RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
29 - Testo della trasmissione sabato 29 gennaio 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
Il
Vangelo di domani dedicato alle Beatitudini: il commento di padre Marko Ivan
Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
Nel Nordest dello Sri Lanka, la
burocrazia ostacola l’arrivo degli aiuti alle vittime dello tsunami
“Dichiarazione
di intenti comuni” fra gli editori cattolici nel mondo
A Roma
verrà edificata una chiesa ortodossa, alle dirette dipendenze del Patriarcato
di Mosca
Entro 2
settimane, l’incontro tra il Ariel Sharon e Abu Mazen per la pace in Medio Oriente
La povertà nel mondo, il dialogo israelo-palestinese e il futuro in Ucraina: i temi in agenda al Forum economico mondiale di Davos. A Porto Alegre, il Forum sociale discute di OGM e di sviluppo sostenibile
29 gennaio 2005
PER AGIRE CON GIUSTIZIA, IL GIUDICE DEVE RICERCARE LA
VERITA’,
SENZA
FARSI CONDIZIONARE DA SENTIMENTI DI FALSA COMPASSIONE,
NE’
FALSI MODELLI DI PENSIERO: IL DECISO RICHIAMO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRELATI
UDITORI DELLA ROTA ROMANA, RICEVUTI IN UDIENZA
IN
OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
La
dimensione morale dell’attività degli operatori giuridici dei tribunali ecclesiastici
è stato il tema chiave del discorso rivolto stamani dal Papa ai prelati uditori
del Tribunale Apostolico della Rota Romana, guidati in udienza dal decano,
mons. Antoni Stankiewicz, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario.
Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Da sempre la questione etica si
è posta con speciale intensità in qualsiasi genere di processo giudiziario”. E’
quanto sottolineato da Giovanni Paolo II che ha constatato come gli “interessi
individuali e collettivi” possano “indurre le parti a ricorrere a vari tipi di
falsità e perfino di corruzione allo scopo di raggiungere una sentenza
favorevole”. Un rischio, ha proseguito, da cui “non sono immuni nemmeno i
processi canonici, in cui si cerca di conoscere la verità sull'esistenza o meno
di un matrimonio”. Certo, ha detto il Papa, “l'indubbia rilevanza che ciò ha
per la coscienza morale delle parti rende meno probabile l’acquiescenza ad interessi
alieni dalla ricerca della verità”. Tuttavia, “possono verificarsi dei casi nei
quali si manifesta una simile acquiescenza, che compromette la regolarità dell’iter
processuale”. E’ evidente, ha avvertito, “l’oggettiva gravità giuridica e
morale di tali comportamenti”. Non mancano, però, fedeli che “pur essendo coinvolti
in prima persona in una crisi coniugale, non sono disposti a risolverla se non
seguendo la via della verità”.
Un
altro rischio è pure incombente: “In nome di pretese esigenze pastorali – ha
rilevato - qualche voce s’è levata per proporre di dichiarare nulle le unioni
totalmente fallite”. Per ottenere tale risultato, ha constatato, “si suggerisce
di ricorrere all'espediente di mantenere le apparenze procedurali e
sostanziali, dissimulando l'inesistenza di un vero giudizio processuale. Si è
così tentati di provvedere ad un’impostazione dei capi di nullità e ad una loro
prova in contrasto con i più elementari principi della normativa e del magistero
della Chiesa”.
Il Papa
si è così soffermato sulla deontologia del giudice, che “ha il suo criterio
ispiratore nell’amore per la verità” e deve dunque “essere innanzitutto convinto
che la verità esiste”. Il giudice che “veramente agisce da giudice, cioè con
giustizia – è stato il monito del Santo Padre – non si lascia condizionare né
da sentimenti di falsa compassione per le persone, né da falsi modelli di
pensiero, anche se diffusi nell’ambiente. Egli sa che le sentenze ingiuste non
costituiscono mai una vera soluzione pastorale, e che il giudizio di Dio sul
proprio agire è ciò che conta per l'eternità”. Il giudice deve perciò
“attenersi alle leggi canoniche, rettamente interpretate” e “non deve mai perdere
di vista l’intrinseca connessione delle norme giuridiche con la dottrina della
Chiesa”, evitando “una mentalità positivistica”.
D’altro canto, il Pontefice ha ricordato che i vescovi “sono i giudici
per diritto divino delle loro comunità”. E’ in loro nome, infatti, “che i
tribunali amministrano la giustizia”. Devono perciò impegnarsi in prima persona
nel curare “l’idoneità dei membri dei tribunali, diocesani e interdiocesani”,
accertando “la conformità delle sentenze con la retta dottrina”. I vescovi, ha
detto ancora, “non possono pensare che l'operato dei loro tribunali sia una
questione meramente “tecnica” della quale possono disinteressarsi, affidandola
interamente ai loro giudici vicari”. Infine, si è soffermato sull’istruttoria
della causa, “momento importante della ricerca della verità”. E’ vero che “il
dovere di una giustizia tempestiva fa parte del servizio concreto della verità
e costituisce un diritto delle persone”, ha riconosciuto il Papa, “tuttavia,
una falsa celerità, che sia a scapito della verità, è ancor più gravemente
ingiusta”.
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Nel suo indirizzo d’omaggio, il
decano, mons. Antoni Stankiewicz, si è soffermato sulla “determinazione
dell’identità del matrimonio”. Ha così evidenziato che “non possono arrogarsi
l’identità e la dignità di un vero matrimonio, sul quale viene fondata la
famiglia né le unioni di fatto eterosessuali, in cui l'amore non si traduce in
impegno stabile e rigorosamente giuridico, né ancor di meno lo possono
rivendicare le unioni omosessuali, che costituiscono una distorsione di ciò che
dovrebbe essere una comunione di amore e di vita tra un uomo e una donna, in
una donazione reciproca aperta alla vita”. “L’equiparazione delle unioni omosessuali
al matrimonio, come avviene in alcuni ordinamenti statali – ha affermato il
decano – non per questo le rende giuste”.
Mons. Stankiewicz ha quindi
rivolto l’attenzione al problema pastorale del “recupero della comunione da
parte dei fedeli divorziati e risposati”, ribadendo che la celebrazione
dell’Eucaristia “non può essere il punto di avvio della comunione, che
presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione”. In
realtà, ha spiegato “esiste un'esigenza intrinseca all'Eucaristia che essa sia
celebrata nella comunione, e concretamente nell'integrità dei suoi vincoli”.
Per questo, ha proseguito il decano, “ricevere la Comunione eucaristica in contrasto
con le norme della comunione ecclesiale è quindi una cosa in sé contraddittoria”.
Il Tribunale della Rota Romana
ebbe origine dalla Cancelleria Apostolica, nella quale dopo il Cancelliere (poi
Vice-Cancelliere) venivano l'auditor contradictorum ed i cappellani.
A questi, prima caso per caso e poi stabilmente, era affidata l'istruzione
delle cause, ma Innocenzo III diede loro anche il potere di pronunziare la
sentenza. Con Innocenzo IV e il primo Concilio di Lione, i cappellani formarono
un tribunale stabile. Giovanni XXII assegnò ad esso una sede particolare e nel
1331 lo disciplinò con uno speciale regolamento. Il nome “Rota” deriva probabilmente
dal recinto circolare in cui si adunavano o sedevano gli Uditori per giudicare
le cause. L’elezione degli uditori fu sempre riservata al Papa, ma fu concesso
anche ad alcune nazioni il diritto di nominare qualche uditore. Da Gregorio XVI
(1834), la Rota fu anche Tribunale di appello per lo Stato Pontificio, mentre
le cause pertinenti il foro ecclesiastico di preferenza venivano decise dalle
Congregazioni. Nel 1870, l’attività della Rota Romana quasi cessò, ma San Pio
X, con la Costituzione Sapienti Consilio, la ricostituì nel 1908. Le
norme vigenti sono state approvate e promulgate da Giovanni Paolo II nel
febbraio 1994.
UDIENZE
E NOMINE
Giovanni
Paolo II ha ricevuto, nel corso della mattinata, il cardinale Giovanni Battista
Re, prefetto della Congregazione per i vescovi.
Il Papa ha
nominato consultori della Congregazione per l'Educazione Cattolica: Allen Henry
Vigneron, vescovo di Oakland (Stati Uniti d'America); Stanisław Wojciech
Wielgus, vescovo di Pock (Polonia); Jean‑Louis Brugues, vescovo di Angers
(Francia); Diego Coletti, vescovo di Livorno (Italia); Rainer Woelki, ausiliare
di Köln (Germania); Fabio Duque Jaramillo, vescovo di Armenia (Colombia); il
sacerdote Carlo Bresciani, professore presso il Seminario vescovile di Brescia
(Italia); padre Lawrence B. Terrien, P.S.S., superiore generale dei Sulpiziani
(Francia); mons. Krzysztof Pawlina, rettore del Seminario maggiore di Warszawa
(Polonia); padre Francisco Mateos Gil, L.C., professore presso il Pontificio
Ateneo "Regina Apostolorum", Roma; suor Lydia M. Allen, R.S.M., Mainz
(Germania), esperta in psicologia; il sacerdote Hubertus Blaumeiser, professore
incaricato presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università
Gregoriana, Roma; il sacerdote Bernhard Körner, professore presso la Facoltà
Teologica di Graz (Austria); il sacerdote Javier Canosa Rodríguez, professore
presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa
Croce, Roma; mons. Guy‑Réal Thivierge, segretario generale della F.I.U.C.
(Francia); padre James Conn, S.I., professore ordinario presso la Facoltà di
Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana, Roma; mons. Alfredo Horacio
Zecca, rettore della Pontificia Università Cattolica di Buenos Aires
(Argentina); padre David M. O'Connell, C.M., rettore dell'Università Cattolica
d'America, Washington (Stati Uniti d'America); padre Franco Imoda, S.I.,
rettore emerito della Pontificia Università Gregoriana, Roma; padre Antonio Maria
Perrone, Sch. P., presidente della F.I.D.A.E., Roma; suor Ausilia Chang Hiang‑Chu,
F.M.A., preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione
"Auxilium", Roma; il sacerdote Kevin Doran, coordinatore nazionale
per le Vocazioni diocesane, Conferenza episcopale irlandese, Dublin (Irlanda);
padre Antonio Fiorenza, R.C.I., vicario generale dei Rogazionisti, Roma; il
sacerdote Jesús Arrisero Pulido, dei Sacerdoti operai diocesani, Roma; mons. Paolo
Selvadagi, rettore del Pontificio Seminario Romano Minore, Roma; il sacerdote
Ludovico Caputo, S.D.V., superiore generale dei Padri Vocazionisti; suor Maria
De Luca, direttrice della Rivista di orientamento per giovani "Se
vuoi" (Italia); il prof. Manuel António Garcia Braga Da Cruz, rettore
dell'Università Cattolica Portoghese, Lisboa (Portogallo); Étienne Verhack,
segretario generale del C.E.E.C., Bruxelles (Belgio).
LA SOLIDARIETA’
DEL PAPA ALLE VITTIME E AI SOPRAVVISSUTI DELLO TSUNAMI
MANIFESTATA DAL SUO INVIATO NELL’AREA,
L’ARCIVESCOVO CORDES,
DA OGGI AL PRIMO FEBBRAIO IN INDONESIA, E DAL 2 AL
4 IN SRI LANKA
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Una “terribile calamità”,
alleviata da solidarietà senza paragoni, che ha portato speranza a chi è stato
travolto dallo tsunami e che, in
futuro, potrà rimanere come esempio di generosità e di cooperazione
internazionale “al servizio del bene comune”. Sono, in sintesi, alcuni dei
pensieri del Papa che accompagnano la sua lettera al presidente del Pontificio
Consiglio Cor Unum, l’arcivescovo
Paul Josef Cordes, partito oggi per il sudest asiatico come rappresentante del
Papa nelle zone devastate dal maremoto. Il servizio di Alessandro De Carolis.
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Una settimana di viaggio sui
luoghi dell’orrore, per testimoniare la vicinanza del Papa ai sopravvissuti.
Mons. Cordes è partito oggi per l’Indonesia – un Paese straziato dallo tsunami con più di 200 mila morti – e si
trasferirà poi, dal 2 al 4 febbraio, in Sri Lanka per incontrare capi di Stato,
vescovi, leader religiosi, soccorritori, fedeli. Nella sua lettera, Giovanni
Paolo II spende le sue prime parole per la “grande mobilitazione di aiuti
umanitari” messa in campo da Cor Unum
e dalle numerose agenzie cattoliche impegnate nel sudest asiatico. “La prego di
voler esprimere tutta la mia preoccupazione e vicinanza nella preghiera a tutti
coloro che sono stati colpiti dalla tragedia e ne soffrono le conseguenze”,
scrive il Pontefice, che affida alla misericordia di Dio le vittime della
“terribile calamità”, chiedendo la consolazione divina “per i feriti, i
sopravvissuti, i senzatetto”.
Lo sguardo del Papa spazia
idealmente su quanto gli Stati del pianeta sono stati capaci di fare per i
Paesi colpiti in nome della solidarietà. Auspico che essa, afferma, “sia
fonte di incoraggiamento, perseveranza e speranza per tutti coloro che sono
impegnati nella grande opera di ricostruzione che si prospetta. Chiedo inoltre
ai fedeli delle diverse religioni di essere uniti nel sostenere ed assistere
coloro che sono nel bisogno. Con la grazia di Dio – prosegue - possa tale catastrofe
condurre ad un futuro di maggiore generosità, cooperazione ed unità al servizio
del bene comune da parte degli individui, dei popoli e delle nazioni”. E
nell’invitare i credenti a rafforzare la propria fede nella “misteriosa
provvidenza” divina, Giovanni Paolo II chiede a Dio “il dono della saggezza e
della forza per le autorità civili e per tutti coloro che sono impegnati
nell’opera di soccorso”.
L’agenda di viaggio di mons.
Cordes prevede, da oggi al 1 febbraio, la sosta in in Indonesia, dove il
massimo responsabile di Cor Unum visiterà
le popolazioni colpite ad Aceh – la città che ha subito le maggiori perdite in
assoluto – per poi celebrare una Messa in suffragio delle vittime. In
programma, anche l’incontro con il presidente della Repubblica indonesiana,
Susilo Bambang Yudhoyono, e altre autorità, oltre alla partecipazione alla
riunione di coordinamento delle Organizzazioni cattoliche e ad un meeting con i
leader religiosi, per sostenere il comune impegno nella ricostruzione.
Mons. Cordes si trasferirà
quindi in Sri Lanka, dal 2 al 4 febbraio. Anche in questo Paese presiederà una
celebrazione eucaristica di suffragio insieme con i vescovi dell’area e avrà
diversi incontri con le autorità del Paese e le popolazioni del Sud dell’isola.
Parteciperà, infine, ad un incontro con le Caritas e le ONG cattoliche presenti
sul posto.
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IL 31 GENNAIO E IL
PRIMO FEBBRAIO SI RIUNISCE IN VATICANO
LA COMMISSIONE PER L’ESAME DEI CASI DI ACCUSA DI
ABUSO
SESSUALE
SU MINORENNI: AD ANNUNCIARLO E’ UNA NOTA DEL DIRETTORE
DELLA SALA
STAMPA DELLA SANTA SEDE, NAVARRO-VALLS
- A cura di Alessandro Gisotti -
Il 31 gennaio ed il primo febbraio si incontrerà in
Vaticano, come previsto, la Commissione mista per l’esame delle norme dei casi
di accusa di abuso sessuale su minorenni. Lo riferisce una dichiarazione del
direttore della Sala Stampa Vaticana, Joaquin Navarro-Valls. “La Commissione –
informa la nota – è composta da delegati della Conferenza episcopale statunitense
(USCCB) e rappresentanti di dicasteri della Curia Romana. La Commissione –
conclude Navarro-Valls - ha lo scopo di studiare l’applicazione delle norme,
approvate l’8 dicembre 2002, ad experimentum per due anni, e di valutare
le linee guida per il futuro, nel contesto del diritto universale della
Chiesa”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il discorso di Giovanni Paolo II alla Rota Romana:
dimensione morale degli operatori giuridici e dovere di adeguarsi alla verità
sul matrimonio come è insegnata dalla Chiesa.
Nelle
vaticane, il Messaggio del Papa alle popolazioni del Sud-Est asiatico colpite
dallo tsunami.
Una
pagina dedicata al cammino della Chiesa in Europa.
Nelle
estere, Iraq: nuovo appello di Kofi Annan a partecipare alle storiche elezioni
generali di domenica.
Medio
Oriente: Israele sospende le operazioni nella Striscia di Gaza.
Nella
pagina culturale, d'apertura l'elzeviro di Mario Gabriele Giordano dal titolo
"I tre giorni della merla": tra letteratura e leggenda.
Nelle
pagine italiane, in primo piano l'emergenza-maltempo.
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29
gennaio 2005
DOPO CIRCA
50 ANNI LA PRIMA TORNATA ELETTORALE DEMOCRATICA.
VIGILIA DI
TENSIONE E DI SANGUE, CON ATTENTATI
E
ALTISSIME MISURE DI SICUREZZA
- A cura di Salvatore Sabatino -
A meno di 24 ore dalle prime
elezioni democratiche del dopo Saddam Hussein, in Iraq si moltiplicano gli
episodi di violenza della guerriglia contraria alle consultazioni. Uffici
elettorali distrutti, continui attentati con vittime civili. Il nostro
servizio:
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L’Iraq si prepara alla tornata elettorale di domani
con il volto di un Paese che teme attesa di un’ondata di attentati. Le minacce
della guerriglia si trasformano in tragica realtà e già si contano numerosi
attacchi. Strascichi degli attentati dei giorni precedenti; avvisi di sangue di
ciò che potrebbe avvenire domani. In mattinata un’autobomba a Kanaqhin, una
cittadina a nord est di Baghdad, è saltata in aria – secondo alcuni di fronte
una base militare americana, secondo altri nei pressi della sede del partito
turcomanno- causando tra le 5 e le 8 vittime. Poco prima una sparatoria di
vaste proporzioni è avvenuta in pieno giorno, nel cuore della capitale. Un
altro attentato kamikaze, sempre a Baghdad, è stato sventato all’ultimo momento.
Intorno a mezzogiorno, invece, 3 forti esplosioni hanno interessato la “zona
verde”, la più controllata di Baghdad, ex roccaforte del deposto Saddam ed
attuale quartier generale della coalizione internazionale a guida statunitense.
Sconosciuta, al momento, l’origine e le conseguenze delle deflagrazioni.
Per evitare fatti di sangue come questi, l’aeroporto
della capitale resterà chiuso fino a lunedì. Le misure di sicurezza arrivano
addirittura ad oscurare le comunicazioni telefoniche, con aerei radar
statunitensi capaci di disturbare le comunicazioni. I seggi elettorali sono
ormai sigillati da una complessa macchina di controlli che arriva a vietare il
traffico in gran parte della capitale. Ma questo non ferma la propaganda. Un
volantino del partito Baath, che incita alla violenza contro le votazioni, sta
circolando per le strade di Baghdad. La commissione elettorale ha stimato che
domani a votare sarà il 57% degli aventi diritto: circa otto milioni di
persone. Per alcuni osservatori la partecipazione maggiore si dovrebbe avere
nelle zone sciite del sud e del centro del paese, mentre in quelle sunnite
l'affluenza dovrebbe essere abbastanza bassa. E si moltiplicano gli appelli a
recarsi alle urne. L’ultimo in ordine di tempo è quello del ministro senza
portafoglio Adnan al-Janabi, che è anche responsabile della campagna elettorale
del premier ad interim Iyad Allawi. Il politico ha chiesto alla sua comunità di
appartenenza di respingere gli appelli al boicottaggio.
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Intanto, stanno già votando da
ieri i 280 mila iracheni esiliati all’estero e registrati nelle liste
elettorali. Quattordici i Paesi in cui sono stati aperti seggi di voto:
dall’Iran – dove c’è il numero maggiore di iscritti, quasi un quarto del totale
- all’Australia, passando per gli Stati Uniti. Permane, invece, il problema
della rappresentatività di questa tornata elettorale, soprattutto alla luce del
preannunciato\ boicottaggio dei sunniti: secondo un sondaggio diffuso ieri, il
76 per cento di loro non andrà alle urne. Proprio per approfondire questa
spinosa questione, Francesca Sabatinelli ha raggiunto a Baghdad il giornalista
sciita Latif Al Saadi.
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R. – Non tutti coloro che sono contro le elezioni si
possono considerare rappresentativi dei sunniti. Sono sunniti sì, questo è
vero, come il partito islamico che figura nelle liste sebbene abbia detto di non
voler partecipare al voto. In tutte le liste ci sono sunniti. E’ quindi
difficile dividere in un blocco sunnita e in uno sciita. Non sentiamo i sunniti
contro di noi.
D. – Il Partito islamico ha dichiarato che pur non volendo partecipare a
questo voto, in ogni caso vuole far parte del governo transitorio e collaborare
alla preparazione, alla redazione, della Costituzione. Questo sarà possibile?
R. – Credo che questo sarà possibile. Tutti stanno parlando di questa
possibilità. Dopo le elezioni chiunque uscirà vincitore, chiunque domini il prossimo
Parlamento, sarà aperto e disposto alla collaborazione per la stesura della
nuova Costituzione, che vedrà quindi la partecipazione e l’aiuto degli altri
gruppi. Ciò rappresenta una grande occasione per tutti i rappresentanti: quella
cioè di poter partecipare alla stesura della costituzione irachena, la prima
nella storia moderna del Paese. Deve quindi vedere la partecipazione di tutti i
rappresentanti delle forze politiche e anche di tutti coloro che compongono il
mosaico iracheno.
D. – Una domanda sul dopo voto:
che cosa si pensa che potrà esserci o potrà accadere?
R. – Noi come iracheni
non crediamo che ci possa essere una guerra civile. Ci sarà probabilmente un
aumento di attentati terroristici e questo è stato minacciato. Attacchi che non
si fermeranno con le elezioni. Credo che comunque ci sarà una grande occasione
per l’Iraq: quella di un nuovo governo legittimato da elezioni e non come è
adesso con questo governo provvisorio. Il prossimo governo avrà maggiori
possibilità, dovrà prendere in mano anche la questione sicurezza. Questo è un
obiettivo fondamentale, insieme a quello di scrivere la prima costituzione
permanente per un Iraq democratico, uno Stato di diritto in cui siano rispettati
i diritti umani. Ci saranno difficoltà certamente, ma credo anche che ci
saranno grandi possibilità di andare avanti. Ci sono tanti segnali che
confermano che ci saranno delle alleanze, fra chi vincerà, avrà la maggioranza in Parlamento e le altre
forze politiche, così come fra coloro che prenderanno meno seggi nel
Parlamento. Questo rappresenta per noi un’ulteriore occasione per porre davanti
a tutto l’interesse vero del Paese.
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Nel
già complesso panorama socio-politico in cui queste prime elezioni democratiche
irachene si svolgeranno, a far salire le tensioni ci pensano le ulteriori
terribili rivelazioni di violazione dei diritti umani. A farne le spese è, come
sempre, la popolazione civile. Ma ascoltiamo qual è il clima generale che si
respira. Rita Anaclerio lo ha chiesto a Riccardo Noury, portavoce della sezione
italiana di Amnesty International.
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R. – E’
una situazione che Amnesty giudica fortemente problematica. C’è un evidente
livello di violenza, di abuso, di violazioni dei diritti umani che chiama in
causa tanto i gruppi dell’opposizione armata quanto le forze militari
statunitensi, britanniche, le forze della cosiddetta coalizione. C’è una
questione naturalmente più evidente delle altre: il fenomeno della tortura. Il
carcere di Abu Ghraib era stato un luogo di tortura, terrore, paura e morte,
per decenni sotto Saddam Hussein. E’ stato molto amaro per la popolazione
irachena vedere quel sistema di tortura tornare all’opera con aguzzini vestiti
con una divisa diversa e spesso vedere le vittime essere le stesse del passato
regime. C’è una evidente preoccupazione per quello che sarà il futuro di questo
Paese in termini di rispetto dei diritti umani.
D. – Stando a quanto emerge dai
media, sembra che a Baghdad non si riesca a controllare il territorio, in
particolare in previsione delle elezioni del 30 gennaio. Qual è la situazione?
R. – Baghdad è una città enorme
in cui alcune aree, come ad esempio Sadr City, sono abbastanza tranquille
adesso. In altre aree è palese la difficoltà di garantire quelle condizioni
minime di ordine pubblico.
D. – Secondo lei quali sono le
aree più a rischio di una minore affluenza?
R. – Quelle a maggioranza sunnita, quindi la zona di Baghdad e il
cosiddetto triangolo sunnita. Credo che l’attenzione di Amnesty International e
delle organizzazioni per i diritti umani debba essere rivolta al diritto di
milioni e milioni di cittadine e cittadini iracheni di vivere in un contesto di
pace. E’ qualcosa che per generazioni gli iracheni hanno mancato, non per colpa
loro, sottoposti a decenni di regime di abuso completo e di terrore, e ad un
sistema di sanzioni economiche che ha riportato il Paese all’età della pietra.
D. – Per quanto riguarda i
diritti umani, la situazione nel periodo Saddam e post-Saddam?
R. – Il livello di violenza che
c’è stato, continuativo, sistematico, rivolto contro interi settori della
popolazione - ricordiamoci il tentato genocidio della popolazione curda – tutto
questo ovviamente non c’è più. C’è un’occasione mancata, che è quella di
mostrare che si è girato pagina; un’occasione mancata dalle autorità
provvisorie del Paese e mancata sicuramente, principalmente, dalle forze della
coalizione. Ci sono centinaia e centinaia di casi di torture, ci sono numerosi
episodi di attacchi indiscriminati. E, quindi, ciò che il diritto
internazionale chiama crimini di guerra, chiama in causa le forze della
coalizione. Altrimenti ci chiediamo con quale credibilità potranno essere
osservati, giudicati e visti gli atti, i comportamenti delle forze di
occupazione da parte della popolazione irachena.
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L’UNICEF AL LAVORO PER SALVARE I BAMBINI DEL
SUDEST ASIATICO
DAI TRAUMI PSICOLOGICI POST-MAREMOTO,
UNA SCIAGURA CHE RICHIEDE ANCORA L’ATTENZIONE
INTERNAZIONALE
- Intervista con Gianfranco Rotigliano -
Si aggrava il bilancio delle
vittime colpite dal maremoto nel Sudest asiatico: sono 283 mila i corpi
rinvenuti tra le macerie, di cui oltre 230 mila solo in Indonesia. Ed è proprio
da questa regione che il giapponese Yasuhiro Ueki, inviato dall’ONU nella
provincia indonesiana di Aceh, nel nord dell’isola di Sumatra, lancia un
allarme: “L’interesse della comunità internazionale per le vittime del maremoto
– ha affermato - è diminuito drasticamente”. Tra le organizzazioni umanitarie
ancora in prima linea vi è l’UNICEF. Al suo rappresentante in Indonesia,
Gianfranco Rotigliano, Andrea Sarubbi ha chiesto quale sia la situazione dei
bambini a poco più di un mese dalla tragedia:
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R. – Direi che sta evolvendo.
Per esempio, una cosa importante è che abbiamo riaperto le scuole. Questo è
stato un lavoro fatto soprattutto dall’Unicef in collaborazione con il governo.
Centrotrenta scuole, se non erro, hanno aperto i battenti e i bambini trovano
anche quella che viene chiamata il ricreation,
e cioè palloni, la rete per la pallavolo ecc. Per il resto direi che finora si
è riusciti a evitare epidemie, non abbiamo una malnutrizione particolarmente
severa. Certamente, i problemi sono ancora enormi perché vi sono tuttora anche
migliaia di persone nei campi e tutto è ancora distrutto. Ma siamo sulla buona
strada.
D. – In Sri Lanka, si parla di
novemila bambini rimasti orfani, a causa del maremoto, di entrambi i genitori.
In Indonesia ne avete incontrati?
R. – Sì, ne abbiamo incontrati,
ma pochi. C’è una grande solidarietà nella cultura di quelle zone. Questo ha
fatto sì che la gran parte dei bambini si sia sistemata con i parenti o con una
famiglia allargata, o comunque in famiglie del posto, per cui i bambini
completamente abbandonati sono piuttosto pochi.
D. – Si è detto più volte che i
bambini sono i più colpiti dal maremoto e ciò è vero anche per l’Indonesia.
L’Unicef sta facendo qualcosa per aiutarli a superare il trauma?
R. – Sì, certo. Intanto bisogna
considerare che molti bambini sono morti, in numero probabilmente superiore
agli adulti. Si ritroveranno con meno compagni di scuola, con meno amici, cosa
questa molto importante per loro. Noi stiamo impegnandoci: intanto, abbiamo
fatto un training rapido per formare gli
insegnanti che sono rimasti per consigliare i bambini, per dare loro un
appoggio psicologico. Poi, nei centri dei bambini che abbiamo aperto nei campi
più grossi, ci sono gli assistenti sociali e anche degli assistenti
psicosociali che si occupano di stare dietro ai bambini, di consigliarli, di
occuparsi di loro, per aiutarli a superare il trauma.
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LA CONOSCENZA DELLA
DIVERSITÀ COME VEICOLO DI DIALOGO TRA CRISTIANESIMO
E ISLAM AL
CENTRO DELL’INCONTRO DAL TITOLO “UNA CULTURA PER LA PACE”, PROMOSSO A TORINO
DALL’ASSOCIAZIONE SANT’ANSELMO
- Intervista con padre Samir Khalil Samir -
“La conoscenza
della diversità religiosa: un contributo al dialogo e alla convivenza tra
Cristianesimo e Islam”. E’ il tema dell’incontro dal titolo “Una cultura per la
pace”, organizzato ieri a Torino dalla Regione Piemonte e dall’Associazione
Sant’Anselmo. Molte le personalità intervenute per discutere e testimoniare la
centralità della conoscenza e dell’educazione alla multiculturalità,
finalizzata alla realizzazione del dialogo interreligioso. Al microfono di
Roberta Moretti, il padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Storia della
cultura araba e Islamologia all’Università Saint-Joseph di Beirut:
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R. – La
conoscenza dell’altro è fondamentale per qualunque dialogo. Per le religioni è
ancora più necessaria perché il rischio è di proiettare sull’altro l’idea che
io ho della sua religione. Tra cristianesimo ed islam, le ambiguità sono molte:
da una parte il Corano parla di Cristo e del cristianesimo, e quindi il
musulmano pensa di conoscere già la figura di Cristo, ma in realtà la conosce
esclusivamente come il Corano la trasmette. Viceversa il cristiano, riferendosi
al musulmano, può pensare agli aspetti politici, sociali, culturali dell’islam
pur senza conoscere la religione musulmana, ma pensando invece il contrario. Le
ambiguità sono, dunque, numerose e perciò una conoscenza dell’altro, che ci
viene dall’altro, è fondamentale.
D. – Qual è la
situazione attuale della convivenza tra cristianesimo ed Islam nel mondo?
R. – Non è la
stessa nei vari Paesi. In Egitto, ad esempio, è assai tesa perché la tendenza
fondamentalista è forte. Esistono, però, delle situazioni più positive: mi
viene da pensare al Libano, dove tutti i media fanno intervenire musulmani e
cristiani riguardo a tutti i problemi della società.
D. – Come
evitare che le religioni diventino strumento di conflitto?
R. – La
religione, essendo la cosa più profonda nella persona, può essere utilizzata
contro gli altri. Un’educazione alla tolleranza è fondamentale, nel senso che
la tolleranza, la convivenza e la ricerca della pace non significano rinunciare
alla certezza di essere nel vero, anzi, mi spingono - se capisco bene la fede -
a comprendere la posizione dell’altro e magari a trovare, attraverso un
discorso diverso, un fine comune.
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Domani 30 gennaio, 4a Domenica
del Tempo Ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo delle Beatitudini.
Gesù, vedendo le folle, sale sulla montagna e le ammaestra dicendo:
“Beati i
poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati
gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i
miti, perché erediteranno la terra”.
Sul discorso
della Montagna ascoltiamo il commento del teologo gesuita padre Marko Ivan
Rupnik:
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La mente dell’uomo vecchio non
riesce a capire la logica delle Beatitudini. Anzi è portata piuttosto a
fraintendimenti, leggendo con un certo cinismo una beatitudine dopo l’altra,
alludendo ad una specie di “oppio” con il quale si consolano i poveri ed i
miserabili, con un benessere comunque sempre spostato in là.
Beato non è stato tradotto con
il termine greco eudaimonos (contento, soddisfatto), ma con makarios.
che ha un significato squisitamente spirituale. Makarios (beato) è colui
che ha quella pace profonda, con un sapore di vera felicità, proprio perché ha
la certezza di essere sulla strada giusta, che la sua vita procede nel verso
giusto. Tale certezza gli proviene dal legame col Signore stesso. Qualsiasi
cosa capiti nella vita – la povertà, l’ingiustizia, le guerre, le persecuzioni
– l’uomo può sperimentare la fedeltà di Dio, che rimane con lui. E perciò è
beato perché rimane con Dio, non si ribella e non tronca la relazione.
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29
gennaio 2005
PORRE L’ETICA A BALUARDO DELLA VERITA’ COME
SERVIZIO RESO ALL’UOMO:
COSI’ IL CARDINALE TETTAMANZI AI GIOVANI DELLE
SCUOLE MILANESI
CHE SI PREPARANO A DIVENTARE GIORNALISTI
- A cura di Fabio Brenna -
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MILANO. = “Formatevi ad essere
giornalisti”: questo ha espressamente chiesto il cardinale Tettamanzi ai
giovani che si preparano a diventare giornalisti nelle tre scuole milanesi:
IFG, Istituto per la formazione al giornalismo promosso dall’Ordine, la Scuola
dell’Università Cattolica ed il master dello IULM. E’ un quadro complesso
quello in cui l’arcivescovo di Milano situa la professione giornalistica oggi,
schiacciata dalla tecnologia, dominata da interessi economici, finanziari e
commerciali, realizzata in un panorama di concentrazioni editoriali. Il comunicatore - ha osservato -diventa decisivo se pone
l’etica a baluardo del servizio alla verità intesa come servizio all’uomo,
alimenta questa vigilanza critica offrendo la propria intelligenza alimentandola
con la spiritualità, realizzando la carità della verità, amando, cioè, nel
comunicare. Dopo aver passato in rassegna i documenti più recenti del magistero
sul tema della comunicazione, e additato l’esempio di San Francesco di Sales,
patrono dei giornalisti, il cardinale Tettamanzi ha concluso con un’esortazione
rivolta soprattutto a chi, con coscienza, oltre che con competenza tecnica, si
prepara al giornalismo: “Essere giornalisti, cioè ascoltatori attenti,
osservatori critici che non cedono, soprattutto, alla tentazione di omologare
tutto, mischiando i fatti come se fossero tutte verità ultime”.
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RINFORZARE I NEGOZIATI PER COSTRUIRE UN PONTE FRA I
DUE POPOLI.
E’ L’APPELLO DEL PORTAVOCE DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE CUBANA
ESORTA AL DIALOGO FRA CUBA E STATI UNITI
L’AVANA. = Le relazioni
diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti possono servire a costruire “un ponte
tra i due popoli”. Ad affermarlo è Orlando Marquez, portavoce della Conferenza
episcopale cubana, in un articolo pubblicato dalla rivista dell’arcidiocesi
dell’Avana “Palabra Nueva”, di cui è direttore. “Il dialogo ed i negoziati sono
componenti fondamentali della diplomazia” - sostiene Marquez - citando come
esempio il recente riavvicinamento tra Cuba e l'Unione Europea. Secondo il
direttore di “Palabra Nueva”, ''i governi dell'Avana e Washington non mostrano
volontà di dialogo e continuano a confrontarsi con una politica da Guerra
fredda”. La Chiesa cattolica cubana ha una posizione critica nei confronti del
governo che le ha imposto forti restrizioni alla sua partecipazione alla vita
sociale. Tuttavia, la Chiesa si rifiuta di appoggiare apertamente i dissidenti,
sottolineando con forza la natura pastorale della sua missione che non ha
obiettivi politici. (E. B.)
NEL NORDEST DELLO SRI LANKA, IL GOVERNO OSTACOLA
L’ARRIVO
DEGLI AIUTI DESTINATI ALLE VITTIME DELLO TSUNAMI:
PERMESSI E PRATICHE BUROCRATICHE RALLENTANO LE
OPERAZIONI DI SOCCORSO,
SECONDO LA DENUNCIA DI PADRE C.D. JEYAKUMAR,
DIRETTORE DELLA CARITAS DI JAFFNA
COLOMBO. = Nel Nord dello Sri
Lanka, i sopravvissuti allo tsunami attendono da due settimane l’arrivo
di tende e generatori di corrente bloccati al sud. Lo ha dichiarato all’agenzia
di stampa “Asia News” padre C.D. Jeyakumar, direttore della Caritas di Jaffna
(Hudec), che si occupa di assistere i sopravvissuti in queste aree, teatro
della decennale guerra civile tra governo e separatisti. Il religioso ha detto
che sono i ritardi e le restrizioni da parte delle autorità a tenere in sospeso
molto materiale inviato dalle ONG, destinato agli aiuti. “Abbiamo difficoltà
nel ricevere i soccorsi perché il governo ci sta dando problemi” spiega il
religioso, specificando che le autorità chiedono di attendere una lettera
ufficiale e il permesso delle autorità sanitarie. Tra le difficoltà, però,
padre Jeyakumar trova conforto nel grande appoggio dato alla Hudec dalle altre
Caritas internazionali: “È molto incoraggiante vedere il sostegno che ci arriva
da Francia, Germania, Irlanda e Lussemburgo, solo per nominarne alcune”.
Secondo le stime dell’Hudec, in questa zona del Paese in gran parte controllata
delle Tigri di Tamil, lo tsunami ha lasciato senza casa tra le 150 e le
200 mila persone. “Gente che senza tende – afferma il sacerdote - è costretta a
continuare a vivere nei campi d’accoglienza, invece di poter tornare nelle
proprie terre”. Tuttavia, recentemente molti analisti avevano avvertito che il
tentativo, da parte del governo e dei ribelli, di strumentalizzare le
operazioni di soccorso per i propri interessi politici avrebbe creato problemi
alle vittime delle zone settentrionali. (E. B.)
“DICHIARAZIONE DI INTENTI COMUNI” FRA GLI EDITORI CATTOLICI
NEL MONDO.
DURANTE IL terzo convegno “Religiosi e religiose
nell’ editoria multimediale”, EMERGE L’IMPORTANZA
DI UN EQUILIBRIO
FRA TECNICHE INNOVATIVE E TRADIZIONALI METODI DI
CATALOGAZIONE
ROMA. =
Gli editori cattolici nel mondo sono alla ricerca di nuove formule per
sopravvivere alle logiche di un mercato distratto e in sempre più rapida
evoluzione. A sollecitare un impegno comune è don Silvio Sassi, superiore
generale dei Paolini, che in occasione del terzo Convegno “Religiosi e religiose
nell'editoria multimediale”, ha redatto
la bozza di una “Dichiarazione di intenti comuni”. A destare allarme è non solo
la difficoltà di immettere nel circuito internazionale istruzioni condivise per
un sano equilibrio tra messaggio tradizionale e linguaggi innovativi, ma
soprattutto la crisi che l'editoria religiosa sta attraversando in Francia e
Germania. E’ emersa, quindi, l'urgenza di “nuove alleanze a partire dalla
distribuzione generale, non tanto in termini di resa economica quanto in
termini di missione evangelizzatrice”. Secondo don Sassi, fondamentale è “la
collaborazione con laici, dotati di professionalità e che condividano i valori
cattolici”. Il religioso, infatti, sottolinea come la proficua interazione fra
mentalità laica e cattolica dia un ricco contributo ad un sapere sempre più vario
e approfondito. Inoltre, questa cooperazione porta equilibrio nel confezionare
il prodotto. Durante il Convegno, inoltre, è emersa l’importanza di una
innovazione editoriale. “Trovare una via di mezzo tra l'instant book
e il libro di catalogo – ha concluso don Sassi – è la strada giusta per una
possibile crescita dell’editoria cattolica”. (R.A.)
ROMA
AVRÀ PRESTO UNA CHIESA IN PIÙ. SARÀ UNA CHIESA ORTODOSSA
ALLE
DIRETTE DIPENDENZE DEL PATRIARCATO DI MOSCA,
CHE PUNTA
AD INTENSIFICARE IL DIALOGO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI
MOSCA. = Una chiesa ortodossa
sorgerà al Granicolo, nel perimetro della Villa Abamelek, residenza
dell’ambasciatore russo in Italia. Il mese prossimo, incominceranno i lavori
con l’obiettivo di ultimare la costruzione nel corso del 2006. Ad annunciarlo è
il metropolita Kirill, ministro degli Esteri e numero due del Patriarcato, che
ha sottolineato l’importanza di questa chiesa per intensificare il dialogo fra
il popolo russo e quello italiano e per migliorare i rapporti con la Santa Sede.
“La Chiesa cattolica e quella ortodossa – puntualizza il metropolita – hanno lo
stesso sistema di valori e devono cooperare per far si che questi valori
cristiani non scompaiono dall’Europa unita”. La chiesa, dedicata a Santa Caterina,
una martire del 4° secolo, che ortodossi e cattolici hanno in comune, sarà il
coronamento di un’aspirazione più che centenaria: è dalla fine del 19° secolo,
quando nella città di Roma mise per la prima volta radici una piccola comunità
russa, che si discute della costruzione di una vera e propria chiesa ortodossa
in Italia. La cerimonia per la posa della prima pietra risale al 2001, ma
difficoltà nel reperimento dei fondi necessari hanno impedito di completare il
progetto. Al momento, sono stati raccolti soltanto 400 mila euro, mentre in
tutto servono 3,5 milioni di euro che, assicura il metropolita Kirill, “saranno
racimolati nel corso dei prossimi sei mesi”. (E. B.)
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29
gennaio 2005
- A cura
di Roberta Moretti -
Ancora segnali di pace in Medio
Oriente, dove giunge la notizia di un incontro, previsto per il prossimo 8
febbraio, tra il premier israeliano, Ariel Sharon, e il leader dell’Autorità
Nazionale Palestinese, Abu Mazen. Concluso intanto il dispiegamento di circa 4
mila agenti palestinesi nella Striscia di Gaza per impedire gli attacchi contro
lo Stato ebraico, ieri Israele ha annunciato la fine delle operazioni militari
offensive nei Territori. E proprio per stabilizzare la nuova situazione di
sicurezza nella Striscia, 40 ufficiali della polizia palestinese si recheranno
la prossima settimana in Egitto per un addestramento. Il nostro servizio:
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Un incontro atteso e finalmente
fissato in un periodo di massima. Entro 15 giorni il premier israeliano, Ariel
Sharon, ed il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, saranno
seduti allo stesso tavolo per decidere il futuro dei Territori, ma anche dare
una svolta alla decennale vicenda israelo-palestinese. E se da una parte si
pensa con positività al prossimo avvenire, dall’altro si continua a fare i
conti con la violenza: questa mattina, un palestinese ha perso la vita nei
pressi della città di Khan Younis. Secondo fonti locali, l’uomo, disabile
mentale, sarebbe stato colpito dopo essersi avvicinato inavvertitamente al
confine tra Gaza e Israele. Alcuni colpi di mortaio sono stati lanciati ieri
contro la colonia di Netzer Hatzani. Sempre ieri, dopo l’annuncio dello Stato
maggiore israeliano del blocco delle operazioni militari, specialmente nella
Striscia di Gaza, in seguito al dispiegamento degli agenti palestinesi nei
Territori, il premier dello Stato ebraico, Ariel Sharon, aveva parlato di
“svolta storica” per la pace. Un ottimismo solo in parte temperato dalla netta
affermazione del movimento fondamentalista palestinese di Hamas alle prime
elezioni amministrative tenute nella Striscia di Gaza, che segna un parziale
passo indietro della linea del dialogo del presidente dell’ANP. Intanto, per
questa sera è previsto l’incontro tra il ministro della Difesa israeliano,
Shaul Mofaz, e l’alto esponente dell'Autorità palestinese, Mohammed Dahlan, per
discutere del passaggio sotto il controllo palestinese di città della
Cisgiordania e di ulteriori passi nel dispiegamento di forze di sicurezza nei
Territori. E l’area mediorientale si conferma di estremo interesse per la nuova
amministrazione statunitense: per il 6 e 7 febbraio prossimi è atteso il neo
segretario di Stato americano, Condoleeza Rice.
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E
rappresentanti ministeriali israeliani e palestinesi si sono
incontrati a Davos, in Svizzera, per discutere del ritiro da Gaza. Il vertice,
a porte chiuse, è avvenuto a margine del Forum economico mondiale, che in
questi giorni sta esaminando alcune proposte per combattere la povertà nel mondo.
Dal palco della platea, ha parlato questa mattina il presidente della
Commissione europea, José Manule Durao Barroso, che annunciando le nuove
priorità dell’Agenda di Lisbona ha auspicato l’apertura del mercato interno
soprattutto per il settore dei servizi, tra cui quello bancario. Sui temi in
agenda a Davos, Andrea Sarubbi con Luca Fasani, inviato a Davos della Radio
Svizzera Italiana:
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R. – A Davos si è parlato soprattutto di lotta alla
povertà e di programmi specifici presentati dai politici. Bisogna anche dire però
che la cosa è naturale. Questi politici arrivano e parlano in pubblico, mentre
i lavori più “economici” spesso si svolgono a porte chiuse, dove i giornalisti
non entrano. E’ chiaro allora che queste sono le cose che attirano
l’attenzione. Che sia la volta buona, lo speriamo. Se, in effetti, il G8
veramente può contare sul’adesione di quattro o cinque Paesi importanti per
condonare il debito ai Paesi più poveri, ciò si potrà fare. Ricordiamo inoltre
che la grande massa dei debiti grava su Paesi emergenti come il Messico,
l’Argentina, il Brasile e forse anche l’Indonesia ed altri Paesi asiatici, i
quali in fondo, non è che si siano fatti prestare cifre enormi. Per vedere come
andrà a finire, bisognerà aspettare il prossimo Vertice dei ministri delle
Finanze del G7 e del G8.
D. – A parte le speranze e le
promesse, però, risultati concreti in questi giorni se ne sono visti?
R. – Di risultati concreti - a
parte forse il milione raccolto dall’attrice Sharon Stone, se si è contato
giusto - non è che se ne vedano. Ma Davos è un punto di incontro e di
discussione, non è che sia una riunione del Consiglio di amministrazione di una
società, dove si può decidere quale sia la strada da seguire e quindi andare
avanti. Certamente, non mettono in campo le risorse che mette in campo un
governo.
D. – Ma allora, se il Forum
economico mondiale non ha questo potere decisionale, serve ancora a qualcosa?
R. – Davos, sicuramente, come
Forum economico mondiale, è rappresentativo dell’economia. Sono infatti
rappresentati Giappone, Stati Uniti ed Europa, meno quindi America Latina,
Africa e il resto dell’Asia. Cosa vuol dire, allora? Vuol dire che qui è
presente veramente la gente dell’economia. Non si può quindi pretendere che
Davos faccia il lavoro di un’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
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Nella città brasiliana di Porto
Alegre, intanto, va avanti il Forum sociale mondiale. I partecipanti hanno
deciso di indire, per il 20 marzo, una manifestazione mondiale contro la guerra
in Iraq. Ma sono molti i temi toccati, come ci riferisce Maurizio Salvi:
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Ieri pomeriggio, si sono svolte a Porto Alegre numerose
manifestazioni, tra cui una degli ambientalisti contro una multinazionale di prodotti
agricoli transgenici, una seconda contro l’occupazione israeliana nei territori,
ed una terza ostile alla politica degli Stati Uniti in Iraq, durante la quale è
stato anche bruciato un fantoccio rappresentante George Bush. I partecipanti al
Forum sociale mondiale non hanno disdegnato il confronto su temi centrali,
quali la riforma delle Nazioni Unite, che dovrebbe essere definita nel Summit
di settembre, a New York. In particolare, si sono riuniti i movimenti di tutto
il mondo, promotori dell’appello “Vogliamo un’ONU nostra”, fra i quali le ACLI,
Mani tese e Beati costruttori di pace.
Da Porto Alegre, Maurizio Salvi,
per la Radio Vaticana.
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A un mese dal maremoto che ha
sconvolto il sud-est asiatico, continua a Phuket, in Thailandia, il vertice sui
sistemi anti-tsunami a cui prendono parte 43 Paesi e 14 agenzie dell’Onu.
Ma c’è il rischio di un nulla di fatto: Thailandia, India e Indonesia si
contendono infatti il nuovo centro di controllo, che dovrebbe essere allestito
nei prossimi mesi.
I negoziati aperti ieri, a
Helsinki, con la mediazione della
Finlandia, tra governo indonesiano e i
ribelli indipendentisti della provincia di Aceh, la più colpita dal maremoto, si sono
subito rivelati difficili. Lo ha annunciato oggi il vice presidente
indonesiano, Yusuf Kalla, confermando la disponibilità
di Giakarta a concedere alla regione una forte autonomia, ma non
l’indipendenza.
Sembra avviata ad una soluzione
la crisi diplomatica e commerciale scoppiata tra Venezuela e Colombia, in
seguito al sequestro di Rodrigo Granda, leader delle FARC, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, avvenuta
nei giorni scorsi a Caracas da parte di un
commando. A confermare la notizia, un comunicato congiunto diffuso dai governi
dei due Paesi.
Dopo
55 anni, è decollato questa mattina dall’aeroporto di Pechino alla volta di
Taipei il primo volo diretto tra Cina e Taiwan. La ripresa del collegamento è
stata resa possibile da un accordo per il rientro a casa di migliaia di
taiwanesi, in occasione del capodanno cinese, che quest’anno cade il 9 febbraio.
Funerali privati a Pechino per l’ex dirigente riformista,
Zhao Ziyang, allontanato dal governo cinese nel 1989 per essersi opposto alla repressione
sanguinaria del movimento studentesco. Tafferugli sono avvenuti all’esterno del
cimitero, dove decine di persone, che volevano rendere omaggio all’ex
dirigente, sono state allontanate con la forza dalla polizia.
Nuovo decesso in Vietnam a causa dell’influenza dei polli.
Una ragazzina di 13 anni è morta all’alba di oggi all’Ospedale di Ho Chi Minh,
l’ex Saigon, dopo che il virus le aveva ucciso la madre il 21 gennaio scorso.
Sale così a 11 il bilancio delle vittime del morbo in Vietnam nell’ultimo mese,
dove è piena emergenza.
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