RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
27 - Testo della trasmissione giovedì 27 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Riesplode
la violenza anticristiana nell’India occidentale
A 3 giorni dalle
elezioni un’altra strage di civili oggi in Iraq: cinque sono stati uccisi a
Baghdad, sette a Samarra , nei pressi di un centro elettorale. 38 gli americani morti ieri nel Paese
In Medio Oriente si sono
aperte a Gaza le urne per le elezioni municipali. Proseguono gli sforzi per la
pace del presidente palestinese Abu Mazen e del premier israeliano Sharon.
27
gennaio 2005
OCCORRE VALORIZZARE IL
RUOLO DEGLI ANZIANI: POSSONO DARE MOLTO
ALLA CHIESA E ALLA SOCIETA’: COSI’ IL PAPA NEL
MESSAGGIO PER LA QUARESIMA
DI QUEST’ANNO, PRESENTATO QUESTA MATTINA IN
VATICANO
Prendersi cura degli anziani,
valorizzare le loro potenzialità, rispettarne la dignità: è l’invito che il
Papa rivolge nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno che inizia il 9
febbraio prossimo, Mercoledì delle Ceneri. Il tema del Messaggio, che è stato
presentato questa mattina nella Sala Stampa vaticana, prende spunto dalle
parole di Mosè che, invitando il popolo ebraico ad essere fedele a Dio, dice:
“E’ Lui la tua vita e la tua longevità”. Ascoltiamo una sintesi del messaggio
nel servizio di Sergio Centofanti:
**********
Per questa Quaresima, tempo
particolare di conversione e solidarietà, il Papa invita i fedeli a prendere
coscienza “del ruolo che gli anziani sono chiamati a svolgere nella società e
nella Chiesa, e disporre così l'animo all'amorevole accoglienza che ad essi va
sempre riservata”. Il rischio che corrono gli stessi cristiani, secondo
Giovanni Paolo II, è quello di arrendersi “a una certa mentalità corrente che
considera quasi inutili questi nostri fratelli e sorelle, quando sono ridotti
nelle loro capacità dai disagi dell’età o dalla malattia”.
“Occorre – invece, sostiene il
Papa - far crescere nell'opinione pubblica la consapevolezza che gli anziani
costituiscono in ogni caso una risorsa da valorizzare. Vanno, pertanto,
potenziati i sostegni economici e le iniziative legislative che permettano loro
di non essere esclusi dalla vita sociale”. Ciò consentirà loro “di non sentirsi
un peso” per gli altri, con la conseguenza di cadere nella solitudine e di
cedere alla “tentazione della chiusura e dello scoraggiamento”. “Quanto è
importante – leggiamo nel messaggio – riscoprire questo reciproco arricchimento
tra diverse generazioni!”
La persona anziana – afferma il Papa
– può dare molto alla Chiesa e alla società: trasmette “i valori della cultura
del popolo a cui appartiene”, illuminando con “la saggezza e l’esperienza … il
suo cammino sulla strada del progresso verso una forma di civiltà sempre più
completa”. Può trasmettere inoltre qualcosa di molto importante dal punto di
vista spirituale: i valori fondamentali della vita, quelli che restano: “la
consapevolezza della vicinanza del traguardo finale – nota infatti il Papa –
induce l’anziano a concentrarsi su quanto è essenziale, dando importanza a
quello che l’usura degli anni non distrugge”.
D’altra parte “se
l'invecchiamento, con i suoi inevitabili condizionamenti, viene accolto
serenamente nella luce della fede, può diventare occasione preziosa per meglio
comprendere il mistero della Croce, che dà senso pieno all’umana esistenza”.
Il Papa ribadisce con forza che
“la vita dell'uomo è un dono prezioso da amare e difendere in ogni sua fase …
dal suo inizio sino al suo naturale tramonto”. Il comandamento divino “non
uccidere!” vale pure “in presenza di malattie, e quando l’indebolimento delle
forze riduce l’essere umano nelle sue capacità di autonomia”.
Infine Giovanni Paolo II
sottolineando che la longevità appare come “uno speciale dono divino” invita
tutti “ad abituarsi a pensare con fiducia al mistero della morte perché
l’incontro definitivo con Dio avvenga in un clima di pace interiore, nella
consapevolezza che ad accoglierci è Colui che … è la ragione ultima della
nostra esistenza”.
**********
Nel poema latino dell’Eneide,
c’è l’immagine commovente di Enea che fugge da Troia in fiamme trasportando
sulle spalle l’anziano padre, Anchise. Ma quell’immagine, trasferita
nell’attualità, potrebbe far dire che il giovane eroe oggi non abbia più voglia
di portare il padre sulle spalle. Con questo efficace paragone, l’arcivescovo
Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, ha aperto e chiuso questa mattina, in Sala stampa
vaticana, la presentazione del Messaggio del Papa sulla Quaresima. Davanti a numerosi
giornalisti di testate internazionali, il dibattito ha toccato anche i temi
dell’eutanasia e dell’aborto. Il servizio di Alessandro De Carolis:
**********
Mons. Cordes è entrato nel vivo
di una questione delicata, quella dell’invecchiamento della popolazione,
soprattutto in Occidente, e delle problematiche ad essa legate: questione che
trova nel Messaggio del Pontefice la spinta ad un approccio “alto” e rispettoso
della vita umana. Presentando ai giornalisti le cifre sulla crescita del numero
di anziani negli ultimi 30 anni in Italia, Francia e Germania, il presidente di
Cor Unum ha poi riferito la
convinzione degli economisti per i quali, attorno al 2020, il Vecchio
continente “vecchio” lo sarà realmente, con la maggioranza della popolazione
situata “definitivamente nell’ambito della terza età. Con un chiaro pericolo:
“È evidente che, con
questi nuovi squilibri, le spese sociali di previdenza a favore degli anziani
costituiscono un pericolo per la fascia lavoratrice più giovane. Ciò a sua
volta potrà ingenerare delle tensioni tra i due gruppi oppure – come già si è
scritto – una “guerra delle generazioni” (…) È fin troppo evidente il timore
che si risveglia nei giovani quando si vedranno dipendere, in quanto minoranza,
dagli anziani, pur dovendo nel contempo garantire loro sicurezza, salute e
assistenza”.
E’ secondo questa visione,
meramente “economicistica”, che gli anziani diventano non una ricchezza bensì
un peso sociale. Ed è in questo stesso retroterra culturale che prendono vigore
i propugnatori dell’eutanasia, che diventa non solo lo strumento per far
cessare le sofferenze, ma anche per eliminare un onere economicamente
intollerabile. Contro questa “cultura della morte”, ha preso la parola il
vescovo belga di Namur, André-Mutien Léonard, che ha descritto la situazione
giuridica vigente nei Paesi Bassi relativa alla cosiddetta “morte dolce”. In
particolare, il presule si è soffermato sulla pericolosa deriva in cui
finirebbe trascinata la professione medica, strumentalizzata da una mentalità
che ha perso il rispetto per l’uomo: la medicina, ha affermato, “non sarebbe
più l’arte di curare e di guarire, ma anche l’arte di uccidere”, quasi presa in
ostaggio da esigenze, di nuovo, solo economiche:
“Tenendo conto
dell’invecchiamento drammatico della popolazione nei Paesi europei, conseguenza
di una demografia catastrofica, c’è anche il pericolo gravissimo e non
illusorio che, in contraddizione con il vigente codice di etica medica
approvato a Ginevra nel 1948, la professione medica diventi strumento decisivo
sia per il contenimento delle spese sanitarie sia per l’instaurarsi di una
politica selettiva fondata sul concetto di qualità della vita”.
Dopo la
riaffermazione del ricorso alle cure palliative, come strumento terapeutico più
idoneo ed umano per affrontare le malattie terminali, mons. Cordes ha concluso
con un appello alle coscienze dei credenti, secondo quanto messo in risalto nel
Messaggio dal Papa stesso:
“Noi cristiani,
insieme a tutti gli uomini di buona volontà, siamo chiamati a maggiore
vigilanza. Non si deve permettere ai politici di sacrificare la dignità
dell’uomo a interessi populisti o economici. La dignità dell’uomo è
intoccabile, perché è un dono di Dio”.
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DICHIARAZIONE DEL DIRETTORE
DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
SUL COMUNICATO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI SPAGNOLO
EMESSO IERI A MADRID
Il direttore della Sala Stampa
della Santa Sede, Joaquín Navarro-Valls, ha rilasciato questa mattina ai giornalisti
una dichiarazione, in merito ad un comunicato emesso ieri dal Ministero degli
Esteri spagnolo circa il discorso del Papa ad un gruppo di vescovi spagnoli in
visita ad Limina il 24 gennaio scorso.
Nel comunicato si esprime lo
stupore del governo di Madrid riguardo alcune parti del discorso relative alla
diffusione di una mentalità laicista in Spagna, ai rischi di una restrizione della libertà religiosa nel
Paese e alla questione dell’insegnamento della religione nelle scuole
pubbliche. Ieri a Madrid il sottosegretario agli Esteri del governo aveva
convocato per questi motivi il nunzio apostolico.
La Santa Sede – precisa il
portavoce vaticano – “presa conoscenza del comunicato” rimanda “ad un’attenta lettura di tutto il
discorso pontificio, che ben può illustrare la posizione della Chiesa”. “Si
prende atto con soddisfazione della volontà del governo spagnolo – conclude il
dott. Navarro Valls – di mantenere un’intesa fruttuosa con la Chiesa mediante
un dialogo permanente animato da reciproco rispetto, come espresso dal medesimo
comunicato. Questa è stata e sarà sempre la linea della Santa Sede”.
UDIENZE E NOMINE
Giovanni Paolo II ha ricevuto nel corso della mattinata un
gruppo di nove presuli della
Conferenza episcopale della Spagna, in visita ad Limina, e il
cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione
dei Popoli.
Il Papa ha nominato membri del Pontificio Consiglio
Cor Unum il rev.do mons. Peter Neher, presidente del Deutscher
Caritasverband (Germania), ed il sig. Jean‑Pierre Richer, presidente del Secours
Catholique (Francia).
RIPARTE OGGI A ROMA IL DIALOGO TRA CHIESA
CATTOLICA
E ANTICHE CHIESE D’ORIENTE
- Intervista con mons. Johan Bonny -
Si riunisce a Roma da oggi fino
a sabato prossimo la Commissione internazionale per il dialogo teologico tra la
Chiesa cattolica e le Antiche Chiese d’Oriente. Tema dell’incontro: “La Chiesa
come comunione”. La Commissione è stata fondata nel 2003. La novità è che per
la prima volta la Chiesa cattolica ha avviato il dialogo con l’insieme di
queste Chiese, mentre nel passato i contatti erano avvenuti separatamente. Le
Antiche Chiese d’Oriente sono sette: la Copta ortodossa, in Egitto, le Chiese
ortodosse in Etiopia e in Eritrea, la Siro-ortodossa, la Malankarese in India e
le due Chiese armene di Etchmiazin e Anteria. Si sono separate da Roma nel IV
secolo non avendo accettato alcune definizioni cristologiche del Concilio di
Calcedonia. Ma cosa hanno in comune queste Chiese diffuse dall’Egitto
all’India? Giovanni Peduto lo ha chiesto a mons. Johan Bonny, responsabile, in
seno al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, dei
rapporti con le Antiche Chiese d’Oriente:
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D. – Hanno in comune una
spiritualità molto profonda, in particolare per la vita monastica e la liturgia
che è fondata su una preghiera molto intensa. In comune hanno anche la storia.
Tutte queste Chiese vivono in un ambiente dove l’Islam è spesso la religione
più diffusa e durante i secoli hanno sviluppato un modo di vivere e
sopravvivere in questo ambiente. C’è anche una specie di saggezza pastorale nel
vivere insieme al mondo musulmano.
D. – Cosa affermò il Concilio di
Calcedonia e quali punti non sono stati accettati da queste Chiese?
R. – Si trattava della
Cristologia, in particolare come definire l’unicità di Gesù Cristo che è
pienamente figlio di Dio e pienamente figlio dell’uomo; perfetto nella sua
divinità e perfetto nella sua umanità. Come definire questa unità particolare
di Gesù Cristo? Il Concilio di Calcedonia ha detto: si tratta di una sola
persona con due nature. Questo linguaggio sulle due nature per queste Chiese
è stato difficile da capire perché
nelle loro culture e nel loro linguaggio avevano un’altra terminologia che non
coincideva con quella greca. Quindi era non solo, ma soprattutto, un problema
di terminologia.
D. – Sono stati risolti i
problemi di terminologia?
R. – Direi che questo problema è
stato risolto già alla fine degli anni Sessanta. Poi negli anni Settanta sono state
firmate dichiarazioni cristologiche prima da Papa Paolo VI poi da Giovanni
Paolo II con i Patriarchi di queste Chiese. Dichiarazioni nelle quali si
afferma che oggi condividiamo la stessa fede. Mettiamo da parte il passato e
diciamo con una terminologia moderna qual è la nostra fede. Oggi possiamo dire
che condividiamo la stessa fede in Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità,
perfetto nella sua umanità.
D. – Quali sono i doni reciproci
che possono scambiarsi i cattolici e i seguaci delle Antiche Chiese d’Oriente?
R. – Ci sono tante cose. Come ho
detto la loro tradizione liturgica, che è bella, ricca e molto profonda. A Roma
ci sono delle comunità di queste Chiese. Chi vuol partecipare a queste liturgie
può andarci e vedere quanto è profonda, anzi anche un po’ mistica la loro
celebrazione liturgica. Poi c’è la vita monastica. L’origine della vita
monastica si trova in Egitto e in Siria e da lì la vocazione, il carisma
monastico è arrivato in Occidente. C’è anche la saggezza che hanno maturato nel
vivere una situazione di minoranza in un mondo a maggioranza musulmano. E’ una
lunga storia per loro. Essi hanno dovuto prima di tutto accettare di essere una
minoranza, con tutto ciò che questo implica. Anche il dialogo, quello che noi
oggi chiamiamo dialogo, l’hanno già praticato a modo loro durante i secoli.
Essi possono farci vedere come rimanere fedeli alla fede cristiana ed essere
testimoni di Gesù Cristo in questo mondo. Penso che abbiamo molto da imparare
da loro.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina il titolo “Davanti alla tragedia della Shoah a nessuno è lecito
passare oltre”: con un messaggio carico di dolore e di speranza Giovanni Paolo
II partecipa alle solenni celebrazioni del sessantesimo anniversario della
liberazione dei prigionieri del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Al
centro della pagina campeggia la frase “Mai più”.
All’interno,
l’intervento dell’arcivescovo Celestino Migliore durante la sessione
straordinaria che, per la prima volta, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite
ha dedicato alla Shoah in concomitanza con il suddetto anniversario.
Nelle
vaticane, il messaggio di Giovanni Paolo II per la Quaresima 2005.
Nelle
estere, Davos: la lotta alla povertà al centro del Forum economico mondiale;
intervento del premier britannico Blair.
Nuovo
appello dell’UNICEF ad affrontare le crisi “dimenticate” nelle varie regioni
del mondo.
Nella
pagina culturale, un articolo di Franco Patruno sul film “Alla luce del sole”, dedicato
tragica vicenda dell’“antieroe” don Puglisi.
Nelle
pagine italiane, tra i temi in rilievo la giustizia e la camorra.
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27
gennaio 2005
OGGI LA GIORNATA DELLA MEMORIA
RICORDA IL 60.MO ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE
DEL CAMPO DI STERMINIO NAZISTA DI
AUSCHWITZ
- Ai nostri microfoni Luigi
Geninazzi, i sopravvissuti Alberto ed Ida,
lo storico Ruggiero Taradel, il
Rabbino Riccardo Di Segni
e il cardinale Jean-Marie Lustiger
-
Si celebra oggi la Giornata della
Memoria che ricorda il 60.mo anniversario della liberazione da parte
dell’Armata Rossa del campo di sterminio nazista di Auschwitz. Oggi in questo
luogo, divenuto ormai un museo, oltre 40 capi di Stato e di governo ricordano
con una cerimonia le vittime dell’Olocausto. Ma quale atmosfera si sta vivendo
per questo evento? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Luigi Geninazzi, inviato
ad Auschwitz per il quotidiano “Avvenire”:
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R. – Un’atmosfera che ricorda molto
quella di 60 anni fa, quando il 27 gennaio del ’45, alcuni soldati dell’Armata
Rossa abbatterono i cancelli del “luogo dell’orrore”. Ci sono bufere di neve ed
alcuni capi di Stato non sono ancora riusciti fino a questo momento ad
arrivare. C’è ovviamente grande commozione, perché stanno arrivando qui tutte
le delegazioni, anche quelle degli ex deportati. C’è una forte emozione, ma
potremmo dire anche una grande angoscia che si vive tutte le volte che si viene
ad Auschwitz, nell’attesa di una commemorazione ufficiale, nell’attesa che
venga ripetuto “Mai più l’Olocausto”, “Non dimenticate Auschwitz”, “Non
permettete più che ci siano altri genocidi nel mondo”. Questo è l’appello che
verrà firmato, poco prima dei discorsi ufficiali, dai sopravvissuti e dagli ex
deportati, proprio qui ad Auschwitz.
D. – Auschwitz è diventato il
luogo simbolo dell’Olocausto, il più grande campo di sterminio creato dalla
ferocia nazista. Quale insegnamento oggi può dare questo luogo, soprattutto ai
giovani?
R. – Qui vengono sempre moltissime
scolaresche e tantissimi giovani, sono ormai più di mezzo milione all’anno.
Bisogna venire a vedere quello che è stato questa fabbrica di morte,
soprattutto nell’immenso campo di Birkenau- Auschwitz 2, dove a partire dal
1942 venne decisa la soluzione finale e dove sulla “Judenrampe” arrivava il
treno e venivano scaricate migliaia di persone e che in poche ore venivano
portate alle camere a gas. Tutto questo, come dicevo, dà angoscia ed amarezza,
ma quando si viene qui dovremmo sempre ricordare la frase di una martire ad
Auschwitz, l’ebrea convertita Edith Stein, la carmelitana e la cui immagine si
può venerare nel Carmelo qui ad Auschwitz, che diceva: “L’odio non deve avere
l’ultima parola nel mondo”.
**********
Ricordare, quindi, gli occhi dei
deportati, i volti di chi ha attraversato l’orrore dei campi di concentramento,
non dimenticare la storia di chi è morto schiacciato dalla furia nazista è il
senso delle celebrazioni di oggi ad Auschwitz così come in molte parti del
mondo dove nell’odierna giornata della memoria si testimonia la
volontà di difendere l’umanità, respingendo ogni forma di violenza e razzismo. Massimiliano Menichetti:
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(musica)
E’ il 27 gennaio del
1945, il 62 esimo corpo dell’armata sovietica spalanca le porte di Auschwitz, è
la fine del campo di sterminio simbolo dell’orrore nazista. Tra i sopravvissuti
c’è Alberto:
“Mi massacrarono. Appena liberato ringraziai il Signore, dicendo: “Sono
ritornato ad essere un uomo…. Non sono più un numero”.
Tra le
ragazze scampate all’orrore c’è Ida:
“Avevo 14 anni e ne sono uscita che ne avevo 16. Mi hanno rubato tutto:
la mia famiglia, la mia mamma, il mio sonno…tutto!”.
(musica)
I soldati però non libereranno
migliaia di persone ma solo alcune centinaia poiché i tedeschi saputo
dell’avanzata sovietica sgomberarono il campo. Lo storico Ruggiero Taradel:
“Circa 60 mila ebrei furono
avviati in direzione dell’Ovest in una marcia della morte, che per molti di loro
non si sarebbe mai conclusa, perché sarebbero morti lungo la via, mentre i
sopravvissuti sarebbero poi stati portati a Bergen-Belsen. Quando l’Armata
Rossa giunse quindi ad Auschwitz, trovò soltanto circa 600 prigionieri ancora
vivi nel campo di lavoro a Monowice, 6.000 prigionieri ancora vivi - anche se
in terribili condizioni – a Birkenau e 1.000 sopravvissuti nel campo principale
di Auschwitz.
(musica)
Auschwitz nasce nel 1940 in un
piccolo villaggio della Polonia. Venne fondato su ordine di Heinrich Himmler e
comandato da Rudolf Höss. Già il 14 giugno furono trasferiti nelle baracche 728
prigionieri polacchi, quindi ebbe inizio la deportazione di massa e da tutta
Europa arrivarono prigionieri. Dal 1942 al 1944 la macchina della morte nazista
replicò in circa 40 filiali, del campo di concentramento, collocate per lo più
nelle vicinanze di fonderie, miniere e fabbriche per sfruttare i detenuti.
Il numero esatto
delle persone uccise ad Auschwitz non è mai stato
accertato, anche se stime considerate affidabili parlano di oltre un milione e mezzo di vittime. I documenti del campo, invece, registrarono circa 400 mila carcerati, il 96% morto durante la
detenzione.
(musica)
Chi arrivava nel campo veniva
rasato, denudato e tatuato con un numero identificativo mai più cancellabile.
Da quel momento si è solo un numero. Uomini, donne e
bambini che nella maggiore parte dei casi persero la vita alla fine di un
percorso fatto di violenze, privazioni, torture fisiche e psicologiche. Un
orrore sottolinea il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, che deve essere
ricordato:
“E’ assolutamente necessario. La base di ogni
società è la condivisione di valori, di una storia e quello del ripudio di ogni
forma di violenza, e in particolare della violenza estrema che ha portato allo
Shoah, deve essere un fondamento del quale non si può assolutamente fare a
meno”.
Alla fine del secondo conflitto
mondiale le stime, impossibili da confermare ancora oggi, parlarono di diversi
milioni morti nei campi di sterminio, circa 6 milioni gli ebrei, poi zingari,
Slavi, omosessuali, Testimoni di Geova, portatori di handicap e tanti altri:
vittime che oggi indicano la via della fratellanza e gridano di non
dimenticare.
E oggi ad Auschwitz accanto a
capi di Stato e di Governo, per il sessantesimo anniversario della liberazione,
c’è l’inviato del Papa, il cardinale Jean-Marie Lustiger, arcivescovo di
Parigi. Il cardinale Lustiger ebreo convertito, ad Auschwitz perse la mamma.
JE
PENSE – C’EST MA CONVINCTION INTIME – QUE LE PEUPLE JUIF ...
“Credo – ed è una mia convinzione
profonda – che il popolo ebreo continui ad essere portatore di quella legge
morale fondamentale che ha ricevuto dalla Rivelazione dei Dieci Comandamenti
che sono, nella traduzione laica, quelli che oggi chiamiamo “i diritti
dell’uomo”, a condizione di osservarne il rigore. Il popolo ebreo è anche
portatore di una trascendenza che l’ateismo occidentale è libero di rifiutare,
di negare ma di cui la persona umana reca in sé la traccia. L’ideologia nazista
aveva una pretesa divina: aveva coniato il motto “Gott mit uns – Dio con noi”.
In realtà diceva: “Dio siamo noi”. Ecco perché hanno cercato di uccidere gli
ebrei. Volevano uccidere il messaggero per sopprimere il messaggio. E hanno cercato
di ucciderli tutti! La Shoah ci mostra fino a che punto sappia spingersi la
follia umana, ci mostra di cosa gli uomini siano capaci, ma anche la
responsabilità mondiale dell’umanità tutta. E’ dunque necessario che le
generazioni future siano educate a tale responsabilità, perché la coscienza sia
sempre vigile”.
(musica)
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IL DEBITO DEI PAESI POVERI, IL DRAMMA DELLO TSUNAMI E DELL’IRAQ
TEMI DI PUNTA AL SOCIAL FORUM DI PORTO ALEGRE, INAUGURATO IERI
DA UNA MARCIA DI DUENTOMILA PERSONE
- Servizi di Maurizio Salvi e Emiliano Bos -
Contadini senza terra e paria
indiani, capi di Stato fianco a fianco con ferrovieri disoccupati del Giappone
o attivisti palestinesi. E’ stata come di consueto un concentrato di voci e di
cause la marcia dei duecentomila partecipanti al Forum sociale mondiale,
sfilata ieri pomeriggio per le strade di Porto Alegre, la città brasiliana che
ospita la quinta edizione del Forum in programma fino al prossimo 31 gennaio.
Le questioni del debito estero dei Paesi poveri e del conflitto in Iraq sono i
temi principali dell’evento, a cui partecipano associazioni, movimenti e ONG di
tutto il mondo. Ma ieri cadevano anche i 30 giorni dalla tragedia del maremoto
del Sud-Est asiatico, che ha suscitato nuovi appelli alla solidarietà. Da Porto
Alegre, Maurizio Salvi:
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L’inaugurazione del Forum è
avvenuta ad un mese esatto dalla catastrofe causata dallo tsunami in Asia e questo ha fornito lo spunto al Premio Nobel per
la Pace, l’argentino Adolfo Peres Esquivel, per lanciare un appello alla
mobilitazione a sostegno della richiesta di un annullamento del debito ai Paesi
colpiti. Questo perché, ad esempio, a fronte dei sei miliardi di dollari
promessi dai Paesi industrializzati per l’area asiatica disastrata, si registra
il pagamento annuale di 32 miliardi di dollari per il rimborso del debito da
parte degli stessi Paesi colpiti. Secondo uno studio, fra l’altro, in molte
regioni - come per esempio l’America Latina - il fardello si è moltiplicato per
sette negli ultimi 20 anni, nonostante le forti somme restituite per gli
interessi. Gli organizzatori hanno indicato che il Forum lancerà una raccolta
mondiale di firme per premere sui governi creditori.
Oggi i partecipanti alla
manifestazioni si concentreranno nello stadio di Cantinho, dove il presidente
brasiliano, Luis Ignacio Lula da Silva, varerà la campagna denominata Appello
globale per un’azione contro la povertà.
Da Porto Alegre, Maurizio Salvi,
per la Radio Vaticana.
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Sono
centinaia i membri di Congregazioni religiose, di gruppi e movimenti – tra cui Caritas Internationalis – che a Porto
Alegre danno voce e volto alla presenza cattolica al Social Forum. Più di 150 persone,
tra religiosi e collaboratori, compongo la delegazione dei Gesuiti, ma molte
sono le espressioni ecclesiali, perlopiù missionarie, che hanno preso o
prenderanno la parola durante i circa duemila tra seminari e manifestazioni che
si alterneranno al Forum. Sentiamo, dalla città brasiliana, Emiliano Bos:
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“Sono
qui al Forum sociale, accanto ai campesinos del nord-ovest della Colombia,
sfollati con la violenza dai paramilitari”. Sono le parole di padre Armando
Valencia, un missionario venuto a Porto Alegre, in Brasile, per chiedere il
sostegno nella lotta della sua gente contro la violenza. “I brasiliani hanno
gli stessi problemi di noi in India”, aggiunge una religiosa del Social Center
Saphi di Puna e denuncia lo sfruttamento delle terre, la mancata distribuzione
dell’acqua e le questioni indigene. Sono queste alcune delle forme di ingiustizia
che sono da ieri al centro dei dibattiti della V edizione del Forum sociale
mondiale. Ieri, i gruppi cattolici presenti al Forum - associazioni,
congregazioni missionarie ed organizzazioni – si sono dati un loro
appuntamento, proprio poche ore prima del corteo allegro e colorato che ha
attraversato le vie di Porto Alegre, aprendo ufficialmente il Social Forum. Un
evento che, secondo mons. Demetrio Valentini - presidente della Caritas Brasile
e già segretario della Conferenza episcopale locale - si deve prendere in
considerazione perché si rivolge anche alla Chiesa di oggi.
Intanto è stato deciso che tra
due anni il Forum si terrà in Africa. “Siamo pronti – ha detto il direttore
della Caritas Camerun - per dare il nostro contributo contro le disuguaglianze
del Pianeta e per la globalizzazione della solidarietà”.
Da Porto Alegre, Emiliano Bos,
per la Radio Vaticana.
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27 gennaio 2005
“DI FRONTE AL DISAGIO SOCIALE E ALL’EMARGINAZIONE, RADICATEVI IN
CRISTO PER COSTRUIRE IL VOSTRO FUTURO”. E’ L’INVITO AI GIOVANI DEI VESCOVI
CENTRAFRICANI, A CONCLUSIONE DELLA 7.MA ASSEMBLEA DELL’ASSOCIAZIONE DELLE
CONFERENZE EPICSCOPALI DELL’AFRICA CENTRALE,
SVOLTASI NEI GIORNI SCORSI IN CIAD
N’DJAMENA.
= “Cari giovani, lo sappiamo, molti di voi si sentono abbandonati a se stessi.
E vi sono molte ragioni del vostro sconforto”. Così i vescovi dei Paesi
centrafricani, rivolgendosi ai giovani nel messaggio conclusivo della 7.ma
Assemblea dell’Associazione delle Conferenze episcopali della regione
dell’Africa centrale (ACERAC), che si è conclusa di recente a N’Djamena,
capitale del Ciad. Tra i problemi che influiscono direttamente sul disagio
sociale dei giovani, i presuli individuano “la disgregazione delle famiglie e
delle strutture sociali garanti dell’educazione”. La stessa appartenenza etnica
o regionale “diventa pretesto per ripiegarsi su se stessi escludendo gli altri.
Ciò conduce spesso al tribalismo, al regionalismo, al favoritismo”. I giovani,
che vivono nella violenza e sono spesso sfruttati dagli adulti, si sentono
“divisi tra la tradizione africana e la modernità”: “Alcuni di voi sperimentano
questa situazione nel matrimonio quando vi si impone uno sposo o una sposa”,
affermano i vescovi. La ricerca di nuovi modelli di riferimento proposti da
radio, televisione e giornali rischia di “far dimenticare i valori familiari e
tradizionali”. Gli stessi valori cristiani, sottolineano, “non sono sufficientemente
radicati nella vita delle persone. Per questo, diversi giovani si lasciano
andare alla delinquenza o si rivolgono alle sètte, dove sperano di trovare
facili soluzioni ai loro problemi materiali e spirituali”. Di fronte a tutto
questo, ecco allora l’appello dei vescovi centrafricani: “Cari giovani, in
ragione della vostra fede in Gesù il Vivente, non scoraggiatevi! Testimoniate
la vostra fede, partecipate allo sviluppo duraturo dei vostri Paesi, vivete la
solidarietà, siate responsabili della vostra sessualità”. I presuli
incoraggiano i ragazzi a non avere paura di vivere controcorrente, “come
discepoli di Cristo”: “Testimoniate i valori dell’onestà, della fedeltà, del
coraggio, del servizio gratuito e della generosità. Abbiate la forza di dire
‘no’ alla menzogna che uccide la nostra società e conduce alla corruzione, alla
frode, all’immoralità, alla violenza”. E infine esortano: “Radicatevi in Gesù.
Vi sosterrà nella lotta per costruire il vostro avvenire e quello del vostro
Paese. Siate la stella che conduce a Gesù”. (R.M.)
IL CLIMA DI COLLABORAZIONE TRA
STATO ITALIANO E CHIESA IN MATERIA DI BENI
CULTURALI “È NOTEVOLMENTE MIGLIORATO”. COSÌ, IL
CARDINALE VICARIO,
CAMILLO RUINI, CHE HA FIRMATO IERI A ROMA , CON IL
MINISTRO
PER I BENI CULTURALI, GIULIANO URBANI, LA TERZA
INTESA
PER LA TUTELA DEI BENI DI PROPRIETÀ DELLA CHIESA
ROMA. =
In materia di beni culturali, il clima di collaborazione tra Stato italiano e
Chiesa “è notevolmente migliorato negli oltre venti anni trascorsi dalla
revisione del Concordato Lateranense,
pur salvaguardando il pieno rispetto delle distinte competenze e prerogative
delle due parti”. A sottolinearlo, è stato ieri il cardinale vicario, Camillo
Ruini, in occasione della firma, insieme con il ministro dei Beni Culturali,
Giuliano Urbani, della terza Intesa per la tutela dei beni culturali di
proprietà della Chiesa. Le Intese sottoscritte nel 1996 e nel 2000 tra Stato e
Chiesa, ha fatto notare il porporato, come del resto quella firmata oggi, “da
una parte si sono giovate di tale clima di collaborazione e, dall'altra, lo
hanno favorito ulteriormente promuovendo una prassi di reciproca attenzione”.
Quanto ai contenuti dell’accordo, ha spiegato il presidente della Conferenza
episcopale italiana, l'Intesa “ripropone i contenuti sostanziali di quella del
1996, ma in più punti li aggiorna e li integra”. Un aggiornamento – ha
ricordato il cardinale – resosi necessario in seguito alle modifiche
intervenute nella legislazione italiana, ma non solo: tra le esigenze
considerate dal nuovo testo, ha sottolineato, c’è quella di “prendere atto
dell’esperienza maturata nella vigenza dell’Intesa del 1996 e di dare
disposizioni specifiche in relazione a iniziative di particolare rilevanza per
la tutela dei beni culturali, quali l’inventariazione e la catalogazione dei
beni mobili e immobili, gli interventi che ne garantiscano la sicurezza e la
conservazione, quelli inerenti la loro conservazione con particolare riguardo
agli edifici aperti al culto, il prestito di opere d’arte per mostre ed esposizioni,
l’adeguamento liturgico delle chiese”. E ancora, ha annunciato il cardinale
Ruini, l’intesa “è stata integrata per gli aspetti che riguardano gli scavi e
le ricerche archeologiche da effettuare in edifici di culto, l’accesso e la
visita alle aree archeologiche sottostanti o connesse con edifici di culto, le
procedure da adottare nel caso di calamità naturali”. Infine, un auspicio:
quello che il nuovo testo, ha concluso Ruini, “contribuisca a far crescere,
anche nell’ambito della tutela dei beni culturali di interesse religioso, quel
clima di fattiva e cordiale collaborazione tra la Chiesa Cattolica e lo Stato,
finalizzato alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene
del Paese, che costituisce il cardine dell'Accordo concordatario del 1984”.
(R.M.)
OLTRE
105 CIVILI SAREBBERO STATI UCCISI E OLTRE 9 MILA COSTRETTI ALLA FUGA
LA
SETTIMANA SCORSA PER LA RIPRESA DEI COMBATTIMENTI NELLA REGIONE SUDANESE DEL
DARFUR. A RIVELARLO,
UNA
SQUADRA DI OSSERVATORI DELLE NAZIONI UNITE
HAMADA (SUDAN).
= Nuovi scontri nella regione sudanese del Darfur potrebbero aver causato
la morte la scorsa settimana di oltre un centinaio di civili e costretto alla
fuga più di 9 mila persone. Lo ha detto ieri il portavoce delle Nazioni Unite,
George Somerwill, sostenendo di aver avuto conferma che “il villaggio di Hamada
è stato quasi totalmente distrutto e 105 civili potrebbero essere stati
ammazzati, in maggioranza donne e bambini”. Somerwill ha aggiunto però di non
sapere in quale modo abbiano perso la vita queste persone, né quali erano le
parti in lotta, o se si siano verificati bombardamenti aerei. Il portavoce
delle Nazioni Unite ha specificato che 8 mila sudanesi sono fuggiti dai luoghi
delle violenze per cercare rifugio a Menawashi e che altri 1.250 sono scappati
a Mershing, località vicine situato nel Darfur meridionale. Le notizie degli
scontri sono state diffuse dopo che, la scorsa settimana, le Nazioni Unite
avevano inviato una squadra di ricognizione proprio nell’area di Hamada. (R.M.)
RIESPLODE LA VIOLENZA ANTICRISTIANA IN INDIA OCCIDENTALE:
CROCI
DISTRUTTE E SUORE MINACCIATE DA ESTREMISTI INDÙ
MUMBAI. = Riesplode la violenza
anticristiana ad opera di fondamentalisti indù nell’India occidentale: a farne le
spese è stata una comunità di suore Teresiane che vivono in un convento a
Ambernath, nei pressi di Mumbai, capitale dello Stato del Maharashtra. Secondo
una nota della Conferenza episcopale indiana, l’episodio è avvenuto il nella
notte del 23 gennaio, quando un gruppo di estremisti è penetrato nel convento,
distruggendo una croce e lasciando scritte del tipo: “Ora è toccato alla croce,
la prossima volta sarà il turno delle vostre teste” o “Andate via o non vi
risparmieremo”. Le suore sono state minacciate e invitate a lasciare la zona.
Suor Dian, superiora del convento, racconta: “E’ la prima volta che riceviamo
queste minacce. Siamo molto amareggiate. Non sappiamo chi siano i criminali, ma
solo che hanno detto di appartenere a un gruppo di matrice indù”. Forte
condanna del gesto è giunta dalla All India Catholic Union, associazione
che raccoglie aggregazioni e gruppi laicali cattolici, che ha chiesto maggiore
protezione per la comunità cristiana, “pacifica e accogliente, minacciata con
una strategia di intimidazione e terrore da fondamentalisti indù”.
L’organizzazione ha ricordato che gli ultimi attacchi anticristiani nella zona
risalivano a due anni or sono e che la maggior parte della popolazione vive in
armonia sociale e religiosa. L’ordine delle suore Teresiane Carmelitane, con
oltre 1.400 religiose che svolgono servizio pastorale e sociale in Italia,
Germania e Africa, è la più antica Congregazione femminile locale indiana,
fondata nel 1866 nell’arcidiocesi di Verapoly, nello stato del Kerala. (R.M.)
LA TOLLERANZA E L’ARMONIA TRA LE DIVERSE COMUNITÀ RELIGIOSE IN PAKISTAN
AL
CENTRO DEL RECENTE INCONTRO ORGANIZZATO DALLA COMMISSIONE
PER IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO E L’ECUMENISMO
DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE
PESHAWAR. = Per la prima volta in più di tre anni,
la città pakistana di Peshawar, alla frontiera con l’Afghanistan, ha ospitato
recentemente un incontro promosso dalla Commissione per il Dialogo
interreligioso e l’ecumenismo della Conferenza episcopale del Pakistan. Circa
130 esponenti musulmani, cristiani e indù di vari settori della società
pakistana si sono incontrati per parlare di come promuovere la convivenza
pacifica tra le religioni nel Paese e per lanciare un forte messaggio contro
tutti i fondamentalismi di matrice religiosa. In questo senso, va letta la
scelta della provincia nord-occidentale, roccaforte dei integralisti islamici
filo-talebani e base degli attacchi terroristici seguiti alla guerra in
Afghanistan nel 2001, quale sede dell’incontro. Una scelta che ha voluto essere
quindi “una sfida” e un segnale, ha evidenziato il portavoce della Commissione
episcopale, padre Inayat Bernard. Ad accogliere i partecipanti è stato Mehboob
Sada, direttore della Commissione interreligiosa della diocesi di
Islamabad-Rawalpindi, che ha illustrato gli obiettivi del colloquio: permettere
a persone di diverse religioni di conoscersi e promuovere quindi la tolleranza
e l’armonia tra le diverse comunità religiose in Pakistan. Un intento elogiato
dall’ospite principale dell’incontro, il ministro della Sanità della provincia,
Inayat Ullah Kahn, che ha da parte sua riconosciuto il dovere delle autorità di
tutelare i diritti delle minoranze in Pakistan. Dai dibattiti è emersa la
comune convinzione sulla necessità di promuovere il dialogo per la pace nel
Paese a tutti i livelli, a cominciare dai singoli, e quindi di fare conoscere
meglio gli autentici insegnamenti delle varie religioni in materia. Diversi
partecipanti hanno inoltre rilevato come promuovere la moderazione e la
tolleranza sia oggi tanto più importante in Pakistan, se si considera
l’immagine negativa di cui gode attualmente il Paese, come Stato di terroristi
islamici. (L.Z.)
QUESTA SERA, ALL’”AUDITORIUM-PARCO DELLA MUSICA” DI
ROMA,
CONCERTO DI BENEFICENZA PER LA COSTRUZIONE DI UN
REPARTO PEDIATRICO NELL’OSPEDALE DI QUIA’, IN ETIOPIA
ROMA. = Le musiche di
Brahms e Liszt animeranno a Roma, all’Auditorium-Parco della Musica, il
concerto di beneficenza eseguito dal pianista Michele Campanella, con la
partecipazione della pianista Monica Leone e dell’Ensemble Voci Italiane
diretto da Massimo Iannone. I veri protagonisti saranno però i bambini
dell’ospedale Hewo di Quià, nella provincia nel nord dell’Etiopia, Mikelé, che
maggiormente ha subito le conseguenze del conflitto con l’Eritrea, conclusosi
da pochi anni. I fondi raccolti serviranno infatti a finanziare la costruzione
di un reparto pediatrico nell’ospedale della città. L’iniziativa è promossa
dalla II Facoltà di Medicina e Chirurgia de “La Sapienza”, dall’Azienda
ospedaliera Sant’Andrea, dalla Onlus IISMAS e dall’Ospedale San Gallicano di
Roma, in collaborazione con il Ministero della sanità del Tigray. Il programma
di cooperazione è già impegnato per la formazione e l’aggiornamento del
personale locale nei campi della chirurgia, dermatologia, medicina di
laboratorio, pediatria e radiologia. (R.M.)
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27
gennaio 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Iraq, a tre giorni dalle elezioni, l’amministrazione e
le forze di sicurezza del Paese arabo continuano ad essere nel
mirino dei guerriglieri: a sud di Baghdad cinque civili sono stati uccisi
dall’esplosione di un ordigno artigianale al passaggio di un convoglio
militare. Nella stessa zona, quattro soldati iracheni sono stati sequestrati
dopo essere usciti da una base militare americana. Un’autobomba è esplosa,
inoltre, nei pressi dell’ufficio del governatore di Baluba, provocando una
vittima, e a Samarra un’imboscata tesa da guerriglieri ha provocato la morte di
un soldato iracheno. Sempre a Samarra, sette civili sono rimasti uccisi per
l’esplosione di un ordigno nei pressi di un centro elettorale. Ma il bilancio
più drammatico di questa nuova ondata di violenze riguarda le forze americane.
Il nostro servizio:
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Dopo la morte di 31 marines
precipitati con il loro elicottero nei pressi di Ar Rutbah, l’uccisione di
altri sei militari da parte di guerriglieri nella turbolenta provincia di Al
Anbar ed il decesso di un soldato ferito martedì scorso a Diyala, è salito a 38
morti il bilancio di ieri delle vittime statunitensi. Si tratta, per le forze
americane, della giornata più sanguinosa dall’inizio della campagna militare
nel Paese arabo, avviata nel mese di marzo del 2003. Sul fronte dei sequestri,
il portavoce del Dipartimento di Stato USA ha dichiarato poi che sono almeno
tre i cittadini statunitensi attualmente tenuti in ostaggio in Iraq. In una
conferenza stampa, convocata dopo il drammatico schianto dell’elicottero a
Rutbah, il presidente Bush ha detto che le elezioni si terranno
comunque e ha invitato tutti gli iracheni a partecipare alla consultazione di
domenica prossima. “Si tratta - ha detto - di un momento storico per il loro
Paese”. “Il Medio Oriente è un calderone di rabbia e di
odio”, ha poi spiegato il capo della Casa Bianca ribadendo che la diffusione
della democrazia in questa regione è un elemento cruciale per la sicurezza
dell’America dalla minaccia del terrorismo di matrice islamica. Bush ha
escluso, inoltre, l’ipotesi di un rapido disimpegno dall’Iraq: “Gli Stati Uniti
- ha precisato - manterranno il numero di truppe necessario”. Il presidente
americano ha anche sottolineato come “il solo fatto che si voti in Iraq sia già
un successo”. Ed il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, ha prospettato il
rischio di una recrudescenza della violenza dopo la consultazione. Secondo
Rumsfeld, bisognerà aspettare probabilmente fino ad aprile perché la situazione
si stabilizzi. Intanto, l’Iraq continua ad essere sconvolto dagli attacchi dei
ribelli contro uffici elettorali: a Kirkuk i guerriglieri hanno preso di mira
tre seggi e a Tikrit è stata distrutta la sede della Commissione elettorale
della città. Il governo di Mosca, infine, ha annunciato che la Russia non
invierà nemmeno un osservatore alle elezioni irachene perché nel Paese arabo
“non è garantita la più elementare sicurezza dei cittadini stranieri”.
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In Medio Oriente prosegue il
dialogo israelo palestinese e a darne conferma è lo stesso primo ministro dello
Stato ebraico, Ariel Sharon che, secondo un alto responsabile palestinese, si è
detto disponibile in un futuro prossimo a liberare 900 detenuti palestinesi. Si
sono aperti, intanto, i seggi per le elezioni comunali a Gaza. Rita Anaclerio:
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Migliaia di palestinesi stanno
affollandosi davanti a 167 seggi elettorali per eleggere i 118 membri di 10
Consigli comunali nella Striscia di Gaza. Le urne, aperte alle 7.00 locali,
chiuderanno alle 19.00. L’esito di queste elezioni dovrebbe fornire indicazioni
concrete sul reale seguito del movimento islamico Hamas, che si ritiene sia
particolarmente popolare nella striscia di Gaza e sui rapporti di forza tra i
gruppi islamici ed il nuovo presidente palestinese Abu Mazen. Sembra intanto
reggere la tregua in vigore da sei giorni fra israeliani e palestinesi. Lo
stesso premier israeliano Sharon si è detto “molto soddisfatto” delle misure di
sicurezza adottate dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese
(ANP)”. Parole riferite sulle pagine del quotidiano israeliano Yediot Aharonot, che fanno da
contraltare alla dichiarazione del presidente dell’ANP, che vuole “il prima
possibile” la firma con Israele di una dichiarazione di cessate-il-fuoco.
Intanto, in segno di buona volontà, Israele ha accolto un’espressa richiesta
palestinese e ha deciso di togliere dalla lista dei ricercati il capo del
Servizio informazioni dell' ANP in Cisgiordania, Tawfik Tirawi, e il capo del
Servizio informazioni per la sicurezza preventiva a Gaza, Rashid Abu Shbah. Il
sito internet del quotidiano Haaretz rende noto, inoltre, che il neo segretario
di Stato americano, Condoleeza Rice – che ha appena terminato i colloqui con il
ministro degli Esteri israeliano, Silvan Shalom - incontrerà fra tre settimane
Sharon e Abu Mazen. Intanto a Ramallah, in Cisgiordania, si sta svolgendo
positivamente la prima riunione tra il presidente palestinese e l’emissario
americano William Burns, che nel pomeriggio incontrerà anche il primo ministro
israeliano, Ariel Sharon.
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L’Iran non ha alcuna intenzione
di rinunciare al proprio programma nucleare, a dispetto delle pressioni che
provengono dalla comunità internazionale. Lo ha ribadito il vice ministro degli
Esteri iraniano, Gholamali Khoshroo, in visita in Malaysia. “Non ci fanno paura
gli Stati Uniti”, ha detto Khoshroo. “Noi - ha aggiunto - non vogliamo
accrescere le tensioni, ma vogliamo vivere come una nazione sovrana”.
Strage
in Afghanistan. In una base della coalizione, nella provincia
meridionale di Helmand, un militare dell’esercito ha aperto il fuoco contro
i suoi commilitoni, uccidendo 5 soldati e ferendone altri sei. Il ministero
della Difesa afghano non ha fornito alcuna spiegazione sull’accaduto. Nella
provincia meridionale afgana sono dislocati circa 18 mila uomini delle forze di
coalizione.
Un elicottero militare vietnamita
è precipitato in mare in un’area centrale del Paese, causando la morte di 16
persone, tra le quali due generali. Il ministero della Difesa di Hanoi ha
ordinato un’inchiesta per accertare le cause dell’incidente.
Una
tassa di solidarietà internazionale per fornire nuovi mezzi di lotta all’Aids.
Questa la proposta lanciata ieri a Davos, in Svizzera, dal presidente francese
Chirac, in occasione del Vertice economico mondiale. Un mezzo, ha detto Chirac,
che consentirebbe di raccogliere fino a dieci milioni di dollari all’anno per
combattere uno dei principali freni allo sviluppo dei paesi poveri. Lotta al
terrorismo, Africa e problemi climatici, invece, le priorità sulle quali ha
chiamato a riflettere il premier britannico Tony Blair, che ha inoltre
sollecitato l’America ad aderire all’agenda fissata dai G8 affinchè non si crei
una comunità internazionale con diversi poli di potere.
Prosperità, solidarietà,
sicurezza e libertà, forte ruolo nel mondo: sono gli obiettivi strategici della
Commissione europea per i prossimi cinque anni, presentati ieri a Bruxelles dal
presidente dell’esecutivo europeo, Barroso, di fronte all’Europarlamento. Il
programma, che dovrà essere approvato dall’Assemblea di Strasburgo a fine
febbraio, ha ottenuto il sostegno di popolari, socialisti e
liberal-democratici. Critici verdi e comunisti. Precisando che non è possibile
avere “più Europa con meno soldi'', Barroso ha spiegato che i prossimi impegni
della Commissione saranno tutti economici.
E a causa dell’ondata di
maltempo che sta attraversando l’Europa dell’est è stato annullato l’intervento
del neo-presidente ucraino, Yushenko, previsto per oggi al Parlamento europeo
di Bruxelles. Intanto, non si placano le polemiche sulla nuova premier ucraina Timoshenko:
la Russia infatti non ha bloccato le indagini sulla donna d’affari, per la
quale la Procura militare di Mosca aveva emanato un ordine di cattura
internazionale con l’accusa di aver pagato tangenti a un funzionario russo.
“Sì” al referendum sulla modifica della Costituzione in Costa
d’Avorio. Lo ha affermato il presidente ivoriano, Laurent Gbagbo. In ballo, la
revisione dell’articolo 35 della Costituzione, che regola l’eleggibilità del
capo di Stato. Al momento, i candidati alla prima carica del Paese devono
necessariamente essere di nazionalità ivoriana, nati da entrambe i genitori
ivoriani. La modifica ammetterebbe la nascita o dai soli madre o ivoriani. Se
la revisione fosse approvata, il leader dell’opposizione Ouattara potrebbe
candidarsi alle presidenziali.
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