RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 215 - Testo della trasmissione di giovedì 3 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Cuba:
sono stabili – secondo un comunicato dell’Avana - le condizioni di Fidel Castro
3 agosto 2006
IL PAPA ESORTA I FEDELI A NON STANCARSI DI PREGARE
PER
- Intervista al priore di Bose Enzo Bianchi -
Il Papa invita i credenti a continuare a pregare per la
pace in Medio Oriente. Ieri all’udienza generale ha lanciato l’ennesimo appello
ai fedeli perché non si stanchino di chiedere a Dio “il fondamentale dono della
concordia”. Il servizio di Sergio Centofanti:
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“Le preghiere non sono inutili - afferma il Papa - preghiamo fortemente”, perché la preghiera
è “il nostro strumento principale”: è
“un grido non solo a Dio ma agli uomini”. Dunque - aggiunge - “non tacciamo” e
“facciamo il possibile per arrivare alle orecchie dei potenti” perché
“depongano le armi” e “cessino subito il fuoco”. Benedetto XVI ha fatto sentire
la sua voce sin dall’inizio del conflitto. Queste le sue parole durante
l’Angelus del 16 luglio
a Les Combes:
“All'origine di tali
spietate contrapposizioni vi sono purtroppo oggettive situazioni di violazione
del diritto e della giustizia. Ma né gli atti terroristici né le rappresaglie,
soprattutto quando vi sono tragiche conseguenze per la popolazione civile,
possono giustificarsi. Su simili strade - come l'amara esperienza dimostra -
non si arriva a risultati positivi”.
Il Papa auspica che “i responsabili politici” tornino
“sulla via della ragione … aprendo nuove possibilità di dialogo e di
intesa”. Domenica 23 luglio, sempre durante
l’Angelus in Valle d’Aosta, spiega la posizione della Santa Sede:
“Colgo l'occasione
per riaffermare il diritto dei Libanesi all'integrità e sovranità del loro
Paese, il diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto
dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana. Sono, poi,
particolarmente vicino alle inermi popolazioni civili, ingiustamente colpite in
un conflitto di cui sono solo vittime: sia a quelle della
Galilea costrette a vivere nei rifugi, sia alla grande moltitudine di
Libanesi che, ancora una volta, vedono distrutto il loro Paese e hanno dovuto
abbandonare tutto e cercare scampo altrove”.
Benedetto XVI rinnova il suo appello “a tutte le
organizzazioni caritative, perché facciano giungere a quelle popolazioni
l'espressione concreta della comune solidarietà”. Domenica 30 luglio da Castel Gandolfo
ribadisce “che non si può ristabilire la giustizia, creare un ordine nuovo ed edificare una pace autentica quando si ricorre allo
strumento della violenza”. E affida la riconciliazione all'intercessione di
Maria, “Regina
della Pace, tanto venerata nei Paesi mediorientali”.
Infine, ieri, all’udienza generale in Piazza San Pietro,
con “il cuore colmo di afflizione”, il nuovo invito a non stancarsi di pregare:
“I nostri occhi sono
pieni delle agghiaccianti immagini dei corpi straziati di tante persone,
soprattutto di bambini – penso, in particolare a Cana,
in Libano. Desidero ripetere che nulla
può giustificare lo spargimento di sangue innocente, da qualunque parte esso venga!”
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Per una
riflessione sul valore della preghiera, più volte invocata
dal Papa per la pace in Medio Oriente, Alessandro Gisotti ha intervistato il
priore della Comunità ecumenica di Bose, Enzo
Bianchi:
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R. - Mi sembra che Benedetto XVI esprima davvero la grande
fede cristiana della preghiera che non è semplicemente un rivolgersi a Dio
nelle situazioni senza sbocco, ma è la convinzione anche che la preghiera è già
prassi, è una forza nella storia! Oserei dire, una forza politica nel senso che
davvero Dio può rispondere alle nostre invocazioni e immettere nei cuori dei
potenti, pensieri e progetti di pace. Questo il Signore può farlo tramite lo
Spirito Santo e noi dobbiamo certamente chiederlo, predisponendo tutto perché
ci sia un cammino di pace.
D. – Nell’invocare l’intercessione della Madonna per la
pace in Medio Oriente, il Papa ha sottolineato come Maria sia particolarmente
venerata in quella regione, e non solo dai cristiani…
R. – Sì, noi sappiamo che in quella regione c’è la
presenza innanzitutto di tante Chiese cristiane, si pensi al Libano che è un
crocevia di orientali cattolici, di latini cattolici e poi di varie Chiese
orientali e ortodosse. Tutte vedono nella Madonna la “Regina del Libano”, così
come è chiamata. E’ una presenza che indubbiamente è di intercessione. Poi
anche i musulmani - non dimentichiamolo - hanno una certa venerazione per Lei:
l’intercessione di Maria è molto significativa soprattutto in quella terra
perché è una memoria delle aspirazioni degli uomini alla pace, alla concordia e
alla giustizia.
D. – Lei ha scritto recentemente che il Mediterraneo è un
mare che potrebbe essere ponte fra terre, culture e religioni e invece è un
mare in guerra. Quale può essere allora il contributo dei cristiani affinché
questo mare sia un mare di pace?
R. – I cristiani sono sulle terre del Mediterraneo, su
tutte le terre. Certo, in alcune, quelle attualmente rappresentate dal mondo
arabo musulmano, i cristiani in esse sono soltanto una
minoranza. Però, indubbiamente, la loro vocazione è ricordare che questo mare è
stato unito dalla predicazione di Paolo, degli Apostoli, fondando comunità
cristiane e arrivando poi a predicare qui il cristianesimo. E’ possibile che di
nuovo proprio con l’attività, la testimonianza, la presenza dei cristiani,
diventi un ponte tra culture diverse e diventi una scuola di comunicazione, di
dialogo per tutta l’umanità, per tutto il mondo.
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SI E’
SPENTO IERI A ROMA, ALL’ETA’ DI 76 ANNI,
L’ARCIVESCOVO
GABRIEL MONTALVO, GIA’ NUNZIO APOSTOLICO NEGLI
STATI UNITI. NELLA SUA LUNGA CARRIERA AL SERVIZIO DELLA DIPLOMAZIA VATICANA,
IL
PRESULE E’ STATO ANCHE PRESIDENTE
DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Cordoglio in
Vaticano per la morte dell’arcivescovo Gabriel Montalvo,
nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America fino al dicembre dell’anno
scorso. Il presule si è spento a Roma, nella tarda serata di ieri. Nel
comunicare la scomparsa del presule, la Segreteria di Stato della Santa Sede
“prega il Signore, datore di ogni bene, perché conceda il riposo eterno” a
mons. Montalvo. La salma del diplomatico vaticano
sarà esposta nella Cappella di Santa Maria, nel Palazzo del Governatorato in
Vaticano, durante la giornata di domani, venerdì 4 agosto. Le esequie saranno
celebrate dal cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, alle ore 9 di sabato
5 agosto, all’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro.
Nato a Santafé de Bogotà, in Colombia, nel 1930, mons. Gabriel Montalvo è stato ordinato sacerdote nel 1953. Quindi, nel
1974, viene nominato arcivescovo titolare di Celene. Nella sua lunga carriera al servizio della
diplomazia della Santa Sede, mons. Montalvo è stato
nunzio apostolico in Honduras, Nicaragua, Bielorussia
e, per sette anni, a Washington. Dal 1993 al 1998 è stato presidente della
Pontificia Accademia Ecclesiastica, l'istituzione in cui si formano i sacerdoti
che si preparano a far parte del servizio diplomatico della Santa Sede, presso
le Nunziature Apostoliche o la Segreteria di Stato.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - "Novecento morti, tremila
feriti, un milione di sfollati" è il titolo di apertura in
riferimento alla drammatica situazione in Libano. A seguire: contrasti tra
Francia e Stati Uniti all’ONU provocano il nuovo rinvio della riunione che dovrebbe
decidere l'invio di un forza d'interposizione. Iraq: la feroce logica della guerra si accanisce contro i bambini:
minato un giardino di Baghdad dove i ragazzi giocavano a pallone.
Servizio vaticano - Santa Messa nelle Grotte
Vaticane nel XXVIII della morte di Paolo VI. L'esperienza profonda della
preghiera tra le Carmelitane Scalze di Haifa.
Servizio estero - Medio Oriente: in Libano
bombardamenti e scontri sempre più intensi.
Servizio culturale - Il restauro degli affreschi
del Mantegna nella cappella Ovetari
a Padova
Servizio italiano - I temi dell'economia e della giustizia
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3 agosto 2006
ISRAELE RIPRENDE I BOMBARDAMENTI SU BEIRUT.
900 FINORA LE VITTIME LIBANESI: UN TERZO SONO
BAMBINI.
CONTINUANO
ANCHE I LANCI DI RAZZI DEGLI HEZBOLLAH IN GALILEA
-
Interviste con padre Vittorio Pozzo e con don padre
Mario Murru -
Non c’è tregua in Medio
Oriente: l’aviazione israeliana ha condotto nuovi raid nei pressi della
martoriata città di Tiro, nel sud del Libano. Sull’altro fronte, guerriglieri Hezbollah libanesi hanno lanciato, durante
la notte, razzi sull’Alta Galilea. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Gli aerei israeliani hanno compiuto decine di raid sul
territorio libanese, tornando a colpire anche Beirut. Nella zona meridionale,
Israele ha dispiegato circa 10.000 soldati per creare una fascia di sicurezza.
I soldati dello Stato ebraico hanno preso posizione in 11 villaggi e ucciso
almeno 4 guerriglieri Hezbollah. I bombardamenti
proseguono anche nel nord, vicino al confine con la Siria e nella valle della Bekaa. Sull’altro fronte, più di 200 razzi sono stati
lanciati, nelle ultime 24 ore, da combattenti Hezbollah
verso il nord di Israele. Un’inchiesta delle forze armate
dello Stato ebraico, le cui conclusioni sono state pubblicate oggi, ha rivelato, intanto, che il
raid israeliano sul villaggio di Cana e la conseguente strage di civili dello scorso 30 luglio
sono state un errore. Le autorità libanesi hanno corretto, inoltre, il bilancio
di quella strage, le cui vittime sarebbero state 28 e non 52, come dichiarato
precedentemente. Ma nel Paese dei Cedri, il bilancio complessivo dei morti
resta comunque pesante: secondo il premier Fuad Siniora,
sono 900 i morti da quando ha avuto inizio, lo scorso
12 luglio, l’offensiva israeliana. Un terzo delle vittime e dei feriti è
costituito da bambini sotto i 12 anni. Siniora ha
precisato, poi, che gli sfollati sono oltre un milione, un quarto circa della
popolazione libanese. È stato aggiornato anche il bilancio dei danni che, secondo fonti ufficiali, ammontano ad oltre 2,5 miliardi di
dollari. Dalla Malaysia, dove si è in corso la riunione dell’Organizzazione
della Conferenza Islamica, i rappresentanti dei Paesi a maggioranza musulmana
hanno chiesto, infine, che “le violazioni del diritto internazionale e dei
diritti dell’uomo non rimangano impunite”.
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E per chiedere la fine delle violenze in Libano e nei
Territori palestinesi, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, ha lanciato un
nuovo messaggio. Nel testo, il patriarca esorta tutti a pregare perché “la
ragione prevalga sullo spirito di vendetta”, perché vi siano sempre più uomini
e donne “capaci di vivere insieme nella pace” e perché i soldati non siano
fatti strumento di “uccisioni e distruzione”, così che la Terra Santa sia “terra
di redenzione e riconciliazione per tutti”. In Libano, intanto, gli orrori e i
drammi della guerra sono sempre più evidenti. Fortemente
minacciati sono ora il futuro stesso del Paese e le speranze della popolazione
libanese. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il missionario
salesiano della casa Don Bosco di El Houssoun, padre Vittorio
Pozzo, da 30 anni in Libano:
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R. – Il più difficile sarà ricostruire l’uomo. La ragione
della sua sopravvivenza, per il Libano, è quella di essere un Paese comunque
unito, seppur nella diversità delle confessioni, delle religioni e delle
culture. Diciamo, quindi, che i libanesi devono sapersi accettare e perdonare.
D. – Quindi, per la popolazione libanese è necessario in
questo momento drammatico essere più che mai compatta…
R. – Il vertice religioso di tutti i capi religiosi
cristiani e musulmani di due giorni fa ha preso questo orientamento invitando
tutta la popolazione a fare quadrato intorno allo Stato, intorno al governo che
attualmente rappresenta la legittima autorità. La cosa più importante è quella
di superare questo trauma: i libanesi hanno molte risorse, sono pieni di intraprendenza
e di iniziative. La cosa più importante è che abbiano ancora la volontà di ritentare,
per l’ennesima volta, e non rivedersi, soltanto dopo pochi anni, al punto zero
e quindi ricominciare tutto da capo.
D. – Negli organi di stampa, la guerra è spesso un cumulo
di cifre e statistiche: cosa significa per voi, salesiani in Libano, questo
conflitto?
R. – La realtà è, purtroppo, peggiore delle statistiche.
Certo noi, per dove siamo, siamo ancora molto fortunati, perché non siamo stati
colpiti: abbiamo la nostra casa, abbiamo da mangiare. Andando in giro, però,
abbiamo contatti con gli sfollati ed i rifugiati; ci rendiamo allora conto di
che cosa sia la guerra e quale significato abbia per loro aver dovuto
abbandonare la casa, che probabilmente non la troveranno più in piedi. Capiamo
cosa significa vivere in strutture pubbliche e in scuole, con tante altre
famiglie. Ogni giorno dobbiamo trovare, in qualche modo, delle parole nuove per
far accettare e non far pesare loro quello che si porta e si offre.
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L’orrore della
guerra sconvolge anche i Territori palestinesi, dove oggi sono morte almeno 8
persone in seguito a nuove operazioni militari israeliane, e lo Stato ebraico.
Nel nord di Israele sono arrivati, nella notte, razzi lanciati da guerriglieri Hezbollah. Alcuni di questi hanno raggiunto anche Nazareth.
Sulla situazione in Galilea, Amedeo Lomonaco ha raccolto la testimonianza del
direttore dell’Istituto dei salesiani di Don Bosco, padre Mario Murru, raggiunto telefonicamente a Nazareth:
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R. – Con questi missili che arrivano - non si sa quando e
non si sa dove - la gente vive con il timore che possa arrivarne uno sulle loro
teste. Proprio ieri, quattro di questi razzi sono arrivati vicino alla città di
Nazareth.
D. – C’è un pericolo reale anche per i Luoghi Santi della
Galilea?
R. – Il pericolo c’è per tutti i posti perché questi razzi
quando arrivano, non sono mirati; non sono come i missili mandati da Saddam nel 1991-‘92. Sono razzi lanciati un pò ovunque; quindi possono colpire chiese, moschee,
cristiani e musulmani. Nessuno si sente al sicuro. Non credo, però, che ci
siano degli attacchi mirati contro i cristiani, i musulmani o gli ebrei. Gli Hezbollah lanciano i razzi senza sapere quali aree saranno
colpite.
D. – Come vivete queste giornate?
R. – Noi, generalmente, continuiamo la vita di preghiera
regolare, soprattutto la domenica. La gente vuole radunarsi in chiesa anche
perché dicono: “Il Signore ci proteggerà”; ma non ci
sono dei luoghi sicuri. Speriamo che, al più presto, termini questa situazione
anche perché la gente, soprattutto i bambini, sono impressionati e non dormono.
Sono veramente psicologicamente provati.
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RIDARE SPERANZA ALLE POPOLAZIONI
DEL SUD DELLA NIGERIA:
E’ L’OBIETTIVO DELLA MISSIONE UMANITARIA
“OPERA DON BONIFACIO”
- Con noi la dott.ssa
Marisa Gramigna -
Alimentare fiducia e speranza nelle popolazioni del sud
Nigeria, completamente dimenticate dal mondo del benessere. Questo lo scopo del
“Viaggio della speranza”, organizzato nel territorio nigeriano di Orlu dalla missione umanitaria “Azione verde Opera don Bonifacio”. Una missione partita lo scorso 25 luglio con 30
persone. Tra loro anche la dottoressa Marisa Gramigna, che - al microfono di Beth Hay - sottolinea la valenza
di un’iniziativa come l’“Opera don Bonifacio”:
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R. – Ogni anno facciamo il “viaggio della speranza”,
praticamente un viaggio al quale partecipano tanti volontari, medici,
infermieri, architetti, operai, e prestiamo appunto il nostro servizio per un
mese a questi bambini. Per un mese siamo al servizio della popolazione del
territorio di Orlu, in Nigeria.
D. – Cosa state facendo lì, in particolare?
R. – Con il “viaggio della speranza”, portiamo più che
altro un carico enorme di medicinali e cerchiamo di curare, oltre che i
bambini, la popolazione del luogo, dei vari villaggi. Allestiamo proprio un
campo medico nei vari villaggi. Come progetto più ampio, invece, è già in fase
di costruzione un centro di solidarietà. Per il momento si è data la precedenza
alla costruzione della scuola e degli alloggi per i bambini, per dare la
possibilità ai bambini di strada, ai bambini che non hanno una famiglia, quindi
agli orfani e agli abbandonati, di avere un domicilio. Poi, pian piano, si
completerà, questo centro, con la costruzione dei poliambulatori,
quindi di un ospedale; ci auguriamo nel tempo la costruzione di alloggi per i
bambini, di una biblioteca, di un campo sportivo … cioè, poter dare a questi
bambini un po’ quello che hanno i nostri bambini …
D. – Quando è iniziato questo progetto?
R. – Il progetto è iniziato circa cinque-sei
anni fa; i primi frutti, però, li stiamo raccogliendo adesso.
D. – Il lavoro continua anche durante l’anno, quando voi
non ci siete?
R. – Sì: il lavoro a livello di costruzione del villaggio,
senz’altro. Infatti, il padre responsabile di questo
progetto, ogni tanto – ogni due, tre mesi – si reca sul posto anche per
controllare l’esecuzione dei lavori, il loro svolgimento …
D. – Ci può parlare della sua esperienza personale? Cosa
la richiama, ogni anno, a recarsi in Nigeria?
R. – Cosa mi richiama? Forse è davvero l’amore per tutti
questi bambini. Io sono anche mamma, sono mamma di tre figli. Adesso sono
ragazzi, però, quando sono partita la prima volta erano poco più che bambini.
E’ così grande la gioia di riuscire a donare qualcosa a questi bambini che si
torna a casa veramente rafforzati. E io devo dire che
la mia esperienza è veramente fantastica: sono sei anni che non faccio le
ferie, ma sono felicissima lo stesso perché quando torno so di aver donato un
po’ di vita e un po’ di speranza a questi bambini che non hanno veramente
nulla.
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3 agosto 2006
HA DATO
L’ESTREMO SALUTO, IL 25 LUGLIO SCORSO,
AL
VESCOVO AGOSTINO ZHENG SHOUDUO. SPENTOSI IL 16 LUGLIO, DOPO UNA LUNGA MALATTIA,
ERA STATO CONDANNATO NEL ’64 A 15 ANNI DI LAVORI FORZATI
- A
cura di Tiziana Campisi -
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KIANGCHOW. = Si è spento il 16 luglio scorso a Kiangchow, nella Cina Continentale,
dopo una lunga malattia, mons. Agostino Zheng Shouduo, vescovo della prefettura apostolica di Kiangchow,
(Xinjiang/Yuncheng), nella
provincia di Shanxi. I funerali sono stati celebrati
il 25 luglio scorso, nella chiesa dell’Immacolata Concezione e vi hanno preso
parte alcuni vescovi della regione e una cinquantina di sacerdoti; erano
presenti anche alcune autorità governative con le quali il presule aveva
mantenuto un rapporto chiaro e cordiale. Mons. Zheng
Shouduo aveva 89 anni: era nato il 17 marzo del 1917.
Ordinato sacerdote nel 1949 e consacrato nel 1982, è stato il primo vescovo
della prefettura apostolica di Kiangchow. Alla
notizia del decesso dell’amato pastore, più di mille fedeli si sono radunati
per una veglia di preghiera. Condannato nel 1964 come controrivoluzionario, il
presule ha trascorso 15 anni ai lavori forzati. La fortezza d’animo, l’onestà e
l’umiltà, mostrate soprattutto durante quel periodo, sono state ammirate da
tutti. Chi ha conosciuto mons. Zheng, lo ricorda come
un uomo cordiale e aperto al dialogo. Curava molto la formazione dei sacerdoti
e delle religiose e della sua vita spirituale sono da tutti ricordate la grande
umiltà e la straordinaria devozione alla Madonna. La prefettura apostolica di Kiangchow conta oggi più di 10.000 cattolici, per lo più contadini che vivono in 17 contee, su una superficie
di 17.000 kmq. I sacerdoti sono 29, 27 dei quali ordinati da mons. Zheng; una quarantina invece le religiose della
congregazione diocesana “Pu Zhao”,
fondata dallo stesso presule. La comunità cattolica è fortemente impegnata in
opere sociali, in ospedali e dispensari. Intanto, in Italia, esponenti della
Margherita e di Forza Italia, in seguito alle notizie riportate dall’agenzia AsiaNews, hanno chiesto al ministro degli Esteri Massimo D’Alema di protestare presso le
autorità cinesi per l’arresto di un vescovo, di un sacerdote e di 90 cattolici.
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LA
FAMIGLIA IGNAZIANA A LOURDES PER RISCOPRIRE L’AMICIZIA NEL SIGNORE
ATTRAVERSO
L’ESEMPIO DI SANT’IGNAZIO DI LOYOLA,
SAN
FRANCESCO SAVERIO E DEL BEATO PIERRE FAVRE
LOURDES.= Terminerà domani a Lourdes, il
pellegrinaggio-raduno della famiglia ignaziana di
Francia. Quattrocento gesuiti, un migliaio di religiose e 4 mila laici legati
alla Compagnia di Gesù si sono ritrovati nel santuario mariano pirenaico. Ieri,
memoria del Beato Pierre Favre,
il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Peter-Hans Kolvenbach, ha voluto
ricordare in una Messa cui hanno preso parte 300 giovani, l’esempio del gesuita
francese. “Nel corso della sua pur breve ma intensa vita – ha detto padre Kolvenbach – il Beato Favre ha
potuto scoprire che Dio parla e vuole parlare attraverso noi. Conosciamo, come Pierre Favre, i nostri limiti e
le nostre debolezze, ci saranno ogni giorno resistenze e difficoltà, ma il
Signore è sempre pronto a liberarcene”. “Amici nel Signore”, questo lo slogan
dell’iniziativa, vuole far riscoprire l’amicizia attraverso l’esperienza di Sant’Ignazio, San Francesco Saverio e del Beato Pierre Favre, che insieme hanno
dato vita alla Compagnia di Gesù. Il pellegrinaggio-raduno si colloca tra i
momenti più significativi di quest’anno giubilare in
cui i gesuiti celebrano il V centenario della nascita di San Francesco Saverio
e del Beato Pierre Favre e
i 450 anni dalla morte di Sant’Ignazio di Loyola. (T.C.)
IN LIBANO I GESUITI MOBILITANO STUDENTI,
SEMINARISTI ED EX ALUNNI
DEI
VARI ISTITUTI EDUCATIVI PER OFFRIRE AIUTO AGLI ORMAI 800 MILA SFOLLATI
BIKFAYA. = Hanno mobilitato collaboratori, studenti,
seminaristi ed ex alunni dei vari istituti educativi i gesuiti in Libano per
mettere a disposizione degli sfollati le proprie strutture. I profughi sono
ormai 800 mila e continuano a crescere di giorno in giorno con l’inasprirsi del
conflitto. Diversi studenti e professori del Collegio di Notre-Dame
di Jamhour, a una decina di chilometri a sud-est di
Beirut, stanno offrendo il loro aiuto nei centri di accoglienza gestiti dalla
“Caritas Libano”, in particolare nella regione di Achrafié,
a cui sono state consegnate anche derrate alimentari e
altri generi di prima necessità. Il rettore, padre Salim
Daccache, è in contatto con ex-alunni e donatori per
soccorrere circa 600 famiglie cristiane rifugiate nella provincia della
capitale, sul Monte Libano e a Jezzine. Un numero che
è destinato a crescere con l’arrivo massiccio di profughi dai villaggi
cristiani come Ein Ebeil e Rmeich. “Il problema principale nell’organizzazione degli
aiuti – spiega padre Daccache – è la dispersione di
tutti questi sfollati. Superata la fase degli aiuti di emergenza, adesso
l’obiettivo è di sopperire ai bisogni secondari e quindi di garantire un
adeguato sostegno psicologico a queste persone”. Per i bambini, spiega invece
padre Zaki Sader, si stanno
organizzando attività di animazione e intrattenimento. (T.C.)
TORNERANNO
A STUDIARE PIÙ DI 15 MILA RAGAZZI LIBERIANI SOTTRATTI
ALLO
SFRUTTAMENTO MINORILE. L’INIZIATIVA È DEL PROGRAMMA CYCLE,
PROMOSSO
DAL COMITATO INTERNAZIONALE DI SOCCORSO
MONROVIA. = Quindicimila vittime dello
sfruttamento minorile in Liberia, tra i 5 e i 18 anni di età, avranno la
possibilità di abbandonare il lavoro e di riprendere gli studi. A stabilirlo è
il programma Cycle che vuole contrastare il lavoro
dei minori e dei giovani attraverso l’educazione. Promosso dal Comitato
Internazionale di soccorso (International Rescue Commitee), il progetto, scrive l’agenzia MISNA, sarà
avviato inizialmente in sei comunità settentrionali della Liberia. Tra queste
alcune contee di Nimba e Lofa,
dove gli scontri fra civili hanno provocato gli effetti più devastanti. Secondo stime diffuse recentemente dal ministero
dell’Educazione liberiano, circa sei bambini su dieci non frequentano la scuola
a causa dei 14 anni di guerra civile che hanno distrutto edifici scolastici e
portato ad un’alta disoccupazione in tutto il Paese. La mancanza di un posto di
lavoro ha impedito a molti genitori di poter pagare le tasse scolastiche per i
propri figli. In
alcuni casi, le famiglie sono state costrette non solo a ritirare i propri bambini
dalle scuole, ma anche ad impiegarli in pesanti attività lavorative per
raggiungere le entrate necessarie alla sopravvivenza. (A.Gr.)
CONSEGNATO
AL VESCOVO DI LOCRI-GERACE, IERI SERA A LERICI, IN LIGURIA,
IL
PREMIO “ANGELO NARDUCCI”. IL RICONOSCIMENTO AL PRESULE PER
LERICI.= È stato assegnato al vescovo di Locri-Gerace Giancarlo Bregantini,
il premio “Angelo Narducci” riservato a personalità
che si distinguono nel campo della cultura e della comunicazione. La cerimonia
di consegna si è svolta ieri sera a Lerici, in
Liguria. Il premio è stato affidato al vescovo per la sua coraggiosa
testimonianza contro la criminalità organizzata in Calabria. Il presule ha
voluto precisare che il premio va a tutta
I
RELIGIOSI FILIPPINI PROMUOVONO IN UN DOCUMENTO UN MAGGIOR IMPEGNO
CONTRO
P0VERTÀ, CORRUZIONE E DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE
CEBU. = Combattere, nelle Filippine, la povertà, la
distruzione dell’ambiente e la corruzione ed evitare che si verifichino omicidi
politici: sono questi gli obiettivi dell’Associazione dei superiori degli Istituti
religiosi maschili del Paese, (Asirm), riunitasi la
scorsa settimana a Cebu. L’Asirm,
scrive l’agenzia Asianews, rappresenta le congregazioni
maggiori di sacerdoti, laici consacrati e missionari che lavorano in varie
regioni delle Filippine. In un documento programmatico diffuso al termine
dell’incontro annuale, l’associazione ha fatto sapere di sentirsi chiamata in
causa per rispondere alle piaghe che affliggono oggi la società filippina.
Un’assemblea di religiose si è invece svolta a Lipa
lo scorso giugno ed ha chiesto ai leader di governo di “riservare una maggiore
attenzione ai filippini che soffrono”. Le religiose hanno poi invitato “le
consorelle di tutto il Paese, così come i laici, a vivere la chiamata di Dio,
in un attivo impegno sociale e denunciando i mali che affliggono la società”. (A.Gr.)
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3 agosto 2006
- A cura di Eugenio
Bonanata -
Non si arresta la violenza in Iraq. Almeno 10 persone sono
morte e altre 14 sono rimaste ferite a causa dell’esplosione di una bomba posta
al bordo di una strada di Baghdad. Lo rendono noto fonti
della polizia specificando che le vittime sarebbero tutte civili. Intanto i
guerriglieri ieri sera hanno attaccato un posto di blocco della polizia, 30 chilometri
a sud di Baghdad, uccidendo sei agenti, otto civili e un numero imprecisato di
ribelli. La polizia ha dato inoltre notizia del recupero di 18 cadaveri con
segni di tortura, avvenuto nelle acque del fiume Tigri. Solo ieri per l’esplosione
di due bombe avevano perso la vita una ventina di persone, tra cui molti bambini
colpiti nella capitale irachena mentre giocavano a calcio.
In questo quadro il presidente del Paese arabo, Jalal Talabani, ha affermato che
forze irachene saranno in grado di assumersi la responsabilità della sicurezza
“in tutte le province del Paese entro la fine dell’anno”.
Strage in
Afghanistan, dove un’autobomba guidata da un attentatore suicida è esplosa oggi
nella provincia di Kandahar, nella parte meridionale
del Paese, uccidendo almeno 20 civili. Intanto, sempre nella stessa provincia,
anche i soldati della forza di sicurezza della NATO,
l’ISAF, sono finiti nel mirino dei guerriglieri talebani. Un soldato canadese è
stato ucciso per una bomba esplosa al passaggio del veicolo su cui viaggiava.
La Banca Centrale Europea
(BCE), alza il costo del denaro che passa dal 2,75% al 3%. Considerando la congiuntura
caratterizzata da una inflazione a livelli alti, non
si esclude che ulteriori rialzi saranno decisi prima di fine anno a Francoforte.
Intanto un richiamo alla cautela è giunto, ieri, dal Fondo Monetario
Internazionale (FMI) secondo cui la BCE dovrebbe muoversi con prudenza sul costo
del denaro, perché per i Paesi Europei la strada della ripresa non è ancora pienamente
imboccata.
Il presidente
ucraino, Viktor Iushenko,
ha accettato di nominare primo ministro il suo grande rivale Viktor Ianukovic, esponente della
vecchia guardia filo-moscovita. I due si contesero la scena nella “rivoluzione
arancione” del settembre
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R. – Si è arrivati dopo quattro mesi convulsi,
caratterizzati da più di un colpo di scena, perché sembrava ad un certo punto
che i due partiti arancioni – quello di Jushenko e quello dell’ex premier Timoshenko
- potessero fare un governo insieme ai socialisti. Poi chiaramente c’è stata
anche un’incapacità di una distribuzione delle poltrone: i socialisti sono
passati nel campo filorusso e Jushenko,
molto indebolito, ha cercato fino all’ultimo momento, di inserire il suo partito,
Nostra Ucraina, in questa alleanza filorussa che chiaramente
è agli antipodi di quella rivoluzione arancione di cui Jushenko
è stato il leader nell’autunno del 2004.
D. – La divisione tra filoccidentali
e filorussi ha segnato di fatto
la storia recente di questo Paese. Entrambi i fronti avranno effettivamente la
possibilità ora di compattare il Paese?
R. – Ci sono a questo proposito due scuole di pensiero:
una dice che Jushenko e Ianukovic sono incompatibili. Jushenko vuole
l’Ucraina in Europa, nella NATO e vuole chiaramente
uno status di democrazia occidentale mentre Ianukovic rappresenta l’alleanza con la Russia, vuole che la Chiesa ortodossa
sia sottomessa al Patriarcato di Mosca. Quindi due visioni veramente inconciliabili.
Tuttavia c’è una scuola ottimistica che dice che Jushenko
e Ianukovic rappresentano di fatto le due Ucraine che devono, in un certo modo, anche
parlarsi, devono ad un certo punto cercare un modus vivendi. Il tutto è anche aggravato
in Ucraina dal fatto che la costituzione è estremamente contraddittoria. Non è
chiaro quali siano i poteri del presidente e quelli
del Parlamento. C’è stata una riforma che ha complicato ancora ulteriormente il
quadro.
D. – In questo quadro così complesso, quale sarà la
possibile risposta di Mosca a questa decisione?
R. – E’ chiaro che per Mosca assistere alla catastrofe
della rivoluzione arancione è un fatto molto positivo, perché vuol dire che il
pericolo di un contagio di questa rivoluzione non esiste più, né per la Russia,
né per altri Paesi dell’ex Unione Sovietica.
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La Corea del Nord si è avvalsa e continua ad avvalersi
della cooperazione dell’Iran nello sviluppo di missili balistici a lunga
gittata. E’ quanto emerge da un rapporto pubblicato da un istituto statale sudcoreano, secondo il quale è “altamente
probabile” che questi vettori impieghino anche tecnologie cinesi. Secondo il
rapporto, con un parco missili di oltre mille unità di
varia gittata, Pyongyang dispone del quarto arsenale
missilistico al mondo e contribuisce in modo significativo alla proliferazione
planetaria dei vettori balistici. Il 5 luglio scorso la Corea del Nord lanciò
sette missili, tra i quali uno potenzialmente in grado percorrere 6mila
chilometri e colpire quindi il territorio degli Stati Uniti. L'esperimento si rivelò
un fallimento: tutti e sette gli ordigni si inabissarono nel Mar del Giappone
poco dopo il lancio. Nonostante questo i lanci di Pyongyang
spinsero il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad
adottare una risoluzione di condanna.
Proseguono in Sri Lanka gli scontri tra Tigri Tamil ed esercito regolare. Oggi in una nuova
battaglia, nella zona Ovest del Paese, un colpo di artiglieria ha centrato un istituto
islamico, provocando la morte di dieci persone. Intanto è salito ad almeno 61 morti
il bilancio degli scontri di ieri, quando, nella
parte Nord-Orientale del Paese, i separatisti hanno attaccato tre basi
militari, facendo scattare un’offensiva dei soldati. I ribelli hanno poi ingaggiato
uno scontro con le forze navali srilankesi. In questo
quadro, i mediatori norvegesi hanno annunciato di voler dare nuovo slancio alle
trattative di pace, dopo la fragile tregua raggiunta nel 2002. Ma perché ora è
tornata alta la tensione nel Paese asiatico? Giada Aquilino lo ha chiesto a
Francesca Lancini, giornalista del sito internet PeaceReporter ed
esperta di questioni interne dello Sri Lanka:
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R. – C’è stato un
momento critico con lo tsunami,
che ha colpito in modo molto violento lo Sri Lanka,
causando migliaia di morti e di sfollati, seguito da un periodo di trattative
tra le Tigri e il governo riguardo alla gestione degli aiuti. In seguito alle
elezioni di novembre e alla salita al potere di Rajapakse,
la situazione si è ulteriormente complicata proprio perché il presidente non
vuole fare concessioni ai ribelli Tamil, che chiedono
l’autonomia della zona nord ed est del Paese. Il pugno duro di Rajapakse ha, quindi, portato ad un aumento del
risentimento da parte dei ribelli. Ci sono, però, altri fattori. Alcuni mesi fa
si è verificata una spaccatura all’interno del movimento delle Tigri tra la
fazione del nord e la fazione dell’est. Il gruppo orientale del cosiddetto colonnello
Karuna è andato a sostenere
l’esercito governativo ed è diventato una sorta di forza paramilitare. La situazione
è quindi molto critica. Sono poi ripresi i
bombardamenti anche in seguito ad alcuni attentati che ci sono stati a Colombo
e che hanno colpito un generale dell’esercito.
D. – Mentre le
violenze vanno avanti, in che condizioni vive la popolazione civile?
R. – Ci sono nuovi
sfollati, che si aggiungono a quelli già causati dallo tsunami.
Diciamo che, nel momento in cui la ricostruzione cominciava ad andare bene, la
guerra è tornata a complicare la situazione della popolazione Tamil, ma non solo: nel nordest c’è una maggioranza tamil, ma nella zona vivono anche cingalesi e popolazioni
di altre etnìe o religioni.
A due giorni dall’intervento chirurgico d’emergenza del
Presidente cubano, Fidel Castro, tutte le fonti sono
concordi nel dire che la convalescenza del lider maximo è regolare e segue i parametri previsti. Intanto gli esuli
cubani avanzano proposte alternative al governo dell’Avana. Ce ne parla Luis Badilla:
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Il presidente del Parlamento cubano, Ricardo Alarcon, intervistato per il programma radiofonico
americano “Democracy Now”,
ha sottolineato che Castro “è perfettamente cosciente, pieno di vita e in buono
stato d’animo'”. Notizie quasi identiche sono state fornite anche da Juana Castro, sorella del governante cubano che fuggì
dall'isola, in disaccordo col fratello, nel 1964. Intanto, il variegato esilio
cubano in Florida, è in continua attività al punto tale che molti parlano di un
“imminente ritorno”. Su questa possibilità, ieri è intervenuta anche la Casa
Bianca. Tony Snow, portavoce di George
Bush, ha affermato: “è
importante dire alla gente di restare dove si trova, non è il momento adatto
per imbarcarsi" da Cuba verso la Florida e viceversa. Bisogna “trovare un
modo ordinato e sicuro per permettere alla gente di muoversi tra le due località”,
ha sottolineato il portavoce senza ulteriori spiegazioni. L’esilio cubano a
Miami, tra 600 e 700mila persone, per quasi 2/3 corrisponde alla seconda e
terza generazione, quindi di gente nata e cresciuta negli Stati Uniti. I
settori più politicizzati, minoritari, si dividono in decine di gruppi con proposte
alternative al governo dell’Avana che vanno dalla lotta armata - Fidel Castro ha parlato di “terrorismo” – all’invasione
militare, passando per una via pacifica che consenta
un accordo democratico e nazionale dall’interno. Alla fine del 2003, due
indagini demoscopiche (della “Schroth
y Asociados” e della “Bendixen
y Asociados”, diffuse sul “Miami Herald”),
condotte tra i cubanoamericani della Florida, hanno
certificato che oltre il 60% degli esuli ritiene che qualsiasi cambiamento
arriverà dall'interno del Paese, mai da fuori, e deve essere pacifico nonché
concordato. Le indagini indicano inoltre che la stragrande maggioranza pensa
che nel futuro sarà necessario un “processo di perdono e riconciliazione”.
Infine, il cosiddetto “Proyecto Varala”, la proposta
del dissidente Oswaldo Payá, che chiede un referendum
per modificare la Carta costituzionale, tra gli esuli, ha un sostegno vicino al
55%. Ad ogni modo, per ora, tutte queste
considerazioni restano nel terreno delle ipotesi politiche e degli scenari
possibili.
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In Italia, sono ripresi gli sbarchi di clandestini sulle
coste siciliane. Sono 240 gli extracomunitari sbarcati oggi a Lampedusa, dopo
essere stati intercettati, su un barcone, da due motovedette della Guardia di
Finanza a 17 miglia dall’isola. Le autorità hanno anche identificato e fermato due
scafisti. Gli immigrati, tra cui una donna, sono già stati trasferiti nel
Centro di prima accoglienza dell'isola. Altri 38 clandestini, tra cui due
donne, erano sbarcati in nottata direttamente in
porto. Intanto prosegue la missione della Frontex, l’Agenzia
europea per il controllo delle frontiere che ha l’obiettivo di fotografare la
condizione dei Centri di accoglienza temporanea (CPT) italiani per avviare, entro
il mese agosto, un pattugliamento congiunto delle coste con greci e maltesi. Da
parte italiana domani è in programma una riunione al Viminale,
necessaria a mettere a punto la strategia di controllo delle coste.
In Messico prosegue la protesta di Lopez
Obrador, il candidato del centrosinistra sconfitto alle
presidenziali dello scorso 2 luglio, che chiede il riconteggio
dei voti. Ieri è stata un’altra giornata di caos nel traffico di Città del
Messico, uno degli agglomerati urbani più grandi del mondo, a causa delle
manifestazioni dei sostenitori di Lopez Obrador. Sostenitori, che, da domenica scorsa, hanno installato
47 presidi nell’ambito della “resistenza civile pacifica” lanciata dal
candidato del centrosinistra, che ha impugnato i risultati elettorali, i quali,
con uno scarto minimo, hanno assegnato la vittoria al suo rivale, il conservatore
Felipe Calderon. Il Tribunale
elettorale federale ha tempo entro il 30 di agosto per pronunciarsi, e dirimere
così la contesa. Secondo fonti locali il Tribunale
intende però pronunciarsi probabilmente entro la fine di questa settimana.
E’ iniziata in Venezuela la campagna elettorale per le
presidenziali del 3 dicembre, nelle quali il presidente Hugo
Chavez cercherà di essere rieletto per la terza volta
consecutiva, fatto mai accaduto nella storia del Paese. Secondo i sondaggi, il
presidente conta sul sostegno del 50-60% degli elettori, un dato che secondo i
suoi sostenitori è in realtà più consistente, e cioè pari al 70%.
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