RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 70 - Testo della trasmissione di venerdì 11  marzo 2005

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa al Policlinico Gemelli concelebra la Messa con i vescovi della Tanzania, giunti per la visita “ad Limina”, e li esorta a difendere la famiglia e a promuovere il dialogo con i musulmani

 

“L’Eucaristia sacrificio”, tema centrale della terza predica di Quaresima alla Famiglia pontificia, tenuta stamani da padre Raniero Cantalamessa in Vaticano

 

Il cardinale Paul Poupard presenta un progetto di ricerca per superare la diffidenza tra scienza e fede.

 

IN PRIMO PIANO:

11 marzo, la Spagna si ferma. Silenzio e commozione, per ricordare le vittime degli attentati dello scorso anno a Madrid: con noi, mons. Jesús Esteban Catalá Ibáñez e Josto Maffeo

 

Le religiose italiane riunite a convegno a Roma: intervista con suor Carla Barberini

 

Ricorre oggi il 50.mo anniversario della morte di Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina: una riflessione con il prof. Reinhard Gluck.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Conferenza episcopale degli Stati Uniti lancia una campagna contro la pena di morte

 

In Messico, il cardinale Crescenzio Sepe sottolinea l’urgenza della missione “ad gentes”

 

Si è chiusa mercoledì a Varsavia la plenaria della Conferenza episcopale polacca

 

Non si esaurisce la solidarietà per le popolazioni investite lo scorso 26 dicembre dallo tsunami

 

In un rapporto della Commissione per i diritti umani, descritta la triste situazione di sofferenza ed emarginazione dei boscimani in Sudafrica

 

Esce alla stampa “La mia baracca”, di Giorgio Cosmacini: è la storia della Fondazione Don Gnocchi.

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq è salito a 50 morti il bilancio delle vittime dell’attentato di ieri a Mossul. Anche alcuni bambini tra le vittime di abusi nel carcere di Abu Ghraib

 

Il premier libanese avvierà lunedì prossimo i colloqui per la formazione di un governo di unità nazionale ma il tentativo si preannuncia difficile

 

Rinviata la data di avvio dei negoziati di adesione della Croazia all’Unione Europea.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

11 marzo 2005

 

 

IL PAPA AL POLICLINICO GEMELLI CONCELEBRA LA MESSA

CON I VESCOVI DELLA TANZANIA, GIUNTI PER LA VISITA AD LIMINA,

E LI ESORTA A DIFENDERE LA FAMIGLIA

E A PROMUOVERE IL DIALOGO CON I MUSULMANI

 

Giovanni Paolo II, avviato ormai verso un completo ristabilimento, sta riprendendo gradualmente confidenza, sia pure per brevi istanti, con i suoi impegni di Pastore universale. Questa mattina, al Policlinico Gemelli, il Papa ha potuto incontrare due tra le massime cariche ecclesiali della Tanzania, e intanto tra i pazienti e i giornalisti l’attenzione è ormai puntata sull’annuncio delle dimissioni del Pontefice dall’ospedale, date stamani per prossime anche dal presidente della Regione Lazio, Storace. Dal Policlinico Gemelli, il servizio del nostro inviato, Alessandro De Carolis.

 

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Il Policlinico Gemelli ritrova ritmi di più tranquilla routine, al sedicesimo giorno di degenza di Giovanni Paolo II. Se le ultime 48 ore sono state certamente più intense – ricordiamo il saluto del Papa ai fedeli dalla finestra della sua stanza, mercoledì scorso, e ieri la diffusione dell’ultimo aggiornamento sulle sue condizioni di salute, date in costante miglioramento – la cronaca di oggi ha visto finora due soli momenti di rilievo. Verso le 12, ha fatto visita al Pontefice una piccola ma importante delegazione di presuli della Tanzania, in questi giorni a Roma per la loro visita ad Limina: delegazione composta dal cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo Dar es Salaam, e dal presidente della Conferenza episcopale del Paese africano, il vescovo di Rulenge, Severine Niwemugizi. Entrambi i presuli hanno partecipato alla Messa celebrata da Giovanni Paolo II, prima di lasciare l’ospedale.

 

In precedenza, era giunto al Gemelli anche il presidente della Regione Lazio, Francesco Storace. La sua visita ha seguito di pochi giorni quella degli altri due responsabili dell’amministrazione locale: il sindaco di Roma, Veltroni, e il presidente della Provincia, Gasbarra. “Mi hanno riferito che va tutto bene e che il Papa è prossimo a uscire”, ha detto Storace ai giornalisti, di ritorno dal 10.mo piano del Policlinico, dove il governatore del Lazio si è intrattenuto con il segretario personale del Pontefice, mons. Stanislao Dziwisz.

 

Tra le due visite, non è mancato un po’ di “colore” canoro quando, nella tarda mattinata, un gruppo di una dozzina di persone provenienti dalla Sicilia ha intonato per circa 20 minuti dei cori all’indirizzo del Papa, dal piazzale sotto le sue finestre. Intanto, come è stato possibile verificare, continuano ad arrivare qui al Policlinico numerose lettere, messaggi e doni per Giovanni Paolo II da tutto il mondo, segno di un’attenzione e di un affetto sempre vivi per la sua persona.

 

Dal Policlinico Gemelli, Alessandro De Carolis, Radio Vaticana.

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Il sostegno alla famiglia, la lotta alla povertà e all’Aids, il dialogo con l’Islam e la formazione dei sacerdoti: sono i punti principali del messaggio consegnato da  Giovanni Paolo al Gemelli ai vescovi della Tanzania  in  visita ad Limina. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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Di fronte ai grandi cambiamenti della cultura moderna  la Chiesa, scrive il Papa, “è chiamata oggi a dare una speciale priorità alla cura pastorale della famiglia”. In questo senso “il mondo può imparare molto” dall’Africa che pone i valori della famiglia a fondamento delle proprie società. Ma la povertà mette il Continente in una situazione di debolezza per gli aiuti internazionali che riceve: così il Pontefice definisce “una pratica ingiusta” il condizionare “i programmi di assistenza economica alla promozione della sterilizzazione e della contraccezione”. “Tali programmi – afferma il Papa – sono un affronto alla dignità della persona e della famiglia” e ad essi bisogna opporre un forte rifiuto.

 

Giovanni Paolo II, dopo aver ribadito il carattere sacro e indissolubile del matrimonio, passa a parlare del forte impegno della Chiesa nella lotta contro il “terribile flagello dell’AIDS” che colpisce la Tanzania e gran parte dell’Africa.  In particolare il Papa si sofferma sull’aiuto concreto portato dagli organismi ecclesiali alle migliaia di bambini rimasti orfani in seguito al virus: quindi sottolinea che le “uniche vie sicure per limitare l’ulteriore espansione dell’infezione” sono la fedeltà coniugale e l’astinenza.

 

Il Pontefice esorta poi i vescovi della Tanzania a porre una cura particolare nella formazione spirituale dei sacerdoti nei seminari. Quindi elogia la collaborazione tra Stato e Chiesa nella lotta alla povertà che affligge un così gran numero di persone e invita a promuovere il dialogo interreligioso soprattutto con i musulmani dell’arcipelago di Zanzibar: questa è la vera sfida del futuro – scrive il Papa – lavorare insieme per risolvere i problemi sociali ed economici per mostrare alle altre nazioni quale armonia “deve sempre esistere tra gruppi religiosi ed etnici diversi”. Infine Giovanni Paolo II esorta i vescovi tanzaniani ad evangelizzare la cultura del loro popolo in modo che Cristo parli dal cuore di queste chiese locali “con una voce autenticamente africana”.

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“L’EUCARISTIA SACRIFICIO”, TEMA CENTRALE DELLA TERZA PREDICA DI QUARESIMA

ALLA FAMIGLIA PONTIFICIA, TENUTA STAMANI DA PADRE RANIERO CANTALAMESSA

NELLA CAPPELLA REDEMPTORIS MATER IN VATICANO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Il Sacrificio di Cristo, evento centrale nella storia dell’umanità è stato il tema centrale della terza predica di Quaresima alla Famiglia Pontificia, tenutasi stamani nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano. Il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa si è soffermato sull'Eucaristia alla luce dell’inno Adoro Te devote, con il commento alla strofa incentrata su “L'Eucaristia sacrificio”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Basta una goccia del sangue di Cristo per salvare il mondo intero”. Muove da questa frase di San Tommaso la riflessione di padre Raniero Cantalamessa sul mistero eucaristico. La predica si sofferma sul pensatore cristiano René Girard, il quale dopo aver sostenuto che la violenza è intrinseca al sacro, riconosce che il mistero pasquale ha rotto per sempre l’alleanza tra sacro e violenza:

 

“Con la sua dottrina, la sua vita, Gesù smaschera e spezza il meccanismo del capro espiatorio che sacralizza la violenza facendosi Lui, innocente, la vittima di tutta la violenza”.        

 

Gesù dunque sconfigge la violenza. Ma “vince perché vittima”, secondo Sant’Agostino. In Cristo è Dio stesso che si fa vittima:

 

“Cristo ha vinto la violenza non opponendo ad essa una violenza più grande, ma subendola e mettendone a nudo l’ingiustizia e l’inutilità. Il film di Mel Gibson, se non altro, ha avuto questo merito di rivelare fino a che punto la violenza si è abbattuta sulla vita di Cristo”.          

 

Evento centrale nella storia dell’umanità, il Sacrificio di Cristo cambia la natura stessa del sacrificio. Padre Cantalamessa mette così l’accento sul binomio amore-espiazione che caratterizza la Passione di Gesù:

 

“Le due cose possono stare insieme. Il peccato è cancellato, lavato, distrutto, in una parola espiato dal suo contrario che è l’amore, non dalla semplice sofferenza della morte bruta di Cristo”.                

 

A chi è stato pagato dunque questo prezzo? Si è diffusa, ha spiegato il predicatore della Casa Pontificia, l’idea del Padre implacabile. Ma questa è una prospettiva sbagliata:

 

“Il Padre non è Colui che aspetta il sacrificio, è Colui che fa il sacrificio. Quando si dice che non ha risparmiato il proprio Figlio è come dire che non ha risparmiato se stesso! Il Padre ha fatto Lui il sacrificio, ha fatto il grande sacrificio di darci il Figlio!”              

 

Cristo si offre liberamente alla sua Passione. San Bernardo, ha ricordato, sottolinea come “non la morte di Cristo piacque a Dio Padre, ma la sua volontà di morire spontaneamente per noi”:

 

“Dio Padre non ha richiesto il sangue del Figlio, lo ha solo accettato offertogli! Non aveva sete di quel sangue ma della nostra salvezza che risiedeva in quel sangue”. 

 

L’Eucaristia è allora “il sacramento della non violenza” e ci appare come il “sì di Dio alle vittime innocenti”, il luogo dove “ogni giorno il sangue versato sulla terra si unisce a quello di Cristo”. Ha poi evidenziato il nesso inscindibile tra il sangue e la remissione dei peccati:

 

“Io penso che nella Messa, venerabili e cari fratelli, noi abbiamo la possibilità, ogni giorno, di fare una specie di dialisi delle anime e cioè di farla passare attraverso questo bagno purificatore del sangue di Cristo”.       

 

Alla luce delle riflessioni sull’inno “Adoro te devote”, padre Cantalamessa ha chiuso la sua predica con una viva esortazione:

 

“Quanto bene deriverebbe alla comunità ecclesiale intera se tutti ci sforzassimo di seguire questa via dell’Agnello cessando di far responsabili dei mali, che ci sembra di vedere nella Chiesa, quelli che la pensano diversamente da noi perché questo è, al fondo, il meccanismo del capro espiatorio”.

 

         Per nostra fortuna, ha concluso, “l’Eucaristia non si limita a ricordarci l’esempio di Gesù, ma ci dà anche la grazia di seguirlo. Egli ha vinto anche per noi e noi possiamo appropriarci nella fede della sua vittoria sulla violenza”.

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IL CARDINALE POUPARD PRESENTA UN PROGETTO DI RICERCA

PER SUPERARE LA DIFFIDENZA TRA SCIENZA E FEDE

 

“Un nuovo quadrivio per il terzo millennio”. Così, il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha definito il progetto STOQ, “Scienza, Teologia e Indagine Ontologica”, presentandone la seconda fase stamani presso la Sala Stampa della Santa Sede. Il Progetto, uno dei più prestigiosi programmi di ricerca sul rapporto fra scienza, filosofia e teologia, coinvolge tre università pontificie romane: Lateranense, Gregoriana e Regina Apostolorum. Il servizio di Roberta Moretti:

 

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Più di 30 conferenze pubbliche seguite almeno da 1200 persone, 320 studenti laici e religiosi, 12 corsi biennali di dottorato, 4 seminari, 2 workshop. Sono i numeri del progetto triennale STOQ, che mira a superare il pregiudizio reciproco tra scienza e religione attraverso un dialogo efficace tra discipline umanistiche e scientifiche. Un progetto concreto che coinvolge l’Università Gregoriana, impegnata nell’approfondimento della filosofia e delle scienze della natura, la Lateranense, che ne studia i risvolti antropologici, e l’Ateneo Regina Apostolorum, per quelli bioetici. Tre realtà diverse a confronto, per contribuire a una “visione organica del sapere”, secondo le indicazioni di Giovanni Paolo II nell’Enciclica “Fides et Ratio”. Il cardinale Poupard:

 

“La mancanza di un’assidua frequentazione fra scienziati ed umanisti e, soprattutto, fra mondo scientifico e religioso, ha portato all’incapacità di comprendersi fra questi due mondi e a generare pregiudizio dall’una e dall’altra parte. Pregiudizio della scienza verso la religione, vista come residuo di un passato mitico e irrazionale. Pregiudizio della religione verso la scienza, vista come un tentativo di ridurre l’uomo e il mondo alla materia in nome di una razionalità ideologizzata e astratta”.

 

E raccogliendo l’eredità della “Commissione di studio del Caso Galileo”, istituita dal Santo Padre nel 1981, il Progetto STOQ vuole superare questi pregiudizi attraverso l’insegnamento, la ricerca e attività di divulgazione, dando vita, come ama definirlo il cardinale Poupard, ad “un nuovo quadrivio per il terzo millennio”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il titolo “Offro le mie preghiere e le mie sofferenze per voi”: Giovanni Paolo II incontra al Policlinico “Gemelli” due rappresentanti della Conferenza episcopale ai quali consegna un messaggio per tutti i vescovi della Tanzania.

Cristo – si sottolinea con forza nel Messaggio – parli dal cuore delle vostre Chiese locali con una voce autenticamente africana.

  

Nelle vaticane, un articolo di Gianfranco Grieco dal titolo “I religiosi: esempio di una donazione radicale per la missione ‘ad gentes’”: conclusa in Messico la visita pastorale del cardinale Crescenzio Sepe.

 

Nelle estere, Iraq: attentato suicida a Mossul causa cinquanta morti.

Libano: s’inaspriscono i toni del confronto tra maggioranza ed opposizione antisiriana.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Franco Patruno sulle opere dell’artista Rey-nolds esposte al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la tragica vicenda dell’uccisione di Nicola Calipari in Iraq; Ciampi a Bush: sentiamo la necessità di trasparenza.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

11 marzo 2005

 

11 MARZO, LA SPAGNA SI FERMA.

SILENZIO E COMMOZIONE, PER RICORDARE LE VITTIME

DELLO SCORSO ANNO A MADRID

- Con noi, mons. Jesús Esteban Catalá Ibáñez e Josto Maffeo -

 

Dal 2004, l’11 marzo, in Spagna, è sinonimo di terrore. E tutto il Paese si è fermato, oggi, per ricordare le vittime degli attentati di un anno fa, quando a Madrid il terrorismo di matrice islamica fece esplodere bombe su quattro treni: furono 192 i morti e 1.500 i feriti. Particolarmente toccanti le commemorazioni di questa mattina: a mezzogiorno, milioni di persone hanno osservato cinque minuti di silenzio. Ci riferisce, da Madrid, Mónica Uriel:

 

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A Madrid, nel Parco del Retiro, re Juan Carlos e la regina Sofia hanno inaugurato il Bosco degli Assenti, formato da 192 cipressi ed olivi, ed hanno deposto una corona di fiori. Erano presenti il capo del governo, José Luis Rodríguez Zapatero, il segretario dell’ONU, Kofi Annan, il re del Marocco, Mohamed VI. Tutti hanno osservato cinque minuti di silenzio. Non ci sono stati discorsi nella cerimonia, che è finita con la musica di violoncello del catalano Pau Casals.

 

         (musica)

 

Alla stessa ora, milioni di persone in tutto il Paese si sono fermate per cinque minuti. Davanti alla Moncloa c’erano i ministri; davanti ai Comuni, i sindaci e migliaia di cittadini; davanti alle università ed alle scuole, gli studenti. Piene e silenziose le strade. Anche i musulmani della moschea di Madrid e di altre moschee del Paese si sono uniti ai cinque minuti di silenzio. Ed i treni, obiettivo dei terroristi un anno fa, si sono fermati per 5 minuti. Nelle stazioni attaccate – Atocha, Santa Eugenia ed El Pozo – l’anniversario è stato ricordato in un modo molto speciale. Sono tornati i fiori, le candele, i messaggi. Familiari delle vittime sono andati ad Atocha. Tante lacrime, tanti ricordi.

 

(campane a lutto)

 

Alle 7.37, proprio alla stessa ora della prima bomba che un anno fa esplose alla stazione di Atocha, si sono sentiti i rintocchi delle campane delle 600 chiese di Madrid. Così è cominciata la giornata di lutto nazionale.

 

Da Madrid, Mónica Uriel, per la Radio Vaticana.

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Ad un anno di distanza, dunque, nel Paese molte ferite sono ancora aperte. Andrea Sarubbi ne ha parlato con il vescovo di Alcalá de Henares, mons. Jesús Esteban Catalá Ibáñez:

 

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R. – In gran parte, le ferite sono guarite, ma ne rimangono alcune. Le più profonde sono quelle delle famiglie che hanno perso i loro cari, mentre in altre famiglie ci sono stati feriti - in tutto, più di 1.500 - alcuni guariti ed altri ancora in ospedale. Queste sono le ferite fisiche e psichiche, a livello individuale. Poi ci sono le ferite “sociali”, soprattutto perché si vive con la minaccia di un’azione terrorista sempre possibile: è un timore che nessuno riesce a togliersi di dosso. Ad un livello più vasto, più ampio, rimane la ferita di un terrorismo che si sente “internazionale”. Gli stessi governi sono costretti a prendere atto della fragilità delle proprie strutture...

 

D. – Secondo Lei, è cresciuta in questo anno una coscienza comune nella società spagnola, oppure l’11 marzo ne ha acuito le divisioni?

 

R. – È cresciuta la coscienza di solidarietà e di fraternità. Peccato che la causa di ciò sia stato un evento così difficile e crudo, così duro… però, l’11 marzo ha fatto crescere la solidarietà tra le persone, la voglia di pace: per motivi umani, religiosi, cristiani… per tanti motivi, insomma, questa coscienza è cresciuta.

 

D. – La Spagna ha dimostrato una maturità politica nella risposta al terrorismo. In quest’anno che è appena trascorso, ha cercato spesso il dialogo, per esempio con l’Islam, anziché lo scontro...

 

R. – La Spagna ha dimostrato una maturità che forse non ci aspettavamo nemmeno noi. Due giorni dopo l’attentato ci sono state le elezioni, che si sono svolte nella normalità. Poi, i vari partiti politici hanno creato insieme una commissione di studio per ricercare la verità. Inoltre, sul piano sociale, non c’è stato un rifiuto contro le persone di origine araba e di fede musulmana che vivono da noi; al contrario, sono state create addirittura nuove leggi per una migliore accoglienza degli immigrati. Infine, si sta lavorando insieme ad altri Stati per un dialogo migliore ed una migliore collaborazione di fronte ad un terrorismo che -come tutti sappiamo - non è di una nazione, ma è internazionale.

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Le conseguenze dell’11 marzo 2004 si sono viste, in Spagna, anche sul piano politico. Ancora al microfono di Andrea Sarubbi, il corrispondente a Madrid del Messaggero, Josto Maffeo:

 

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R. – Quello appena trascorso è stato indubbiamente un anno che ha registrato certi cambiamenti, a cominciare dall’inattesa svolta politica, provocata in parte anche da quel che accadde l’11 marzo 2004 e dalla pessima gestione che ne fece il governo Aznar, nei tre giorni che precedettero le elezioni politiche. Quel voto ha rappresentato una svolta, perché Zapatero ha dato un’impronta diversa. Per esempio, si è allontanato dagli Stati Uniti, si è ribellato all’unilateralismo, ha fatto addirittura proselitismo perché non solo la Spagna uscisse - come ha fatto -con le sue truppe dall’Iraq, ma ne uscissero anche altri Paesi. In questo anno, Madrid si è avvicinata molto di più a Berlino e a Parigi. Ma è una Spagna che sta registrando anche trasformazioni interne, e con non pochi problemi...

 

D. – Un anno fa, la Spagna si scoprì all’improvviso bersaglio del terrorismo. Ci si sente ancora?

 

R. – Io direi che la Spagna scoprì un altro tipo di terrorismo, perché avevamo già alle spalle circa 900 morti e migliaia di feriti provocati dai separatisti baschi dell’ETA. Tant’è vero che, nelle prime ore di quella mattinata dell’11 marzo 2004, guardammo tutti verso il nord. Però, a mio parere, questo è un Paese che non vive in modo traumatico le cose; le segna, le annota, le soffre, ma ha voglia di reagire. Per cui non vivrà a lungo nel terrore.

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LE RELIGIOSE ITALIANE RIUNITE IN UN CONVEGNO A ROMA:

VOGLIONO TESTIMONIARE L’AMORE DI GESU’ IN MEZZO ALLA GENTE.

L’ITALIA ORMAI E’ TERRA DI MISSIONE

- Intervista con suor Carla Barberini -

 

E’ iniziato ieri a Roma, presso la Pontificia Università Urbaniana, un Convegno nazionale missionario per religiose, promosso dall’USMI, l’Unione Superiore Maggiori d’Italia, e dalla Pontificia Unione Missionaria, sul tema: “Chiamate a ridare speranza al mondo”. I lavori si concludono domani. Giovanni Peduto ha intervistato l’organizzatrice del Convegno, la suora canossiana Carla Barberini:

 

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D. - Cosa fanno le religiose per ridare speranza al mondo?

 

R. – Cercano di essere più radicali per far vedere che veramente hanno incontrato Gesù che è una Persona viva, e vivere gioiosamente questo incontro con il Signore che è il Signore di tutti e vuole portare tutti al Padre.

 

D. – Di cosa ha bisogno oggi il mondo per avere più speranza?

 

R. – Di credere che siamo figli di Dio. Ritornare alla fede e non lasciarsi abbandonare a sé stessi, al benessere o alle difficoltà del mondo.

 

D. – Quali sono, oggi, le principali difficoltà che incontrate voi religiose, nel portare la vostra testimonianza al mondo?

 

R. – L’indifferenza della gente per la quale sembra che Dio non esista più, anche se in fondo al cuore sentono questo grande bisogno di avere qualcuno che li sostenga e li aiuti nelle difficoltà.

 

D. – In cosa deve cambiare la Chiesa per fare arrivare meglio il messaggio di Gesù alla gente di oggi?

 

R. – Non aspettare che la gente vada in chiesa, non accontentarsi solo di quelli che vanno a Messa, ma andare lei stessa in mezzo alla gente e gridare dai tetti la Parola di Dio.

 

D. – Dove sono maggiormente attive le religiose?

 

R. – Tra i più poveri, tra gli emarginati, nel silenzio, lavorano, penetrano nella povertà di oggi.

 

D. – Una sua esperienza personale?

 

R. – Soprattutto, ho visto negli ammalati che tante volte sono lasciati soli: basta una parola di fede, di speranza che tutta la loro vita cambia, specialmente i malati terminali, quando sanno che c’è qualcuno che li aspetta: da Dio siamo venuti, a Dio dobbiamo tornare.

 

D. – Lei è stata in Giappone: ce ne parli ...

 

R. – Il Giappone è una terra con grandissime difficoltà, perché ciò che vale è l’efficienza. Tutti corrono verso il benessere. Però per noi missionari, in fondo, si sa che si va per morire, per impiantare la Chiesa, quindi si è in un certo senso preparati, mentre qui in Italia, forse, non siamo pronti ad accettare che anche l’Italia è diventata terra di missione.

 

D. – Qual è l’obiettivo ultimo di questo incontro?

 

R. – E’ quello di far rivivere in noi lo zelo missionario, lo zelo apostolico e questo incontro è desiderato da tutte quante perché ci dà una spinta, ravviva in noi il fuoco missionario.

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50 ANNI FA, MORIVA ALEXANDER FLEMING,

SCIENZIATO SCOZZESE SCOPRITORE DELLA PENICILLINA

- Con noi, il prof. Reinhard Gluck -

 

Una scoperta epocale, quella della Penicillina, muffa dalle proprietà antibiotiche naturali, efficace in particolare contro le infezioni delle vie respiratorie, come tubercolosi, bronchite e polmonite, un tempo letali. Ad effettuarla, nel 1928, lo scienziato scozzese, Alexander Fleming, Nobel per la medicina nel 1945, di cui oggi ricorre il 50.mo anniversario della morte. Ce ne parla, nel servizio, Roberta Moretti:

 

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“La storia della Penicillina ha qualcosa di romanzesco e aiuta a illustrare il peso della sorte, della fortuna, del fato o del destino, come lo si vuole chiamare, nella carriera di ogni persona”. Con queste parole, Alexander Fleming raccontava la sua scoperta più grande. Era il 1922, quando una lacrima caduta per caso in una coltura di batteri, provocandone la distruzione, gli fece intuire la presenza, proprio nel liquido lacrimale, di una sostanza antibiotica naturale, il Lizozima. Di qui, l’idea di sfruttarne le qualità per la cura delle malattie infettive, tuttavia senza ottenere risultati significativi. Dovettero trascorrere sei anni, prima che un nuovo caso fortuito di contaminazione conducesse lo scienziato alla meta: questa volta, però, a bloccare la crescita dei batteri fu una muffa del genere “Penicillum”, potente antibiotico naturale, particolarmente efficace contro le infezioni delle vie respiratorie, un tempo letali. Una scoperta, secondo il prof. Reinhard Gluck, virologo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, paragonabile, oggi, a quella di un farmaco che sconfigga il cancro:

 

“Ancora oggi la casualità ha molta importanza. Questo dimostra che lo scienziato, lavorando, deve essere sempre pignolo ed attento. Io per caso avevo un collaboratore nel mio laboratorio che si era formato nel laboratorio di Fleming ed era il più pignolo di tutti. Aveva imparato ad esserlo alla scuola di Fleming”.

 

Dovettero trascorrere molti anni, dal 1928, prima che la Penicillina approdasse all’applicazione clinica, ma bastò poco perché il nuovo farmaco, usato dai soldati alleati durante la II guerra mondiale, si diffondesse in tutto il mondo. Ma quale ruolo riveste oggi la Penicillina nella cura delle malattie infettive? Ancora il prof. Gluck:

 

         “Naturalmente gli antibiotici al tempo della scoperta hanno aperto tante speranze. Oggi, purtroppo, tante malattie ed infezioni nonostante siano disponibili tante nuove sostanze simili alla penicillina non possono più essere usati semplicemente perché l’evoluzione ha sviluppato tra i batteri le cosiddette resistenze”.

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CHIESA E SOCIETA’

11 marzo 2005

 

LA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI LANCIA UNA CAMPAGNA

CONTRO LA PENA DI MORTE. L’INIZIATIVA, CHE PRENDERA’ IL VIA

DURANTE LA SETTIMANA SANTA, FA SEGUITO ALLA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA CHE HA DEFINITO INCOSTITUZIONALE LE ESECUZIONI DEI DETENUTI MINORENNI

- A cura di Lisa Zengarini -

 

WASHINGTON. = A poco più di una settimana dalla storica sentenza della Corte Suprema, che ha definito incostituzionale le esecuzioni di detenuti minorenni all’epoca in cui hanno commesso il delitto, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti (USCCB) annuncia il lancio di una vasta campagna nazionale di sensibilizzazione contro la pena capitale. La campagna prenderà il via durante la Settimana Santa. La brochure di presentazione dell’iniziativa spiega che essa viene incontro ai ripetuti appelli del Santo Padre e degli stessi vescovi americani per l’abolizione della pena di morte, ricordando che questa pratica contrasta con la dottrina della Chiesa, secondo la quale essa non è giustificata quando lo Stato dispone di altri mezzi per tutelare la società. Il pieghevole evidenzia, inoltre, che negli Stati Uniti la pena capitale è spesso applicata in modo crudele e iniquo, come indicano, tra l’altro, i numerosi errori giudiziari registrati in questi ultimi trent’anni. Di qui il dovere morale di abolirla, “non solo per quello che fa alle persone giustiziate, ma a tutti noi come società”, perché, sottolineano i vescovi, “non possiamo insegnare il rispetto della vita uccidendo”. La nuova iniziativa della USCCB giunge in un momento in cui diversi Stati dell’Unione stanno rivedendo le proprie legislazioni in materia, mentre anche nell’opinione pubblica statunitense, tradizionalmente favorevole, le posizioni abolizioniste stanno cominciando a fare breccia. Secondo un recente sondaggio, commissionato dalla stessa Conferenza episcopale per la sua campagna, il cambiamento più marcato in questo senso si registra proprio tra i cattolici: oggi meno della metà si dichiara favorevole alla pena capitale.

 

 

IN MESSICO, IL CARDINALE SEPE SOTTOLINEA L’URGENZA

DELLA MISSIONE “AD GENTES”.

“L’UMANITÀ ATTENDE CON ANSIA LA LUCE E LA VERITÀ DELL’AMORE DI CRISTO”

 

CITTA’ DEL MESSICO. = “L’umanità attende con ansia la luce e la Verità dell’Amore di Cristo”. E’ quanto ha sottolineato il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, lo scorso 8 marzo in Messico, nel corso della solenne concelebrazione eucaristica nella Basilica dedicata a Nostra Signora di Guadalupe. “Molte persone lo conoscono ma vivono nella tristezza, nel pessimismo o nella disperazione – ha constatato il porporato – milioni di persone poi neppure hanno sentito parlare di Lui”. “Evangelizzare significa trasmettere gioia – ha sottolineato il cardinale Sepe nel corso dell’omelia, pubblicata dall’agenzia Fides –  annunciare la Buona Novella della salvezza a chi vive nella sofferenza e nella tristezza”. Nelle società odierne, tuttavia,  “dominate dal relativismo morale e dalla gioia superficiale di un futile edonismo”, l’annuncio evangelico sovente si scontra con “il rifiuto e l’indifferenza”. In questo contesto, ha dichiarato il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, “capita spesso di avvertire la tentazione di ‘diluire’ il messaggio di Gesù Cristo e di conformarlo alla mentalità di questo secolo”. “Agire in questo modo, tuttavia – ha aggiunto il porporato – significa impedire all’uomo di provare la piena gioia che Gesù promise ai suoi discepoli”. Ricordando come questo “slancio missionario” abbia avuto origine a Guadalupe, prima di diffondersi nel mondo, il cardinale Sepe si è detto consapevole del grande impegno richiesto dal lavoro missionario ed ha affidato alla Vergine di Guadalupe il cammino della Chiesa e dell’umanità, concludendo: “Non siamo soli, Gesù Cristo è con noi”. L’apparizione della Vergine di Guadalupe si colloca agli albori della storia dell’evangelizzazione in America. La tradizione racconta che ai primi di dicembre del 1531, sulle colline del Tepeyac, luogo consacrato al culto della dea azteca Tonantzin e destinato ai sacrifici umani, la Madre di Dio apparve ad un indio, neofito cristiano, Juan Diego Cuauhtlatoatzin. Si narra che il vescovo eletto del Messico, Zumárraga, venuto a sapere dallo stesso Juan Diego – proclamato santo da Giovanni Paolo II il 31 luglio 2002 – dell’apparizione ne avrebbe sollecitato “una prova” dell’autenticità del messaggio. La Vergine avrebbe chiesto così a Juan Diego di raccogliere delle rose su quegli impervi monti, che egli avrebbe poi nascosto nel suo mantello, su cui si sarebbe successivamente impressa l’immagine meticcia, né india né spagnola, di Maria nel momento in cui l’indio la mostrò aperta di fronte al vescovo francescano. (B.C.)



SI E’ CHIUSA MERCOLEDI’ A VARSAVIA LA PLENARIA DELLA CONFERENZA

EPISCOPALE POLACCA. INVIATO AL PAPA UN MESSAGGIO DI VICINANZA E DI

AFFETTO, MENTRE IN TUTTO IL PAESE SI PREGA PER LA SALUTE DEL PONTEFICE

 

VARSAVIA. = La formazione permanente del clero, il ruolo dei media nella missione evangelizzatrice e le regole liturgiche nel ricevere la comunione: sono stati questi i temi al centro della 331.esima sessione plenaria della Conferenza episcopale polacca, svoltasi l’8 e il 9 marzo scorsi a Varsavia. All’appuntamento, che è stata anche occasione per esprimere viva vicinanza a Giovanni Paolo II, hanno preso parte pure rappresentanti delle Conferenze episcopali di Croazia, Francia, Spagna, Lituania, Moldavia, Romania, Slovacchia, Ungheria e Italia. Nella due giorni, i vescovi hanno esaminato il programma pastorale legato alle celebrazioni dell’Anno dell’Eucaristia, con particolare riguardo al Congresso Eucaristico nazionale, in programma il 18 e 19 giugno prossimi; e hanno sottolineato l’importanza del pellegrinaggio, nei centri pastorali accademici polacchi, dell’icona della Madonna “Sedes Sapientiae”, in preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, in Germania. La Conferenza episcopale polacca ha, inoltre, espresso preoccupazione per i diversi problemi che affliggono il Paese: la difficile situazione nel settore sanitario e giudiziario, come pure la disoccupazione, la crescente povertà e il verificarsi di una ondata di finti divorzi, che hanno lo scopo di ricevere i sussidi sociali previsti dallo Stato. Nello stesso tempo, soddisfazione è stata espressa per i segnali positivi, come la ferma posizione di alcuni parlamentari contro ogni iniziativa sulla legalizzazione dell’aborto. (B.C.)

 

 

NON SI ESAURISCE LA SOLIDARIETA’ PER LE POPOLAZIONI INVESTITE LO SCORSO

26 DICEMBRE DALLA FURIA DELLO TSUNAMI. DOPO L’EMERGENZA, AL VIA LA FASE

DELLA RICOSTRUZIONE. MORATORIA OFFERTA A INDONESIA E SRI LANKA

 

JAKARTA. = Ad oltre due mesi dal devastante maremoto che ha investito il sud-est asiatico, la situazione resta difficile e desolante. Il bilancio delle vittime dello tsunami dello scorso 26 dicembre, secondo le ultime cifre ufficiali, oscilla fra i 173.324 e 182.340, il numero dei dispersi è tra 107.853 e 129.897, mentre le migliaia di sfollati restano nelle centinaia di tendopoli che si susseguono lungo la costa. Eppure, in questo scenario di distruzione, c’è spazio per la speranza, quella della solidarietà che non cessa di spargere semi per il futuro. La ricostruzione, che a piccoli passi e quasi in silenzio si districa tra le difficoltà politiche e burocratiche, ha i colori dell’Italia, primo Paese della comunità internazionale a dare il via agli interventi strutturali, successivi all’emergenza. La fase del ritorno alla normalità assume un volto più chiaro in Sri Lanka. Sabato è stata posta la prima pietra del nuovo ospedale di Kinniya, nel nord-est del Paese, e venerdì scorso è stato dato il via al progetto di realizzazione di una scuola di primo e secondo livello a Hikkaduwa, nel sud. Interventi che verranno realizzati entro un anno e che si sommeranno agli altri progetti già pianificati in altre aree dello Sri Lanka. La ricostruzione del post-maremoto ha avuto una parte centrale, inoltre, nel summit tenutosi ieri a Giakarta, in Indonesia, tra i 25 Paesi dell’Unione europea e i 10 dell’Associazione delle Nazioni dell’Asia del sud-est (ASEAN). Sempre ieri, infine, il Club di Parigi ha annunciato una moratoria per Indonesia e Sri Lanka. I due Paesi godranno della sospensione dei pagamenti per l’anno in corso. Questa offerta d’urgenza, destinata ad aiutare la ricostruzione dei Paesi devastati dal maremoto, era, invece, stata declinata da India, Malaysia e Thailandia, che avevano fatto sapere che preferivano rinunciare alla moratoria per evitare un abbassamento del loro rating, che renderebbe più costoso l’accesso ai mercati internazionale dei capitali. (B.C.)

 

 

LA TRISTE SITUAZIONE DI SOFFERENZA ED EMARGINAZIONE DEI BOSCIMANI

IN SUDAFRICA DESCRITTA IN UN RAPPORTO DELLA COMMISSIONE PER I

DIRITTI UMANI. “GLI UOMINI DELLA BOSCAGLIA” VEDONO SEMPRE

PIU’ LONTANA LA SPERANZA PER IL FUTURO

 

PRETORIA. = “Una triste storia di abbandono e sofferenza” è quella raccontata nel rapporto della Commissione sudafricana per i diritti umani, nella quale si descrive la grave situazione di emarginazione che la minoranza “Khomani” o “San”, meglio nota come “boscimani”, è costretta a vivere in Sudafrica. Lo afferma il presidente della commissione, Jody Kollapen, sottolineando che “la comunità Khomani sta perdendo la speranza: non ha i mezzi e le competenze per inserirsi e sopravvivere nel mondo moderno, così diverso da quello della loro cultura”. I boscimani, che attualmente in Sudafrica sono 4500, discendono dalle popolazioni nomadi dell’Africa meridionale. La loro principale attività, riferisce l’agenzia Misna, è sempre stata quella dell’agricoltura e della pastorizia. Negli anni dell’apartheid in Sudafrica vennero espulsi dalle loro terre e vennero privati anche del loro lavoro: oggi occasionalmente sono occupati come guide turistiche, attrazioni, o realizzano dei piccoli oggetti d’artigianato. Caduti vittime di soprusi e dell’alcolismo, gli “uomini della boscaglia” (questo è il significato di boscimani) si trovano emarginati e ai gradini più bassi della società. Anche dal punto di vista dell’istruzione i giovani hanno molta difficoltà ad integrarsi, per via della loro cultura nomade. Nel 1999 una legge di riforma agricola africana diede ai “Khoimani San” l’opportunità di tornare nelle loro terre nel deserto del Kalahari, ma al loro rientro le trovarono occupate da famiglie della polizia locale, con cui la popolazione ha dei pessimi rapporti. A dare lo spunto per la realizzazione di un rapporto nazionale è stato un drammatico fatto di cronaca in cui una guida “san” fu uccisa da un poliziotto. (M.V.S.)

 

 

HA FATTO IL SUO INGRESSO NELLE LIBRERIE IL VOLUME “LA MIA BARACCA”,

DI GIORGIO COSMACINI, STORIA DELLA FONDAZIONE DON GNOCCHI. IL LIBRO,

LA CUI PREFAZIONE E’ STATA SCRITTA DALL’ARCIVESCOVO DI MILANO,

IL CARDINALE TETTAMANZI, HA UNA IMPOSTAZIONE STORICO-SCIENTIFICA

E RACCONTA L’INCREDIBILE DESIDERIO DEL RELIGIOSO DI AIUTARE IL PROSSIMO

- A cura di Fabio Brenna -

 

MILANO. = La “Baracca” in oltre cinquant’anni di storia è diventato un modello di cura, assistenza e integrazione sociale per i portatori di handicap, gli anziani e le persone di ogni età, affette da patologie acquisite e congenite e che necessitano di riabilitazione. La storia della Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi, “la mia baracca” appunto, come la chiamava il fondatore, viene ripercorsa in tutta la sua concretezza in un libro scritto dallo storico della medicina Giorgio Cosmacini, con prefazione dell’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi. Il volume, edito da Laterza, non si limita a ripercorre, tappa dopo tappa, la crescita e l’estensione dell’idea originale di don Carlo Gnocchi, il sacerdote milanese cappellano degli alpini in Russia e “padre dei mutilatini”, ma mette in risalto la filosofia innovativa che ne sta alla base. Don Carlo Gnocchi seppe infondere nella sua opera e nella fondazione un approccio insieme educativo, rieducativo e del reinserimento. Nella prefazione al libro, il cardinale Tettamanzi sottolinea l’essere prete di don Gnocchi, pervaso da una volontà determinata di fare e di aiutare gli altri. La “Baracca” di don Gnocchi, ad oltre 50 anni dalla morte del fondatore, è una realtà riconosciuta come IRCCS, Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, articolata in 25 centri presenti in nove regioni italiane, con 3400 dipendenti, che ha allargato il suo raggio d’azione anche all’estero, soprattutto in Paesi toccati dalla guerra o in via di sviluppo. Nell’aprile del 2003, il presidente della Repubblica italiana Ciampi l'ha insignita della medaglia d'oro al merito della sanità pubblica.

 

 

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24 ORE NEL MONDO

11 marzo 2005

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Iraq non si placano le violenze e la situazione resta sempre molto tesa: oltre al dramma dell’ennesimo attentato compiuto ieri a Mossul, si susseguono ulteriori particolari sull’uccisione del funzionario del Sismi, Nicola Calipari, e sul tragico capitolo delle torture perpetrate da militari americani contro detenuti iracheni. Il nostro servizio:

 

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E’ salito a 50 morti il bilancio del drammatico attentato compiuto ieri a Mossul, nel nord del Paese, da un kamikaze durante un funerale in una moschea sciita. Per i timori di nuovi attacchi da parte della guerriglia, la cerimonia funebre per le vittime di questo ennesimo attentato si terrà in forma privata. Sulla sparatoria di venerdì scorso a Baghdad, costata la vita all’agente italiano Nicola Calipari, la giornalista Giuliana Sgrena ha rilasciato intanto una nuova intervista ad un collega del Manifesto. Giuliana ha ribadito di non aver visto alcun fascio di luce quando i soldati americani hanno sparato contro l’auto sulla quale viaggiava. I colpi - ha aggiunto - erano diretti verso l’abitacolo dell’auto e non erano stati lanciati né in aria né verso il motore. “Non ho visto posti di blocco”, ha precisato la giornalista spiegando poi che “il fuoco è stato aperto da giovani militari statunitensi”. Mi sembrava impossibile – ha proseguito Giuliana Sgrena - che gli americani ci attaccassero. L’ufficiale al volante – ha dichiarato l’inviata del Manifesto - ha gridato ‘Siamo italiani’; Nicola Calipari invece non ha detto niente e mi ha coperto mentre cercavo di scivolare tra i sedili. Nuovi sconcertanti particolari sono stati rivelati, infine, sui casi di maltrattamenti e sevizie nelle prigioni irachene: trascrizioni di testimonianze delle inchieste dell’esercito su quanto avvenuto ad Abu Ghraib riferiscono che c’erano anche bambini fra i detenuti del carcere dove militari americani si sono resi responsabili di abusi.

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In Libano, il premier, Omar Karame, avvierà lunedì prossimo i colloqui per formare il nuovo governo di unità nazionale ma il suo tentativo si preannuncia molto difficile: l’opposizione non è disposta a favorire quella che definisce “una strategia volta a far tacere il dissenso”. Da Beirut, Francesca Fraccaroli:

 

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I protagonisti della rivoluzione dei cedri, che per un mese ha infiammato le strade di Beirut, insistono nel chiedere che venga fatta luce sull’assassinio di Rafik Hariri. Non si accontentano, inoltre, del lento ridispiegamento di truppe siriane cominciato lunedì. Il portavoce dell’oppo-sizione si è detto però disposto a concedere una possibilità a Karame. Il primo ministro, in ogni caso, ha messo in chiaro che si dimetterà di fronte ad un rifiuto delle forze politiche a formare un governo nazionale. Il primo ministro ha anche avvertito che potrebbe slittare la data delle elezioni previste a maggio. Intanto, è atteso oggi l’arrivo, a Beirut, dell’inviato delle Nazioni Unite in Medio Oriente, il norvegese Roed Larsen. Discuterà con i leader libanesi dell’applicazione della risoluzione 1559 che prevede il ritiro completo dell’esercito di Damasco dal Paese.

 

Da Beirut, per la Radio Vaticana, Francesca Fraccaroli.

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Numerosi dirigenti di Hamas, durante l’incontro a Gaza con il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, hanno detto di voler “continuare ad osservare un periodo di tregua” nei confronti di Israele, assicurando che parteciperanno “all’importante riunione prevista il 15 marzo al Cairo”. Intanto, Egitto ed Israele hanno raggiunto un accordo sul controllo della frontiera con la Striscia di Gaza.

 

Il presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, ha accettato di recarsi in India dove è stato invitato dal premier, Manmohan Singh, ad assistere ad una serie di partite di cricket. La visita di Musharraf - già ribattezzata ‘diplomazia del cricket’ - è la prima dopo il fallimento dei colloqui tra i due Paesi ad Agra, nel luglio 2001. Delegazioni dei due Stati si sono incontrati in Pakistan e a margine delle sessioni dell’Onu a New York, ma mai in territorio indiano.

 

Il presidente americano, George Bush, ha rinnovato ‘l’emergenza nazionale’ proclamata nei confronti dell’Iran, consentendo la proroga di un anno delle relative sanzioni. Lo ha reso noto la Casa Bianca, ricordando che la decisione del 1995 è stata presa per ‘affrontare la minaccia posta dalle azioni del governo di Teheran’, quali l’appoggio al terrorismo, gli sforzi per minare il processo di pace in Medio Oriente e l’acquisizione di armi di distruzione di massa.

 

Si è conclusa senza incidenti la protesta contro il regime degli ayatollah di 56 iraniani che si rifiutavano di lasciare l’aereo Lufthansa con cui avevano raggiunto Bruxelles: una sessantina di agenti è salita a bordo del velivolo e ha fermato il gruppo di oppositori al governo di Teheran.

 

Le forze di sicurezza saudite hanno catturato 18 sospetti militanti integralisti islamici durante un’operazione condotta nella città settentrionale di Zulfi. Le persone arrestate - 17 sauditi e un afgano - sono sospettati di collegamenti con la sezione locale della rete terroristica di Al Qaeda.

 

Il Parlamento georgiano ha adottato ieri una risoluzione dando come tempo massimo a Mosca il primo gennaio 2006 per smantellare le basi militari dal proprio territorio. Dopo questa data, le basi russe saranno dichiarate “illegali”. Dopo la risoluzione, è subito scattata la risposta di Mosca: per il ritiro - avverte il ministero della Difesa -saranno necessari almeno 3 anni.

 

In Corsica, un’esplosione avvenuta nel centro di Ajaccio, nei pressi di un ufficio pubblico, ha provocato il ferimento di cinque persone, tra le quali due bambini. Al Tribunale di Parigi sono state intensificate, intanto, le misure di sicurezza in vista del processo contro Charles Pieri, nazionalista corso accusato di finanziare le attività terroristiche degli indipendentisti.

 

La Croazia non ha raggiunto le condizioni che consentono l’apertura del negoziato per il suo ingresso nell’Unione Europea perché non ha cooperato pienamente con il Tribunale internazionale dell’Aja sui crimini di guerra nella ex-Jugoslavia. Lo ha affermato la presidenza lussemburghese dell’Unione. Il nostro servizio:

 

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La data di avvio dei negoziati di adesione della Croazia all’Unione europea, prevista per il prossimo 17 marzo, sarà rinviata. Secondo quanto riferito da fonti europee, la decisione è dovuta soprattutto alla posizione contraria di Gran Bretagna, Danimarca, Svezia, Finlandia e Olanda. Gli ambasciatori degli Stati membri, riuniti ieri nel Consiglio dei rappresentanti permanenti, hanno ribadito che l’ostacolo principale tra la Croazia e l’Unione Europea si chiama Ante Gotovina, un ex generale dell’esercito croato ricercato dal Tribunale dell’Aja. In patria, l’ex militare è considerato da molti un eroe della guerra di indipendenza dalla ex Jugoslavia e, secondo Bruxelles, gode della protezione delle autorità di Zagabria. Con il rinvio della data di adesione, l’Unione Europea ha lanciato, dunque, un chiaro avvertimento al governo croato affinché si decida a consegnare il fuggitivo. E in Croazia, intanto, il presidente Stipe Mesic ha chiesto al Paese di cooperare con il Tribunale penale internazionale dell’Aja sulla ex Jugoslavia e con l’Unione europea. “Non cadete nel falso dilemma o Gotovina o l’Unione europea”, ha precisato Mesic. “Il generale in pensione - ha aggiunto - non ha alcuna importanza in questo contesto poiché è utilizzato da coloro che temono l'Europa”. Ora la parola definitiva sulla questione croata passa ai ministri degli Esteri europei che si riuniranno mercoledì prossimo a Bruxelles in occasione del Consiglio su Affari generali e Relazioni esterne.

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Sono state formalizzate dal Tribunale penale internazionale dell’Aja le accuse contro l’ex primo ministro del Kosovo, Ramush Haradinaj, che mercoledì si è consegnato alla Corte dopo aver dato le dimissioni dall’incarico di governo. Haradinaj, che durante la guerra separatista del 1998-‘99 fu a capo dei ribelli albanesi dell’UCK, è accusato di 37 crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

 

In Costa d’Avorio, i guerriglieri delle ‘Forze Nuove’ hanno dichiarato che l’attacco perpetrato lo scorso 28 febbraio da una milizia armata contro una loro postazione, costituisce “il preludio di una ripresa imminente delle ostilità su tutto il fronte”.

 

In Sudan, i due principali movimenti ribelli del Darfur hanno minacciato ieri di non tornare al tavolo delle trattative con Khartoum, se prima non partiranno i processi contro i responsabili delle centinaia di uccisioni avvenute nella regione. Il Movimento di Liberazione del Sudan ed il Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza hanno firmato una dichiarazione congiunta ad Asmara.

 

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