RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
69 - Testo della trasmissione di giovedì 10
marzo 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Caritas Internationalis celebra i primi dieci anni di
attività solidale in Corea del Nord
Ancora
violenza in Iraq: morti a Baghdad tre poliziotti. In Italia le parole di
Berlusconi ieri, al Senato, sulla morte di Nicola Calipari
Le dimissioni del capo
del governo di Hong Kong, Tung Chee-hwa.
10
marzo 2005
IL PAPA ANCORA QUALCHE GIORNO AL GEMELLI PER
COMPLETARE LA REGOLARE CONVALESCENZA: SARÀ IN VATICANO PER LA SETTIMANA SANTA,
ASSICURA NAVARRO VALLS CHE – CONFESSA – “IL PAPA STUPISCE ANCHE I PIÙ STRETTI
COLLABORATORI”
- Intervista con Joaquin Navarro-Valls -
Un Papa che migliora
costantemente dovrà pazientare ancora qualche giorno in ospedale prima di
rientrare in Vaticano, in tempo comunque per prendere parte ai riti della
Settimana Santa. In mattinata il Papa ha voluto ringraziare un gruppo di
studentesse di un liceo linguistico della provincia di Milano che hanno cantato
in diverse lingue sotto la sua finestra inviando loro, attraverso un sacerdote,
cartoncini di auguri pasquali. Ma per i particolari sul bollettino medico, reso
noto in tarda mattinata, la linea alla nostra inviata al Gemelli, Roberta Gisotti:
**********
Dopo una notte tranquilla per il
Papa, qui al Gemelli, grande interesse ha suscitato stamane la lettura del
nuovo bollettino medico, che ha rassicurato sulle condizioni generali di salute
di Giovanni Paolo II, ma ha deluso l’attesa di una data certa per il suo
rientro in Vaticano. Il direttore della Sala Stampa vaticana, il dott.
Navarro-Valls, ha infatti dichiarato che il Santo Padre accogliendo il
consiglio dei medici curanti prolungherà la sua degenza in ospedale, per
completare la convalescenza, che evolve regolarmente. Ma se lo stesso
Navarro-Valls, uscendo stamane dal Policlinico dopo la consueta visita quotidiana
al Santo Padre, aveva anticipato che “Giovanni Paolo II sarà in Vaticano per la
Settimana Santa”. Proprio queste parole avevano aperto la speranza di una
imminente dimissione. Sappiamo che questa mattina i medici specialisti, che
seguono il decorso postoperatorio di Giovanni Paolo II hanno tenuto un consulto
per il fare il punto sulla salute del Papa, di cui il mondo ha riscontrato la
mirabile ripresa nelle immagini televisive dell’Angelus di domenica scorsa, una
ripresa confermata dalla nuova apparizione del Papa ieri mattina per salutare e
benedire i fedeli assiepati sotto la sua finestra, nel giorno del mercoledì,
dedicato alle udienze generali. E la stessa speranza di vedere il Papa
affacciato hanno coltivato stamane un gruppo di studenti del Liceo linguistico
Candia di Milano, in gita scolastica, accompagnati dai loro insegnanti, che con
gli occhi rivolti alla sua finestra hanno scandito a gran voce il nome di Giovanni Paolo e perfino intonato un
canto polacco, che il preside Ferrari ha detto di aver imparato durante un
pellegrinaggio a Cestocowa. Non mancano mai
le manifestazioni di affetto per il Papa in questo luogo di sofferenza.
Dal Policlinico Gemelli, Roberta
Gisotti, Radio Vaticana
**********
Dunque, Giovanni Paolo II sarà
presto in Vaticano, come conferma il direttore della Sala Stampa vaticana,
Joaquin Navarro-Valls, intervistato da Alessandro Gisotti:
**********
R. – La data è da fissare, però
posso confermare che il Santo Padre passerà in Vaticano tutta la Settimana
Santa.
D. – Tra i fedeli c’è molta
attesa per il prossimo Angelus di domenica. C’è già un’idea sulle modalità di
svolgimento?
R. – Sì. Posso confermare che
l’Angelus di domenica prossima avverrà con le stesse modalità delle due
domeniche precedenti.
D. – Il Papa riceve ogni giorno
la visita dei suoi più stretti collaboratori, che non mancano di portargli
lavoro. Davvero il Gemelli si conferma il Vaticano numero tre, come Giovanni
Paolo II stesso lo ha definito?
R. – Effettivamente. Il Santo
Padre continua a ricevere i suoi collaboratori con cui segue l’attività della
Santa Sede e la vita della Chiesa. Il Papa in qualche modo ha ripristinato gli
incontri periodici che lui aveva qui in Vaticano e li ha ripristinati in questo
Vaticano III, come il Papa un po’ scherzosamente aveva chiamato il Policlinico
Gemelli.
D. - Il Santo Padre sta stupendo
molti in questi giorni, forse anche i suoi più stretti collaboratori?
R. – Sì, questo è esattamente
così. Certamente.
D. – Tra i fedeli che si recano
al Gemelli per manifestare la propria vicinanza spirituale al Papa ci sono
molti giovani. La loro presenza è spesso rumorosa, ma in fondo il Santo Padre,
che ha inventato le Giornate mondiali della gioventù, è abituato a questo
aspetto esuberante....
R. – Io penso di sì. In qualche
modo arriva al Santo Padre la presenza di queste persone sia per il rumore
stesso, come lei accennava, o alle volte perché il Papa viene informato dei
gruppi e delle persone che vengono. Così si spiega, per esempio, quel fuori
programma di ieri mercoledì, quando è stato detto al Santo Padre che c’erano
una serie di persone, soprattutto bambini che si erano recati sul piazzale,
davanti al Policlinico Agostino Gemelli e il Santo Padre, subito dopo la
celebrazione della Santa Messa, ha voluto affacciarsi alla finestra e salutare
questi bambini.
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PACE E
STABILITA’ PER IL CONTINENTE AFRICANO, ATTRAVERSO IL DIALOGO
TRA
CULTURE E RELIGIONI: COSI’, GIOVANNI PAOLO II NEL MESSAGGIO
AL
NUOVO AMBASCIATORE DEL SENEGAL PRESSO LA SANTA SEDE,
IN
OCCASIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
“L’Africa
ha un bisogno urgente di pace e di stabilità”: è l’accorato appello di Giovanni
Paolo II contenuto nel messaggio indirizzato, dal Policlinico Gemelli, al nuovo
ambasciatore del Senegal presso la Santa Sede, Felix Oudiane, in occasione
delle presentazione delle Lettere Credenziali. Il Papa esorta il popolo
senegalese a continuare sul cammino del dialogo tra religioni e culture. Il
servizio di Alessandro Gisotti:
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“La violenza non è mai una
soluzione” per regolare i disaccordi tra i gruppi umani: è quanto scrive
Giovanni Paolo II nel messaggio al nuovo ambasciatore senegalese, sottolineando
come “il coraggio e la perseveranza siano gli strumenti più efficaci per ottenere
un’autentica riconciliazione. Con il pensiero rivolto all’Africa, il Papa
constata che il Senegal ha una “lunga tradizione di convivenza tra le diverse
comunità che lo compongono”. Incoraggia, dunque, a proseguire su questa strada
affinché si “rafforzi la pace civile all’interno della nazione e siano
eliminate tutte le cause che possono essere all’origine di dissensi e scontri
violenti”.
Il continente africano - è la
viva esortazione del Pontefice - ha bisogno “urgente di pace e stabilità”. La
pace – avverte - è necessaria “affinché si realizzi la giusta aspirazione dei
popoli ad una vita degna e solidale”. E’ allora quanto mai necessario –
prosegue - “educare le nuove generazioni agli ideali della fratellanza, della
giustizia e della solidarietà”. D’altro canto, il Papa ricorda come la Chiesa
cattolica sia “pienamente convinta che non esista una pace possibile senza
giustizia e non possa esserci giustizia senza perdono”. Mette così l’accento
sul valore del dialogo, “che permette di riconoscere la ricchezza delle
diversità”.
Pur nelle difficoltà odierne – rileva - “non mancano le
testimonianze di convivenza tra i credenti delle differenti religioni, in
particolare tra cristiani e musulmani”. Come il Senegal dimostra - scrive il
Papa - il dialogo tra credenti e culture “è un elemento essenziale per
l’edificazione della pace tra i popoli”. Questo dialogo, tuttavia, “deve
innanzitutto trovare una sua espressione concreta nella convivenza autentica
tra le comunità per servire il bene comune dell’unica famiglia umana”. C’è
ancora “un lungo cammino da percorrere assieme” - conclude il messaggio -
“quello della conoscenza reciproca, del perdono e della riconciliazione” affinché
venga “edificata una società fraterna e pacifica”.
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Il nuovo ambasciatore del
Senegal presso la Santa Sede, Félix Oudiane, è nato a Ziguinchor nel 1951. È
sposato ed ha quattro figli. Laureato in legge all’università di Dakar è
specializzato in diritto internazionale. Nel 1978 ha intrapreso la carriera
diplomatica. E’ stato primo consigliere dell'ambasciata presso la Santa Sede
dal 1982 al 1985; vice console a Parigi, capo servizio del ministero degli
Esteri dal 1994 al 1998 e, prima del nuovo incarico, consigliere di ambasciata
a Bonn.
NOMINE
Nelle Filippine, Giovanni Paolo
II ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Catarman,
presentata da mons. Angel T. Hobayan, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha
nominato suo successore mons. Emmanuel Celeste Trance, finora vescovo
coadiutore della medesima diocesi.
TEMI MORALI E CANONISTICI MA
ANCHE IL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE:
AL CENTRO DEL CORSO SUL FORO INTERNO ORGANIZZATO
DAL TRIBUNALE DELLA PENITENZIERIA APOSTOLICA, IN
CORSO A ROMA
- Intervista con padre Granfranco Girotti -
Il ministero penitenziale e, in
particolare, il sacramento della Confessione: sono al centro del Corso sul Foro
interno organizzato dal Tribunale della Penitenzieria Apostolica, che si tiene
in questi giorni a Roma. A presiederlo, al Palazzo della Cancelleria, è il
cardinale James Francis Stafford, Penitenziere Maggiore. Il corso, che
proseguirà fino a sabato affrontando temi morali e canonistici, viene promosso
ogni anno allo scopo di approfondire la preparazione dei giovani sacerdoti in
tema di grandi principi dogmatici e morali. Dell’attenzione particolare
riservata in questi giorni alla confessione, ci parla nell’intervista di
Giovanni Peduto, il reggente della Penitenzieria Apostolica, padre Gianfranco
Girotti:
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R. – Senza dubbio il Santo
Padre, con la sua Lettera apostolica “Mane nobiscum, Domine”, indicendo
l’Anno dell’Eucaristia, ha voluto richiamare l’attenzione di tutti i fedeli
circa la necessità della confessione, affinché l’incontro con il Signore possa
realizzarsi con quella degna preparazione, senza la quale sarebbe solo un atteggiamento
superficiale accostarsi a ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo.
D. – Quali sono gli elementi
essenziali per fare bene una Confessione?
R. – Ce li indica molto
chiaramente il Catechismo della Chiesa cattolica. Certamente la contrizione
occupa il primo posto e quando essa è “perfetta” rimette le colpe veniali ed
ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma
risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale. Vi è
poi la confessione dei peccati, cioè l’accusa che ci libera e facilita
la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, sappiamo, l’uomo guarda
in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume le responsabilità
e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa. Altro
elemento è la soddisfazione. Si sa che molti peccati recano offesa al
prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare: ad esempio, restituire cose
rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato. Lo esige la
semplice giustizia. Si sa che l’assoluzione toglie il peccato, ma non porta
rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Da ultimo, vi è la penitenza
che il confessore impone e che deve corrispondere, per quanto è possibile, alla
gravità e alla natura dei peccati commessi.
D. – Ogni quanto tempo
bisognerebbe confessarsi?
R. – Secondo il precetto della
Chiesa, in base al Catechismo della Chiesa cattolica e allo stesso Codice di
Diritto Canonico (can. 989), “ogni fedele, raggiunta l’età della discrezione, è
tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una
volta all’anno”. Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale
non deve ricevere la Santa Comunione, anche se prova una grande contrizione,
senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale, a meno che non gli sia
possibile accedere ad un confessore. Sebbene non sia strettamente necessaria,
la confessione delle colpe quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente
raccomandata dalla Chiesa. In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali
ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive
inclinazioni, a progredire nella vita dello Spirito.
D. – Ma i fedeli oggi non si
sono un po’ allontanati da questo Sacramento?
R. – Papa Luciani, di venerata
memoria, diceva che dopo il Concilio di Trento erano aumentate le confessioni e
diminuite le comunioni: dopo il Concilio Vaticano II, invece, sono aumentate le
comunioni, ma sono diminuite le confessioni. Se teniamo presenti i risultati di
un’indagine effettuata dall’Università Cattolica di Milano alcuni anni fa, è
innegabile che si tratta di “crisi” della confessione sacramentale. Il motivo
di questa crisi sta principalmente nella perdita del senso del peccato e il
Santo Padre, nell’Esortazione apostolica “Reconciliatio et Paenitentia”,
elenca alcuni dei principali motivi di questo diminuito senso del peccato: in
un mondo secolarizzato la presenza di Dio non è più ritenuta rilevante per
l’agire umano; emerge sempre più la preoccupazione di non colpevolizzare e di
non porre freni alla libertà; sempre più scade il senso del peccato, anche in
dipendenza di un’etica che relativizza la norma morale, negando il suo valore
assoluto, negando che possano esistere atti intrinsecamente illeciti. E’ la
stessa nozione di peccato ad essere aggredita. La diminuzione del numero di
confessioni dipende anche dalla disaffezione di molti battezzati verso il Sacramento
della Penitenza: vi sono persone che continuano, anche per lunghi tempi, a
comunicarsi senza mai confessarsi, ritenendo di non averne bisogno e, magari,
con facilità e senza motivi seri lasciano la Messa la domenica. Ci sono persone
che abitualmente vivono nell’inimicizia, che non perdonano e così via e, ciò
nonostante, se si presenta l’occasione (esequie, matrimoni, prime comunioni) si
accostano alla mensa eucaristica senza confessarsi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la
prima pagina il titolo "Il 'Gemelli' avvolto dalla gioia e dalla speranza
di tanti pellegrini": sono incessanti le testimonianze di preghiera e di affetto
per il Santo Padre.
Nelle
vaticane, nel Messaggio al nuovo ambasciatore del Senegal il Papa sottolinea
che l'Africa ha urgente bisogno di pace e di stabilità. Messico: l'omelia del
Ccrdinale Crescenzio Sepe in occasione del conferimento dell'ordinazione
episcopale a mons. Rafael Sandoval Sandoval, vescovo di Tarahumara.
Nelle
estere, in rilievo l'Iraq: nel centro di Baghdad uccisi dalla guerriglia tre
poliziotti.
Libano:
l'Onu chiede a Damasco date precise del ritiro; l'opposizione antisiriana sollecita
il dialogo con Hezbollah.
Nella
pagina culturale, un articolo di Luigi Martellini dal titolo "Si fa tutto
per il tempo, niente per l'eternità": un numero della rivista
"Erasmo" dedicato a Port-Royal.
Nelle
pagine italiane, riguardo all'uccisione di Nicola Calipari in Iraq
l'articolo dal titolo "Berlusconi: con fermezza chiediamo la verità agli
Usa"; l'intervento al Senato apprezzato dal centro sinistra.
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10
marzo 2005
IL LIBANO NELLA CONFUSIONE. IL PRESIDENTE LAHOUD
HA CHIESTO
AL PREMIER USCENTE KARAME DI FORMARE UN NUOVO
GOVERNO.
NEGATIVA LA REAZIONE DELL’OPPOSIZIONE
- Intervista con mons. Béchara Raï -
Passo indietro del Libano. A dieci giorni dalle
dimissioni da premier del filosiriano, Omar Karame, chieste ed ottenute
dall’opposizione scesa in piazza, questa mattina il presidente Lahoud ha
incaricato lo stesso Karame di formare un nuovo governo. Nel Paese, dunque,
ritorna l’incertezza, mentre prosegue il ridispiegamento delle truppe siriane.
Da Beirut, Francesca Fraccaroli:
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Omar Karame ci riprova. Il premier, costretto
dall’opposizione a rassegnare le dimissioni appena dieci giorni fa, stamane è
stato formalmente incaricato di formare un nuovo governo dal presidente Emile
Lahoud. Karame, che già gode del sostegno del Parlamento, si è dato il compito
di creare un esecutivo di unità nazionale, con all’interno forze pro-siriane e
partiti dell’opposizione. Il suo tentativo si prevede arduo: secondo alcuni
mezzi di informazione, è destinato a fallire. L’opposizione, infatti, chiede
che venga fatta chiarezza sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri. “Prima
vengono le indagini sull’attentato del 14 febbraio e solo dopo si potrà parlare
di governo nazionale”, ha commentato la parlamentare Ghenwa Jalloul, una delle
leader dell’opposizione. Resta un mistero anche l’atteggiamento che Karame avrà
nei confronti della Siria, accusata di controllare la vita politica del Libano.
La sua futura coalizione sarà chiamata a negoziare con Damasco il ritiro
definitivo delle truppe di occupazione, richiesta da tutti i libanesi anche se
con motivazioni e tempi diversi.
Da Beirut, per la Radio Vaticana, Francesca Fraccaroli.
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Per un
commento sull’attuale situazione politica in Libano, ascoltiamo mons. Béchara
Raϊ, vescovo di Jbeil dei Maroniti, in Libano, intervistato da Giada
Aquilino:
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R. – Il problema da risolvere è
rappresentato dall’inchiesta riguardo all’assassinio dell’ex premier Hariri,
dal ritiro delle truppe siriane e dei servizi segreti dal Libano e dalla
garanzia per elezioni legislative nel maggio prossimo. Queste sono le tre cose
che l’opinione pubblica domanda. Il problema non è la persona di Karame, ma se
il prossimo governo saprà essere neutrale, capace di rispondere alle richieste
della popolazione.
D. – Il nuovo governo dovrà
definire con Damasco la seconda parte del ritiro siriano dal Libano. Si rischia
una battuta d’arresto?
R. – Se è Damasco a nominare il
governo, sarà un esecutivo di sottomissione. Già gli accordi di Taef del 1989
chiedevano il ritiro dei siriani in due anni e ciò non è avvenuto.
D. – Dopo l’imponente
manifestazione degli Hezbollah e con il nuovo governo Karame, il Paese come
reagirà?
R. – La manifestazione degli
Hezbollah è stata manipolata dalla Siria: quelli che hanno partecipato sono in
maggioranza siriani o affiliati a Damasco. Penso che le manifestazioni
dell’opposizione continueranno e anche i filosiriani hanno già fatto il loro
programma.
D. – Qual è l’auspicio della
Chiesa libanese?
R. – Andare avanti con il
dialogo nazionale, mettersi d’accordo su tutte le questioni interne. La Chiesa
dice che il Libano ha il diritto, come tutti i Paesi, ad essere sovrano nelle
proprie decisioni.
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IL RUOLO DELL’UNIONE EUROPEA NEL RAGGIUNGIMENTO
DEGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO. NE DISCUTE IN QUESTI GIORNI A BRUXELLES
LA COMECE,
COMMISSIONE DEGLI EPISCOPATI DELLA COMUNITÀ
EUROPEA,
RIUNITA IN ASSEMBLEA PLENARIA IN OCCASIONE DEI 25
ANNI DALLA FONDAZIONE
- Con noi mons. Noёl Treanor -
L’importanza dei valori nelle
politiche dell’Unione Europea per il raggiungimento dei cosiddetti Obiettivi di
sviluppo del millennio. Di questo ha discusso stamani a Bruxelles il presidente
della Commissione Europea, José Manuel Durao Barroso, intervenendo
all’assemblea plenaria delle COMECE, la Commissione degli episcopati della
Comunità europea, che oggi festeggia il 25.mo anniversario della fondazione.
Tra gli argomenti in agenda, la revisione della Strategia di Lisbona e i
rapporti dell’Unione con i Paesi confinanti. I vescovi interverranno anche nel
dibattito in corso al Consiglio d’Europa sulla questione dell’eutanasia. Al
microfono di Roberta Moretti, il segretario generale della COMECE, mons.
Noёl Treanor:
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R. –
Noi qui vogliamo lanciare il dialogo con il Commissario responsabile per lo sviluppo,
Louis Michel, e con altri funzionari della Commissione europea, per esaminare
la politica dell’Unione nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Alla base
della scelta di questo tema, oltre alle motivazioni politiche, ci sono anche
motivazioni antropologiche e teologiche, per cercare di coniugare, come sempre,
i valori della dottrina sociale della Chiesa con la realtà e il processo
politico dell’Unione Europea.
D. – Monsignore, ci fa un
bilancio di questi 25 anni di attività
della Comece?
R. – Dialogando con l’Unione
Europea, la Comece ha potuto sempre mettere in evidenza l’importanza della
religione nella vita pubblica europea. In secondo luogo, ha potuto accompagnare
e, di tanto in tanto, arricchire proposte di legge e questioni politiche
dell’Unione Europea. Terzo, ha contribuito allo sviluppo di un’opinione
pubblica europea all’interno delle organizzazioni cattoliche.
D. – Dunque, sono tanti i risultati raggiunti, ma quali sono gli
obiettivi ancora da centrare?
R. – In primo luogo, la Chiesa deve rendersi capace di questo dialogo con
l’Unione Europea. Secondo, ci sono sfide di grande importanza nel campo della
bioetica, dello sviluppo e dei diritti dell’uomo. Terzo, la revisione della
strategia di Lisbona adottata nel 2000, che prevede di fare dell’Unione Europea
la zona più competitiva del mondo entro il 2010, coniugando la competitività
economica, la coesione sociale e il rispetto dell’ambiente. A questo proposito
la Comece sta per pubblicare un documento composto da 8 tesi che cercano di
sottolineare che non si può avere la prospettiva di economia competitiva senza
occuparsi della dimensione sociale e della politica in favore della famiglia,
entità di base della società.
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PER LE RICERCHE SUL RAPPORTO TRA SCIENZA E FEDE,
IL PREMIO TEMPLETON 2005
E’ STATO ASSEGNATO ALLO SCIENZIATO STATUNITENSE
CHARLES TOWNES,
PREMIO NOBEL PER LA FISICA NEL 1964
- Intervista con Charles
Townes -
E’ stato
assegnato ieri pomeriggio allo scienziato statunitense Charles Townes, premio
Nobel per la fisica nel 1964, il premio Templeton 2005. Il riconoscimento viene
attribuito allo scienziato di 89 anni per le sue ricerche sul rapporto tra
scienza e fede. Nell’intervista di Philipa Hitchen, lo stesso Charles Townes ci parla del motivo del suo Nobel, anni
fa, della sua personale esperienza religiosa e dell’importanza della scienza:
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R. – WELL, MY NOBEL PRIZE WAS FOR …
Ho
ricevuto il premio Nobel per la scoperta della tecnologia maser e laser, che
sono strettamente legate. Penso che molte persone sappiano che il laser è un
modo per produrre luce. E’ un raggio molto forte. Il maser fa la stessa cosa
con le microonde. La mia religiosità è una cosa del tutto naturale e personale
e quasi non avrei voluto che si sapesse ma qualcuno mi ha chiesto di parlarne
proprio perché ci sono pochi scienziati che frequentano la Chiesa: un gruppo
della Riverside Church di New York, dove io ero solito andare a Messa, per
primo un giorno mi chiese di parlare della religione proprio in qualità di
scienziato.
D. –
All’epoca del Nobel aveva ricevuto molte critiche per il suo interesse alla
religione, vero?
R. – YES, THAT IS RIGHT …
Sì, è
vero. Questo era l’atteggiamento di molti scienziati ma penso che, in generale,
ora gli scienziati siano più interessati ad una visione religiosa.
D. –
Lei vede la scienza come un importante ponte tra Paesi differenti e culture. So
che alcuni anni fa è andato in Russia per discutere questioni scientifiche con
il presidente Michail Gorbaciov, all’inizio della sua carriera come leader
sovietico…
R. – IT’S QUITE RIGHT …
Sì, è
giusto. La scienza fornisce un ponte naturale che è molto importante. Questo è
dovuto al fatto che la conoscenza genera in molti Paesi diversi una
comunicazione di stampo internazionale, fondamentale per crescere. Gli
scienziati devono cercare di affrontare i problemi in maniera realistica e
veritiera, altrimenti verrebbero subito riconosciuti non come bravi scienziati.
Devono parlare con oggettività e parlare delle cose in maniera realistica. Ma soprattutto
la scienza è un fatto internazionale e penso che sia una risorsa per generare
uno scambio di comunicazione tra i popoli, che è la cosa più importante.
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“MUNCH 1863-1944”: DA OGGI, AL VITTORIANO DI ROMA,
IN MOSTRA
OLTRE 100 OPERE DEL PITTORE NORVEGESE
- Intervista con Achille Bonito Oliva -
“Munch
1863-1944”: si apre oggi al Vittoriano di Roma la grande mostra dedicata al
pittore norvegese, anticipatore dei temi dell’Espressionismo. Oltre cento opere
tra cui circa 60 oli e oltre cinquanta tra acquaforti, litografie e xilografie,
ripercorrono l’intero cammino creativo ed umano dell’artista. L’esposizione
resterà aperta sino al 19 giugno. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
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L’“Urlo”,
un’icona alla quale è consegnata la disperazione della violenza interiore
dell’uomo, opera profetica di paure future. E l’“Urlo” è il grande assente alla
mostra dedicata a Edvard Munch, pittore dell’amore, dell’inquietudine e della
morte. Rubata sei mesi fa, resta l’opera simbolo dell’artista norvegese, ma le
tele che si possono ammirare nella bellissima esposizione allestita al
Vittoriano sono tra i migliori lavori.
Si
tratta senz’altro di un importante avvenimento: è difficile vedere i quadri di
Munch tutti insieme se non andando ad Oslo. Di Munch pochi infatti sono i
dipinti esposti nei principali musei del mondo. Nelle sue tele si incontrano fantasmi, volti simili a teschi, il
dolore, la morte, la malattia, condizione conosciuta da Munch sin
dall’infanzia, con la prematura scomparsa della madre e di una delle sorelle,
rivissuta nel quadro “morte nella camera della malata”. Nei suoi lavori si
staglia quella sofferta condizione umana che ad un tratto in Munch esplode in
follia, tanto da essere ricoverato per diversi mesi in una clinica. “Nella casa
della mia infanzia – scriveva - abitavano malattia e morte. Non ho mai superato
l’infelicità di allora … così vissi con i morti”.
Paesaggi
dai cieli infuocati, pennellate di rosso e viola, il sangue ed il lutto, come
in “Disperazione”, la tela preferita da Achille Bonito Oliva, uno dei curatori
della mostra:
R. – La
‘Disperazione’ è il mio quadro preferito, perché c’è tutto: c’è un interno che
diventa esterno, la disperazione che diventa pittura, uno sguardo chiuso verso
il basso, una compostezza e un silenzio profondo. Dunque, è uno che ha
anticipato, alla fine dell’Ottocento, quasi l’avvento del Terzo Millennio sotto
il segno della violenza, della malattia, dell’anomalia, che però appartengono
alla realtà, non vanno quindi rimossi ma vanno rappresentati. La violenza, il
terrorismo, la malattia, l’handicap ... in qualche modo appartengono
all’umanità e posso anche arrivare a dire che appartengono alla bellezza
dell’umanità. Non c’è nulla che sia brutto, nel mondo, a mio avviso, purché si
crei la capacità di una coesistenza. E
Munch ci fa coesistere con il dolore, con l’‘Urlo’, con la ‘Disperazione’, con
la malinconia”.
D. –
Quale criterio è stato seguito per allestire questa esposizione?
R. –
L’idea è di rappresentare a tutti il percorso, da quando incomincia e con tutte
le opere con cui lui ha anticipato l’espressionismo. Pensate che
l’espressionismo viene molto, molto, molto dopo Munch. Anche la
trans-avanguardia, in qualche modo un movimento meteorizzato alla fine del XX
secolo, è anche tutta già in questo quadro.
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10
marzo 2005
LA BOLIVIA RITROVI EQUILIBRO INTERNO E FIDUCIA
NELLE ISTITUZIONI
PER SUPERARE, NEL SEGNO DELLA CONCORDIA SOCIALE,
LE TENSIONI ATTUALI.
E’ L’INVITO DEI PRESULI DEL PAESE, IN UNA NOTA
DELLA CONFERENZA EPSICOPALE
LA PAZ. = Un appello alla
“tregua sociale” per affrontare le sfide nazionali più urgenti “con la serenità
e l’efficienza necessarie”. I vescovi della Colombia - riferisce l’Agenzia Fides
- si rivolgono con una nota ai loro connazionali, in un periodo di forti
tensioni civili, sfociate con le dimissioni, poi rientrate, del capo dello Stato,
Carlos Mesa. “Negli ultimi giorni siamo testimoni di posizioni e misure
radicali che provocano una situazione di incertezza generale”, scrive la
Conferenza episcopale boliviana. “La congiuntura – prosegue - richiede
corresponsabilità e patriottismo, maturità umana, sociale, politica e
spirituale; uno sforzo sincero da parte di tutti, un atteggiamento di
disinteresse e di disarmo spirituale”. I vescovi del Paese latinoamericano
ribadiscono la loro fiducia nel sistema democratico “come migliore ipotesi per
la convivenza fraterna dei boliviani”. “E’ giunto il momento – affermano - di
riprendere il dialogo e la capacità di concertazione; è necessario assumere la
corresponsabilità del grave momento che viviamo partendo dalle organizzazioni
sociali, politiche, istituzionali, nazionali e regionali, per difendere ciò che
abbiamo conseguito fino ad oggi”. I presuli chiedono inoltre “a tutti gli
attori sociali e politici una tregua sociale per affrontare i temi nazionali
più urgenti con la serenità e l’efficienza necessarie”, senza pregiudizi
personali. “Esprimiamo alla comunità nazionale ed internazionale la nostra
ferma convinzione e fiducia nel fatto che - conclude il documento - il popolo
boliviano sarà capace ancora una volta di superare queste difficoltà,
conquistando una maggiore maturità e cultura democratica che ci permetta di
contribuire ad una pace duratura, basata su giustizia, verità, solidarietà ed
amore”. (A.D.C.)
LA SVIZZERA HA BISOGNO DI
MISURE PIU’ UMANE PER L’ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI.
CRISTIANI ED EBREI ELVETICI CRITICANO IL NUOVO
PROVVEDIMENTO
SUL DIRITTO D’ASILO, GIUDICATO TROPPO RESTRITTIVO
RISPETTO ALLA TENDENZA PREVALENTE IN EUROPA
- A cura di Lisa Zengarini -
BERNA. = Le Chiese cristiane e
le comunità israelitiche della Svizzera intervengono contro la nuova riforma
del diritto di asilo, che modifica in senso ancora più restrittivo la normativa
vigente in materia. L’appello è contenuto in una lettera congiunta inviata ai
membri del Consiglio degli Stati, l’organo legislativo che rappresenta i
Cantoni della Confederazione, chiamato a discutere il provvedimento nelle
prossime settimane. Nella lettera, i due gruppi religiosi giudicano la nuova
normativa troppo severa e chiedono una politica di asilo più umana. Quattro sono,
in particolare, i rilievi critici mossi nei riguardi del provvedimento. Il primo
riguarda la sostituzione del termine di “ammissione
umanitaria” con quello di “ammissione
provvisoria”: termine questo, fanno notare, in contrasto con la giurisprudenza
internazionale oggi prevalente, che riconosce lo status di rifugiato, e che,
dunque, allontana la Svizzera dall’Europa. La lettera critica poi la drastica limitazione
dei soccorsi di emergenza ai richiedenti asilo, che viola i più elementari
diritti umani e la stessa Costituzione elvetica, secondo la quale qualsiasi essere
umano in gravi difficoltà ha diritto di ricevere soccorso. Analogamente, le
Chiese cristiane e le comunità israelitiche della Svizzera ritengono disumana
l’esclusione dall’assistenza sociale di tutti i richiedenti respinti dalle
autorità elvetiche. Esse chiedono, infine, una minore rigidità per i richiedenti
asilo che entrano nel Paese sprovvisti di documenti: proprio perché
perseguitati nelle rispettive nazioni di provenienza - osservano - molti non
sono in grado di presentarli.
APPELLO DI AMNESTY INTERNATIONAL AL GOVERNO DI
DAMASCO
PERCHE’ PONGA FINE ALLA VIOLAZIONE DEI DIRITTI
UMANI AI DANNI
DEI CURDI SIRIANI, SOTTOPOSTI A MALTRATTAMENTI E
TORTURE
DAMASCO.
= “Le autorità siriane devono aprire un’inchiesta sulla reazione sproporzionata
delle forze di sicurezza all’indomani degli incidenti del marzo 2004. Devono indagare
sulle uccisioni illegali, sul massiccio ricorso alla tortura e sulle morti che
ne sono scaturite”. E’ quanto si legge in un Rapporto di Amnesty International
sulla Siria, pubblicato oggi, in cui sono esaminate le violazioni dei diritti
umani contro i curdi, in seguito agli incidenti del 2004 durante un incontro di
calcio tra una squadra curda e una araba a Qamishli. In seguito a
quell’episodio, ci furono una serie di manifestazioni non violente in tutto il
Paese, durante le quali tuttavia 30 curdi persero la vita e più di 2000 persone
furono arrestate e in seguito - riferisce il Rapporto - sottoposte a terribili
maltrattamenti e torture. Per questo motivo Amnesty International fa appello al
governo di Damasco affinché ponga immediatamente fine alle violazioni dei
diritti umani perpetrate contro i curdi. Sempre dal rapporto emerge inoltre che
questa popolazione è sottoposta a sistematiche e atroci discriminazioni.
Infatti non le è concessa nemmeno la libertà di usare la propria lingua
nell’istruzione, nei luoghi di lavoro, nelle celebrazioni private e negli
uffici dell’amministrazione pubblica. I curdi, dopo gli arabi, costituiscono il
secondo gruppo etnico della Siria. (M.V.S.)
CARITAS INTERNATIONALIS CELEBRA I PRIMI DIECI ANNI
DI ATTIVITA’ SOLIDALE
IN COREA DEL NORD, UN PAESE CHE – AFFERMA
L’ORGANISMO CATTOLICO –
NONOSTANTE
SEGNALI DI PROGRESSO, HA URGENZA DI MIGLIORAMENTI STRUTTURALI
PYONYANG.
= Negli ultimi cinque anni la Corea del Nord ha sperimentato "alcuni cambiamenti
in positivo, ma ci sono ancora molte esigenze da soddisfare": è la Caritas
Internationalis ad affermarlo, allo scadere del primo decennio di attività
nella Repubblica Democratica Popolare di Corea (DPRK), ricorrenza celebrata con
un viaggio del segretario generale della confederazione cattolica, Duncan MacLaren.
Kaethi Zellweger, della Caritas di Hong Kong, che ha accompagnato MacLaren
nella visita e più volte è stata lei stessa nella DPRK, ha sottolineato l'importanza
della crisi energetica che ha “un significativo impatto sulla produzione industriale,
sui raccolti nei campi e sulla vita quotidiana di persone costrette a vivere in
un clima spesso rigido”. Il segretario generale di Caritas Internationalis, che raggruppa 162 organizzazioni cattoliche
attive in 200 Paesi nei settori degli aiuti, dello sviluppo e del sociale, ha
aggiunto di essere rimasto sconcertato dallo stato delle strutture sanitarie in
Corea del Nord. I macchinari erano “da museo della medicina” e “in un ospedale
destinato ad accogliere circa 60.000 persone, gli unici farmaci erano quelli
forniti dalla Caritas”. MacLaren si è detto però “colpito dall’impegno dei
medici a curare i pazienti nonostante l’attrezzatura obsoleta”. L’ultimo
appello lanciato da Caritas ai “donors” nel 2004 per la Corea del Nord era per
due milioni e mezzo di dollari e uno analogo verrà lanciato il prossimo aprile.
(A.D.C.)
LA DONNA PROTAGONISTA NELLA COSTRUZIONE DELLA PACE
E DEL DIALOGO
NEL MONDO: IL TEMA SVILUPPATO OGGI IN UN CONVEGNO
ORGANIZZATO
DAL PONTIFICIO ATENEO REGINA APOSTOLORUM E DALL’UNIVERSITA’ EUROPEA
DI ROMA
ROMA.
= Gli esseri umani desiderano la pace: personale, sociale e mondiale.
L’autentica cultura della pace si costruisce sul rispetto e sulla promozione
dei valori universali della persona umana, sull’educazione al dialogo sociale
ed internazionale. La donna è protagonista nella costruzione della pace. Come
custode della vita, è stata sempre la grande forza umanizzatrice della società.
Sono alcuni dei temi che, da questa mattina e fino alle 18.00 di oggi, sono al
centro di un Congresso internazionale organizzato dall’Istituto di Studi
Superiori sulla Donna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e
dall’Università Europea di Roma. Il congresso, che si tiene presso lo stesso
Ateneo pontificio, si intitola “Donna e cultura della pace” e vede nell’agenda
degli interventi numerosi relatori di prestigio, tra i quali il ministro
italiano delle Politiche comunitarie, Rocco Bottiglione; il vescovo ausiliare
di Budapest, László Biró; la parlamentare europea francese, Elizabeth Monfort,
e un folto gruppo di docenti italiani e internazionali. Le conclusioni saranno enunciate
da padre Paolo Scarafoni, rettore dell’Ateneo. (A.D.C.)
SARA’ IL CARDINALE FRANCIS ARINZE A TENERE LA
MEDITAZIONE
PER IL CICLO DI RIFLESSIONI E MUSICA DEI GIOVEDI’
DI QUARESIMA
IN SANTA MARIA MAGGIORE
ROMA. = Nel quadro degli
"Incontri di riflessione e musica per la Quaresima", organizzati nei
cinque giovedì di Quaresima alle 20.30 dalla Basilica di S. Maria Maggiore, su
iniziativa dell'Arciprete cardinale Bernard Francis Law, il cardinale Francis
Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,
proporrà questa sera una meditazione sul tema “Eucaristia come vero culto di Dio: l'apostolicità della Chiesa e la ragione
per la vera Chiesa”. Nel corso dell'incontro verranno eseguiti brani
musicali dal Coro Polifonico del Pontificio Istituto di Musica Sacra, diretto
da mons. Valentino Miserachs Grau.
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10
marzo 2005
- A cura
di Barbara Castelli -
L’Iraq
ancora in preda alla violenza. Morto questa mattina nella capitale il capo di
una stazione di polizia. Il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, intanto,
è intervenuto ieri al Senato sulla morte del funzionario dei
servizi di sicurezza, Nicola Calipari. Il servizio di Barbara Castelli:
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Non
passa giorno in Iraq senza che sia versato sangue. Il capo di una stazione di
polizia del centro di Baghdad è stato assassinato questa mattina in pieno centro,
insieme con altri due agenti. I tre poliziotti sono caduti in un’imboscata
mentre erano a bordo di un’auto in piazza Daruish a Saydiya, vicino alla Zona
verde, l’area blindata nel centro della
capitale irachena dove si trovano gli
uffici del governo e le ambasciate straniere. I cadaveri di altri quattro
iracheni assassinati da ignoti sono stati ritrovati dalla polizia nella
provincia occidentale di al-Anbar: erano tutti soldati governativi, giustiziati
a colpi di arma da fuoco. Sei iracheni poi sono stati uccisi in diversi
attacchi compiuti stamani nella regione a nord di Baghdad. Sul piano politico
proseguono gli sforzi nella ricerca della normalità. Il presidente del
Parlamento uscente, Fouad Maassoum, ha convocato per il prossimo 16 marzo
l’Assemblea Nazionale irachena, eletta lo scorso 30 gennaio. Il premier
iracheno ad interim, Iyad Allawi, invece, è giunto ieri a sorpresa in
Giordania, in cerca di appoggio alla sua candidatura a capo del governo. In
Italia, intanto, continua a tenere banco la drammatica vicenda del funzionario
del Sismi, Nicola Calipari, morto lo scorso 4 marzo in Iraq dopo la liberazione
della giornalista del quotidiano “Il Manifesto”, Giuliana Sgrena.
“L’atteggiamento di fermezza era l’unico che il governo potesse assumere”: ha
detto ieri il premier, Silvio Berlusconi, riferendo al Senato sulla vicenda.
“Proprio perché la nostra amicizia con il governo ed il popolo americani è
forte e leale – ha aggiunto – abbiamo il dovere di esigere da loro la massima
collaborazione per raggiungere la verità dei fatti ed individuare le
responsabilità”. Sempre ieri, il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, ha ribadito
che per la liberazione della giornalista italiana “il governo italiano
non ha mai avviato alcuna trattativa in cambio di denaro”.
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Si riaccende la tensione in Medio
Oriente. Soldati
israeliani hanno ucciso questa mattina a colpi di arma da fuoco un palestinese,
sospettato di coinvolgimento nell’attentato suicida del 25 febbraio scorso. Il
28.enne era un esponente della Jihad Islamica. L’azione terroristica in un bar
a Tel Aviv – ricordiamo - causò la morte di cinque civili, oltre al kamikaze, e
il ferimento di altre 53 persone.
Il
segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, chiederà oggi alla comunità
internazionale uno sforzo ampio per combattere il terrorismo, anche attraverso
la lotta contro altre minacce, come l’estrema povertà, le malattie, la degradazione
ambientale e le armi di distruzione di massa. Nel discorso che pronuncerà alla
chiusura del vertice su democrazia e terrorismo a Madrid, in Spagna, il capo
del Palazzo di Vetro sottolineerà, inoltre, l’importanza di giungere ad una
definizione del terrorismo e ad una convenzione internazionale per combattere
questa minaccia.
L’Iran
sarebbe venuto in possesso di centrifughe utilizzabili per la realizzazione di
armi nucleari grazie a Abdul Qadeer Khan, il padre della bomba atomica
pachistana. Lo ha reso noto oggi il ministro dell’Informazione pachistano,
Sheikh Rashid Ahmed, che ha tenuto a puntualizzare che il governo è completamente
estraneo alla vicenda. In passato le autorità di Islamabad hanno annunciato che
lo scienziato ha rivelato i segreti per costruire armi nucleari a Corea del
Nord, Libia e Iran, ma non era stato chiarito il tipo di aiuto fornito a questi
Paesi. Teheran sostiene da sempre che il suo programma nucleare ha finalità
pacifiche, ma secondo gli Stati Uniti il regime iraniano mira a procurarsi armi
nucleari.
I ribelli indipendentisti ceceni
hanno scelto il successore di Aslan Maskhadov, il loro leader politico ucciso
due giorni fa dalle truppe speciali russe nel villaggio di Tolstoj-Yurt, a nord
di Grozny. Si tratta di Abdul-Khalim Saidullayev, una figura poco nota che,
tuttavia, lo stesso Mashkadov aveva designato due anni fa. La famiglia di
Maskhadov, intanto, ha rivolto un appello al mondo, in particolare
all’Occidente, affinché esercitino pressioni su Mosca per indurla a restituire
il corpo del defunto ai congiunti, così che essi possano dargli degna
sepoltura.
Cambio al
vertice di Hong Kong: questa mattina il capo del governo, Tung Chee-Hwa, ha
rassegnato le proprie dimissioni, con due anni di anticipo sul termine del mandato.
Ufficialmente, alla base della scelta, ci sarebbero “motivi di salute”. Ma le
ragioni sono altre, come conferma padre Bernardo Cervellera, direttore di
AsiaNews, al microfono di Roberto Piermarini:
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R. – La popolazione di Hong Kong l’aveva criticato
tantissimo per le sue performance economiche, che erano state disastrose. Ha
portato il territorio ad un abbassamento spaventoso dell’economia e poi ha
anche frenato tutte le spinte democratiche. La Cina ha dovuto accettare in
pratica la spinta della popolazione. C’è da dire anche un’altra cosa: il
patron, il difensore di Tung Chee-Hwa era Jang Zemin. Ora a questa Assemblea
nazionale del popolo, Jang Zemin è passato dietro le quinte. Ha perso l’ultima
carica di presidente della Commissione militare nazionale, quindi in qualche
modo non ha più nessun potere ufficiale ed è per questo che Tung Chee-Hwa viene messo da parte anche lui.
D. – A questo punto potrebbe esserci un contrasto tra la
popolazione di Hong Kong e il governo di Pechino?
R. – Certo, perché da un certo punto di vista la
popolazione di Hong Kong ha sempre detto di voler determinare chi sarà il
futuro capo dell’esecutivo con elezioni dirette del governatore. Pechino,
invece, vuole determinare tutto a partire da se stesso e quindi, naturalmente,
c’è la differenza tra una possibile dittatura di Pechino su Hong Kong ed una
spinta ancora democratica.
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Ennesima
tragedia in Cina. Almeno 16 minatori sono morti ieri a causa di un’improvvisa
esplosione di gas nello Shanxi, nel nord del Paese. Altri 29 operai risultano
ancora intrappolati nelle gallerie. Questa tragedia è solo l’ultima di una
lunga serie, nella quale nel 2004, secondo dati ufficiali, sono morti più di
sei mila minatori.
Sono saltati all’improvviso i colloqui tra serbi ed
albanesi, in programma oggi a Pristina, per far luce sulla sorte di oltre 3 mila
civili di entrambe le etnie scomparsi nel conflitto. Sono stati gli albanesi
del Kosovo a cancellare il vertice, in segno di protesta contro le accuse “per
crimini di guerra” mosse contro l’ex premier, Ramush Haradinaj. L’uomo politico
ha immediatamente rassegnato le proprie dimissioni e si è presentato davanti ai
giudici dell’Aja. Proprio per alleggerire e proseguire il lavoro del Tribunale
sulla ex Jugoslavia, ieri è stata inaugurata a Sarajevo, in Bosnia, la prima
Corte statale per crimini di guerra. Ce ne parla Emiliano Bos:
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Un’istituzione che ha consentito
alla Bosnia di dispensare giustizia, un fatto essenziale per un Paese che
rivendica la piena sovranità come Stato. Così l’Alto rappresentante della
comunità internazionale in Bosnia, Paddy Ashdown, ha presentato la nuova struttura
giuridica, alla presenza di un centinaio di rappresentanti locali e stranieri.
Un passo avanti verso la riconciliazione, l’ha definita Carla Del Ponte, procuratore
capo della Corte dell’ONU per l’ex Jugoslavia. A questo nuovo dipartimento del
tribunale statale di Sarajevo dovrebbero essere trasferiti alcuni dei casi
attualmente seguiti dal Tribunale penale dell’Aja, chiamato a concludere la sua
attività entro il 2010. Proprio ieri si è consegnato ai giudici dell’Aja Ramush Haradinaj, l’ex comandante della
guerriglia dell’UCK e primo ministro del Kosovo, che si era dimesso martedì
dopo l’imputazione di crimini di guerra per il ruolo svolto durante il
conflitto tra serbi e albanesi nel 1998-’99.
Per la Radio Vaticana, Emiliano
Bos.
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Trasferiamoci
in Rwanda, dove stamani, dopo numerosi rinvii, aprono i processi affidati ai
“Gacaca”. I tribunali popolari hanno il compito di affiancare la magistratura ordinaria
nei procedimenti contro le decine di migliaia di persone incarcerate con l’accusa
di aver partecipato al genocidio. Tra aprile e luglio del 1994, nel Paese
africano vennero massacrate tra mezzo milione e 800.000 persone per mano degli
estremisti hutu; altre migliaia furono poi uccise durante la vendetta tutsi nei
mesi successivi.
Nonostante il
processo di pace sia ormai a buon punto, in Burundi non si placano gli scontri.
Protagonisti, i miliziani delle Forze nazionali di liberazione: gli unici, dei
sette gruppi di ribelli, a non avere ancora firmato l’accordo con il governo.
Ieri sera, in un combattimento nella zona sud-orientale di Bujumbura, almeno
due guerriglieri sono stati uccisi dall’esercito. L’esecutivo, tuttavia, ha confermato
l’esistenza di trattative, in vista di una possibile tregua.
Gli
Stati uniti si sono ritirati dal protocollo della Convenzione di Vienna. Lo
rende noto il segretario di Stato, Condoleeza Rice, in una lettera indirizzata
al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Il protocollo, proposto
da Washington nel 1963 e ratificato nel 1969, fa intervenire la Corte
internazionale di giustizia nei casi in cui viene rifiutato a persone sospette
detenute all’estero il diritto di vedere un diplomatico del proprio Paese.
Sciagura
aerea in Messico. Un elicottero delle autorità giudiziarie è precipitato in una
zona montagnosa nel sud del Paese e le 11 persone a bordo sono morte. Una squadra della polizia scientifica è sul
posto per accertare le cause del disastro. La procura, infatti, sottolinea che
la zona è infestata di “piantagioni illecite, dove gli elicotteri delle autorità
sono regolarmente attaccati”.
Si è
arreso questa mattina l’ultimo dei banditi che avevano fatto irruzione in una
banca della Costa Rica, sequestrando una ventina di persone. Lo ha annunciato
il ministro della Sicurezza, Rogelio Ramos. Il malvivente ha liberato l’ultimo
ostaggio e si è arreso spontaneamente e senza condizioni. Nove persone, cinque
ostaggi, tre banditi e un poliziotto, sono morte nel corso della rapina, cominciata
martedì pomeriggio.
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