RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 213 - Testo della trasmissione di martedì 1 agosto 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Angola: oltre 2000 morti per un’epidemia di colera che
colpisce il Paese dallo scorso febbraio
Il
leader cubano Fidel Castro è stato operato per una
forte emorragia intestinale: i poteri presidenziali trasferiti temporaneamente al fratello Raul,
ministro della Difesa
1 agosto 2006
IL PAPA, DOPO IL PERIODO DI
RIPOSO IN VALLE D’AOSTA, RIPRENDE
DOMANI LE UDIENZE GENERALI IN PIAZZA SAN PIETRO,
DEDICATE DALLO
SCORSO 15 MARZO AL MISTERO DEL RAPPORTO TRA CRISTO E
LA CHIESA
Dopo il periodo
di riposo in Valle d’Aosta, Benedetto XVI riprende il tradizionale appuntamento
con i fedeli dell’udienza generale del mercoledì. Domani mattina, il Papa
lascerà la residenza estiva di Castel Gandolfo per recarsi in Piazza San Pietro
dove – alle ore 10 – terrà la catechesi. Ricordiamo che il 15 marzo scorso, il
Pontefice ha intrapreso un nuovo ciclo di riflessioni dedicate al mistero del
rapporto tra Cristo e la Chiesa. Ripercorriamo alcune delle riflessioni sul
tema offerte dal Papa ai fedeli nel servizio di Alessandro Gisotti:
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Spiegare i
fondamenti della fede, mostrare la bellezza di Cristo e della Chiesa. E’ con
questo spirito che Benedetto XVI intraprende, il 15 marzo scorso, un nuovo
ciclo di catechesi, dopo quelle dedicate alla Liturgia
delle Ore. Un percorso iniziato dal Papa con un forte richiamo:
non esiste alcuna contrapposizione tra Cristo e la Chiesa:
“E’ pertanto del
tutto inconciliabile con l’intenzione di Cristo uno slogan di moda alcuni anni
fa: Gesù sì, Chiesa no! (applausi) Questo Gesù scelto
in modo individualistico è un Gesù di fantasia. Non possiamo avere Gesù senza
la realtà che ha creato e nella quale si comunica”.
Il Pontefice ribadisce che quello tra Cristo e la Chiesa è un rapporto
inscindibile. La Chiesa, spiega, è costituita sul fondamento degli Apostoli
come “comunità di fede, di speranza e di carità”. E proprio ai primi testimoni
di Cristo, alla loro missione di pescatori di uomini, il Papa dedica l’udienza
del 22 marzo:
“L'avventura
degli Apostoli comincia così, come un incontro di persone che si aprono reciprocamente.
Comincia per i discepoli una conoscenza diretta del Maestro. Essi infatti non dovranno essere annunciatori di un'idea, ma
testimoni di una persona. Prima di essere mandati ad evangelizzare, dovranno
stare con Gesù, stabilendo con lui un rapporto personale. Su
questa base, l'evangelizzazione altro non sarà che un annuncio di ciò
che si è sperimentato e un invito ad entrare nel mistero della comunione con
Cristo: avvicinarsi per
vedere dove abita, per conoscerlo, per vederlo e così capire che è il Messia”.
Quindi, il 5 aprile, si sofferma sull’intimo legame della Chiesa con lo
Spirito Santo. E ricorda che il “deposito della fede” è affidato ai vescovi e ai
sacerdoti. Loro è il dovere di custodirlo “nella verità e nella carità”. E ciò
nonostante le debolezze che possono esistere nella Chiesa stessa. Il 26 aprile,
poi, mette l’accento sull’importanza della tradizione apostolica per la vita
della Chiesa. “Grazie allo Spirito Santo – è la riflessione del Papa –
l’esperienza del Risorto, fatta dalla comunità apostolica alle origini della
Chiesa, potrà sempre essere vissuta delle generazioni successive”. Il 10 maggio
poi spiega perché la successione dei Papi e dei vescovi garantisce l’integrità
della fede trasmessa dagli Apostoli:
“Mediante la successione apostolica è
allora Cristo che ci raggiunge: nella parola degli Apostoli e dei loro
successori è Lui a parlarci; mediante le loro mani è Lui che agisce nei
sacramenti; nel loro sguardo è il suo sguardo che ci avvolge e ci fa sentire
amati, accolti nel cuore di Dio.
E anche oggi Cristo stesso è il vero Pastore e Guardiano delle nostre anime, e
lo seguiamo con grande fiducia, gratitudine e gioia”.
Grande l’attenzione rivolta dal Papa alla figura di Pietro, il primo
degli Apostoli di Gesù. Il 17 maggio, Benedetto XVI definisce il pescatore di
Galilea simbolo di una fede coraggiosa ed umile. Poi, il 7 giugno sottolinea
che il primato di Pietro è fondamento dell’unità, è “custode della comunione
con Cristo”. Quindi, accompagna queste parole con una riflessione di carattere
ecumenico:
“Preghiamo che il primato di Pietro, confidato a
povere persone umane, possa sempre essere esercitato in questo senso
originario, voluto dal Signore, e possa così essere anche sempre più nel suo
vero significato riconosciuto dai fratelli non ancora in piena comunione con
noi”.
E riafferma questo pensiero la settimana successiva
quando evidenzia che le Chiese di Roma e di Costantinopoli sono
“veramente sorelle” grazie al legame fraterno tra l’Apostolo Pietro e suo fratello
Andrea, evangelizzatore dei popoli greci. Le ultime udienze prima del periodo
di riposo in Valle d’Aosta, il Papa le dedica a
Giacomo il Minore, a Giovanni, il discepolo prediletto, e a suo fratello,
Giacomo il Maggiore. “Il Signore – afferma il Papa nell’udienza del 5 luglio
scorso - aiuti a metterci alla scuola di Giovanni per imparare la grande
lezione dell’amore così da sentirci amati da Cristo ‘fino alla fine’ e spendere la nostra vita per Lui”.
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MIGLIAIA DI CHIERICHETTI IN PIAZZA SAN PIETRO
PER IL
PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE DEI MINISTRANTI:
ALLE 19.00
Questa sera alle
La Radio Vaticana trasmetterà la
cronaca della Messa a partire dalle 18.50 con commento in italiano sull’onda
media di 585 kHz e sulla
modulazione di frequenza di 105 MHz, e con commento in tedesco sull’onda corta di 7.145 kHz.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Prima pagina - Medio Oriente: Israele annuncia una
vasta operazione di terra.
Una riflessione di Gaetano Vallini
dal titolo “I bambini di Cana e la feroce logica
della guerra”.
Servizio vaticano - Due pagine dedicate al cammino
della Chiesa in Italia.
Servizio estero - Un articolo - a cura di Alberto Carosa e Gabriele Nicolò - dal titolo “Le armi di
distruzione di massa minaccia permanente alla pace mondiale”.
Servizio culturale - Un articolo di Andrea Riccardi dal titolo “Primo agosto 1917: profezia e
realismo”; il fermo intervento di Benedetto XV, l’”inutile
strage”.
Servizio italiano - In rilievo il tema dell'economia.
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1 agosto 2006
IL GOVERNO ISRAELIANO ANNUNCIA IMPONENTI OPERAZIONI TERRESTRI IN
LIBANO
PER RESPINGERE GLI HEZBOLLAH E PERMETTERE L’ARRIVO
DI UN EVENTUALE CONTINGENTE MULTINAZIONALE
- Interviste con padre Pierbattista Pizzaballa e mons. Felix Machado -
Preparare l’arrivo di una forza multinazionale
in Libano. E’ questo l’obiettivo, indicato dal ministro della Difesa israeliana
Amir Peretz, della nuova
offensiva terrestre in Libano, annunciata ieri dal governo dello Stato ebraico. Il
premier israeliano, Ehud Olmert,
ha anche dichiarato che, nei prossimi giorni, non ci sarà nessuna tregua. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
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Il governo israeliano ha deciso di intensificare le
operazioni militari terrestri contro i guerriglieri del movimento politico
militare degli Hezbollah. Si tratta della più grande operazione militare di
terra in Libano da quando è iniziata l’offensiva, lo
scorso 12 luglio. Lo scopo è quello di respingere i guerriglieri sciiti oltre il
fiume Litani, a 30 chilometri dal confine tra Libano
ed Israele, e di creare le condizioni per consentire l’arrivo di un contingente
multinazionale. Per sostenere questa operazione sono stati richiamati, nei
giorni scorsi, almeno 15 mila riservisti. Ma l’avanzata israeliana ha
incontrato, già nelle prime fasi, una forte resistenza: almeno 3 soldati dello
Stato ebraico sono rimasti uccisi, infatti, durante scontri scoppiati nel sud
del Paese dei cedri. Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha anche annunciato,
ieri sera, che non ci sarà nessuna tregua nei prossimi giorni. Nonostante
la sospensione dei bombardamenti aerei di 48 ore proclamata ieri da Israele, continuano
inoltre i raid dell’aviazione in appoggio alle truppe di terra. Mentre a Beirut
erano attesi due aerei carichi di aiuti umanitari, l’aviazione
israeliana ha bombardato alcuni villaggi nel sud del Libano: l’emittente televisiva ‘al Arabiya’
ha riferito che sono stati trovati diversi corpi senza vita tra le macerie di
edifici nei pressi del villaggio di al Batoum. Le incursioni militari israeliane proseguono, poi,
anche nella Striscia di Gaza, dove un palestinese è rimasto ucciso durante un
raid. Intanto, le Nazioni Unite hanno rinviato, “sine
die”, una riunione di Paesi potenzialmente pronti a
fornire militari per una futura forza multinazionale in Libano in seguito a
forti divergenze: Francia e Russia sollecitano l’accordo per una tregua
immediata, che consenta di costituire una forza internazionale di interposizione
in Libano. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto, invece, che l’accordo per
la formazione di un eventuale contingente multinazionale, preceda
il raggiungimento di un cessate-il-fuoco. In Iran, infine, uno
degli esponenti di punta del regime iraniano, l’ayatollah Ahmad
Jannati, ha lanciato un appello a tutti i Paesi
islamici affinché siano uniti nel rifornire armi ai
combattenti Hezbollah.
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E con l’acuirsi della crisi in Libano, diventa sempre più difficile anche la situazione
della Terra Santa, dove sono al momento sospesi i
pellegrinaggi. Ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, il custode di Terra
Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:
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R. – Prima di tutto, va detto che i Luoghi Santi sono
tutti integri e non ci sono danni. L’atmosfera però è molto triste, perché sono
completamente vuoti; tutto è fermo: sono aperti, ma sono vuoti. Non ci sono
pellegrini, non ci sono turisti, non c’è nessuno. Il Paese è fermo e bloccato.
D. – Quindi i pellegrinaggi, in particolare della Chiesa
italiana, che spesso danno impulso anche economico alla zona, sono tutti
annullati?
R. – Sì, per tutto il mese di agosto sono certamente
annullati e probabilmente, se questa crisi non finirà presto, le defezioni
andranno avanti ancora per parecchi mesi.
D. – Padre Pizzaballa, ci aiuti
a capire: lei che idea si è fatta di questa crisi fra Israele, Hezbollah e
Libano?
R. – Un’idea confusa, come tutti sicuramente. E’ molto
difficile trarre poi delle conclusioni, perché viste le posizioni da diverse
prospettive ci sono sempre parti di ragioni e parti di torto. Va anzitutto
detto che Israele ha reagito con una forza e una potenza inaspettate che
suscitano certamente molte domande: la strage che abbiamo visto domenica scorsa
ne è un esempio. E’ anche evidente che con le armi non si potrà arrivare a
nessuna soluzione. Soltanto la politica potrà dare una sorta di configurazione
nuova o vecchia a questa situazione o risolvere comunque questa crisi.
D. – La società israeliana come vive in questo momento?
R. – Nella società israeliana o meglio la parte ebraico-israeliana c’è molta rabbia. Sto leggendo, sto
ascoltando con molta attenzione quello che avviene. C’è molta rabbia, frustrazione,
ci si sente un po’ accerchiati. C’è un titolo di un articolo
di un giornale locale che diceva, in maniera molto ironica: “Dobbiamo chiedere
scusa al mondo” ed era come dire: come sempre noi facciamo la parte dei
cattivi, di quelli che ammazzano la gente. C’è, quindi, una reazione un
po’ difficile in questo senso.
D. – Padre Pizzaballa, lei pensa
che questa guerra in qualche modo possa riavvicinare questo pericoloso rischio
di scontro di civiltà e, in questo caso religioso, tra religione ebraica ed
islam?
R. – Non so se siamo allo scontro di civiltà, ma
sicuramente si tratta di un momento fra i più difficili della storia recente
tra le diverse civiltà orientale ed occidentale
soprattutto, ma anche tra le diverse religioni monoteistiche. Credo che questa
guerra, questa crisi abbia - secondo me - rafforzato i pregiudizi reciproci ed
abbia scavato ancora di più un divario tra le diverse civiltà. Non so se sia
uno scontro o se sia un allontanamento, comunque incomprensione sicuramente.
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Tutti i credenti sono chiamati a pregare e a
collaborare per la pace in Medio Oriente. E’ quanto sottolinea, al microfono di
Catherine Smibert, il sottosegretario
del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, mons. Felix Machado, ricordando l’accorato appello a
deporre le armi nel nome di Dio, lanciato domenica scorsa all’Angelus da
Benedetto XVI:
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R. – Il Santo Padre ha lanciato questo appello al mondo
intero, ai credenti di tutte le religioni, affinché pregassimo tutti insieme per la pace. Pregare vuol dire aprire se stessi a Dio; pregare è mettere se stessi nelle mani di Dio
ed avere fiducia in tutti i suoi doni; fra questi la pace è un dono prezioso.
Quando noi ci apriamo a Dio, ci apriamo allo stesso tempo gli uni agli altri.
Il mondo ha bisogno di questa pace. I credenti non possono mai usare il nome di
Dio per giustificare la violenza, giustificare l’odio contro l’uno o l’altro. I
credenti devono collaborare. Questo è l’intento del Santo Padre: tutti i
credenti delle diverse confessioni si tengano le mani e collaborino insieme per
contribuire alla pace nel nostro mondo.
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DIECI
ANNI FA, IN ALGERIA, L’ASSASSINIO DEL VESCOVO DI ORANO,
PIERRE
CLAVERIE. DA
QUELLA STAGIONE DI SANGUE E DI TERRORISMO,
LA NASCITA DI UNA RINNOVATA
CAPACITA’ DI DIALOGO
TRA CATTOLICI E MUSULMANI ALGERINI
-
Intervista con Luciano Ardesi -
Era stato definito con un’iperbole molto significativa “il
vescovo dei musulmani” e di lui si ricordano la competenza e una capacità di
dialogo con l’islam fuori dell’ordinario. Nonostante ciò, esattamente il primo
agosto di dieci anni fa, mons. Pierre Claverie, vescovo di Oran
in Algeria, veniva ucciso con una bomba da uno dei
gruppi armati che in quel periodo insanguinavano il Paese. Già pochi mesi
prima, sette monaci di Thibirine venivano
rapiti e in seguito trucidati dai terroristi islamici, contrari ad ogni forma
di dialogo. Il loro martirio non è stato però senza
conseguenze: ha aperto ai cattolici algerini – poco più di 2000 tra circa 30
milioni di musulmani – una nuova pagina di storia, fatta di un’accresciuta
tolleranza e di maggiore rispetto. Luciano Ardesi – giornalista, scrittore e
grande esperto del mondo maghrebino – ricostruisce i
cambiamenti avvenuti nella società algerina da quei drammatici fatti del 1996.
L’intervista è di Alessandro De Carolis:
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R. - In quegli anni, la società era nettamente schierata.
Da una parte, i fondamentalisti che avevano abbracciato il terrorismo cercavano
di ridurre la società algerina ad una società con il pensiero unico con
un’impostazione di matrice fondamentalista senza
alcuna possibilità di apertura alla democrazia e alla libertà. Dall’altra
parte, c’era una società composita che invece aspirava a rafforzare e a
mantenere la democrazia e la libertà e che trovava nella diversità le sue componenti,
forse l’aspetto più forte e più significativo. Ed è in questo contesto che si è
inserita proprio l’azione della Chiesa algerina, la quale ha mantenuto attiva
questa diversità e ne è stata in qualche modo la protagonista e da questa sua
posizione ha tratto anche una maggiore forza all’interno della società algerina
stessa.
D. – Da quella stagione di sangue con il sacrificio di
mons. Claverie e non solo – ricordiamo, altro caso emblematico, quello dei
sette monaci trappisti di origine francese rapiti e poi trucidati – è cambiato
qualcosa dal punto di vista della convivenza tra musulmani e cristiani?
R. – Il sacrificio del vescovo di Orano, mons. Claverie,
dei sette monaci di Thibirine e di tutti gli altri
cristiani uccisi, è servito a consolidare questo rapporto, questa alleanza tra
la parte più aperta della società algerina e la Chiesa stessa. In questo, ha
anche consolidato, in qualche modo, il processo democratico anche se poi, a
livello delle istituzioni, non tutto è cambiato in senso positivo. Ma la
società sicuramente si è rafforzata nella sua cultura di pace, di libertà e di
tolleranza.
D. – Quindi si può parlare di un’Algeria che ha lasciato
alle spalle quel periodo così drammatico?
R. – Dal punto di vista politico e
culturale, sicuramente sì, anche se il terrorismo - non bisogna
dimenticarlo, continua a colpire anche in questi giorni, in questo anno - è un
terrorismo che non ha più il sostegno di una parte consistente della
popolazione come era invece 10 o 15 anni fa.
D. – L’Africa settentrionale presenta in qualche caso dei
modelli antichi di convivenza pacifica tra musulmani e cristiani. E’ un modello
esportabile anche in altri Stati, secondo te?
R. – L’esperienza algerina, ancor più delle altre, nel Maghreb, nel nord d’Africa, dimostra che è possibile, sul
piano concreto, istaurare delle collaborazioni, dei rapporti fattivi in cui c’è
la vera e propria alleanza tra la Chiesa, i suoi membri locali, la società
musulmana.
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SANT’IGNAZIO
DI LOYOLA, UN UOMO “SOLO DAVANTI A DIO”, IN VITA
COME IN MORTE:
IL
RICORDO DEL PREPOSITO GENERALE DEI GESUITI, PADRE KOLVENBACH,
ALLA
MESSA NELLA CHIESA DEL GESU’ PER I 450 ANNI DALLA
MORTE DEL SANTO
Un uomo morto come è vissuto: solo con Dio. Senza enfasi
spirituale, senza compagni e amici al capezzale, senza disposizioni per i
posteri. Lui che aveva parlato con Papi e re, consuma la propria agonia solo
nella stanza e solo con una parola, udita attraverso le pareti, “che riassumeva
tutta la sua vita: Dios”. Con queste immagini, nella
Chiesa del Gesù a Roma - a pochi metri dal luogo dove si spense all’inizio di
una mattina di 450 anni fa - il preposito generale della Compagnia di Gesù,
padre Peter-Hans Kolvenbach,
ha ricordato ieri sera gli ultimi istanti della vita
di Sant’Ignazio di Loyola. La Messa nella Chiesa del Gesù è stato l’evento
sacro culminante di un anniversario che ha avuto riverberi in tutto il mondo, a
partire dal Santuario spagnolo di Loyola. Il servizio di Alessandro De Carolis.
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Spesso noi moriamo come siamo vissuti: “Ignazio -
ha osservato padre Kolvenbach all’omelia - ha sempre
voluto predicare con le sue parole e nella sua vita ‘in povertà’,
affinché in tutto Dio solo sia il primo servito”. Ed è qui, nella povertà di
ispirazione francescana che affascinò il Santo di Loyola, la chiave per
comprendere l’essenzialità del suo spirito apostolico, riflesso nell’ora della
morte. Ignazio, ha ricordato padre Kolvenbach, si
lascia “afferrare” da Dio e impara a parlare con lui “come un servitore parla
al suo padrone, ma anche come un amico parla a un amico”. Poi, la bellezza di
questa confidenza il futuro fondatore della Compagnia di Gesù si fa carico di
insegnarla a chiunque incroci il “suo cammino di pellegrino”. Quando Maria
disse il suo “sì” a Dio era “sola ma non solitaria perché Dio era con lei”, ha
affermato il preposito generale. Lo stesso vale per Sant’Ignazio. Per il
fondatore dei Gesuiti, davanti a Dio si apre “uno spazio” per un dialogo “in
cui tutte le altre voci tacciono per un silenzio in cui non si fanno sentire
che le sole voci che contano in un colloquio: un cuore a cuore con Dio solo”.
E’ il segreto dei celebri esercizi spirituali. In essi, ha concluso padre Kolvenbach,
Ignazio insiste tanto su questo “io con Dio” che si potrebbe pensare che
la sua spiritualità vorrebbe fare di noi degli individualisti, degli
extracomunitari. Questo è dimenticare che Ignazio ci invita ad assumere la
nostra responsabilità personale davanti a Dio per tutto ciò che va male e per
tutto ciò che si costruisce nella comunità umana”. “E' solo questa preferenza
personale di Dio solo – ha aggiunto il preposito generale - che dona la forza e
la grazia di sapersi personalmente responsabile della vita e della morte della
nostra umanità, della luce e delle ombre della nostra Chiesa, della primavera e
dell'inverno delle nostre famiglie, delle comunità religiose”.
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APERTE
OGGI LE CELEBRAZIONI PER
E’
POSSIBILE OTTENERE L’INDULGENZA PLENARIA IN OGNI CHIESA FRANCESCANA
-
Intervista con padre Massimo Reschiglian -
Con una Messa nella Basilica Patriarcale di Santa Maria
degli Angeli in Porziuncola il Ministro Generale dei
Frati Minori, padre José Rodríguez Carballo, ha aperto stamane le
celebrazioni per
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R. – Il Perdono di Assisi fa riferimento ad un fatto
storico avvenuto nel 1216. Francesco ha una visione, nella piccola chiesa della
Porziuncola; in questa visione riceve come dono dal
Signore Gesù Cristo l’Ingulgenza, che è da diffondere
ovunque e sotto condizione che questa indulgenza venga
richiesta al Papa Onorio III che in quel periodo si trova a Perugia. Francesco
a Perugia ottiene
da Papa Onorio III, in modo – potremmo dire – sorprendente questa Indulgenza.
Da questo momento si diffonde questo dono del cosiddetto “Perdono di Assisi”
che noi celebriamo quest’anno non solo nella chiesa della Porziuncola
ma anche in tutte le parrocchie del mondo e in tutte le chiese francescane.
D. – Come ottenerla, l’Indulgenza?
R. – L’Indulgenza riguarda quei peccati che sono già
rimessi quanto alla colpa, ma hanno bisogno di una piena soddisfazione, la
cosiddetta ‘soddisfazione temporale’; allora si richiede
ai penitenti che si recano alla Porziuncola di essere
già confessati, di ricevere l’Eucaristia e poi le preghiere di rito che sono il
Credo, il Padre nostro, una preghiera per il Papa proprio perché questa
Indulgenza, questo Perdono, sia anche vissuto in comunione con tutta
D. – Pensiamo ai vari conflitti, in particolare in Terra
Santa: perché è importante parlare di perdono, oggi?
R. – Il perdono è la misericordia, come anche Giovanni
Paolo II ci ricorda nella sua Lettera Enciclica “Dives in misericordia”, definita il più stupendo attributo del Creatore
e del Redentore. Però, soprattutto in questo scenario culturale che stiamo
vivendo, di alta conflittualità, c’è un particolare bisogno di perdono e di
riconciliazione. Non è possibile una riconciliazione tra gli uomini se prima
l’uomo non ha riconciliato se stesso con Dio e con il proprio essere. Il
Perdono di Assisi, come ogni indulgenza, vuole essere proprio questo
risanamento radicale dell’essere, che si sprofonda nella misericordia di Dio,
ritrova la novità della propria vita e della propria relazione con Dio, e poi
può diventare un artigiano di pace. Francesco è colui che per primo viene perdonato e poi sappiamo quale opera di
riconciliazione con i suoi frati abbia fatto in Italia e in Europa.
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1 agosto 2006
LA RELIGIONE CATTOLICA CONTINUERÀ A ESSERE
INSEGNATA NELLE SCUOLE
DELLA BOLIVIA: IL GOVERNO BOLIVIANO E LA CHIESA LOCALE TROVANO UN
ACCORDO SULLA RIFORMA DELL’EDUCAZIONE NEL PAESE, AL CENTRO, NEI GIORNI SCORSI,
DI NUMEROSE POLEMICHE
COCHABAMBA. = Nelle scuole della Bolivia si
continuerà a insegnare la religione cattolica: lo hanno reso noto ieri, in un
comunicato congiunto, il presidente boliviano, Evo Morales,
e il presidente della Conferenza episcopale del Paese”, cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo di Santa Cruz
de la Sierra. Si conclude, dunque, con un accordo la polemica sulla riforma
dell’educazione nel Paese, scaturita due settimane fa dalla proposta del governo
di sostituire l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole con lezioni
di “Storia delle religioni”, che includesse anche
quelle praticate dalle etnie indigene precolombiane. “Il governo e la Chiesa
cattolica – si legge nel comunicato, pubblicato all’indomani di un incontro,
domenica scorsa a Cochabamba, tra le autorità nazionali
e l’episcopato boliviano – hanno espresso la loro comune
convinzione sulla necessità di preservare le lezioni di religione, rispettando
la libertà religiosa esistente nel Paese”. Stato e Chiesa, si apprende dal
documento congiunto, “coincidono nel rispetto della libertà religiosa, di fede
e di spiritualità” e “convocano i diversi settori, organizzazioni e istituzioni
ad arricchire il documento conclusivo del secondo Congresso nazionale
sull’Educazione, per garantire così un’educazione che renda liberi”. (R.M.)
L’EMBRIONE
UMANO NON PUO’ ESSERE
RIDOTTO A SEMPLICE MEZZO PER LA RICERCA: COSÌ, LA CONFERENZA EPISCOPALE
FRANCESE, IN UNA NOTA DIFFUSA IERI,
SUL
RAPPORTO “CELLULE STAMINALI E SCELTE ETICHE”, IN QUESTI GIORNI ALL’ATTENZIONE
DEL GOVERNO D’OLTRALPE
PARIGI. = Il dibattito in corso in Europa sulle cellule
staminali embrionali dimostra, ancora una volta, che questioni di tale portata
non si possono “risolvere” con “la riduzione dell’embrione umano allo stato di
mezzo”: a ribadirlo, è la Conferenza episcopale francese, in una nota diffusa
ieri sul rapporto “Cellule staminali e scelte etiche” del deputato Pier Fagniez, in questi giorni all’attenzione del governo
d’oltralpe. Secondo i vescovi, molte parti di tale
documento “non possono che suscitare la viva inquietudine di coloro che hanno a
cuore la dignità integrale della persona umana”. In questa prospettiva, “non è
una fuga in avanti voler passare da un regime derogatorio ad un regime
d’autorizzazione delle ricerche sull’embrione”, come recita la proposizione n.
4 del rapporto citato, né è sufficiente abolire l’aggettivo “terapeutico”,
parlando di “trasferimento nucleare somatico”, piuttosto che di “clonazione
terapeutica”, come si fa nella proposizione n. 7. Per i vescovi francesi,
inoltre, non serve neanche “rallegrarsi che il rapporto proponga una considerazione
più favorevole della ricerca sulle cellule staminali adulte”, come avviene
nella proposizione n. 3, se a queste ultime, in termini di “applicazioni
terapeutiche”, viene promesso soltanto “un
investimento uguale a quello delle cellule staminali embrionali”. Di qui,
l’auspicio affinché “l’ingegnosità degli scienziati possa trovare le vie di un
progresso medico nel più stretto rispetto della dignità umana”, invece che
attraverso la riduzione dell’embrione a semplice “mezzo” per la
ricerca. (R.M.)
LAVORARE
PER IL DIALOGO E L’INTESA IN MESSICO, DOPO LE PRESIDENZIALI
DEL 2
LUGLIO SCORSO: CON QUESTO INTENTO, È IN CORSO NEL PAESE SUDAMERICANO LA GIORNATA
DI PREGHIERA PER LA RICONCILIAZIONE
- A cura di Maurizio Salvi -
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CITTA’ DEL MESSICO.= In occasione del primo dei sette
giorni che saranno dedicati alle preghiere per la pace in tutto il Messico, il
cardinale primate Norberto Rivera ha rivolto un
appello ai governanti a muoversi, rispondendo alle leggi dell’etica, perché è
proprio su di esse – ha detto - che la società vuole
costruire il futuro della nazione. In un documento diffuso alcuni giorni fa, la
Conferenza episcopale messicana ha ricordato che al di là delle differenze
ideologiche, condividiamo una storia, dei valori e un destino che ora sono in
gioco in questa fase. In effetti, dopo la terza assemblea informativa, svoltasi
domenica sulla storica Piazza dello Zocalo nella
capitale, i sostenitori del candidato della sinistra, Andrés Manuel López Obrador, hanno creato presidi permanenti ed insistito
sul non voler riconoscere i risultati che hanno assegnato la vittoria
provvisoria al candidato governativo di destra, Felipe Calderón. In questo senso, invitando le
diocesi ad organizzare fino al 6 agosto una Giornata di preghiera per la
riconciliazione, la concordia, la Chiesa cattolica ha chiesto a donne e uomini
di buona volontà di rispettare le leggi e lavorare per il riavvicinamento delle
parti, il dialogo e l’intesa. In questo senso, si chiede anche alle autorità di
operare con verità e giustizia e si suggerisce ai vescovi di celebrare
l’Eucaristia di domenica prossima nella cattedrale diocesana o in un santuario,
affidandosi all’intercessione della Vergine di Guadalupe.
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DIFFUSO IERI L’ULTIMO, DRAMMATICO
BILANCIO DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE
DELLA SANITÀ (OMS) SULL’EPIDEMIA DI COLERA, CHE DA FEBBRAIO
COLPISCE L’ANGOLA: OLTRE 2100 MORTI E 51 MILA CONTAGI
LUANDA. = Oltre 2000 morti e 51.321
contagiati: è il drammatico bilancio dell’epidemia di colera che da 13 febbraio
scorso colpisce l’Angola. Lo si apprende dall’ultimo
bollettino dell’ufficio angolano dell’Organizzazione mondiale della sanità
(OMS), diffuso ieri dall’agenzia MISNA. Continua a essere confuso l’andamento
dell’epidemia, più volte data vicina alla sua conclusione e, poi, riemersa con
nuovi casi. Nell’ultima settimana, ad esempio, a fronte di un numero inferiore
di contagi rispetto a quella precedente (517 contro 589), è aumentato il numero
dei decessi (26 contro 23). Nella nota dell’OMS si conferma, inoltre,
l’estensione dell’epidemia, iniziata nel quartiere Boa Vista della capitale,
Luanda, a una nuova provincia, quella di Kuando Kubango, dove il bilancio è di 111 casi e 10 morti. Le zone
maggiormente colpite restano la provincia di Luanda, con 23.396 contagi e 302
morti, e quella di Benguela, con 8.424 contagi e 518
decessi. (R.M.)
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1 agosto 2006
- A cura di
Amedeo Lomonaco, Alessandro Grifi e Roberta Moretti -
Il presidente di Cuba, Fidel Castro, che si preparava a celebrare il prossimo 13 agosto
i suoi 80 anni, questa notte è stato sottoposto ad un intervento chirurgico
d'emergenza per una “crisi intestinale con sanguinamento”. L’operazione “mi
costringe a restare varie settimane a riposo, lontano dalle mie responsabilità
e dai miei incarichi”: afferma il comunicato, firmato da Castro e letto in
televisione dal suo segretario, Carlos Valenciaga, con il quale i poteri vengono
assunti provvisoriamente dal fratello Raul. Il servizio di Luis
Badilla:
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Con queste poche parole si può
dire che viene sancito il processo di successione che
lo stesso presidente cubano ha previsto. Ora, suo fratello, che ha compiuto 75
anni, accumula nella sua persona le principali cariche del Paese: la presidenza
del Consiglio di Stato, il Ministero della Difesa e l’ufficio di primo
segretario del Partito comunista cubano. Si tratta di una situazione del tutto
inedita: non accadeva da almeno 47 anni.
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Mattinata di sangue in Iraq, dove stamani sono morte una
cinquantina di persone in diversi attentati. Il più cruento degli
attacchi si è verificato contro un autobus nella città settentrionale di Baiji, dove
hanno perso la vita almeno 23 soldati iracheni. Altre 14 persone sono rimaste uccise per
l’esplosione di un’auto-bomba in un quartiere sciita nel cuore di Baghdad.
Ucciso a Bassora, nel sud, anche un soldato britannico.
Violenze anche in Afghanistan,
dove due soldati britannici della forza di sicurezza della
NATO sono morti in un’imboscata dei talebani nel sud del Paese. Un terzo
militare, sempre di nazionalità britannica, risulta disperso.
Entro il 31 agosto, l’Iran
dovrà sospendere l’arricchimento dell’uranio, altrimenti scatteranno sanzioni
economiche. Lo ha deciso, ieri, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
con una risoluzione che ha visto solo la contrarietà del Qatar. Commentando il
provvedimento, il presidente del Parlamento iraniano ha detto che la
risoluzione “non ha alcun valore”. Il presidente americano, George Bush, ha invitato, invece,
Sempre grave la situazione in Sri Lanka, sconvolto da violenti scontri tra esercito e separatisti
tamil per il controllo di un
canale di irrigazione nel distretto nordorientale di Trincomalee. Almeno 4 marinai sono morti stamani e una
trentina sono rimasti feriti nell’assalto dei ribelli alla principale base
della marina cingalese, nel porto di Trincomalee. I
militanti hanno aperto il fuoco d’artiglieria e sparato colpi di mortaio,
costringendo i residenti ad abbandonare la zona. Ieri, oltre 60 persone erano
morte in diversi scontri. Si tratta dei primi
combattimenti frontali dalla tregua siglata quattro anni fa e l’avvio di negoziati
di pace, poi falliti, sotto la mediazione norvegese.
Cresce la tensione tra le due Coree:
militari della Corea del sud e del nord si sono scambiati alcuni colpi d’arma
da fuoco lungo il confine, ma nessuno è rimasto ferito. A riferire
dell’incidente, il primo dopo un anno, i vertici militari di Seul. Secondo la
ricostruzione, i soldati di Pyongyang hanno sparato
un paio di colpi contro una postazione sudcoreana
nella zona smilitarizzata, provocando la reazione dei militari di guardia.
Tragedia in India: uno scuolabus con a bordo 50 bambini è caduto in un canale nello Stato nordoccidentale indiano dell’Haryana.
Finora, sono stati recuperati i corpi di sei bambini. Altri 30 risultano
dispersi. Le operazioni di recupero sono ostacolate dalle piogge che
imperversano sulla zona e che hanno riempito il canale. A causa delle piogge
monsoniche, nella regione, sono state sgomberate 100 mila persone, i cui
villaggi sono stati spazzati via dalla furia delle acque.
Ci spostiamo in Colombia. Potrebbero
esserci le FARC, Forze Armate Rivoluzionarie, dietro l’esplosione
di un ordigno avvenuta a 460 km da Bogotà
contro un convoglio di soldati e che ha provocato 15 vittime. Secondo alcune
fonti, la guerriglia starebbe intensificando le sue azioni in vista
dell’insediamento, il prossimo 6 agosto, del presidente Alvaro Uribe.
Era stato condannato per
omicidio il primo detenuto scarcerato oggi in Italia grazie all’applicazione
del provvedimento sull’indulto, varato dal Senato sabato scorso e pubblicato
ieri sera sulla Gazzetta Ufficiale. Anselmo Novello, un agricoltore di 60 anni
agli arresti domiciliari in provincia di Crotone, aveva ucciso una donna nel
1987 nel corso di una lite per motivi di pascolo, e ferito gravemente il marito
e il figlio della vittima. La legge sull’indulto è stata firmata ieri dal capo
di Stato italiano, Giorgio Napolitano.
“E’ un provvedimento di clemenza e d’urgenza – ha commentato Napolitano – volto
a lenire una condizione intollerabile di sovraffollamento e degrado delle
carceri”. La legge – lo ricordiamo – prevede uno sconto di pena di tre anni
anche per reati amministrativi commessi fino al 2 maggio 2006. Saranno circa 12
mila i detenuti che potranno uscire dalle carceri. Esclusi i reati gravi, tra
cui quelli mafiosi e legati alla pedofilia.
In Somalia, altri quattro membri del
governo hanno presentato le dimissioni, minando ulteriormente la stabilità
della fragile amministrazione del premier, Ali Mohamed
Gedi. Stamani, Gedi aveva
annunciato il rinvio di 15 giorni dei colloqui di pace con le Corti islamiche,
che da giugno controllano Mogadiscio e diverse zone del Paese. Solo due giorni
fa, l’esecutivo era riuscito a superare indenne una mozione di sfiducia
presentata da oltre 150 deputati somali, dopo che ben 18, tra ministri e
segretari di Stato, si erano dimessi, denunciando la politica intransigente del
premier.
La più grande forza di interposizione dell’ONU, costituita
da 24 mila uomini, potrebbe essere inviata “il prima possibile” in Darfur, nel Sudan, per sostituire i 7.700 soldati della
missione dell’Unione Africana. La proposta è del segretario generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan,
che ieri ha presentato un rapporto sulla situazione nella martoriata regione
sudanese del Darfur al Consiglio di Sicurezza, che
potrebbe approvare l’invio di una forza di interposizione anche senza l’assenso
del governo sudanese. E’ contrario alla proposta il presidente del Sudan, Omar el Beshir, che ha anche ribadito
nelle ultime ore la sua ferma opposizione al dispiegamento nella regione di
forze ONU. Il capo di Stato sudanese ha affermato che il Darfur
diventerebbe “un cimitero” per i caschi blu.
Approvata dall’ONU la proroga di un anno dell’embargo
sulla vendita di armi alle milizie della Repubblica Democratica del Congo, dove domenica scorsa si sono tenute le elezioni
presidenziali e legislative. La risoluzione vieta ogni fornitura di armamenti
ai miliziani che occupano la parte orientale dell’ex Zaire,
fino al 31 agosto dell’anno prossimo. Il segretario generale delle Nazioni
Unite, Kofi Annan, ha
definito la recentissima consultazione un “evento storico” per il Paese africano.
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