RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
322 - Testo della trasmissione di venerdì 18 novembre 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Appello per gli aiuti in
Pakistan da parte di Kofi Annan, in visita ai luoghi del sisma
CHIESA E SOCIETA’:
In Iraq, almeno 40 morti
per attentati kamikaze in due moschee a nord est di Baghdad
Il primo ministro
Rajapakse vince le presidenziali nello Sri Lanka
18 novembre 2005
LA CHIESA NON CERCA PRIVILEGI DALLO STATO
MA
SOLO DI SVOLGERE LA SUA MISSIONE A
VANTAGGIO DELL’INTERA SOCIETA’:
LO HA
RIBADITO STAMANE BENEDETTO XVI,
RICEVENDO
I PRESULI DELLA REPUBBLICA CECA, IN VISITA AD
LIMINA
I rapporti tra Chiesa e Stato, la perdita d’identità
religiosa e la crisi delle vocazioni, l’importante ruolo dei laici e la
priorità pastorale verso la famiglia: temi di grande attualità, che il Papa ha
affrontato ricevendo stamane alcuni presuli nella Repubblica Ceca, in visita ad Limina. Il servizio di Roberta
Gisotti:
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“Una Chiesa molto vivace, che si sente chiamata ad essere
lievito di una società secolarizzata”: Benedetto XVI ha raccolto le
preoccupazione espresse dai vescovi cechi, di fronte al crescente numero di
cittadini che dichiarano di non appartenere ad alcuna Chiesa e alla scarsità di
sacerdoti.“Penso che le devastazioni materiali e spirituali del precedente
regime abbiano lasciato”, una volta riacquista la piena libertà, “l’ansia di
recuperare il tempo perduto - ha detto il Papa - proiettandosi in avanti”,
senza riservare “sufficiente attenzione” ai “valori spirituali che danno nerbo
e consistenza alle conquiste civili e materiali.”
Da qui, l’importanza di formare “un laicato maturo,
consapevole “delle proprie responsabilità ecclesiali”, ben inserito
“nell’attività parrocchiale”, introdotto “ad una sana e ricca vita liturgica” e
la necessità di formare anche “solide famiglie cristiane”, capaci di
prospettare ai giovani “la bellezza di una vita interamente consacrata”.
E per questo, lo Stato – ha detto
il Papa - dovrebbe riconoscere nella Chiesa “una controparte che non reca alcun
pregiudizio alle sue funzioni a servizio dei cittadini”. Chiesa che opera
“nell’ambito religioso”, senza invadere la “competenza dell’autorità civile”,
Chiesa che offre “il suo contributo caritativo, sanitario e scolastico” e
promuove “il progresso della società in un clima di grande libertà religiosa”.
“Com’è noto, la Chiesa – ha ripetuto il Santo Padre - non cerca privilegi” ma
solo di “svolgere la sua missione”, e quando questo diritto viene riconosciuto,
“è l'intera società che ne trae vantaggio”.
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IN
ANTEPRIMA MONDIALE IERI SERA ALL’AULA PAOLO VI,
ALLA
PRESENZA DI BENEDETTO XVI, IL FILM “GIOVANNI PAOLO II”.
SEIMILA
LE PERSONE CHE HANNO APPLAUDITO IL LUNGOMETRAGGIO.
IL
SANTO PADRE: LA PELLICOLA RINNOVA IN ME PROFONDA GRATITUDINE A DIO
PER IL
DONO DI UN PAPA DI COSÌ ELEVATA STATURA SPIRITUALE
Un’aula Paolo VI gremita ieri sera per la proiezione in
anteprima mondiale del film “Giovanni Paolo II”, prodotto dalla Lux Vide e
dalla RAI in onda in prima serata su Rai Uno il 27 e 28 novembre. Con Benedetto
XVI, seimila le persone che hanno applaudito il lungometraggio, tra cui tanti esponenti
della politica italiana. Il servizio di Tiziana Campisi.
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(brano dal film)
Un fragoroso applauso ha seguito la scena del momento in
cui Giovanni Paolo II chiede al cardinale Joseph Ratzinger di accettare l’incarico
di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Il film “Giovanni
Paolo II” commuove, mostra i primi passi del Pontificato di Karol Wojtyla, le
prime Giornate mondiali della gioventù, gli interrogativi del Papa davanti alla
malattia fino a giungere alla Via Crucis di quest’anno. Al termine della
proiezione, una grande commozione pervade l’Aula Paolo VI e Benedetto XVI ha
espresso con queste parole le sue emozioni:
“La visione di
questo film ha rinnovato in me e penso in quanti hanno avuto il dono di
conoscerlo il senso di profonda gratitudine a Dio per aver donato alla Chiesa e
al mondo un Papa di così elevata statura umana e spirituale”.
Realizzato con la collaborazione di televisioni europee e
della statunitense CBS, il lungometraggio mostra le preoccupazioni di Giovanni
Paolo II per le diverse problematiche sociali che hanno caratterizzato il XX
secolo. Tanti i particolari sulla vita del Pontefice che la pellicola rivela,
grazie anche alla collaborazione, con la produzione, del direttore della Sala
stampa vaticana, Joaquín Navarro-Valls, e
del segretario particolare di Karol Wojtyla, l’arcivescovo Stanislao Dziwisz.
Questo film, ha commentato Benedetto XVI, costituisce “un
ulteriore attestato, l’ennesimo, dell’amore che la gente e noi tutti nutriamo
per Papa Wojtyla e del grande desiderio di ricordarlo, di rivederlo, di
sentirlo vicino”. Poi il Santo Padre ha voluto sottolineare che la schiera di
pellegrini che si recano a pregare o a rendere omaggio a Giovanni Paolo II,
alla sua tomba nelle Grotte Vaticane, è segno di un’intima dimensione
spirituale che lega i fedeli e l’amato Papa:
“Quel legame
affettivo e spirituale con Giovanni Paolo II, che si è fatto strettissimo nei
giorni della sua agonia e della sua morte, questo legame, non si è interrotto”.
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ALTRE UDIENZE
Nel corso della mattinata, Benedetto
XVI ha ricevuto il cardinale
Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti. Nel pomeriggio, è in programma l’udienza del
Pontefice all’arci-vescovo William Joseph Levada,
prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede, insieme con il segretario del
medesimo dicastero, l’arcivescovo Angelo Amato.
QUARANT’ANNI
FA L’APPROVAZIONE DELLA COSTITUZIONE DOGMATICA DEI VERBUM SULLA DIVINA
RIVELAZIONE E DEL DECRETO APOSTOLICAM ACTUOSITATEM, SULL’APOSTOLATO DEI
LAICI. SULL’EREDITA’ DEI DUE DOCUMENTI CONCILIARI,
LA
RIFLESSIONE DEL VESCOVO VINCENZO PAGLIA,
PRESIDENTE
DELLA FEDERAZIONE BIBLICA CATTOLICA
Il 18 novembre di 40 anni fa, i Padri conciliari
approvavano la Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina
Rivelazione. Un documento fondamentale del Concilio Vaticano II grazie al
quale, ha detto recentemente Benedetto XVI, “é stata più profondamente
rivalutata l’importanza fondamentale della Parola di Dio”. Oggi ricorre anche
il 40.mo anniversario del Decreto conciliare Apostolicam Actuositatem,
documento che mette l’accento sul ruolo dei fedeli laici nella vita della
Chiesa. Ma torniamo alla Dei Verbum e alla sua preziosa eredità con la
riflessione del vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, presidente della Federazione cattolica biblica.
L’intervista è di Alessandro Gisotti:
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R. – Questo documento certamente è stato tra quelli che ha
segnato con maggiore efficacia la vita della Chiesa. Qualcuno diceva, ad
esempio, che con il Concilio la Bibbia è tornata nelle mani dei fedeli, mentre
prima era un libro – potremmo dire – in qualche modo relegato al clero. La Dei Verbum ha ridato lo spazio più
profondo e più ampio alla Parola di Dio nella vita della Chiesa, nella vita dei
credenti, in tutti i suoi aspetti.
D. – San Girolamo afferma che “chi ignora le Sacre
Scritture, ignora Cristo”. Eppure, ancora oggi sono in pochi, anche tra i
praticanti, a leggere assiduamente la Bibbia. Come rimediare, come vincere
questa sfida?
R. – Nell’ultimo Sinodo dei vescovi, ci sono stati alcuni
Padri che hanno chiesto che il prossimo Sinodo venga dedicato alla Parola di Dio
per ridare alla mensa della Parola uno spazio adeguato e ampio. Dovremmo tutti
insistere con più forza sul fatto che ogni cristiano, ogni credente abbia la
sua Bibbia, il suo libro, il nutrimento quotidiano che – come diceva il
Salmista – è la Parola di Dio, la luce ai nostri passi.
D. – “La Bibbia – dice Sant’Agostino – si legge sulle
ginocchia della Chiesa”: Parola di Dio, tradizione, magistero della Chiesa:
questi tre elementi sono inscindibili nella lettura delle Sacre Scritture. Una
sua riflessione al riguardo?
R. – Uno dei nodi sciolti dal Vaticano II è stato proprio
questo: mentre in passato la polarizzazione polemica tra cattolicesimo e
protestantesimo era portato a sentire quasi in modo separato la tradizione
della Bibbia, il Concilio ha parlato appunto della Parola di Dio che è Gesù.
D. – Nell’insegnamento della Dei Verbum, quale ruolo ha lo Spirito Santo nella Bibbia?
R. – Direi che lo Spirito Santo è suggeritore centrale e
fondamentale. Non è possibile leggere la Scrittura senza lo Spirito di Dio.
Vorrei dire in questo senso che senza lo Spirito le Scritture sono morte, non
dicono nulla, al massimo possono essere un libro di letteratura ma non vanno
oltre. Lo Spirito di Dio rende le Scritture contemporanee a chi le legge. La
Bibbia va letta nella preghiera e gli antichi Padri amavano dire che la
preghiera era: “O tu parli a Dio o lo ascolti, mentre leggi le Sante
Scritture”.
D. – Oggi si celebra anche il 40.mo anniversario del
Decreto conciliare Apostolicam
Actuositatem, che mette l’accento sull’impegno dei laici nella vita della
Chiesa. E’ ancora attuale, oggi, questo documento?
R. – Credo che questo documento abbia segnato una svolta
particolarmente importante: ridona ai laici l’appartenenza totale alla comunità
e anche la responsabilità di testimoniare nel mondo il mistero di Dio. In
questo senso, il laico deve riscoprire la forza del Battesimo che gli è stato
conferito, con tutto ciò che questo comporta: il diritto di piena appartenenza
alla Chiesa, quindi di non essere minoritario, ma nello stesso tempo anche la
gravissima responsabilità di comunicare il Vangelo a tutti. Il laico deve
portare il Vangelo in tutti gli ambienti della vita, ovunque egli viva. La via
della santità è una responsabilità per tutti, anzi, è la cosa più seria che
oggi il credente deve riscoprire per sé, ed anche per gli altri.
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APERTA
IN VATICANO L’XI PLENARIA
DELLA
PONTIFICA ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI,
DEDICATA
A UNA RIFLESSIONE SULL’UOMO NELL’OTTICA DEL MAGISTERO ECCLESIALE
-
Intervista con il cardinale George Cottier -
“La concettualizzazione della persona umana nelle scienze
sociali”. E’ un tema tra pensiero filosofico e pensiero spirituale quello che
impegnerà l’XI sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze
Sociali, da oggi a martedì prossimo in Vaticano. Il cardinale George Cottier,
proteologo della Casa pontificia, ha tenuto una prolusione analizzando in che
modo la civiltà liberale contemporanea – erede dell’Illuminismo – abbia
generato un tipo di società in cui molte e diversificate sono le “minacce alla
persona”. Ecco il porporato al microfono di Giovanni Peduto:
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R. –
“Minacce contro la persona”: il tema, dunque, è molto difficile, perché fare un
elenco delle minacce è quasi impossibile, si rischia di generalizzare. Ho
pensato allora di porre la questione ad un livello più fondamentale: quale
concezione dell’uomo genera queste minacce? E mi sono fermato sul liberalismo
filosofico. Che cos’è il liberalismo filosofico? E’ un segno tipico della
modernità. E’ certamente con l’Illuminismo che appare questo concetto dell’uomo
liberale. Dico subito che ho preso tale concetto nelle sue forme più radicali.
Dunque, dapprima l’uomo è un individuo, un’entità autosufficiente,a che se
debole. Come si definisce questo individuo? Si definisce a partire dalla sua
libertà, ma una libertà autonoma. E’ lui che si dà le sue leggi. Una libertà,
dunque, senza criteri, senza dipendenze ad una legge oggettiva. Terza tesi, che
mi pare importante: l’uomo nell’individualismo non è naturalmente “sociale”. La
società è una creazione dell’individuo. Il che vuol dire che tutti i criteri di
comportamento nella vita sociale dipendono dalla volontà degli individui.
Secondo la famosa favola, quando l’uomo obbedisce alla legge, una volta che è
entrato in società, obbedisce a se stesso. A partire da questo, abbiamo le
linee di fondo dell’ideologia contemporanea individualista o liberale.
D. – Eminenza, la società odierna, da una parte sta
andando verso un radicale individualismo, dall’altra sembra aumentare una certa
massificazione…
R. – Sì, la massificazione è nella crescita delle città e
dell’umanità. D’altra parte, per vivere assieme, gli uomini devono darsi delle
leggi. La massificazione non è tanto un fenomeno politico, quanto un fatto di concentrazione
dell’umanità, che ha una base demografica. E’ vero, però, che la difesa
dell’individuo nella sua singolarità diviene sempre più difficile nella
massificazione. Pensate per esempio a tutti i tipi di comportamento che sono
regolati dalla pubblicità.
D. – Cosa fare, oggi, per conservare una profonda libertà
personale da tutti i condizionamenti che ci vengono dalla società?
R. – Io penso che una vita personale in senso spirituale
sia necessaria. Una persona che vive profondamente la dimensione spirituale è
il cristiano che ha la chiave della verità. Pensare che siamo creati ad
immagine di Dio: una persona che vive questa identità profonda è libero, è
protetto contro tutti i processi di massificazione che ci assalgono sempre.
Abbiamo, dunque, un grande bisogno di interiorità, di un dialogo con Dio che ci
dà l’autonomia.
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garantire maggiore accesso ai nuovi media non solo
nei paesi più ricchi.
così mons. John Foley, presidente del ponticificio
consiglio
per le comunicazioni sociali, intervenUTO in tunisia
al vertice mondiale
sulla società dell’informazione
- A
cura di Eugenio Bonanata -
“Un opportunità unica per indicare la direzione dello
sviluppo della società dell’informazione e per evitare passi sbagliati”. E’
quanto ribadito da l’arcivescovo John P. Foley nel suo intervento in cui ha
specificato come le nuove possibilità tecnologiche nel campo della
comunicazione “possano offrire l’opportunità di aiutare quanti vivono nelle
regioni più povere e isolate del mondo”. Le nuove tecnologie possono, inoltre,
servire a “dar voce a chi spesso nel passato è stato inascoltato o
dimenticato”, specifica il presule, che ha messo tuttavia in guardia da alcuni
rischi. “Se questo processo – afferma - crea opportunità soltanto per chi già
oggi ha delle ottime condizioni di vita, allora tutto questo lavoro sarà un
fallimento”. In questo quadro, mons. Foley si rivolge ai Paesi più sviluppati,
che “devono assumersi la responsabilità di accelerare il processo di informatizzazione,
permettendo un maggiore accesso ai nuovi media”. Ma bisogna guardare alle
generazioni future, quindi “è una responsabilità di tutti – sottolinea -
impegnarsi in favore di milioni di persone che sono fuori da questo processo”.
Mons. Foley, in conclusione, si è richiamato la Lettera apostolica “Il rapido
sviluppo”, che Giovanni Paolo II dedicò ai responsabili delle comunicazioni
sociali.
L’EDUCAZIONE
SIA CENTRATA PRIMA DI TUTTO SULL’UOMO: COSÌ BENEDETTO XVI,
NEL
MESSAGGIO A FIRMA DEL CARDINALE ANGELO SODANO, PER L’INCONTRO
DELLE
PONTIFICIE ACCADEMIE DELLE SCIENZE E DELLE SCIENZE SOCIALI, SUL TEMA:
“GLOBALIZZAZIONE ED EDUCAZIONE”
- Con
noi, mons. Francesco Follo -
“E’ la
persona umana, aperta a Dio, il centro, l’inizio e la fine del processo educativo”:
così, si esprime Benedetto XVI nel messaggio a firma del segretario di Stato,
cardinale Angelo Sodano, indirizzato al cancelliere delle Pontificie Accademie
delle Scienze e delle Scienze Sociali, mons. Marcelo Sánchez Sorondo.
L’occasione è stata data dalla riunione del Gruppo di lavoro congiunto delle
due Accademie Pontificie sul tema “Globalizzazione ed educazione”, conclusosi
ieri in Vaticano. Del messaggio ci parla, nel servizio, Roberta Moretti:
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“Come ogni
aspirazione umana, l’educazione è centrata prima di tutto sull’uomo: è l’uomo
che viene educato, è l’uomo che educa e, di conseguenza, è l’uomo ad essere il
soggetto dell’educazione”: Benedetto XVI individua proprio nella capacità di
essere educati una “caratteristica che distingue gli uomini e le donne dalle
altre creature”. Per questo, è necessaria una sempre “costante e concreta
riflessione sulla missione dell’educazione nella cultura moderna”, attraverso
un “salutare scambio di idee”. Un’esigenza che trova origine “nel naturale
desiderio di conoscere la verità, la bontà e la bellezza”. Il Santo Padre fa
poi una preghiera perché l’Incontro delle Pontificie Accademie delle Scienze e
delle Scienze Sociali porti frutti concreti nel “colmare – si legge – un
urgente bisogno di offrire una buona educazione a tutti, indipendentemente
dalla convinzione religiosa, dall’appartenenza culturale o dallo status
economico. A chiudere il messaggio, la speranza che questa occasione aiuti
quanti si occupano di formazione “ad essere sempre consapevoli che è la persona
umana, aperta a Dio, il centro, l’inizio e la fine del processo educativo”. Ma
per una riflessione sulle parole del Papa, ascoltiamo l’osservatore permanente
della Santa Sede presso l’UNESCO, l’arcivescovo Francesco Follo:
R. – Il messaggio parla di formazione, di un educatore
come soggetto che apre all’infinito, alla vita totale, e forma la persona.
Perché, cosa vuol dire “educare” se non aiutare a diventare più uomini? E il
Papa ci fa presente questa educazione, che è molto legata anche alla cultura
tedesca, al bene, al bello, al buono. Questa realtà non è solo cattolica: è
veramente umana e universale.
D. – Quali sono le idee e i concetti più significativi
emersi nel corso di questo incontro?
R. – E’ che c’è una componente antropologica di base,
cioè, un dato umano comune, illustrato a vari livelli dalle scienze esatte e da
quelle sociali e umane. Questo dialogo diventa fruttuoso perché si sta sempre
più puntando verso un’unità del sapere, in cui non c’è solo l’uomo scienziato o
l’uomo umanista: c’è la persona colta, nel senso completo del termine, che
prende i dati del sapere per una sintesi educativa umana completa.
D. – Parlando di istruzione e globalizzazione, emerge
forse la necessità di un progetto educativo fondato sull’accoglienza, il
rispetto, l’integrazione delle comunità di immigrati. Cosa è emerso, rispetto a
questo?
R. – Che la multiculturalità è un dato. L’interculturalità
è invece un compito da realizzare. Se per integrazione indentiamo che qualcuno
entri nella nostra cultura, chiediamo comunque che lui lasci la sua. Prendiamo
ad esempio un’orchestra: ogni strumento resta quello che è, anzi, sarebbe
triste se ci fossero solo i violini o solo le trombe. Il rischio, invece, è di
imporre un modello agli altri. Quindi, questo dialogo interculturale e
interreligioso ci fa cogliere quei semi di verità che anche negli altri ci
sono, per suonare questa musica. E per noi, il grande musicista è Dio!
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il discorso di Benedetto XVI ai
vescovi della Conferenza eiscopale della Repubblica Ceca. L’impegno per la
formazione di solide famiglie cristiane – ha affermato il papa – si rivela di
particolare importanza per la vita della Chiesa.
Servizio vaticano – Benedetto XVI assiste nell’Aula Paolo
VI alla proiezione del film “Giovanni Paolo II”: testimonianza
dell’ininterrotto legame tra la grande anima di Papa Wojtyla e quelle di
innumerevoli credenti, tra il suo cuore di padre e i nostri cuori.
Servizio estero – Persistono le sanguinose violenze in
Iraq;l’uso militare del fosforo bianco in territorio iracheno suscita
preoccupazione all’ONU.
Servizio culturale – Un articolo di Armando Rigobello dal titolo
“Il difficile rapporto tra cultura e potere”
Servizio italiano – In rilievo il tema dell’immigrazione.
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18
novembre 2005
L’IRAN RIPRENDE LA
CONVERSIONE DELL’URANIO,
MENTRE A LONDRA SI
SVOLGE UNA RIUNIONE DI USA,
RUSSIA E UE SUL NUCLEARE
DI TEHERAN
- Con noi Mashaollah
Shamselvaezin e Yousef Molaie -
L'Iran ha ripreso la conversione
dell'uranio per potenziali scopi militari. Lo ha confermato stamani
l’incaricato per il nucleare di Teheran, Ali Larijani,
dopo che nei giorni scorsi la notizia era stata anticipata da fonti
dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, alla vigilia del nuovo
rapporto sulla Repubblica islamica che il direttore della stessa AIEA, El
Baradei, presenterà a breve. A Londra, si tiene intanto oggi una riunione
informale, con rappresentanti di Stati Uniti, Russia e Unione Europea. Il
servizio di Giada Aquilino:
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L’AIEA si riunirà a Vienna il 24
e 25 novembre prossimi per discutere della possibilità di inviare il dossier
nucleare iraniano al Consiglio di sicurezza dell'ONU. Sulla posizione della
Repubblica islamica, pesano le recenti dichiarazioni del presidente, Mahmud
Ahmadinejad, sia sulla corsa al riarmo nucleare, sia sulla cancellazione dello
Stato d’Israele dalle mappe geografiche. Ma come vive questo momento la
popolazione iraniana? Risponde Mashaollah Shamselvaezin, vicepresidente del
sindacato giornalisti iraniani:
R. – (parole in farsi)
È aumentata la pressione sui
giovani, sulle donne, sui giornali e sui giornalisti. E non credo che la
promessa principale di questo governo, che era di distribuire tra i ceti più
poveri i proventi del petrolio, si stia attuando, anzi: l’inflazione è
aumentata rispetto al periodo precedente le elezioni di giugno.
D. – Le dichiarazioni del nuovo
presidente, sia su Israele, sia sul nucleare, sono una reale minaccia alla
comunità internazionale o un modo per accendere i riflettori internazionali
sull’Iran?
R. – (parole in farsi)
Quello che ha detto Ahmadinejad è
una posizione ufficiale della Repubblica islamica, fin dalla sua nascita: l’ha
detto l’ayatollah Khomeini. L’idea della
distruzione di Israele è sua e i successivi presidenti iraniani non l’hanno mai
rinnegata, anche se non ne hanno parlato apertamente. Capisco perché il mondo
si sia spaventato: eppure gli iraniani non vogliono la guerra, credono che la
pace in Medio Oriente sia possibile - rispettando le risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza – e credono nelle trattative tra palestinesi e israeliani. Ciò che
ha detto Ahmadinejad è quello che vorrebbe il gruppo al potere oggi.
In questo momento di tensioni,
c’è comunque chi crede che il cammino democratico dell’Iran possa proseguire.
Ne è convinto Yousef Molaie, avvocato per la difesa dei diritti umani e legale
di Akbar Ganji, prigioniero politico detenuto ad Evin al quale in questi giorni
a Siena è stato attribuito il "Premio Libertà di Stampa":
R. – (parole in farsi)
Credo che anche l’elezione di
Ahmanidejad, il fatto che lui oggi sia a capo del governo e dello Stato, faccia
parte del processo per arrivare alla democrazia, perché questa strada - che è
lunga - passa pure per momenti difficili.
D. – Le tensioni che ci sono con
la comunità internazionale come vengono viste e percepite dalla popolazione iraniana?
R. – (parole in farsi)
La gente riflette abbastanza su
quanto sta accadendo e proprio per questo ha deciso di separare se stessa da
chi la governa. Poi, dove c’è possibilità di dialogo, si continua a parlare.
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APPELLO DI KOFI ANNAN PER LE ZONE TERREMOTATE DEL PAKISTAN.
IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU IN VISITA AI LUOGHI DEL SISMA
- Intervista con Karl Amman -
Il
segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, si è recato in visita oggi
nelle zone del Pakistan più colpite dal terremoto dello scorso 8 ottobre. In
vista della conferenza dei Paesi donatori, che si terrà domani ad Islamabad,
Annan ha lanciato un nuovo appello alla comunità internazionale per una
maggiore partecipazione all’opera di ricostruzione che, secondo la Banca Mondiale,
avrà bisogno di oltre cinque miliardi
di dollari. Ma qual è la situazione degli aiuti umanitari a più di un mese dal
sisma? Giovanni Augello lo ha chiesto a Karl Amman, direttore della sezione
tedesca della Caritas Internazionale, da poco rientrato dal Pakistan:
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R. – La situazione attuale è che
c’è molto da fare, ma c’è anche molto che è stato fatto. C’è stata la
distribuzione di oltre 100 mila tende al governo del Pakistan, tra le Nazioni
Unite e diverse ONG, ma c’è sempre un certo numero di persone che ancora non ha
ricevuto niente. Si parla di 100 mila persone che abitano in villaggi molto
lontani, in alta montagna… C’è tanta gente che scende dalla montagna, sono
centinaia ogni giorno, che trovano un posto sia nei campi organizzati dal
governo, sia in campi spontanei. In questi campi spontanei, la situazione
sanitaria è molto seria.
D. – Attualmente, qual è il
ruolo della Caritas in Pakistan, e quali sono i progetti in corso?
R. – La Caritas del Pakistan è
una tra altre ONG che cerca di fare quello che può, in coordinamento con le
autorità pakistane e le Nazioni Unite. Sono state distribuite 2.200 tende ed
altre ne arriveranno. Oltre questo è in atto una campagna di vaccinazione
contro il tetano e la difterite: finora sono state vaccinate oltre 3 mila
persone. E questa anche è un’attività che continuerà.
D. – Kofi Annan ha detto di
aspettarsi senza scuse dei risultati. Ma la macchina degli aiuti internazionali
sta funzionando veramente?
R. – La macchina funziona abbastanza
bene, adesso. Le Nazioni Unite, all’inizio, non si trovavano sul terreno;
adesso sono lì… Hanno fatto arrivare elicotteri per i trasporti in villaggi
lontani, e questo deve continuare. Le possibilità sul terreno esistono, il
personale c’è, ma il finanziamento ancora manca.
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STUDENTI AFRICANI PROTAGONISTI AL PRIMO MASTER IN
MANAGEMENT
DELLO
SVILUPPO, PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE
DEI
POPOLI. OBIETTIVO, FORMARE ESPERTI PER LO SVILUPPO DELL’AFRICA
- Ai
nostri microfoni il cardinale Crescenzio Sepe, Mario Molteni e Lorenzo Ornaghi
-
Essere protagonisti dello
sviluppo dell’Africa: questo l’obiettivo del primo Master in Management dello
sviluppo, promosso dalla Congregazione per l’Evan-gelizzazione dei popoli, in collaborazione
con l’Università Cattolica di Milano. Riservato esclusivamente a studenti
africani, il corso vuole fornire loro il know-how
necessario per aiutare i loro Paesi d’origine. Il servizio di Isabella Piro.
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Stop all’assistenzialismo, trasformiamo l’Africa nel
Continente della Speranza. Così il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della
Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, descrive gli obiettivi del
primo Master in Management dello sviluppo, riservato solo a studenti africani:
“Si investe sulle qualità, che
sono tante. Allora, non più un assistenzialismo puro e semplice, quello del
“dare”, ma investire sulle persone perché queste si possano auto-gestire,
auto-realizzare, dare nei rispettivi Paesi dei contributi culturali, sociali e
politici”.
Il corso si terrà fino a
dicembre 2006 presso il Collegio Mater Ecclesiae di Castel Gandolfo. Gli
studenti iscritti sono 18, provenienti da 17 diversi Stati africani e sono già
in possesso di una laurea conseguita nel loro Paese. Tre i filoni del Master,
come ci spiega Mario Molteni, direttore dell’Alta scuola di impresa e società
della Cattolica di Milano:
“Il primo filone è quello di management, per cui verranno insegnate
strategia, risorse umane, accounting, controllo eccetera. Un secondo filone è
quello in cui vengono affrontate tematiche di natura teologica, antropologica e
morale, con particolare attenzione alla Dottrina sociale della Chiesa e ai
problemi morali connessi all’economia. Il terzo filone è dato dall’economia
politica, le scienze politiche, la statistica. Poi, la caratteristica del Corso
è un forte orientamento all’operatività, cioè ai partecipanti verrà richiesto
di sviluppare dei progetti e poi è previsto anche un periodo di stage”.
Africa e Italia: due mondi, due
culture. Ma c’è una base comune su cui i due Paesi si possono incontrare?
Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Ateneo cattolico milanese:
“Conoscersi di più, dialogare di
più, aiutarsi, evitando l’imposizione di modelli e di storie. Sicuramente noi
dobbiamo evitare di imporre ciò che l’occidentalizzazione, considerando anche
la secolarizzazione, ha comportato”.
E sono molte le speranze che gli
studenti africani ripongono in questo master. Ascoltiamo le loro voci:
R. – Mi chiamo Antoine e vengo
dalle Seychelles. Il mio vescovo mi ha detto di venire qui per imparare
l’italiano, e poi vorrei tornare nel mio Paese per aiutare il mio vescovo e il
mio Paese nel suo sviluppo.
R. – Mi chiamo Robert N’Tsimbe, vengo
dall’Uganda. Presenterò un progetto scolastico per aiutare i bambini che hanno
perso i genitori a causa dell’epidemia di AIDS.
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18
novembre 2005
QUANTO DETTO DAI VESCOVI SULLE RIFORME DEL GOVERNO
ITALIANO
NON DEVE ESSERE TRASFORMATO IN GIUDIZIO POLITICO A
FAVORE
DI NESSUN SCHIERAMENTO. COSÌ AD ASSISI IL
CARDINALE RUINI IN OCCASIONE
DELLA CHIUSURA DELLA 55.MA ASSEMBLEA GENERALE
DELLA CEI
ASSISI.
= La riforma costituzionale approvata dal Parlamento resta
"controversa" per il cardinale Camillo Ruini. Nella conferenza stampa
conclusiva della 55.ma Assemblea generale dei vescovi italiani ad Assisi, il
presidente della CEI ha tuttavia rivolto alcune precisazioni a riguardo. L’unità e la solidarietà del Paese restano
principi fondamentali ed è “importante – ha affermato il porporato - che ogni
riforma tenga conto di questi principi”. Tuttavia, il fatto che questi principi
siano presenti o meno nella riforma appena approvata – prosegue il cardinale –
“e' un giudizio che non diamo come tale''.
il presidente della CEI ha ribadito l’auspicio che quanto espresso dai
vescovi “non venga trasformato in un giudizio politico a favore dell'uno o
dell'altro schieramento”. Più precisamente, “al referendum non ci saranno
indicazioni di voto da parte dei vescovi italiani. E qui ad Assisi - precisa il
card. Ruini - abbiamo solo segnalato alcune istanze etico sociali che vanno
tenute presenti". Così il mondo della salute è stato al centro dei lavori
dell’assemblea episcopale. L’argomento è stato esaminato da diversi punti di
vista, prima fra tutti la questione pastorale. Oltre i problemi posti dalla
scarsità delle risorse economiche e dal calo delle vocazioni, questo settore
intende infatti rilanciarsi. Non solo come spazio di evangelizzazione accanto
all’uomo che soffre, ma anche come istanza di umanizzazione della medicina e
dell’assistenza ai malati. Molto importante l’azione dei cappellani ospedalieri
di tutte le strutture cattoliche che però sono chiamate a rispondere alle
mutate esigenze dei tempi. Antonio Cicchetti, direttore del Policlinico
Gemelli, ha richiamato l’importanza dei tavoli della sanità cattolica per fare
rete, ha detto, tra i diversi soggetti no profit di ispirazione
cristiana, e migliorare la competitività delle strutture. (E. B.)
CONIUGARE FRATERNITA’ E
DIRITTO: E’ LA SFIDA APERTA
DAL CONVEGNO INTERNAZIONALE PROMOSSO DAL MOVIMENTO
DEI FOCOLARI,
ACCOLTA DAI 600 OPERATORI DELLA GIUSTIZIA A CASTEL
GANDOLFO, DA 35 PAESI
- A cura di Carla Cotignoli -
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CASTEL GANDOLFO. = Si respira
grande aspettativa qui a Castel Gandolfo. Lo si è colto sin dall’apertura,
dalla rapida carrellata di magistrati, avvocati e giuristi dei 5 continenti. Hanno
aperto uno squarcio sulla situazione del diritto nel loro Paese. Nuove speranze per il futuro giuridico
dell’Africa: da pochi anni 13 Paesi del continente hanno iniziato un cammino di crescita nel campo
dei diritto. Mentre in America Latina è diffusa la sfiducia nella giustizia e
l’impossibilità di accedervi per le classi più povere. Urgente è avvertita
ovunque l’esigenza di un rinnovamento profondo del diritto e della giustizia.
“Ma che cosa ha a che fare la fraternità con il diritto?” L’interrogativo è
posto dal prof. Fausto Goria, docente di Diritto romano all’Università di
Torino, nella relazione introduttiva. Goria tenta una risposta: “Se libertà e
uguaglianza sono diventati importanti valori giuridici, riconosciuti in molte
costituzioni”, il terzo elemento del noto trinomio, “la fraternità non è certo
da collocare solo su un piano morale e sociale”. Anzi, il prof. Goria arriva a
definire la fraternità “un dovere giuridico”. Una fraternità che non si limiti
ai rapporti bilaterali, ma, come già affermavano i giuristi romani tenga conto
“della sorta di ‘parentela’ che lega tutti gli uomini”. Il messaggio di Chiara
Lubich, letto in apertura, ha spalancato un vasto orizzonte: la visione “della
Creazione e dell’umanità come una, uscita dal cuore di un Dio Amore e perciò
tutta informata dalla sua impronta”. Un’umanità in cui “la fraternità
universale è iscritta nel DNA di ogni uomo”. Al giurista si apre, dunque, un
compito definito da Chiara “specifico e indispensabile”. E proprio con la
dimensione internazionale del diritto si aprirà la sessione di oggi pomeriggio.
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in vista delle prossime elezioni in Honduras il
cardinale MARADIAGA
INVITA i
partiti politici a spiegare alle gente in che modo
intendono risolvere i problemi del paese
TEGUCIGALPA. = “Il Paese è
progredito nel suo sistema democratico ma ora assistiamo ad una violenza
verbale che non conoscevamo. Si ripetono gli attacchi e gli insulti”. Lo ha
affermato il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di
Tegucigalpa, a proposito della campagna per le elezioni generali del 27
novembre, che finora risulta aggressiva ma povera di proposte politiche. Il
porporato ha esortato i politici a “raddoppiare gli sforzi affinché il
confronto politico sia civile”. Negli ultimi giorni, i giornali locali hanno
dato ampio risalto al duro confronto tra Porfirio Lobo del ‘Partido Nacional’,
attualmente al governo, e il suo rivale del ‘Partido Liberal’, Manuel Zelaya,
assistiti da due ‘consiglieri politici’ statunitensi, rispettivamente Mark
Klaugmann e Pad Devine. Zelaya ha definito Lobo un “esponente del governo
corrotto” del presidente uscente Ricardo Maduro, ma anche “depredatore di
boschi”. Lobo ha ribattuto sostenendo che Zelaya non sarebbe all’altezza della
massima carica dello Stato perché “non ha titoli universitari e non ha neanche
mai zappato la terra” ed è “troppo vicino” alla sinistra. Zelaya è stato
inoltre ammonito di non farsi "paladino del bene" poiché suo padre
venne accusato del massacro di due sacerdoti e 12 'campesinos' a Olancho nel
1975. In questo quadro “la violenza del linguaggio – ha concluso il cardinale
Maradiaga- non deve essere usata perché dopo le elezioni l’Honduras deve andare
avanti e non può cadere nell’odio e nello scontro”. Di fatto, le due forze
politiche che si alternano al potere da circa un secolo, non hanno ancora
spiegato come intendono affrontare i problemi della disoccupazione, della
povertà, della sicurezza, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria. Tutti
aspetti, questi, che riguardano la stragrande maggioranza dei 7 milioni di
abitanti dell’Honduras. (E. B.)
IL PARLAMENTO DI PRISTINA AFFERMA LA VOLONTÁ POLITICA DI
FARE DEL KOSOVO
“UNO STATO INDIPENDENTE E SOVRANO”, IN ATTESA DELL’APERTURA
DEI NEGOZIATI PER LA DEFINIZIONE DELLO STATUS DELLA
PROVINCIA SERBA
PRISTINA.
= Il parlamento locale di Pristina, capoluogo del Kosovo, ha approvato ieri una
risoluzione a favore della trasformazione della provincia serba in uno “Stato
indipendente e sovrano”. Secondo quanto riferisce l’agenzia ANSA, la mozione,
sostenuta dall’appoggio della maggioranza albanese, è stata fortemente
criticata dal governo centrale di Belgrado. Dalla capitale serbo-montenegrina
infatti si sono alzate diverse voci a favore del mantenimento dello status quo.
Il Kosovo è ancora formalmente una provincia della Serbia, anche se dal giugno
1999, anno in cui si concluse il conflitto scoppiato nel 1998 tra le forze
serbe e i separatisti albanesi, gode di una sostanziale autonomia sotto
l’amministrazione delle Nazioni Unite, secondo quanto disposto dalla
risoluzione ONU 1244. A fronte della dichiarazione parlamentare di ieri,
proprio il capo della missione ONU, Soren Jessen Petersen, ha invitato i
partiti albanesi ad un atteggiamento cauto, per non compromettere l’avvio dei
negoziati sulla definizione dello status della provincia, attesi per il
prossimo lunedì. Questo clima politico incandescente appare inoltre aggravato
da una difficile situazione economica. L’agenzia AFP ha diffuso oggi dati
estremamente preoccupanti: da un rapporto della Banca Mondiale di fine
settembre risulta che più della metà dei 2 milioni di abitanti della regione,
il cui 90 per cento è albanese, vive al di sotto della soglia di povertà. A ciò
si aggiunge un tasso di disoccupazione fra i più elevati d’Europa, una
produzione agricola che stenta a decollare, l’esistenza di industrie ancora
chiuse, e una rete stradale dissestata. Ciò nonostante, Soren Jessen Petersen
ritiene che la sfida delle consultazioni per la fissazione di un nuovo statuto
del Kosovo costituirà l’occasione per l’avvio di una fase di svilupo. Dello
stesso avviso è il Fondo Monetario Internazionale, che ha previsto per il
prossimo anno una crescita economica del 2,3 per cento. L’indipendenza
aprirebbe il Kosovo agli investimenti esteri diretti, consentendone parimenti
l’accesso alle istituzioni finanziarie occidentali. In prospettiva, l’attuale
provincia serba potrebbe divenire un partner economico dell’Unione europea,
peraltro già intervenuta a sostegno della ripresa economica della regione. Restano
tuttavia i timori per una criminalità organizzata e una corruzione ancora
dilaganti. L’intera area si trova infatti al centro di traffici illegali
gestiti da potenti gruppi mafiosi. (A. R.)
RAFFORZAre
I CONTROLLI SUL TRAFFICO ILLEGALE DEI DIAMANTI in costa d’avorio. è questo l’obiettivo POSTO IN UNA RISOLUZIONE APPROVATA NEI GIORNI SCORSI
dAL “KIMBERLEY PROCESS”, L’ORGANISMO CHE DAL 2000,
SOTTO
L’EGIDA DELLE NAZIONI UNITE, SI OCCUPA DI QUETSO PROBLEMA
ABIDJAN.
= Secondo quanto riferisce l’agenzia MISNA, in una risoluzione approvata dai
Paesi riuniti nel cosiddetto “Kimberley Process”, è stato adottato un pacchetto
di misure per rafforzare il sistema di controlli sull’esportazione illegale di
diamanti dalla Costa d’Avorio alle aree circostanti. Il “Kimberley Process” è
lo schema internazionale di certificazione creato nel 2000 sotto l’impulso
delle Nazioni Unite con lo scopo di combattere il commercio di questo prezioso
minerale proveniente da zone di conflitto. Con i suoi proventi si finanzierebbero
infatti le forze ribelli che operano in Africa occidentale. Proprio per
valutarne la difficile situazione, i 44 Stati membri dell’organismo si sono
incontrati di recente a Mosca. “Grave è la preoccupazione” – afferma la mozione
adottata in questa occasione – “per la produzione illegale di diamanti che sta
continuando nelle regioni della Costa d’Avorio controllate dai ribelli”.
Nonostante gli sforzi compiuti per impedire la libera ed incontrollata
circolazione sul mercato dei “diamanti insanguinati”, perplessità sono state
espresse dalla società civile internazionale sull’efficienza dei meccanismi di
verifica predisposti dagli aderenti al Kimberley Process e dalle industrie
diamantifere. Incerta sarebbe infatti la loro applicazione. Da un’indagine effettuata
dalla “Global Witness Foundation” e da “Amnesty International”, emerge che
l’impegno preso nel gennaio 2003 dall’industria dei diamanti per fornire
garanzie scritte sulla provenienza delle pietre ed attuare un codice di
comportamento per sostenere lo schema di certificazione Kimberley, non è stato
completamente assolto. Non è un caso che per la Costa D’Avorio e la Liberia il
traffico illegale di diamanti sia ancora oggi un problema rilevante. (A.
R.)
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18
novembre 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq, è di oltre quaranta morti
il bilancio, ancora provvisorio, di diversi attentati kamikaze. Secondo fonti
locali, le vittime potrebbero essere più di 100. Gli attacchi più gravi sono
stati compiuti a Khanaquin, nel nord est del Paese, dove due attentatori
suicidi si sono fatti esplodere in due moschee sciite durante la preghiera del
venerdì. Poco
prima, due attacchi kamikaze condotti da ribelli a Baghdad, nei pressi di un
albergo frequentato da stranieri e giornalisti, avevano causato la morte di
almeno 6 persone. Negli Stati Uniti si accentua, intanto, il
dibattito sull’intervento militare nel Paese arabo: il parlamentare del partito
democratico Murtha ha chiesto un ritiro immediato delle truppe americane dal
Paese del Golfo. Il vicepresidente statunitense, Dick
Cheney, respinge invece
critiche e accuse. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Il vice presidente ha reagito alle critiche dei
Democratici secondo cui l’amministrazione aveva manipolato l’intelligence sulle
armi di Saddam per trascinare l’America in guerra. “Questa – ha detto – è una
delle accuse più disoneste e biasimevoli mai circolate a Washington”. Il
presidente Bush, dall’Asia, gli ha dato subito ragione, attaccando
l’opposizione e definendola ‘irresponsabile’. Questa strategia del contrattacco
è stata confermata anche dai funzionari della Casa Bianca, che da qualche
giorno rispondono con forza, colpo su colpo, a tutte le critiche. L’obiettivo è
quello di impedire agli oppositori di decidere l’agenda del dibattito politico,
ma vari analisti pensano che la strategia potrebbe far perdere a Bush il
sostegno di quella parte dei repubblicani che, secondo i sondaggi, hanno
cambiato idea sull’Iraq. Di sicuro ha cambiato posizione l’ex falco Murtha,
considerato un alleato del Pentagono che spesso interpreta il pensiero dei
militari. Dopo la decisione del Senato di chiedere al presidente aggiornamenti
trimestrali sulla guerra, il veterano del Vietnam ha annunciato una risoluzione
per chiedere il ritiro immediato delle truppe. “E’ ora – ha detto – di cambiare
direzione. Una prolungata azione militare non è nell’interesse degli Stati
Uniti, degli iracheni e della regione del Golfo”.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Nello Sri Lanka, quattro persone
sono morte per un attentato suicida compiuto in una moschea di Akkaraipattu, a
350 chilometri ad est di Colombo. L’attacco è avvenuto all’indomani delle
elezioni presidenziali, vinte dal primo ministro
Rajapakse. La commissione elettorale ha reso noto, stamani, che il premier ha
ottenuto oltre il 50 per cento dei consensi. L’affluenza alle urne è stata del
75 per cento ma nel nord ovest del Paese, area a maggioranza tamil, si è
registrato un elevato astensionismo. I ribelli tamil, prima del voto, avevano
chiesto di boicottare il voto e avevano definito pericolosa per il processo di
pace l’elezione di Rajapakse. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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Rajapakse è contrario a fare concessioni ai
ribelli e intende rinegoziare l’accordo di tregua siglato nel 2002 dal suo
rivale Vikremasinghe. A contribuire al suo successo sarebbe stata,
paradossalmente, l’astensione della minoranza di etnia tamil, concentrata nel
nord ed est dell’isola. Le Tigri Tamil avevano fatto un appello al boicottaggio
delle urne e, secondo alcune fonti, hanno anche organizzato una campagna di
intimidazione per impedire agli elettori di recarsi alle urne situate nelle
aree governative. Proprio questo avrebbe penalizzato il riformista Vikremasinghe:
la sua sconfitta significa anche un rallentamento del processo di
liberalizzazione dell’economia in un momento cruciale per la ripresa e per la
ricostruzione delle coste devastate dallo tsunami di dicembre. Saranno però
favoriti i ceti agricoli, a cui Rajapakse ha promesso sussidi. Da questo
voto, lo Sri Lanka esce profondamente diviso tra una parte del Paese che vuole
la pace e l’accelerazione delle riforme, e invece un’altra, che vuole
proteggere gli interessi e l’identità della maggioranza cingalese.
Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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La promozione degli
scambi commerciali e l’appuntamento del Doha Round, previsto a dicembre, ad
Hong Kong. Sono questi i temi che hanno segnato la prima giornata del Vertice
dell’Associazione per la cooperazione economica dell’Asia e del Pacifico (APEC)
a Pusan, in Corea del Sud. L’agenda del summit, che si concluderà domani,
prevede l’analisi di una serie di tematiche, tra le quali la lotta al
terrorismo, la sicurezza energetica e la crescita economica della Cina. Il
servizio di Chiaretta Zucconi:
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A preoccupare è il predominio commerciale di Pechino,
cresciuto quest’anno del 50 per cento e destinato ancora a salire, con il rischio
di mettere in ginocchio le valute asiatiche con ripercussioni per la stessa
economia mondiale. Un disavanzo commerciale che, per essere contenuto, ha
bisogno della cura giusta prima che sia troppo tardi; una cura che sembra sia
stata individuata in un più stretto coordinamento delle politiche
macro-economiche. Ma al vertice dell’APEC si discute anche di questioni
agricole, maggiore apertura dei mercati, lotta al terrorismo e cooperazione al
massimo livello per fronteggiare l’ultimo flagello proveniente dall’Asia:
l’influenza aviaria. Il virus è stato riscontrato anche in Cina dove sembra
siano tre – ma potrebbero essere molti di più – i casi di persone contagiate.
Al di là dei numerosi temi al centro dei colloqui, resta la speranza che l’APEC
aiuti a superare, attraverso il dialogo, gli antichi nazionalismi ma non è una
cosa facile: sul Forum aleggiano le ombre di vecchi rancori. Nel loro incontro,
ieri, il presidente sudcoreano e quello cinese si sono stretti la mano e si
sono dichiarati d’accordo sulla necessità di una protesta congiunta contro le
ripetute visite del premier giapponese Koizumi al tempio Yasukuni,
simbolo del militarismo del Sol Levante.
Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi da Tokyo.
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Le Nazioni Unite hanno rinunciato a compiere un’ispezione nella
base americana di Guantanamo. L’annuncio è stato dato dopo la decisione, da
parte dell’amministrazione americana, di non autorizzare colloqui privati tra
detenuti e ispettori dell’ONU. Gli Stati Uniti – si legge in una nota delle
Nazioni Unite - hanno impedito che si creassero le condizioni per compiere una
visita “giusta, obiettiva e credibile” a Guantanamo.
Sono state fissate per il prossimo 27 dicembre le elezioni presidenziali
e parlamentari ad Haiti, le prime dopo la deposizione del presidente Jean-Bertrand Aristide. Il 31 gennaio è
previsto, inoltre, il secondo turno delle consultazioni.
In Francia, il ministro dell’Interno, Nicolas
Sarkozy, ha lanciato ieri l’allarme per la minaccia di attentati terroristici nel
Paese. Il ministro ha anche detto che almeno 22 aspiranti kamikaze sono
arrivati in Iraq dalla Francia. Intanto, le autorità britanniche hanno deciso
l’estradizione verso la Spagna di un presunto
estremista islamico, sospettato di aver preso parte alle stragi sui treni di
Madrid.
In Italia, è finita in tragedia
l’odissea di un gruppo di oltre 100 immigrati: la loro imbarcazione è
naufragata al largo di Ragusa, in Sicilia, ed almeno nove persone sono morte. I sopravvissuti hanno
raccontato di aver affrontato la traversata nel mare in tempesta
ed hanno aggiunto che vi sarebbero altre vittime. Per dare
assistenza ai clandestini era salpato da un porto siciliano un rimorchiatore,
costretto poi a rientrare a causa del maltempo.
E’ stato arrestato, in Austria, lo
storico britannico David Irving. Lo ha reso noto, ieri, il ministero
dell’Interno austriaco precisando che il provvedimento rende esecutivo un
mandato, spiccato nei confronti dello storico dal tribunale di Vienna nel
novembre del 1989, per il reato di apologia del nazismo. Nei suoi libri, Irving
mette in dubbio l’esistenza dei campi di concentramento e delle camere a gas di
Auschwitz. Irving è stato dichiarato, inoltre, “persona non grata” in Germania,
Paese da cui fu espulso nel 1993, per aver offeso la memoria degli ebrei
vittime dell’olocausto.
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