RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 218 - Testo della trasmissione di domenica 6 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In Camerun e in Nigeria, uccisi
due sacerdoti
Sonia Gandhi
critica le cosiddette leggi anti-coversione in India
Continuano
gli attacchi israeliani in Libano e il lancio di razzi degli hezbollah in Galilea. L’ONU cerca le vie della pace
6 agosto 2006
ALL’ANGELUS,
NELLA FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE, NUOVO APPELLO DEL PAPA
PER IL
MEDIO ORIENTE: NESSUNO SI SOTTRAGGA AL DOVERE DELLA PACE.
BENEDETTO
XVI RICORDA ANCHE IL 28.MO ANNIVERSARIO DELLA MORTE
DI PAOLO VI
Il Papa, oggi all’Angelus a Castel
Gandolfo, ha lanciato un nuovo appello di pace “per le popolazioni del Medio Oriente
sconvolte da lotte fratricide”: nella Festa della Trasfigurazione ha invitato
tutti “ad aprire gli occhi del cuore sul mistero della luce di Dio” che vince
“il potere delle tenebre del male”: nessuno – ha detto – si sottragga al
“dovere” della pace, “impegno di tutti gli uomini di buona volontà”. Il
servizio di Sergio Centofanti.
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Nella Festa della Trasfigurazione il Papa ha parlato della
luce della vita e delle tenebre del male.
“La luce – ha affermato - è un segno che rivela qualcosa di Dio: è come
il riflesso della sua gloria” e descrive “la stessa essenza di Dio”. “Sul volto
trasfigurato di Gesù brilla un raggio della luce divina”, anticipo della
Risurrezione:
“La sua risurrezione
ha debellato per sempre il potere delle tenebre del male. Con Cristo risorto
trionfano la verità e l’amore sulla menzogna e il peccato. In Lui la luce di
Dio illumina ormai definitivamente la vita degli uomini e il percorso della storia: ‘Io sono la luce del mondo – Egli afferma nel Vangelo –.
Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita’ ” (Gv 8,12).
“Quanto abbiamo bisogno, anche, particolarmente, in questo
nostro tempo – ha esclamato – di emergere dalle tenebre del male, per
sperimentare la gioia dei figli della luce!”. Il male, le
tenebre sono la guerra: e il Papa affida all’intercessione della Vergine il
dono della pace per le popolazioni del Medio Oriente:
“Ben sappiamo che la
pace è prima di tutto dono di Dio, da implorare con insistenza nella preghiera,
ma in questo momento vogliamo anche ricordare che essa è impegno di tutti gli
uomini di buona volontà. Che nessuno si sottragga a tale dovere! Pertanto, di
fronte all’amara constatazione che finora sono rimaste inascoltate le voci che
chiedevano un immediato cessate-il-fuoco
in quella martoriata regione, sento l’urgenza di rinnovare il mio pressante
appello in tal senso, chiedendo a tutti di offrire il loro fattivo contributo
alla costruzione di una pace giusta e duratura”.
Infine, Benedetto XVI ha ricordato che proprio 28 anni fa,
il 6 agosto del 1978, si spegneva a Castel Gandolfo, nella Festa della Trasfigurazione, Papa Paolo VI:
“Lo ricordiamo in
questo anniversario con animo grato a Dio, che ne ha fatto dono alla sua Chiesa
negli anni tanto importanti del Concilio e del dopo Concilio”.
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“
COSI’ IL PAPA, IERI A CASTEL GANDOLFO, IN UNA INTERVISTA
RILASCIATA ALLA RADIO VATICANA E AD ALCUNE TV TEDESCHE
Benedetto XVI, ieri a
Castel Gandolfo, era
tornato sulla questione del Medio Oriente in una intervista
rilasciata alla Radio Vaticana e ad alcune testate televisive tedesche.
L’intervista, dedicata a svariati temi, sarà trasmessa integralmente il
prossimo 13 agosto. Ce ne parla Francesca Sabatinelli.
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Benedetto XVI torna
ad appellarsi al mondo, al quale ripete con forza che la guerra è la peggiore
soluzione per tutti. “
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“GESÙ CRISTO NON È IL SIMBOLO DI UN VAGO VALORE
ASTRATTO, MA UNA PERSONA
VIVA E
CONCRETA, DI CUI OGNI BATTEZZATO PUÒ DIRE: ‘MI HA
AMATO E HA DATO
SE
STESSO PER ME’”: COSÌ, BENEDETTO XVI, NEL MESSAGGIO,
A FIRMA
DEL
CARDINALE SODANO, PER IL III INCONTRO CONTINENTALE AFRICANO
DEL
FORO INTERNAZIONALE AZIONE CATTOLICA (FIAC),
IN
CORSO A LUGAZI, IN UGANDA, FINO AL 9 AGOSTO
- Con
noi, mons. Francesco Lambiasi -
“Credere significa appartenere al Signore, essere
conquistati dal suo amore, impegnarsi ad essere, con Lui e per Lui, luce e sale
della terra, lievito della società”: così, Benedetto XVI, nel messaggio, a
firma del segretario di Stato, il cardinale Angelo Sodano, ai partecipanti al
III Incontro continentale africano del Foro Internazionale Azione Cattolica
(FIAC), in corso a Lugazi, in Uganda, fino al 9
agosto. L’incontro, sul tema “Azione Cattolica in Africa: duc in altum e abbi il coraggio del futuro –
L’avvenire del Cristianesimo in Africa e nel mondo”, si colloca nell’iter di
preparazione alla II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il
servizio di Roberta Moretti:
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Nel suo messaggio, Benedetto XVI invita a ricordare le
figure dei Santi Martiri ugandesi di Namugongo, per “confermare la scelta di camminare sulle
orme di questi laici cristiani – giovani e ragazzi – che hanno testimoniato la
loro fede fino all’effusione del sangue per il Vangelo”. L’evento culminante
dell’Incontro del FIAC è infatti la Celebrazione
Eucaristica presso il Santuario di Namugongo, dove
trovarono la morte alla fine dell’‘800 Carlo Lwanga e
i suoi compagni. “Per essi – spiega il Papa – Gesù
Cristo non è stato il simbolo di un vago valore astratto, ma una Persona viva e
concreta, una Persona assolutamente singolare, di cui ogni battezzato può dire
con l’Apostolo Paolo: ‘Mi ha amato e ha dato se stesso per me’”. “Credere – aggiunge il Santo Padre –
significa, infatti, appartenere al Signore, essere conquistati dal Suo amore,
impegnarsi ad essere, con Lui e per Lui, luce e sale della terra, lievito della
società”. “E’ così – precisa – che i laici cristiani possono recare un loro
contributo specifico all’edifi-cazione della civiltà dell’amore”. Il Papa
ricorda inoltre il triplice programma indicato, nella sua visita apostolica in
Uganda nel 1969, da Paolo VI, di cui proprio oggi ricorre il 28.mo anniversario della morte. Nel Santuario di Namugongo, Papa Montini aveva
invitato i credenti ad amare Gesù Cristo, a essere fedeli alla Chiesa e ad
essere forti e coraggiosi, nella felicità e nella gioia. Ecco allora
l’incoraggiamento di Benedetto XVI ai membri dell’Azione Cattolica, impegnati
ad attuare il triplice mandato affidato loro da Giovanni Paolo II in occasione
del pellegrinaggio a Loreto del 5 settembre 2004, ovvero, “la contemplazione, la
comunione e la missione”. Benedetto XVI li esorta a “mostrare con la vita di
fede e di lode a Dio che ‘tutti i cristiani sono chiamati all’unione mistica’ con Cristo”. Li incoraggia inoltre a “coltivare la
‘spiritualità di comunione’ vivendo con umiltà e
gratitudine nella Santa Chiesa, in sintonia con i Pastori e con tutto il Popolo
di Dio”. Li invita, infine, a “testimoniare la bellezza di una fede ardente,
che trasforma la vita di tutti i giorni e si propone in modo attraente a quanti
domandano ragione della speranza che è in noi credenti”. A chiudere il
messaggio, la speciale Benedizione Apostolica ai partecipanti all’Incontro del
FIAC, assicurando la preghiera “affinché l’Azione Cattolica cresca e si
diffonda nelle comunità ecclesiastiche dell’Africa”. Ma quali sono le sfide per
il futuro del Cristianesimo nel continente africano? Mons.
Francesco Lambiasi, vescovo emerito di Anagni-Alatri e assistente ecclesiastico del FIAC:
R. - Mi sembra che la prima sfida sia quella del dialogo
interreligioso, perché l’Africa vede crescere certamente il Cristianesimo e il
Cattolicesimo, in particolare, ma vede anche una grande fioritura di sette, le
più varie, e vede anche, in crescita esponenziale, l’Islamismo. Penso
innanzitutto che sia necessaria una chiarezza sulle condizioni del dialogo, che
sono quelle che richiamava il beato Papa Giovanni, cioè la sincerità, la
lealtà, la franchezza, il rispetto reciproco. Poi penso che richieda ai
cristiani e ai cattolici la fedeltà al Vangelo e la disponibilità a dialogare per
vedere quali possano essere i punti di contatto con l’Islamismo. Ovviamente
l’Islamismo non va confuso con il terrorismo, con le sue frange estremiste e fondamentaliste.
D. – Come annunciare il messaggio di Cristo nel rispetto
delle culture e delle tradizioni locali?
R. – Intanto, con quella parresia,
cioè con quella franchezza, con quel coraggio di chi si sa mandato da Cristo
Signore a portare una bella notizia. Il Vangelo della pace, il Vangelo della
gioia, non possono non trovare ascolto nella cultura africana. Tutto questo
implica, però, una sintonia profonda con i vari linguaggi di questa cultura e
un’attenzione particolare in tutto quell’ambiente
culturale che deve essere poi il terreno dove il seme evangelico va a cadere
per germogliare e portare frutto.
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6 agosto 2006
“RICORDARE
IL PASSATO E’ IMPEGNARSI PER IL FUTURO”:
61
ANNI FA IL BOMBARDAMENTO ATOMICO SU HIROSHIMA
E 25
ANNI FA LA MEMORABILE VISITA DI GIOVANNI PAOLO II
NELLA CITTA’ SIMBOLO
DELL’OLOCAUSTO NUCLEARE
Non
dimenticare mai il tragico giorno in cui l’umanità scoprì di essere capace di autodistruggersi. Il 6 agosto di 61 anni fa, Hiroshima veniva annichilita dal bombardamento nucleare americano. In
pochi secondi, 80 mila persone venivano polverizzate.
Una tragedia che si ripeté tre giorni dopo, con l’attacco atomico su Nagasaki,
epilogo del più sanguinoso conflitto nella storia dell’umanità. E quest’anno
ricorre anche il 25° anniversario della visita ad
Hiroshima di Giovanni Paolo II: era il febbraio del 1981. Papa Wojtyla lanciava un accorato appello per la pace nel mondo.
Il servizio di Alessandro Gisotti:
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(musica)
Mai più Hiroshima, mai più! Un grido ripetuto
tante volte in questi 61 anni, in ogni angolo della Terra. E tuttavia, la corsa
agli armamenti nucleari non si è affatto arrestata. Nel suo Messaggio per la 39.ma Giornata Mondiale della Pace,
celebrata il primo gennaio scorso, Benedetto XVI avverte che in una guerra
atomica “non vi sarebbero dei vincitori, ma solo delle vittime”. Per questo, il
Papa esorta i governi che possiedono armi nucleari e quelli che intendono
procurarsele ad invertire la rotta “con scelte chiare e ferme, orientandosi
verso un progressivo e concordato disarmo nucleare”. Queste parole fanno tornare
alla mente l’accorato appello di Giovanni Paolo II, che proprio 25 anni fa si
recò ad Hiroshima come pellegrino della pace:
(parole in
giapponese di Giovanni Paolo II)
“La
guerra è opera dell’uomo. La guerra è distruzione della vita umana. La guerra è
morte”: così, in lingua giapponese, Papa Wojtyla si
rivolse al popolo nipponico e a tutta l’umanità. Un appello vibrante che
assunse ancora più forza perché pronunciato proprio nel Parco della Pace,
laddove si erge lo scheletro della cupola, simbolo dell’olocausto nucleare.
Rappeler
le passé, c'est s'engager dans le futur …
“Ricordare il passato – fu il monito di Giovanni
Paolo II, in quell’occasione – è impegnarsi per il
futuro. Ricordare Hiroshima è aborrire la guerra nucleare. Ricordare Hiroshima
è impegnarsi per la pace”. Quindi, ribadì che “il ricorso alla guerra non è
inevitabile o insostituibile”. E ancora, affermò che “l’umanità non è destinata
all’autodistruzione”, giacché le “divergenze di ideologie, aspirazioni ed
esigenze possono e devono essere appianate e risolte con mezzi che non siano la
guerra e la violenza”. Giovanni Paolo II volle poi incontrare, sempre ad Hiroshima, la comunità scientifica e i rappresentanti
delle università delle Nazioni Unite. Un’occasione, spiegò il Papa, per riflettere
assieme sulla “crisi morale causata nel mondo dall’esplosione della prima bomba
atomica”:
Our
future on the planet…
“Il nostro futuro su questo pianeta, esposto com’è
al rischio dell’annienta-mento nucleare – affermò Giovanni Paolo II – dipende
da un solo fattore: l’umanità deve attuare un rivolgimento morale”. Il Papa
chiamò ad una mobilitazione generale per la pace tutti
gli uomini e donne di buona volontà. “L’umanità - fu l’esortazione del Santo
Padre - è chiamata a fare un ulteriore passo in avanti, un passo verso la
civiltà e la saggezza”.
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L’IMPEGNO DELL’ASSOCIAZIONE
“AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”
ALLE
COMUNITA’ ECCLESIALI PERSEGUITATE NEL MONDO
-
Intervista con Attilio Tamburini -
Persecuzioni, intimidazioni, terrorismo di matrice
islamica, arresti, torture e laicismo esasperato: la gamma delle violazioni del
diritto di professare il proprio credo religioso è ampio come dimostra il
rapporto che, da otto anni a questa parte, realizza l’associazione “Aiuto alla
Chiesa che soffre”. E’ un organismo cattolico fondato nel 1947 dal padre olandese
Werenfried Van Straaten, noto come “padre Lardo”, perché nell’immediato
dopoguerra raccolse quintali di lardo dalle massaie fiamminghe per soccorrere i
profughi tedeschi. Ogni anno l’associazione raccoglie dei fondi, con i quali
aiuta le comunità ecclesiali private della libertà religiosa o comunque in
difficoltà. Rita Salerno ha intervistato Attilio Tamburini, direttore della
sezione italiana di “Aiuto alla Chiesa che soffre”:
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R. – Il nostro è prima di tutto un lavoro di intervento
sul territorio dal quale ricaviamo le informazioni che distribuiamo. L’altro
aspetto importante è che noi non facciamo progetti nostri ma
finanziamo, grazie all’aiuto di più di 600.000 benefattori in tutto il mondo, i
progetti loro, quello che loro hanno intenzione di fare, cioè gli interessati,
che sono appunto i cattolici in generale, nei Paesi dove
D. – E in particolare l’Italia è in prima linea da questo
punto di vista…
R. – L’Italia è uno dei Paesi in cui l’Opera è presente da
più tempo, dal 1964. Nell’84 è stata riconosciuta come di diritto pontificio.
Noi abbiamo fatto appello ai benefattori italiani per qualche progetto
particolare, potrei citare per esempio una comunità parrocchiale a Cuba. A Cuba stessa abbiamo chiesto
un aiuto per un progetto molto bello. A Cuba come si sa non è stato festeggiato
il Natale fino al viaggio fatto da Giovanni Paolo II, quando è stata ridata la
possibilità di festeggiare il Natale.
D – Ricordiamo il viaggio di Papa Wojtyla nel gennaio del
1998…
R. – Dalla presa di potere di Castro fino al ’98, ci sono
generazioni che non hanno mai conosciuto la tradizione del presepe, anche
quella parte di colore che è intorno al Natale stesso. E allora i vescovi
cubani ci hanno chiesto, per poter far rinascere queste tradizioni di poter
donare alle famiglie cubane un “Bambinello”. Tutta l’operazione è consistita
nell’invio di 400.000 “Bambin Gesù”.
D. – Lei ha citato Cuba, e Cuba in questi giorni è in
prima pagina su tutti i giornali per le notizie che riguardano la salute di Fidel Castro. Quali scenari si aprono sul piano della libertà
religiosa?
R. – Questo è molto difficile perché dipende dall’indirizzo
che prenderà la classe dirigente. Ci possono essere due possibilità, come
abbiamo visto già in Cina. Una è che per uscire dalla crisi economica e sociale
venga data una liberalizzazione di tipo economico che
può però accompagnarsi, come accade in Cina, ad una repressione dal punto di
vista, invece, delle libertà di pensiero, di parola e quindi di fede. Perché
c’è il timore che l’allargamento e l’ampliamento della libertà economica possa
portare anche a degli scombussolamenti nella struttura del Regime. Siccome
questi sono dei regimi in cui si è creata, come dire, una “cupola dirigente” da
tanti anni, lasciare il potere o avere la paura di perdere il potere può
provocare, in queste fasi di passaggio, proprio un irrigidimento e quindi un aumento
della persecuzione: questa è una delle possibilità. L’altra possibilità è che,
dopo un primo periodo di assestamento, le voci che sono molto forti all’interno
della società cubana, come per esempio una serie di movimenti cattolici per la
libertà di parola, riescano a dare una spinta di rinnovamento come è avvenuto in molti paesi
dell’Est-europeo, senza fatti sanguinosi gravi, o attraverso un passaggio
graduale, una liberalizzazione e quindi un ritorno a quella che è la vita
normale della società cubana.
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GIOVANI
DI TUTTO IL MONDO A PAVIA, DOVE SI TROVANO LE RELIQUIE DI SANT’AGOSTINO,
PER IMPARARE, ALLA SCUOLA DEL VESCOVO DI IPPONA,
AD
ESSERE COSTRUTTORI DI UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA E PACIFICA
- Intervista con padre Francesco Giuliani, Ileana Bertocchi e padre Robert Prevost -
Circa 400 giovani di 30 Paesi
sono radunati in questi giorni a Pavia, dove sono custodite le spoglie di Sant’Agostino, per il meeting internazionale organizzato
dall’Ordine agostiniano sul tema “Beati voi costruttori della città di Dio”.
L’incontro è un appuntamento che si rinnova ogni tre anni, ma
quest’anno ha un significato particolare perchè si inserisce nell’ambito delle
celebrazioni per i 750 anni dalla fondazione dell’Ordine di Sant’Agostino.
Oggi, nella Basilica pavese di San Pietro in Ciel d’Oro, sono esposte eccezionalmente per tutta la
giornata le reliquie del grande Dottore della Chiesa. Ma come sono nati questi
incontri agostiniani e cosa vogliono offrire ai giovani? Tiziana Campisi lo ha chiesto al padre agostiniano
Francesco Giuliani, componente della commissione internazionale per la pastorale
giovanile vocazionale:
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R. – Questi incontri giovanili internazionali agostiniani
sono nati a Lecceto, in provincia di Siena, nel 1987 per commemorare il XVI centenario della conversione di Sant’Agostino.
Quello è stato il primo incontro e i giovani di allora sono diventati adulti e
uno di questi sono io. Questi incontri hanno cresciuto generazioni di giovani
agostiniani nei valori della gioia, dell’umanità, della fede
e della spiritualità fusi insieme nei cuori, provenienti da ogni parte
del mondo. Noi agostiniani incontriamo questi giovani perché riteniamo sia importantissimo
far capire che il progetto di Dio sul giovane è la vera realizzazione, è la vera
felicità della persona. La persona è felice quando
dice ‘sì’ a qualcosa di più grande di cui fidarsi. Questa è la grande sfida
della Chiesa e questa sfida raccogliamo pienamente anche in questi incontri
dove si vive gomito a gomito con i ragazzi nella fatica, nella gioia, nella
preghiera, nel canto, nella risata, in tutte le componenti dell’essere umano.
D. – Ma come vedono i giovani Sant’Agostino? Ad Ileana Bertocchi,
milanese, abbiamo chiesto cosa le ha insegnato il vescovo di Ippona:
R. – Agostino mi ha insegnato soprattutto, a guardare
dentro di me. E’ un personaggio profondamente interessato al cuore di una
persona, alla sua anima, alla sua voglia di cercare la propria strada, che è
una strada forse - a volte in questa fascia di età - difficile da trovare. Siamo
spesso dubbiosi su quello che vogliamo fare della nostra vita … Quindi
un’ancora di salvataggio in questo mare un po’ tumultuoso di incertezze è
sicuramente una grande cosa. E la fede di Sant’Agostino,
la fede in Dio, è sicuramente una certezza non indifferente.
D. – Questo incontro di Pavia raduna circa 400 giovani che
arrivano da 30 Paesi diversi. Che cos’hanno in comune questi ragazzi?
R. – Hanno in comune proprio la loro giovinezza, la loro
energia e la loro semplicità. Riusciamo a capirci nonostante la diversità delle
nostre lingue, perché il linguaggio di Dio è un linguaggio universale.
D. – E quale messaggio vogliono dare gli agostiniani ai
giovani? Ci risponde il priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino,
padre Robert Prevost:
R. – Penso che sia innanzitutto quello stesso messaggio di
Sant’Agostino quando dice
che la vera fonte della felicità è in Gesù Cristo. Una verità cui si giunge con
un metodo proprio di Agostino che si basa sull’amicizia, sull’esperienza umana,
sulla condivisione e sull’importanza di scoprire Dio dentro se stessi.
D. – Se Agostino vivesse ai giorni nostri, che cosa
direbbe ai giovani?
R. – “Cerca la luce nella Parola di Dio”. In questa
ricerca Agostino ci aiuta a scoprire - prima nell’esperienza umana, poi con
l’illuminazione del Vangelo – che la Grazia di Dio ci accompagna in tutte le
esperienze della nostra vita. Ma bisogna avere pazienza e avere occhi di fede
per scoprire che Dio è veramente vivo in mezzo a noi, nella Chiesa, in mezzo
alla comunità.
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6 agosto 2006
RICORRE OGGI IL VENTOTTESIMO ANNIVERSARIO DELLA
MORTE DI PAOLO VI.
IERI,
NELLE GROTTE VATICANE,
CARDINALI
E VESCOVI LO HANNO RICORDATO IN UNA MESSA
ROMA. = Vent’otto anni fa moriva a Castel Gandolfo Paolo VI. Ieri,
nelle Grotte Vaticane, accanto alla sua semplice tomba, hanno concelebrato una Messa
per ricordarlo cardinali e vescovi. “Mi piace pensare al servo di Dio Paolo VI
dentro il dramma di questa nostra umanità – ha detto nell’omelia il vescovo di Palestrina,
Domenico Sigalini – capace di tutte le efferatezze,
ma con il seme di una speranza che ha la forza di farsi largo”. Mons. Sigalini ha voluto anche
richiamare alla memoria di tutti, e soprattutto di chi si carica della grave
responsabilità della guerra, quel desiderio di pace che Papa Montini aveva affidato all’ONU: “Uomini, procurate di essere degni del dono
divino della pace. Uomini, siate uomini! … siate buoni, siate saggi, siate
aperti alla considerazione del bene totale del mondo … non pensate a progetti
di distruzione e di morte, di rivoluzione e di sopraffazione: pensate a
progetti di comune conforto e di solidale collaborazione”. Amante appassionato
della Chiesa e scrutatore acuto dei tempi, Paolo VI era un uomo di pace e di
gaudio, come amava definirsi. Resta ancora un grande patrimonio per la Chiesa
il suo insegnamento sul dialogo come il modo più umano, cristiano ed ecclesiale
per parlarsi. Il Pontefice definì il dialogo anzitutto colloquio personale con
Dio. “La storia della salvezza narra appunto questo lungo e vario dialogo che
parte da Dio – scrive Paolo VI nella sua prima enciclica Ecclesiam
suam – e intesse con l’uomo varia e mirabile
conversazione”. In secondo luogo Papa Montini vide il
dialogo come un fraterno confronto ecclesiale. Nel suo testamento datato 14
luglio 1973, emerge una visione della vita, del mondo, del cristianesimo, della
Chiesa e della sua missione intrisa di speranza. Ma vi si scorge pure la
fierezza umile del credente e del maestro di fede che affronta la realtà della
morte. “Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente
da questo mistero – rifletteva Paolo VI – e benedico il vincitore della morte
per averne fugate le tenebre e svelata la luce”. A lui toccò chiudere il
Concilio Vaticano II, aperto da Giovanni XXIII, di presentarlo ai cristiani, di
guidare il primo periodo post-conciliare e di proclamare che la Chiesa doveva
approfondire la coscienza di se stessa meditando sul mistero che le è proprio.
(T.C.)
DUE
SACERDOTI SONO STATI TROVATI MORTI IN CAMERUN E IN NIGERIA
- A
cura di Tiziana Campisi -
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LAGOS.
= Due sacerdoti sono stati uccisi nei giorni scorsi in Africa. In Nigeria, ad Afikpo, nello Stato meridionale dell’Ebonyi,
è stato pugnalato nella sua abitazione padre Chidi Okorie, 31 anni, della St. Mary’s Catholic Church. Subito soccorso, è stato trasportato in ospedale
dove è deceduto poco dopo. Secondo le indagini della polizia, dei malviventi si
sarebbero introdotti nella casa del sacerdote a scopo di rapina; risultano infatti scomparsi denaro e altri beni. Con padre Okorie sono 4 i sacerdoti deceduti per morte violenta in
Nigeria nell’arco di due anni. A Yaoundé, nel
Camerun, invece, nell’università cattolica dell’Africa Centrale, è stato
trovato morto padre Patrick Adeso.
Il sacerdote aveva 55 anni ed era consultore del Pontificio Consiglio per i
Migranti e cappellano del movimento carismatico per il Camerun. Sempre in
Nigeria, da mesi teatro di violenze contro i lavoratori dell’industria del
petrolio, cinque nigeriani dipendenti della compagnia anglo-olandese Shell sono stati uccisi giovedì scorso nello Stato di Rivers, in un’imboscata tesa da alcuni uomini armati. E nei
giorni scorsi, nella regione del delta del Niger, a Port
Harcourt, sono stati rapiti un cittadino tedesco del
gruppo petrolifero Bilfinger Berger
e il suo autista nigeriano. Ancora nello Stato di Rivers
sono stati sequestrati tre salariati filippini della società americana Baker Overseas Technology Service. Dall’inizio
dell’anno le compagnie petrolifere in Nigeria sono diventate il bersaglio dei
militanti separatisti armati che chiedono risarcimenti per i danni ambientali
provocati dalle esplorazioni petrolifere e una migliore spartizione dei proventi
derivanti dallo sfruttamento del petrolio. Da gennaio più di 30 persone sono
state rapite e sono state rilasciate dopo lunghi periodi di prigionia. Negli
scontri con i gruppi armati si registrano, fino ad oggi, 25 morti, tra agenti
di sicurezza e militari incaricati di sorvegliare le istallazioni petrolifere e
il loro personale. Questi attacchi alle compagnie petrolifere hanno provocato
una caduta della produzione, per alcune fonti addirittura del 30 per cento.
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SONIA GANDHI CRITICA LE LEGGI SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA IN
INDIA APPLICATE NEGLI STATI GOVERNATI DAI FONDAMENTALISTI. LEADER DELLE MINORANZE
CHIEDONO A ùNEW DELHI LA PUBBLICAZIONE DI UN LIBRO
BIANCO
SULLA CONDIZIONE DEI CRISTIANI
MUMBAI.
= Dure critiche di Sonia Gandhi alle leggi sulla
libertà religiosa in India, note come leggi anti-conversione. “Queste sono
leggi – ha detto la presidente del Partito
del Congresso – approvate da
amministrazioni, dove siamo all’opposi-zione”.
La leader politica, scrive l’agenzia AsiaNews, ha voluto rispondere ad un
memorandum presentato da John Dayal,
membro del Consiglio nazionale per l’integrazione, ricordando che il suo partito
ha ostacolato “fortemente” le ingiuste normative in Parlamento. Le leggi sulla libertà religiosa, secondo i più,
colpirebbero in modo particolare i cristiani, accusati dagli integralisti indù
di operare conversioni forzate tra le fasce più povere della popolazione. Ai
fedeli indù impongono invece rigide regole e pene se decidono di cambiare fede.
Le dichiarazioni di Sonia Gandhi sono arrivate mentre diversi rappresentanti della comunità cristiana
erano riuniti per l’incontro della Commissione nazionale delle minoranze (Ncm), che il 4 agosto ha discusso anche della minaccia
delle leggi anticonversione. Al termine dei lavori i partecipanti si sono
trovati d’accordo sulla necessità di un Libro bianco sulla situazione politica,
economica e sociale delle minoranze cristiane in India. È stato proposto, poi,
il rilascio di dichiarazioni ufficiali da parte di quegli Stati in cui si
verificano conversioni forzate, che spesso sarebbero inventate dagli integralisti
per le loro persecuzioni. I vari leader hanno poi ribadito la volontà di
servire la Costituzione indiana e di monitorare l’operato e le politiche del
governo centrale e di quelli locali, affinché “mai le minoranze religiose
sentano di vivere in un sistema ingiusto o in uno Stato sordo al loro dolore”.
Il presidente della Ncm, Hamid
Ansari, ha poi spiegato che la Commissione ritiene il
diritto di praticare e professare la propria fede – garantito dall’art. 25
della Costituzione – “un ingrediente essenziale del Paese”. La Ncm ha quindi steso una “Carta delle richieste”, che in 15
punti sottopone a New Delhi i problemi e le necessità più urgenti delle
minoranze. Tra le richieste: ritirare le “discriminatorie
leggi sulla libertà religiosa in Madhya Pradesh, Rajasthan, Orissa, Chhattisgarh e Arunachal”; pieni diritti civili e costituzionali ai dalit cristiani; rassicurare le minoranze sullo stato di
diritto, perseguendo i crimini d’odio settario e i colpevoli di violenze come
l’organizzazione Sangh Parivar;
lo studio di progetti per lo sviluppo economico e culturale delle minoranze
nelle aree rurali. Le leggi sulla libertà religiosa puniscono la
conversione ad un’altra fede se questa avviene con la forza o la frode. Il
reato prevede la detenzione per 3 anni e una multa di 20 mila rupie (pari a 435
dollari). Queste leggi sono entrate in vigore nel Chattisgarh
solo di recente. Il vescovo di Raigarh Paul Toppo ha osservato che esse sembrano “discriminatorie
proprio verso i cristiani” perché a loro viene
liberamente concesso di diventare indù, ma pongono restrizioni a quegli
induisti che vogliono diventare fedeli di Cristo. La normativa impone tra
l’altro, a chiunque voglia cambiare religione, di richiedere un permesso
governativo. (T.C.)
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6 agosto 2006
- A cura di Eugenio
Bonanata -
Nel 26mo giorno guerra, in Libano prosegue l’offensiva
israeliana a cui fa seguito il lancio di razzi da
parte dei miliziani di Hezbollah. Sono decine i morti
anche oggi, mentre, nei prossimi giorni, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU
potrebbe approvare una risoluzione in cui si chiede l’immediata cessazione dei
combattimenti. Il servizio di Eugenio Bonanata:
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L’orrore della guerra cresce ogni giorno di più. Sono
sempre intensi i raid israeliani. Oggi, i caccia dello Stato ebraico hanno
colpito più volte il villaggio Ansar, nei pressi di Sidone,
nel Sud del Libano. Un missile ha colpito una casa, sterminando la famiglia che
vi abitava: sono almeno sei i morti e cinque i feriti. Sempre nel Sud tre
soldati cinesi del contingente ONU sono rimasti feriti durante una sparatoria
tra le forze israeliane e la milizia Hezbollah. Nei
pressi del quartier generale della forza delle Nazioni
Unite sono stati uccisi altri tre civili. Pesanti scontri si segnalano anche a
Tiro, mentre prosegue la distruzione delle più importanti vie di comunicazione
del Libano che sono ancora in piedi. La realtà non muta in Galilea, in territorio
israeliano, a poca distanza dal confine, dove oggi si è registrato l’attacco
più cruento dall’inizio del conflitto: i razzi di Hezbollah,
caduti su un kibbuz, hanno fatto almeno dieci morti.
Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU voterà domani o lunedì la bozza di
risoluzione, presentata ieri da Francia e USA, che invoca un “piena cessazione
delle ostilità”. Il governo libanese però ha rifiutato il documento, in quanto non
precisa i tempi per la cessazione delle ostilità. Inoltre il testo chiede ad
Israele di interrompere tutte le operazioni ‘offensive’. Un
condizione, questa, che permetterebbe allo Stato ebraico di rispondere
al fuoco in caso di attacco. Da parte sua il vice premier israeliano, Shimon Peres, ha affermato che
serve tempo prima di arrivare al cessate-il-fuoco.
Tuttavia, se rispettata, la risoluzione potrebbe consentire la ripresa delle
operazioni umanitarie e il ritorno dei tanti sfollati libanesi. A questa dovrà
seguire un’altra risoluzione per un cessate-il-fuoco
duraturo e solo dopo si potrà predisporre l’invio di una forza di pace dell’ONU.
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Intanto l’offensiva israeliana prosegue anche su Gaza. A Rafah, nel Sud della Striscia un bambino palestinese è stato
ucciso in nottata durante un’incur-sione aerea. Sempre
in nottata le truppe di Tel Aviv hanno arrestato a Ramallah, in Cisgiordania, il
presidente del Parlamento palestinese, Abdel Aziz Duaik, un esponente di
Hamas. Il premier palestinese, Ismail Haniyeh, ha definito l’arresto un “gesto spregevole di
pirateria” e un atto contrario al diritto internazionale. Hamas ha avvertito
Israele che in nessun caso i suoi dirigenti e i parlamentari arrestati in Cisgiordania da Israele “potranno essere usati come carte
di scambio” per la liberazione del soldato israeliano, rapito il 25 giugno al
confine.
I corpi di 17 persone, tra i quali quattro militari
iracheni e una donna, sono stati scoperti oggi a Baghdad. A Nassiriya
inoltre un ex membro del partito Baas, al potere con Saddam Hussein, e' stato ucciso
nella sua casa sotto gli occhi dei suoi familiari. Intanto, sempre nella
capitale irachena, si è riunita oggi una corte militare americana per decidere
se processare i quattro soldati statunitensi accusati di aver stuprato e
ucciso, nel marzo scorso, una ragazza irachena a Mahmudiya
e massacrato poi la sua famiglia per coprire il crimine. Il caso, il quinto grave
episodio sul quale sta indagando l'esercito americano in Iraq, ha sollevato forte
indignazione negli iracheni e ha spinto il primo ministro al-Maliki
a chiedere la revisione dell’immunità delle truppe straniere di fronte alla
giustizia irachena. Se i quattro soldati saranno giudicati colpevoli rischiano
la pena di morte.
La Jamaa Islamiya,
l’organizzazione che nel decennio passato si è resa responsabile dei più
sanguinosi attentati in Egitto, ha smentito, attraverso il suo sito Internet, la affermazione fatta ieri dal numero due di al Qaeda, l’egiziano Al Zawahri,
secondo cui una fazione della Jamaa avrebbe aderito
al gruppo fondato da Osama Bin
Laden.. Secondo fonti anonime, oggi dovrebbe riunirsi
il Consiglio consultivo della Jamaa che demetterà un comunicato in cui si ribadisce la fedeltà
all’impegno, preso nel 1998, di respingere la violenza. Quanto ai presunti
leader della Jamaa citati da al
Zawahri, uno dei quali compare anche nel video, le
fonti anonime rilevano che si tratta per lo più di figure minori.
Nella città di Sucre, capitale
legale della Bolivia, si insedieranno oggi i 255 membri dell’Assemblea
costituente, eletti lo scorso 2 luglio, chiamati a redigere una nuova Costituzione,
in sostituzione del vecchio testo del 1947. A presiedere l’Assemblea, sarà
l’indigena dell’etnia quéchua,
Silvia Lazarte, candidata del Movimento al Socialismo
(MAS), il partito del presidente Evo Morales. Il servizio
di Luis Badilla:
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I lavori dei costituenti non si prospettano facili. Nessun
partito è in grado di raggiungere da solo il quorum dei 2/3 (170 costituenti)
che consentirebbe un’approvazione svelta della Carta costituzionale. I
sostenitori del Presidente Morales al massimo possono
contare su 159 voti, se riescono a stringere accordi con i gruppi minori.
L’opposizione, guidata dall’ex Presidente, Jorge Quiroga, dispone di soli 60 voti. Dal canto loro, i vescovi
della Bolivia, lo scorso 3 maggio, in un documento, definiscono la Costituente
“una grande speranza” per il Paese. Nel testo i presuli si soffermano ampiamente
sulla libertà religiosa, la collaborazione tra Stato e Chiesa, e sottolineano
alcuni principi irrinunciabili come il primato della persona, il bene comune,
l’accesso universale ai beni essenziali, la sussidiarietà,
la partecipazione e la solidarietà. “Questi principi e valori fondamentali
della vita di un Paese – aggiungono – devono tradursi in azioni concrete:
difesa della vita e della famiglia basata sul matrimonio; promozione del
diritto ad un lavoro dignitoso e adeguatamente retribuito, un più equo accesso
alla terra e alle risorse naturali, nonché all’assistenza sociale e sanitaria”.
Il vice presidente della Repubblica, Alvaro Garcia Lineras, ritenuto il principale stratega della compagine
governativa, ha dichiarato che “l'Assemblea sarà anche il luogo della materializzazione
dei nuovi rapporti di forza nel Paese, quindi della costituzionalizzazione
delle principali misure prese dal governo”. Tra le forze emergenti il vice
presidente include il “movimento indigeno plurinazionale, che pensa la nazione
a partire dalle diversità di nazioni che vivono al suo interno”. Sempre secondo
il pensiero di Garcia Lineras,
“si tratta anche di potenziare le strutture comunitarie e per questo parliamo
di capitalismo andino-amazzonico. C'è una specie di neo-comunitarismo economico che va potenziandosi
parallelamente all'economia statale e a una relazione negoziale con gli
investimenti stranieri e locali”.
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L’Iran espanderà il suo programma nucleare quando e come
lo riterrà più opportuno, respingendo quindi la risoluzione delle Nazioni Unite
che invece chiedeva all’Iran la sospensione dell’arricchimento dell’uranio
entro la fine di agosto, minacciando sanzioni. La posizione di Teheran è stata ribadita oggi da Ali
Lariani, il principale negoziatore iraniano che ha aggiunto: la
risoluzione dell’ONU “non piegherà la nostra determinazione”. Intanto la
giustizia iraniana ha giudicato “illegale” l’attività del gruppo di difesa per
i diritti dell’uomo patrocinato dalla signora Shirin Ebadi, avvocato e premio Nobel per la pace. Martedì socrso il suo gruppo aveva chiesto un’indagine indipendente
sulla morte di un giovane dissidente, deceduto dopo uno sciopero della fame per
la difesa dei diritti umani in Iran. Alessandro Guarisci ha sentito il parere
del portavoce di Amnesty International
Italia, Riccardo Noury:
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R. – Ogni forma di società civile, e in particolare di
società civile organizzata attorno al tema della difesa dei diritti umani, in
Iran, è stata ridotta al silenzio. Questo ultimo provvedimento nei confronti di
una voce libera, autorevole e prestigiosa come quella di Shirin
Ebadi e delle persone che fanno capo al suo gruppo
per la difesa dei diritti umani, testimonia ancora di più come non sia possibile nel Paese di Ahmadinejad
una verifica indipendente, un’opera di denuncia indipendente sulla situazione
dei diritti umani.
D. – Ecco, ma sta nascendo in Iran un movimento dal basso
per la tutela dei diritti umani?
R. – C’è certamente questo fermento e ci sono anche gruppi
su base locale, sia nel Kuzestan che nella zona della
minoranza azera. Ma più crescono, questi movimenti, e
più la repressione si abbatte su di loro.
D. – A questo punto, la comunità internazionale come può e
deve intervenire?
R. – Occorre che ci sia una pressione molto forte, che si
allarghi un po’ il tema della pressione, non soltanto quello certamente
importante dell’eventuale presenza di armi nucleari, di programmi militari per
l’uso di armi nucleari; c’è una situazione sotterranea di violazione dei
diritti umani, un uso massiccio della pena di morte, sempre di più, che la comunità
internazionale deve esaminare. E’ chiaro che più lo scontro con il governo
iraniano si fa attraverso minacce di interventi e meno c’è spazio per una
pressione che potrebbe dare risultati migliori di quelli che ha avuto fino a
questo momento, su un tema fondamentale, che è quello della difesa dei diritti
umani all’interno del Paese.
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Sempre alta la tensione in Sri Lanka,
dove i ribelli Tamil hanno accusato l’esercito regolare
di aver ripreso a bombardare le loro postazioni. Il tutto è avvenuto poche ore
dopo l’annuncio, da parte delle Tigri Tamil, di
rimuovere il blocco di un canale di irrigazione che è stato all’origine di
violenti scontri dei giorni scorsi. Il gruppo ribelle in
mattinata aveva minacciato ‘guerra totale’ in caso di
bombardamenti dell’esercito.
In Pakistan, le piogge torrenziali degli ultimi giorni hanno
provocato almeno 40 vittime. Questo è il bilancio, ancora provvisorio,
dell’ultimo crollo di un ponte avvenuto nella parte nord-orientale del Paese.
Nell’ultimo mese, crolli, frane e inondazioni hanno provocato la morte di
almeno 180 persone nel Paese. Intanto la polizia pachistana ha comunicato che
un attentatore suicida è morto, nella zona meridionale del Paese, a causa di
una cintura esplosiva difettosa che è saltata in aria in anticipo.
Nell’episodio non ci sono state altre vittime.
Le forti piogge hanno provocato decine di vittime anche in
Etiopia. L’ultimo bilancio dell’inondazione, che ha colpito la zona orientale
del Paese, parla di almeno un centinaio di morti, per la maggior parte donne e
bambini. La Croce Rossa si è mobilitata in queste ore per prestare i soccorsi.
Il disastro è stato provocato dallo straripamento del fiume che attraversa la
città di Dire Dawa.
La Comunità di Sant’Egidio ha
espresso grande soddisfazione per la dichiarazione di cessazione delle ostilità
tra Nord Uganda e Sud del Sudan, emessa ieri dall’Esercito di resistenza del signore.
In un nota, la Comunità di Sant’Egidio
ha definito la dichiarazione “un primo passo importante verso la soluzione
pacifica del conflitto che affligge da quasi vent’anni Nord Uganda e Sud del
Sudan.
In Russia, la polizia ha arrestato due persone che avrebbero
rubato centinaia di centinaia di opere d’arte dal museo Hermitage
di Mosca. I due hanno confessato di aver rubato, nell’arco di sei anni, oggetti
d’arte per un valore di 5 milioni di dollari, grazie anche alla complicità di
un addetto ai lavori del museo.
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