RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 79 - Testo della trasmissione di domenica 20  marzo 2005

 

 

Sommario

 

 IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La benedizione del Papa, che si affaccia dalla finestra in piazza san Pietro dopo l’Angelus. Ai giovani un pensiero speciale nell’odierna Giornata Mondiale della Gioventù e in vista dell’Incontro a Colonia, in agosto

 

Cristo nella Croce condivide anche il lato più oscuro della condizione umana: così il cardinale Camillo Ruini nella Domenica delle Palme e in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù. Sul significato della Liturgia di oggi, con noi padre Raniero Cantalamessa

 

IN PRIMO PIANO:

A due anni dall’inizio della guerra, l’Iraq combatte la sua battaglia contro il terrorismo. Ieri il presidente Bush si è detto soddisfatto per una guerra definita “necessaria”: ai nostri microfoni, mons. Shlemon Warduni, Francesco Battistini e Sergio Romano

 

“Bambini con le ali”: una giornata di sensibilizzazione a favore dei figli di donne detenute promossa nella capitale italiana e nella regione Lazio. Intervista con Beatrice Castagni

 

Restaurata la Cappella delle Reliquie della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, in Roma: ce ne parla don Simone Fioraso

 

“Padre Matteo Ricco. L’Europa alla corte dei Ming”, è il titolo della mostra in corso a Roma, al Vittoriano, dedicato al gesuita missionario in Cina: ce la illustra Filippo Minni.

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’UNITALSI in duemila piazze italiane per diffondere il valore della solidarietà, in occasione della Domenica delle Palme

 

La Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia ha lanciato nei giorni scorsi, una campagna informativa sull’islam rivolta agli studenti cattolici, per incentivare il dialogo con il mondo islamico

 

Siglato nei giorni scorsi un accordo tra Brasile, Bolivia, Angola e Mozambico per combattere più efficacemente la malnutrizione infantile

 

Si conclude oggi presso l’Università di Ancona il convegno “L’Africa in aiuto dell’Occidente”

 

Presentato venerdì scorso a Ginevra il “Progetto globale per gli sfollati”, elaborato dal Consiglio norvegese dei rifugiati (CNR).

 

24 ORE NEL MONDO:

In Libano l’opposizione anti-siriana rifiuta il dialogo con il presidente Lahoud

 

In un attentato nella capitale del Qatar muore un britannico, oltre al kamikaze egiziano

 

Interrotto il cessate-il–fuoco in Medio Oriente: tre israeliani feriti nella Striscia di Gaza.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

20 marzo 2005

 

LA BENEDIZIONE DEL PAPA, CHE SI AFFACCIA DALLA FINESTRA IN PIAZZA SAN PIETRO

 DOPO L’ANGELUS, A CONCLUSIONE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

DELLA DOMENICA DELLE PALME PRESIEDUTA DAL CARDINALE RUINI.

AI GIOVANI UN PENSIERO SPECIALE NELL’ODIERNA GIORNATA MONDIALE

DELLA GIOVENTU’ E IN VISTA DELL’INCONTRO A COLONIA IN AGOSTO

 

In questa Domenica delle Palme il pensiero del Papa va in modo tutto particolare ai giovani. Ricorda la prima GMG, 20 anni fa, nel messaggio letto all’Angelus da mons. Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato. Saluta “con grande gioia” i ragazzi della diocesi di Roma che la vivono oggi e invita tutti a prendere parte all’Incontro mondiale della Gioventù che si svolgerà in agosto a Colonia, nel cuore della Germania e dell’Europa. Ma soprattutto il Papa lancia ai giovani l’invito a fare una precisa scelta di vita. Per tutti la sua benedizione, impartita dalla finestra con una palma nella mano quando intorno alle 12.0 si è affacciato per qualche momento su una piazza san Pietro piena di sole e arricchita da tante palme. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Siate “testimoni della Croce gloriosa di Cristo”. E l’invito del Papa è seguito dalle parole: “Non abbiate paura”. “La gioia del Signore, crocifisso e risorto sia la vostra gioia”, spiega il Papa ai giovani che lo hanno seguito in varie parti del mondo nelle diverse GMG. E il Papa ha proprio in mente tutto il percorso fatto insieme quando afferma:

 

“Continuate senza stancarvi il cammino intrapreso”. 

        

E’ un cammino ventennale ed è un cammino partito proprio da piazza San Pietro, da dove oggi Giovanni Paolo II confessa di rendersi “sempre più conto di quanto sia stato provvidenziale e profetico che proprio questo giorno, la Domenica della Palme e della Passione del Signore, sia diventato la Giornata mondiale della Gioventù”. E il Papa spiega chiaramente perché:

 

“Questa festa contiene una grazia speciale, quella della gioia unita alla Croce, che riassume in sé il mistero cristiano”.

 

“Voi oggi adorate la Croce di Cristo, che portate in tutto il mondo – afferma – perché avete creduto all’amore di Dio, rivelatosi pienamente in Cristo crocifisso”. E con il pensiero rivolto all’appuntamento del prossimo agosto, il Papa ricorda che l’Incontro mondiale si terrà nella città tedesca di Colonia e che nella “stupenda cattedrale di quella città si venerano le reliquie dei santi Magi”. Per questo – aggiunge – sono diventati in un certo senso le vostre guide verso quell’appuntamento”. “Vennero dall’Oriente per rendere omaggio a Gesù e dichiararono: ‘Siamo venuti per adorarlo’ (Mt 2,2)” – spiega il Papa. Queste parole, così ricche di significato, costituiscono il tema del vostro itinerario spirituale e catechistico verso la Giornata Mondiale della Gioventù.”

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CRISTO NELLA CROCE CONDIVIDE ANCHE IL LATO PIU’ OSCURO

DELLA CONDIZIONE UMANA: COSÌ IL CARDINALE RUINI NELLA DOMENICA DELLE PALME

E IN OCCASIONE DELLA XX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

- Intervista con padre Raniero Cantalamessa -

 

L’abbraccio del colonnato berniniano di Piazza San Pietro ha accolto oggi un grande momento di preghiera, in occasione della Domenica delle Palme, che apre la Settimana Santa e che coincide con la XX Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata a livello diocesano. La celebrazione, preceduta dalla processione e dalla benedizione dei rami di ulivo e di palma, è stata presieduta dal cardinale Camillo Ruini, Vicario di Giovanni Paolo II per la diocesi di Roma. Il servizio di Barbara Castelli:

 

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L’osannata accoglienza in Gerusalemme e la crocifissione: questi momenti dell’ultima settimana della vita terrena di Cristo sintetizzano in maniera mirabile “la fragilità e l’inaffidabilità del cuore dell’uomo”. Ma questo contrasto è solo “una dimensione, e non la più profonda, della Passione del Signore”. Lo ha ricordato questa mattina il cardinale Camillo Ruini, durante la celebrazione della Domenica delle Palme. Proprio dalla sofferenza e dalla morte del Figlio di Dio, infatti, “prende luce il mistero di Dio e anche il mistero dell’uomo”. “Se guardiamo alle tante sofferenze umane, soprattutto alla sofferenza non colpevole – ha proseguito il porporato – rimaniamo come smarriti e siamo spinti a chiederci se veramente Dio ci vuol bene e si prende cura di noi, oppure se non ci sia, per caso, un destino malvagio che nemmeno Dio può cambiare”.

 

“Nella croce di Cristo, invece, veniamo a contatto con il vero volto di Dio. (…)  Nella croce di Cristo, infatti, il volto di Dio non perde la sua grandezza e il suo mistero, eppure diventa straordinariamente vicino e amico, perché è il volto di Colui che, nel proprio Figlio, condivide fino in fondo anche il lato più oscuro della condizione umana”.

 

In questo mondo smarrito, sfigurato da tante guerre, miserie e incomprensioni, l’uomo può guardare con speranza alla croce di Cristo, che rende meno   “oscuro e insensato” “il dramma e il mistero della sofferenza”. Certo dinanzi a questo simbolo di amore infinito, “viene meno ogni nostra pretesa di innocenza – ha aggiunto il cardinale Ruini – ogni velleità di poter costruire con le nostre mani un mondo giusto e perfetto, ma non per questo siamo costretti ad abbandonarci al pessimismo e a perdere la fiducia nella vita”.

 

“Mentre ci riconosciamo creature fragili e peccatrici, ci sentiamo abbracciati e sostenuti dall’amore di Dio, che è più forte del peccato e della morte, e diventiamo capaci di scoprire, nelle nostre anche piccole vicende quotidiane, un significato straordinariamente ricco e pieno, perché destinato non a disperdersi con il passare del tempo ma a portare frutto per l’eternità”.

 

Il pensiero del cardinale Ruini è poi andato ai giovani, presenti numerosi in piazza San Pietro per celebrare, a livello diocesano, la XX Giornata Mondiale della Gioventù. Invitandoli ad accogliere sempre Cristo nelle proprie vite, il cardinale Ruini ha esortato i ragazzi a non avere paura della croce, anche se agli uomini del nostro tempo la sofferenza appare solo come qualcosa “di inutile e di dannoso”. “La croce di Gesù non deprime e non indebolisce – ha sottolineato – da essa, al contrario, vengono energie sempre nuove, quelle che risplendono nelle imprese dei Santi e che hanno reso feconda la storia della Chiesa, quelle che oggi traspaiono con speciale chiarezza dal volto affaticato del Santo Padre”.

 

Ma cosa ha da dire oggi la croce all’uomo? Lo abbiamo chiesto ad alcuni giovani presenti in Piazza San Pietro.

 

D. – Cosa vuol dire oggi per un giovane essere un cristiano?

 

R. – Significa portare un messaggio di pace e di fratellanza nel mondo di tutti i giorni.

 

R. – E’ un impegno grande perché, comunque, vediamo che ai tempi d’oggi viene preso meno in considerazione, rispetto a prima, il fatto di essere cristiani. Chi sceglie questa strada, quella di seguire Gesù, ha un compito grave ma anche bellissimo, perché viviamo in mezzo agli altri per essere qualcosa di diverso.

 

R. – Significa fidarsi di un compagno di viaggio, che è Gesù.

 

R. – Seguire un percorso nella propria vita, avendo un punto di riferimento, per non sentirsi smarriti, per non sentirsi soli.

 

D. – Un pensiero per Giovanni Paolo II ...

 

R. – Spero che torni ‘alla grande’, come sempre.

 

R. – E’ il mio esempio. Gli vogliamo tutti bene, per noi giovani è veramente un uomo santo, un uomo santo da seguire.

 

R. – Spero che si rimetta presto e torni giovane con noi.

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Ma per approfondire il signicato e il valore per la fede cristiana della Domenica delle Palme, ascoltiamo, nell’intervista di Giovanni Peduto, padre Raniero Cantalamessa predicatore della Casa Pontificia:

 

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R. – Storicamente ricordiamo l’episodio dell’entrata di Gesù a Gerusalemme da Betania, accompagnato e festeggiato dalla folla, dai bambini che stendono i mantelli, i rami … è l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Misticamente e spiritualmente ricordiamo anche l’inizio della Passione perché, di fatto, in questa domenica, si legge il Vangelo della Passione. E’ un’introduzione gloriosa alla Passione del Signore, carica di tanti significati: questo strano Osanna poi seguito dalla Crocifissione ha fatto sempre riflettere nella storia.

 

D. – Cosa vuol dire per noi quest’episodio avvenuto pressoché 2000 anni fa … l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme?

 

R. – Io credo che nell’intenzione di Gesù ci fosse anche un senso profetico. Gesù voleva dimostrare, in questo modo, che era il Messia, perché del Messia si diceva che sarebbe arrivato in Gerusalemme cavalcando un’asina. Gesù ha voluto premettere, all’ignominia della Passione, una prova della sua messianicità e l’ha fatta proclamare alla gente semplice, al popolo e ai fanciulli.

 

D. – Padre, non le sembra che ancora oggi noi rischiamo di osannare Gesù in un primo tempo, e poi, all’atto pratico, di eliminarlo dalla nostra vita quotidiana?

 

R. – Sì, questo avviene anche abbastanza regolarmente. Noi siamo pronti ad acclamare il Signore quando tutto ci va bene, però, appena le cose si mettono male oppure l’opinione pubblica si rivolge contro Gesù e contro la Chiesa, allora è facile mimetizzarci ed andare dietro anche noi. Questo può avere anche delle altre applicazioni: noi siamo pronti a seguire Gesù nella gioia e meno nella Croce.

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Nell’odierna Domenica delle Palme, si è rinnovata l’antica tradizione dei Parmureli, le composizioni di foglie di palma intrecciate, che il Centro Studi e Ricerche per le Palme (Sanremo) e i Comuni di Bordighera (città delle palme) e Sanremo (città dei fiori) offrono al Vaticano, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Il Cammino. Alla finestra della camera di Giovanni Paolo II è stato, infatti, collocato il parmurelo di 2 metri e mezzo preparato appositamente per il Papa, mentre durante la processione dall’obelisco al sagrato, vescovi e cardinali hanno portato le composizioni realizzate dagli artigiani bordigotti e sanremaschi.

 

La tradizione dei Parmureli di Sanremo e Bordighera ha radice antiche. Le palme della riviera divennero protagoniste della Domenica delle Palme grazie allo slancio sincero di Benedetto Bresca, presente in Vaticano il giorno in cui vi venne eretto l’obelisco più famoso di Roma Antica e che consentì di evitare una strage di fedeli, accorsi per l’occasione. I fatti si riferiscono al 1586, anno in cui, per volere di Papa Sisto V, l’architetto Domenico Fontana collocò in Piazza San Pietro il gigantesco obelisco egizio, trasportato a Roma da Caligola nel 39 d.C. Operazione ardita: l’obelisco è alto 26 metri e pesa 350 tonnellate. Per l’operazione vennero impiegati – pare – novecento operai, centoquaranta cavalli e quarantaquattro argani. Il 10 settembre, al momento di issare definitivamente l’obelisco, così come da espressa disposizione del Santo Padre, chiunque avesse osato proferir verbo durante la delicata e rischiosa operazione sarebbe stato condannato alla pena di morte. A un certo punto, però, l’obelisco vacillò pericolosamente, le funi con cui si stava sollevando l’enorme scultura monolitica erano prossime al punto di rottura. Benedetto Bresca, capitano sanremasco, incurante della pena di morte certa che l’avrebbe colpito gridò: "Aiga ae corde!" (Acqua alle corde). L’imperioso consiglio del marinaio ligure venne subito accolto dagli ingegneri del Vaticano e si evitò così il surriscaldamento delle gomene che sostenevano l’obelisco, consentendo di portare a buon fine l’impresa. Il Papa non punì l’audace capitano Bresca, anzi volle compensarlo accordando a lui e alla sua discendenza il privilegio di poter inviare a Roma i “parmureli” necessari per le feste pasquali in San Pietro. Da allora, da oltre quattro secoli, le città di Sanremo e Bordighera hanno legato il loro nome alla tradizionale cerimonia della benedizione delle palme, per la domenica che precede la Santa Pasqua.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

20 marzo 2005

 

DUE ANNI FA INIZIAVA LA SECONDA GUERRA DEL GOLFO.

 OGGI L’IRAQ PROSEGUE IL DIFFICILE PERCORSO VERSO LA DEMOCRAZIA

- Interviste con mons. Shlemon Warduni, Francesco Battistini e Sergio Romano -

 

Il presidente americano George W. Bush, nel secondo anniversario dell’attacco all’Iraq, riafferma che la guerra era giusta e che, grazie all’invasione, la libertà è in marcia e “ispira i riformatori per la democrazia da Beirut a Teheran”. Il capo della Casa Bianca lo ha riferito nel discorso alla radio del sabato mattina, mentre l’America e l’Europa erano percorse da fermenti di protesta contro il conflitto e mentre, a Baghdad, le truppe del contingente statunitense continuano ad essere sotto il tiro degli insorti. Per Bush l’insediamento, avvenuto mercoledì, dell’Assemblea nazionale irachena, uscita dal voto del 30 gennaio, è una vittoria della libertà, resa possibile dal valore delle truppe statunitensi e dei Paesi alleati. Intanto, altri episodi di sangue hanno caratterizzato la giornata irachena, con l’uccisione di un poliziotto a Kirkuk, nel nord del Paese. Ma ripercorriamo questi due anni di guerra irachena, con il servizio di Salvatore Sabatino:

 

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Il silenzio notturno viene interrotto dalle sirene anti-aeree. La scura notte irachena riecheggia di motori e bombe. Le prime esplosioni e Baghdad che dopo un lungo braccio di ferro diplomatico torna nell’incubo della paura. Era la notte tra il 19 ed il 20 marzo 2003 e la seconda Guerra del Golfo iniziò sotto gli occhi di un mondo in attesa. Le immagini chiare di quei primi ordigni che colpirono i palazzi di Saddam fecero il giro dei cinque Continenti. Una notte che notte non fu, trascorsa davanti alla televisione, per vedere ciò che accadeva. La cinica curiosità fece di quella diretta uno spettacolo mediatico unico nella storia dell’umanità: la prima guerra seguita veramente in diretta dalla Tv. Uno spettacolo tetro, vissuto drammaticamente da chi a Baghdad c’era in quella notte, dai milioni di abitanti che, asserragliati in casa, vivevano tra il terrore della morte e la speranza di un futuro senza il loro dittatore. Un futuro che si vestiva sempre più dei panni della libertà, come ci conferma mons. Shlemon Warduni, vescono ausiliare di Baghdad:

 

“La gente voleva che le cose cambiassero, voleva respirare aria perché eravamo soffocati. Ci aspettavamo una liberazione molto più bella, più giusta, reale: da due anni, noi soffriamo tanto, l’Iraq soffre tanto. Tutta la nostra cultura è scomparsa: ci sono stati tanti saccheggi, uccisioni, rapimenti a scopo di estorsione, poi alcuni dei rapiti sono stati uccisi ... per non parlare delle esplosioni, delle bombe ... veramente, qui da noi la gente soffre tanto. Noi viviamo soltanto per la speranza; diciamo: ‘Speriamo nel futuro!’”.

 

Poi la guerra proseguì nelle settimane successive, dominata dalle cronache militari dei grandi eserciti statunitense e britannico che invasero l’Iraq creando una sorta di tenaglia. A seguire, l’assedio e la caduta di Bassora, la battaglia di Baghdad, l’occupazione dei principali centri strategici dell’ormai decaduto regime. I morti, decine, centinaia, migliaia, raccontati attraverso immagini di sangue. Cronache di obiettivi militari centrati, confusi con mercati o abitazioni civili. La televisione portò nelle case del mondo il dolore degli iracheni, ma anche la gioia della conquista della capitale. La statua di Saddam cadde sotto gli occhi del mondo, mentre la guerriglia lasciava sempre meno spazio alla speranza. Arrivarono, poi, i primi arresti eccellenti: quella rosa di nomi del vecchio regime, stampati su un mazzo di carte, che man mano finiva nelle mani degli statunitensi. Fino all’arresto del numero uno: Saddam Hussein, la preda più ambita, divenuto il simbolo di una storia ormai finita. Poi arrivò lo scandalo di Abu Ghraib, vera chiave di volta nell’atteggiamento delle popolazioni arabe, deluse da una libertà ancora troppo lontana. E ancora, la guerriglia sunnita iniziò la terribile tattica dei rapimenti. Occidentali fatti prigionieri, sgozzati davanti alle telecamere, ridotti in schiavitù senza pietà. Ed uno dei primi rapiti fu il giornalista italiano Francesco Battistini, del Corriere della Sera, che ci racconta la sua esperienza:

 

“Io ho avuto la fortuna di essere stato ‘preso’ da truppe regolari e questo è stato per me una garanzia rispetto ai colleghi che hanno avuto, in seguito, disgrazie peggiori. La tecnica dei rapimenti è una tecnica che – temo – si estenderà anche ai prossimi conflitti. Ci sono state avvisaglie in Afghanistan, perfino negli ormai dimenticati Balcani ci sono stati tentativi di sequestro di osservatori di organizzazioni internazionali nelle settimane e nei mesi scorsi. Temo che gli iracheni, in questo, abbiano fatto scuola e che la storia non sia finita”.

 

Una guerra fatta di persone, raccontata con immagini terribili, ma anche seguita dalla diplomazia di mezzo mondo. Alleanze che cadono, blocchi che si contrappongono, frizioni senza precedenti. E’ l’Europa il colosso più diviso, con Francia e Germania che insistono per il ‘no’ alla guerra; sull’altro fronte, Gran Bretagna, Italia e Spagna: alleati di ferro di Washington. Ma arriva l’attentato di Madrid, cambia il governo, Zapatero prende il posto di Aznar ed i militari iberici lasciano il Paese del Golfo. Lo scacchiere mediorientale diventa lo snodo della politica internazionale, il peso che sposta gli equilibri, come confermato anche da Sergio Romano, già ambasciatore ed esperto di politica internazionale:

 

“Le ripercussioni sono molte e non sono soltanto sullo scacchiere mediorientale, perché ci sono Paesi, naturalmente, che hanno percepito la presenza americana in Iraq come una minaccia. Per l’Iran, per esempio, gli Stati Uniti sono ormai una potenza confinante e non è improbabile che l’insistenza con cui l’Iran sta perseguendo con ogni probabilità un programma nucleare, sia dovuto proprio alla minacciosa vicinanza con gli Stati Uniti. Qualcosa del genere è accaduto per altri Paesi che si sono riavvicinati, pur avendo avuto in passato forti contrasti, proprio perché ritengono necessario fare gruppo contro un’America che è diventata troppo invadente e potente”.

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“BAMBINI CON LE ALI”: UNA GIORNATA PER DENUNCIARE I PROBLEMI

DEI FIGLI DI DONNE RECLUSE IN PRIGIONE

- Intervista con Beatrice Castagni -

 

 

“Bambini con le ali”. E’ il titolo della giornata di sensibilizzazione a favore dei bambini che vivono in carcere con le madri detenute, organizzata nella capitale italiana e nella regione Lazio. La manifestazione coinvolge testimonial del mondo della cultura, dello sport, dello spettacolo e anche alcuni nonni, autori di un volumetto di fiabe, i cui proventi delle vendite saranno devoluti a favore dei piccoli che hanno la mamma in prigione. Ma è giusto che questi bimbi stiano accanto alla madre, sebbene detenuta? Marina Tomarro lo ha chiesto all’avvocato Beatrice Castagni, volontaria dell’associazione “Belli come il Sole”, impegnata nel sostegno alle mamme detenute:

                                                                        

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R. – E’ molto importante che questi bambini vengano lasciati accanto alla mamma, perché logicamente è meglio una situazione difficile che non avere assolutamente la madre. L’importante è tirare fuori dal carcere questa mamma e questi bambini. La Legge Finocchiaro del 2001 ha fatto enormi passi avanti: ha previsto, innanzitutto, la detenzione domiciliare per quelle mamme che hanno figli di età inferiore a dieci anni. Poi, c’è la previsione di scontare la pena in luoghi alternativi al carcere che possono essere, oltre alla propria abitazione, anche case di cura, di accoglienza, di assistenza dove queste mamme potrebbero andare con i bambini. Il problema, come abbiamo visto, è un problema di cavilli, è un problema di sicurezza. Non si riesce ancora ad organizzare la sicurezza in questi luoghi, in modo che le mamme non rimangano in carcere, perché il problema concreto è proprio quello. Alcuni carceri hanno delle zone un po’ più adeguate ai bambini, ma sono lontanissime dagli standard di igiene di cui hanno bisogno i neonati. Altri, addirittura non ce l’hanno. Ad un certo punto, a tre anni, questi bambini vengono fuori: al compimento del terzo anno, il giorno dopo il compleanno, questi bambini debbono per forza uscire dal carcere. Il problema è peggiorato dal fatto che, quando parliamo di mamme che non hanno il permesso di soggiorno, questi bambini al terzo anno di vita vengono ‘istituzionalizzati’, quindi affidati a famiglie, vengono inseriti negli asili, eccetera. Quando viene la fine della pena, per la mamma c’è l’espulsione dall’Italia immediata: non c’è neanche un passaggio che valuti se questa donna nel frattempo si sia inserita, sia riuscita ad inserirsi nel lavoro, abbia trovato chi l’accoglie ... Perché in questo caso,con il bambini all’asilo e la mamma con una possibilità di accoglienza, si potrebbe valutare, invece dell’espulsione, l’inserimento nella nostra società. Mentre oggi il giudice, per legge, se trova una persona senza permesso di soggiorno, una volta scontata la pena non può fare altro che farla andar via dall’Italia. Quindi, i bambini o restano istituzionalizzati in Italia o, dopo essere stati appena inseriti nella società, si ritrovano catapultati in un’altra realtà, via con la propria madre e c’è da chiedersi dove vanno.

 

D. – Allora, quale potrebbe essere la soluzione di questa situazione?

 

R. – Le soluzioni possono essere molte. Sono quelle di far scontare la pena, come abbiamo detto, in luoghi alternativi al carcere o altre soluzioni intermedie: migliorare la vita di questi bambini, se proprio sono costretti a restare nel carcere. Questo problema deve risolverlo chi ha il potere di risolverlo, chi ha le conoscenze per risolverlo.

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LA CAPPELLA DELLE RELIQUIE DELLA BASILICA DI SANTA CROCE IN GERUSALEMME,

A ROMA, SI VESTE DI NUOVA LUCE. NEL RESTAURATO “SANTUARIO DELLA CROCE”

SI CONTEMPLA IL MISTERO DELLA PASSIONE DI CRISTO

- Intervista con don Simone Fioraso -

 

Per secoli meta di pellegrini che andavano alla ricerca dei luoghi dove si potesse sentire la forza e misericordia di Dio, l’antica basilica di Santa Croce in Gerusalemme, in Roma, acquista in questa Settimana Santa della Passione un senso ancora più profondo. Grazie ad un restauro durato oltre 2 anni la “Cappella delle Reliquie” della basilica romana offre ai fedeli l’occasione di contemplare uno dei misteri più intensi del Cristo: quello della Passione. E’ in questo luogo che la sofferenza del Figlio di Dio si palesa come sofferenza di tutti gli uomini. Il servizio è di Rita Anaclerio:

 

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C’è un luogo a Roma dove storia e leggenda si intrecciano. E’ in questa antica chiesa romana che da oltre un millennio vengono custodite alcune delle più importanti reliquie della Passione di Cristo, deposte in questo sacro luogo da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino. A lei, infatti, la tradizione attribuisce il ritrovamento sul Calvario della Croce di Gesù, una parte della quale la donna portò a Roma, insieme con la tavoletta di legno che riporta l’imputazione di Pilato nei confronti di Gesù, un chiodo e una gran quantità di terra del Calvario con la quale cosparse il pavimento della Cappella successivamente a lei dedicata. Ma per capire pienamente il significato di queste reliquie è necessario comprendere la figura della Santa imperatrice, simbolo di conversione e spirito interreligioso, il cui viaggio da Gerusalemme a Roma ha un alto valore spirituale, come ci spiega il priore dell’antica basilica romana, Don Simone Fioraso:

 

“Non è il viaggio di una vecchia imperatrice, ma è quello di una donna di fede che cerca disperatamente la testimonianza della Passione del suo Dio, di colui che ha cercato. E’ interessante come l’affresco di Antoniazzo Romano, che noi abbiamo in Basilica, raffiguri questo viaggio di Elena, l’incontro con Giuda l’ebreo, l’ebraismo, l’incontro con l’imperatore Eraclio che era imperatore di Gerusalemme, quindi il cattolicesimo, e il giovane moro che con la spada difende la Croce che entra in Gerusalemme. Quindi, un dialogo interreligioso già iniziato ai tempi di Alessandro VI. E in questo viaggio di Elena leggiamo chiaramente il cuore di una donna che ha ritrovato qualcosa di importante, di fondamentale nella sua vita”.

 

E questo “Santuario della Croce”, come Giovanni Paolo II ha definito l’antica Basilica durante la visita pastorale del 25 marzo 1979, da secoli accoglie i pellegrini svelandosi luogo dedicato alla celebrazione di un mistero della fede: quello della Passione di nostro Signore. E l’idea sottesa a tutta la composizione architettonica della Basilica è quella del pellegrinaggio al Calvario, meditando il mistero della morte di Gesù, tema efficacemente espresso dai simboli lungo il percorso. Don Fioraso:

 

“Io ricordo che quando sono venuto a Santa Croce non capivo perché questa Basilica era buia; oggi nel restauro abbiamo riscoperto i suoi colori molto belli, molto luminosi e in questa luce noi vediamo il cammino del Calvario. L’architetto Di Fausto, nell’attuale Cappella delle Reliquie, ha messo oltre alla Via Crucis del Nicolini, anche il testo del canto dell’Inno del Venerdì Santo che inneggia alla Croce. E nello stesso tempo, prima di salire, la grande scalinata presenta le tre cadute di Gesù, poi il vestibolo e poi in fondo il ‘sancta sanctorum’, il luogo dove ognuno di noi adora la Passione del Signore”.

 

Varcare quindi la soglia della Basilica di Santa Croce significa sostare a contemplare la Croce di Cristo e il significato del dolore umano, come racconta Don Fioraso:

 

“Cristo, attraverso la Passione, giunge alla Risurrezione. Come questa Basilica, che prima era tetra e poi ha rivelato colori molto, molto vivaci che sono i colori della gioia, oggi noi contempliamo che molta gente che viene ad adorare le reliquie, pur arrivando senza grande partecipazione, sostando davanti all’atto d’amore di Cristo si apre profondamente alla comprensione del mistero dell’amore di Cristo”.

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“PADRE MATTEO RICCI. L’EUROPA ALLA CORTE DEI MING”, È IL TITOLO DELLA MOSTRA, AL VITTORIANO A ROMA, DEDICATA AL GESUITA MISSIONARIO IN CINA. PER LA GRANDE AFFLUENZA DI PUBBLICO LA MOSTRA E’ STATA PROLUNGATA FINO A MAGGIO

- Intervista con Filippo Minini -

 

“Padre Matteo Ricci. L’Europa alla corte dei Ming” è il titolo della mostra promossa a Roma al Vittoriano. Presenta al grande pubblico la figura e l’opera del missionario gesuita noto in Cina per avere vissuto 10 anni alla corte dell’imperatore Wanli. Illustra l’itinerario percorso da Matteo Ricci da Macerata, sua città natale, a Pechino dove morì nel 1610 e dove ancora oggi esiste la sua tomba. Visto il suo successo, l’iniziativa è stata prolungata fino a maggio. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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I cinesi lo conoscono con il nome di Li Madu Oloxitai e quale maestro occidentale che ha introdotto nella Cina dei Ming la teologia, la filosofia, le arti e le scienze dell’Europa. Missionario della Compagnia di Gesù, Padre Matteo Ricci, marchigiano vissuto tra il XVI e il XVII secolo, nella storia della Chiesa è stato il primo europeo ad assimilare abitudini e costumi del Paese del drago e ad iniziare un’inculturazione dei valori cristiani che Giovanni Paolo II ha additato diverse volte quale esempio per la presente e futura evangelizzazione.

 

La mostra illustra la personalità poliedrica del religioso che tradusse in cinese la geometria di Euclide e che si interessò di astronomia e cartografia. L’esposizione offre anche uno sguardo alla Cina del Cinquecento e del Seicento. Inedito il ritratto di Matteo Ricci, realizzato da Andrea Sacchi, accanto al noto olio su tela, dipinto alla morte del gesuita, dal confratello Pereira. E tra i manoscritti l’autografo del De Amicitia in cinese e, in italiano, l’opera più nota di Matteo Ricci. Ma qual è stato il contributo che questo missionario ha dato nei rapporti tra Oriente ed Occidente? Filippo Minini, curatore della mostra:

 

“Prima di Ricci e fino a Ricci la Cina e l’Europa si ignoravano quasi completamente. Gli europei avevano tanta poca conoscenza della Cina che nelle loro carte geografiche la consideravano un Paese diverso dal Catai di Marco Polo. Fu Ricci poi a scoprire che il Catai e la Cina erano lo stesso Paese e a chiedere ai cartografi occidentali di rifare i mappamondi. Dopo Ricci e con Ricci i rapporti furono invece approfonditi, stabiliti e, nel nome di Ricci, solidi ancora oggi”.

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CHIESA E SOCIETA’

20 marzo 2005

 

L’UNITALSI IN 2.000 PIAZZE ITALIANE PER DIFFONDERE IL VALORE DELLA SOLIDARIETA’. IN OCCASIONE DELLA DOMENCA DELLE PALME, L’OFFERTA DI UNA PIANTINA DI ULIVO FARA’ CONOSCERE A TUTTI I PASSANTI LA MISSIONE DELL’ASSOCIAZIONE

 

ROMA. = “Insieme sulle strade della solidarietà”. E’ questo l’invito che l’UNITALSI da ieri sta rivolgendo in duemila piazze italiane per la quarta edizione della Giornata Nazionale promossa dalla stessa organizzazione. Con l’offerta del simbolo della pace, una piantina di ulivo, si presentano a tutti i passanti i tanti progetti divenuti nel tempo la missione quotidiana dell’associazione. Fra questi, ad esempio, i pellegrinaggi ai santuari mariani, l’attenzione dedicata ai bambini malati e alle loro famiglie, l’aiuto ai disabili e a chi è solo per la partecipazione alla vita sociale. Un invito, appunto, a percorrere insieme le strade della solidarietà “per poter aiutare sempre più persone a ritrovare la dignità della propria esistenza”. Come nelle precedenti edizioni, anche quest’anno l’iniziativa dell’UNITALSI e della può contare sulla fattiva collaborazione della Polizia di Stato, la cui banda ha organizzato a mezzogiorno un concerto in piazza del Popolo a Roma. (E. B.)

 

 

INCENTIVARE IL DIALOGO CON IL MONDO ISLAMICO ATTRAVERSO UNA MIGLIORE

CONOSCENZA DEI SUOI VALORI E DELLE SUE ATTUALI PROBLEMATICHE.

CON QUESTO OBIETTIVO, LA FEDERAZIONE DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DELL’ASIA HA LANCIATO, NEI GIORNI SCORSI, UNA CAMPAGNA INFORMATIVA SULL’ISLAM

RIVOLTA AGLI STUDENTI CATTOLICI

 

MANILA. = A Pasay City, nelle Filippine, in un recente seminario organizzato dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (FABC), sono stati discussi gli obiettivi della campagna informativa sul mondo islamico. Dall’incontro, cui hanno partecipato anche esponenti musulmani, è emerso come l’immagine che associa oggi i musulmani alla violenza, al fanatismo e al terrorismo sia fuorviante perché non tiene conto della complessa realtà medio-orientale. Una realtà in cui alcuni comportamenti sono spesso determinati più dalla disperazione e dalla frustrazione che da dettami religiosi. Di qui la necessità avvertita dai partecipanti di una maggiore “sensibilità” delle Chiese cristiane verso queste problematiche. In questo senso si è espressa, tra gli altri, Virginia Saldanha, segretario esecutivo dell’Ufficio per i laici della FABC, che ha sottolineato come “le Chiese cristiane debbano accogliere la sfida di diventare mediatrici di pace nel mondo presente”. Dunque, contro l’attuale strategia della “guerra al terrorismo”, i partecipanti hanno sottolineato l’importanza cruciale del dialogo interreligioso e del riconoscimento degli elementi positivi delle altre religioni nello spirito dei valori cristiani della giustizia. (L. Z.)

 

 

SIGLATO NEI GIORNI SCORSI A BRASILIA UN ACCORDO FRA BRASILE, BOLIVIA ANGOLA

E MOZAMBICO PER COMBATTERE PIU’ EFFICACEMENTE LA MALNUTRIZIONE INFANTILE.

I QUATTRO PAESI, SOTTO L’EGIDA DEL PAM, SI IMPEGNANO A COOPERARE

PER RISOLVERE IL PROBLEMA DELLA FAME

 

BRASILIA. = A margine della seconda sessione annuale di lavori del Programma alimentare mondiale (PAM) delle Nazioni Unite, conclusasi a Brasilia venerdì scorso, Brasile, Bolivia, Angola e Mozambico hanno siglato un’intesa per combattere più efficacemente la malnutrizione infantile. Anche grazie al contributo economico della Germania, l’accordo vede i quattro Paesi firmatari “operare congiuntamente per risolvere il problema della fame”, ha riferito Catherine Bertini, sotto-segretario del Programma alimentare mondiale (PAM) delle Nazioni Unite. Secondo dati del Fondo ONU per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), sono oltre 800 milioni le persone che soffrono di malnutrizione nel pianeta. In particolare, 300 mila bambini sotto i cinque anni di età in Angola, 400 mila in Bolivia e oltre un milione in Mozambico. In Brasile, sebbene non si dispongano di statistiche dettagliate sul numero dei minori denutriti, si stima che almeno 40 milioni di persone, su una popolazione totale di circa 180 milioni di abitanti, non ricevano un’alimentazione adeguata. Al ritmo con cui si sta procedendo per fare fronte all’emergenza – sottolineano le organizzazioni non governative – sarà quanto meno improbabile raggiungere i cosiddetti “Obiettivi del Millennio” fissati dalle Nazioni Unite. In particolare, sono sempre più lontani quelli di dimezzare, entro il 2015, la percentuale di persone al mondo che soffrono la fame e che non hanno accesso all’acqua potabile. (E. B.)

 

 

SI CONCUDE OGGI PRESSO L’UNIVERSITA’ DI ANCONA IL CONVEGNO

“L’AFRICA IN AIUTO DELL’OCCIDENTE”. ALL’INCONTRO DIVERSI ESPONENTI

DELLA SOCIETA’ CIVILE AFRICANA E ITALIANA HANNO DISCUSSO

LE PROSPETTIVE POLITICHE E SOCIALI DEL CONTINENTE AFRICANO

 

ANCONA. = Si conclude oggi il convegno “L’Africa in piedi in aiuto all’occidente” in corso da venerdì presso l’Università di Ancona. All’incontro, organizzato in collaborazione con il Centro Missionario locale e le comunità africane delle Marche, hanno partecipato numerosi esponenti della società civile africana e italiana. Nella mattinata conclusiva, Thabinga Shope-Linney, dirigente sudafricana del Nepad ha illustrato le linee di un possibile sviluppo tutto africano basato sul principio di unità nazionale per contare di più, per uscire dalle emergenze e per essere davvero indipendente. Questo di Ancona è uno dei pochi incontri in cui gli italiani anziché parlare, ascoltano gli africani” aveva ricordato ieri Eugenio Melandri, coordinatore nazionale della campagna “Chiama l'Africa”, impegnata con altri organismi nel proporre un’immagine del continente diversa da quella tradizionalmente diffusa dai media. Secondo Albert Tevoedjré, sociologo ed economista del Benin, la “negritudine” o, se si vuole, “nigrizia”, con il suo intrinseco contenuto di solidarietà e, quindi, di scoperta della parità di diritti e doveri sociali può costituire un efficace antidoto contro una visione umiliante dell’Africa e degli africani. Una corrente di pensiero questa che è già stata capace di sostenere, in termini filosofici e politici, alcune delle più importanti manifestazioni di indipendenza nazionale africana. E la docente Anne-Cècile Robert ha avanzato una prospettiva “afro-ottimista” di un futuro non lontano in cui sarà l’Africa ad aiutare l'Occidente. Di autosufficienza alimentare ha poi parlato Saliou Sarr, Presidente della Federazione degli agricoltori di riso del Senegal e l’antropologo italiano Bernardo Bernardi ha ribadito per gli africani la necessità di “riconquistare il proprio sapere”.

 

 

oltre 8mila persone al giorno sono state costrette, NEL 2004,

ad abbandonare le loro case e cercare rifugio altrove senza TUTTAVIA

poter lasciare il proprio Paese. E’ IL DRAMMA CHE EMERGE

DAL “PROGETTO GLOBALE PER GLI SFOLLATI”

PRESENTATO VENERDI’ SCORSO A GINEVRA

 

GINEVRA. =. E’ il fiume inarrestabile degli sfollati, 3 milioni di persone nel 2004, di quanti fuggono da guerre civili e violazioni dei diritti umani. E’ il gruppo di persone vulnerabili “tra i più vasti e più trascurati del mondo”, afferma il “Global Idp Project” (Progetto Globale per gli sfollati) reso noto ieri a Ginevra. Il rapporto, elaborato dal Consiglio norvegese dei rifugiati (Cnr), stima che il numero totale di sfollati ha raggiunto i 25 milioni e che il fenomeno concerne 50 Paesi di tutti i continenti. “Globalmente, la crisi degli sfollati non ha registrato l’anno scorso nessun segno di miglioramento tangibile”, ha commentato Elisabeth Rasmusson, responsabile del “Global Idp Project”. Secondo l’esperta, sebbene nel 2004 centinaia di migliaia di persone abbiano potuto fare ritorno alle loro case, questo sviluppo positivo è stato “oscurato” dalla spirale di violenza e da movimenti in massa di persone in fuga in luoghi come il Darfur (Sudan). L’Africa – spiega il rapporto – è il continente maggiormente colpito dal fenomeno: ne ospita, infatti, circa 13 milioni pari a più della metà dei “rifugiati interni” del pianeta. Gli altri Paesi con grandi popolazioni di sfollati sono Colombia (oltre 3,3 milioni), Repubblica Democratica del Congo (2,3 milioni), Uganda (2 milioni) ed Iraq (oltre un milione). Contrariamente ai profughi, che sono riusciti ad attraversare un confine internazionale, le persone sfollate non possono contare su un sistema internazionale di protezione e d’assistenza. Così, molti sfollati sono esposti alla malnutrizione, alle malattie e alla violenza. I loro Governi sono raramente disposti o in grado di fornire aiuti. In conclusione – afferma il rapporto – i tentativi della comunità internazionale di colmare queste carenze restano “deboli”. (E. B.)

 

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24 ORE NEL MONDO

20 marzo 2005

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

L'esercito libanese ha rafforzato le misure di sicurezza nel Paese in seguito all'esplosione  dell'ordigno che nella notte tra venerdì e sabato ha ferito a Beirut sette persone.  Intanto l'opposizione libanese, schierata su posizioni anti-siriane, ha rifiutato ieri sera l'invito del presidente Emile Lahoud ad aprire immediatamente colloqui intesi a porre fine alla crisi politica che paralizza il Paese. Resta certo, di fatto, il futuro ritiro delle truppe siriane. Ma dopo tanti anni di permanenza in Libano, con il ritiro dei propri militari c’è il rischio che Damasco lasci qualcosa di irrisolto? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera, raggiunto telefonicamente nella capitale siriana:

 

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R. – Sì, perché la Siria è stata presente in Libano per tanti anni. Non dimentichiamo che nel ’76 fu chiamata proprio dai cristiani per essere protetti; nella seconda parte degli anni ’80 fu chiamata dalla Lega araba per riportare stabilità a Beirut dove si viveva di sequestri di persona, dove c’era una situazione, francamente, intollerabile; poi c’è rimasta fondando radici. E’ vero che ci sono delle ragioni storiche di legami profondi tra questi due Paesi, legami familiari, legami economici, però c’è da dire che, in fondo, questa presenza, da un certo punto di vista era stabilizzante, perché evitava che si riproponessero i pericoli della guerra civile, ma dall’altra era una cappa soffocante proprio per la vita stessa dei libanesi. Ora abbiamo una situazione estremamente confusa, con un Parlamento che rappresenta, fino alle prossime elezioni, una maggioranza che è filo-siriana, con un’opposizione che mette insieme i cristiani maroniti, i drusi e i sunniti, ai quali apparteneva l’ex primo ministro Hariri. E poi abbiamo l’incognita sciita con la presenza dell’hezbollah che è partito politico ma è anche un movimento di resistenza militare e, anzi, gli americani lo considerano un movimento terroristico proprio per gli attacchi fatti contro Israele. Ora, un’uscita rapida viene accolta con grande soddisfazione dalla Comunità Internazionale ma può creare una tensione, lasciare un vuoto che altri potrebbero cercare di riempire ricorrendo alla violenza. Ecco, se si mettono insieme tutti questi elementi, ci si rende conto che il fatto che la Siria si ritiri è positivo, ma quell’incognita deve far riflettere.

 

D. – Ferrari, che cosa perderà, invece, la Siria lasciando totalmente il Libano?

 

R. – La Siria, in questo momento, è con le spalle al muro. Che sia responsabile o non responsabile diretta dell’assassinio dell’ex primo ministro Rafik Hariri, per l’immagine del mondo è colpevole e ora bisognerà vedere che cosa accadrà. La Siria non ha alternative: deve far rientrare questi soldati e deve farli rientrare in un Paese che ha una crisi economica piuttosto seria. Deve quindi trovare il modo di inserirli nella società civile e dare, finalmente, quell’impulso molto determinato alle Riforme che finora non sono state fatte. Questo regime, che è stato ingessato per anni, ha bisogno di un rilancio e anche di cambiare tante cose, proprio per offrire un volto più accettabile all’estero.

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Ritorna a salire la tensione in Medio Oriente. Tre soldati e un poliziotto   israeliani sono stati feriti da un palestinese che ha sparato più volte, nella Striscia di Gaza. L'episodio interrompe il cessate il fuoco dichiarato il mese scorso da entrambe le parti. L’attacco è stato rivendicato della Brigate dei martiri di al-Aqsa. Un palestinese è, invece, rimasto gravemente ferito vicino alla strada che collega Gerusalemme a Betlemme, in Cisgiordania, durante un tentativo di infiltrazione. Lo hanno riferito fonti militare israeliane.

 

Era egiziano il kamikaze che ieri ha compiuto l'attacco contro un teatro frequentato da stranieri a  Doha, in Qatar. Nella deflagrazione ha perso la vita un cittadino britannico. Il ministro degli interni del Qatar ha identificato l’uomo come Ahmad Abdullah Ali, proprietario dell’auto con cui è stato compiuto l'attentato. L'attacco contro il teatro della scuola britannica della capitale, oltre alla morte dell'attentatore e del britannico, ha causato il ferimento di altre 12 persone. 

 

Si terranno il 18 settembre prossimo le elezioni parlamentari in Afghanistan, le prime nel Paese centro-asiatico dalla caduta del regime dei Talebani. Ad annunciarlo durante una conferenza stampa Bismillah Bismil, capo della Commissione Elettorale Indipendente Congiunta, organismo misto di rappresentanti del governo afghano e delle Nazioni Unite. La tornata elettorale era stata più volte rinviata per motivi di sicurezza.

 

Oltre duecento persone sono morte a causa delle piogge torrenziali che si sono abbattute nei giorni scorsi in varie località dell'Afghanistan. Migliaia sono le case distrutte dall'acqua. L'area più colpita è quella di Deh Rawud, nella provincia centrale di Uruzgan e le province occidentali di Farah ed Herat.

 

E’ salito a un morto e 400 feriti il bilancio della scossa di magnitudo 7 della scala Richter che ha colpito l'isola di Kyushi, nel sud del Giappone. Un allarme tsunami è stato immediatamente diramato dalle autorità delle prefetture di Nagasaki e Fukuoka, ma è poi rientrato dopo circa un'ora. L'epicentro del violento sisma, che ha danneggiato centinaia di edifici e costretto oltre 700 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, è stato localizzato a largo di Fukuoka.

 

Stati Uniti ancora spaccati sulla vicenda di Terry Schiavo, la donna di 41 anni che vive da 15 in stato vegetativo e alla quale venerdì è stato bloccato il tubo dell'alimentazione. Il Congresso di Washington dovrebbe approvare, nelle prossime ore, la legge “salva Terry”, sotto la spinta dei movimenti religiosi e conservatori. Il presidente George W. Bush, che progettava di trascorrere buona parte della settimana di Pasqua nel ranch di Crawford in Texas, è pronto a rientrare nella capitale federale per firmare il provvedimento. 

 

 

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