RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
28 - Testo della trasmissione venerdì 28 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Rifiuto della violenza e dialogo internazionale per costruire
una solida pace nel Nagorno-Karabagh.
L’auspicio del Papa nell’udienza al presidente
dell’Armenia
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
E’ stata siglata a Parigi la “Dichiarazione sulla
biodiversità”
Nelle elezioni municipali a Gaza, netta affermazione
del movimento estremista Hamas
28
gennaio 2005
RIFIUTO DELLA VIOLENZA E DIALOGO INTERNAZIONALE
PER COSTRUIRE UNA SOLIDA PACE NEL
NAGORNO-KARABAGH.
L’AUSPICIO DEL PAPA NELL’UDIENZA AL PRESIDENTE
DELL’ARMENIA
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Pace per il Nagorno-Karabagh. A
chiederla è stato Giovanni Paolo II, che ha ricevuto questa mattina in udienza
il presidente dell’Armenia, Robert Kochariàn, che ieri aveva incontrato le
massime autorità istituzionali italiane. Il Papa ha chiesto il “rifiuto della
violenza” per la soluzione di un conflitto che da oltre 15 anni divide, nel
cuore del Caucaso, l’Armenia dall’Azerbaigian. Il servizio di Alessandro De
Carolis.
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“Una pace vera e stabile”,
costruita sul dialogo e sulla mediazione, non sulle armi. L’auspicio di
Giovanni Paolo II per la regione del Nagorno-Karabagh ha chiuso il discorso
rivolto al capo di Stato armeno, Kocharian, per la terza volta al cospetto del
Pontefice dopo gli incontri legati all’evento culturale, del marzo del ’99 in
Vaticano, per la mostra “Roma-Armenia”, e la visita apostolica nello Stato
caucasico del settembre del 2001. Al centro di una disputa sanguinosa con
l’Azerbaigian dall’88, il Nagorno-Karabagh – tra l’altro regione d’origine
dello stesso presidente armeno – si è autoproclamato Repubblica autonoma nel
’91 senza ricevere alcun riconoscimento internazionale e rimanendo a tutt’oggi
una questione sociale e politica irrisolta e fonte di tensioni. Proprio
appellandosi alle autorità dei due Paesi, ma anche alla diplomazia estera,
Giovanni Paolo II ha auspicato che la pace possa “scaturire dal rifiuto deciso
della violenza e da un paziente dialogo tra le parti, grazie pure ad un’attiva
mediazione internazionale”.
“La Santa Sede, che nel corso dei secoli non ha mancato di denunciare
la violenza e difendere i diritti dei deboli, continuerà a sostenere ogni
sforzo teso a costruire una pace solida e duratura”.
Il Papa, manifestando un
“sincero apprezzamento” per le “buone relazioni” che legano la Santa Sede al
governo armeno, ha messo in evidenza, a livello ecumenico, gli analoghi
sentimenti che vincolano il Vaticano all’antichissima Chiesa apostolica armena
– distinta da quella cattolica - a cui appartiene il 98% della popolazione locale.
La “stima e l’amicizia” che intercorre tra le due comunità ecclesiali –
un’intesa, ha rilevato il Pontefice, “resa ancor più attiva grazie
all’iniziativa del Catholicos Karekin II - avrà sicuramente ripercussioni
positive per la pacifica convivenza dell’intero popolo armeno, chiamato ad
affrontare non poche sfide sociali ed economiche”. Riflesso di tali buoni
legami, ha constatato inoltre Giovanni Paolo II, è la situazione dei circa 350
mila cattolici che vivono in Armenia: una comunità, ha riconosciuto il Papa,
“ben accolta e rispettata” e che contribuisce con le sue attività “al benessere
dell’intera nazione”.
Prima di lasciare il Vaticano,
il presidente Kocharian ha visitato il Cortilone nord della Basilica di San
Pietro, dove la scorsa settimana il Papa ha benedetto la statua di San Gregorio
l’“Illuminatore”, l’evangelizzatore dell’Armenia.
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NEL CAMMINO VERSO
L’UNITA’ OCCORRE VEDERE ANZITUTTO
CIO’ CHE DI POSITIVO C’E’ NELL’ALTRO:
COSI’ GIOVANNI
PAOLO II RICEVENDO OGGI LA COMMISSIONE PER IL DIALOGO
TRA CATTOLICI E ANTICHE CHIESE D’ORIENTE
Nel cammino verso l’unità dei
cristiani occorre vedere anzitutto “ciò che di positivo c'è nell'altro”. E’
quanto ha detto questa mattina Giovanni Paolo II ricevendo la Commissione
Internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Antiche
Chiese d’Oriente, che ha aperto ieri la sua seconda riunione plenaria dalla sua
istituzione nel 2003. Ce ne parla Sergio Centofanti.
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Incontro fraterno oggi in
Vaticano tra Giovanni Paolo II e i membri della Commissione per il dialogo tra
cattolici e Antiche Chiese orientali. Si tratta di sette Chiese (la Copta
ortodossa in Egitto, le Chiese ortodosse in Etiopia ed Eritrea, la Siro-ortodossa,
la Malankarese in India e le Chiese armene di Etchmiazin e Anteria) che si sono separate da Roma per non aver
accettato alcune definizioni cristologiche del Concilio di Calcedonia nel 451. La disputa verteva sulla natura
divina e umana nell’unica persona Gesù. Questioni terminologiche e differenze
linguistiche crearono l’incomprensione e quindi la spaccatura. Vecchi problemi
superati con le Dichiarazioni congiunte firmate a partire dagli anni ’70, per
cui ormai si può dire raggiunta dalla Chiesa cattolica e dalle Antiche Chiese
d’Oriente la medesima fede in Gesù, vero Dio e vero uomo.
“Mi unisco a voi nella preghiera
– ha detto il Papa citando la Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte -
affinché i legami reali di comunione tra noi possano essere ulteriormente
rafforzati attraverso una spiritualità di comunione che contempla il mistero
della Trinità che abita in noi” e la
cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Si tratta – ha affermato Giovanni Paolo II -
della capacità di vedere innanzitutto
“ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono
di Dio”.
“Incoraggio i vostri sforzi – ha
concluso - per sostenere una reciproca comunione e comprensione tra i cristiani
d’Oriente e d’Occidente”.
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“A NESSUNO E’ LECITO, DAVANTI ALLA TRAGEDIA DELLA SHOAH, PASSARE OLTRE”.
COSI’ IL PAPA, IERI, PER I
60 ANNI DELLA LIBERAZIONE DEL LAGER DI AUSCHWITZ
“A nessuno è lecito, davanti alla tragedia della Shoah, passare oltre”.
E’ quanto ha scritto Giovanni Paolo II nel suo messaggio letto ieri ad
Auschwitz durante la commovente cerimonia organizzata per celebrare i 60 anni
dell’abbattimento dei cancelli del lager, simbolo della follia nazista. Una
cerimonia che ha visto la presenza di 44 capi di Stato e di governo uniti
nell’impegno a “non dimenticare”. Per Giovanni Paolo II ricordare le tragedie
del passato deve significare per gli uomini di oggi una chiamata alla
responsabilità nel costruire la storia. Il servizio di Adriana Masotti.
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“A nessuno è lecito, davanti alla tragedia della Shoah, passare
oltre”. Giovanni Paolo II ripete le parole già dette nel 1979 quando visitò il
campo di Auschwitz-Birkenau, soffermandosi a lungo davanti alle lapidi dedicate
alle vittime di tutte le nazionalità. Una sosta più lunga la fece quel giorno
accanto alla lapide con la scritta in ebraico. E Giovanni Paolo II scrive:
“Quel tentativo di distruggere in modo programmato tutto un popolo è un crimine
che macchia per sempre la storia dell’umanità. Valga questo, almeno oggi e per
il futuro, come un monito: non si deve cedere di fronte alle ideologie che
giustificano la possibilità di calpestare la dignità umana sulla base della
diversità”. Un appello che il Papa rivolge a tutti, e particolarmente a coloro
che, si legge nel messaggio, “nel nome della religione ricorrono alla
sopraffazione e al terrorismo”.
Giovanni Paolo II ricorda poi il
grande tributo di sangue versato dai Russi durante quella guerra e le
sofferenze dei Rom che nelle intenzioni di Hitler erano pure destinati allo
sterminio totale. Durante quella visita il Papa aveva pregato per le vittime
ma, scrive, anche per ottenere, attraverso la loro intercessione, il dono della
pace per il mondo. Una preghiera che non conosce interruzioni, nella fiducia
che, in ogni circostanza, alla fine vincerà il rispetto per la dignità della
persona umana. In mezzo a quell’indescrivibile accumulo di male, nota Giovanni
Paolo II, vi furono anche manifestazioni eroiche di adesione al bene. Ci furono
tante persone che dimostrarono amore non soltanto verso i compagni prigionieri,
ma anche verso i carnefici testimoniando, prosegue nel messaggio il Papa, che
se l’uomo è capace di compiere il male, il male non avrà l’ultima parola. Nell’abisso
stesso della sofferenza può vincere l’amore. Tale testimonianza deve
incessantemente destare le coscienze, estinguere i conflitti, esortare alla
pace.
Ecco il senso più profondo della
celebrazione di questo anniversario. Non dunque per volontà di riaprire
dolorose ferite o di destare sentimenti di odio e di vendetta, ma perché ci si
renda conto “che quelle vicende tenebrose devono essere per gli uomini di oggi
una chiamata alla responsabilità nel costruire la storia. Mai più, conclude
Giovanni Paolo II, in nessun angolo della terra si ripeta ciò che hanno provato
uomini e donne che da sessant’anni piangiamo!”.
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Nel corso della mattinata, Giovanni
Paolo II ha ricevuto mons. José Sánchez González, vescovo di Sigüenza-Guadalajara
(Spagna), in visita ad Limina.
Negli Stati Uniti, il Papa ha nominato vescovo di
Wichita il sacerdote Michael Owen Jackels,
del clero di Lincoln, officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il nuovo presule, 51 anni, è
originario del South Dakota. Ha conseguito in patria titoli accademici in
Filosofia e Teologia, mentre a Roma ha ottenuto il Dottorato in Teologia
Spirituale. Ha svolto il ministero parrocchiale, ricoprendo inoltre incarichi
di docenza. Tornato negli Usa, è stato, tra l’altro, direttore dell’Ufficio
dell’Educazione Religiosa e Maestro delle Cerimonie, cappellano della School
Sisters of Christ the King, co-Vicario dell’Ufficio religioso diocesano. E’
Officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede, dal 1997 al presente.
Dal 1994 è Prelato d’Onore di Sua Santità.
Il Pontefice
ha nominato sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia mons. Jean
Laffitte, della diocesi francese di Autun, professore presso il Pontificio
Istituto “Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Aprono
la prima pagina, le udienze di Giovanni Paolo II al presidente dell'Armenia e ai
membri della Commissione Internazionale per il Dialogo Teologico tra
rappresentanti della Chiesa Cattolica e delle Chiese Ortodosse Orientali.
Sempre
in prima, un articolo di Umberto Santarelli dal titolo "Il coraggio di non
aver fatto archiviare la Memoria": il messaggio del Papa nel 60.mo della
liberazione dei prigionieri del lager di Auschwitz-Birkenau.
Nelle
vaticane, una pagina sul cammino della Chiesa in Africa.
Nelle
estere, nuove violenze in Iraq, mentre sono cominciate le operazioni di voto per
gli iracheni residenti all'estero.
In
evidenza un articolo sulle celebrazioni in tutto il mondo in ricordo
dell'eccidio degli ebrei.
Nella
pagina culturale, d'apertura un articolo di Armando Rigobello dal titolo
"Il metodo storiografico e la filosofia di Eugenio Garin": un mese
dalla morte del grande studioso.
Nelle
pagine italiane, in primo piano l'emergenza-maltempo.
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28 gennaio 2005
L’IRAQ, CHIAMATO DOMENICA PROSSIMA AL VOTO, ANCORA
SCOSSO DALLE VIOLENZE: QUATTRO PERSONE SONO RIMASTE UCCISE
NELL’ESPLOSIONE
DI UN’AUTOBOMBA A BAGHDAD. APERTI I SEGGI PER GLI IRACHENI CHE VIVONO
ALL’ESTERO: IN AUSTRALIA I PRIMI VOTI DEGLI ESILIATI
-
Interviste con Monica Ellena e Erfan Rashid -
A
due giorni dalle elezioni, la guerriglia in Iraq non dà tregua: un’autobomba è
esplosa a Baghdad nei pressi di un commissariato e ha causato la morte di
quattro civili. In un quartiere occidentale di Ramadi sono stati trovati,
inoltre, i corpi di quattro soldati iracheni e a
Kirkuk è stato assassinato un ufficiale di polizia. Intanto, hanno
cominciato a votare gli iracheni esiliati all’estero; quelli della diaspora
sono in tutto circa quattro milioni, gli aventi diritto al voto quasi un
milione e gli iscritti nelle liste elettorali oltre 280 mila. I primi ad infilare la scheda nell’urna sono stati gli iracheni che
vivono in Australia e in Nuova Zelanda. Gli esuli potranno votare da oggi fino
a domenica prossima, giorno delle elezioni in Iraq, in 74 centri istituiti in
14 Paesi. Sul voto in Iran, ascoltiamo Monica Ellena, portavoce della
Commissione elettorale in quel Paese, intervistata da Andrea Sarubbi:
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R. – L’entusiasmo tra gli
iracheni che vivono in Iran è veramente molto alto. In nove giorni abbiamo
registrato 60.908 persone, che in termini assoluti è stato il risultato più
alto fra tutti i 14 Paesi che sono coinvolti nell’operazione. Nei dodici centri
che abbiamo allestito in Iran, sono arrivati autobus e molte persone hanno
coperto distanze anche di mille chilometri per riuscire a raggiungere i centri
di registrazione.
D. – Come vi spiegate questa
affluenza così alta?
R. – I rapporti tra gli iracheni
che vivono in Iran e l’Iraq sono molto forti. Ci sono indubbiamente delle
motivazioni religiose. La maggior parte degli iraniani è sciita e quindi sono
molto stretti i rapporti con determinate aeree dell’Iraq. Soprattutto dopo la
caduta del regime di Saddam, gli scambi fra gli iracheni che vivono in Iran e
l’Iraq sono stati continui.
D. – Penso lei abbia avuto modo
di raccogliere delle testimonianze: cosa dicono di queste elezioni gli iracheni
che vanno a votare?
R. – Molte delle persone che ho
incontrato considerano il voto come il primo passo per arrivare ad una
situazione più stabile, anche dal punto di vista della sicurezza. Molti
vogliono ritornare in Iraq.
D. – In Iraq, la vigilia del
voto è funestata dalle violenze. Voi in Iran avete avuto problemi simili?
R. – In Iran, no. Timori di
questo tipo non si sono verificati. La registrazione si è tenuta in un clima
veramente molto tranquillo.
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Ma
l’ondata di violenza che sta caratterizzando questo periodo pre-elettorale in
Iraq influirà sull’affluenza alle urne? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto all’iracheno
Erfan Rashid, capo redattore della sezione araba dell’agenzia stampa Adn
kronos International:
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R. – Si sapeva benissimo che gli
attacchi terroristici si sarebbero intensificati. E questo perché ciò che
avviene in Iraq è proprio un attacco terroristico al futuro stesso del Paese.
Sono stato contrario alla guerra e sono contrario all’occupazione, ma adesso
c’è la possibilità che gli iracheni finalmente possano esprimersi liberamente.
Le notizie parlano di oltre dieci milioni di persone che si sono registrate
nelle liste elettorali. Ma, probabilmente, non tutti andranno a votare.
Comunque vada questa consultazione è importante perché è la prima volta che si
vota in Iraq. Si tratta di un evento storico che va al di là dell’occupazione.
L’occupazione deve comunque finire il più presto possibile.
D. – Questo, in qualche modo, è
di per sé una risposta a chi dice che queste elezioni non saranno
rappresentative a causa della mancanza dei sunniti?
R. – Io sono sunnita. Ma cosa
vuol dire essere sunnita o essere sciita? E poi qual è il partito dei sunniti?
Ci sono dei partiti con una maggioranza sciita. Gli sciiti costituiscono la
comunità di maggioranza e potrebbero diventare dopo le elezioni anche una
maggioranza politica. I sunniti andranno a votare: non andranno a votare coloro
che sono seguaci di Al Zarqawi, di Saddam Hussein e di tutti coloro che sono
stati danneggiati dalla caduta del regime di Saddam. Non bisogna prendere
coloro che mettono una bomba come rappresentati dei sunniti. I sunniti iracheni
non si sentono rappresentati da coloro che osteggiano il futuro dell’Iraq.
D. – Quali sono le emozioni di
Rushid, come iracheno che va a votare?
R. – Un anziano di quasi 80 anni
mi ha detto: Saddam Hussein non è riuscito ad ammazzarmi prima che io veda la
sua fine e prima che io eserciti questo diritto. Spero che Dio mi dia altri tre
o quattro giorni, affinché riesca ad andare a votare. Davanti a queste scene,
tutte le ideologie e tutti i dogmi cadano. E’ un diritto umano quello di lasciare
che la gente si esprima liberamente. Senza un esecutivo eletto direttamente da
noi, l’occupazione continuerà. Se non viene formato un governo rappresentativo
degli iracheni, nessuno ha il diritto di andare a trattare con gli americani un
eventuale ritiro. L’emozione, quindi, è quella di nuove nozze.
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AL FORUM ECONOMICO MONDIALE DI DAVOS, SI DISCUTE SULLA PROPOSTA
BRITANNICA DI ISTITUIRE UN FONDO INTERNAZIONALE
PER LO SVILUPPO DEI PAESI
POVERI.
INTANTO, DAL FORUM SOCIALE
DI PORTO ALEGRE, IL PRESIDENTE BRASILIANO LULA
HA LANCIATO UN APPELLO PER
UN’ALLEANZA MONDIALE CONTRO LA POVERTA’
- Intervista con Sergio
Marelli -
La proposta del governo
britannico di finanziare lo sviluppo dell'Africa e gli obiettivi del Millennium
attraverso un fondo di credito internazionale “é una buona proposta”. E’ quanto
affermato oggi dal cancelliere tedesco Schröder al Forum Economico Mondiale di
Davos. Schröder ha invece espresso qualche dubbio sulla proposta del presidente
Chirac che, due giorni fa, all'apertura del summit aveva lanciato l’idea di una
tassa per finanziare la lotta all’Aids e alla povertà. Per il leader tedesco,
ci sono scarse possibilità che i partner del G8 possano accettare una nuova
imposizione fiscale. Intanto, nella località svizzera è arrivato il presidente
brasiliano Lula, che ieri ha preso parte al Forum Sociale Mondiale di Porto
Alegre. Il suo intervento ha rappresentato l’evento centrale della seconda
giornata del Forum, seguito per noi da Maurizio Salvi:
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Il presidente Luis Ignacio Lula
da Silva ha lanciato da Porto Alegre l’appello globale contro la fame e la
povertà. Le polemiche non sembrano ancora del tutto sopite, perché molti hanno
rilevato che Lula è rimasto meno di 24 ore nel Forum sociale mondiale, mentre
ha scelto di dedicare a quello economico mondiale di Davos, dove è giunto oggi,
il doppio del tempo. Egli ha sottolineato l’importanza che i Paesi del Terzo
Mondo, come il Brasile, emergano nello scenario mondiale con una leadership
forte: questo – ha assicurato – permette un mutamento degli equilibri
internazionali da cui le nazioni povere possono trarre beneficio. Fra i
temi-chiave del secondo giorno dell’edizione 2005 del Forum vi è stato quello
dell’emergenza acqua e della necessità di contrastare la sua crescente
privatizzazione. Infine, in un altro dei seminari più seguiti numerosi
intellettuali – tra cui il Premio Nobel per la pace argentino, Adolfo Péres
Esquivel – hanno chiesto un’urgente ristrutturazione delle Nazioni Unite ed una
maggiore partecipazione della società civile alle decisioni-chiave per
l’umanità.
Da Porto Alegre, Maurizio Salvi
per la Radio Vaticana.
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Al Forum di Porto Alegre è
nutrita la presenza di associazioni cattoliche. Tra queste, la Caritas
Italiana, che per oggi ha organizzato un incontro sui “Conflitti dimenticati”.
Domani, poi, promuoverà una tavola rotonda sugli “Obiettivi di sviluppo del
Millennio” per rilanciare la campagna internazionale volta a ricordare a
governi e istituzioni gli impegni assunti nel 2000. Anche il Movimento per la
Vita brasiliano ha organizzato momenti di riflessione sul tema della vita e
della pace. Ma torniamo al discorso del presidente Lula e al suo significato
per i movimenti riuniti a Porto Alegre con l’intervista a Sergio Marelli,
presidente delle ONG italiane, raggiunto telefonicamente in Brasile da
Alessandro Gisotti:
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R. – Sicuramente, il discorso di
Lula è stato molto incisivo, vicino alle nostre tematiche. Non va dimenticato
il fatto che quest’uomo viene da un lunghissimo trascorso nei movimenti e nelle
organizzazioni sindacali, quindi forse questo lungo periodo di militanza di
società civile è in qualche modo un antidoto che ancora resiste di fronte ai
meccanismi e alle burocrazie che comporta il fatto di essere un presidente
della Repubblica. Volato a Davos, abbiamo la speranza che sia uno di quei capi
di Stato che possa portare anche un po’ delle istanze che il mondo delle
organizzazioni non governative sta in qualche modo rivendicando.
D. – Quali sono le tematiche più
significative che sono state affrontate finora a Porto Alegre?
R. – Le tematiche, sempre
moltissime, sono state raggruppate in 11 grandi aree di discussione. Tra
queste, la democratizzazione delle istituzioni internazionali, la questione dei
diritti umani, i beni comuni. Un tema, quest’ultimo, che sta emergendo con
particolare forza, anche perché quest’anno è l’Anno internazionale dell’acqua.
D. – Si può dire che,
quest’anno, c’è una maggiore concretezza nelle proposte del Forum di Porto Alegre?
R. – Io sono convinto che il
Forum sociale mondiale sia sempre stato un’occasione dove le proposte sono
anche molto concrete. Non è la concretezza che può portare e condurre anche ad
una sola proposta univoca, ma sicuramente la volontà di confrontarsi per poi
ritornare ognuno dentro ai propri ambiti con proposte concrete, confrontate con
molti altri.
D. – Come guarda il mondo delle
organizzazioni non governative riunite a Porto Alegre al confronto tra i leader
di governo riuniti a Davos?
R. – Porto Alegre, in qualche
modo, è sempre stato concepito anche come l’“anti-Davos”. E’ innegabile il
fatto che a Davos siano riunite le persone che davvero stanno decidendo i
destini del mondo. Lo ha detto ieri mons. Valentini, un vescovo dello Stato di
San Paolo del Brasile, in un nostro seminario: se tutti, anche i grandi della
Terra, cominciassero a guardare gli altri come esseri umani e non solamente
come strumenti da utilizzare, probabilmente il mondo sarebbe – come diciamo qui
a Porto Alegre – “un altro mondo possibile”.
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28
gennaio 2005
IN COREA DEL NORD OLTRE
6,5 MILIONI DI PERSONE RISCHIANO DI MORIRE
PER FAME SE NON SI INTERVERRA’
CON MASSICI AIUTI ALIMENTARI.
A LANCIARE L’ALLARME E’ IL PROGRAMMA
ALIMENTARE MONDIALE DELLA FAO
- A cura di Eugenio Bonanata -
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PYONGYANG. = La Corea del Nord fronteggia una grave
crisi alimentare. Milioni di bambini, donne e anziani sopravvivono a stento
mancando la quantità e la qualità del nutrimento. Dalle stime fornite dal PAM e
dalla FAO, la produzione di grano nel Paese ammonta a 4,2 milioni di tonnellate
mentre il fabbisogno alimentare minimo richiesto per sfamare l’intera
popolazione è di 5,1 tonnellate. Inoltre, i due terzi della popolazione, circa
15 milioni di persone, restano dipendenti dal sistema di distribuzione del cibo
predisposto dal governo, che non è sufficiente a fornire tutte le calorie e le
proteine necessarie per evitare la malnutrizione. Il PAM, durante lo scorso
anno, con un costo di oltre 170 milioni di dollari, ha alimentato oltre 6,5
milioni di persone garantendo loro una razione giornaliera di 2 chili di
cereali. Tuttavia, bisogna lavorare con maggiore intensità nel 2005 se non si
vuole lasciare morire di fame una larga fetta della popolazione. Fra le agenzie
umanitarie presenti in Corea del Nord, da nove anni è molto attiva la Caritas
di Honk Kong che sta concentrando il proprio lavoro nelle attività di sviluppo
locale piuttosto che in interventi di emergenza. E “i funzionari statali hanno
chiesto un maggiore coinvolgimento dell’organizzazione nel Paese. Intanto, sul
fronte internazionale, la Corea del Nord ha annunciato nelle scorse settimane
la volontà di riprendere i colloqui multilaterali sui suoi programmi nucleari dopo
che nel 2002 si era impegnata a riattivare programmi di riarmo.
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DAVANTI A NOI ANCORA UNA LUNGA STRADA DI
PURIFICAZIONE E DI
CONFRONTO: COSI’ I VESCOVI TEDESCHI IN OCCASIONE DEL
60° ANNIVERSARIO
DELLA
LIBERAZIONE DEL CAMPO DI STERMINIO DI AUSCHWITZ
MAGONZA. = Nel 60° anniversario
della liberazione del campo di concentramento nazista di Auschwitz i vescovi
tedeschi hanno pubblicato una dichiarazione congiunta a testimonianza di quanto
Auschwitz abbia scosso profondamente l’immagine che l’uomo ha di se stesso. “Ma
– si legge nel documento – è un segno di speranza per il presente e per il
futuro se oggi è sempre più possibile, in particolare nei luoghi dove furono
commessi gli orrori, che polacchi e tedeschi, ebrei e cristiani si incontrino
nella comune memoria”. Nel documento non manca il riferimento alle
responsabilità del popolo tedesco per i crimini commessi, rifiutando senza
dubbio il concetto di colpa collettiva. “Il nostro popolo dovrà sempre
confrontarsi con l’affermazione che Auschwitz è stato possibile anche perché
pochi hanno avuto il coraggio della resistenza” - sottolineano i vescovi -
ricordando come anche la Chiesa debba porre l’interrogativo sulla propria
corresponsabilità. In questo quadro si richiama il documento “Noi ricordiamo:
una riflessione sulla Shoah”, pubblicato in Vaticano nel marzo 1998, che si
interroga se la persecuzione degli ebrei non sia stata favorita anche da
pregiudizi vivi nel cuore e nella mente di alcuni cristiani. E proprio come
cristiani – concludono i vescovi - “ci guida la speranza che l’incontro nella
fede arricchisce tutti, cristiani ed ebrei, e ci avvicina al Dio di Abramo, di
Isacco e di Giacobbe che insieme veneriamo. (E. B.)
LA DEFINIZIONE DI NUOVI PERCORSI EDUCATIVI
PER I GIOVANI AL CENTRO
DEL CONVEGNO ASSISTENTI ECCLESIASTICI DELL’AZIONE
CATTOLICA
ROMA. = Con la tavola rotonda presieduta dal
cardinale Tomas Spidlik, si è concluso ieri a Roma, presso la Domus Mariae, il
Convegno Assistenti Ecclesiastici dell’Azione Cattolica. Il cardinale Spidlik
nel corso del suo intervento ha sottolineato il valore del “sognare e del
coltivare” dedicando attenzione non solo alla rilettura degli errori del
passato ma soprattutto aprendo alla dimensione futura. “All’interno della
relazione educativa – ha dichiarato il porporato - è determinante il sogno sul
futuro e sulle possibilità dei ragazzi con uno sguardo contemplativo di chi è
capace di ritrovare il mare negli occhi dei marinai”. Infatti – specifica il
cardinale Spidlik - “dal confessore si
va per raccontare ciò che hai fatto mentre al padre spirituale riveli ciò che
vuoi fare, per capire se questa è la volontà di Dio”. Inoltre, in un tempo caratterizzato dalla mobilità e
dalla frammentarietà delle esperienze, il porporato ha definito la sfida di
essere pastori ed educatori oggi che “si gioca nella capacità di stare in un
contesto di trans-formazione, di parlare linguaggi e soprattutto di offrire
esperienze credibili all’uomo contemporaneo”. E questo è il cuore dell’esperienza
educativa dell’Azione Cattolica che rinnova così la propria scelta di offrire
percorsi educativi a ragazzi, giovani e adulti che aiutino a vivere la santità
come misura della propria esperienza credente. Don Claudio Nora, assistente AC
ragazzi e coordinatore dei lavori del convegno, ha concluso ricordando la
responsabilità di aiutare il mondo adulto a consegnare ai ragazzi il senso
della vita “a non dare rilievo solo alle emergenze educative, ma al quotidiano
stare accanto ai più piccoli con una grande capacità di ascolto”. (E. B.)
E’ STATA SIGLATA A PARIGI
LA “DICHIARAZIONE SULLA BIODIVERSITA’”. ESPERTI
DI TUTTO IL MONDO RIUNITI PER CONTRASTARE IL PERICOLO D’ESTINZIONE
IN ATTO TRA DIVERSE SPECIE. Jacques Chirac HA DATO IL SUO PIENO SOSTEGNO
ALLA
FORMAZIONE DI UNA TASK FORCE DI SCIENZIATI
PARIGI. = “E’ arrivato il momento di passare
all’azione” e contrastare il pericolo d'estinzione attualmente in atto tra
diverse specie. E’ questo “l’urgente appello” lanciato da 1.200 personalità,
tra scienziati e rappresentanti degli Stati, riunite da una settimana a Parigi
alla “Conferenza sulla biodiversità”. Quello che viene chiaramente richiesto e
formalizzato da una “Dichiarazione” è la formazione di un gruppo internazionale di esperti che
stimoli i governi di tutto il mondo a prendere provvedimenti in materia. La
"dichiarazione della conferenza”, infatti, richiede una task force
internazionale composta sia da quegli Stati che già nel 1992 hanno firmato la
convenzione sulla diversità biologica che dalle associazioni naturalistiche
come la UICN (Unione mondiale per la natura). Una simile organizzazione ha
trovato sostegno anche dallo stesso presidente francese Jacques Chirac, il
quale, in apertura della conferenza, ha chiesto che questa rete di esperti mondiali
sulla biodiversità si ispiri al gruppo intergovernativo sul cambiamento
climatico istituito nel 1992. Gli scienziati, durante l’incontro, hanno
ribadito l’importanza fondamentale dei programmi di sensibilizzazione che a
lungo raggio consentono un equilibrio fra le diverse specie e soprattutto fra
l’uomo e l’ambiente. E’ stato quindi dato l’avvio ad un intenso lavoro
diplomatico che si spera comincerà a sortire risultati prima del nuovo incontro
degli esperti alla convenzione sulla biodiversità previsto nella primavera del
2006. (R.A.)
L’ITALIA, Un Paese
confuso e abulico che tentenna
sulla strada da intraprendere:
è l’immagine che l’Eurispes
dà nel suo rapporto 2005
presentato stamane a Roma
- A cura di Alessandro Guarasci -
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ROMA. = Per il presidente dell’Istituto, Gian Maria
Fara, si assiste al ritorno di pericolose forme di disuguaglianza sociale,
economica e culturale, anche se non mancano aree di vitalità imprenditoriale
come il Lazio e la Campania. Per quanto riguarda l’economia diminuisce la
fiducia degli italiani nel futuro: il 54% della gente si dice pessimista e vede
un peggioramento delle proprie condizioni economiche nel 2005. L’aumento
dell’inflazione che l’Eurispes stima in un 8 per cento annuo spinge molti
italiani a indebitarsi o a tentare la fortuna al gioco d’azzardo. Il governo
non sembra capace di rimediare a questo calo del potere d’acquisto dei salari:
almeno il 44 per cento degli italiani pensa che nel 2004 la politica
dell’esecutivo sia stata fallimentare. Il 79 per cento dice di avere fiducia
nel presidente della Repubblica, quasi il 63 per cento nella Chiesa e il 73 per
cento nelle forze dell’ordine. Non piacciano invece Parlamento e magistratura.
Fara mette in guardia dalla cosiddetta povertà fluttuante ovvero la possibilità
per intere famiglie di entrare o uscire da uno stato di disagio economico.
Basta pensare che il 31 per cento dei nuclei familiari ha un reddito inferiore
ai 17.500 euro. Anche la riforma fiscale, realizzata dal governo Berlusconi, ha
avuto un effetto molto limitato. Sul piano politico gli italiani sono al
corrente del dibattito sul federalismo ma solo il 15% circa dice di seguirlo
con attenzione. Piuttosto c’è fiducia nell’Europa: 3 persone su 4 guardano con
ottimismo al processo di unificazione.
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Nel
2004 sono stati 35 i caSi di pubblica ammissione da parte
di emittenti televisive
italiane di violazioni del Codice
di autoregolamentazione Tv
e minori. E’ quanto emerso stamani
dalla relazione annuale del
Comitato minori Tv
- A cura di Roberta Moretti -
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ROMA. = La regolamentazione del comportamento dei
partecipanti ai reality show, le rappresentazioni in TV del corpo femminile,
l’obbligo di preavviso per la diffusione – quando giustificata – di immagini di
attualità raccapriccianti. Questi, tra i campi di azione del Comitato Minori e
TV. E il bilancio dell’anno è positivo, soprattutto per l’aumento, rispetto al
2003, dei casi di pubblica ammenda da parte delle televisioni “nei notiziari di
ottimo e buono ascolto”. “E’ la nostra unica arma”, ha detto il presidente del
Comitato, Emilio Rossi, che dopo l’elenco dei successi ha criticato la
televisione pubblica italiana; “la RAI - ha dichiarato – unica tra le emittenti
con due rappresentanti nel Comitato e tenuta dall’ultimo contratto di servizio
ad aumentare le offerte ai minori, ha cominciato a contrastare le nostre
decisioni con dei ricorsi, considerandoci soltanto come un coadiuvante
dell’Autorità”. Pronta, però, la rassicurazione del ministro Gasparri,
intervenuto in conferenza stampa, che ha parlato di disponibilità dei vertici
della RAI nel trovare un accordo. Rossi ha, infine, sollevato una questione
etica: “Il problema della tutela dei minori non si risolve a colpi di decreti e
leggi – ha detto – quello che conta è una cultura dei minori. Più che un nudo o
un seminudo, infatti, può recare danno la banalizzazione delle situazioni
sentimentali ed esistenziali che avviene nei talk-show”.
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28
gennaio 2005
- A cura
di Amedeo Lomonaco e Rita Anaclerio -
Si
rinvigoriscono le speranze di pace in Medio Oriente: con l’obiettivo di
arrestare gli attentati anti israeliani, è iniziato stamani il dispiegamento di
migliaia di poliziotti palestinesi anche nella zona meridionale della Striscia
di Gaza, regione dove ieri si è votato per eleggere i rappresentanti di dieci
consigli comunali. Intanto, Israele ha annunciato che l’esercito cesserà ogni
operazione nell’area di Gaza. Il nostro servizio:
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Nelle
elezioni municipali tenutesi ieri nella Striscia di Gaza, il movimento islamico ‘Hamas’ si è aggiudicato 77
dei 118 seggi. Al Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, ha conquistato
invece solo 26 seggi. L’affluenza ha superato il 70 per cento registrato nelle
elezioni presidenziali dello scorso 9 gennaio. La vittoria di Hamas riflette
l’ampio sostegno di cui il movimento gode a Gaza, dove fornisce assistenza
sociale e alloggi alle persone più indigenti. Nella zona meridionale della
Striscia sono stati schierati, inoltre, circa 2 mila poliziotti palestinesi per
impedire attacchi anti israeliani da parte di fondamentalisti. Altri 3 mila
agenti erano stati dispiegati, la scorsa settimana, nella parte settentrionale
della regione. Intanto, da Israele arriva un’importante decisione: il ministro
della Difesa, Shaul Mofaz, ha ordinato all’esercito di cessare le operazioni
nelle zone di Gaza dove opera la polizia palestinese. In una riunione con i
vertici delle forze armate è stato valutato anche il piano per il ritiro dell’esercito
dalle città della Cisgiordania. Secondo fonti citate dalla
stampa israeliana, la prima città che recupererà la propria autonomia sarà
Ramallah, sede del quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese. Il
dispiegamento avverrà gradualmente e, secondo fonti militari, si concluderà a
Nablus e a Jenin, considerate “covi di terroristi”. Sul terreno sono scoppiati
stamani, in Cisgiordania, duri scontri fra dimostranti palestinesi e reparti
dell’esercito israeliano. Non si ha notizia di vittime. Nonostante il clima di
tensione, non mancano comunque i segnali di distensione: dopo gli sforzi del
presidente Abu Mazen tesi ad impedire il ripetersi di attacchi contro lo Stato
ebraico, il premier israeliano Ariel Sharon ha sottolineato, infatti, come questo
sia un momento favorevole per cambiare la situazione in Medio Oriente: “Credo –
ha detto ieri Sharon – che le condizioni siano mature per consentire a noi e ai
palestinesi di raggiungere una svolta storica nelle nostre relazioni”.
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La terra
continua a tremare nel sud est asiatico, colpito dal maremoto dello scorso 26
dicembre. Almeno 28 scosse sottomarine, di magnitudo tra i 5 ed i 5,8 gradi
della scala Richter, sono state registrate al largo delle isole indiane delle
Andamane e delle Nicobare. I movimenti tellurici non hanno provocato nè danni
nè vittime. E la paura è tornata anche in Sri Lanka, dove la voce di un nuovo
tsunami, poi rivelatasi priva di fondamento, ha scatenato il panico sulle
coste: le scuole sono state chiuse e migliaia di persone si sono rifugiate
all’interno del Paese.
Cinque
militanti islamici, tra i quali un indonesiano, membri della Jemaah Islamiyah
sono morti in un bombardamento aereo compiuto dai militari filippini sul loro
covo a Butilan Marsh, una zona paludosa a sud di Manila.
Opposizione
in piazza in Bangladesh per protestare contro la mancanza di sicurezza nel
Paese. In seguito all’ultimo attentato dinamitardo che ieri ha provocato la
morte di cinque persone, è stato indetto per domani uno sciopero generale contro
il governo, accusato di non fare abbastanza per consegnare alla giustizia gli
autori degli omicidi politici.
Il
Vietnam libererà nei prossimi giorni quattro dissidenti che appaiono
sull’elenco dei prigionieri d'opinione dell'Unione Europea. A riferirlo una
fonte diplomatica europea, la quale rende noto che fra i quattro c’è il
sacerdote cattolico Nguyen Van Ly ed il dissidente politico Nguyen Dan.
Beneficeranno di quest'amnistia, concessa in occasione del nuovo anno
tradizionale vietnamita, Huynh Van Ba, membro della chiesa buddista unificata
del Vietnam e un altro dissidente politico, prigioniero dal 1993, Nguyen Dinh
Huy.
Un uomo di 32 anni risultato positivo alla
cosiddetta influenza dei polli è morto nel nord del Vietnam. Sale così a 10 il
bilancio delle vittime in meno di un mese. Inoltre, una fonte medica nel sud
del Paese ha segnalato che due ragazze sono risultate positive al virus e
ricoverate in uno stato critico.
Previsto
oggi l’incontro tra il premier britannico, Tony Blair e Gerry Adams, il capo
del movimento nazionalista irlandese Sinn Féin, per proporre la fine di ogni
attività paramilitare dell’Armata Repubblicana Irlandese (IRA). L’IRA è stata
accusata da Londra e Dublino della rapina alla Northern Bank di Belfast
avvenuta lo scorso 20 dicembre.
Almeno
sette persone sono morte in Madagascar in seguito alla forte tempesta tropicale
“Ernest” che ha colpito il Paese. I dispersi sono almeno 79. I soccorsi si
stanno attivando per identificare i corpi ed il bilancio potrebbe aggravarsi
nei prossimi giorni. Le autorità locali hanno dichiarato che la maggior parte
delle vittime potrebbero essere pescatori che vivevano nei villaggi vicino la
costa.
Nel
Darfur, martoriata regione del Sudan, sono ripresi scontri e bombardamenti. Un
portavoce dell’Unione Africana (UA) ha dichiarato che 54 persone sono rimaste
uccise in due attacchi aerei avvenuti il 13 ed il 21 gennaio nel nord della
regione. La cifra fa salire a 154 il numero dei morti nel Darfur nelle due
ultime settimane. Secondo un rapporto dell’ONU, invece, gli scontri avevano
provocato 105 morti e 9000 sfollati. A Khartoum, intanto, l’inviato speciale
dell’Onu per il Sudan, Jan Pronk, ha espresso preoccupazione per il rapimento
di tre volontari di un’organizzazione avventista per lo sviluppo sequestrati
nel mese di dicembre.
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