RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 213  - Testo della trasmissione di martedì 1 agosto 2006

 

 

Sommario

 

                                           

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa, dopo il periodo di riposo in Valle d’Aosta, riprende domani le udienze generali in Piazza San Pietro, dedicate dallo scorso 15 marzo al mistero del rapporto tra Cristo e la Chiesa

 

Migliaia di chierichetti oggi in Piazza San Pietro per il pellegrinaggio internazionale dei ministranti: alle 19.00 la Messa presieduta dal cardinale Christoph Schönborn

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Nessuna tregua: il governo israeliano annuncia imponenti operazioni terrestri in Libano: ai nostri microfoni padre Pierbattista Pizzaballa e mons. Felix Machado

 

10 anni fa l’uccisione in Algeria di mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano, fautore del dialogo tra cristiani e musulmani: il commento di Luciano Ardesi

 

Sant’Ignazio di Loyola a 450 anni dalla morte: ieri, nella Chiesa del Gesù a Roma, il ricordo del Preposito generale dei Gesuiti, padre Peter-Hans Kolvenbach

 

Aperte oggi le celebrazioni per la Festa del Perdono di Assisi: culmineranno domani con la Messa presieduta  dal Legato Pontificio, il cardinale Nicora. Intervista con padre Massimo Reschiglian

 

CHIESA E SOCIETA’:

La religione cattolica continuerà a essere insegnata nelle scuole della Bolivia: il governo boliviano e la Chiesa locale trovano un accordo sulla riforma dell’educazione nel Paese

 

L’embrione umano non può essere ridotto a semplice mezzo per la ricerca: è quanto afferma la Conferenza episcopale francese in una nota diffusa ieri

 

Lavorare per il dialogo e l’intesa in Messico, dopo le presidenziali del 2 luglio scorso: con questo intento, è in corso nel Paese la Giornata di preghiera per la riconciliazione

 

Angola: oltre 2000 morti per un’epidemia di colera che colpisce il Paese dallo scorso febbraio

 

24 ORE NEL MONDO:

Il leader cubano Fidel Castro è stato operato per una forte emorragia intestinale: i poteri presidenziali trasferiti temporaneamente  al fratello Raul, ministro della Difesa

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

1 agosto 2006

 

 

IL PAPA, DOPO IL PERIODO DI RIPOSO IN VALLE D’AOSTA, RIPRENDE

DOMANI LE UDIENZE GENERALI IN PIAZZA SAN PIETRO, DEDICATE DALLO

SCORSO 15 MARZO AL MISTERO DEL RAPPORTO TRA CRISTO E LA CHIESA

 

Dopo il periodo di riposo in Valle d’Aosta, Benedetto XVI riprende il tradizionale appuntamento con i fedeli dell’udienza generale del mercoledì. Domani mattina, il Papa lascerà la residenza estiva di Castel Gandolfo per recarsi in Piazza San Pietro dove – alle ore 10 – terrà la catechesi. Ricordiamo che il 15 marzo scorso, il Pontefice ha intrapreso un nuovo ciclo di riflessioni dedicate al mistero del rapporto tra Cristo e la Chiesa. Ripercorriamo alcune delle riflessioni sul tema offerte dal Papa ai fedeli nel servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Spiegare i fondamenti della fede, mostrare la bellezza di Cristo e della Chiesa. E’ con questo spirito che Benedetto XVI intraprende, il 15 marzo scorso, un nuovo ciclo di catechesi, dopo quelle dedicate alla Liturgia delle Ore. Un percorso iniziato dal Papa con un forte richiamo: non esiste alcuna contrapposizione tra Cristo e la Chiesa:

 

“E’ pertanto del tutto inconciliabile con l’intenzione di Cristo uno slogan di moda alcuni anni fa: Gesù sì, Chiesa no! (applausi) Questo Gesù scelto in modo individualistico è un Gesù di fantasia. Non possiamo avere Gesù senza la realtà che ha creato e nella quale si comunica”.

 

Il Pontefice ribadisce che quello tra Cristo e la Chiesa è un rapporto inscindibile. La Chiesa, spiega, è costituita sul fondamento degli Apostoli come “comunità di fede, di speranza e di carità”. E proprio ai primi testimoni di Cristo, alla loro missione di pescatori di uomini, il Papa dedica l’udienza del 22 marzo:

 

“L'avventura degli Apostoli comincia così, come un incontro di persone che si aprono reciprocamente. Comincia per i discepoli una conoscenza diretta del Maestro. Essi infatti non dovranno essere annunciatori di un'idea, ma testimoni di una persona. Prima di essere mandati ad evangelizzare, dovranno stare con Gesù, stabilendo con lui un rapporto personale. Su questa base, l'evangelizzazione altro non sarà che un annuncio di ciò che si è sperimentato e un invito ad entrare nel mistero della comunione con Cristo: avvicinarsi per vedere dove abita, per conoscerlo, per vederlo e così capire che è il Messia”.

 

Quindi, il 5 aprile, si sofferma sull’intimo legame della Chiesa con lo Spirito Santo. E ricorda che il “deposito della fede” è affidato ai vescovi e ai sacerdoti. Loro è il dovere di custodirlo “nella verità e nella carità”. E ciò nonostante le debolezze che possono esistere nella Chiesa stessa. Il 26 aprile, poi, mette l’accento sull’importanza della tradizione apostolica per la vita della Chiesa. “Grazie allo Spirito Santo – è la riflessione del Papa – l’esperienza del Risorto, fatta dalla comunità apostolica alle origini della Chiesa, potrà sempre essere vissuta delle generazioni successive”. Il 10 maggio poi spiega perché la successione dei Papi e dei vescovi garantisce l’integrità della fede trasmessa dagli Apostoli:

 

“Mediante la successione apostolica è allora Cristo che ci raggiunge: nella parola degli Apostoli e dei loro successori è Lui a parlarci; mediante le loro mani è Lui che agisce nei sacramenti; nel loro sguardo è il suo sguardo che ci avvolge e ci fa sentire amati, accolti nel cuore di Dio. E anche oggi Cristo stesso è il vero Pastore e Guardiano delle nostre anime, e lo seguiamo con grande fiducia, gratitudine e gioia”.

 

Grande l’attenzione rivolta dal Papa alla figura di Pietro, il primo degli Apostoli di Gesù. Il 17 maggio, Benedetto XVI definisce il pescatore di Galilea simbolo di una fede coraggiosa ed umile. Poi, il 7 giugno sottolinea che il primato di Pietro è fondamento dell’unità, è “custode della comunione con Cristo”. Quindi, accompagna queste parole con una riflessione di carattere ecumenico:

 

“Preghiamo che il primato di Pietro, confidato a povere persone umane, possa sempre essere esercitato in questo senso originario, voluto dal Signore, e possa così essere anche sempre più nel suo vero significato riconosciuto dai fratelli non ancora in piena comunione con noi”.

 

E riafferma questo pensiero la settimana successiva quando evidenzia che le Chiese di Roma e di Costantinopoli sono “veramente sorelle” grazie al legame fraterno tra l’Apostolo Pietro e suo fratello Andrea, evangelizzatore dei popoli greci. Le ultime udienze prima del periodo di riposo in Valle d’Aosta, il Papa le dedica a Giacomo il Minore, a Giovanni, il discepolo prediletto, e a suo fratello, Giacomo il Maggiore. “Il Signore – afferma il Papa nell’udienza del 5 luglio scorso - aiuti a metterci alla scuola di Giovanni per imparare la grande lezione dell’amore così da sentirci amati da Cristo ‘fino alla fine’ e spendere la nostra vita per Lui”.

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MIGLIAIA DI CHIERICHETTI IN PIAZZA SAN PIETRO

 PER IL PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE DEI MINISTRANTI:

ALLE 19.00 LA MESSA PRESIEDUTA DAL CARDINALE CHRISTOPH SCHÖNBORN

 

Questa sera alle 19.00 in Piazza San Pietro il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, presiederà la Santa Messa in occasione del Pellegrinaggio internazionale dei Ministranti. All’evento sono attesi  42mila chierichetti di 17 Paesi, guidati da  una ventina di vescovi e da oltre 300 sacerdoti e diaconi; la rappresentanza tedesca è la più consistente, con circa 35mila ministranti. Un’ora prima della celebrazione eucaristica i gruppi delle diverse diocesi animeranno un programma plurilingue di preparazione all’Eucaristia, con momenti di preghiera intervallati da canti internazionali. Il Pellegrinaggio è organizzato dal CIM, il “Coetus Internationalis Ministrantium”, sul tema “E’ lo Spirito che dà la vita ” (Gv 6, 63).

 

La Radio Vaticana trasmetterà la cronaca della Messa a partire dalle 18.50 con commento in italiano sull’onda media di 585 kHz e sulla modulazione di frequenza  di 105 MHz, e con commento in tedesco sull’onda corta di 7.145 kHz.

 

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Prima pagina - Medio Oriente: Israele annuncia una vasta operazione di terra.

Una riflessione di Gaetano Vallini dal titolo “I bambini di Cana e la feroce logica della guerra”.  

 

Servizio vaticano - Due pagine dedicate al cammino della Chiesa in Italia.

 

Servizio estero - Un articolo - a cura di Alberto Carosa e Gabriele Nicolò - dal titolo “Le armi di distruzione di massa minaccia permanente alla pace mondiale”.

 

Servizio culturale - Un articolo di Andrea Riccardi dal titolo “Primo agosto 1917: profezia e realismo”; il fermo intervento di Benedetto XV, l’”inutile strage”.  

 

Servizio italiano - In rilievo il tema dell'economia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

1 agosto 2006

 

 

IL GOVERNO ISRAELIANO ANNUNCIA IMPONENTI OPERAZIONI TERRESTRI IN LIBANO

PER RESPINGERE GLI HEZBOLLAH E PERMETTERE L’ARRIVO

 DI UN EVENTUALE CONTINGENTE MULTINAZIONALE

- Interviste con padre Pierbattista Pizzaballa e mons. Felix Machado -

 

Preparare l’arrivo di una forza multinazionale in Libano. E’ questo l’obiettivo, indicato dal ministro della Difesa israeliana Amir Peretz, della nuova offensiva terrestre in Libano, annunciata ieri dal governo dello Stato ebraico. Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha anche dichiarato che, nei prossimi giorni, non ci sarà nessuna tregua. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Il governo israeliano ha deciso di intensificare le operazioni militari terrestri contro i guerriglieri del movimento politico militare degli Hezbollah. Si tratta della più grande operazione militare di terra in Libano da quando è iniziata l’offensiva, lo scorso 12 luglio. Lo scopo è quello di respingere i guerriglieri sciiti oltre il fiume Litani, a 30 chilometri dal confine tra Libano ed Israele, e di creare le condizioni per consentire l’arrivo di un contingente multinazionale. Per sostenere questa operazione sono stati richiamati, nei giorni scorsi, almeno 15 mila riservisti. Ma l’avanzata israeliana ha incontrato, già nelle prime fasi, una forte resistenza: almeno 3 soldati dello Stato ebraico sono rimasti uccisi, infatti, durante scontri scoppiati nel sud del Paese dei cedri. Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha anche annunciato, ieri sera, che non ci sarà nessuna tregua nei prossimi giorni. Nonostante la sospensione dei bombardamenti aerei di 48 ore proclamata ieri da Israele, continuano inoltre i raid dell’aviazione in appoggio alle truppe di terra. Mentre a Beirut erano attesi due aerei carichi di aiuti umanitari, l’aviazione israeliana ha bombardato alcuni villaggi nel sud del Libano: l’emittente televisiva ‘al Arabiya’ ha riferito che sono stati trovati diversi corpi senza vita tra le macerie di edifici nei pressi del villaggio di al Batoum. Le incursioni militari israeliane proseguono, poi, anche nella Striscia di Gaza, dove un palestinese è rimasto ucciso durante un raid. Intanto, le Nazioni Unite hanno rinviato, “sine die”, una riunione di Paesi potenzialmente pronti a fornire militari per una futura forza multinazionale in Libano in seguito a forti divergenze: Francia e Russia sollecitano l’accordo per una tregua immediata, che consenta di costituire una forza internazionale di interposizione in Libano. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto, invece, che l’accordo per la formazione di un eventuale contingente multinazionale, preceda il raggiungimento di un cessate-il-fuoco. In Iran, infine, uno degli esponenti di punta del regime iraniano, l’ayatollah Ahmad Jannati, ha lanciato un appello a tutti i Paesi islamici affinché siano uniti nel rifornire armi ai combattenti Hezbollah.

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E con l’acuirsi della crisi in Libano, diventa sempre più difficile anche la situazione della Terra Santa, dove sono al momento sospesi i pellegrinaggi. Ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:

 

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R. – Prima di tutto, va detto che i Luoghi Santi sono tutti integri e non ci sono danni. L’atmosfera però è molto triste, perché sono completamente vuoti; tutto è fermo: sono aperti, ma sono vuoti. Non ci sono pellegrini, non ci sono turisti, non c’è nessuno. Il Paese è fermo e bloccato.

 

D. – Quindi i pellegrinaggi, in particolare della Chiesa italiana, che spesso danno impulso anche economico alla zona, sono tutti annullati?

 

R. – Sì, per tutto il mese di agosto sono certamente annullati e probabilmente, se questa crisi non finirà presto, le defezioni andranno avanti ancora per parecchi mesi.

 

D. – Padre Pizzaballa, ci aiuti a capire: lei che idea si è fatta di questa crisi fra Israele, Hezbollah e Libano?

 

R. – Un’idea confusa, come tutti sicuramente. E’ molto difficile trarre poi delle conclusioni, perché viste le posizioni da diverse prospettive ci sono sempre parti di ragioni e parti di torto. Va anzitutto detto che Israele ha reagito con una forza e una potenza inaspettate che suscitano certamente molte domande: la strage che abbiamo visto domenica scorsa ne è un esempio. E’ anche evidente che con le armi non si potrà arrivare a nessuna soluzione. Soltanto la politica potrà dare una sorta di configurazione nuova o vecchia a questa situazione o risolvere comunque questa crisi.

 

D. – La società israeliana come vive in questo momento?

 

R. – Nella società israeliana o meglio la parte ebraico-israeliana c’è molta rabbia. Sto leggendo, sto ascoltando con molta attenzione quello che avviene. C’è molta rabbia, frustrazione, ci si sente un po’ accerchiati. C’è un titolo di un articolo di un giornale locale che diceva, in maniera molto ironica: “Dobbiamo chiedere scusa al mondo” ed era come dire: come sempre noi facciamo la parte dei cattivi, di quelli che ammazzano la gente. C’è, quindi, una reazione un po’ difficile in questo senso.

 

D. – Padre Pizzaballa, lei pensa che questa guerra in qualche modo possa riavvicinare questo pericoloso rischio di scontro di civiltà e, in questo caso religioso, tra religione ebraica ed islam?

 

R. – Non so se siamo allo scontro di civiltà, ma sicuramente si tratta di un momento fra i più difficili della storia recente tra le diverse civiltà orientale ed occidentale soprattutto, ma anche tra le diverse religioni monoteistiche. Credo che questa guerra, questa crisi abbia - secondo me - rafforzato i pregiudizi reciproci ed abbia scavato ancora di più un divario tra le diverse civiltà. Non so se sia uno scontro o se sia un allontanamento, comunque incomprensione sicuramente.

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Tutti i credenti sono chiamati a pregare e a collaborare per la pace in Medio Oriente. E’ quanto sottolinea, al microfono di Catherine Smibert, il sottosegretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, mons. Felix Machado, ricordando l’accorato appello a deporre le armi nel nome di Dio, lanciato domenica scorsa all’Angelus da Benedetto XVI:

 

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R. – Il Santo Padre ha lanciato questo appello al mondo intero, ai credenti di tutte le religioni, affinché pregassimo tutti insieme per la pace. Pregare vuol dire aprire se stessi a Dio; pregare è mettere se stessi nelle mani di Dio ed avere fiducia in tutti i suoi doni; fra questi la pace è un dono prezioso. Quando noi ci apriamo a Dio, ci apriamo allo stesso tempo gli uni agli altri. Il mondo ha bisogno di questa pace. I credenti non possono mai usare il nome di Dio per giustificare la violenza, giustificare l’odio contro l’uno o l’altro. I credenti devono collaborare. Questo è l’intento del Santo Padre: tutti i credenti delle diverse confessioni si tengano le mani e collaborino insieme per contribuire alla pace nel nostro mondo.

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DIECI ANNI FA, IN ALGERIA, L’ASSASSINIO DEL VESCOVO DI ORANO,

PIERRE CLAVERIE. DA QUELLA STAGIONE DI SANGUE E DI TERRORISMO,

 LA NASCITA DI UNA RINNOVATA CAPACITA’ DI DIALOGO

 TRA CATTOLICI E MUSULMANI ALGERINI

- Intervista con Luciano Ardesi -

 

Era stato definito con un’iperbole molto significativa “il vescovo dei musulmani” e di lui si ricordano la competenza e una capacità di dialogo con l’islam fuori dell’ordinario. Nonostante ciò, esattamente il primo agosto di dieci anni fa, mons. Pierre Claverie, vescovo di Oran in Algeria, veniva ucciso con una bomba da uno dei gruppi armati che in quel periodo insanguinavano il Paese. Già pochi mesi prima, sette monaci di Thibirine venivano rapiti e in seguito trucidati dai terroristi islamici, contrari ad ogni forma di dialogo. Il loro martirio non è stato però senza conseguenze: ha aperto ai cattolici algerini – poco più di 2000 tra circa 30 milioni di musulmani – una nuova pagina di storia, fatta di un’accresciuta tolleranza e di maggiore rispetto. Luciano Ardesi – giornalista, scrittore e grande esperto del mondo maghrebino – ricostruisce i cambiamenti avvenuti nella società algerina da quei drammatici fatti del 1996. L’intervista è di Alessandro De Carolis:

 

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R. - In quegli anni, la società era nettamente schierata. Da una parte, i fondamentalisti che avevano abbracciato il terrorismo cercavano di ridurre la società algerina ad una società con il pensiero unico con un’impostazione di matrice fondamentalista senza alcuna possibilità di apertura alla democrazia e alla libertà. Dall’altra parte, c’era una società composita che invece aspirava a rafforzare e a mantenere la democrazia e la libertà e che trovava nella diversità le sue componenti, forse l’aspetto più forte e più significativo. Ed è in questo contesto che si è inserita proprio l’azione della Chiesa algerina, la quale ha mantenuto attiva questa diversità e ne è stata in qualche modo la protagonista e da questa sua posizione ha tratto anche una maggiore forza all’interno della società algerina stessa.

 

D. – Da quella stagione di sangue con il sacrificio di mons. Claverie e non solo – ricordiamo, altro caso emblematico, quello dei sette monaci trappisti di origine francese rapiti e poi trucidati – è cambiato qualcosa dal punto di vista della convivenza tra musulmani e cristiani?

 

R. – Il sacrificio del vescovo di Orano, mons. Claverie, dei sette monaci di Thibirine e di tutti gli altri cristiani uccisi, è servito a consolidare questo rapporto, questa alleanza tra la parte più aperta della società algerina e la Chiesa stessa. In questo, ha anche consolidato, in qualche modo, il processo democratico anche se poi, a livello delle istituzioni, non tutto è cambiato in senso positivo. Ma la società sicuramente si è rafforzata nella sua cultura di pace, di libertà e di tolleranza.

 

D. – Quindi si può parlare di un’Algeria che ha lasciato alle spalle quel periodo così drammatico?

 

R. – Dal punto di vista politico e culturale, sicuramente sì, anche se il terrorismo - non bisogna dimenticarlo, continua a colpire anche in questi giorni, in questo anno - è un terrorismo che non ha più il sostegno di una parte consistente della popolazione come era invece 10 o 15 anni fa.

 

D. – L’Africa settentrionale presenta in qualche caso dei modelli antichi di convivenza pacifica tra musulmani e cristiani. E’ un modello esportabile anche in altri Stati, secondo te?

 

R. – L’esperienza algerina, ancor più delle altre, nel Maghreb, nel nord d’Africa, dimostra che è possibile, sul piano concreto, istaurare delle collaborazioni, dei rapporti fattivi in cui c’è la vera e propria alleanza tra la Chiesa, i suoi membri locali, la società musulmana.

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SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, UN UOMO “SOLO DAVANTI A DIO”, IN VITA COME IN MORTE:

IL RICORDO DEL PREPOSITO GENERALE DEI GESUITI, PADRE KOLVENBACH,

ALLA MESSA NELLA CHIESA DEL GESU’ PER I 450 ANNI DALLA MORTE DEL SANTO

 

Un uomo morto come è vissuto: solo con Dio. Senza enfasi spirituale, senza compagni e amici al capezzale, senza disposizioni per i posteri. Lui che aveva parlato con Papi e re, consuma la propria agonia solo nella stanza e solo con una parola, udita attraverso le pareti, “che riassumeva tutta la sua vita: Dios”. Con queste immagini, nella Chiesa del Gesù a Roma - a pochi metri dal luogo dove si spense all’inizio di una mattina di 450 anni fa - il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Peter-Hans Kolvenbach, ha ricordato ieri sera gli ultimi istanti della vita di Sant’Ignazio di Loyola. La Messa nella Chiesa del Gesù è stato l’evento sacro culminante di un anniversario che ha avuto riverberi in tutto il mondo, a partire dal Santuario spagnolo di Loyola. Il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Spesso noi moriamo come siamo vissuti: “Ignazio - ha osservato padre Kolvenbach all’omelia - ha sempre voluto predicare con le sue parole e nella sua vita ‘in povertà’, affinché in tutto Dio solo sia il primo servito”. Ed è qui, nella povertà di ispirazione francescana che affascinò il Santo di Loyola, la chiave per comprendere l’essenzialità del suo spirito apostolico, riflesso nell’ora della morte. Ignazio, ha ricordato padre Kolvenbach, si lascia “afferrare” da Dio e impara a parlare con lui “come un servitore parla al suo padrone, ma anche come un amico parla a un amico”. Poi, la bellezza di questa confidenza il futuro fondatore della Compagnia di Gesù si fa carico di insegnarla a chiunque incroci il “suo cammino di pellegrino”. Quando Maria disse il suo “sì” a Dio era “sola ma non solitaria perché Dio era con lei”, ha affermato il preposito generale. Lo stesso vale per Sant’Ignazio. Per il fondatore dei Gesuiti, davanti a Dio si apre “uno spazio” per un dialogo “in cui tutte le altre voci tacciono per un silenzio in cui non si fanno sentire che le sole voci che contano in un colloquio: un cuore a cuore con Dio solo”.

 

E’ il segreto dei celebri esercizi spirituali. In essi, ha concluso padre Kolvenbach, Ignazio insiste tanto su questo “io con Dio” che si potrebbe pensare che la sua spiritualità vorrebbe fare di noi degli individualisti, degli extracomunitari. Questo è dimenticare che Ignazio ci invita ad assumere la nostra responsabilità personale davanti a Dio per tutto ciò che va male e per tutto ciò che si costruisce nella comunità umana”. “E' solo questa preferenza personale di Dio solo – ha aggiunto il preposito generale - che dona la forza e la grazia di sapersi personalmente responsabile della vita e della morte della nostra umanità, della luce e delle ombre della nostra Chiesa, della primavera e dell'inverno delle nostre famiglie, delle comunità religiose”.

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APERTE OGGI LE CELEBRAZIONI PER LA FESTA DEL PERDONO DI ASSISI:

E’ POSSIBILE OTTENERE L’INDULGENZA PLENARIA IN OGNI CHIESA FRANCESCANA

- Intervista con padre Massimo Reschiglian -

 

Con una Messa nella Basilica Patriarcale di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola il Ministro Generale dei Frati Minori, padre José Rodríguez Carballo, ha aperto stamane le celebrazioni per la Solennità del Perdono di Assisi che culmineranno domani con l’Eucaristia presieduta dal Legato Pontificio il cardinale Attilio Nicora. In questa occasione possibile ottenere l’indulgenza plenaria presso ogni chiesa francescana per sé o per i defunti. Sulle origini della Festa del Perdono di Assisi Paolo Ondarza ha intervistato padre Massimo Reschiglian, ministro provinciale dell’ordine dei Frati Minori dell’Umbria:

 

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R. – Il Perdono di Assisi fa riferimento ad un fatto storico avvenuto nel 1216. Francesco ha una visione, nella piccola chiesa della Porziuncola; in questa visione riceve come dono dal Signore Gesù Cristo l’Ingulgenza, che è da diffondere ovunque e sotto condizione che questa indulgenza venga richiesta al Papa Onorio III che in quel periodo si trova a Perugia. Francesco a Perugia  ottiene da Papa Onorio III, in modo – potremmo dire – sorprendente questa Indulgenza. Da questo momento si diffonde questo dono del cosiddetto “Perdono di Assisi” che noi celebriamo quest’anno non solo nella chiesa della Porziuncola ma anche in tutte le parrocchie del mondo e in tutte le chiese francescane.

 

D. – Come ottenerla, l’Indulgenza?

 

R. – L’Indulgenza riguarda quei peccati che sono già rimessi quanto alla colpa, ma hanno bisogno di una piena soddisfazione, la cosiddetta ‘soddisfazione temporale’; allora si richiede ai penitenti che si recano alla Porziuncola di essere già confessati, di ricevere l’Eucaristia e poi le preghiere di rito che sono il Credo, il Padre nostro, una preghiera per il Papa proprio perché questa Indulgenza, questo Perdono, sia anche vissuto in comunione con tutta la Chiesa.

 

D. – Pensiamo ai vari conflitti, in particolare in Terra Santa: perché è importante parlare di perdono, oggi?

 

R. – Il perdono è la misericordia, come anche Giovanni Paolo II ci ricorda nella sua Lettera Enciclica “Dives in misericordia”, definita il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore. Però, soprattutto in questo scenario culturale che stiamo vivendo, di alta conflittualità, c’è un particolare bisogno di perdono e di riconciliazione. Non è possibile una riconciliazione tra gli uomini se prima l’uomo non ha riconciliato se stesso con Dio e con il proprio essere. Il Perdono di Assisi, come ogni indulgenza, vuole essere proprio questo risanamento radicale dell’essere, che si sprofonda nella misericordia di Dio, ritrova la novità della propria vita e della propria relazione con Dio, e poi può diventare un artigiano di pace. Francesco è colui che per primo viene perdonato e poi sappiamo quale opera di riconciliazione con i suoi frati abbia fatto in Italia e in Europa.

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CHIESA E SOCIETA’

1 agosto 2006

 

 

 

LA RELIGIONE CATTOLICA CONTINUERÀ A ESSERE INSEGNATA NELLE SCUOLE

DELLA BOLIVIA: IL GOVERNO BOLIVIANO E LA CHIESA LOCALE TROVANO UN ACCORDO SULLA RIFORMA DELL’EDUCAZIONE NEL PAESE, AL CENTRO, NEI GIORNI SCORSI,

DI NUMEROSE POLEMICHE

 

COCHABAMBA. = Nelle scuole della Bolivia si continuerà a insegnare la religione cattolica: lo hanno reso noto ieri, in un comunicato congiunto, il presidente boliviano, Evo Morales, e il presidente della Conferenza episcopale del Paese”, cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra. Si conclude, dunque, con un accordo la polemica sulla riforma dell’educazione nel Paese, scaturita due settimane fa dalla proposta del governo di sostituire l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole con lezioni di “Storia delle religioni”, che includesse anche quelle praticate dalle etnie indigene precolombiane. “Il governo e la Chiesa cattolica – si legge nel comunicato, pubblicato all’indomani di un incontro, domenica scorsa a Cochabamba, tra le autorità nazionali e l’episcopato boliviano – hanno espresso la loro comune convinzione sulla necessità di preservare le lezioni di religione, rispettando la libertà religiosa esistente nel Paese”. Stato e Chiesa, si apprende dal documento congiunto, “coincidono nel rispetto della libertà religiosa, di fede e di spiritualità” e “convocano i diversi settori, organizzazioni e istituzioni ad arricchire il documento conclusivo del secondo Congresso nazionale sull’Educazione, per garantire così un’educazione che renda liberi”. (R.M.)

 

 

L’EMBRIONE UMANO NON PUO’ ESSERE RIDOTTO A SEMPLICE MEZZO PER LA RICERCA: COSÌ, LA CONFERENZA EPISCOPALE FRANCESE, IN UNA NOTA DIFFUSA IERI,

SUL RAPPORTO “CELLULE STAMINALI E SCELTE ETICHE”, IN QUESTI GIORNI ALL’ATTENZIONE DEL GOVERNO D’OLTRALPE

 

PARIGI. = Il dibattito in corso in Europa sulle cellule staminali embrionali dimostra, ancora una volta, che questioni di tale portata non si possono “risolvere” con “la riduzione dell’embrione umano allo stato di mezzo”: a ribadirlo, è la Conferenza episcopale francese, in una nota diffusa ieri sul rapporto “Cellule staminali e scelte etiche” del deputato Pier Fagniez, in questi giorni all’attenzione del governo d’oltralpe. Secondo i vescovi, molte parti di tale documento “non possono che suscitare la viva inquietudine di coloro che hanno a cuore la dignità integrale della persona umana”. In questa prospettiva, “non è una fuga in avanti voler passare da un regime derogatorio ad un regime d’autorizzazione delle ricerche sull’embrione”, come recita la proposizione n. 4 del rapporto citato, né è sufficiente abolire l’aggettivo “terapeutico”, parlando di “trasferimento nucleare somatico”, piuttosto che di “clonazione terapeutica”, come si fa nella proposizione n. 7. Per i vescovi francesi, inoltre, non serve neanche “rallegrarsi che il rapporto proponga una considerazione più favorevole della ricerca sulle cellule staminali adulte”, come avviene nella proposizione n. 3, se a queste ultime, in termini di “applicazioni terapeutiche”, viene promesso soltanto “un investimento uguale a quello delle cellule staminali embrionali”. Di qui, l’auspicio affinché “l’ingegnosità degli scienziati possa trovare le vie di un progresso medico nel più stretto rispetto della dignità umana”, invece che attraverso la riduzione dell’embrione a semplice “mezzo” per la ricerca. (R.M.)

 

 

LAVORARE PER IL DIALOGO E L’INTESA IN MESSICO, DOPO LE PRESIDENZIALI

DEL 2 LUGLIO SCORSO: CON QUESTO INTENTO, È IN CORSO NEL PAESE SUDAMERICANO LA GIORNATA DI PREGHIERA PER LA RICONCILIAZIONE

- A cura di Maurizio Salvi -

 

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CITTA’ DEL MESSICO.= In occasione del primo dei sette giorni che saranno dedicati alle preghiere per la pace in tutto il Messico, il cardinale primate Norberto Rivera ha rivolto un appello ai governanti a muoversi, rispondendo alle leggi dell’etica, perché è proprio su di esse – ha detto - che la società vuole costruire il futuro della nazione. In un documento diffuso alcuni giorni fa, la Conferenza episcopale messicana ha ricordato che al di là delle differenze ideologiche, condividiamo una storia, dei valori e un destino che ora sono in gioco in questa fase. In effetti, dopo la terza assemblea informativa, svoltasi domenica sulla storica Piazza dello Zocalo nella capitale, i sostenitori del candidato della sinistra, Andrés Manuel López Obrador, hanno creato presidi permanenti ed insistito sul non voler riconoscere i risultati che hanno assegnato la vittoria provvisoria al candidato governativo di destra, Felipe Calderón. In questo senso, invitando le diocesi ad organizzare fino al 6 agosto una Giornata di preghiera per la riconciliazione, la concordia, la Chiesa cattolica ha chiesto a donne e uomini di buona volontà di rispettare le leggi e lavorare per il riavvicinamento delle parti, il dialogo e l’intesa. In questo senso, si chiede anche alle autorità di operare con verità e giustizia e si suggerisce ai vescovi di celebrare l’Eucaristia di domenica prossima nella cattedrale diocesana o in un santuario, affidandosi all’intercessione della Vergine di Guadalupe.

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DIFFUSO IERI L’ULTIMO, DRAMMATICO BILANCIO DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE

DELLA SANITÀ (OMS) SULL’EPIDEMIA DI COLERA, CHE DA FEBBRAIO COLPISCE L’ANGOLA: OLTRE 2100 MORTI E 51 MILA CONTAGI

 

LUANDA. = Oltre 2000 morti e 51.321 contagiati: è il drammatico bilancio dell’epidemia di colera che da 13 febbraio scorso colpisce l’Angola. Lo si apprende dall’ultimo bollettino dell’ufficio angolano dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), diffuso ieri dall’agenzia MISNA. Continua a essere confuso l’andamento dell’epidemia, più volte data vicina alla sua conclusione e, poi, riemersa con nuovi casi. Nell’ultima settimana, ad esempio, a fronte di un numero inferiore di contagi rispetto a quella precedente (517 contro 589), è aumentato il numero dei decessi (26 contro 23). Nella nota dell’OMS si conferma, inoltre, l’estensione dell’epidemia, iniziata nel quartiere Boa Vista della capitale, Luanda, a una nuova provincia, quella di Kuando Kubango, dove il bilancio è di 111 casi e 10 morti. Le zone maggiormente colpite restano la provincia di Luanda, con 23.396 contagi e 302 morti, e quella di Benguela, con 8.424 contagi e 518 decessi. (R.M.)

 

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

1 agosto 2006

 

- A cura di Amedeo Lomonaco, Alessandro Grifi e Roberta Moretti -

        

Il presidente di Cuba, Fidel Castro, che si preparava a celebrare il prossimo 13 agosto i suoi 80 anni, questa notte è stato sottoposto ad un intervento chirurgico d'emergenza per una “crisi intestinale con sanguinamento”. L’operazione “mi costringe a restare varie settimane a riposo, lontano dalle mie responsabilità e dai miei incarichi”: afferma il comunicato, firmato da Castro e letto in televisione dal suo segretario, Carlos Valenciaga, con il quale i poteri vengono assunti provvisoriamente dal fratello Raul. Il servizio di Luis Badilla:

 

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Con queste poche parole si può dire che viene sancito il processo di successione che lo stesso presidente cubano ha previsto. Ora, suo fratello, che ha compiuto 75 anni, accumula nella sua persona le principali cariche del Paese: la presidenza del Consiglio di Stato, il Ministero della Difesa e l’ufficio di primo segretario del Partito comunista cubano. Si tratta di una situazione del tutto inedita: non accadeva da almeno 47 anni. La Casa Bianca “sta monitorando la situazione” a Cuba, dopo il passaggio di consegne da Fidel Castro al fratello Raul: “Non vogliamo speculare sulle sue condizioni di salute”, ha commentato con riferimento al presidente cubano, Peter Watkins, uno dei portavoce del presidente George Bush. “Continueremo a lavorare per la libertà a Cuba”, ha aggiunto Watkins. A questo punto, per molti analisti, sarà interessante seguire l’evolversi della dialettica interna alla classe dirigente cubana, che potrebbe portare ad un confronto serrato tra la dirigenza storica, quella della Sierra Maestra, sotto la guida di Raul Castro e le nuove leve, meno ideologiche, più pragmatiche soprattutto nell’ambito delle scelte socio-economiche, che oggi come oggi rappresenta Carlos Lage, vice presidente del Consiglio dei Ministri, in pratica, il Primo Ministro. Intanto, a Miami, tra i quasi 800mila cubani anti-castristi si sono registrate scene di gioia, ma non sono mancate anche le reazioni prudenti in attesa degli sviluppi futuri. All’Avana, comunque, continuano ad arrivare da diverse parti del mondo i saluti di altri governanti, che augurano a Castro un rapido ristabilimento.

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Mattinata di sangue in Iraq, dove stamani sono morte una cinquantina di persone in diversi attentati. Il più cruento degli attacchi si è verificato contro un autobus nella città settentrionale di Baiji, dove hanno perso la vita almeno 23 soldati iracheni. Altre 14 persone sono rimaste uccise per l’esplosione di un’auto-bomba in un quartiere sciita nel cuore di Baghdad. Ucciso a Bassora, nel sud, anche un soldato britannico.

 

Violenze anche in Afghanistan, dove due soldati britannici della forza di sicurezza della NATO sono morti in un’imboscata dei talebani nel sud del Paese. Un terzo militare, sempre di nazionalità britannica, risulta disperso.

 

Entro il 31 agosto, l’Iran dovrà sospendere l’arricchimento dell’uranio, altrimenti scatteranno sanzioni economiche. Lo ha deciso, ieri, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con una risoluzione che ha visto solo la contrarietà del Qatar. Commentando il provvedimento, il presidente del Parlamento iraniano ha detto che la risoluzione “non ha alcun valore”. Il presidente americano, George Bush, ha invitato, invece, la Repubblica islamica a recepire il messaggio della comunità internazionale.

 

Sempre grave la situazione in Sri Lanka, sconvolto da violenti scontri tra esercito e separatisti tamil per il controllo di un canale di irrigazione nel distretto nordorientale di Trincomalee. Almeno 4 marinai sono morti stamani e una trentina sono rimasti feriti nell’assalto dei ribelli alla principale base della marina cingalese, nel porto di Trincomalee. I militanti hanno aperto il fuoco d’artiglieria e sparato colpi di mortaio, costringendo i residenti ad abbandonare la zona. Ieri, oltre 60 persone erano morte in diversi scontri. Si tratta dei primi combattimenti frontali dalla tregua siglata quattro anni fa e l’avvio di negoziati di pace, poi falliti, sotto la mediazione norvegese.

 

Cresce la tensione tra le due Coree: militari della Corea del sud e del nord si sono scambiati alcuni colpi d’arma da fuoco lungo il confine, ma nessuno è rimasto ferito. A riferire dell’incidente, il primo dopo un anno, i vertici militari di Seul. Secondo la ricostruzione, i soldati di Pyongyang hanno sparato un paio di colpi contro una postazione sudcoreana nella zona smilitarizzata, provocando la reazione dei militari di guardia.

 

Tragedia in India: uno scuolabus con a bordo 50 bambini è caduto in un canale nello Stato nordoccidentale indiano dell’Haryana. Finora, sono stati recuperati i corpi di sei bambini. Altri 30 risultano dispersi. Le operazioni di recupero sono ostacolate dalle piogge che imperversano sulla zona e che hanno riempito il canale. A causa delle piogge monsoniche, nella regione, sono state sgomberate 100 mila persone, i cui villaggi sono stati spazzati via dalla furia delle acque.

 

Ci spostiamo in Colombia. Potrebbero esserci le FARC, Forze Armate Rivoluzionarie, dietro l’esplosione di un ordigno avvenuta a 460 km da Bogotà contro un convoglio di soldati e che ha provocato 15 vittime. Secondo alcune fonti, la guerriglia starebbe intensificando le sue azioni in vista dell’insediamento, il prossimo 6 agosto, del presidente Alvaro Uribe.

 

Era stato condannato per omicidio il primo detenuto scarcerato oggi in Italia grazie all’applicazione del provvedimento sull’indulto, varato dal Senato sabato scorso e pubblicato ieri sera sulla Gazzetta Ufficiale. Anselmo Novello, un agricoltore di 60 anni agli arresti domiciliari in provincia di Crotone, aveva ucciso una donna nel 1987 nel corso di una lite per motivi di pascolo, e ferito gravemente il marito e il figlio della vittima. La legge sull’indulto è stata firmata ieri dal capo di Stato italiano, Giorgio Napolitano. “E’ un provvedimento di clemenza e d’urgenza – ha commentato Napolitano – volto a lenire una condizione intollerabile di sovraffollamento e degrado delle carceri”. La legge – lo ricordiamo – prevede uno sconto di pena di tre anni anche per reati amministrativi commessi fino al 2 maggio 2006. Saranno circa 12 mila i detenuti che potranno uscire dalle carceri. Esclusi i reati gravi, tra cui quelli mafiosi e legati alla pedofilia.

 

In Somalia, altri quattro membri del governo hanno presentato le dimissioni, minando ulteriormente la stabilità della fragile amministrazione del premier, Ali Mohamed Gedi. Stamani, Gedi aveva annunciato il rinvio di 15 giorni dei colloqui di pace con le Corti islamiche, che da giugno controllano Mogadiscio e diverse zone del Paese. Solo due giorni fa, l’esecutivo era riuscito a superare indenne una mozione di sfiducia presentata da oltre 150 deputati somali, dopo che ben 18, tra ministri e segretari di Stato, si erano dimessi, denunciando la politica intransigente del premier.

 

La più grande forza di interposizione dell’ONU, costituita da 24 mila uomini, potrebbe essere inviata “il prima possibile” in Darfur, nel Sudan, per sostituire i 7.700 soldati della missione dell’Unione Africana. La proposta è del segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che ieri ha presentato un rapporto sulla situazione nella martoriata regione sudanese del Darfur al Consiglio di Sicurezza, che potrebbe approvare l’invio di una forza di interposizione anche senza l’assenso del governo sudanese. E’ contrario alla proposta il presidente del Sudan, Omar el Beshir, che ha anche ribadito nelle ultime ore la sua ferma opposizione al dispiegamento nella regione di forze ONU. Il capo di Stato sudanese ha affermato che il Darfur diventerebbe “un cimitero” per i caschi blu.

 

Approvata dall’ONU la proroga di un anno dell’embargo sulla vendita di armi alle milizie della Repubblica Democratica del Congo, dove domenica scorsa si sono tenute le elezioni presidenziali e legislative. La risoluzione vieta ogni fornitura di armamenti ai miliziani che occupano la parte orientale dell’ex Zaire, fino al 31 agosto dell’anno prossimo. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha definito la recentissima consultazione un “evento storico” per il Paese africano.

 

 

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