RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 27 - Testo della trasmissione giovedì 27 gennaio 2005

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Occorre valorizzare il ruolo degli anziani, non bisogna emarginarli: possono dare molto alla Chiesa e alla società: così il Papa nel messaggio per la Quaresima di quest’anno, presentato oggi in Vaticano da mons. Paul Cordes

 

La risposta del portavoce vaticano Navarro-Valls al comunicato del governo di Madrid sul discorso del Papa ai vescovi spagnoli

 

Riparte oggi a Roma il dialogo tra Chiesa cattolica e Antiche Chiese d’Oriente: ce ne parla mons. Johan Bonny.

 

IN PRIMO PIANO:

Oggi la Giornata della memoria celebra il 60° anniversario della liberazione da parte dell’Armata Rossa del campo di sterminio di Auschwitz: con noi, Luigi Geninazzi, i sopravvissuti Alberto e Ida, Roggero Tarandel, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni e il cardinale Jean-Marie Lustiger

 

Il debito dei Paesi poveri, il dramma dello tsunami e dell’Iraq all’ordine del giorno del Social Forum di Porto Alegre, inaugurato ieri.

 

CHIESA E SOCIETA’:

I vescovi africani hanno concluso in Ciad la settima assemblea dell’Associazione delle Conferenze episcopali della regione dell’Africa centrale (ACERAC)

 

Il cardinale Camillo Ruini ha firmato ieri a Roma, con il ministro per i beni culturali Giuliano Urbani, la terza intesa per la tutela dei beni di proprietà della Chiesa

 

Una squadra di osservatori delle Nazioni Unite ha rivelato che, dalla ripresa dei combattimenti nella regione sudanese del Darfur, la settimana scorsa, ci sarebbero stati 105 morti tra i civili e oltre 9 mila persone costrette alla fuga

 

Riesplode la violenza anticristiana nell’India occidentale

 

Si è svolto a Peshawar un incontro promosso dalla Commissione per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo della Conferenza episcopale del Pakistan

 

Questa sera all’“Auditorium Parco della Musica” di Roma, concerto di beneficenza per la costruzione di un reparto pediatrico nell’ospedale di Quià, in Etiopia.

 

24 ORE NEL MONDO:

A 3 giorni dalle elezioni un’altra strage di civili oggi in Iraq: cinque sono stati uccisi a Baghdad, sette a Samarra , nei pressi di un centro elettorale.  38 gli americani morti ieri nel Paese

 

In Medio Oriente si sono aperte a Gaza le urne per le elezioni municipali. Proseguono gli sforzi per la pace del presidente palestinese Abu Mazen e del premier israeliano Sharon.

 

       

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 gennaio 2005

 

OCCORRE VALORIZZARE IL RUOLO DEGLI ANZIANI: POSSONO DARE MOLTO

ALLA CHIESA E ALLA SOCIETA’: COSI’ IL PAPA NEL MESSAGGIO PER LA QUARESIMA

DI QUEST’ANNO, PRESENTATO QUESTA MATTINA IN VATICANO

 

Prendersi cura degli anziani, valorizzare le loro potenzialità, rispettarne la dignità: è l’invito che il Papa rivolge nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno che inizia il 9 febbraio prossimo, Mercoledì delle Ceneri. Il tema del Messaggio, che è stato presentato questa mattina nella Sala Stampa vaticana, prende spunto dalle parole di Mosè che, invitando il popolo ebraico ad essere fedele a Dio, dice: “E’ Lui la tua vita e la tua longevità”. Ascoltiamo una sintesi del messaggio nel servizio di Sergio Centofanti:

 

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Per questa Quaresima, tempo particolare di conversione e solidarietà, il Papa invita i fedeli a prendere coscienza “del ruolo che gli anziani sono chiamati a svolgere nella società e nella Chiesa, e disporre così l'animo all'amorevole accoglienza che ad essi va sempre riservata”. Il rischio che corrono gli stessi cristiani, secondo Giovanni Paolo II, è quello di arrendersi “a una certa mentalità corrente che considera quasi inutili questi nostri fratelli e sorelle, quando sono ridotti nelle loro capacità dai disagi dell’età o dalla malattia”. 

 

“Occorre – invece, sostiene il Papa - far crescere nell'opinione pubblica la consapevolezza che gli anziani costituiscono in ogni caso una risorsa da valorizzare. Vanno, pertanto, potenziati i sostegni economici e le iniziative legislative che permettano loro di non essere esclusi dalla vita sociale”. Ciò consentirà loro “di non sentirsi un peso” per gli altri, con la conseguenza di cadere nella solitudine e di cedere alla “tentazione della chiusura e dello scoraggiamento”. “Quanto è importante – leggiamo nel messaggio – riscoprire questo reciproco arricchimento tra diverse generazioni!”

 

La persona anziana – afferma il Papa – può dare molto alla Chiesa e alla società: trasmette “i valori della cultura del popolo a cui appartiene”, illuminando con “la saggezza e l’esperienza … il suo cammino sulla strada del progresso verso una forma di civiltà sempre più completa”. Può trasmettere inoltre qualcosa di molto importante dal punto di vista spirituale: i valori fondamentali della vita, quelli che restano: “la consapevolezza della vicinanza del traguardo finale – nota infatti il Papa – induce l’anziano a concentrarsi su quanto è essenziale, dando importanza a quello che l’usura degli anni non distrugge”.

 

D’altra parte “se l'invecchiamento, con i suoi inevitabili condizionamenti, viene accolto serenamente nella luce della fede, può diventare occasione preziosa per meglio comprendere il mistero della Croce, che dà senso pieno all’umana esistenza”.

 

Il Papa ribadisce con forza che “la vita dell'uomo è un dono prezioso da amare e difendere in ogni sua fase … dal suo inizio sino al suo naturale tramonto”. Il comandamento divino “non uccidere!” vale pure “in presenza di malattie, e quando l’indebolimento delle forze riduce l’essere umano nelle sue capacità di autonomia”.

 

Infine Giovanni Paolo II sottolineando che la longevità appare come “uno speciale dono divino” invita tutti “ad abituarsi a pensare con fiducia al mistero della morte perché l’incontro definitivo con Dio avvenga in un clima di pace interiore, nella consapevolezza che ad accoglierci è Colui che … è la ragione ultima della nostra esistenza”.

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Nel poema latino dell’Eneide, c’è l’immagine commovente di Enea che fugge da Troia in fiamme trasportando sulle spalle l’anziano padre, Anchise. Ma quell’immagine, trasferita nell’attualità, potrebbe far dire che il giovane eroe oggi non abbia più voglia di portare il padre sulle spalle. Con questo efficace paragone, l’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, ha aperto e chiuso questa mattina, in Sala stampa vaticana, la presentazione del Messaggio del Papa sulla Quaresima. Davanti a numerosi giornalisti di testate internazionali, il dibattito ha toccato anche i temi dell’eutanasia e dell’aborto. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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Mons. Cordes è entrato nel vivo di una questione delicata, quella dell’invecchiamento della popolazione, soprattutto in Occidente, e delle problematiche ad essa legate: questione che trova nel Messaggio del Pontefice la spinta ad un approccio “alto” e rispettoso della vita umana. Presentando ai giornalisti le cifre sulla crescita del numero di anziani negli ultimi 30 anni in Italia, Francia e Germania, il presidente di Cor Unum ha poi riferito la convinzione degli economisti per i quali, attorno al 2020, il Vecchio continente “vecchio” lo sarà realmente, con la maggioranza della popolazione situata “definitivamente nell’ambito della terza età. Con un chiaro pericolo:

 

“È evidente che, con questi nuovi squilibri, le spese sociali di previdenza a favore degli anziani costituiscono un pericolo per la fascia lavoratrice più giovane. Ciò a sua volta potrà ingenerare delle tensioni tra i due gruppi oppure – come già si è scritto – una “guerra delle generazioni” (…) È fin troppo evidente il timore che si risveglia nei giovani quando si vedranno dipendere, in quanto minoranza, dagli anziani, pur dovendo nel contempo garantire loro sicurezza, salute e assistenza”.

 

E’ secondo questa visione, meramente “economicistica”, che gli anziani diventano non una ricchezza bensì un peso sociale. Ed è in questo stesso retroterra culturale che prendono vigore i propugnatori dell’eutanasia, che diventa non solo lo strumento per far cessare le sofferenze, ma anche per eliminare un onere economicamente intollerabile. Contro questa “cultura della morte”, ha preso la parola il vescovo belga di Namur, André-Mutien Léonard, che ha descritto la situazione giuridica vigente nei Paesi Bassi relativa alla cosiddetta “morte dolce”. In particolare, il presule si è soffermato sulla pericolosa deriva in cui finirebbe trascinata la professione medica, strumentalizzata da una mentalità che ha perso il rispetto per l’uomo: la medicina, ha affermato, “non sarebbe più l’arte di curare e di guarire, ma anche l’arte di uccidere”, quasi presa in ostaggio da esigenze, di nuovo, solo economiche:

 

“Tenendo conto dell’invecchiamento drammatico della popolazione nei Paesi europei, conseguenza di una demografia catastrofica, c’è anche il pericolo gravissimo e non illusorio che, in contraddizione con il vigente codice di etica medica approvato a Ginevra nel 1948, la professione medica diventi strumento decisivo sia per il contenimento delle spese sanitarie sia per l’instaurarsi di una politica selettiva fondata sul concetto di qualità della vita”.

 

Dopo la riaffermazione del ricorso alle cure palliative, come strumento terapeutico più idoneo ed umano per affrontare le malattie terminali, mons. Cordes ha concluso con un appello alle coscienze dei credenti, secondo quanto messo in risalto nel Messaggio dal Papa stesso:

 

“Noi cristiani, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, siamo chiamati a maggiore vigilanza. Non si deve permettere ai politici di sacrificare la dignità dell’uomo a interessi populisti o economici. La dignità dell’uomo è intoccabile, perché è un dono di Dio”.

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DICHIARAZIONE DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

SUL COMUNICATO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI SPAGNOLO EMESSO IERI A MADRID

 

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Joaquín Navarro-Valls, ha rilasciato questa mattina ai giornalisti una dichiarazione, in merito ad un comunicato emesso ieri dal Ministero degli Esteri spagnolo circa il discorso del Papa ad un gruppo di vescovi spagnoli in visita ad Limina il 24 gennaio scorso.

 

Nel comunicato si esprime lo stupore del governo di Madrid riguardo alcune parti del discorso relative alla diffusione di una mentalità laicista in Spagna, ai rischi di  una restrizione della libertà religiosa nel Paese e alla questione dell’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche. Ieri a Madrid il sottosegretario agli Esteri del governo aveva convocato per questi motivi il nunzio apostolico.

 

La Santa Sede – precisa il portavoce vaticano – “presa conoscenza del comunicato”  rimanda “ad un’attenta lettura di tutto il discorso pontificio, che ben può illustrare la posizione della Chiesa”. “Si prende atto con soddisfazione della volontà del governo spagnolo – conclude il dott. Navarro Valls – di mantenere un’intesa fruttuosa con la Chiesa mediante un dialogo permanente animato da reciproco rispetto, come espresso dal medesimo comunicato. Questa è stata e sarà sempre la linea della Santa Sede”.

 

 

UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata un gruppo di nove presuli della Conferenza episcopale della Spagna, in visita ad Limina, e il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

Il Papa ha nominato membri del Pontificio Consiglio Cor Unum il rev.do mons. Peter Neher, presidente del Deutscher Caritasverband (Germania), ed il sig. Jean‑Pierre Richer, presidente del Secours Catholique (Francia).

 

 

RIPARTE OGGI A ROMA IL DIALOGO TRA CHIESA CATTOLICA

E ANTICHE CHIESE D’ORIENTE

- Intervista con mons. Johan Bonny -

 

Si riunisce a Roma da oggi fino a sabato prossimo la Commissione internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Antiche Chiese d’Oriente. Tema dell’incontro: “La Chiesa come comunione”. La Commissione è stata fondata nel 2003. La novità è che per la prima volta la Chiesa cattolica ha avviato il dialogo con l’insieme di queste Chiese, mentre nel passato i contatti erano avvenuti separatamente. Le Antiche Chiese d’Oriente sono sette: la Copta ortodossa, in Egitto, le Chiese ortodosse in Etiopia e in Eritrea, la Siro-ortodossa, la Malankarese in India e le due Chiese armene di Etchmiazin e Anteria. Si sono separate da Roma nel IV secolo non avendo accettato alcune definizioni cristologiche del Concilio di Calcedonia. Ma cosa hanno in comune queste Chiese diffuse dall’Egitto all’India? Giovanni Peduto lo ha chiesto a mons. Johan Bonny, responsabile, in seno al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, dei rapporti con le Antiche Chiese d’Oriente:

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D. – Hanno in comune una spiritualità molto profonda, in particolare per la vita monastica e la liturgia che è fondata su una preghiera molto intensa. In comune hanno anche la storia. Tutte queste Chiese vivono in un ambiente dove l’Islam è spesso la religione più diffusa e durante i secoli hanno sviluppato un modo di vivere e sopravvivere in questo ambiente. C’è anche una specie di saggezza pastorale nel vivere insieme al mondo musulmano.

 

D. – Cosa affermò il Concilio di Calcedonia e quali punti non sono stati accettati da queste Chiese?

 

R. – Si trattava della Cristologia, in particolare come definire l’unicità di Gesù Cristo che è pienamente figlio di Dio e pienamente figlio dell’uomo; perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità. Come definire questa unità particolare di Gesù Cristo? Il Concilio di Calcedonia ha detto: si tratta di una sola persona con due nature. Questo linguaggio sulle due nature per queste Chiese è  stato difficile da capire perché nelle loro culture e nel loro linguaggio avevano un’altra terminologia che non coincideva con quella greca. Quindi era non solo, ma soprattutto, un problema di terminologia.

 

D. – Sono stati risolti i problemi di terminologia?

 

R. – Direi che questo problema è stato risolto già alla fine degli anni Sessanta. Poi negli anni Settanta sono state firmate dichiarazioni cristologiche prima da Papa Paolo VI poi da Giovanni Paolo II con i Patriarchi di queste Chiese. Dichiarazioni nelle quali si afferma che oggi condividiamo la stessa fede. Mettiamo da parte il passato e diciamo con una terminologia moderna qual è la nostra fede. Oggi possiamo dire che condividiamo la stessa fede in Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità, perfetto nella sua umanità.

 

D. – Quali sono i doni reciproci che possono scambiarsi i cattolici e i seguaci delle Antiche Chiese d’Oriente?

 

R. – Ci sono tante cose. Come ho detto la loro tradizione liturgica, che è bella, ricca e molto profonda. A Roma ci sono delle comunità di queste Chiese. Chi vuol partecipare a queste liturgie può andarci e vedere quanto è profonda, anzi anche un po’ mistica la loro celebrazione liturgica. Poi c’è la vita monastica. L’origine della vita monastica si trova in Egitto e in Siria e da lì la vocazione, il carisma monastico è arrivato in Occidente. C’è anche la saggezza che hanno maturato nel vivere una situazione di minoranza in un mondo a maggioranza musulmano. E’ una lunga storia per loro. Essi hanno dovuto prima di tutto accettare di essere una minoranza, con tutto ciò che questo implica. Anche il dialogo, quello che noi oggi chiamiamo dialogo, l’hanno già praticato a modo loro durante i secoli. Essi possono farci vedere come rimanere fedeli alla fede cristiana ed essere testimoni di Gesù Cristo in questo mondo. Penso che abbiamo molto da imparare da loro.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina il titolo “Davanti alla tragedia della Shoah a nessuno è lecito passare oltre”: con un messaggio carico di dolore e di speranza Giovanni Paolo II partecipa alle solenni celebrazioni del sessantesimo anniversario della liberazione dei prigionieri del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Al centro della pagina campeggia la frase “Mai più”.

All’interno, l’intervento dell’arcivescovo Celestino Migliore durante la sessione straordinaria che, per la prima volta, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dedicato alla Shoah in concomitanza con il suddetto anniversario.

 

Nelle vaticane, il messaggio di Giovanni Paolo II per la Quaresima 2005.

 

Nelle estere, Davos: la lotta alla povertà al centro del Forum economico mondiale; intervento del premier britannico Blair.

Nuovo appello dell’UNICEF ad affrontare le crisi “dimenticate” nelle varie regioni del mondo.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Franco Patruno sul film “Alla luce del sole”, dedicato tragica vicenda dell’“antieroe” don Puglisi.

 

Nelle pagine italiane, tra i temi in rilievo la giustizia e la camorra. 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 gennaio 2005

 

 

OGGI LA GIORNATA DELLA MEMORIA

RICORDA IL 60.MO ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

DEL CAMPO DI STERMINIO NAZISTA DI AUSCHWITZ

- Ai nostri microfoni Luigi Geninazzi, i sopravvissuti Alberto ed Ida,

lo storico Ruggiero Taradel, il Rabbino Riccardo Di Segni

e il cardinale Jean-Marie Lustiger -

 

Si celebra oggi la Giornata della Memoria che ricorda il 60.mo anniversario della liberazione da parte dell’Armata Rossa del campo di sterminio nazista di Auschwitz. Oggi in questo luogo, divenuto ormai un museo, oltre 40 capi di Stato e di governo ricordano con una cerimonia le vittime dell’Olocausto. Ma quale atmosfera si sta vivendo per questo evento? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Luigi Geninazzi, inviato ad Auschwitz per il quotidiano “Avvenire”:

 

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R. – Un’atmosfera che ricorda molto quella di 60 anni fa, quando il 27 gennaio del ’45, alcuni soldati dell’Armata Rossa abbatterono i cancelli del “luogo dell’orrore”. Ci sono bufere di neve ed alcuni capi di Stato non sono ancora riusciti fino a questo momento ad arrivare. C’è ovviamente grande commozione, perché stanno arrivando qui tutte le delegazioni, anche quelle degli ex deportati. C’è una forte emozione, ma potremmo dire anche una grande angoscia che si vive tutte le volte che si viene ad Auschwitz, nell’attesa di una commemorazione ufficiale, nell’attesa che venga ripetuto “Mai più l’Olocausto”, “Non dimenticate Auschwitz”, “Non permettete più che ci siano altri genocidi nel mondo”. Questo è l’appello che verrà firmato, poco prima dei discorsi ufficiali, dai sopravvissuti e dagli ex deportati, proprio qui ad Auschwitz.

 

D. – Auschwitz è diventato il luogo simbolo dell’Olocausto, il più grande campo di sterminio creato dalla ferocia nazista. Quale insegnamento oggi può dare questo luogo, soprattutto ai giovani?

 

R. – Qui vengono sempre moltissime scolaresche e tantissimi giovani, sono ormai più di mezzo milione all’anno. Bisogna venire a vedere quello che è stato questa fabbrica di morte, soprattutto nell’immenso campo di Birkenau- Auschwitz 2, dove a partire dal 1942 venne decisa la soluzione finale e dove sulla “Judenrampe” arrivava il treno e venivano scaricate migliaia di persone e che in poche ore venivano portate alle camere a gas. Tutto questo, come dicevo, dà angoscia ed amarezza, ma quando si viene qui dovremmo sempre ricordare la frase di una martire ad Auschwitz, l’ebrea convertita Edith Stein, la carmelitana e la cui immagine si può venerare nel Carmelo qui ad Auschwitz, che diceva: “L’odio non deve avere l’ultima parola nel mondo”.

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Ricordare, quindi, gli occhi dei deportati, i volti di chi ha attraversato l’orrore dei campi di concentramento, non dimenticare la storia di chi è morto schiacciato dalla furia nazista è il senso delle celebrazioni di oggi ad Auschwitz così come in molte parti del mondo dove nell’odierna giornata della memoria si testimonia la volontà di difendere l’umanità, respingendo ogni forma di violenza e razzismo. Massimiliano Menichetti:

 

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(musica)

 

E’ il 27 gennaio del 1945, il 62 esimo corpo dell’armata sovietica spalanca le porte di Auschwitz, è la fine del campo di sterminio simbolo dell’orrore nazista. Tra i sopravvissuti c’è Alberto:

 

“Mi massacrarono. Appena liberato ringraziai il Signore, dicendo: “Sono ritornato ad essere un uomo…. Non sono più un numero”.

 

Tra le ragazze scampate all’orrore c’è Ida:

 

“Avevo 14 anni e ne sono uscita che ne avevo 16. Mi hanno rubato tutto: la mia famiglia, la mia mamma, il mio sonno…tutto!”.

 

(musica)

 

I soldati però non libereranno migliaia di persone ma solo alcune centinaia poiché i tedeschi saputo dell’avanzata sovietica sgomberarono il campo. Lo storico Ruggiero Taradel:

 

“Circa 60 mila ebrei furono avviati in direzione dell’Ovest in una marcia della morte, che per molti di loro non si sarebbe mai conclusa, perché sarebbero morti lungo la via, mentre i sopravvissuti sarebbero poi stati portati a Bergen-Belsen. Quando l’Armata Rossa giunse quindi ad Auschwitz, trovò soltanto circa 600 prigionieri ancora vivi nel campo di lavoro a Monowice, 6.000 prigionieri ancora vivi - anche se in terribili condizioni – a Birkenau e 1.000 sopravvissuti nel campo principale di Auschwitz.

 

(musica)

 

Auschwitz nasce nel 1940 in un piccolo villaggio della Polonia. Venne fondato su ordine di Heinrich Himmler e comandato da Rudolf Höss. Già il 14 giugno furono trasferiti nelle baracche 728 prigionieri polacchi, quindi ebbe inizio la deportazione di massa e da tutta Europa arrivarono prigionieri. Dal 1942 al 1944 la macchina della morte nazista replicò in circa 40 filiali, del campo di concentramento, collocate per lo più nelle vicinanze di fonderie, miniere e fabbriche per sfruttare i detenuti.

 

Il numero esatto delle persone uccise ad Auschwitz non è mai stato accertato, anche se stime considerate affidabili parlano di oltre un milione e mezzo di vittime. I documenti del campo, invece, registrarono circa 400 mila carcerati, il 96% morto durante la detenzione.

 

(musica)

 

Chi arrivava nel campo veniva rasato, denudato e tatuato con un numero identificativo mai più cancellabile. Da quel momento si è solo un numero. Uomini, donne e bambini che nella maggiore parte dei casi persero la vita alla fine di un percorso fatto di violenze, privazioni, torture fisiche e psicologiche. Un orrore sottolinea il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, che deve essere ricordato:

 

“E’ assolutamente necessario. La base di ogni società è la condivisione di valori, di una storia e quello del ripudio di ogni forma di violenza, e in particolare della violenza estrema che ha portato allo Shoah, deve essere un fondamento del quale non si può assolutamente fare a meno”.

 

Alla fine del secondo conflitto mondiale le stime, impossibili da confermare ancora oggi, parlarono di diversi milioni morti nei campi di sterminio, circa 6 milioni gli ebrei, poi zingari, Slavi, omosessuali, Testimoni di Geova, portatori di handicap e tanti altri: vittime che oggi indicano la via della fratellanza e gridano di non dimenticare.

 

E oggi ad Auschwitz accanto a capi di Stato e di Governo, per il sessantesimo anniversario della liberazione, c’è l’inviato del Papa, il cardinale Jean-Marie Lustiger, arcivescovo di Parigi. Il cardinale Lustiger ebreo convertito, ad Auschwitz perse la mamma.

 

JE PENSE – C’EST MA CONVINCTION INTIME – QUE LE PEUPLE JUIF ...

“Credo – ed è una mia convinzione profonda – che il popolo ebreo continui ad essere portatore di quella legge morale fondamentale che ha ricevuto dalla Rivelazione dei Dieci Comandamenti che sono, nella traduzione laica, quelli che oggi chiamiamo “i diritti dell’uomo”, a condizione di osservarne il rigore. Il popolo ebreo è anche portatore di una trascendenza che l’ateismo occidentale è libero di rifiutare, di negare ma di cui la persona umana reca in sé la traccia. L’ideologia nazista aveva una pretesa divina: aveva coniato il motto “Gott mit uns – Dio con noi”. In realtà diceva: “Dio siamo noi”. Ecco perché hanno cercato di uccidere gli ebrei. Volevano uccidere il messaggero per sopprimere il messaggio. E hanno cercato di ucciderli tutti! La Shoah ci mostra fino a che punto sappia spingersi la follia umana, ci mostra di cosa gli uomini siano capaci, ma anche la responsabilità mondiale dell’umanità tutta. E’ dunque necessario che le generazioni future siano educate a tale responsabilità, perché la coscienza sia sempre vigile”.

 

(musica)

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IL DEBITO DEI PAESI POVERI, IL DRAMMA DELLO TSUNAMI E DELL’IRAQ

TEMI DI PUNTA AL SOCIAL FORUM DI PORTO ALEGRE, INAUGURATO IERI

DA UNA MARCIA DI DUENTOMILA PERSONE

- Servizi di Maurizio Salvi e Emiliano Bos -

 

Contadini senza terra e paria indiani, capi di Stato fianco a fianco con ferrovieri disoccupati del Giappone o attivisti palestinesi. E’ stata come di consueto un concentrato di voci e di cause la marcia dei duecentomila partecipanti al Forum sociale mondiale, sfilata ieri pomeriggio per le strade di Porto Alegre, la città brasiliana che ospita la quinta edizione del Forum in programma fino al prossimo 31 gennaio. Le questioni del debito estero dei Paesi poveri e del conflitto in Iraq sono i temi principali dell’evento, a cui partecipano associazioni, movimenti e ONG di tutto il mondo. Ma ieri cadevano anche i 30 giorni dalla tragedia del maremoto del Sud-Est asiatico, che ha suscitato nuovi appelli alla solidarietà. Da Porto Alegre, Maurizio Salvi:

 

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L’inaugurazione del Forum è avvenuta ad un mese esatto dalla catastrofe causata dallo tsunami in Asia e questo ha fornito lo spunto al Premio Nobel per la Pace, l’argentino Adolfo Peres Esquivel, per lanciare un appello alla mobilitazione a sostegno della richiesta di un annullamento del debito ai Paesi colpiti. Questo perché, ad esempio, a fronte dei sei miliardi di dollari promessi dai Paesi industrializzati per l’area asiatica disastrata, si registra il pagamento annuale di 32 miliardi di dollari per il rimborso del debito da parte degli stessi Paesi colpiti. Secondo uno studio, fra l’altro, in molte regioni - come per esempio l’America Latina - il fardello si è moltiplicato per sette negli ultimi 20 anni, nonostante le forti somme restituite per gli interessi. Gli organizzatori hanno indicato che il Forum lancerà una raccolta mondiale di firme per premere sui governi creditori.

 

Oggi i partecipanti alla manifestazioni si concentreranno nello stadio di Cantinho, dove il presidente brasiliano, Luis Ignacio Lula da Silva, varerà la campagna denominata Appello globale per un’azione contro la povertà.

 

Da Porto Alegre, Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Sono centinaia i membri di Congregazioni religiose, di gruppi e movimenti – tra cui Caritas Internationalis – che a Porto Alegre danno voce e volto alla presenza cattolica al Social Forum. Più di 150 persone, tra religiosi e collaboratori, compongo la delegazione dei Gesuiti, ma molte sono le espressioni ecclesiali, perlopiù missionarie, che hanno preso o prenderanno la parola durante i circa duemila tra seminari e manifestazioni che si alterneranno al Forum. Sentiamo, dalla città brasiliana, Emiliano Bos:

 

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“Sono qui al Forum sociale, accanto ai campesinos del nord-ovest della Colombia, sfollati con la violenza dai paramilitari”. Sono le parole di padre Armando Valencia, un missionario venuto a Porto Alegre, in Brasile, per chiedere il sostegno nella lotta della sua gente contro la violenza. “I brasiliani hanno gli stessi problemi di noi in India”, aggiunge una religiosa del Social Center Saphi di Puna e denuncia lo sfruttamento delle terre, la mancata distribuzione dell’acqua e le questioni indigene. Sono queste alcune delle forme di ingiustizia che sono da ieri al centro dei dibattiti della V edizione del Forum sociale mondiale. Ieri, i gruppi cattolici presenti al Forum - associazioni, congregazioni missionarie ed organizzazioni – si sono dati un loro appuntamento, proprio poche ore prima del corteo allegro e colorato che ha attraversato le vie di Porto Alegre, aprendo ufficialmente il Social Forum. Un evento che, secondo mons. Demetrio Valentini - presidente della Caritas Brasile e già segretario della Conferenza episcopale locale - si deve prendere in considerazione perché si rivolge anche alla Chiesa di oggi.

 

Intanto è stato deciso che tra due anni il Forum si terrà in Africa. “Siamo pronti – ha detto il direttore della Caritas Camerun - per dare il nostro contributo contro le disuguaglianze del Pianeta e per la globalizzazione della solidarietà”.

 

Da Porto Alegre, Emiliano Bos, per la Radio Vaticana.

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CHIESA E SOCIETA’

27 gennaio 2005

 

 

 “DI FRONTE AL DISAGIO SOCIALE E ALL’EMARGINAZIONE, RADICATEVI IN CRISTO PER COSTRUIRE IL VOSTRO FUTURO”. E’ L’INVITO AI GIOVANI DEI VESCOVI CENTRAFRICANI, A CONCLUSIONE DELLA 7.MA ASSEMBLEA DELL’ASSOCIAZIONE DELLE CONFERENZE EPICSCOPALI DELL’AFRICA CENTRALE,

SVOLTASI NEI GIORNI SCORSI IN CIAD

 

N’DJAMENA. = “Cari giovani, lo sappiamo, molti di voi si sentono abbandonati a se stessi. E vi sono molte ragioni del vostro sconforto”. Così i vescovi dei Paesi centrafricani, rivolgendosi ai giovani nel messaggio conclusivo della 7.ma Assemblea dell’Associazione delle Conferenze episcopali della regione dell’Africa centrale (ACERAC), che si è conclusa di recente a N’Djamena, capitale del Ciad. Tra i problemi che influiscono direttamente sul disagio sociale dei giovani, i presuli individuano “la disgregazione delle famiglie e delle strutture sociali garanti dell’educazione”. La stessa appartenenza etnica o regionale “diventa pretesto per ripiegarsi su se stessi escludendo gli altri. Ciò conduce spesso al tribalismo, al regionalismo, al favoritismo”. I giovani, che vivono nella violenza e sono spesso sfruttati dagli adulti, si sentono “divisi tra la tradizione africana e la modernità”: “Alcuni di voi sperimentano questa situazione nel matrimonio quando vi si impone uno sposo o una sposa”, affermano i vescovi. La ricerca di nuovi modelli di riferimento proposti da radio, televisione e giornali rischia di “far dimenticare i valori familiari e tradizionali”. Gli stessi valori cristiani, sottolineano, “non sono sufficientemente radicati nella vita delle persone. Per questo, diversi giovani si lasciano andare alla delinquenza o si rivolgono alle sètte, dove sperano di trovare facili soluzioni ai loro problemi materiali e spirituali”. Di fronte a tutto questo, ecco allora l’appello dei vescovi centrafricani: “Cari giovani, in ragione della vostra fede in Gesù il Vivente, non scoraggiatevi! Testimoniate la vostra fede, partecipate allo sviluppo duraturo dei vostri Paesi, vivete la solidarietà, siate responsabili della vostra sessualità”. I presuli incoraggiano i ragazzi a non avere paura di vivere controcorrente, “come discepoli di Cristo”: “Testimoniate i valori dell’onestà, della fedeltà, del coraggio, del servizio gratuito e della generosità. Abbiate la forza di dire ‘no’ alla menzogna che uccide la nostra società e conduce alla corruzione, alla frode, all’immoralità, alla violenza”. E infine esortano: “Radicatevi in Gesù. Vi sosterrà nella lotta per costruire il vostro avvenire e quello del vostro Paese. Siate la stella che conduce a Gesù”. (R.M.)

 

 

IL CLIMA DI COLLABORAZIONE TRA STATO ITALIANO E CHIESA IN MATERIA DI BENI

CULTURALI “È NOTEVOLMENTE MIGLIORATO”. COSÌ, IL CARDINALE VICARIO,

CAMILLO RUINI, CHE HA FIRMATO IERI A ROMA , CON IL MINISTRO

PER I BENI CULTURALI, GIULIANO URBANI, LA TERZA INTESA

PER LA TUTELA DEI BENI DI PROPRIETÀ DELLA CHIESA

 

ROMA. = In materia di beni culturali, il clima di collaborazione tra Stato italiano e Chiesa “è notevolmente migliorato negli oltre venti anni trascorsi dalla revisione del  Concordato Lateranense, pur salvaguardando il pieno rispetto delle distinte competenze e prerogative delle due parti”. A sottolinearlo, è stato ieri il cardinale vicario, Camillo Ruini, in occasione della firma, insieme con il ministro dei Beni Culturali, Giuliano Urbani, della terza Intesa per la tutela dei beni culturali di proprietà della Chiesa. Le Intese sottoscritte nel 1996 e nel 2000 tra Stato e Chiesa, ha fatto notare il porporato, come del resto quella firmata oggi, “da una parte si sono giovate di tale clima di collaborazione e, dall'altra, lo hanno favorito ulteriormente promuovendo una prassi di reciproca attenzione”. Quanto ai contenuti dell’accordo, ha spiegato il presidente della Conferenza episcopale italiana, l'Intesa “ripropone i contenuti sostanziali di quella del 1996, ma in più punti li aggiorna e li integra”. Un aggiornamento – ha ricordato il cardinale – resosi necessario in seguito alle modifiche intervenute nella legislazione italiana, ma non solo: tra le esigenze considerate dal nuovo testo, ha sottolineato, c’è quella di “prendere atto dell’esperienza maturata nella vigenza dell’Intesa del 1996 e di dare disposizioni specifiche in relazione a iniziative di particolare rilevanza per la tutela dei beni culturali, quali l’inventariazione e la catalogazione dei beni mobili e immobili, gli interventi che ne garantiscano la sicurezza e la conservazione, quelli inerenti la loro conservazione con particolare riguardo agli edifici aperti al culto, il prestito di opere d’arte per mostre ed esposizioni, l’adeguamento liturgico delle chiese”. E ancora, ha annunciato il cardinale Ruini, l’intesa “è stata integrata per gli aspetti che riguardano gli scavi e le ricerche archeologiche da effettuare in edifici di culto, l’accesso e la visita alle aree archeologiche sottostanti o connesse con edifici di culto, le procedure da adottare nel caso di calamità naturali”. Infine, un auspicio: quello che il nuovo testo, ha concluso Ruini, “contribuisca a far crescere, anche nell’ambito della tutela dei beni culturali di interesse religioso, quel clima di fattiva e cordiale collaborazione tra la Chiesa Cattolica e lo Stato, finalizzato alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese, che costituisce il cardine dell'Accordo concordatario del 1984”. (R.M.)

 

 

OLTRE 105 CIVILI SAREBBERO STATI UCCISI E OLTRE 9 MILA COSTRETTI ALLA FUGA

LA SETTIMANA SCORSA PER LA RIPRESA DEI COMBATTIMENTI NELLA REGIONE SUDANESE DEL DARFUR. A RIVELARLO,

UNA SQUADRA DI OSSERVATORI DELLE NAZIONI UNITE

 

HAMADA (SUDAN). = Nuovi scontri nella regione sudanese del Darfur potrebbero aver causato la morte la scorsa settimana di oltre un centinaio di civili e costretto alla fuga più di 9 mila persone. Lo ha detto ieri il portavoce delle Nazioni Unite, George Somerwill, sostenendo di aver avuto conferma che “il villaggio di Hamada è stato quasi totalmente distrutto e 105 civili potrebbero essere stati ammazzati, in maggioranza donne e bambini”. Somerwill ha aggiunto però di non sapere in quale modo abbiano perso la vita queste persone, né quali erano le parti in lotta, o se si siano verificati bombardamenti aerei. Il portavoce delle Nazioni Unite ha specificato che 8 mila sudanesi sono fuggiti dai luoghi delle violenze per cercare rifugio a Menawashi e che altri 1.250 sono scappati a Mershing, località vicine situato nel Darfur meridionale. Le notizie degli scontri sono state diffuse dopo che, la scorsa settimana, le Nazioni Unite avevano inviato una squadra di ricognizione proprio nell’area di Hamada. (R.M.)

 

 

RIESPLODE LA VIOLENZA ANTICRISTIANA IN INDIA OCCIDENTALE:

CROCI DISTRUTTE E SUORE MINACCIATE DA ESTREMISTI INDÙ

 

MUMBAI. = Riesplode la violenza anticristiana ad opera di fondamentalisti indù nell’India occidentale: a farne le spese è stata una comunità di suore Teresiane che vivono in un convento a Ambernath, nei pressi di Mumbai, capitale dello Stato del Maharashtra. Secondo una nota della Conferenza episcopale indiana, l’episodio è avvenuto il nella notte del 23 gennaio, quando un gruppo di estremisti è penetrato nel convento, distruggendo una croce e lasciando scritte del tipo: “Ora è toccato alla croce, la prossima volta sarà il turno delle vostre teste” o “Andate via o non vi risparmieremo”. Le suore sono state minacciate e invitate a lasciare la zona. Suor Dian, superiora del convento, racconta: “E’ la prima volta che riceviamo queste minacce. Siamo molto amareggiate. Non sappiamo chi siano i criminali, ma solo che hanno detto di appartenere a un gruppo di matrice indù”. Forte condanna del gesto è giunta dalla All India Catholic Union, associazione che raccoglie aggregazioni e gruppi laicali cattolici, che ha chiesto maggiore protezione per la comunità cristiana, “pacifica e accogliente, minacciata con una strategia di intimidazione e terrore da fondamentalisti indù”. L’organizzazione ha ricordato che gli ultimi attacchi anticristiani nella zona risalivano a due anni or sono e che la maggior parte della popolazione vive in armonia sociale e religiosa. L’ordine delle suore Teresiane Carmelitane, con oltre 1.400 religiose che svolgono servizio pastorale e sociale in Italia, Germania e Africa, è la più antica Congregazione femminile locale indiana, fondata nel 1866 nell’arcidiocesi di Verapoly, nello stato del Kerala. (R.M.) 

 

 

LA TOLLERANZA E L’ARMONIA TRA LE DIVERSE COMUNITÀ RELIGIOSE IN PAKISTAN

AL CENTRO DEL RECENTE INCONTRO ORGANIZZATO DALLA COMMISSIONE

PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO E L’ECUMENISMO

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE

 

PESHAWAR. = Per la prima volta in più di tre anni, la città pakistana di Peshawar, alla frontiera con l’Afghanistan, ha ospitato recentemente un incontro promosso dalla Commissione per il Dialogo interreligioso e l’ecumenismo della Conferenza episcopale del Pakistan. Circa 130 esponenti musulmani, cristiani e indù di vari settori della società pakistana si sono incontrati per parlare di come promuovere la convivenza pacifica tra le religioni nel Paese e per lanciare un forte messaggio contro tutti i fondamentalismi di matrice religiosa. In questo senso, va letta la scelta della provincia nord-occidentale, roccaforte dei integralisti islamici filo-talebani e base degli attacchi terroristici seguiti alla guerra in Afghanistan nel 2001, quale sede dell’incontro. Una scelta che ha voluto essere quindi “una sfida” e un segnale, ha evidenziato il portavoce della Commissione episcopale, padre Inayat Bernard. Ad accogliere i partecipanti è stato Mehboob Sada, direttore della Commissione interreligiosa della diocesi di Islamabad-Rawalpindi, che ha illustrato gli obiettivi del colloquio: permettere a persone di diverse religioni di conoscersi e promuovere quindi la tolleranza e l’armonia tra le diverse comunità religiose in Pakistan. Un intento elogiato dall’ospite principale dell’incontro, il ministro della Sanità della provincia, Inayat Ullah Kahn, che ha da parte sua riconosciuto il dovere delle autorità di tutelare i diritti delle minoranze in Pakistan. Dai dibattiti è emersa la comune convinzione sulla necessità di promuovere il dialogo per la pace nel Paese a tutti i livelli, a cominciare dai singoli, e quindi di fare conoscere meglio gli autentici insegnamenti delle varie religioni in materia. Diversi partecipanti hanno inoltre rilevato come promuovere la moderazione e la tolleranza sia oggi tanto più importante in Pakistan, se si considera l’immagine negativa di cui gode attualmente il Paese, come Stato di terroristi islamici. (L.Z.)

 

 

QUESTA SERA, ALL’”AUDITORIUM-PARCO DELLA MUSICA” DI ROMA,

CONCERTO DI BENEFICENZA PER LA COSTRUZIONE DI UN REPARTO PEDIATRICO NELL’OSPEDALE DI QUIA’, IN ETIOPIA

 

ROMA. = Le musiche di Brahms e Liszt animeranno a Roma, all’Auditorium-Parco della Musica, il concerto di beneficenza eseguito dal pianista Michele Campanella, con la partecipazione della pianista Monica Leone e dell’Ensemble Voci Italiane diretto da Massimo Iannone. I veri protagonisti saranno però i bambini dell’ospedale Hewo di Quià, nella provincia nel nord dell’Etiopia, Mikelé, che maggiormente ha subito le conseguenze del conflitto con l’Eritrea, conclusosi da pochi anni. I fondi raccolti serviranno infatti a finanziare la costruzione di un reparto pediatrico nell’ospedale della città. L’iniziativa è promossa dalla II Facoltà di Medicina e Chirurgia de “La Sapienza”, dall’Azienda ospedaliera Sant’Andrea, dalla Onlus IISMAS e dall’Ospedale San Gallicano di Roma, in collaborazione con il Ministero della sanità del Tigray. Il programma di cooperazione è già impegnato per la formazione e l’aggiornamento del personale locale nei campi della chirurgia, dermatologia, medicina di laboratorio, pediatria e radiologia. (R.M.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 gennaio 2005

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Iraq, a tre giorni dalle elezioni, l’amministrazione e le forze di sicurezza del Paese arabo continuano ad essere nel mirino dei guerriglieri: a sud di Baghdad cinque civili sono stati uccisi dall’esplosione di un ordigno artigianale al passaggio di un convoglio militare. Nella stessa zona, quattro soldati iracheni sono stati sequestrati dopo essere usciti da una base militare americana. Un’autobomba è esplosa, inoltre, nei pressi dell’ufficio del governatore di Baluba, provocando una vittima, e a Samarra un’imboscata tesa da guerriglieri ha provocato la morte di un soldato iracheno. Sempre a Samarra, sette civili sono rimasti uccisi per l’esplosione di un ordigno nei pressi di un centro elettorale. Ma il bilancio più drammatico di questa nuova ondata di violenze riguarda le forze americane. Il nostro servizio:

 

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Dopo la morte di 31 marines precipitati con il loro elicottero nei pressi di Ar Rutbah, l’uccisione di altri sei militari da parte di guerriglieri nella turbolenta provincia di Al Anbar ed il decesso di un soldato ferito martedì scorso a Diyala, è salito a 38 morti il bilancio di ieri delle vittime statunitensi. Si tratta, per le forze americane, della giornata più sanguinosa dall’inizio della campagna militare nel Paese arabo, avviata nel mese di marzo del 2003. Sul fronte dei sequestri, il portavoce del Dipartimento di Stato USA ha dichiarato poi che sono almeno tre i cittadini statunitensi attualmente tenuti in ostaggio in Iraq. In una conferenza stampa, convocata dopo il drammatico schianto dell’elicottero a Rutbah, il presidente Bush ha detto che le elezioni si terranno comunque e ha invitato tutti gli iracheni a partecipare alla consultazione di domenica prossima. “Si tratta - ha detto - di un momento storico per il loro Paese”. “Il Medio Oriente è un calderone di rabbia e di odio”, ha poi spiegato il capo della Casa Bianca ribadendo che la diffusione della democrazia in questa regione è un elemento cruciale per la sicurezza dell’America dalla minaccia del terrorismo di matrice islamica. Bush ha escluso, inoltre, l’ipotesi di un rapido disimpegno dall’Iraq: “Gli Stati Uniti - ha precisato - manterranno il numero di truppe necessario”. Il presidente americano ha anche sottolineato come “il solo fatto che si voti in Iraq sia già un successo”. Ed il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, ha prospettato il rischio di una recrudescenza della violenza dopo la consultazione. Secondo Rumsfeld, bisognerà aspettare probabilmente fino ad aprile perché la situazione si stabilizzi. Intanto, l’Iraq continua ad essere sconvolto dagli attacchi dei ribelli contro uffici elettorali: a Kirkuk i guerriglieri hanno preso di mira tre seggi e a Tikrit è stata distrutta la sede della Commissione elettorale della città. Il governo di Mosca, infine, ha annunciato che la Russia non invierà nemmeno un osservatore alle elezioni irachene perché nel Paese arabo “non è garantita la più elementare sicurezza dei cittadini stranieri”.

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In Medio Oriente prosegue il dialogo israelo palestinese e a darne conferma è lo stesso primo ministro dello Stato ebraico, Ariel Sharon che, secondo un alto responsabile palestinese, si è detto disponibile in un futuro prossimo a liberare 900 detenuti palestinesi. Si sono aperti, intanto, i seggi per le elezioni comunali a Gaza. Rita Anaclerio:

 

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Migliaia di palestinesi stanno affollandosi davanti a 167 seggi elettorali per eleggere i 118 membri di 10 Consigli comunali nella Striscia di Gaza. Le urne, aperte alle 7.00 locali, chiuderanno alle 19.00. L’esito di queste elezioni dovrebbe fornire indicazioni concrete sul reale seguito del movimento islamico Hamas, che si ritiene sia particolarmente popolare nella striscia di Gaza e sui rapporti di forza tra i gruppi islamici ed il nuovo presidente palestinese Abu Mazen. Sembra intanto reggere la tregua in vigore da sei giorni fra israeliani e palestinesi. Lo stesso premier israeliano Sharon si è detto “molto soddisfatto” delle misure di sicurezza adottate dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese (ANP)”. Parole riferite sulle pagine del quotidiano israeliano Yediot Aharonot, che fanno da contraltare alla dichiarazione del presidente dell’ANP, che vuole “il prima possibile” la firma con Israele di una dichiarazione di cessate-il-fuoco. Intanto, in segno di buona volontà, Israele ha accolto un’espressa richiesta palestinese e ha deciso di togliere dalla lista dei ricercati il capo del Servizio informazioni dell' ANP in Cisgiordania, Tawfik Tirawi, e il capo del Servizio informazioni per la sicurezza preventiva a Gaza, Rashid Abu Shbah. Il sito internet del quotidiano Haaretz rende noto, inoltre, che il neo segretario di Stato americano, Condoleeza Rice – che ha appena terminato i colloqui con il ministro degli Esteri israeliano, Silvan Shalom - incontrerà fra tre settimane Sharon e Abu Mazen. Intanto a Ramallah, in Cisgiordania, si sta svolgendo positivamente la prima riunione tra il presidente palestinese e l’emissario americano William Burns, che nel pomeriggio incontrerà anche il primo ministro israeliano, Ariel Sharon.

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L’Iran non ha alcuna intenzione di rinunciare al proprio programma nucleare, a dispetto delle pressioni che provengono dalla comunità internazionale. Lo ha ribadito il vice ministro degli Esteri iraniano, Gholamali Khoshroo, in visita in Malaysia. “Non ci fanno paura gli Stati Uniti”, ha detto Khoshroo. “Noi - ha aggiunto - non vogliamo accrescere le tensioni, ma vogliamo vivere come una nazione sovrana”.

 

Strage in Afghanistan. In una base della coalizione, nella provincia meridionale di Helmand, un militare dell’esercito ha aperto il fuoco contro i suoi commilitoni, uccidendo 5 soldati e ferendone altri sei. Il ministero della Difesa afghano non ha fornito alcuna spiegazione sull’accaduto. Nella provincia meridionale afgana sono dislocati circa 18 mila uomini delle forze di coalizione.

 

Un elicottero militare vietnamita è precipitato in mare in un’area centrale del Paese, causando la morte di 16 persone, tra le quali due generali. Il ministero della Difesa di Hanoi ha ordinato un’inchiesta per accertare le cause dell’incidente.

 

Una tassa di solidarietà internazionale per fornire nuovi mezzi di lotta all’Aids. Questa la proposta lanciata ieri a Davos, in Svizzera, dal presidente francese Chirac, in occasione del Vertice economico mondiale. Un mezzo, ha detto Chirac, che consentirebbe di raccogliere fino a dieci milioni di dollari all’anno per combattere uno dei principali freni allo sviluppo dei paesi poveri. Lotta al terrorismo, Africa e problemi climatici, invece, le priorità sulle quali ha chiamato a riflettere il premier britannico Tony Blair, che ha inoltre sollecitato l’America ad aderire all’agenda fissata dai G8 affinchè non si crei una comunità internazionale con diversi poli di potere.

 

Prosperità, solidarietà, sicurezza e libertà, forte ruolo nel mondo: sono gli obiettivi strategici della Commissione europea per i prossimi cinque anni, presentati ieri a Bruxelles dal presidente dell’esecutivo europeo, Barroso, di fronte all’Europarlamento. Il programma, che dovrà essere approvato dall’Assemblea di Strasburgo a fine febbraio, ha ottenuto il sostegno di popolari, socialisti e liberal-democratici. Critici verdi e comunisti. Precisando che non è possibile avere “più Europa con meno soldi'', Barroso ha spiegato che i prossimi impegni della Commissione saranno tutti economici.

 

E a causa dell’ondata di maltempo che sta attraversando l’Europa dell’est è stato annullato l’intervento del neo-presidente ucraino, Yushenko, previsto per oggi al Parlamento europeo di Bruxelles. Intanto, non si placano le polemiche sulla nuova premier ucraina Timoshenko: la Russia infatti non ha bloccato le indagini sulla donna d’affari, per la quale la Procura militare di Mosca aveva emanato un ordine di cattura internazionale con l’accusa di aver pagato tangenti a un funzionario russo.

 

 “Sì” al referendum sulla modifica della Costituzione in Costa d’Avorio. Lo ha affermato il presidente ivoriano, Laurent Gbagbo. In ballo, la revisione dell’articolo 35 della Costituzione, che regola l’eleggibilità del capo di Stato. Al momento, i candidati alla prima carica del Paese devono necessariamente essere di nazionalità ivoriana, nati da entrambe i genitori ivoriani. La modifica ammetterebbe la nascita o dai soli madre o ivoriani. Se la revisione fosse approvata, il leader dell’opposizione Ouattara potrebbe candidarsi alle presidenziali.

 

 

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