cruenti contese”.

 

E nel Messaggio Urbi et Orbi della Pasqua di quest’anno, soffermandosi sull’America Latina, il Papa invita i governi del continente a lavorare per consolidare le istituzioni democratiche, migliorando – dice - “le condizioni di vita di milioni di cittadini” ed estirpando “l’esecranda piaga dei sequestri di persona”. Al centro dell’attenzione di Benedetto XVI, c’è appunto l’uomo e la sua vita, come dimostrano ancora le sue parole nell’intervento ai diplomatici del 9 gennaio:

 

“Penso qui alle turbe sterminate di popolazioni che soffrono la fame. Non è pace, la loro, anche se non sono in guerra: della guerra, anzi, esse sono vittime inermi. Alla mente si affacciano spontaneamente anche le immagini sconvolgenti dei grandi campi di profughi o di rifugiati - in diverse parti del mondo - raccolti in condizioni di fortuna, per scampare a sorte peggiore, ma di tutto bisognosi (…) Il pensiero va anche a tutti coloro che condizioni di vita non degne spingono ad emigrare, lontano dal loro Paese e dai loro cari, nella speranza di una vita più umana. Né possiamo dimenticare la piaga del traffico di persone, che resta una vergogna del nostro tempo”.

 

Se, infine, la pace “è aspirazione di ogni persona di buona volontà”, per i cristiani – sottolinea il Papa nell’omelia del primo gennaio 2006 – “è mandato permanente che impegna tutti; è missione esigente che li spinge ad annunciare e testimoniare ‘il Vangelo della Pace’, proclamando che il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace”. E Benedetto XVI conclude: “Possa questa consapevolezza crescere sempre più, sì che ogni comunità cristiana diventi ‘fermento’ di un’umanità rinnovata nell'amore”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Prima pagina – “Nessuno si sottragga al dovere della pace”: il rinnovato e pressante appello di Benedetto XVI di fronte all’amara considerazione che finora sono rimaste inascoltate le voci che chiedevano un immediato cessate-il-fuoco in Medio Oriente. “La Trasfigurazione mariana ci invita ad aprire gli occhi sul mistero della luce di Dio presente nell'intera storia”: la preghiera mariana del Papa all’Angelus domenicale a Castel Gandolfo. Il ricordo di Papa Montini, dono alla Chiesa negli anni del Concilio e del dopo Concilio. Esteri: al voto nelle prossime ore una risoluzione proposta da Francia e USA per la situazione in Medio Oriente.

 

Servizio vaticano - Una riflessione sulla lettura degli “Atti dei martiri”.

 

Servizio estero - Medio Oriente: Haifa e altri centri dell’Alta Galilea martoriati da una pioggia di razzi. Nucleare: l’Iran estenderà i piani di centrifughe atomiche. Il presidente del Parlamento palestinese arrestato in Cisgiordania dagli israeliani. Iraq: una nuova strage insanguina la città di Tikrit.

 

Servizio culturale - Un ricordo di Lucio Fontana e una riflessione sull’inquietudine dello scrittore Giuseppe Bonaviri.

 

Servizio italiano - I temi dell’economia e dei servizi segreti.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

7 agosto 2006

 

 

 

1000 MORTI IN LIBANO IN 27 GIORNI DI BOMBARDAMENTI ISRAELIANI:

OGGI UN’ALTRA STRAGE DI CIVILI NEL SUD-EST DEL PAESE: 40 LE VITTIME,

TRA CUI 9 BAMBINI, SECONDO FONTI LOCALI.  GLI HEZBOLLAH HANNO LANCIATO

UNA VENTINA DI RAZZI IN GALILEA: MORTI IERI 12 RISERVISTI ISRAELIANI

- Interviste con padre Casimiro Gaiowy e Riccardo Noury -

 

Ancora una giornata di guerra in Medio Oriente: l’aviazione israeliana ha bombardato il Sud del Libano, causando decine di vittime. Gli Hezbollah hanno continuato, poi, a lanciare razzi contro Israele. A Beirut, si è aperta intanto la riunione straordinaria della Lega Araba per discutere della situazione nel Paese dei Cedri. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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La diplomazia internazionale prova a stringere i tempi per una tregua, ma il 27.mo giorno di guerra è contrassegnato da una nuova strage: almeno 40 persone sono morte in seguito ad un raid israeliano condotto nel Sud del Paese. Fonti locali riferiscono che tra le vittime di questo attacco ci sono anche 9 bambini, rimasti uccisi tra le macerie di una casa. Il numero complessivo dei morti in Libano, dall’inizio dell’offensiva israeliana scattata lo scorso 12 luglio, è così salito, secondo fonti vicine al ministro della Sanità, ad oltre mille. Un altro bilancio diffuso dall’Alto Comitato per i soccorsi, fa sapere poi che sono stati distrutti, nel Paese dei cedri, 145 ponti e circa 6.800 case. Sull’altro fronte, un soldato israeliano è morto, nel Sud del Libano, durante scontri tra forze dello Stato ebraico e guerriglieri Hezbollah. E’ salito inoltre a 12 il numero dei soldati israeliani riservisti uccisi ieri in seguito al lancio di razzi, da parte di combattenti sciiti, contro il Nord di Israele. Complessivamente, sono quasi 100 i morti israeliani dall’inizio del conflitto. A Beirut, intanto, è iniziata poco fa l’attesa riunione straordinaria, promossa dalla Lega Araba, per esaminare il rifiuto libanese alla bozza di risoluzione dell’ONU, messa a punto da Francia e Stati Uniti. Il premier libanese, Fuad Siniora, aprendo l’incontro e riferendosi all’offensiva israeliana di oggi ha parlato di “terrorismo di Stato”. I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si incontreranno poi oggi pomeriggio, a New York, per decidere se portare una correzione alla bozza in cui si preveda il ritiro immediato dell’esercito israeliano dal Sud del Libano, come dalla Lega Araba. Il presidente siriano, Bashar al-Assad, ha già avvertito il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, che se la bozza sarà approvata senza il consenso degli Stati dell’area mediorientale, l’instabilità nella regione potrebbe aumentare. Nei Territori non si placano, infine, le polemiche dopo l’arresto, del presidente del Parlamento palestinese, Abdelaziz Dweik, esponente di Hamas, dal carcere israeliano dov’è rinchiuso,Dweik, ha fatto sapere che non accetterà di essere usato come “'merce di scambio” per la liberazione del soldato israeliano, rapito il 25 giugno da miliziani palestinesi.

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E in Libano è sempre più difficile la distribuzione degli aiuti: il patriarca maronita, cardinale Nasrallah Sfeir, ha ammonito e condannato tutti coloro che “approfittano dei drammi dei loro concittadini per realizzare guadagni”. Così facendo – ha detto ieri il patriarca – ottengono “denaro di cui non hanno diritto, perché è il denaro degli sfollati, dei bisognosi, delle vittime della catastrofe”. Sulla situazione umanitaria in Libano, Paolo Ondarza ha sentito padre Casimiro Gaiowy, salesiano della casa don Bosco di El Houssoun, nei dintorni di Beirut:

 

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R. – La situazione ogni giorno peggiora: più dura questo conflitto, più aumenta il numero degli sfollati. Oggi possiamo dire chiaramente che un quarto della popolazione del Libano è sfollata: più di un milione di persone. Manca tutto; ultimamente ho sentito che per una bottiglia di acqua potabile bisogna pagare anche fino a dieci dollari; ma anche la situazione psicologica, morale è sempre più difficile. Questa bozza di risoluzione delle Nazioni Unite non ha dato, per adesso, alla popolazione libanese, specialmente agli sfollati, nessuna speranza.

 

D. – Ripetuti gli appelli di pace da parte di Benedetto XVI, l’ultimo ieri all’Angelus. Quale la risonanza delle parole del Santo Padre?

 

R. – La risonanza nella nostra zona è proprio che la gente si da più dà fare, specialmente i cristiani della nostra area; la gente accetta più i rifugiati perché qui vivono insieme cristiani e i musulmani sciiti che sono venuti qui. I cristiani si rendono conto di dover testimoniare che la pace è possibile.

 

D. – C’è il pericolo di uno spopolamento della comunità cristiana in Libano?

 

R. – Per il momento no. I cristiani sono rimasti al loro posto; ma noi ci preoccupiamo per il futuro, perché se i cristiani si sentiranno in qualche modo minacciati, questo potrebbe provocare proprio una migrazione di massa. Una situazione che potrebbe far partire i cristiani dal Libano è poi la distruzione del Paese. Dopo le stragi nel Nord di Israele di ieri, come si “vendicherà” Israele? Abbiamo sentito che ci sono dei progetti di distruggere le centrali elettriche, dell’acqua potabile… Questo sarebbe un disastro totale per questo Paese. Allora non so chi penserà di rimanere, chi sarà capace di continuare a vivere in Libano.

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Una “veglia globale” per il cessate-il-fuoco tra Israele ed Hezbollah. È l’iniziativa organizzata per oggi a livello mondiale da Amnesty International. La mobilitazione coinvolge almeno 22 città di tutti i Continenti. Dall’Italia - dove i partecipanti si ritroveranno dalle 19 alle 22 in piazza del Colosseo a Roma - all’Australia, dal Cile al Nepal, dalla Sierra Leone agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna a Taiwan, migliaia di persone chiederanno la fine delle ostilità in Medio Oriente. Proprio sull’iniziativa, Giada Aquilino ha intervistato Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International:

 

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R. – Attraverso la mobilitazione, chiediamo un immediato cessate-il-fuoco tra Israele e Hezbollah, come condizione imprescindibile per bloccare questo numero sempre più elevato di perdite tra i civili e consentire ai profughi e agli sfollati di guadagnare sicurezza in condizioni di tranquillità. E’ l’unica soluzione possibile per alleviare la sofferenza di una popolazione complessiva di oltre un milione di persone al confine tra Libano e Israele, interessata da queste settimane di attacchi che hanno poi colpito essenzialmente i civili.

 

D. – Amnesty International è presente sia in Libano, sia in Israele. Quali sono le notizie dal terreno? Si parla di mille morti, ormai …

 

R. – Per quanto riguarda il Libano, stiamo verificando notizie che indicano crimini di guerra. In particolare, venerdì scorso c’è stato un attacco contro un villaggio al confine siro-libanese, che avrebbe causato tra le 20 e le 30 vittime civili. Un attacco immotivato perché quella fattoria era un luogo in cui c’erano dei civili che stavano raccogliendo della frutta. C’è una missione in corso anche in Israele: stiamo portando solidarietà alle vittime degli attacchi continui con i razzi lanciati dagli Hezbollah e verificando tutte le informazioni che - pure su questo fronte - indicano crimini di guerra.

 

D. – In particolare, sulla strage di Cana, Amnesty chiede un’inchiesta indipendente …

 

R. – Quella condotta dall’esercito israeliano si è rivelata profondamente inadeguata, perché ha sostenuto che, secondo le informazioni su cui si sono basati i militari per condurre l’attacco, il palazzo abbattuto a Cana era privo di civili. In realtà, secondo le testimonianze raccolte da Amnesty direttamente sul posto, quell’edificio era abitato da profughi che stavano lì da 10-15 giorni, che uscivano regolarmente per prendere aria, fare due passi, lavare i panni. Si trattava quindi di persone che potevano essere state viste dagli aerei-spia israeliani che hanno sorvolato ripetutamente la zona nei giorni precedenti l’attacco.

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5000 SCOUT EUROPEI, TURCHI, LIBANESI ED ISRAELIANI IN VIAGGIO

ATTRAVERSO L’ITALIA PER SCOPRIRE L’UNITA’ NELLA DIVERSITA’

- Intervista con Laura Galimberti -

 

5000 giovani scout europei, turchi, libanesi ed israeliani hanno iniziato ieri un viaggio attraverso l’Italia per confrontarsi e gettare le basi di un futuro di pace e solidarietà. È “Roverway 2006”, manifestazione itinerante organizzata da associazioni scout internazionali e dall’italiana FIS (Federazione Italiana dello Scautismo) per promuovere lo scambio ed il dialogo tra culture diverse. Motto dell’evento, che si svolge sul tema del Rinascimento fiorentino, è: “Osa la condivisione”. La manifestazione si concluderà il 14 agosto a Loppiano, cittadella internazionale del movimento dei Focolari nei pressi di Firenze. Chiara Di Mattia ha intervistato Laura Galimberti, responsabile del progetto:

 

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R. - Questo progetto “Roverway” è un grande ritrovo di scout e guide a livello europeo, itinerante perché il metodo scout prevede la metodologia del cammino, della strada, come possibilità di misurarsi, di conoscere se stessi e gli altri, i territori che attraversano. Abbiamo scelto di farlo in tutte le regioni italiane.

 

D. – Il quadro storico di riferimento che è stato scelto, è il Rinascimento fiorentino. Come mai?

 

R. – Il Rinascimento c’è piaciuto perché non solo è un periodo di grande splendore in Italia, ma in tutta Europa è stato anche un momento di grande fermento e di grandi crisi. Accanto ad uno sviluppo delle arti, delle tecniche, si sono avuti anche dei momenti di crisi; le scoperte geografiche per esempio si sono accompagnate anche a dei grandi eccidi. Quindi in realtà non vogliamo fare solo la memoria del passato, ma vorremmo che il Rinascimento diventasse un po’ la metafora del mondo di oggi. Anche oggi pensiamo che i ragazzi abbiano di fronte a loro grandi possibilità, grandi splendori ma anche grossissimi problemi, gravi crisi e non si devono lasciare scoraggiare da ciò. Nonostante questi problemi, devono andare avanti, riuscendo a ritrovare la speranza anche in queste difficoltà.

 

D. – Il motto della edizione di quest’anno è “Osa per condividere”. Cosa devono condividere questi giovani che vengono alla manifestazione?

 

R. - Innanzitutto questo cammino che faranno insieme, quindi imparare attraverso la conoscenza reciproca ad accettarsi nelle loro differenze di cultura, di religione, di lingua. Poter confrontarsi li aiuterà ad accettarsi e a scoprirsi nelle reciproche ricchezze oltre che nei problemi che inevitabilmente si presenteranno. Siamo convinti che questo è anche un po’ un messaggio, che il movimento scout può dare all’esterno, di unità nella diversità e anche nel rispetto reciproco.

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OGGI A PESARO SI APRE IL ROSSINI OPERA FESTIVAL

- Intervista con Mario Martone -

        

Il Rossini Opera Festival apre questa sera al Teatro Rossini di Pesaro la sua ricca XXVII edizione con la prima assoluta in edizione critica di Torvaldo e Dorliska, opera semiseria del compositore pesarese. Una partitura dal raro ascolto che contiene bellissime pagine musicali. Voci rossiniane famose come quelle di Michele Pertusi e Darina Takova e molta curiosità per la regia di Mario Martone. Sul podio, alla guida dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, lo spagnolo Vìctor Pablo Pérez. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

 

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         “Carissima Madre, ieri sera andò in scena la mia opera intitolata Torvaldo e Dorliska ossia una le paga Tutte. L’esito di questa fu buono e Galli Donzelli e Rumorini, due dei protagonisti, fecero un fanatismo, e veramente la fanno bene. Il Pubblico non ride perché l’opera è sentimentale, ma però applaudisce e questo basta”. Sono le parole che Gioachino scrisse alla madre all’indomani della prima, dall’esito non troppo caloroso, dell’opera menzionata, che avvenne a Roma, al Teatro Valle, il 26 dicembre 1815.  Una vicenda esecutiva non felice, quella del Torvaldo, sulla quale gravò un progressivo disinteresse della critica e del pubblico. Ma questa sera il titolo, ai più sconosciuto, che si avvale di un pregevole libretto di Cesare Sterbini, lo stesso che di lì a pochissimo scrisse quello del ben più celebre Barbiere di Siviglia, torna finalmente alla luce in un allestimento molto atteso, e per molteplici ragioni. Non solo per la rarità dell’esecuzione e l’eccellenza degli interpreti vocali, ma per la regia di Mario Martone, che già due anni fa si cimentò in una splendida e altrettanto rara Matilde di Shabran offrendo veri e indimenticati stupori visivi. Abbiamo chiesto al regista, che si confronta ancora una volta con un titolo dai tipici e ambigui caratteri semi-seri, se questo risulta un caso fortuito o risponde, invece, ad una scelta sostenuta da una precisa curiosità drammaturgica e musicale:

 

R. - La scelta è della direzione, della sovrintendenza del Festival, che mi ha richiamato dopo gli esiti di Matilde di Shabran proprio per affrontare un’opera semi-seria che in questo caso viene considerata ancora più difficile da mettere in scena. Quindi mi auguro che questa seconda volta riesca a tenere il confronto con l’esito davvero felice di Matilde di Shabran. Lo spero perché è un’opera che mi è sembrata molto bella.

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CHIESA E SOCIETA’

7 agosto 2006

 

IRAQ: NELLA PARROCCHIA CALDEA DEL SANTO SPIRITO DI MOSUL 80 BAMBINI

HANNO RICEVUTO LA PRIMA COMUNIONE MENTRE IN CITTÀ

IMPERVERSAVANO ESPLOSIONI E SPARI

 

MOSUL. = Ottanta bambini della parrocchia caldea del Santo Spirito di Mosul, in Iraq, hanno ricevuto la Prima Comunione venerdì scorso, mentre la città era teatro di violenti scontri. “La cerimonia in chiesa era iniziata presto, alle 7.30 del mattino – ha raccontato all’agenzia Asianews il parroco Ragheed Ganni – poi abbiamo sentito esplosioni e spari. La cosa non ci è nuova, la gente è rimasta calma, ma ha iniziato a pensare se e come sarebbe riuscita a tornare a casa. Accortomi che l’immensa gioia dei bambini che ricevevano l’Eucarestia si stava trasformando in panico, ho cercato di sdrammatizzare”. E così, ai bambini il parroco ha spiegato che la città stava festeggiando la loro Prima Comunione con fuochi d’artificio, facendo poi uscire velocemente e con calma dalla chiesa tutti i fedeli. “Siamo felici – ha detto il parroco – di aver portato a termine la preparazione di questi bambini, anche mentre la città era in circostanze così dolorose e pericolose. Sentiamo che le preghiere di migliaia di persone ci accompagnano. Uniti a loro abbiamo pregato e continuiamo a pregare per la pace in Iraq, Libano e in tutto il mondo”. (T.C.)

 

 

 IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE INDIANA, MONS. OSWALD GRACIAS, CRITICA L’ENTRATA IN VIGORE NEL CHATTISGARH DELLA LEGGE ANTICONVERSIONE.

PER IL PRESULE, “RIDUCE LA LIBERTÀ DI PENSIERO E CREDO DI OGNI CITTADINO”

 

MUMBAI. = Il presidente della Conferenza episcopale dell’India (CBCI), mons. Oswald Gracias, ha criticato l’approvazione della legge anticonversione nel Chattisgarh, affermando che essa “riduce la libertà di pensiero e credo di ogni cittadino”. Il 3 agosto, scrive l’agenzia Asianews, il Chattisgarh - retto dal Partito nazional-fondamentalista del Bharatiya Janata Party (BJP) - ha dato il via libera alla normativa che obbliga chiunque voglia cambiare religione a comunicarlo un mese prima al magistrato distrettuale, che concederà o meno il permesso. Chi viola questa regola viene punito con una multa che oscilla fra le 50 e le 100 mila rupie, oltre alla detenzione fino a tre anni. Stessa pena per coloro che operano “conversioni forzate”. Secondo mons. Gracias, si tratta di una legge “incostituzionale, che va contro la libertà religiosa garantita dalla Costituzione”. Essa “viola la libertà personale di ogni individuo, invadendo lo spazio più intimo e sacro di una persona: la sua libertà di coscienza”. In India, la libertà di religione è garantita dall’art. 25 della Costituzione, che permette ad ogni cittadino di professare e propagare in piena libertà il proprio credo. Secondo il governo del Chattisgarh, la legge entrata di recente in vigore “non si scontra in alcun modo con la Carta costituzionale, ma anzi la difende”. Mons. Gracias vede in questa iniziativa politica del BJP il “segno di un regime totalitario”. “La Chiesa – ricorda – è totalmente contraria alle conversioni forzate e questa legge dà ad alcune persone il potere di perseguitare cristiani e leader religiosi”. Il presidente della CBCI ha fatto notare, poi, come la norma non contempli tra le conversioni anche quelle all’induismo, ritenute semplicemente un “ritorno alla religione degli antenati o alla religione originaria”. (T.C.)

 

 

L’EPISCOPATO CUBANO CHIEDE DI PREGARE PER IL PRESIDENTE FIDEL CASTRO

E PERCHÉ DIO ILLUMINI COLORO CHE IN QUESTO MOMENTO

RICOPRONO RESPONSABILITÀ DI GOVERNO

- A cura di Paolo Mastrolilli -

 

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L’AVANA. = I vescovi di Cuba chiedono a tutte le comunità di offrire preghiere affinché Dio accompagni il presidente Fidel Castro nella sua malattia e illumini coloro che hanno ricevuto provvisoriamente le responsabilità di governo. Questo è un passaggio del comunicato, letto ieri dal cardinale Jaime Ortega, prima della Messa nella Cattedrale di L’Avana. Quindi, l’arcivescovo della capitale ha proseguito così: “Alla Vergine della Carità del Cobre, patrona di Cuba, affidiamo tutto quanto ci preoccupa in questa ora della storia della nostra patria, con un profondo desiderio di pace e convivenza fraterna tra tutti i cubani, affinché non possano essere perturbati da alcuna situazione esterna o interna”. Parlando con la Radio Vaticana, al termine della celebrazione, il cardinale ha detto che la Chiesa non prende posizioni politiche, ma resta vigile, come in ogni passaggio della vita di Cuba. Il porporato ha aggiunto che i fedeli devono confidare in Dio, che guida dall’alto l’evolversi della storia. Le autorità di L’Avana, nel frattempo, hanno smentito le notizie pubblicate dalla stampa brasiliana, secondo cui i diplomatici cubani avrebbero informato il presidente Lula che Castro ha un tumore all’addome e sarebbe più grave di quanto non sia stato rivelato. Il vicepresidente Lage ha affermato invece che, dopo l’intervento chirurgico, le condizioni del leader sono migliorate: si è potuto alzare nel letto e riesce ad alimentarsi da solo.

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SONO AUMENTATE NELL’ULTIMO DECENNIO LE EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA.

A LANCIARE L’ALLARME UNO STUDIO DELLA BANCA MONDIALE

 

ROMA. = Preoccupano i dati sulle emissioni di anidride carbonica rese note dalla Banca mondiale. In uno studio dell’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, contenuto nel Piccolo Libro Verde 2006 sulla situazione energetica e ambientale, emerge che dal 1992 al 2002 le emissioni di anidride carbonica (CO2) sono aumentate del 15 per cento. La leadership negativa di questo incremento l’hanno assunta Cina e India. Nel decennio preso in considerazione, risulta che la Cina ha aumentato le proprie emissioni del 33 per cento, mentre l’India registra un incremento pari al 57 per cento. La vertiginosa crescita economica di questi due Paesi fa presumere una tendenza destinata ad aumentare, nel breve ma ancor più nel medio-lungo periodo. I Paesi che fanno registrare il più alto tasso di emissioni inquinanti sono, per lo più, quelli ricchi e industrializzati. Gli Stati Uniti sono in testa alla top ten contribuendo per il 24 per cento del totale, mentre l’Unione Europea si ferma al 10 per cento. Senza contare che le Nazioni ricche consumano oltre la metà dell’energia prodotta nel mondo e fanno registrare un fabbisogno pro capite che è circa undici volte superiore a quello dei Paesi poveri. (T.C.)

 

 

DA OGGI, IN RETE, UN NUOVO SITO INTERNET CHE MONITORA IN TEMPO REALE

IL LIVELLO DI INQUINAMENTO DA OZONO IN EUROPA

 

COPENAGHEN.= Da oggi, sul web, è possibile monitorare in tempo reale il livello di inquinamento da ozono sul suolo europeo. Ad offrire tale opportunità è il sito internet Ozone Web - all’indirizzo www.eea.europa.eu/maps/ozone/welcome - promosso dall’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) di Copenaghen. L’agenzia elabora e presenta in rete i dati raccolti ogni ora da oltre 500 stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. Consultando Ozone Web, è possibile inoltre trovare informazioni sulle conseguenze per la salute dell’esposizione ai diversi livelli di ozono. L’inquinamento da ozono, infatti, che irrita le vie aeree causando difficoltà di respirazione e danneggiando i polmoni, è responsabile di 20 mila morti in Europa ogni anno. Inoltre, circa il 30 per cento della popolazione urbana europea è esposta a concentrazioni di ozono che superano le soglie fissate dall’UE. “Nella sua dimensione di progetto europeo comune, Ozone Web, riflette la natura internazionale del problema dell’inquinamento atmosferico – ha detto Jacqueline McGlade, direttore esecutivo dell’AEA – l’inquinamento prodotto in un luogo, infatti, può provocare conseguenze altrove a molte centinaia di chilometri di distanza. Per il direttore esecutivo dell’AEA, il sito Internet costituisce un esempio eccellente di come l’UE possa creare forme di collaborazione tra gli Stati membri al fine e di offrire nuovi strumenti e servizi ai cittadini.  “L’Unione Europea ha fissato l’obbligo per gli Stati membri di avvertire i propri cittadini quando l’ozono raggiunge particolari livelli – ha spiegato Jacqueline McGlade – tuttavia Ozone Web fa molto di più, permettendo di controllare direttamente i livelli di ozono in qualsiasi momento ovunque ci si trovi”. Grazie ad Ozone web, sarà possibile verificare i livelli di ozono nei Paesi vicini o nelle località di vacanza, controllare le tendenze più recenti e seguire la propagazione dell’ozono trasportato dal vento attraverso l’Europa. Tra i Paesi che oggi risultano più colpiti dall’inquinamento vi sono l’Austria, la Francia, il Belgio, la Germania, la Grecia, l’Italia, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Romania, la Slovenia e la Svizzera. Picchi record di allarme inquinamento sono stati raggiunti nell’estate del 2003 e durante alcuni giorni del periodo giugno-luglio 2005. (A.Gr.)

 

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

7 agosto 2006

 

- A cura di Fausta Speranza -

        

Tre soldati americani sono morti ieri sera per l’esplosione di una bomba nell'area di Baghdad, mentre per tutta la notte il quartiere di Sadr City è stato teatro di violenti scontri. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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I tre militari USA morti sono i primi caduti americani dopo l'arrivo recente nella capitale irachena di 3.700 soldati di rinforzo con il compito di cercare di ristabilire la sicurezza. E intanto l'agenzia di stampa AFP fa sapere che in base al bilancio fatto su cifre del Pentagono, dall'inizio delle operazioni militari in Iraq nel marzo del 2003, sono 2.590 i soldati americani morti. La bomba che ha ucciso i militari USA è esplosa nell’area della città mentre, per tutta la notte nel quartiere sciita di Sadr City sono stati violenti gli scontri  tra miliziani dell'esercito del Mehdi  e soldati dell'esercito iracheno appoggiati dall'aviazione americana. Secondo il ministero della Difesa, due miliziani sono morti ed altri tre sono rimasti feriti, come due soldati dell'esercito. Ci sono poi le fonti ospedaliere che sostengono che sono state uccise tre persone, tra cui una donna e una bambina, mentre l’esercito americano parla di un soldato USA ferito. Secondo il portavoce del ministero iracheno, obiettivo dell'operazione dell'esercito era l'arresto di un dirigente dell'esercito del Mehdi, la milizia del capo sciita radicale Moqtada Sadr. Da parte del movimento stesso, invece, si sostiene che ‘'le forze di occupazione hanno risposto alle manifestazioni di venerdì contro l'intervento israeliano in Libano, con attacchi aerei contro le case. Sadr City, un bastione radicale sciita in cui abitano circa 2,5 milioni di persone, è considerato uno dei centri nevralgici dei cosiddetti “squadroni della morte” responsabili di omicidi e violenze, e venerdì è stato teatro di un’imponente manifestazione di centinaia di migliaia di persone a sostegno del Libano. 

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In Afghanistan un soldato britannico della Forza internazionale d’assistenza alla sicurezza è stato ucciso ieri durante un combattimento nella provincia di Helmand. Si tratta del nono soldato ISAF ucciso nel Sud del Paese da quando lunedì scorso la NATO ha preso il comando delle operazioni militari nella regione. Nella stessa regione le forze di sicurezza afghane hanno ucciso almeno 17 ribelli in due diversi scontri.

Almeno 191 persone sono morte per le inondazioni causate la notte scorsa dalle piogge torrenziali abbattutesi sulla città etiopica di Dire Daua e dintorni, nell'Etiopia orientale. Lo ha annunciato ieri sera la polizia locale. Tra le 191 vittime finora accertate, “39 erano bambini di meno di 7 anni”, ha precisato il commissario. Un altro responsabile della polizia locale fa sapere che sono stati censiti da 2.000 a 3.000 sfollati, ai quali il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e organizzazioni governative etiopiche, stanno cercando di fornire rifugio e appoggio, pur continuando le ricerche per trovare eventuali superstiti e altri corpi.  Il responsabile locale della Croce Rossa, Kefelwe Alemu, ha definito la situazione una ''enorme catastrofe''.

 

“Pienamente fondate” Così il procuratore nazionale serbo per le indagini sui criminali di guerra dell'era Milosevic, Vladimir Vukcevic, ha definito le asserzioni di Carla Del Ponte, procuratore presso il tribunale internazionale dell’Aja (TPI), secondo cui il super ricercato serbo-bosniaco Ratko Mladic, inseguito vanamente dalla giustizia internazionale da 11 anni, si troverebbe tuttora in Serbia. Vukcevic - magistrato di nuova scuola ritenuto dal TPI uno dei non molti partner belgradesi affidabili nella caccia ai latitanti - ha parlato della questione in un'intervista pubblicata oggi dal tabloid Blic. E lo ha fatto dopo essere stato nominato coordinatore operativo di un piano d'azione varato or ora dal governo serbo del premier Vojislav Kostunica per dare maggiore credibilità alle indagini su Mladic e sugli altri cinque ricercati di primo piano rimasti finora alla macchia, il cui mancato arresto è costato a maggio a Belgrado la sospensione dei negoziati d'integrazione europea.

 

Nuovo passo in avanti di Evo Morales nel percorso studiato per rifondare lo Stato boliviano. Il presidente ha inaugurato ieri i lavori dell’Assemblea costituente che dovrà approvare una Carta costituzionale in grado di dare più spazio ai diritti dei contadini e degli indigeni del Paese andino. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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In un discorso davanti ai 255 membri dell’Assemblea, che ha il compito di riscrivere la Costituzione, il capo dello Stato ha detto con entusiasmo che è arrivato il grande giorno che cambierà la storia nera scritta dal periodo coloniale. “Questa Assemblea - ha concluso - ha ottenuto poteri grandissimi, cui tutto e tutti, compreso il mio stesso incarico, sono sottoposti”. Da parte sua, il vice presidente Alvaro Garcia Linera ha sostenuto che quella avvenuta in Bolivia è stata una rivoluzione pacifica, promossa dai movimenti sociali, e che ora quello che si cerca è una ridistribuzione legittima del potere politico e della ricchezza. Infine è intervenuta Silvia Lazarte, dirigente contadina dei coltivatori della coca, designata come presidente dell’Assemblea, che ha tra sei e nove mesi di tempo per redigere il nuovo testo costituzionale. “Per la prima volta nella storia – ha ricordato – siamo qui per decidere il nostro futuro: anche donne ed indigeni che hanno vissuto sempre emarginati”.

 

Dall’America Latina, Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio Vaticana.

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Da oggi il presidente della Colombia, Alvaro Uribe, inizia ufficialmente il secondo mandato che scadrà nel 2010. Dopo oltre 50 anni, è la prima volta che un governante colombiano viene rieletto ed è stato possibile grazie alla riforma costituzionale dell’ultima ora. Uribe è stato riconfermato con un sostegno elettorale fortissimo: il 28 maggio scorso, infatti, ha vinto al primo turno con il 62,2 % dei voti. Eletto per la prima volta il 7 agosto 2002, Uribe, dunque, ha davanti a sé altri quattro anni per attuare ciò che lui stesso ha definito “la seconda fase per raggiungere la pacificazione”. La nota di Luis Badilla:

 

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Oltre alle grandi questioni socio-economiche, che includono un allarmante fenomeno di povertà e d’impoverimento generalizzato dei ceti medi, Uribe – secondo quanto dichiarato durante la campagna elettorale – dovrà tentare la carta della pacificazione con i due gruppi guerriglieri che operano nel Paese da molti anni: le FARC (Forze armate rivoluzionarie colombiane) e l’Esercito di liberazione nazionale (ELN). L'economia colombiana, dissestata dalla guerra infinita e dalle scelte neoliberiste selvagge, è al collasso: fino a venti anni fa, 39 persone su cento guadagnavano meno di due dollari al giorno, nel 1999 erano 49 e oggi, secondo la Banca Mondiale, sono 67. 33milioni di colombiani vivono attualmente al di sotto della linea di povertà e di questi, 11 milioni sono indigenti, ossia dispongono di un reddito quotidiano inferiore ad un dollaro che non assicura loro condizioni vitali minime di nutrizione. Si presenta così la Colombia del terzo millennio: un Paese che la FAO inserisce tra i primi dieci più affamati al mondo, dove la povertà si moltiplica esponenzialmente colpendo ogni anno un milione e mezzo di persone in più e dove il numero di bambini che muoiono nel primo anno di vita è cresciuto da 380.000 a 500.000 negli ultimi cinque anni. Per quanto riguarda la pacificazione, nel caso dell’Esercito di liberazione nazionale, esiste già una strada possibile, anche se molto difficile: sono i colloqui esplorativi, l’ultimo dei quali si è svolto all’Avana dal 25 al 29 aprile. Ma allo stato attuale, sembra impossibile un’apertura di trattative con le FARC, il gruppo ribelle numericamente più consistente, legato a settori del narcotraffico. I guerriglieri sostengono che prima si dovrebbe far da parte il presidente e, pochi giorni fa, ancora hanno ribadito che “Uribe rimane un obiettivo militare”. Intanto la Chiesa cattolica, che nel conflitto interno colombiano ha pagato prezzi umani altissimi (con l’uccisione – tra l’altro – di due vescovi), si prepara a lanciare nei prossimi giorni (dal 3 al 10 settembre) la “Settimana per la pace: giustizia sociale e riconciliazione”. La proposta dei vescovi è in linea con l’appello rivolto ai candidati durante la campagna elettorale e ribadito oggi al presidente riconfermato: “Protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale; riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo ed una donna basata sul matrimonio; tutela del diritto dei genitori ad educare i propri figli”.

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Nuovi scontri in Sri Lanka: le forze di sicurezza di Colombo hanno ripreso ieri i bombardamenti contro le postazioni delle Tigri Tamil, subito dopo che i separatisti avevano annunciato il loro ritiro dal distretto di Trincomalee, nel Nord-Est del Paese. Pesanti le critiche piovute sull’esercito regolare, accusato dai ribelli di aver ucciso 15 Tamil che lavoravano per un'organizzazione non governativa. In questo quadro, si svolge a Kilinochchi, “capitale” politica dei ribelli nel Nord del Paese, la mediazione dell’inviato norvegese Jon Hanssaen-Bauer.

 

Un indonesiano di 16 anni è risultato positivo al test per il virus H5N1, all'origine dell'influenza aviaria. Originario di un sobborgo di Jakarta, il ragazzo è ricoverato in un centro specializzato dell'ospedale Sulianti Soroso della capitale indonesiana. Secondo il responsabile del centro di informazione per l'influenza aviaria presso il ministero della Salute indonesiano, il giovane è stato a contatto con polli contagiati dall'H5N1 e ha dunque contratto il virus in uno dei tanti allevamenti di pollame diffusi in tutte le province. Campioni delle analisi saranno inviati negli Stati Uniti e sottoposti a controlli ulteriori ad Atlanta, nei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie. A partire dal 2003, quando in Indonesia si verificarono i primi casi di influenza aviaria, le persone morte nell'arcipelago asiatico a causa del virus H5N1 sono state 42, un numero uguale a quello del Vietnam dove però quest'anno non si sono verificati casi mortali.

 

Le autorità delle Filippine hanno messo in guardia oggi da un’eruzione “imminente” del vulcano Mayon, e dato così il via all'evacuazione di decine di migliaia di persone in una regione centrale dell'arcipelago del Sud-Est asiatico. L'Istituto nazionale di vulcanologia e sismologia ha innalzato a quattro il livello d'allarme, a fronte di un livello cinque che indica attività eruttive in pieno svolgimento. Gli studiosi del centro ritengono che un'eruzione del Mayon potrebbe verificarsi nei prossimi giorni e interessare un'area in cui vivono 60mila persone. Secondo quanto riferito da Avelino Cruz, segretario alla Difesa filippino, 420 automezzi dell'esercito sono stati inviati nella regione dove sorge il vulcano per supportare il trasferimento di oltre 34mila persone in 31 centri di accoglienza temporanei.

 

In Cina dal 2004 a oggi si sono verificati almeno 72 casi nei quali le forze di sicurezza hanno impedito, a volte con la forza, ai giornalisti stranieri di svolgere il loro lavoro. In dieci occasioni i reporter e le loro fonti hanno subito violenze fisiche, e altrettanti sono stati i casi di distruzione di materiale visivo. E’ quanto risulta da un'indagine condotta dal Club dei corrispondenti stranieri in Cina. In un comunicato diffuso oggi a Pechino, il comitato direttivo del Club ricorda che questi episodi avvengono “due anni prima che 20mila giornalisti di tutto il mondo arrivino a  Pechino per l'apertura delle Olimpiadi, l'8 agosto del 2008”. “Nella maggior parte dei casi - si legge nel comunicato - la polizia ha arrestato i giornalisti mentre coprivano notizie di  carattere sociale, come proteste contro l'inquinamento, dispute  in materia di terreni o il dramma dei malati di Aids”.

 

 

 

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