RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 218  - Testo della trasmissione di domenica 6 agosto 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

All’Angelus, nella Festa della Trasfigurazione, nuovo appello del Papa per il Medio Oriente: nessuno si sottragga al dovere della pace. Benedetto XVI ricorda anche il 28.mo anniversario della morte di Paolo VI

 

“La guerra è la peggiore soluzione per tutti, anche per gli apparenti vincitori”: così il Papa, ieri a Castel Gandolfo, in una intervista rilasciata alla Radio Vaticana e ad alcune tv tedesche

 

Messaggio del Papa al III Incontro continentale africano del Foro Internazionale Azione Cattolica (FIAC), in corso in Uganda: ai nostri microfoni, mons. Francesco Lambiasi

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

“Ricordare il passato è impegnarsi per il futuro”: 61 anni fa, il bombardamento atomico su Hiroshima e 25 anni fa la memorabile visita di Giovanni Paolo II nella città simbolo dell’olocausto nucleare

 

L’impegno dell’Associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” alle comunità ecclesiali perseguitate nel mondo: ce ne parla Attilio Tamburrini

 

In corso a Pavia il Meeting internazionale dei giovani agostiniani: ai nostri microfoni, padre Francesco Giuliani, Ileana Bertocchi e padre Robert Prevost  

 

CHIESA E SOCIETA’:

Ieri, nelle Grotte Vaticane, cardinali e vescovi hanno ricordato con una Messa il 28.mo anniversario della morte di Paolo VI

 

In Camerun e in Nigeria, uccisi due sacerdoti

 

Sonia Gandhi critica le cosiddette leggi anti-coversione  in India

 

24 ORE NEL MONDO:

Continuano gli attacchi israeliani in Libano e il lancio di razzi degli hezbollah in Galilea. L’ONU cerca le vie della pace

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

6 agosto 2006

 

ALL’ANGELUS, NELLA FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE, NUOVO APPELLO DEL PAPA

PER IL MEDIO ORIENTE: NESSUNO SI SOTTRAGGA AL DOVERE DELLA PACE.

BENEDETTO XVI RICORDA ANCHE IL 28.MO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PAOLO VI

 

Il Papa, oggi all’Angelus a Castel Gandolfo, ha lanciato un nuovo appello di  pace  “per le popolazioni del Medio Oriente sconvolte da lotte fratricide”: nella Festa della Trasfigurazione ha invitato tutti “ad aprire gli occhi del cuore sul mistero della luce di Dio” che vince “il potere delle tenebre del male”: nessuno – ha detto – si sottragga al “dovere” della pace, “impegno di tutti gli uomini di buona volontà”. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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Nella Festa della Trasfigurazione il Papa ha parlato della luce della vita e delle tenebre del male.  “La luce – ha affermato - è un segno che rivela qualcosa di Dio: è come il riflesso della sua gloria” e descrive “la stessa essenza di Dio”. “Sul volto trasfigurato di Gesù brilla un raggio della luce divina”, anticipo della Risurrezione:

 

“La sua risurrezione ha debellato per sempre il potere delle tenebre del male. Con Cristo risorto trionfano la verità e l’amore sulla menzogna e il peccato. In Lui la luce di Dio illumina ormai definitivamente la vita degli uomini e il percorso della storia:Io sono la luce del mondo – Egli afferma nel Vangelo –. Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita’ (Gv 8,12).

 

“Quanto abbiamo bisogno, anche, particolarmente, in questo nostro tempo – ha esclamato – di emergere dalle tenebre del male, per sperimentare la gioia dei figli della luce!”. Il male, le tenebre sono la guerra: e il Papa affida all’intercessione della Vergine il dono della pace per le popolazioni del Medio Oriente:

 

“Ben sappiamo che la pace è prima di tutto dono di Dio, da implorare con insistenza nella preghiera, ma in questo momento vogliamo anche ricordare che essa è impegno di tutti gli uomini di buona volontà. Che nessuno si sottragga a tale dovere! Pertanto, di fronte all’amara constatazione che finora sono rimaste inascoltate le voci che chiedevano un immediato cessate-il-fuoco in quella martoriata regione, sento l’urgenza di rinnovare il mio pressante appello in tal senso, chiedendo a tutti di offrire il loro fattivo contributo alla costruzione di una pace giusta e duratura”.

 

Infine, Benedetto XVI ha ricordato che proprio 28 anni fa, il 6 agosto del 1978, si spegneva a Castel Gandolfo, nella Festa della Trasfigurazione, Papa Paolo VI:

 

“Lo ricordiamo in questo anniversario con animo grato a Dio, che ne ha fatto dono alla sua Chiesa negli anni tanto importanti del Concilio e del dopo Concilio”.

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LA GUERRA ELA PEGGIORE SOLUZIONE PER TUTTI, ANCHE PER I VINCITORI”:

COSI’ IL PAPA, IERI A CASTEL GANDOLFO, IN UNA INTERVISTA

RILASCIATA ALLA RADIO VATICANA E AD ALCUNE TV TEDESCHE

 

Benedetto XVI, ieri a Castel Gandolfo, era tornato sulla questione del Medio Oriente in una intervista rilasciata alla Radio Vaticana e ad alcune testate televisive tedesche. L’intervista, dedicata a svariati temi, sarà trasmessa integralmente il prossimo 13 agosto. Ce ne parla Francesca Sabatinelli. 

 

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Benedetto XVI torna ad appellarsi al mondo, al quale ripete con forza che la guerra è la peggiore soluzione per tutti. “La Santa Sede - dice il Papa - non vuole alcun potere politico, ma noi vogliamo appellarci ai cristiani e a tutti coloro che si sentono in qualche modo interpellati dalla parola della Santa Sede, affinché vengano mobilitate tutte le forze che riconoscono che la guerra è la peggiore soluzione per tutti. Non porta nulla di buono per nessuno, neppure per gli apparenti vincitori”. Il Papa ricorda come l’Europa conosca bene gli orrori della guerra, in seguito ai due conflitti mondiali, e dunque fortemente ribadisce che “ciò di cui tutti hanno bisogno è la pace”. “Vi sono forze morali – conclude - che sono pronte per far comprendere che l’unica soluzione è che dobbiamo vivere insieme. Queste forze noi vogliamo mobilitare: i politici devono trovare le strade affinché questo possa avvenire il più rapidamente possibile e sopratutto in modo durevole”.

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“GESÙ CRISTO NON È IL SIMBOLO DI UN VAGO VALORE ASTRATTO, MA UNA PERSONA

VIVA E CONCRETA, DI CUI OGNI BATTEZZATO PUÒ DIRE:MI HA AMATO E HA DATO

SE STESSO PER ME’”: COSÌ, BENEDETTO XVI, NEL MESSAGGIO, A FIRMA

DEL CARDINALE SODANO, PER IL III INCONTRO CONTINENTALE AFRICANO

DEL FORO INTERNAZIONALE AZIONE CATTOLICA (FIAC),

IN CORSO A LUGAZI, IN UGANDA, FINO AL 9 AGOSTO

- Con noi, mons. Francesco Lambiasi -

 

“Credere significa appartenere al Signore, essere conquistati dal suo amore, impegnarsi ad essere, con Lui e per Lui, luce e sale della terra, lievito della società”: così, Benedetto XVI, nel messaggio, a firma del segretario di Stato, il cardinale Angelo Sodano, ai partecipanti al III Incontro continentale africano del Foro Internazionale Azione Cattolica (FIAC), in corso a Lugazi, in Uganda, fino al 9 agosto. L’incontro, sul tema “Azione Cattolica in Africa: duc in altum e abbi il coraggio del futuro – L’avvenire del Cristianesimo in Africa e nel mondo”, si colloca nell’iter di preparazione alla II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il servizio di Roberta Moretti:

 

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Nel suo messaggio, Benedetto XVI invita a ricordare le figure dei Santi Martiri ugandesi di Namugongo, per “confermare la scelta di camminare sulle orme di questi laici cristiani – giovani e ragazzi – che hanno testimoniato la loro fede fino all’effusione del sangue per il Vangelo”. L’evento culminante dell’Incontro del FIAC è infatti la Celebrazione Eucaristica presso il Santuario di Namugongo, dove trovarono la morte alla fine dell’‘800 Carlo Lwanga e i suoi compagni. “Per essi – spiega il Papa – Gesù Cristo non è stato il simbolo di un vago valore astratto, ma una Persona viva e concreta, una Persona assolutamente singolare, di cui ogni battezzato può dire con l’Apostolo Paolo: ‘Mi ha amato e ha dato se stesso per me’”.  “Credere – aggiunge il Santo Padre – significa, infatti, appartenere al Signore, essere conquistati dal Suo amore, impegnarsi ad essere, con Lui e per Lui, luce e sale della terra, lievito della società”. “E’ così – precisa – che i laici cristiani possono recare un loro contributo specifico all’edifi-cazione della civiltà dell’amore”. Il Papa ricorda inoltre il triplice programma indicato, nella sua visita apostolica in Uganda nel 1969, da Paolo VI, di cui proprio oggi ricorre il 28.mo anniversario della morte. Nel Santuario di Namugongo, Papa Montini aveva invitato i credenti ad amare Gesù Cristo, a essere fedeli alla Chiesa e ad essere forti e coraggiosi, nella felicità e nella gioia. Ecco allora l’incoraggiamento di Benedetto XVI ai membri dell’Azione Cattolica, impegnati ad attuare il triplice mandato affidato loro da Giovanni Paolo II in occasione del pellegrinaggio a Loreto del 5 settembre 2004, ovvero, “la contemplazione, la comunione e la missione”. Benedetto XVI li esorta a “mostrare con la vita di fede e di lode a Dio che ‘tutti i cristiani sono chiamati all’unione mistica’ con Cristo”. Li incoraggia inoltre a “coltivare la ‘spiritualità di comunione’ vivendo con umiltà e gratitudine nella Santa Chiesa, in sintonia con i Pastori e con tutto il Popolo di Dio”. Li invita, infine, a “testimoniare la bellezza di una fede ardente, che trasforma la vita di tutti i giorni e si propone in modo attraente a quanti domandano ragione della speranza che è in noi credenti”. A chiudere il messaggio, la speciale Benedizione Apostolica ai partecipanti all’Incontro del FIAC, assicurando la preghiera “affinché l’Azione Cattolica cresca e si diffonda nelle comunità ecclesiastiche dell’Africa”. Ma quali sono le sfide per il futuro del Cristianesimo nel continente africano? Mons. Francesco Lambiasi, vescovo emerito di Anagni-Alatri e assistente ecclesiastico del FIAC:

 

R. - Mi sembra che la prima sfida sia quella del dialogo interreligioso, perché l’Africa vede crescere certamente il Cristianesimo e il Cattolicesimo, in particolare, ma vede anche una grande fioritura di sette, le più varie, e vede anche, in crescita esponenziale, l’Islamismo. Penso innanzitutto che sia necessaria una chiarezza sulle condizioni del dialogo, che sono quelle che richiamava il beato Papa Giovanni, cioè la sincerità, la lealtà, la franchezza, il rispetto reciproco. Poi penso che richieda ai cristiani e ai cattolici la fedeltà al Vangelo e la disponibilità a dialogare per vedere quali possano essere i punti di contatto con l’Islamismo. Ovviamente l’Islamismo non va confuso con il terrorismo, con le sue frange estremiste e fondamentaliste.

 

D. – Come annunciare il messaggio di Cristo nel rispetto delle culture e delle tradizioni locali?

 

R. – Intanto, con quella parresia, cioè con quella franchezza, con quel coraggio di chi si sa mandato da Cristo Signore a portare una bella notizia. Il Vangelo della pace, il Vangelo della gioia, non possono non trovare ascolto nella cultura africana. Tutto questo implica, però, una sintonia profonda con i vari linguaggi di questa cultura e un’attenzione particolare in tutto quell’ambiente culturale che deve essere poi il terreno dove il seme evangelico va a cadere per germogliare e portare frutto.

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OGGI IN PRIMO PIANO

6 agosto 2006

 

 

“RICORDARE IL PASSATO E’ IMPEGNARSI PER IL FUTURO”:

61 ANNI FA IL BOMBARDAMENTO ATOMICO SU HIROSHIMA

E 25 ANNI FA LA MEMORABILE VISITA DI GIOVANNI PAOLO II

 NELLA CITTA’ SIMBOLO DELL’OLOCAUSTO NUCLEARE

 

Non dimenticare mai il tragico giorno in cui l’umanità scoprì di essere capace di autodistruggersi. Il 6 agosto di 61 anni fa, Hiroshima veniva annichilita dal bombardamento nucleare americano. In pochi secondi, 80 mila persone venivano polverizzate. Una tragedia che si ripeté tre giorni dopo, con l’attacco atomico su Nagasaki, epilogo del più sanguinoso conflitto nella storia dell’umanità. E quest’anno ricorre anche il 25° anniversario della visita ad Hiroshima di Giovanni Paolo II: era il febbraio del 1981. Papa Wojtyla lanciava un accorato appello per la pace nel mondo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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(musica)

 

 Mai più Hiroshima, mai più! Un grido ripetuto tante volte in questi 61 anni, in ogni angolo della Terra. E tuttavia, la corsa agli armamenti nucleari non si è affatto arrestata. Nel suo Messaggio per la 39.ma Giornata Mondiale della Pace, celebrata il primo gennaio scorso, Benedetto XVI avverte che in una guerra atomica “non vi sarebbero dei vincitori, ma solo delle vittime”. Per questo, il Papa esorta i governi che possiedono armi nucleari e quelli che intendono procurarsele ad invertire la rotta “con scelte chiare e ferme, orientandosi verso un progressivo e concordato disarmo nucleare”. Queste parole fanno tornare alla mente l’accorato appello di Giovanni Paolo II, che proprio 25 anni fa si recò ad Hiroshima come pellegrino della pace:

 

(parole in giapponese di Giovanni Paolo II)

“La guerra è opera dell’uomo. La guerra è distruzione della vita umana. La guerra è morte”: così, in lingua giapponese, Papa Wojtyla si rivolse al popolo nipponico e a tutta l’umanità. Un appello vibrante che assunse ancora più forza perché pronunciato proprio nel Parco della Pace, laddove si erge lo scheletro della cupola, simbolo dell’olocausto nucleare.

 

Rappeler le passé, c'est s'engager dans le futur …

“Ricordare il passato – fu il monito di Giovanni Paolo II, in quell’occasione – è impegnarsi per il futuro. Ricordare Hiroshima è aborrire la guerra nucleare. Ricordare Hiroshima è impegnarsi per la pace”. Quindi, ribadì che “il ricorso alla guerra non è inevitabile o insostituibile”. E ancora, affermò che “l’umanità non è destinata all’autodistruzione”, giacché le “divergenze di ideologie, aspirazioni ed esigenze possono e devono essere appianate e risolte con mezzi che non siano la guerra e la violenza”. Giovanni Paolo II volle poi incontrare, sempre ad Hiroshima, la comunità scientifica e i rappresentanti delle università delle Nazioni Unite. Un’occasione, spiegò il Papa, per riflettere assieme sulla “crisi morale causata nel mondo dall’esplosione della prima bomba atomica”:

 

Our future on the planet…

“Il nostro futuro su questo pianeta, esposto com’è al rischio dell’annienta-mento nucleare – affermò Giovanni Paolo II – dipende da un solo fattore: l’umanità deve attuare un rivolgimento morale”. Il Papa chiamò ad una mobilitazione generale per la pace tutti gli uomini e donne di buona volontà. “L’umanità - fu l’esortazione del Santo Padre - è chiamata a fare un ulteriore passo in avanti, un passo verso la civiltà e la saggezza”.

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L’IMPEGNO DELL’ASSOCIAZIONE “AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”

ALLE COMUNITA’ ECCLESIALI PERSEGUITATE NEL MONDO

- Intervista con Attilio Tamburini -

 

Persecuzioni, intimidazioni, terrorismo di matrice islamica, arresti, torture e laicismo esasperato: la gamma delle violazioni del diritto di professare il proprio credo religioso è ampio come dimostra il rapporto che, da otto anni a questa parte, realizza l’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”. E’ un organismo cattolico fondato nel 1947 dal padre olandese Werenfried Van Straaten, noto come “padre Lardo”, perché nell’immediato dopoguerra raccolse quintali di lardo dalle massaie fiamminghe per soccorrere i profughi tedeschi. Ogni anno l’associazione raccoglie dei fondi, con i quali aiuta le comunità ecclesiali private della libertà religiosa o comunque in difficoltà. Rita Salerno ha intervistato Attilio Tamburini, direttore della sezione italiana di “Aiuto alla Chiesa che soffre”:

 

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R. – Il nostro è prima di tutto un lavoro di intervento sul territorio dal quale ricaviamo le informazioni che distribuiamo. L’altro aspetto importante è che noi non facciamo progetti nostri ma finanziamo, grazie all’aiuto di più di 600.000 benefattori in tutto il mondo, i progetti loro, quello che loro hanno intenzione di fare, cioè gli interessati, che sono appunto i cattolici in generale, nei Paesi dove la Chiesa, secondo quest’ordine di precedenza, subisce persecuzione ufficiale, difficoltà di carattere economico, politico, sociale, e condizioni difficili derivanti da eventuali catastrofi, anche naturali. Secondo quest’ordine, ogni anno, viene stabilita una precedenza nei vari Paesi: le richieste di aiuto sono circa 10.000 all’anno.

 

D. – E in particolare l’Italia è in prima linea da questo punto di vista…

 

R. – L’Italia è uno dei Paesi in cui l’Opera è presente da più tempo, dal 1964. Nell’84 è stata riconosciuta come di diritto pontificio. Noi abbiamo fatto appello ai benefattori italiani per qualche progetto particolare, potrei citare per esempio una comunità parrocchiale a Cuba. A Cuba stessa abbiamo chiesto un aiuto per un progetto molto bello. A Cuba come si sa non è stato festeggiato il Natale fino al viaggio fatto da Giovanni Paolo II, quando è stata ridata la possibilità di festeggiare il Natale.

 

D – Ricordiamo il viaggio di Papa Wojtyla  nel gennaio del 1998…

 

R. – Dalla presa di potere di Castro fino al ’98, ci sono generazioni che non hanno mai conosciuto la tradizione del presepe, anche quella parte di colore che è intorno al Natale stesso. E allora i vescovi cubani ci hanno chiesto, per poter far rinascere queste tradizioni di poter donare alle famiglie cubane un “Bambinello”. Tutta l’operazione è consistita nell’invio di 400.000 “Bambin Gesù”.

 

D. – Lei ha citato Cuba, e Cuba in questi giorni è in prima pagina su tutti i giornali per le notizie che riguardano la salute di Fidel Castro. Quali scenari si aprono sul piano della libertà religiosa?

 

R. – Questo è molto difficile perché dipende dall’indirizzo che prenderà la classe dirigente. Ci possono essere due possibilità, come abbiamo visto già in Cina. Una è che per uscire dalla crisi economica e sociale venga data una liberalizzazione di tipo economico che può però accompagnarsi, come accade in Cina, ad una repressione dal punto di vista, invece, delle libertà di pensiero, di parola e quindi di fede. Perché c’è il timore che l’allargamento e l’ampliamento della libertà economica possa portare anche a degli scombussolamenti nella struttura del Regime. Siccome questi sono dei regimi in cui si è creata, come dire, una “cupola dirigente” da tanti anni, lasciare il potere o avere la paura di perdere il potere può provocare, in queste fasi di passaggio, proprio un irrigidimento e quindi un aumento della persecuzione: questa è una delle possibilità. L’altra possibilità è che, dopo un primo periodo di assestamento, le voci che sono molto forti all’interno della società cubana, come per esempio una serie di movimenti cattolici per la libertà di parola, riescano a dare una spinta di rinnovamento  come è avvenuto in molti paesi dell’Est-europeo, senza fatti sanguinosi gravi, o attraverso un passaggio graduale, una liberalizzazione e quindi un ritorno a quella che è la vita normale della società cubana.

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GIOVANI DI TUTTO IL MONDO A PAVIA, DOVE SI TROVANO LE RELIQUIE DI SANT’AGOSTINO, PER IMPARARE, ALLA SCUOLA DEL VESCOVO DI IPPONA,

AD ESSERE COSTRUTTORI DI UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA E PACIFICA

- Intervista con padre Francesco Giuliani, Ileana Bertocchi e padre Robert Prevost -

 

Circa 400 giovani di 30 Paesi sono radunati in questi giorni a Pavia, dove sono custodite le spoglie di Sant’Agostino, per il meeting internazionale organizzato dall’Ordine agostiniano sul tema “Beati voi costruttori della città di Dio”. L’incontro è un appuntamento che si rinnova ogni tre anni, ma quest’anno ha un significato particolare perchè si inserisce nell’ambito delle celebrazioni per i 750 anni dalla fondazione dell’Ordine di Sant’Agostino. Oggi, nella Basilica pavese di San Pietro in Ciel d’Oro, sono esposte eccezionalmente per tutta la giornata le reliquie del grande Dottore della Chiesa. Ma come sono nati questi incontri agostiniani e cosa vogliono offrire ai giovani? Tiziana Campisi lo ha chiesto al padre agostiniano Francesco Giuliani, componente della commissione internazionale per la pastorale giovanile vocazionale:

 

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R. – Questi incontri giovanili internazionali agostiniani sono nati a Lecceto, in provincia di Siena, nel 1987 per commemorare il XVI centenario della conversione di Sant’Agostino. Quello è stato il primo incontro e i giovani di allora sono diventati adulti e uno di questi sono io. Questi incontri hanno cresciuto generazioni di giovani agostiniani nei valori della gioia, dell’umanità, della fede e della spiritualità fusi insieme nei cuori, provenienti da ogni parte del mondo. Noi agostiniani incontriamo questi giovani perché riteniamo sia importantissimo far capire che il progetto di Dio sul giovane è la vera realizzazione, è la vera felicità della persona. La persona è felice quando dice ‘sì’ a qualcosa di più grande di cui fidarsi. Questa è la grande sfida della Chiesa e questa sfida raccogliamo pienamente anche in questi incontri dove si vive gomito a gomito con i ragazzi nella fatica, nella gioia, nella preghiera, nel canto, nella risata, in tutte le componenti dell’essere umano.

 

D. – Ma come vedono i giovani Sant’Agostino? Ad Ileana Bertocchi, milanese, abbiamo chiesto cosa le ha insegnato il vescovo di Ippona:

 

R. – Agostino mi ha insegnato soprattutto, a guardare dentro di me. E’ un personaggio profondamente interessato al cuore di una persona, alla sua anima, alla sua voglia di cercare la propria strada, che è una strada forse - a volte in questa fascia di età - difficile da trovare. Siamo spesso dubbiosi su quello che vogliamo fare della nostra vita … Quindi un’ancora di salvataggio in questo mare un po’ tumultuoso di incertezze è sicuramente una grande cosa. E la fede di Sant’Agostino, la fede in Dio, è sicuramente una certezza non indifferente.

 

D. – Questo incontro di Pavia raduna circa 400 giovani che arrivano da 30 Paesi diversi. Che cos’hanno in comune questi ragazzi?

 

R. – Hanno in comune proprio la loro giovinezza, la loro energia e la loro semplicità. Riusciamo a capirci nonostante la diversità delle nostre lingue, perché il linguaggio di Dio è un linguaggio universale.

 

D. – E quale messaggio vogliono dare gli agostiniani ai giovani? Ci risponde il priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino, padre Robert Prevost:

 

R. – Penso che sia innanzitutto quello stesso messaggio di Sant’Agostino quando dice che la vera fonte della felicità è in Gesù Cristo. Una verità cui si giunge con un metodo proprio di Agostino che si basa sull’amicizia, sull’esperienza umana, sulla condivisione e sull’importanza di scoprire Dio dentro se stessi.

 

D. – Se Agostino vivesse ai giorni nostri, che cosa direbbe ai giovani?

 

R. – “Cerca la luce nella Parola di Dio”. In questa ricerca Agostino ci aiuta a scoprire - prima nell’esperienza umana, poi con l’illuminazione del Vangelo – che la Grazia di Dio ci accompagna in tutte le esperienze della nostra vita. Ma bisogna avere pazienza e avere occhi di fede per scoprire che Dio è veramente vivo in mezzo a noi, nella Chiesa, in mezzo alla comunità.

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CHIESA E SOCIETA’

6 agosto 2006

 

RICORRE OGGI IL VENTOTTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PAOLO VI.

IERI, NELLE GROTTE VATICANE,

CARDINALI E VESCOVI LO HANNO RICORDATO IN UNA MESSA

 

ROMA. = Vent’otto anni fa moriva a Castel Gandolfo Paolo VI. Ieri, nelle Grotte Vaticane, accanto alla sua semplice tomba, hanno concelebrato una Messa per ricordarlo cardinali e vescovi. “Mi piace pensare al servo di Dio Paolo VI dentro il dramma di questa nostra umanità – ha detto nell’omelia il vescovo di Palestrina, Domenico Sigalini – capace di tutte le efferatezze, ma con il seme di una speranza che ha la forza di farsi largo”. Mons. Sigalini ha voluto anche richiamare alla memoria di tutti, e soprattutto di chi si carica della grave responsabilità della guerra, quel desiderio di pace che Papa Montini aveva affidato all’ONU: “Uomini, procurate di essere degni del dono divino della pace. Uomini, siate uomini! … siate buoni, siate saggi, siate aperti alla considerazione del bene totale del mondo … non pensate a progetti di distruzione e di morte, di rivoluzione e di sopraffazione: pensate a progetti di comune conforto e di solidale collaborazione”. Amante appassionato della Chiesa e scrutatore acuto dei tempi, Paolo VI era un uomo di pace e di gaudio, come amava definirsi. Resta ancora un grande patrimonio per la Chiesa il suo insegnamento sul dialogo come il modo più umano, cristiano ed ecclesiale per parlarsi. Il Pontefice definì il dialogo anzitutto colloquio personale con Dio. “La storia della salvezza narra appunto questo lungo e vario dialogo che parte da Dio – scrive Paolo VI nella sua prima enciclica Ecclesiam suam – e intesse con l’uomo varia e mirabile conversazione”. In secondo luogo Papa Montini vide il dialogo come un fraterno confronto ecclesiale. Nel suo testamento datato 14 luglio 1973, emerge una visione della vita, del mondo, del cristianesimo, della Chiesa e della sua missione intrisa di speranza. Ma vi si scorge pure la fierezza umile del credente e del maestro di fede che affronta la realtà della morte. “Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero – rifletteva Paolo VI – e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce”. A lui toccò chiudere il Concilio Vaticano II, aperto da Giovanni XXIII, di presentarlo ai cristiani, di guidare il primo periodo post-conciliare e di proclamare che la Chiesa doveva approfondire la coscienza di se stessa meditando sul mistero che le è proprio. (T.C.)

 

 

DUE SACERDOTI SONO STATI TROVATI MORTI IN CAMERUN E IN NIGERIA

- A cura di Tiziana Campisi -

 

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LAGOS. = Due sacerdoti sono stati uccisi nei giorni scorsi in Africa. In Nigeria, ad Afikpo, nello Stato meridionale dell’Ebonyi, è stato pugnalato nella sua abitazione padre Chidi Okorie, 31 anni, della St. Mary’s Catholic Church. Subito soccorso, è stato trasportato in ospedale dove è deceduto poco dopo. Secondo le indagini della polizia, dei malviventi si sarebbero introdotti nella casa del sacerdote a scopo di rapina; risultano infatti scomparsi denaro e altri beni. Con padre Okorie sono 4 i sacerdoti deceduti per morte violenta in Nigeria nell’arco di due anni. A Yaoundé, nel Camerun, invece, nell’università cattolica dell’Africa Centrale, è stato trovato morto padre Patrick Adeso. Il sacerdote aveva 55 anni ed era consultore del Pontificio Consiglio per i Migranti e cappellano del movimento carismatico per il Camerun. Sempre in Nigeria, da mesi teatro di violenze contro i lavoratori dell’industria del petrolio, cinque nigeriani dipendenti della compagnia anglo-olandese Shell sono stati uccisi giovedì scorso nello Stato di Rivers, in un’imboscata tesa da alcuni uomini armati. E nei giorni scorsi, nella regione del delta del Niger, a Port Harcourt, sono stati rapiti un cittadino tedesco del gruppo petrolifero Bilfinger Berger e il suo autista nigeriano. Ancora nello Stato di Rivers sono stati sequestrati tre salariati filippini della società americana Baker Overseas Technology Service. Dall’inizio dell’anno le compagnie petrolifere in Nigeria sono diventate il bersaglio dei militanti separatisti armati che chiedono risarcimenti per i danni ambientali provocati dalle esplorazioni petrolifere e una migliore spartizione dei proventi derivanti dallo sfruttamento del petrolio. Da gennaio più di 30 persone sono state rapite e sono state rilasciate dopo lunghi periodi di prigionia. Negli scontri con i gruppi armati si registrano, fino ad oggi, 25 morti, tra agenti di sicurezza e militari incaricati di sorvegliare le istallazioni petrolifere e il loro personale. Questi attacchi alle compagnie petrolifere hanno provocato una caduta della produzione, per alcune fonti addirittura del 30 per cento.

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SONIA GANDHI CRITICA LE LEGGI SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA IN INDIA APPLICATE NEGLI STATI GOVERNATI DAI FONDAMENTALISTI. LEADER DELLE MINORANZE CHIEDONO A ùNEW DELHI LA PUBBLICAZIONE DI UN LIBRO BIANCO

SULLA CONDIZIONE DEI CRISTIANI

 

MUMBAI. = Dure critiche di Sonia Gandhi alle leggi sulla libertà religiosa in India, note come leggi anti-conversione. “Queste sono leggi – ha detto la presidente del Partito del Congresso – approvate da amministrazioni, dove siamo all’opposi-zione”. La leader politica, scrive l’agenzia AsiaNews, ha voluto rispondere ad un memorandum presentato da John Dayal, membro del Consiglio nazionale per l’integrazione, ricordando che il suo partito ha ostacolato “fortemente” le ingiuste normative in Parlamento. Le leggi sulla libertà religiosa, secondo i più, colpirebbero in modo particolare i cristiani, accusati dagli integralisti indù di operare conversioni forzate tra le fasce più povere della popolazione. Ai fedeli indù impongono invece rigide regole e pene se decidono di cambiare fede. Le dichiarazioni di Sonia Gandhi sono arrivate mentre diversi rappresentanti della comunità cristiana erano riuniti per l’incontro della Commissione nazionale delle minoranze (Ncm), che il 4 agosto ha discusso anche della minaccia delle leggi anticonversione. Al termine dei lavori i partecipanti si sono trovati d’accordo sulla necessità di un Libro bianco sulla situazione politica, economica e sociale delle minoranze cristiane in India. È stato proposto, poi, il rilascio di dichiarazioni ufficiali da parte di quegli Stati in cui si verificano conversioni forzate, che spesso sarebbero inventate dagli integralisti per le loro persecuzioni. I vari leader hanno poi ribadito la volontà di servire la Costituzione indiana e di monitorare l’operato e le politiche del governo centrale e di quelli locali, affinché “mai le minoranze religiose sentano di vivere in un sistema ingiusto o in uno Stato sordo al loro dolore”. Il presidente della Ncm, Hamid Ansari, ha poi spiegato che la Commissione ritiene il diritto di praticare e professare la propria fede – garantito dall’art. 25 della Costituzione – “un ingrediente essenziale del Paese”. La Ncm ha quindi steso una “Carta delle richieste”, che in 15 punti sottopone a New Delhi i problemi e le necessità più urgenti delle minoranze. Tra le richieste: ritirare le “discriminatorie leggi sulla libertà religiosa in Madhya Pradesh, Rajasthan, Orissa, Chhattisgarh e Arunachal”; pieni diritti civili e costituzionali ai dalit cristiani; rassicurare le minoranze sullo stato di diritto, perseguendo i crimini d’odio settario e i colpevoli di violenze come l’organizzazione Sangh Parivar; lo studio di progetti per lo sviluppo economico e culturale delle minoranze nelle aree rurali. Le leggi sulla libertà religiosa puniscono la conversione ad un’altra fede se questa avviene con la forza o la frode. Il reato prevede la detenzione per 3 anni e una multa di 20 mila rupie (pari a 435 dollari). Queste leggi sono entrate in vigore nel Chattisgarh solo di recente. Il vescovo di Raigarh Paul Toppo ha osservato che esse sembrano “discriminatorie proprio verso i cristiani” perché a loro viene liberamente concesso di diventare indù, ma pongono restrizioni a quegli induisti che vogliono diventare fedeli di Cristo. La normativa impone tra l’altro, a chiunque voglia cambiare religione, di richiedere un permesso governativo. (T.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

6 agosto 2006

- A cura di Eugenio Bonanata -

        

Nel 26mo giorno guerra, in Libano prosegue l’offensiva israeliana a cui fa seguito il lancio di razzi da parte dei miliziani di Hezbollah. Sono decine i morti anche oggi, mentre, nei prossimi giorni, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU potrebbe approvare una risoluzione in cui si chiede l’immediata cessazione dei combattimenti. Il servizio di Eugenio Bonanata:

 

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L’orrore della guerra cresce ogni giorno di più. Sono sempre intensi i raid israeliani. Oggi, i caccia dello Stato ebraico hanno colpito più volte il villaggio Ansar, nei pressi di Sidone, nel Sud del Libano. Un missile ha colpito una casa, sterminando la famiglia che vi abitava: sono almeno sei i morti e cinque i feriti. Sempre nel Sud tre soldati cinesi del contingente ONU sono rimasti feriti durante una sparatoria tra le forze israeliane e la milizia Hezbollah. Nei pressi del quartier generale della forza delle Nazioni Unite sono stati uccisi altri tre civili. Pesanti scontri si segnalano anche a Tiro, mentre prosegue la distruzione delle più importanti vie di comunicazione del Libano che sono ancora in piedi. La realtà non muta in Galilea, in territorio israeliano, a poca distanza dal confine, dove oggi si è registrato l’attacco più cruento dall’inizio del conflitto: i razzi di Hezbollah, caduti su un kibbuz, hanno fatto almeno dieci morti. Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU voterà domani o lunedì la bozza di risoluzione, presentata ieri da Francia e USA, che invoca un “piena cessazione delle ostilità”. Il governo libanese però ha rifiutato il documento, in quanto non precisa i tempi per la cessazione delle ostilità. Inoltre il testo chiede ad Israele di interrompere tutte le operazioni ‘offensive’. Un condizione, questa, che permetterebbe allo Stato ebraico di rispondere al fuoco in caso di attacco. Da parte sua il vice premier israeliano, Shimon Peres, ha affermato che serve tempo prima di arrivare al cessate-il-fuoco. Tuttavia, se rispettata, la risoluzione potrebbe consentire la ripresa delle operazioni umanitarie e il ritorno dei tanti sfollati libanesi. A questa dovrà seguire un’altra risoluzione per un cessate-il-fuoco duraturo e solo dopo si potrà predisporre l’invio di una forza di pace dell’ONU.

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Intanto l’offensiva israeliana prosegue anche su Gaza. A Rafah, nel Sud della Striscia un bambino palestinese è stato ucciso in nottata durante un’incur-sione aerea. Sempre in nottata le truppe di Tel Aviv hanno arrestato a Ramallah, in Cisgiordania, il presidente del Parlamento palestinese, Abdel Aziz Duaik, un esponente di Hamas. Il premier palestinese, Ismail Haniyeh, ha definito l’arresto un “gesto spregevole di pirateria” e un atto contrario al diritto internazionale. Hamas ha avvertito Israele che in nessun caso i suoi dirigenti e i parlamentari arrestati in Cisgiordania da Israele “potranno essere usati come carte di scambio” per la liberazione del soldato israeliano, rapito il 25 giugno al confine.

 

I corpi di 17 persone, tra i quali quattro militari iracheni e una donna, sono stati scoperti oggi a Baghdad. A Nassiriya inoltre un ex membro del partito Baas, al potere con Saddam Hussein, e' stato ucciso nella sua casa sotto gli occhi dei suoi familiari. Intanto, sempre nella capitale irachena, si è riunita oggi una corte militare americana per decidere se processare i quattro soldati statunitensi accusati di aver stuprato e ucciso, nel marzo scorso, una ragazza irachena a Mahmudiya e massacrato poi la sua famiglia per coprire il crimine. Il caso, il quinto grave episodio sul quale sta indagando l'esercito americano in Iraq, ha sollevato forte indignazione negli iracheni e ha spinto il primo ministro al-Maliki a chiedere la revisione dell’immunità delle truppe straniere di fronte alla giustizia irachena. Se i quattro soldati saranno giudicati colpevoli rischiano la pena di morte.

 

La Jamaa Islamiya, l’organizzazione che nel decennio passato si è resa responsabile dei più sanguinosi attentati in Egitto, ha smentito, attraverso il suo sito Internet, la affermazione fatta ieri dal numero due di al Qaeda, l’egiziano Al Zawahri, secondo cui una fazione della Jamaa avrebbe aderito al gruppo fondato da Osama Bin Laden.. Secondo fonti anonime, oggi dovrebbe riunirsi il Consiglio consultivo della Jamaa che demetterà un comunicato in cui si ribadisce la fedeltà all’impegno, preso nel 1998, di respingere la violenza. Quanto ai presunti leader della Jamaa citati da al Zawahri, uno dei quali compare anche nel video, le fonti anonime rilevano che si tratta per lo più di figure minori.

 

Nella città di Sucre, capitale legale della Bolivia, si insedieranno oggi i 255 membri dell’Assemblea costituente, eletti lo scorso 2 luglio, chiamati a redigere una nuova Costituzione, in sostituzione del vecchio testo del 1947. A presiedere l’Assemblea, sarà l’indigena dell’etnia quéchua, Silvia Lazarte, candidata del Movimento al Socialismo (MAS), il partito del presidente Evo Morales. Il servizio di Luis Badilla:

 

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I lavori dei costituenti non si prospettano facili. Nessun partito è in grado di raggiungere da solo il quorum dei 2/3 (170 costituenti) che consentirebbe un’approvazione svelta della Carta costituzionale. I sostenitori del Presidente Morales al massimo possono contare su 159 voti, se riescono a stringere accordi con i gruppi minori. L’opposizione, guidata dall’ex Presidente, Jorge Quiroga, dispone di soli 60 voti. Dal canto loro, i vescovi della Bolivia, lo scorso 3 maggio, in un documento, definiscono la Costituente “una grande speranza” per il Paese. Nel testo i presuli si soffermano ampiamente sulla libertà religiosa, la collaborazione tra Stato e Chiesa, e sottolineano alcuni principi irrinunciabili come il primato della persona, il bene comune, l’accesso universale ai beni essenziali, la sussidiarietà, la partecipazione e la solidarietà. “Questi principi e valori fondamentali della vita di un Paese – aggiungono – devono tradursi in azioni concrete: difesa della vita e della famiglia basata sul matrimonio; promozione del diritto ad un lavoro dignitoso e adeguatamente retribuito, un più equo accesso alla terra e alle risorse naturali, nonché all’assistenza sociale e sanitaria”. Il vice presidente della Repubblica, Alvaro Garcia Lineras, ritenuto il principale stratega della compagine governativa, ha dichiarato che “l'Assemblea sarà anche il luogo della materializzazione dei nuovi rapporti di forza nel Paese, quindi della costituzionalizzazione delle principali misure prese dal governo”. Tra le forze emergenti il vice presidente include il “movimento indigeno plurinazionale, che pensa la nazione a partire dalle diversità di nazioni che vivono al suo interno”. Sempre secondo il pensiero di Garcia Lineras, “si tratta anche di potenziare le strutture comunitarie e per questo parliamo di capitalismo andino-amazzonico. C'è una specie di neo-comunitarismo economico che va potenziandosi parallelamente all'economia statale e a una relazione negoziale con gli investimenti stranieri e locali”.

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L’Iran espanderà il suo programma nucleare quando e come lo riterrà più opportuno, respingendo quindi la risoluzione delle Nazioni Unite che invece chiedeva all’Iran la sospensione dell’arricchimento dell’uranio entro la fine di agosto, minacciando sanzioni. La posizione di Teheran è stata ribadita oggi da Ali Lariani, il principale negoziatore iraniano che ha aggiunto: la risoluzione dell’ONU “non piegherà la nostra determinazione”. Intanto la giustizia iraniana ha giudicato “illegale” l’attività del gruppo di difesa per i diritti dell’uomo patrocinato dalla signora Shirin Ebadi, avvocato e premio Nobel per la pace. Martedì socrso il suo gruppo aveva chiesto un’indagine indipendente sulla morte di un giovane dissidente, deceduto dopo uno sciopero della fame per la difesa dei diritti umani in Iran. Alessandro Guarisci ha sentito il parere del portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury:

 

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R. – Ogni forma di società civile, e in particolare di società civile organizzata attorno al tema della difesa dei diritti umani, in Iran, è stata ridotta al silenzio. Questo ultimo provvedimento nei confronti di una voce libera, autorevole e prestigiosa come quella di Shirin Ebadi e delle persone che fanno capo al suo gruppo per la difesa dei diritti umani, testimonia ancora di più come non sia possibile nel Paese di Ahmadinejad una verifica indipendente, un’opera di denuncia indipendente sulla situazione dei diritti umani.

 

D. – Ecco, ma sta nascendo in Iran un movimento dal basso per la tutela dei diritti umani?

 

R. – C’è certamente questo fermento e ci sono anche gruppi su base locale, sia nel Kuzestan che nella zona della minoranza azera. Ma più crescono, questi movimenti, e più la repressione si abbatte su di loro.

 

D. – A questo punto, la comunità internazionale come può e deve intervenire?

 

R. – Occorre che ci sia una pressione molto forte, che si allarghi un po’ il tema della pressione, non soltanto quello certamente importante dell’eventuale presenza di armi nucleari, di programmi militari per l’uso di armi nucleari; c’è una situazione sotterranea di violazione dei diritti umani, un uso massiccio della pena di morte, sempre di più, che la comunità internazionale deve esaminare. E’ chiaro che più lo scontro con il governo iraniano si fa attraverso minacce di interventi e meno c’è spazio per una pressione che potrebbe dare risultati migliori di quelli che ha avuto fino a questo momento, su un tema fondamentale, che è quello della difesa dei diritti umani all’interno del Paese.

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Sempre alta la tensione in Sri Lanka, dove i ribelli Tamil hanno accusato l’esercito regolare di aver ripreso a bombardare le loro postazioni. Il tutto è avvenuto poche ore dopo l’annuncio, da parte delle Tigri Tamil, di rimuovere il blocco di un canale di irrigazione che è stato all’origine di violenti scontri dei giorni scorsi. Il gruppo ribelle in mattinata aveva minacciato ‘guerra totale’ in caso di bombardamenti dell’esercito.

 

In Pakistan, le piogge torrenziali degli ultimi giorni hanno provocato almeno 40 vittime. Questo è il bilancio, ancora provvisorio, dell’ultimo crollo di un ponte avvenuto nella parte nord-orientale del Paese. Nell’ultimo mese, crolli, frane e inondazioni hanno provocato la morte di almeno 180 persone nel Paese. Intanto la polizia pachistana ha comunicato che un attentatore suicida è morto, nella zona meridionale del Paese, a causa di una cintura esplosiva difettosa che è saltata in aria in anticipo. Nell’episodio non ci sono state altre vittime.

 

Le forti piogge hanno provocato decine di vittime anche in Etiopia. L’ultimo bilancio dell’inondazione, che ha colpito la zona orientale del Paese, parla di almeno un centinaio di morti, per la maggior parte donne e bambini. La Croce Rossa si è mobilitata in queste ore per prestare i soccorsi. Il disastro è stato provocato dallo straripamento del fiume che attraversa la città di Dire Dawa.

 

La Comunità di Sant’Egidio ha espresso grande soddisfazione per la dichiarazione di cessazione delle ostilità tra Nord Uganda e Sud del Sudan, emessa ieri dall’Esercito di resistenza del signore. In un nota, la Comunità di Sant’Egidio ha definito la dichiarazione “un primo passo importante verso la soluzione pacifica del conflitto che affligge da quasi vent’anni Nord Uganda e Sud del Sudan.

 

In Russia, la polizia ha arrestato due persone che avrebbero rubato centinaia di centinaia di opere d’arte dal museo Hermitage di Mosca. I due hanno confessato di aver rubato, nell’arco di sei anni, oggetti d’arte per un valore di 5 milioni di dollari, grazie anche alla complicità di un addetto ai lavori del museo.

 

 

 

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