RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 29 - Testo della trasmissione sabato 29 gennaio 2005

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Per agire con giustizia, il giudice deve ricercare la verità, senza farsi condizionare da sentimenti di falsa compassione, né falsi modelli di pensiero: il richiamo del Papa ai prelati uditori della Rota Romana, ricevuti in udienza per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario

 

La solidarietà del Papa alle vittime e ai sopravvissuti dello tsunami manifestata dal suo inviato nell’area, l’arcivescovo Cordes, da oggi in Indonesia e quindi in Sri Lanka

 

Il 31 gennaio e il primo febbraio si riunisce in Vaticano la Commissione per l’esame dei casi di accusa di abuso sessuale su minorenni: ad annunciarlo è una nota del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Navarro-Valls.

 

IN PRIMO PIANO:

Iraq al voto per la democrazia, 50 anni dopo. Ma la vigilia è segnata da attentati, morti e tensione: ai nostri microfoni Latif Al Saadi e Riccardo Noury

 

L’UNICEF al lavoro per salvare i bambini del Sudest asiatico dai traumi psicologici post-maremoto: intervista con Gianfranco Rotigliano

 

La conoscenza della diversità per favorire il dialogo tra cristianesimo e islam al centro di un incontro promosso a Torino dall’Associazione Sant’Anselmo: con noi, padre Samir Khalil Samir

 

Il Vangelo di domani dedicato alle Beatitudini: il commento di padre Marko Ivan Rupnik

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’etica come baluardo della verità: lo ha detto il cardinale Tettamanzi ai futuri giornalisti milanesi

 

Rinforzare i negoziati per costruire un ponte fra Cuba e Stati Uniti: l’appello del portavoce della Conferenza episcopale dell’Avana

 

Nel Nordest dello Sri Lanka, la burocrazia ostacola l’arrivo degli aiuti alle vittime dello tsunami

 

“Dichiarazione di intenti comuni” fra gli editori cattolici nel mondo

 

A Roma verrà edificata una chiesa ortodossa, alle dirette dipendenze del Patriarcato di Mosca

 

24 ORE NEL MONDO:

Entro 2 settimane, l’incontro tra il Ariel Sharon e Abu Mazen per la pace in Medio Oriente

 

La povertà nel mondo, il dialogo israelo-palestinese e il futuro in Ucraina: i temi in agenda al Forum economico mondiale di Davos. A Porto Alegre, il Forum sociale discute di OGM e di sviluppo sostenibile

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 gennaio 2005

 

 

PER AGIRE CON GIUSTIZIA, IL GIUDICE DEVE RICERCARE LA VERITA’,

SENZA FARSI CONDIZIONARE DA SENTIMENTI DI FALSA COMPASSIONE,

NE’ FALSI MODELLI DI PENSIERO: IL DECISO RICHIAMO DI GIOVANNI PAOLO II

AI PRELATI UDITORI DELLA ROTA ROMANA, RICEVUTI IN UDIENZA

IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

La dimensione morale dell’attività degli operatori giuridici dei tribunali ecclesiastici è stato il tema chiave del discorso rivolto stamani dal Papa ai prelati uditori del Tribunale Apostolico della Rota Romana, guidati in udienza dal decano, mons. Antoni Stankiewicz, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Da sempre la questione etica si è posta con speciale intensità in qualsiasi genere di processo giudiziario”. E’ quanto sottolineato da Giovanni Paolo II che ha constatato come gli “interessi individuali e collettivi” possano “indurre le parti a ricorrere a vari tipi di falsità e perfino di corruzione allo scopo di raggiungere una sentenza favorevole”. Un rischio, ha proseguito, da cui “non sono immuni nemmeno i processi canonici, in cui si cerca di conoscere la verità sull'esistenza o meno di un matrimonio”. Certo, ha detto il Papa, “l'indubbia rilevanza che ciò ha per la coscienza morale delle parti rende meno probabile l’acquiescenza ad interessi alieni dalla ricerca della verità”. Tuttavia, “possono verificarsi dei casi nei quali si manifesta una simile acquiescenza, che compromette la regolarità dell’iter processuale”. E’ evidente, ha avvertito, “l’oggettiva gravità giuridica e morale di tali comportamenti”. Non mancano, però, fedeli che “pur essendo coinvolti in prima persona in una crisi coniugale, non sono disposti a risolverla se non seguendo la via della verità”.

        

Un altro rischio è pure incombente: “In nome di pretese esigenze pastorali – ha rilevato - qualche voce s’è levata per proporre di dichiarare nulle le unioni totalmente fallite”. Per ottenere tale risultato, ha constatato, “si suggerisce di ricorrere all'espediente di mantenere le apparenze procedurali e sostanziali, dissimulando l'inesistenza di un vero giudizio processuale. Si è così tentati di provvedere ad un’impostazione dei capi di nullità e ad una loro prova in contrasto con i più elementari principi della normativa e del magistero della Chiesa”.

 

Il Papa si è così soffermato sulla deontologia del giudice, che “ha il suo criterio ispiratore nell’amore per la verità” e deve dunque “essere innanzitutto convinto che la verità esiste”. Il giudice che “veramente agisce da giudice, cioè con giustizia – è stato il monito del Santo Padre – non si lascia condizionare né da sentimenti di falsa compassione per le persone, né da falsi modelli di pensiero, anche se diffusi nell’ambiente. Egli sa che le sentenze ingiuste non costituiscono mai una vera soluzione pastorale, e che il giudizio di Dio sul proprio agire è ciò che conta per l'eternità”. Il giudice deve perciò “attenersi alle leggi canoniche, rettamente interpretate” e “non deve mai perdere di vista l’intrinseca connessione delle norme giuridiche con la dottrina della Chiesa”, evitando “una mentalità positivistica”.

 

D’altro canto, il Pontefice ha ricordato che i vescovi “sono i giudici per diritto divino delle loro comunità”. E’ in loro nome, infatti, “che i tribunali amministrano la giustizia”. Devono perciò impegnarsi in prima persona nel curare “l’idoneità dei membri dei tribunali, diocesani e interdiocesani”, accertando “la conformità delle sentenze con la retta dottrina”. I vescovi, ha detto ancora, “non possono pensare che l'operato dei loro tribunali sia una questione meramente “tecnica” della quale possono disinteressarsi, affidandola interamente ai loro giudici vicari”. Infine, si è soffermato sull’istruttoria della causa, “momento importante della ricerca della verità”. E’ vero che “il dovere di una giustizia tempestiva fa parte del servizio concreto della verità e costituisce un diritto delle persone”, ha riconosciuto il Papa, “tuttavia, una falsa celerità, che sia a scapito della verità, è ancor più gravemente ingiusta”.

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Nel suo indirizzo d’omaggio, il decano, mons. Antoni Stankiewicz, si è soffermato sulla “determinazione dell’identità del matrimonio”. Ha così evidenziato che “non possono arrogarsi l’identità e la dignità di un vero matrimonio, sul quale viene fondata la famiglia né le unioni di fatto eterosessuali, in cui l'amore non si traduce in impegno stabile e rigorosamente giuridico, né ancor di meno lo possono rivendicare le unioni omosessuali, che costituiscono una distorsione di ciò che dovrebbe essere una comunione di amore e di vita tra un uomo e una donna, in una donazione reciproca aperta alla vita”. “L’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, come avviene in alcuni ordinamenti statali – ha affermato il decano – non per questo le rende giuste”.

 

Mons. Stankiewicz ha quindi rivolto l’attenzione al problema pastorale del “recupero della comunione da parte dei fedeli divorziati e risposati”, ribadendo che la celebrazione dell’Eucaristia “non può essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione”. In realtà, ha spiegato “esiste un'esigenza intrinseca all'Eucaristia che essa sia celebrata nella comunione, e concretamente nell'integrità dei suoi vincoli”. Per questo, ha proseguito il decano, “ricevere la Comunione eucaristica in contrasto con le norme della comunione ecclesiale è quindi una cosa in sé contraddittoria”.

 

Il Tribunale della Rota Romana ebbe origine dalla Cancelleria Apostolica, nella quale dopo il Cancelliere (poi Vice-Cancelliere) venivano l'auditor contradictorum ed i cappellani. A questi, prima caso per caso e poi stabilmente, era affidata l'istruzione delle cause, ma Innocenzo III diede loro anche il potere di pronunziare la sentenza. Con Innocenzo IV e il primo Concilio di Lione, i cappellani formarono un tribunale stabile. Giovanni XXII assegnò ad esso una sede particolare e nel 1331 lo disciplinò con uno speciale regolamento. Il nome “Rota” deriva probabilmente dal recinto circolare in cui si adunavano o sedevano gli Uditori per giudicare le cause. L’elezione degli uditori fu sempre riservata al Papa, ma fu concesso anche ad alcune nazioni il diritto di nominare qualche uditore. Da Gregorio XVI (1834), la Rota fu anche Tribunale di appello per lo Stato Pontificio, mentre le cause pertinenti il foro ecclesiastico di preferenza venivano decise dalle Congregazioni. Nel 1870, l’attività della Rota Romana quasi cessò, ma San Pio X, con la Costituzione Sapienti Consilio, la ricostituì nel 1908. Le norme vigenti sono state approvate e promulgate da Giovanni Paolo II nel febbraio 1994.

 

 

UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto, nel corso della mattinata, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi.

 

Il Papa ha nominato consultori della Congregazione per l'Educazione Cattolica: Allen Henry Vigneron, vescovo di Oakland (Stati Uniti d'America); Stanisław Wojciech Wielgus, vescovo di Pock (Polonia); Jean‑Louis Brugues, vescovo di Angers (Francia); Diego Coletti, vescovo di Livorno (Italia); Rainer Woelki, ausiliare di Köln (Germania); Fabio Duque Jaramillo, vescovo di Armenia (Colombia); il sacerdote Carlo Bresciani, professore presso il Seminario vescovile di Brescia (Italia); padre Lawrence B. Terrien, P.S.S., superiore generale dei Sulpiziani (Francia); mons. Krzysztof Pawlina, rettore del Seminario maggiore di Warszawa (Polonia); padre Francisco Mateos Gil, L.C., professore presso il Pontificio Ateneo "Regina Apostolorum", Roma; suor Lydia M. Allen, R.S.M., Mainz (Germania), esperta in psicologia; il sacerdote Hubertus Blaumeiser, professore incaricato presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana, Roma; il sacerdote Bernhard Körner, professore presso la Facoltà Teologica di Graz (Austria); il sacerdote Javier Canosa Rodríguez, professore presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce, Roma; mons. Guy‑Réal Thivierge, segretario generale della F.I.U.C. (Francia); padre James Conn, S.I., professore ordinario presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana, Roma; mons. Alfredo Horacio Zecca, rettore della Pontificia Università Cattolica di Buenos Aires (Argentina); padre David M. O'Connell, C.M., rettore dell'Università Cattolica d'America, Washington (Stati Uniti d'America); padre Franco Imoda, S.I., rettore emerito della Pontificia Università Gregoriana, Roma; padre Antonio Maria Perrone, Sch. P., presidente della F.I.D.A.E., Roma; suor Ausilia Chang Hiang‑Chu, F.M.A., preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione "Auxilium", Roma; il sacerdote Kevin Doran, coordinatore nazionale per le Vocazioni diocesane, Conferenza episcopale irlandese, Dublin (Irlanda); padre Antonio Fiorenza, R.C.I., vicario generale dei Rogazionisti, Roma; il sacerdote Jesús Arrisero Pulido, dei Sacerdoti operai diocesani, Roma; mons. Paolo Selvadagi, rettore del Pontificio Seminario Romano Minore, Roma; il sacerdote Ludovico Caputo, S.D.V., superiore generale dei Padri Vocazionisti; suor Maria De Luca, direttrice della Rivista di orientamento per giovani "Se vuoi" (Italia); il prof. Manuel António Garcia Braga Da Cruz, rettore dell'Università Cattolica Portoghese, Lisboa (Portogallo); Étienne Verhack, segretario generale del C.E.E.C., Bruxelles (Belgio).

 

 

 

LA SOLIDARIETA’ DEL PAPA ALLE VITTIME E AI SOPRAVVISSUTI DELLO TSUNAMI

MANIFESTATA DAL SUO INVIATO NELL’AREA, L’ARCIVESCOVO CORDES,

DA OGGI AL PRIMO FEBBRAIO IN INDONESIA, E DAL 2 AL 4 IN SRI LANKA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

Una “terribile calamità”, alleviata da solidarietà senza paragoni, che ha portato speranza a chi è stato travolto dallo tsunami e che, in futuro, potrà rimanere come esempio di generosità e di cooperazione internazionale “al servizio del bene comune”. Sono, in sintesi, alcuni dei pensieri del Papa che accompagnano la sua lettera al presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, l’arcivescovo Paul Josef Cordes, partito oggi per il sudest asiatico come rappresentante del Papa nelle zone devastate dal maremoto. Il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Una settimana di viaggio sui luoghi dell’orrore, per testimoniare la vicinanza del Papa ai sopravvissuti. Mons. Cordes è partito oggi per l’Indonesia – un Paese straziato dallo tsunami con più di 200 mila morti – e si trasferirà poi, dal 2 al 4 febbraio, in Sri Lanka per incontrare capi di Stato, vescovi, leader religiosi, soccorritori, fedeli. Nella sua lettera, Giovanni Paolo II spende le sue prime parole per la “grande mobilitazione di aiuti umanitari” messa in campo da Cor Unum e dalle numerose agenzie cattoliche impegnate nel sudest asiatico. “La prego di voler esprimere tutta la mia preoccupazione e vicinanza nella preghiera a tutti coloro che sono stati colpiti dalla tragedia e ne soffrono le conseguenze”, scrive il Pontefice, che affida alla misericordia di Dio le vittime della “terribile calamità”, chiedendo la consolazione divina “per i feriti, i sopravvissuti, i senzatetto”.

 

Lo sguardo del Papa spazia idealmente su quanto gli Stati del pianeta sono stati capaci di fare per i Paesi colpiti in nome della solidarietà. Auspico che essa, afferma, “sia fonte di incoraggiamento, perseveranza e speranza per tutti coloro che sono impegnati nella grande opera di ricostruzione che si prospetta. Chiedo inoltre ai fedeli delle diverse religioni di essere uniti nel sostenere ed assistere coloro che sono nel bisogno. Con la grazia di Dio – prosegue - possa tale catastrofe condurre ad un futuro di maggiore generosità, cooperazione ed unità al servizio del bene comune da parte degli individui, dei popoli e delle nazioni”. E nell’invitare i credenti a rafforzare la propria fede nella “misteriosa provvidenza” divina, Giovanni Paolo II chiede a Dio “il dono della saggezza e della forza per le autorità civili e per tutti coloro che sono impegnati nell’opera di soccorso”.

 

L’agenda di viaggio di mons. Cordes prevede, da oggi al 1 febbraio, la sosta in in Indonesia, dove il massimo responsabile di Cor Unum visiterà le popolazioni colpite ad Aceh – la città che ha subito le maggiori perdite in assoluto – per poi celebrare una Messa in suffragio delle vittime. In programma, anche l’incontro con il presidente della Repubblica indonesiana, Susilo Bambang Yudhoyono, e altre autorità, oltre alla partecipazione alla riunione di coordinamento delle Organizzazioni cattoliche e ad un meeting con i leader religiosi, per sostenere il comune impegno nella ricostruzione.

 

Mons. Cordes si trasferirà quindi in Sri Lanka, dal 2 al 4 febbraio. Anche in questo Paese presiederà una celebrazione eucaristica di suffragio insieme con i vescovi dell’area e avrà diversi incontri con le autorità del Paese e le popolazioni del Sud dell’isola. Parteciperà, infine, ad un incontro con le Caritas e le ONG cattoliche presenti sul posto.

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IL 31 GENNAIO E IL PRIMO FEBBRAIO SI RIUNISCE IN VATICANO

LA COMMISSIONE PER L’ESAME DEI CASI DI ACCUSA DI ABUSO

 SESSUALE SU MINORENNI: AD ANNUNCIARLO E’ UNA NOTA DEL DIRETTORE

 DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, NAVARRO-VALLS

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Il 31 gennaio ed il primo febbraio si incontrerà in Vaticano, come previsto, la Commissione mista per l’esame delle norme dei casi di accusa di abuso sessuale su minorenni. Lo riferisce una dichiarazione del direttore della Sala Stampa Vaticana, Joaquin Navarro-Valls. “La Commissione – informa la nota – è composta da delegati della Conferenza episcopale statunitense (USCCB) e rappresentanti di dicasteri della Curia Romana. La Commissione – conclude Navarro-Valls - ha lo scopo di studiare l’applicazione delle norme, approvate l’8 dicembre 2002, ad experimentum per due anni, e di valutare le linee guida per il futuro, nel contesto del diritto universale della Chiesa”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il discorso di Giovanni Paolo II alla Rota Romana: dimensione morale degli operatori giuridici e dovere di adeguarsi alla verità sul matrimonio come è insegnata dalla Chiesa.

 

Nelle vaticane, il Messaggio del Papa alle popolazioni del Sud-Est asiatico colpite dallo tsunami. 

Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Europa.

 

Nelle estere, Iraq: nuovo appello di Kofi Annan a partecipare alle storiche elezioni generali di domenica.

Medio Oriente: Israele sospende le operazioni nella Striscia di Gaza.

 

Nella pagina culturale, d'apertura l'elzeviro di Mario Gabriele Giordano dal titolo "I tre giorni della merla": tra letteratura e leggenda.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano l'emergenza-maltempo.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 gennaio 2005

                                                                                                            

 

IRAQ DOMANI AL VOTO:

 DOPO CIRCA 50 ANNI LA PRIMA TORNATA ELETTORALE DEMOCRATICA.

 VIGILIA DI TENSIONE E DI SANGUE, CON ATTENTATI

 E ALTISSIME MISURE DI SICUREZZA

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

A meno di 24 ore dalle prime elezioni democratiche del dopo Saddam Hussein, in Iraq si moltiplicano gli episodi di violenza della guerriglia contraria alle consultazioni. Uffici elettorali distrutti, continui attentati con vittime civili. Il nostro servizio:

 

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L’Iraq si prepara alla tornata elettorale di domani con il volto di un Paese che teme attesa di un’ondata di attentati. Le minacce della guerriglia si trasformano in tragica realtà e già si contano numerosi attacchi. Strascichi degli attentati dei giorni precedenti; avvisi di sangue di ciò che potrebbe avvenire domani. In mattinata un’autobomba a Kanaqhin, una cittadina a nord est di Baghdad, è saltata in aria – secondo alcuni di fronte una base militare americana, secondo altri nei pressi della sede del partito turcomanno- causando tra le 5 e le 8 vittime. Poco prima una sparatoria di vaste proporzioni è avvenuta in pieno giorno, nel cuore della capitale. Un altro attentato kamikaze, sempre a Baghdad, è stato sventato all’ultimo momento. Intorno a mezzogiorno, invece, 3 forti esplosioni hanno interessato la “zona verde”, la più controllata di Baghdad, ex roccaforte del deposto Saddam ed attuale quartier generale della coalizione internazionale a guida statunitense. Sconosciuta, al momento, l’origine e le conseguenze delle deflagrazioni. 

 

Per evitare fatti di sangue come questi, l’aeroporto della capitale resterà chiuso fino a lunedì. Le misure di sicurezza arrivano addirittura ad oscurare le comunicazioni telefoniche, con aerei radar statunitensi capaci di disturbare le comunicazioni. I seggi elettorali sono ormai sigillati da una complessa macchina di controlli che arriva a vietare il traffico in gran parte della capitale. Ma questo non ferma la propaganda. Un volantino del partito Baath, che incita alla violenza contro le votazioni, sta circolando per le strade di Baghdad. La commissione elettorale ha stimato che domani a votare sarà il 57% degli aventi diritto: circa otto milioni di persone. Per alcuni osservatori la partecipazione maggiore si dovrebbe avere nelle zone sciite del sud e del centro del paese, mentre in quelle sunnite l'affluenza dovrebbe essere abbastanza bassa. E si moltiplicano gli appelli a recarsi alle urne. L’ultimo in ordine di tempo è quello del ministro senza portafoglio Adnan al-Janabi, che è anche responsabile della campagna elettorale del premier ad interim Iyad Allawi. Il politico ha chiesto alla sua comunità di appartenenza di respingere gli appelli al boicottaggio.

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Intanto, stanno già votando da ieri i 280 mila iracheni esiliati all’estero e registrati nelle liste elettorali. Quattordici i Paesi in cui sono stati aperti seggi di voto: dall’Iran – dove c’è il numero maggiore di iscritti, quasi un quarto del totale - all’Australia, passando per gli Stati Uniti. Permane, invece, il problema della rappresentatività di questa tornata elettorale, soprattutto alla luce del preannunciato\ boicottaggio dei sunniti: secondo un sondaggio diffuso ieri, il 76 per cento di loro non andrà alle urne. Proprio per approfondire questa spinosa questione, Francesca Sabatinelli ha raggiunto a Baghdad il giornalista sciita Latif Al Saadi.

 

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R. – Non tutti coloro che sono contro le elezioni si possono considerare rappresentativi dei sunniti. Sono sunniti sì, questo è vero, come il partito islamico che figura nelle liste sebbene abbia detto di non voler partecipare al voto. In tutte le liste ci sono sunniti. E’ quindi difficile dividere in un blocco sunnita e in uno sciita. Non sentiamo i sunniti contro di noi.

 

D. – Il Partito islamico ha dichiarato che pur non volendo partecipare a questo voto, in ogni caso vuole far parte del governo transitorio e collaborare alla preparazione, alla redazione, della Costituzione. Questo sarà possibile?

 

R. – Credo che questo sarà possibile. Tutti stanno parlando di questa possibilità. Dopo le elezioni chiunque uscirà vincitore, chiunque domini il prossimo Parlamento, sarà aperto e disposto alla collaborazione per la stesura della nuova Costituzione, che vedrà quindi la partecipazione e l’aiuto degli altri gruppi. Ciò rappresenta una grande occasione per tutti i rappresentanti: quella cioè di poter partecipare alla stesura della costituzione irachena, la prima nella storia moderna del Paese. Deve quindi vedere la partecipazione di tutti i rappresentanti delle forze politiche e anche di tutti coloro che compongono il mosaico iracheno.

 

D. – Una domanda sul dopo voto: che cosa si pensa che potrà esserci o potrà accadere?

 

R. – Noi come iracheni non crediamo che ci possa essere una guerra civile. Ci sarà probabilmente un aumento di attentati terroristici e questo è stato minacciato. Attacchi che non si fermeranno con le elezioni. Credo che comunque ci sarà una grande occasione per l’Iraq: quella di un nuovo governo legittimato da elezioni e non come è adesso con questo governo provvisorio. Il prossimo governo avrà maggiori possibilità, dovrà prendere in mano anche la questione sicurezza. Questo è un obiettivo fondamentale, insieme a quello di scrivere la prima costituzione permanente per un Iraq democratico, uno Stato di diritto in cui siano rispettati i diritti umani. Ci saranno difficoltà certamente, ma credo anche che ci saranno grandi possibilità di andare avanti. Ci sono tanti segnali che confermano che ci saranno delle alleanze, fra chi vincerà,  avrà la maggioranza in Parlamento e le altre forze politiche, così come fra coloro che prenderanno meno seggi nel Parlamento. Questo rappresenta per noi un’ulteriore occasione per porre davanti a tutto l’interesse vero del Paese.

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Nel già complesso panorama socio-politico in cui queste prime elezioni democratiche irachene si svolgeranno, a far salire le tensioni ci pensano le ulteriori terribili rivelazioni di violazione dei diritti umani. A farne le spese è, come sempre, la popolazione civile. Ma ascoltiamo qual è il clima generale che si respira. Rita Anaclerio lo ha chiesto a Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International.

 

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R. – E’ una situazione che Amnesty giudica fortemente problematica. C’è un evidente livello di violenza, di abuso, di violazioni dei diritti umani che chiama in causa tanto i gruppi dell’opposizione armata quanto le forze militari statunitensi, britanniche, le forze della cosiddetta coalizione. C’è una questione naturalmente più evidente delle altre: il fenomeno della tortura. Il carcere di Abu Ghraib era stato un luogo di tortura, terrore, paura e morte, per decenni sotto Saddam Hussein. E’ stato molto amaro per la popolazione irachena vedere quel sistema di tortura tornare all’opera con aguzzini vestiti con una divisa diversa e spesso vedere le vittime essere le stesse del passato regime. C’è una evidente preoccupazione per quello che sarà il futuro di questo Paese in termini di rispetto dei diritti umani.

 

D. – Stando a quanto emerge dai media, sembra che a Baghdad non si riesca a controllare il territorio, in particolare in previsione delle elezioni del 30 gennaio. Qual è la situazione?

 

R. – Baghdad è una città enorme in cui alcune aree, come ad esempio Sadr City, sono abbastanza tranquille adesso. In altre aree è palese la difficoltà di garantire quelle condizioni minime di ordine pubblico.

 

D. – Secondo lei quali sono le aree più a rischio di una minore affluenza?

 

R. – Quelle a maggioranza sunnita, quindi la zona di Baghdad e il cosiddetto triangolo sunnita. Credo che l’attenzione di Amnesty International e delle organizzazioni per i diritti umani debba essere rivolta al diritto di milioni e milioni di cittadine e cittadini iracheni di vivere in un contesto di pace. E’ qualcosa che per generazioni gli iracheni hanno mancato, non per colpa loro, sottoposti a decenni di regime di abuso completo e di terrore, e ad un sistema di sanzioni economiche che ha riportato il Paese all’età della pietra.

 

D. – Per quanto riguarda i diritti umani, la situazione nel periodo Saddam e post-Saddam?

 

R. – Il livello di violenza che c’è stato, continuativo, sistematico, rivolto contro interi settori della popolazione - ricordiamoci il tentato genocidio della popolazione curda – tutto questo ovviamente non c’è più. C’è un’occasione mancata, che è quella di mostrare che si è girato pagina; un’occasione mancata dalle autorità provvisorie del Paese e mancata sicuramente, principalmente, dalle forze della coalizione. Ci sono centinaia e centinaia di casi di torture, ci sono numerosi episodi di attacchi indiscriminati. E, quindi, ciò che il diritto internazionale chiama crimini di guerra, chiama in causa le forze della coalizione. Altrimenti ci chiediamo con quale credibilità potranno essere osservati, giudicati e visti gli atti, i comportamenti delle forze di occupazione da parte della popolazione irachena.

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L’UNICEF AL LAVORO PER SALVARE I BAMBINI DEL SUDEST ASIATICO

DAI TRAUMI PSICOLOGICI POST-MAREMOTO,

UNA SCIAGURA CHE RICHIEDE ANCORA L’ATTENZIONE INTERNAZIONALE

- Intervista con Gianfranco Rotigliano -

 

Si aggrava il bilancio delle vittime colpite dal maremoto nel Sudest asiatico: sono 283 mila i corpi rinvenuti tra le macerie, di cui oltre 230 mila solo in Indonesia. Ed è proprio da questa regione che il giapponese Yasuhiro Ueki, inviato dall’ONU nella provincia indonesiana di Aceh, nel nord dell’isola di Sumatra, lancia un allarme: “L’interesse della comunità internazionale per le vittime del maremoto – ha affermato - è diminuito drasticamente”. Tra le organizzazioni umanitarie ancora in prima linea vi è l’UNICEF. Al suo rappresentante in Indonesia, Gianfranco Rotigliano, Andrea Sarubbi ha chiesto quale sia la situazione dei bambini a poco più di un mese dalla tragedia:  

 

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R. – Direi che sta evolvendo. Per esempio, una cosa importante è che abbiamo riaperto le scuole. Questo è stato un lavoro fatto soprattutto dall’Unicef in collaborazione con il governo. Centrotrenta scuole, se non erro, hanno aperto i battenti e i bambini trovano anche quella che viene chiamata il ricreation, e cioè palloni, la rete per la pallavolo ecc. Per il resto direi che finora si è riusciti a evitare epidemie, non abbiamo una malnutrizione particolarmente severa. Certamente, i problemi sono ancora enormi perché vi sono tuttora anche migliaia di persone nei campi e tutto è ancora distrutto. Ma siamo sulla buona strada.

 

D. – In Sri Lanka, si parla di novemila bambini rimasti orfani, a causa del maremoto, di entrambi i genitori. In Indonesia ne avete incontrati?

 

R. – Sì, ne abbiamo incontrati, ma pochi. C’è una grande solidarietà nella cultura di quelle zone. Questo ha fatto sì che la gran parte dei bambini si sia sistemata con i parenti o con una famiglia allargata, o comunque in famiglie del posto, per cui i bambini completamente abbandonati sono piuttosto pochi.

 

D. – Si è detto più volte che i bambini sono i più colpiti dal maremoto e ciò è vero anche per l’Indonesia. L’Unicef sta facendo qualcosa per aiutarli a superare il trauma?

 

R. – Sì, certo. Intanto bisogna considerare che molti bambini sono morti, in numero probabilmente superiore agli adulti. Si ritroveranno con meno compagni di scuola, con meno amici, cosa questa molto importante per loro. Noi stiamo impegnandoci: intanto, abbiamo fatto un training rapido per formare gli insegnanti che sono rimasti per consigliare i bambini, per dare loro un appoggio psicologico. Poi, nei centri dei bambini che abbiamo aperto nei campi più grossi, ci sono gli assistenti sociali e anche degli assistenti psicosociali che si occupano di stare dietro ai bambini, di consigliarli, di occuparsi di loro, per aiutarli a superare il trauma.

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LA CONOSCENZA DELLA DIVERSITÀ COME VEICOLO DI DIALOGO TRA CRISTIANESIMO

 E ISLAM AL CENTRO DELL’INCONTRO DAL TITOLO “UNA CULTURA PER LA PACE”, PROMOSSO A TORINO DALL’ASSOCIAZIONE SANT’ANSELMO

- Intervista con padre Samir Khalil Samir -

 

“La conoscenza della diversità religiosa: un contributo al dialogo e alla convivenza tra Cristianesimo e Islam”. E’ il tema dell’incontro dal titolo “Una cultura per la pace”, organizzato ieri a Torino dalla Regione Piemonte e dall’Associazione Sant’Anselmo. Molte le personalità intervenute per discutere e testimoniare la centralità della conoscenza e dell’educazione alla multiculturalità, finalizzata alla realizzazione del dialogo interreligioso. Al microfono di Roberta Moretti, il padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura araba e Islamologia all’Università Saint-Joseph di Beirut:

 

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R. – La conoscenza dell’altro è fondamentale per qualunque dialogo. Per le religioni è ancora più necessaria perché il rischio è di proiettare sull’altro l’idea che io ho della sua religione. Tra cristianesimo ed islam, le ambiguità sono molte: da una parte il Corano parla di Cristo e del cristianesimo, e quindi il musulmano pensa di conoscere già la figura di Cristo, ma in realtà la conosce esclusivamente come il Corano la trasmette. Viceversa il cristiano, riferendosi al musulmano, può pensare agli aspetti politici, sociali, culturali dell’islam pur senza conoscere la religione musulmana, ma pensando invece il contrario. Le ambiguità sono, dunque, numerose e perciò una conoscenza dell’altro, che ci viene dall’altro, è fondamentale.

 

D. – Qual è la situazione attuale della convivenza tra cristianesimo ed Islam nel mondo?

 

R. – Non è la stessa nei vari Paesi. In Egitto, ad esempio, è assai tesa perché la tendenza fondamentalista è forte. Esistono, però, delle situazioni più positive: mi viene da pensare al Libano, dove tutti i media fanno intervenire musulmani e cristiani riguardo a tutti i problemi della società.

 

D. – Come evitare che le religioni diventino strumento di conflitto?

 

R. – La religione, essendo la cosa più profonda nella persona, può essere utilizzata contro gli altri. Un’educazione alla tolleranza è fondamentale, nel senso che la tolleranza, la convivenza e la ricerca della pace non significano rinunciare alla certezza di essere nel vero, anzi, mi spingono - se capisco bene la fede - a comprendere la posizione dell’altro e magari a trovare, attraverso un discorso diverso, un fine comune.

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IL VANGELO DI DOMANI

 

 

Domani 30 gennaio, 4a Domenica del Tempo Ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo delle Beatitudini. Gesù, vedendo le folle, sale sulla montagna e le ammaestra dicendo:

 

“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra”.

 

Sul discorso della Montagna ascoltiamo il commento del teologo gesuita padre Marko Ivan Rupnik:

 

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La mente dell’uomo vecchio non riesce a capire la logica delle Beatitudini. Anzi è portata piuttosto a fraintendimenti, leggendo con un certo cinismo una beatitudine dopo l’altra, alludendo ad una specie di “oppio” con il quale si consolano i poveri ed i miserabili, con un benessere comunque sempre spostato in là.

 

Beato non è stato tradotto con il termine greco eudaimonos (contento, soddisfatto), ma con makarios. che ha un significato squisitamente spirituale. Makarios (beato) è colui che ha quella pace profonda, con un sapore di vera felicità, proprio perché ha la certezza di essere sulla strada giusta, che la sua vita procede nel verso giusto. Tale certezza gli proviene dal legame col Signore stesso. Qualsiasi cosa capiti nella vita – la povertà, l’ingiustizia, le guerre, le persecuzioni – l’uomo può sperimentare la fedeltà di Dio, che rimane con lui. E perciò è beato perché rimane con Dio, non si ribella e non tronca la relazione.

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CHIESA E SOCIETA’

29 gennaio 2005

 

 

 

PORRE L’ETICA A BALUARDO DELLA VERITA’ COME SERVIZIO RESO ALL’UOMO:

COSI’ IL CARDINALE TETTAMANZI AI GIOVANI DELLE SCUOLE MILANESI

CHE SI PREPARANO A DIVENTARE GIORNALISTI 

- A cura di Fabio Brenna -

 

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MILANO. = “Formatevi ad essere giornalisti”: questo ha espressamente chiesto il cardinale Tettamanzi ai giovani che si preparano a diventare giornalisti nelle tre scuole milanesi: IFG, Istituto per la formazione al giornalismo promosso dall’Ordine, la Scuola dell’Università Cattolica ed il master dello IULM. E’ un quadro complesso quello in cui l’arcivescovo di Milano situa la professione giornalistica oggi, schiacciata dalla tecnologia, dominata da interessi economici, finanziari e commerciali, realizzata in un panorama di concentrazioni editoriali. Il comunicatore  - ha osservato -diventa decisivo se pone l’etica a baluardo del servizio alla verità intesa come servizio all’uomo, alimenta questa vigilanza critica offrendo la propria intelligenza alimentandola con la spiritualità, realizzando la carità della verità, amando, cioè, nel comunicare. Dopo aver passato in rassegna i documenti più recenti del magistero sul tema della comunicazione, e additato l’esempio di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, il cardinale Tettamanzi ha concluso con un’esortazione rivolta soprattutto a chi, con coscienza, oltre che con competenza tecnica, si prepara al giornalismo: “Essere giornalisti, cioè ascoltatori attenti, osservatori critici che non cedono, soprattutto, alla tentazione di omologare tutto, mischiando i fatti come se fossero tutte verità ultime”.

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RINFORZARE I NEGOZIATI PER COSTRUIRE UN PONTE FRA I DUE POPOLI.

E’ L’APPELLO DEL PORTAVOCE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CUBANA

ESORTA AL DIALOGO FRA CUBA E STATI UNITI

 

L’AVANA. = Le relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti possono servire a costruire “un ponte tra i due popoli”. Ad affermarlo è Orlando Marquez, portavoce della Conferenza episcopale cubana, in un articolo pubblicato dalla rivista dell’arcidiocesi dell’Avana “Palabra Nueva”, di cui è direttore. “Il dialogo ed i negoziati sono componenti fondamentali della diplomazia” - sostiene Marquez - citando come esempio il recente riavvicinamento tra Cuba e l'Unione Europea. Secondo il direttore di “Palabra Nueva”, ''i governi dell'Avana e Washington non mostrano volontà di dialogo e continuano a confrontarsi con una politica da Guerra fredda”. La Chiesa cattolica cubana ha una posizione critica nei confronti del governo che le ha imposto forti restrizioni alla sua partecipazione alla vita sociale. Tuttavia, la Chiesa si rifiuta di appoggiare apertamente i dissidenti, sottolineando con forza la natura pastorale della sua missione che non ha obiettivi politici. (E. B.)

 

 

NEL NORDEST DELLO SRI LANKA, IL GOVERNO OSTACOLA L’ARRIVO

DEGLI AIUTI DESTINATI ALLE VITTIME DELLO TSUNAMI:

PERMESSI E PRATICHE BUROCRATICHE RALLENTANO LE OPERAZIONI DI SOCCORSO,

SECONDO LA DENUNCIA DI PADRE C.D. JEYAKUMAR,

DIRETTORE DELLA CARITAS DI JAFFNA

 

COLOMBO. = Nel Nord dello Sri Lanka, i sopravvissuti allo tsunami attendono da due settimane l’arrivo di tende e generatori di corrente bloccati al sud. Lo ha dichiarato all’agenzia di stampa “Asia News” padre C.D. Jeyakumar, direttore della Caritas di Jaffna (Hudec), che si occupa di assistere i sopravvissuti in queste aree, teatro della decennale guerra civile tra governo e separatisti. Il religioso ha detto che sono i ritardi e le restrizioni da parte delle autorità a tenere in sospeso molto materiale inviato dalle ONG, destinato agli aiuti. “Abbiamo difficoltà nel ricevere i soccorsi perché il governo ci sta dando problemi” spiega il religioso, specificando che le autorità chiedono di attendere una lettera ufficiale e il permesso delle autorità sanitarie. Tra le difficoltà, però, padre Jeyakumar trova conforto nel grande appoggio dato alla Hudec dalle altre Caritas internazionali: “È molto incoraggiante vedere il sostegno che ci arriva da Francia, Germania, Irlanda e Lussemburgo, solo per nominarne alcune”. Secondo le stime dell’Hudec, in questa zona del Paese in gran parte controllata delle Tigri di Tamil, lo tsunami ha lasciato senza casa tra le 150 e le 200 mila persone. “Gente che senza tende – afferma il sacerdote - è costretta a continuare a vivere nei campi d’accoglienza, invece di poter tornare nelle proprie terre”. Tuttavia, recentemente molti analisti avevano avvertito che il tentativo, da parte del governo e dei ribelli, di strumentalizzare le operazioni di soccorso per i propri interessi politici avrebbe creato problemi alle vittime delle zone settentrionali. (E. B.)

 

 

“DICHIARAZIONE DI INTENTI COMUNI” FRA GLI EDITORI CATTOLICI NEL MONDO.

 DURANTE IL terzo convegno “Religiosi e religiose

nell’ editoria  multimediale”,  EMERGE L’IMPORTANZA DI UN EQUILIBRIO

FRA TECNICHE INNOVATIVE E TRADIZIONALI METODI DI CATALOGAZIONE

 

ROMA. = Gli editori cattolici nel mondo sono alla ricerca di nuove formule per sopravvivere alle logiche di un mercato distratto e in sempre più rapida evoluzione. A sollecitare un impegno comune è don Silvio Sassi, superiore generale dei Paolini, che in occasione del terzo Convegno “Religiosi e religiose nell'editoria  multimediale”, ha redatto la bozza di una “Dichiarazione di intenti comuni”. A destare allarme è non solo la difficoltà di immettere nel circuito internazionale istruzioni condivise per un sano equilibrio tra messaggio tradizionale e linguaggi innovativi, ma soprattutto la crisi che l'editoria religiosa sta attraversando in Francia e Germania. E’ emersa, quindi, l'urgenza di “nuove alleanze a partire dalla distribuzione generale, non tanto in termini di resa economica quanto in termini di missione evangelizzatrice”. Secondo don Sassi, fondamentale è “la collaborazione con laici, dotati di professionalità e che condividano i valori cattolici”. Il religioso, infatti, sottolinea come la proficua interazione fra mentalità laica e cattolica dia un ricco contributo ad un sapere sempre più vario e approfondito. Inoltre, questa cooperazione porta equilibrio nel confezionare il prodotto. Durante il Convegno, inoltre, è emersa l’importanza di una innovazione editoriale. “Trovare una via di mezzo tra l'instant book e il libro di catalogo – ha concluso don Sassi – è la strada giusta per una possibile crescita dell’editoria cattolica”. (R.A.)

 

 

ROMA AVRÀ PRESTO UNA CHIESA IN PIÙ. SARÀ UNA CHIESA ORTODOSSA

ALLE DIRETTE DIPENDENZE DEL PATRIARCATO DI MOSCA,

CHE PUNTA AD INTENSIFICARE IL DIALOGO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

 

MOSCA. = Una chiesa ortodossa sorgerà al Granicolo, nel perimetro della Villa Abamelek, residenza dell’ambasciatore russo in Italia. Il mese prossimo, incominceranno i lavori con l’obiettivo di ultimare la costruzione nel corso del 2006. Ad annunciarlo è il metropolita Kirill, ministro degli Esteri e numero due del Patriarcato, che ha sottolineato l’importanza di questa chiesa per intensificare il dialogo fra il popolo russo e quello italiano e per migliorare i rapporti con la Santa Sede. “La Chiesa cattolica e quella ortodossa – puntualizza il metropolita – hanno lo stesso sistema di valori e devono cooperare per far si che questi valori cristiani non scompaiono dall’Europa unita”. La chiesa, dedicata a Santa Caterina, una martire del 4° secolo, che ortodossi e cattolici hanno in comune, sarà il coronamento di un’aspirazione più che centenaria: è dalla fine del 19° secolo, quando nella città di Roma mise per la prima volta radici una piccola comunità russa, che si discute della costruzione di una vera e propria chiesa ortodossa in Italia. La cerimonia per la posa della prima pietra risale al 2001, ma difficoltà nel reperimento dei fondi necessari hanno impedito di completare il progetto. Al momento, sono stati raccolti soltanto 400 mila euro, mentre in tutto servono 3,5 milioni di euro che, assicura il metropolita Kirill, “saranno racimolati nel corso dei prossimi sei mesi”. (E. B.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

29 gennaio 2005

 

 

- A cura di Roberta Moretti -

 

Ancora segnali di pace in Medio Oriente, dove giunge la notizia di un incontro, previsto per il prossimo 8 febbraio, tra il premier israeliano, Ariel Sharon, e il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. Concluso intanto il dispiegamento di circa 4 mila agenti palestinesi nella Striscia di Gaza per impedire gli attacchi contro lo Stato ebraico, ieri Israele ha annunciato la fine delle operazioni militari offensive nei Territori. E proprio per stabilizzare la nuova situazione di sicurezza nella Striscia, 40 ufficiali della polizia palestinese si recheranno la prossima settimana in Egitto per un addestramento.  Il nostro servizio:

 

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Un incontro atteso e finalmente fissato in un periodo di massima. Entro 15 giorni il premier israeliano, Ariel Sharon, ed il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, saranno seduti allo stesso tavolo per decidere il futuro dei Territori, ma anche dare una svolta alla decennale vicenda israelo-palestinese. E se da una parte si pensa con positività al prossimo avvenire, dall’altro si continua a fare i conti con la violenza: questa mattina, un palestinese ha perso la vita nei pressi della città di Khan Younis. Secondo fonti locali, l’uomo, disabile mentale, sarebbe stato colpito dopo essersi avvicinato inavvertitamente al confine tra Gaza e Israele. Alcuni colpi di mortaio sono stati lanciati ieri contro la colonia di Netzer Hatzani. Sempre ieri, dopo l’annuncio dello Stato maggiore israeliano del blocco delle operazioni militari, specialmente nella Striscia di Gaza, in seguito al dispiegamento degli agenti palestinesi nei Territori, il premier dello Stato ebraico, Ariel Sharon, aveva parlato di “svolta storica” per la pace. Un ottimismo solo in parte temperato dalla netta affermazione del movimento fondamentalista palestinese di Hamas alle prime elezioni amministrative tenute nella Striscia di Gaza, che segna un parziale passo indietro della linea del dialogo del presidente dell’ANP. Intanto, per questa sera è previsto l’incontro tra il ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz, e l’alto esponente dell'Autorità palestinese, Mohammed Dahlan, per discutere del passaggio sotto il controllo palestinese di città della Cisgiordania e di ulteriori passi nel dispiegamento di forze di sicurezza nei Territori. E l’area mediorientale si conferma di estremo interesse per la nuova amministrazione statunitense: per il 6 e 7 febbraio prossimi è atteso il neo segretario di Stato americano, Condoleeza Rice.

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E rappresentanti ministeriali israeliani e palestinesi si sono incontrati a Davos, in Svizzera, per discutere del ritiro da Gaza. Il vertice, a porte chiuse, è avvenuto a margine del Forum economico mondiale, che in questi giorni sta esaminando alcune proposte per combattere la povertà nel mondo. Dal palco della platea, ha parlato questa mattina il presidente della Commissione europea, José Manule Durao Barroso, che annunciando le nuove priorità dell’Agenda di Lisbona ha auspicato l’apertura del mercato interno soprattutto per il settore dei servizi, tra cui quello bancario. Sui temi in agenda a Davos, Andrea Sarubbi con Luca Fasani, inviato a Davos della Radio Svizzera Italiana:

 

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R. – A Davos si è parlato soprattutto di lotta alla povertà e di programmi specifici presentati dai politici. Bisogna anche dire però che la cosa è naturale. Questi politici arrivano e parlano in pubblico, mentre i lavori più “economici” spesso si svolgono a porte chiuse, dove i giornalisti non entrano. E’ chiaro allora che queste sono le cose che attirano l’attenzione. Che sia la volta buona, lo speriamo. Se, in effetti, il G8 veramente può contare sul’adesione di quattro o cinque Paesi importanti per condonare il debito ai Paesi più poveri, ciò si potrà fare. Ricordiamo inoltre che la grande massa dei debiti grava su Paesi emergenti come il Messico, l’Argentina, il Brasile e forse anche l’Indonesia ed altri Paesi asiatici, i quali in fondo, non è che si siano fatti prestare cifre enormi. Per vedere come andrà a finire, bisognerà aspettare il prossimo Vertice dei ministri delle Finanze del G7 e del G8.

 

D. – A parte le speranze e le promesse, però, risultati concreti in questi giorni se ne sono visti?

 

R. – Di risultati concreti - a parte forse il milione raccolto dall’attrice Sharon Stone, se si è contato giusto - non è che se ne vedano. Ma Davos è un punto di incontro e di discussione, non è che sia una riunione del Consiglio di amministrazione di una società, dove si può decidere quale sia la strada da seguire e quindi andare avanti. Certamente, non mettono in campo le risorse che mette in campo un governo.

 

D. – Ma allora, se il Forum economico mondiale non ha questo potere decisionale, serve ancora a qualcosa?

 

R. – Davos, sicuramente, come Forum economico mondiale, è rappresentativo dell’economia. Sono infatti rappresentati Giappone, Stati Uniti ed Europa, meno quindi America Latina, Africa e il resto dell’Asia. Cosa vuol dire, allora? Vuol dire che qui è presente veramente la gente dell’economia. Non si può quindi pretendere che Davos faccia il lavoro di un’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

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Nella città brasiliana di Porto Alegre, intanto, va avanti il Forum sociale mondiale. I partecipanti hanno deciso di indire, per il 20 marzo, una manifestazione mondiale contro la guerra in Iraq. Ma sono molti i temi toccati, come ci riferisce Maurizio Salvi:

 

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Ieri pomeriggio, si sono svolte a Porto Alegre numerose manifestazioni, tra cui una degli ambientalisti contro una multinazionale di prodotti agricoli transgenici, una seconda contro l’occupazione israeliana nei territori, ed una terza ostile alla politica degli Stati Uniti in Iraq, durante la quale è stato anche bruciato un fantoccio rappresentante George Bush. I partecipanti al Forum sociale mondiale non hanno disdegnato il confronto su temi centrali, quali la riforma delle Nazioni Unite, che dovrebbe essere definita nel Summit di settembre, a New York. In particolare, si sono riuniti i movimenti di tutto il mondo, promotori dell’appello “Vogliamo un’ONU nostra”, fra i quali le ACLI, Mani tese e Beati costruttori di pace.

 

Da Porto Alegre, Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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A un mese dal maremoto che ha sconvolto il sud-est asiatico, continua a Phuket, in Thailandia, il vertice sui sistemi anti-tsunami a cui prendono parte 43 Paesi e 14 agenzie dell’Onu. Ma c’è il rischio di un nulla di fatto: Thailandia, India e Indonesia si contendono infatti il nuovo centro di controllo, che dovrebbe essere allestito nei prossimi mesi.

 

I negoziati aperti ieri, a Helsinki, con la mediazione della Finlandia, tra governo indonesiano e i ribelli indipendentisti della provincia di Aceh, la più colpita dal maremoto, si sono subito rivelati difficili. Lo ha annunciato oggi il vice presidente indonesiano, Yusuf Kalla, confermando la disponibilità di Giakarta a concedere alla regione una forte autonomia, ma non l’indipendenza.

 

Sembra avviata ad una soluzione la crisi diplomatica e commerciale scoppiata tra Venezuela e Colombia, in seguito al sequestro di Rodrigo Granda, leader delle FARC, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, avvenuta nei giorni scorsi a Caracas da parte di un commando. A confermare la notizia, un comunicato congiunto diffuso dai governi dei due Paesi.

 

Dopo 55 anni, è decollato questa mattina dall’aeroporto di Pechino alla volta di Taipei il primo volo diretto tra Cina e Taiwan. La ripresa del collegamento è stata resa possibile da un accordo per il rientro a casa di migliaia di taiwanesi, in occasione del capodanno cinese, che quest’anno cade il 9 febbraio.

 

Funerali privati a Pechino per l’ex dirigente riformista, Zhao Ziyang, allontanato dal governo cinese nel 1989 per essersi opposto alla repressione sanguinaria del movimento studentesco. Tafferugli sono avvenuti all’esterno del cimitero, dove decine di persone, che volevano rendere omaggio all’ex dirigente, sono state allontanate con la forza dalla polizia.

 

Nuovo decesso in Vietnam a causa dell’influenza dei polli. Una ragazzina di 13 anni è morta all’alba di oggi all’Ospedale di Ho Chi Minh, l’ex Saigon, dopo che il virus le aveva ucciso la madre il 21 gennaio scorso. Sale così a 11 il bilancio delle vittime del morbo in Vietnam nell’ultimo mese, dove è piena emergenza.

 

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