RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
66 - Testo della trasmissione lunedì 7 marzo 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Al via oggi a Madrid la 74.ma Assemblea plenaria della Conferenza
episcopale spagnola
Annullata in Niger una cerimonia per la liberazione di circa 7.000 schiavi
Il
presidente boliviano Carlos
Mesa ha annunciato le proprie dimissioni in seguito all’incapacità del governo
di far fronte alle continue manifestazioni protesta che colpiscono il Paese
7
marzo 2005
CONTINUANO A MIGLIORARE
LE CONDIZIONI DEL PAPA
CHE POTREBBE TORNARE IN VATICANO ENTRO LA
SETTIMANA SANTA
- Intervista con Joaquín Navarro-Valls -
Continuano
a migliorare le condizioni di salute del Papa, ricoverato da 12 giorni al
Policlinico Gemelli per l’operazione di tracheotomia. E’ quanto ha dichiarato
oggi il direttore della Sala Stampa vaticana Joaquín Navarro-Valls. Il prossimo
comunicato sarà reso noto giovedì prossimo, 10 marzo, alle 12.30. Ma ascoltiamo
il dott. Navarro-Valls al microfono di Sergio Centofanti:
**********
R. – Continua il miglioramento delle condizioni
generali del Santo Padre, che consente al Papa di trascorrere in poltrona
lunghi periodi della giornata. Non si sono verificate complicanze connesse
all’intervento di tracheotomia. Si osserva un continuo miglioramento della
fonazione anche grazie alle quotidiane sedute
di riabilitazione. Peraltro, è stata prescritta una prudente limitazione
dell’impiego della voce al fine di favorire un migliore recupero della funzione
laringea.
D. – Quando lascerà il
Papa l’ospedale?
R. – Una domanda alla quale, al momento opportuno,
potranno rispondere i medici ma io direi che si prevede che la Settimana Santa
il Papa possa già essere in Vaticano.
D. – E riguardo i riti
della Settimana Santa?
R. – Una volta rientrato
in Vaticano, il Papa deciderà le modalità della sua presenza nell’una o nell’altra
delle celebrazioni previste. Come calendario, naturalmente, in quanto
calendario, tutto rimane com’era.
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Ma colleghiamoci con il
Policlinico Gemelli dove c’è il nostro inviato Alessandro De Carolis:
**********
Il Papa migliora, dunque, e la
notizia viene subito rilanciata dai cronisti che presidiano ormai da 12 giorni
il Gemelli. Il portavoce dell’ospedale romano, Nicola Cerbino, ha dato lettura
del comunicato in contemporanea con la Sala Stampa vaticana. Ma più che sui
costanti miglioramenti di salute del Pontefice, conosciuti e attesi,
l’attenzione dei giornalisti oggi si è spostata in particolare sulle notizie in
arrivo proprio dalla Sala Stampa, relative alle dichiarazioni del portavoce
vaticano, Navarro-Valls, sulla possibilità che Giovanni Paolo II possa vivere
in prima persona i riti della prossima Settimana Santa.
Intanto al Pontefice – che ieri,
lo ricordiamo, ha vissuto il suo secondo Angelus senza poter parlare, ma
mostrandosi comunque dalla finestra chiusa al migliaio di fedeli radunatosi nel
piazzale del Policlinico e indirizzando un saluto speciale, attraverso mons.
Leonardo Sandri, agli ebrei e ai musulmani che pregano per lui – continuano ad
arrivare, specialmente via fax, numerosi messaggi augurali: qualcuno anche un
po’ eccentrico, come quello di un devoto che ha fatto recapitare al Pontefice
un quadro pregandolo di firmarglielo e di farglielo riavere. Al di là del
folklore, peraltro inevitabile in simili circostanze, ricordiamo anche (per
concludere) due visite di rilievo qui al Policlinico, avvenute ieri pomeriggio:
quella del cardinale arcivescovo di Lima, Cipriani Thorne, e di una delegazione
di vescovi della Tanzania, che oggi iniziano la loro visita ad Limina.
Dal Policlinico Gemelli,
Alessandro De Carolis, Radio Vaticana.
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FEDE E VALORI TORNANO NEI DUE MESSAGGI CHE
GIOVANNI PAOLO II HA INVIATO
DAL GEMELLI AI DUE NEO AMBASCIATORI DI GRECIA E DI
AUSTRIA,
RICEVUTI IN VATICANO DAL CARDINALE SODANO, A NOME
DEL PAPA,
PER LA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI
L’impronta del cristianesimo in
Europa e i valori da difendere sono al centro dei due messaggi inviati dal Papa
dal Gemelli in occasione della presentazione delle Lettere credenziali del
nuovo ambasciatore della Repubblica ellenica presso la Santa Sede, Stavros
Lykidis, e del nuovo ambasciatore d’Austria, Helmut Turk, ricevuti in Vaticano
dal Segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano. Il servizio di Fausta
Speranza:
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Il pensiero dell’apostolo Paolo
che ha fondato le prime comunità cristiane in Europa è nella mente del Papa
quando si rivolge al nuovo ambasciatore di Grecia. Ricorda quanto l’Europa
porti l’impronta del cristianesimo affermando che l’Unione Europea “appare come
un modello di volontà politica in
favore dei popoli e della pace”. E ricorda che nei Giochi
Olimpici, l’anno scorso ad Atene, si è manifestato “il desiderio di fraternità
degli uomini, che può vincere l’odio e la violenza”. E la Santa Sede appoggia
ogni impegno al dialogo, spiega il Papa sottolineando l’importanza di
rafforzare le istituzioni internazionali e la necessità di una “coraggiosa
politica di sviluppo” in favore dei Paesi più poveri, in particolare quelli
africani.
Con il saluto particolare
rivolto alle comunità di fedeli cattolici che vivono in Grecia, il Papa ricorda
che si tratta soprattutto di gruppi piccoli e dispersi e si appella al governo
chiedendo che la Chiesa cattolica abbia statuto giuridico, che sarebbe il segno
del riconoscimento pieno dei suoi diritti, come avviene nella maggioranza dei
Paesi in Europa”.
C’è poi il messaggio rivolto al
nuovo ambasciatore d’Austria presso la Santa Sede, ricevuto anche lui dal
cardinale Sodano a nome del Papa. Ricordando le relazioni centenarie e
tradizionalmente buone tra Austria e Santa Sede, Giovanni Paolo II auspica che
saranno anche in futuro la “base solida di una cooperazione fruttifera tra
Stato e Chiesa”. Ricorda all’Austria la sua vocazione politica nel grande
contesto europeo: quella di un Paese-ponte che - aggiunge - nel presente e in
futuro può dare molto all’Europa e al mondo. Ricorda l’allargamento dell’Unione
Europea ad Est ribadendo che l’Unione deve essere una comunità di valori e
ribadisce l’importanza di politiche a favore della vita. Torna con la mente ai
suoi tre viaggi in Austria e anche al raduno delle Chiese dell’Europa dell’Est,
svoltosi l’anno scorso a Mariazell, che – sostiene – ha ricordato l’identità
cattolica dell’Austria. E aggiunge che anche i funerali del cardinale Franz
König hanno mostrato davanti al mondo che al di là delle domande critiche
rivolte alla Chiesa e al di là della forte secolarizzazione una parte
importante degli austriaci è attaccata alla fede cristiana.
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CONCLUSA IN VATICANO LA PLENARIA DELLA
CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO:
INVITO A TORNARE NELLE CELEBRAZIONI AL SILENZIO,
ALLA CONTEMPLAZIONE
E ALLO STUPORE DI FRONTE AL MISTERO EUCARISTICO
- Intervista con il cardinale Francis Arinze -
Si è
conclusa in questi giorni in Vaticano l’Assemblea plenaria della Congregazione
per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti. Al centro dei lavori l’Ars
celebrandi, cioè l’arte di celebrare, un tema particolarmente sentito soprattutto
in quest’Anno dell’Eucaristia. In proposito Giovanni Peduto ha intervistato il
cardinale Francis Arinze, prefetto del dicastero:
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R. – L’arte di celebrare è in realtà saper pregare.
L’arte di celebrare, quindi, privilegia il silenzio, la contemplazione, il
senso dello stupore davanti al mistero che celebriamo.
D. – Il Papa ha invitato i
fedeli a specializzarsi per l’appunto nell’arte della preghiera …
R. – Sì, perché la preghiera
personale viene alimentata dalla
preghiera eucaristica, e così la preghiera della comunità. Dobbiamo essere
allora tutti attenti ai momenti di silenzio durante le celebrazioni, specialmente
durante la Santa Messa. In questo senso è molto importante la meditazione prima
della Messa, dopo la Comunione e dopo la Messa.
D. – Cosa sta portando di nuovo
quest’Anno eucaristico?
R. – Il fatto che abbiamo più
coscienza della necessità di ritornare allo stupore davanti al grande mistero
dell’Eucaristia: dobbiamo ritornare al grande rispetto per nostro Signore in
questo dono inestimabile dell’Eucaristia. E questo rispetto si esprime nel modo
di celebrare, nel modo di ricevere Gesù e nell’adorazione eucaristica.
D. – Altre novità emerse da
questa Plenaria, che lei vuole mettere in risalto?
R. – I vescovi e i cardinali hanno sottolineato l’importanza della
formazione liturgica, che è una necessità per tutti: seminaristi, sacerdoti,
vescovi, religiosi, religiose e laici. Tutti noi dobbiamo fare progressi in ciò
che pensiamo di conoscere già.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la
prima pagina, in riferimento alla preghiera dell’Angelus, il titolo “Il grazie
universale del Papa”.
Nelle
vaticane, il Messaggio del Papa in occasione della terza Giornata Europea degli
Universitari.
Nel
Messaggio al nuovo ambasciatore, il Papa esorta affinché tra Austria e Santa
Sede i secolari rapporti si configurino anche in futuro come basi solide di una
feconda collaborazione fra Stato e Chiesa.
Nel
messaggio al nuovo ambasciatore di Grecia, Giovanni Paolo II sottolinea che il
Paese deve continuare ad avere un ruolo importante all’interno dell’Unione Europea.
Nelle
estere, Iraq: vi sono tanti punti oscuri sull’uccisione di Nicola Calipari - La
Casa Bianca promette “un’inchiesta completa” sul tragico avvenimento legato
alla liberazione di Giuliana Sgrena.
Medio
Oriente: nuovi segnali di distensione tra Israele ed Autorità Palestinese.
Nella
pagina culturale, un articolo di Anna Bujatti dal titolo “L’‘ambizione’ di Matteo
Ricci: far sbocciare il fiore della cristianità nella fertile terra del Drago”:
in una mostra al Vittoriano l’incontro tra la civiltà europea e cinese tra il
1580 ed il 1610.
Nelle
pagine italiane, in primo l’articolo dal titolo “Grata e ammirata l’Italia s’inchina
al suo eroe, vittima di una guerra senza nome”: a Santa Maria degli Angeli i
funerali di Stato di Nicola Calipari dopo l’ininterrotto pellegrinaggio al Vittoriano.
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7 marzo 2005
L’ITALIA COMMOSSA
TRIBUTA L’ESTREMO SALUTO A NICOLA CALIPARI. STAMANI, NELLA BASILICA ROMANA DI
SANTA MARIA DEGLI ANGELI,
I SOLENNI FUNERALI DI STATO DEL FUNZIONARIO DEL SISMI,
MORTO EROICAMENTE PER SALVARE GIULIANA SGRENA.
“IL SUO SACRIFICIO NON VADA DISPERSO”, HA AFFERMATO
L’ORDINARIO MILITARE, MONS. BAGNASCO, NELL’OMELIA.
IL GRAZIE DEL FRATELLO, DON MAURIZIO, A QUANTI
SONO STATI VICINI ALLA FAMIGLIA
Ultimo
commosso abbraccio dei famigliari e di tutta l’Italia per Nicola Calipari, il
funzionario del Sismi - ucciso venerdì scorso a Baghdad dal fuoco americano -
dopo aver negoziato la liberazione del giornalista Giuliana Sgrena. Stamani,
nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli si sono tenuti i solenni
funerali di Stato alla presenza di tutte le più alte cariche istituzionali.
Nell’omelia, l’ordinario militare d’Italia, mons. Angelo Bagnasco, ha chiesto
che il sacrificio del valoroso funzionario del Sismi non vada disperso. Il fratello
di Nicola Calipari, don Maurizio, officiale della Pontificia Accademia per la
Vita, ha ringraziato il Santo Padre e quanti in questo momento drammatico sono
stati vicini alla sua famiglia. Con mons. Bagnasco hanno concelebrato anche
l’arcivescovo Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita,
e mons. Vittorio Mondello, arcivescovo di Reggio Calabria, città dove Nicola
Calipari era nato 51 anni fa. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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(musica – Il Silenzio)
Eroe dal volto umano, uomo
semplice ma capace di un gesto straordinario: l’estremo sacrificio per
proteggere la vita che gli era stata affidata. Nicola Calipari ha ricevuto in
queste ore in modi diversi l’omaggio, sinceramente commosso, di tutti gli italiani.
Lo hanno fatto semplici cittadini, autorità politiche, colleghi della Polizia
di Stato e del Sismi, che ne hanno apprezzato la professionalità e l’umanità.
Con particolare e comprensibile emozione, i famigliari della Sgrena e i
giornalisti de “Il Manifesto”, che hanno potuto riabbracciare Giuliana grazie
all’eccezionale coraggio del funzionario del Sismi, si sono stretti attorno
alla vedova di Calipari, Rosa e ai figli Silvia e Filippo. In centomila si sono
recati ieri alla camera ardente al Vittoriano per questo generoso servitore
dello Stato. Migliaia hanno voluto accompagnare oggi i funerali, dentro e fuori
la Basilica romana di Santa Maria degli Angeli. Nell’omelia, l’ordinario
militare d’Italia, mons. Angelo Bagnasco, ha messo l’accento sull’eroismo di
Nicola Calipari:
“Davanti al suo eroismo, che si
rivela non essere un gesto ma uno stile di vita speso nella ferialità e
nell’assoluto riserbo dei suoi doveri, tutti siamo richiamati ad un sempre più
alto senso di responsabilità. Per questo vogliamo che il suo sacrificio non
vada perso”.
Il fratello di Nicola, don
Maurizio ha ringraziato quanti sono stati vicini alla sua famiglia in queste
ore drammatiche, a partire dal Santo Padre e da tutta la comunità cristiana.
Quindi si è soffermato sull’insegnamento che si può trarre dalla tragica morte
del fratello:
“Oggi ci viene una proposta che
Nicola ha ripetuto, ed è soltanto una parte di tanti altri che hanno fatto la
stessa cosa: non si costruisce una società diversa, un mondo diverso, se non si
adotta la logica del dono di sé. Bisogna dire: “Io sono disposto a pagare di persona”,
e allora nascerà qualcosa di nuovo. Io prego Dio perché quello che Nicola ha
fatto e tanti altri hanno fatto serva perché nessuno di noi si dimentichi che
solo se è disponibile a percorrere questa stessa via, allora le cose possono
andare meglio. Grazie di cuore a tutti quelli che ci sono stati vicini!”.
Al rito hanno preso parte il presidente della Repubblica, Ciampi e
il premier Berlusconi; i presidenti dei due rami del parlamento, Pera e Casini.
Ma anche molti esponenti dell’opposizione, da Romano Prodi a Piero Fassino, a
testimoniare l’unità di tutta la nazione di fronte ad una nobile figura come
quella di Nicola Calipari. “Hai ridato fiducia all'Italia. Hai ridato, come i
caduti di Nassiriya, la patria agli italiani”, ha detto il sottosegretario alla
presidenza del consiglio Letta, nel suo intervento durante i funerali. E quando
il feretro, avvolto nel tricolore, è uscito dalla chiesa, centinaia di persone
nella piazza antistante, hanno così salutato con un lungo applauso Nicola
Calipari, un eroe italiano.
(applausi e coro)
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E prima del rito funebre, Luca
Collodi ha chiesto un ricordo del fratello a don Maurizio Calipari. Ecco la sua
commossa testimonianza:
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R. – In
questi momenti si affollano tanti sentimenti, ma soprattutto tanti ricordi. Eravamo
soltanto due fratelli, dunque, avevamo un legame particolare, di un bene molto
grande. Per come sono andate le cose dovrei dire che la cosa più semplice è
questa: credo davvero che mio fratello abbia concluso la sua esistenza in Terra
come ha vissuto. E’ stata la conclusione quasi naturale, anche se estrema, di
tutto l’impegno che ha vissuto durante tutta la sua vita, nel suo lavoro, in
cui ha creduto fermamente fin dall’inizio, questo profondo senso di servizio
alla comunità umana e allo Stato. Lo ha sempre fatto con tutto se stesso, senza
risparmiarsi. Mi ha lasciato anche personalmente questo segno forte di come
davvero dare la vita per gli altri possa essere l’ideale più alto del proprio
servizio. Io mi sento grato a lui per quello che lascia a tutti come ultima
testimonianza.
D. – Don Calipari, l’educazione
cristiana di suo fratello quanto ha influito in questa grande attenzione per
gli altri e anche nel servizio allo Stato, come valore?
R. – Sono sicuro che, siccome
conosco le sue radici, le radici della sua formazione che ha vissuto tutta la
sua giovinezza – era molto legato anche agli scout, con i quali ha fatto un
lungo cammino sia di formazione sia assumendo ruoli di responsabilità – queste
radici sempre abbiano costituito per lui il continuo punto di riferimento. Lui
era un tipo molto discreto, molto riservato. Non amava manifestare con grandi segni,
platealmente, la sua fede. La viveva in un modo piuttosto personale. Ma sono
sicuro che proprio quei valori, quelle radici, che lo hanno sempre guidato, lo
hanno portato anche a questo gesto di generosità e di altruismo fino alla fine.
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VERTICE A DAMASCO TRA I
PRESIDENTI DI SIRIA E LIBANO SUL DISPIEGAMENTO
DELLE TRUPPE SIRIANE. A BEIRUT, OPPOSIZIONE IN
PIAZZA
- Intervista con Lorenzo Trombetta -
Si è svolto oggi a Damasco il
vertice tra il presidente siriano, Bashar al Assad, e quello libanese, Emil
Lahoud, sulla questione del ridispiegamento delle truppe siriane. L’incontro
era stato annunciato sabato scorso dal Parlamento siriano. Il servizio di
Amedeo Lomonaco:
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Entro la fine del mese le truppe
siriane di stanza in Libano, circa 14 mila uomini, si concentreranno nella valle
della Bekaa, nella parte orientale del Paese, a ridosso della frontiera con la
Siria. La decisione, che non soddisfa le attese della comunità internazionale
di un ritiro totale del contingente siriano dal Libano, è stata presa durante
il vertice fra i presidenti siriano e libanese. Un comunicato congiunto
afferma, inoltre, la volontà dei due Paesi di rispettare la Risoluzione 1559
del Consiglio di sicurezza dell’ONU che chiede il ritiro integrale delle forze
siriane dal Libano. A Beirut intanto, tre settimane dopo l’attentato costato la
vita a 14 persone e all’ex premier Rafik Hariri, decine di migliaia di
sostenitori dell’opposizione stanno manifestando nella centralissima Piazza dei
Martiri. I deputati dell’oppo-sizione hanno ribadito, inoltre, le tre condizioni
per la partecipazione alle consultazioni che il presidente Lahoud avvierà
mercoledì prossimo per la formazione del nuovo governo: piena verità
sull’assassinio di Hariri, destituzione dei capi dei servizi di sicurezza e il
ritiro totale delle truppe siriane. Gli Hezbollah, sciiti libanesi, hanno invece
indetto per domani una manifestazione pacifica nel centro di Beirut in sostegno
alla Siria e contro ingerenze straniere.
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Ma si
può iniziare a parlare di un ritiro vero e proprio delle truppe siriane? Andrea
Sarubbi lo ha chiesto a Lorenzo Trombetta, autore del libro “Siria: il ruolo di
Damasco negli attuali conflitti mediorientali”:
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R. – In realtà, il ritiro
militare delle truppe siriane dal Libano è già iniziato nel 2000: da 35 mila
unità siriane, oggi siamo passati a 10 mila… ma anche in quest’occasione possiamo
parlare soltanto di un ridispiegamento, di un ritiro parziale, non ancora di un
ritiro completo. Dobbiamo essere prudenti: è lontano un ritiro completo delle
truppe siriane dal Libano. E poi, il vero problema non sono soltanto i militari
siriani in Libano: quello per cui oggi l’opposizione libanese scende in piazza
è soprattutto l’interferenza dei servizi segreti siriani in Libano.
D. – Bashar al Assad ha detto:
“Io non sono Saddam Hussein, io voglio cooperare!”...
R. – Sicuramente, Bashar -
figlio di un altro presidente, Hafez al Assad - non è a capo di un Paese come
l’Iraq ed ha una cultura ben più occidentale ed europea rispetto a Saddam.
Saddam non aveva mai fatto una visita di Stato in un Paese occidentale; Bashar,
invece, conosce bene i meccanismi dell’Occidente, ma deve fare i conti con un
proprio regime che è ancora quello ereditato del padre. In ogni caso, Bashar
non ha alcun interesse a mettersi in conflitto - anche militare - con gli Stati
Uniti: anzi, lo eviterà del tutto.
D. – Quindi, non ci sono
possibilità che gli Stati Uniti avviino in Siria un’altra operazione come
quella in Iraq?
R. – Per il momento,
assolutamente no. Né nella sua agenda, né tantomeno nelle sue ultime
dichiarazioni, Bush ha annunciato di voler “democratizzare” la Siria. Si parla
spesso di “democratizzare” il Libano, ma nessuno vuole destabilizzare la Siria,
tanto meno Bush.
D. – Però Washington parla
spesso di “avamposti della tirannia”...
R. – Quelli sono giochi anche di
propaganda verbale. Poi, appunto, ci sono continue visite - certamente ce ne
sono state fino ad un mese fa - di delegazioni americane dei servizi di
sicurezza, dei rappresentanti economici, di parlamentari americani al Palazzo
di Bashar ... Sono due livelli della diplomazia: c’è un livello molto più
informale che è molto più cauto.
D. – Libano, Palestina, Iraq:
quanto conta la Siria nello scenario mediorientale oggi?
R. – Conta moltissimo per la sua
posizione geografica: è al centro del Medio Oriente - come lo è sempre stata -
ma oggi, con gli scenari iracheno e libanese-israeliano aperti, la Siria è
divenuta la chiave di volta per capire questi giochi.
D. – Forse non tutti sanno che
l’Italia è uno dei maggiori partner commerciali della Siria...
R. – L’Italia da anni ha una
tradizione molto forte di import-export con la Siria, è il suo primo partner
commerciale europeo. Anche per questo, dobbiamo stare attenti ad immaginare una
destabilizzazione della Siria a breve termine.
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SI E’
SVOLTO IN ANGOLA IL CONGRESSO “PRO PACE” PROMOSSO DALLA CHIESA LOCALE PER
PROMUOVERE LA RICONCILIAZIONE NAZIONALE DOPO DECENNI DI GUERRA CIVILE: TRA UN
ANNO LE ELEZIONI GENERALI
- Intervista con il
cardinale Renato Raffaele Martino -
Si è
concluso ieri a Luanda, in Angola, il secondo Congresso “Pro Pace”, promosso
dalla Chiesa cattolica angolana sul tema "Costruttori di democrazia".
Pensata come momento di
preparazione alle elezioni nazionali del 2006, l’iniziativa intende diffondere
un clima di speranza nell’esito della consultazione elettorale, per completare
la riconciliazione nel Paese dopo decenni di guerra civile. Ha chiuso i lavori
l’intervento del presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,
cardinale Renato Raffaele Martino. Il collega Moises Malumbu, del nostro Programma
portoghese, lo ha intervistato:
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R. – Questo è un momento
importantissimo perché si incominci a costruire quella pace interna, e per
costruire questa pace è necessaria la riconciliazione. La riconciliazione è una
condizione obbligata per poter vivere in pace e poter collaborare allo sviluppo
del Paese. Quindi, hanno fatto bene i vescovi a dedicare una domenica di
Quaresima alla riconciliazione.
D. – Una delle questioni delicate
e impegnative, in questo momento, è la gestione equa delle ricchezze
dell’Angola. Per questo ci vuole trasparenza, e a questa trasparenza sta
contribuendo la Chiesa, concretamente tramite “Radio Ecclesia”. Però, “Radio
Ecclesia” ha delle difficoltà con il governo, nel senso di poter raggiungere
tutto il Paese. Che ruolo può svolgere, concretamente, la comunicazione a
livello internazionale?
R. – In una democrazia, tutte le
componenti del Paese devono poter esprimere liberamente la propria posizione, i
propri suggerimenti, le proprie aspirazioni. E questa sembra essere una
prerogativa anche di “Radio Ecclesia”, perché è un’espressione di gran parte
del popolo angolano e quindi una condizione perché i cattolici possano farsi
sentire anche tramite questo mezzo. E questo fa parte della partecipazione alla
vita comunitaria, che è una delle caratteristiche principali della democrazia.
D. – La partecipazione dei
cristiani alla costruzione della democrazia, alla costruzione della pace e
dello sviluppo, è tema forte qui, in Angola. Che messaggio lascia agli angolani
in questo momento di Quaresima?
R. – Il messaggio è quello di
essere autori e attori nel processo di democrazia, perché la democrazia non è
solo il risultato del rispetto formale delle regole, ma è piuttosto il frutto
della convinta accettazione dei valori che esprimono e ispirano i processi democratici,
e cioè la dignità di ogni persona umana e il rispetto dei diritti dell’uomo e
l’assunzione del bene comune: solo così, questa partecipazione potrà essere fruttuosa
e potrà fare dell’Angola un Paese veramente democratico, prospero e felice.
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I CAPOLAVORI
STRAORDINARI DELLA COLLEZIONE GUGGENHEIM,
DA RENOIR A WARHOL, IN
MOSTRA A ROMA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE
- Intervista con Karole Vail
-
Un appuntamento imperdibile per chi ama la pittura contemporanea: nella
suggestiva cornice delle Scuderie del Quirinale a Roma si è aperta in questi
giorni la mostra “Capolavori del Guggenheim”. Un evento che racconta il grande
collezionismo - da Renoir a Warhol - con 83 capolavori assoluti di 50
protagonisti della pittura contemporanea. La mostra, aperta al pubblico fino al
5 giugno, presenta opere provenienti dai Musei Guggenheim di New York, Bilbao e
Venezia. Alessandro Gisotti ha intervistato Karole Vail, nipote di Peggy
Guggenheim e promotrice della mostra romana:
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R. – E’
una cosa veramente stupenda prima di tutto questo posto: le Scuderie del Quirinale.
Mi sembra un grandissimo onore avere la Mostra qui. Poi vedere dei capolavori
che vengono da tanti Musei, da tante collezioni dei Guggenheim, mi sembra
un’opportunità unica.
D. – Da Picasso a Renoir, da
Kandinsky a Miró … si può dire che questa mostra rappresenta, per il
visitatore, un vero e proprio viaggio nella storia dell’arte del secolo scorso?
R. –
Sì, c’è un percorso nell’arte moderna e anche nell’arte contemporanea, perché
non ci sono solo i moderni, cioè i classici dell’arte moderna come Picasso. C’è
Pollock che anche lui, ormai, è considerato un classico. In questa mostra si
vedono veramente tutti i protagonisti dell’arte: ci sono artisti più recenti
come Rauschenberg e Jasper Johns. E’ una bella opportunità di vedere quanto, in
campo artistico, è successo nel XX secolo.
D. – Questa Mostra parla molto
anche della sua famiglia, di Solomon Guggenheim e di sua nonna Peggy. Cosa
prova?
R. – Devo dire che fa sempre
piacere vedere che queste opere possono viaggiare. Poi, quando vedo le opere
della nonna Peggy fa ancora più piacere sapere che quello che ha fatto tanti e
tanti anni fa si può ancora vedere. Questo mi riempie di gioia!
D. – Sua nonna Peggy ha coniato
il motto: “Comprare un’opera d’arte al giorno”. Anche lei è particolarmente
impegnata con la Fondazione della sua famiglia: si può dire, insomma, che
l’arte è nel DNA dei Guggenheim?
R. – Ma sì. Lei forse mi ha
lasciato questo amore, questa passione per l’arte, per scoprire le opere
d’arte. Sono anche grata alla mia famiglia che è sempre stata grande amante
della musica, dell’arte in generale. Poi, io lavoro al ‘Guggenheim’ a New York
e dunque, ho un’ulteriore possibilità di poter lavorare su questi quadri in
modo regolare. E’ bello poter lavorare insieme a questo Museo che organizza
queste mostre in Europa e in tutto il mondo.
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7 marzo 2005
- A
cura di Lisa Zengarini -
LUSAKA. = In vista delle prossime elezioni politiche in
Zambia, i vescovi del Paese africano hanno invitato tutte le forze politiche in
campo al dialogo e al rispetto reciproco, per evitare che le tensioni che hanno
segnato in questi anni i rapporti tra governo e opposizione possano nuovamente
degenerare. In una dichiarazione pubblicata il mese scorso, al termine della
loro plenaria nella capitale Lusaka, i presuli hanno espresso l’auspicio che il
processo di riforma costituzionale avviato nel 2003 dal governo del presidente,
Levy Mwanawasa, possa giungere al più presto a
termine. Se il Paese andrà alle urne con la
costituzione oggi in vigore, hanno ammonito, il rischio di una degenerazione
dell’attuale clima politico diventerebbe concreto. Nel documento i presuli si
sono anche detti preoccupati della politica scolastica del governo che, a loro
avviso, discrimina alcune scuole. Essi hanno chiesto in particolare una più
equa distribuzione delle sovvenzioni statali, che non escluda alcuni istituti a
vantaggio di altri, penalizzando gli studenti. La dichiarazione è firmata da
mons. Telesphore George Mpundu, arcivescovo coadiutore di Lusaka e presidente
della Conferenza episcopale zambiana, e dagli altri undici vescovi. Non è la
prima volta che i presuli zambiani intervengono sulla riforma della
costituzione. Nel novembre del 2003 essi avevano pubblicato una lettera per
sollecitare il governo a coinvolgere tutte le forze politiche e la società
civile nel processo costituzionale in corso, dando alcune indicazioni su quello
che, a loro giudizio, dovrebbe essere il contenuto della nuova Legge
fondamentale: tutela di tutti i diritti fondamentali della persona
umana, sistema elettorale trasparente, divisione dei poteri e sussidiarietà,
secondo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa. Nella lettera, i
vescovi si erano anche detti contrari all’inserimento della definizione dello
Zambia come “Nazione cristiana”, perché, avevano affermato, “Una nazione
è cristiana non per dichiarazione, ma per le azioni che compie” e la costituzione riguarda tutti i cittadini della
Zambia, siano essi cristiani o meno.
AL VIA OGGI A MADRID LA
74.ESIMA ASSEMBLEA PLENARIA DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE SPAGNOLA. AL CENTRO DELL’INCONTRO IL
RINNOVO DELLE CARICHE
PER IL PROSSIMO TRIENNIO 2005-2008
- A cura di Pilar Perez Del Yerro -
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MADRID.
= Il cardinale Antonio Marìa Rouco Varela ha inaugurato stamani l’Assemblea
Plenaria dei vescovi spagnoli, con un discorso nel quale ha ricordato la breve
storia della Conferenza episcopale, creata 40 anni fa. “In questa Plenaria,
sotto il segno della continuità e il rinnovo istituzionale – ha detto – si
sceglieranno gli incarichi direttivi della Conferenza episcopale per i prossimi
3 anni”. Il cardinale ha fatto riferimento alla recente visita “ad Limina”
dei vescovi spagnoli, ha chiesto preghiere per il Papa, e ha ringraziato per il
messaggio che gli è stato inviato. “Le sue parole – ha detto – ci stimolano”.
La Chiesa vuole cooperare con le autorità, anche se non d’accordo con alcune
questioni, secondo l’ordinamento giuridico e gli accordi vigenti in Spagna e
nella Santa Sede. Il suo compito non è politico, è religioso, e solo
indirettamente temporale. Il filo conduttore dei suoi piani pastorali è
l’evangelizzazione delle persone e della società. “E la missione della Chiesa –
ha detto – nessuno deve temerla”. Il cardinale ha parlato dell’Anno
dell’Eucaristia e dei documenti del Papa che raccolgono gli orientamenti
necessari perché questo sia un anno di rinnovamento del culto e della
spiritualità eucaristica. Ha parlato dell’Anno dell’Immacolata, che presuppone
anche un invito a ricordare il mistero della Immacolata Concezione di Maria e
ha fatto riferimento alla Giornata mondiale della Gioventù, che si celebrerà in
agosto a Colonia (Germania), assicurando le più grandi energie della Chiesa, in
Spagna, per la preparazione di questo evento. Ha concluso il suo discorso
ricordando il primo anniversario degli attentati dell’11 marzo, che si
celebrerà venerdì. “Il flagello inumano del terrorismo deve scomparire. Non è
moralmente possibile – ha affermato – nessun tipo di compromesso con chi
strumentalizza le persone e le assassina. Bisogna cercare di rispondere a tali crimini
con azioni nobili e accordi”.
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UN “MOVIMENTO DI PICCOLI EROI” PER DONARE UN
SORRISO AI BAMBINI PROFUGHI COLPITI DALLO TSUNAMI.
L’INIZIATIVA
HA SUPERATO ANCHE LE RETICENZE DELLE ALTRE CONFESSIONI RELIGIOSE
COLOMBO. = Si chiama “La-Kri-Vi”
ed è un movimento cristiano per bimbi dai 5 ai 15 anni, sorto nella capitale
dello Sri Lanka, Colombo. Il suo obiettivo è aiutare i coetanei meno fortunati,
diventati profughi in seguito alla devastante furia dello tsunami che, lo
scorso 26 dicembre, ha colpito il sud-est asiatico. L’iniziativa, guidata da
padre Joseph Cooray, missionario degli Oblati di Maria Immacolata (OMI), ha
preso vita in seguito alla morte di Matilda Ranjani, una ragazza di 15 anni
travolta dalla furia dell’acqua mentre si stava recando al mare con alcuni
cugini. Da allora i bimbi di “La-Kri-Vi” danno ogni settimana il loro conforto
e donano un sorriso ai bimbi dei campi profughi. Le attività che si svolgono in
gruppo sono numerose: rappresentazioni teatrali, canzoni, gare sportive, giochi
di ruolo, narrazioni di storie, proiezioni di film e disegno di gruppo.
“La-Kri-Vi”, che significa “movimento dei bambini eroi”, è “un momento di
incontro tra buddismo e cristianesimo in un’isola dove l’ostilità dei buddisti
nei confronti delle minoranze religiose stava crescendo di giorno in giorno”:
ha affermato padre Cooray. Infatti, dopo le prime resistenze dei buddisti nei
confronti del movimento cristiano, è seguito un grande entusiasmo per le
attività ludiche proposte dai piccoli eroi. Il movimento è stato fondato oltre
50 anni fa da padre Felix Mevel ed è riconosciuto dalla Conferenza episcopale
dello Sri Lanka. (M.V.S.)
SU INIZIATIVA DEL CONSIGLIO
MONDIALE DELLE CHIESE,
SI TERRA’ IL PROSSIMO MESE DI MAGGIO AD ATENE
UN CONVEGNO SU “MISSIONE ED EVANGELIZZAZIONE”.
UN’OCCASIONE
PER CONDIVIDERE ESPERIENZE E PER RIFLETTERE SUL
RUOLO DELLA MISSIONE
NELLA SOCIETA’ ODIERNA.
ATENE.
= E’ prevista per il prossimo mese di maggio ad Atene la Conferenza ecumenica
mondiale su “Missione ed evangelizzazione”, organizzata dal Consiglio mondiale
delle chiese (CMI). Il tema dell’iniziativa sarà: “Vieni Spirito Santo,
guarisci e riconcilia” e vedrà la partecipazione di più di 500 delegati di
tutti i continenti e di tutte le grandi Chiese e confessioni religiose, membri
del Consiglio ecumenico delle chiese, rappresentanti delle chiese e
denominazioni pentecostali, evangeliche e della Chiesa cattolica romana. Come
riferisce l’agenzia Fides, l’obiettivo è “offrire uno spazio affinché cristiani
e Chiese si scambino esperienze e riflettano sulle priorità della missione e
sul futuro della testimonianza cristiana per essere segno di riconciliazione
tra le Chiese; promuovere tra i partecipanti l’impegno ad essere agenti
moltiplicatori della riconciliazione nelle proprie Chiese, comunità e
contesti”. Il tema scelto è volto a ricordare a tutti che la missione non è una
prerogativa dell’uomo, ma è lo Spirito Santo che, agendo nell’uomo, nella
Chiesa e nel mondo, la rende possibile. (M.V.S)
LA SCHIAVITU’ RESTA UNA
DRAMMATICA REALTA’ IN NIGER.
CANCELLATA
AD INATES UNA CERIMONIA PER LA LIBERAZIONE DI MIGLIAIA DI SCHIAVI
NIAMEY. = Annullata in Niger una cerimonia
per la liberazione di circa 7.000 schiavi. L’evento, riferisce l’agenzia Misna,
sembra essere stato cancellato dal governo, che in precedenza aveva sostenuto
l’iniziativa. Un portavoce della commissione per i diritti umani di Niamey ha
dichiarato che la cerimonia, prevista nella cittadina di Inates, al confine con
il Mali, è stata soppressa perché la schiavitù non esiste più nel Paese
africano. Nella realtà tale pratica è ancora molto radicata in Niger, così come
in altre zone dell’Africa sahariana, in particolare Mali, Mauritania e Sudan. Niamey ha
formalmente vietato la schiavitù dopo l’indipendenza dalla Francia, nel 1960,
ma solo dal 2003 è considerata un reato, punibile fino a 30 anni di carcere.
L’organizzazione per i diritti umani locale “Timidria” ha accusato il governo
di aver minacciato i leader tuareg di Inmates, “proprietari” di circa 7.000
schiavi, pari a circa il 95 per cento della popolazione del distretto. In
condizioni di schiavitù, gli uomini sono costretti a pascolare le greggi per
conto dei loro padroni, mentre le donne sono confinate nella abitazioni, dove
svolgono lavori domestici, di approvvigionamento del cibo e dell’acqua; spesso
soggette a violenze. Secondo stime internazionali, sono ancora 43.000 le
persone in schiavitù in Niger, considerato dalle Nazioni Unite il secondo Paese
più povero del pianeta. A dicembre 2003, alcune centinaia di schiavi sono stati
rimessi in libertà, ricevendo un certificato che garantiva loro piena libertà.
(B.C.)
RIAPERTA
IERI AL PUBBLICO LA CAPPELLA DELLE RELIQUIE,
NELLA BASILICA DI SANTA CROCE IN GERUSALEMME.
L’ACCURATO RESTAURO CUI E’ STATO SOTTOPOSTO IL “SANTUARIO
DELLA CROCE”
HA PRESO IL VIA NEL 2003
ROMA. = Una nuova veste per la
cappella delle Reliquie, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Il
“Santuario della Croce”, ricavato nell’antica sagrestia della Basilica nel
1929, per volontà dell’abate Edmondo Bernardini, è stata riaperta ieri
pomeriggio al pubblico, dopo un lungo e accurato restauro. A presiedere la
cerimonia, il cardinale Giovanni Battista Re, presidente della Pontificia
Commissione per l’America Latina. Il restauro e la realizzazione del microclima
hanno preso il via nel 2003 a cura dei monaci cistercensi, sotto la tutela del
Ministero per i Beni e le attività Culturali e della Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio per il comune di Roma. Le reliquie, portate a
Roma nel III secolo da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, furono
conservate e venerate per oltre un millennio nella cappella semisotterranea a
lei dedicata. Nel 1570 le reliquie furono trasferite a causa dell’umidità in un
vano sopra la cordonata di destra della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme,
che risultava, tuttavia, difficilmente agibile. Proprio per questo motivo si
pensò di costruire un ambiente più grande, che potesse accogliere i pellegrini
sempre più numerosi. Nella cappella sono conservate le reliquie della Passione,
vale a dire tre frammenti della Croce di Cristo, uno dei chiodi della
Crocifissione, raccolti da Sant’Elena, il titolo, la tavoletta di legno scritta
da destra verso sinistra, che riportava l’imputazione di Ponzio Pilato nelle
tre lingue, ebraico, greco e latino, e due delle spine della corona. Le
reliquie ora sono state collocate in una speciale teca di cristallo
climatizzata, realizzata dalla Goppion di Milano, per consentirne la conservazione
nel tempo. (B.C.)
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7 marzo 2005
- A cura
di Amedeo Lomonaco -
Il numero
uno di Al Qaeda in Iraq, il terrorista giordano Al Zarqawi, non è stato
catturato. Lo ha dichiarato il capo di Stato maggiore dell’Esercito iracheno,
il generale curdo Zibari, smentendo la notizia dell’arresto di Al Zarqawi data
ieri dal quotidiano saudita ‘Al Watan’. Sul terreno si registra, intanto,
un’ennesima ondata di violenze: almeno 15 persone sono morte per l’esplosione
di un’autobomba a Balad, a nord di Baghdad, ed un soldato bulgaro è stato ucciso
per errore da militari americani ad un posto di blocco nei pressi di Diwaniya.
Furiosi scontri sono inoltre scoppiati a Baquba dove 7 membri delle forze irachene
ed un civile sono morti in seguito a due attacchi compiuti da un gruppo di ribelli.
Il
presidente palestinese, Abu Mazen, incontrerà domani il ministro della difesa
israeliano, Shaul Mofaz, per discutere sul trasferimento del controllo della
sicurezza ai palestinesi delle città della Cisgiordania. E sempre domani, le
truppe israeliane lasceranno Tulkarem, prima delle cinque città cisgiordane a
passare sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese.
In Moldavia
il partito comunista guidato dal presidente filo europeo, Vladimir Voronin, ha
vinto le legislative di ieri con il 46,1 per cento dei voti. Lo ha annunciato
la Commissione elettorale centrale dopo lo spoglio delle schede. I centristi
filo–occidentali del ‘Blocco Moldavia’ hanno ottenuto il 29,41 per cento delle
preferenze ed il partito popolare cristiano–democratico il 9,7.
Le forze di
sicurezza russe hanno neutralizzato una banda di 12 guerriglieri indipendentisti
coinvolti nell’assalto alla scuola di Beslan. Lo ha annunciato il ministro
degli Interni ceceno Alkhanov.
L’Unione
Europea è “scioccata dalle immagini della polizia che colpivano donne e giovani
manifestanti”: lo ha sottolineato una nota dell’Unione Europea, commentando gli
incidenti di sabato in Instanbul durante la giornata internazionale delle
donne. “Condanniamo ogni violenza, e le manifestazioni devono svolgersi in
pace”, afferma il comunicato.
Il
presidente della Bolivia, Carlos Mesa, ha annunciato le proprie dimissioni. In
un messaggio alla nazione, Mesa ha dichiarato di rinunciare all’incarico per
l’incapacità del governo di far fronte alla nuova ondata di proteste di piazza.
Il nostro servizio:
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Mesa è stato
designato presidente nel 2003 dopo la rinuncia di Sanchez de Losada che aveva
annunciato di voler vendere il gas boliviano all’estero facendolo passare attraverso
il Cile, Paese con il quale la Bolivia ha un contenzioso territoriale. Ai
disordini è seguita una sanguinosa repressione costata la vita ad almeno 67
persone. L’elezione di Mesa, 51.enne giornalista che in Bolivia gode di grande
popolarità, aveva fatto sperare in un periodo di stabilità. Ma durante il suo
breve mandato non è riuscito a risollevare la pesante situazione economica
boliviana e nel Paese si sono susseguite più di 800 manifestazioni di protesta.
Anche oggi sono previsti blocchi stradali su tutto il territorio nazionale allo
scopo di imporre al governo profonde modifiche nella normativa che disciplina
la gestione delle riserve di gas naturale. Sulle dimissioni di Mesa,
l’opposizione non ha nascosto, inoltre, le proprie perplessità: secondo il
leader del movimento socialista non sono un atto di rinuncia ma un “ricatto”
con l’intento di “scatenare una crisi politica nel Paese”. Dopo l’annuncio di
Mesa, la parola passa ora al Congresso: se accetterà la sua rinuncia, potrebbe
nominare al suo posto un capo di Stato transitorio e poi intraprendere negoziati
con le diverse forze politiche per cercare una via di uscita dalla crisi.
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Le
inondazioni degli ultimi giorni in Afghanistan hanno provocato morti e centinaia
di case distrutte. Secondo le autorità locali e molte fonti occidentali le
precipitazioni hanno ucciso tre persone e inghiottito almeno 300 case nella provincia
di Nimroz.
In Vietnam,
un infermiere di 26 anni che ha assistito un malato di influenza aviaria è a
sua volta risultato positivo al virus. Non sono ancora state accertare le
modalità del contagio. Lo ha riferito un medico dell'Istituto delle malattie
tropicali di Hanoi.
Sarebbero oltre 100 le vittime nello scontro tra bande rivali di
detenuti nel carcere di Higuey, circa 145 chilometri a est di Santo Domingo,
nella Repubblica Dominicana. Lo
riferisce l’agenzia Misna, riportando quanto affermato dal portavoce della
polizia nazionale dominicana, Simón Díaz. Diversi detenuti sarebbero morti
nell'incendio divampato in seguito all'esplosione della rivolta.
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