RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n. 19  - Testo della trasmissione mercoledì 19 gennaio 2005

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa, oggi all’udienza generale, ha invitato ogni battezzato a impegnarsi per l’unità dei cristiani: ma è un dono di Dio – ricorda – che Gesù ha chiesto al Padre nell’ora in cui ha abbracciato la Croce

 

Benedetta dal Papa la statua monumentale dedicata a S. Gregorio l’illuminatore, evangelizzatore dell’Armenia. L’opera, alta oltre 5 metri, collocata nel cortilone nord della Basilica Vaticana

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Una raffica di attentati semina il terrore a Baghdad: almeno 26 i morti, decine i feriti. nonostante la nuova strage, il popolo iracheno si prepara al voto del 30 gennaio, il primo libero dopo gli anni della dittatura di Saddam Hussein: ai nostri microfoni l’arcivescovo di Baghdad Jean Benjamin Sleiman, il giornalista Lorenzo Cremonesi e lo scrittore iracheno  Younis Tawfik

 

Indonesia: dopo il maremoto è emergenza profughi. Sono oltre 600 mila: con noi Riccardo Nouri

 

Dopo due anni di restauri, riaperta la Cattedrale di Bari, durante una solenne cerimonia presieduta dal cardinale Camillo Ruini: intervista con l’arcivescovo Franco Cacucci

 

CHIESA E SOCIETA’:

Rapporto di Amnesty International sul Sudan sollecita una riforma del sistema giudiziario nel Paese africano, dopo i recenti accordi di pace

 

Entro il 2005 si attende la consacrazione di due nuove chiese in Uzbekistan

 

Contro l’aborto: mille donne sfilano davanti alla Corte suprema a Washington. Abortista pentita chiede la revoca delle legge “che uccide la vita”

 

Sarà tradotta in lingua russa la “Summa theologiae” di San Tommaso d’Aquino

 

Interessi commerciali e sensazionalismo a tutti i costi mettono a rischio la libertà e la correttezza dell’informazione sportiva. La denuncia dell’Unione cattolica stampa italiana

 

24 ORE NEL MONDO:

Confermate le misure palestinesi per fermare il terrorismo a Gaza, mentre Sharon discute di operazioni militari da avviare se non cessano le violenze

 

Il maremoto in Asia non fa arrivare più aiuti in Africa: è la denuncia del Programma Alimentare dell’ONU: in Burundi oltre mezzo milione di persone sono alla fame

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 gennaio 2005

 

IL PAPA, OGGI ALL’UDIENZA GENERALE, CHIAMA OGNI BATTEZZATO

A IMPEGNARSI PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI:

MA E’ UN DONO DI DIO  – RICORDA – CHE GESU’ HA CHIESTO AL PADRE

NELL’ORA IN CUI HA ABBRACCIATO LA CROCE

 

Oggi all’udienza generale in Vaticano il Papa ha invitato tutti i battezzati a pregare senza stancarsi per l’unità di quanti credono in Gesù. Ricordando che ieri è iniziata la settimana di preghiera dedicata all’unità dei cristiani, Giovanni Paolo II ha sottolineato che il desiderio di unità va estendendosi ma ha bisogno di nuove iniziative e nuove riflessioni. Il servizio di Sergio Centofanti:

 

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Il Papa ricorda che “il ristabilimento della piena unità” tra i cristiani, “impegna ogni battezzato, pastori e fedeli tutti”. E questo per la stessa volontà di Gesù:

 

“Il Signore Gesù nell’ora in cui ha abbracciato la Croce per la salvezza di tutti gli uomini ha pregato il Padre perché i credenti in Lui siano una cosa sola”.

 

La Settimana di preghiera sul tema “Cristo, unico fondamento della Chiesa”, si svolge a qualche mese dal quarantesimo anniversario della promulgazione del Decreto del Concilio Vaticano II Unitatis redintegratio, “testo chiave – dice il Pontefice - che ha posto la Chiesa cattolica fermamente ed irrevocabilmente nel solco del movimento ecumenico”.

 

Il Papa, sulla scia del Concilio Vaticano II, invita con forza alla preghiera definita l’“anima di tutto il movimento ecumenico”. Infatti “poiché la riconciliazione dei cristiani “supera le forze e le doti umane, la preghiera dà espressione alla speranza che non delude, alla fiducia nel Signore che fa nuova ogni cosa. Ma la preghiera – ha aggiunto - deve essere accompagnata dalla purificazione della mente, dei sentimenti, della memoria. Diviene così espressione di quell’interiore conversione, senza la quale non c’è vero ecumenismo. In definitiva – dice il Papa -  l’unità è un dono di Dio, dono da implorare senza stancarsi con umiltà e verità”.         

 

“Il desiderio dell'unità – nota ancora il pontefice - va estendendosi e si approfondisce toccando ambienti e contesti nuovi” suscitando fervore di opere e iniziative, ma ha bisogno anche di “nuove riflessioni”:

 

“Anche recentemente il Signore ha concesso ai suoi discepoli di realizzare importanti contatti di dialogo e di collaborazione”.

 

“Il dolore della separazione – ha proseguito il Papa - si fa sentire con sempre più viva intensità, davanti alle sfide di un mondo che attende una testimonianza evangelica chiara e unanime da parte di tutti i credenti in Cristo”.

 

Giovanni Paolo II ha concluso dicendo che il 25 gennaio prossimo si unirà spiritualmente alla celebrazione dei vespri che come di consueto, a Roma nella Basilica di San Paolo fuori le Mura concluderà la Settimana di preghiera. Il Cardinale Walter Kasper lo rappresenterà in tale incontro liturgico, al quale prenderanno parte rappresentanti di altre Chiese e Confessioni cristiane. 

 

Alla fine dell’udienza il Papa ha salutato circa 600 tra sacerdoti, seminaristi e laici del Cammino neocatecumenale, riuniti in questi giorni per un incontro internazionale, ringraziandoli per il loro generoso impegno per la nuova evangelizzazione. "Auspico – ha detto - che le riflessioni di questi giorni vi aiutino ad approfondire, con animo docile, la comunione sia con i Pastori delle Chiese locali, sia con i competenti Organismi della Santa Sede. Potrete così offrire un sempre più efficace apporto alla causa del Vangelo”. Presenti all’udienza anche gli iniziatori del Cammino Kiko Arguello, Carmen Hernandez e padre Mario Pezzi.

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BENEDETTA DAL PAPA LA STATUA MONUMENTALE DEDICATA

A SAN GREGORIO L’ILLUMINATORE, EVANGELIZZATORE DELL’ARMENIA.

L’OPERA, ALTA OLTRE 5 METRI,

COLLOCATA NEL CORTILONE NORD DELLA BASILICA VATICANA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

Una nuova statua per celebrare uno dei più antichi evangelizzatori della Chiesa: San Gregorio l’Illuminatore, apostolo dell’Armenia. La scultura a lui dedicata è stata benedetta questa mattina da Giovanni Paolo II, poco prima dell’inizio dell’udienza generale. Collocata nel Cortilone nord della Basilica vaticana, la monumentale statua – alta oltre 5 metri e mezzo e pesante 18 tonnellate - è opera del 61.enne scultore armeno-libanese, Kazan Khatchick. Alle cerimonia di stamattina era presente, tra gli altri, Sua Beatitudine Nersès Bedros XIX, Patriarca degli armeni cattolici, che ha celebrato una Messa prima della benedizione papale, alla presenza di un rappresentante del Catholicos della Chiesa armena apostolica di Etchimiadzin, dell’ambasciatore dell’Armenia presso la Santa Sede e di un inviato della presidenza della Repubblica. I particolari nel servizio di Alessandro De Carolis:

 

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Un apostolo di un’epoca remota, che fondò e organizzò la Chiesa di un’intera nazione, come S. Patrizio in l’Irlanda o S. Agostino in Bretagna. Sta in questo la grandezza di San Gregorio l’Illuminatore. “Illuminatore” dell’Armenia, nella quale diffuse la luce del Vangelo all’inizio del quarto secolo dopo Cristo, in un’epoca violenta nella storia di quella terra e di grandi dispute all’interno della giovane Chiesa universale. Un Santo venerato anche al di fuori della piccola nazione caucasica, in particolare in Italia: su tutti, va ricordata la devozione di Napoli per San Gregorio Armeno, che dà il nome ad un quartiere della città celebre per i suoi presepi, e – in Puglia - la devozione degli abitanti di Nardò, che venerano in San Gregorio il patrono che li salvò dal devastante terremoto del 1743.

 

La storia di Gregorio, che nasce intorno al 250, è travagliata come le dispute per il potere che coinvolsero la sua famiglia quando lui era un bambino. Unico scampato al massacro dei familiari, salvato dalla nutrice e battezzato, viene in seguito sottoposto a lunghe torture perché contrario a tradire la propria fede per sacrificare agli dei, come avrebbe voluto il re Tridate. Ed è tra queste sofferenze atroci – simbolo delle dei tragici eventi che l’Armenia vivrà tra il 19.mo e il 20.mo secolo, in particolare nel 1915 – che la vicenda del giovane Gregorio si tinge di straordinario. Il re Tridate si ammala gravemente e sua sorella sogna che sarà Gregorio a guarirlo. Il giovane viene liberato e così avviene, consentendo al cristianesimo di diventare dal quel momento – siamo nel 1301 - la religione ufficiale dell’Armenia. Ordinato sacerdote e vescovo, Gregorio diventa l’Illuminatore per la sua opera di annuncio e di fondazione del primo nucleo ecclesiale. Nucleo che si dividerà appena un secolo dopo la morte del futuro Santo, avvenuta attorno al 330: con il Concilio di Caldedonia del 451, la Chiesa armena si separa da quella latina e, tra alterne vicende, darà vita all’attuale Chiesa armena apostolica, distinta anche da quella ortodossa.

 

L’imponente scultura in marmo di Carrara, collocata in Vaticano e benedetta oggi dal Papa, è la realizzazione di un desiderio che il Patriarca degli armeni cattolici, il Catholicos Nersès Bedros XIX, aveva espresso a Giovanni Paolo II nel 2001, durante le celebrazioni per i 1700 anni della conversione del Paese asiatico al Vangelo. Un’opera che è detentrice di un primato, poiché – ha spiegato stamani l’arciprete della Basilica vaticana, il cardinale Francesco Marchisano – “è la prima volta che la statua di un Santo di rito orientale viene ad essere collocata tra quelle dei ‘Fondatori”. Ciò, ha proseguito il porporato, “esprime in modo meraviglioso” la “naturale varietà delle tradizioni e dei riti della Chiesa, che contribuiscono al suo arricchimento spirituale e fanno in modo che essa possa – secondo la felice espressione di Giovanni Paolo II – respirare pienamente a due polmoni”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre la prima pagina l'udienza generale.

Giovanni Paolo II ha ricordato la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani e il 40 anniversario del Decreto Conciliare "Unitatis redintegratio", testo chiave del rinnovamento ecumenico.

Il Papa ha sottolineato con forza che l'unità è un dono di Dio da implorare senza stancarsi, con umiltà e verità.

Sempre in prima, l'Iraq: il commosso "grazie" dell'arcivescovo siro-cattolico di Mossul al Papa. "Sono stati gli stessi sequestratori - ha detto il presule - ad informarmi dell'appello del Santo Padre, che ritengo sia stato un fattore decisivo per la mia liberazione".

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

In merito alla Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, un articolo di Eleuterio F. Fortino dal titolo "Relazioni fra Roma e Costantinopoli".

 

Nelle estere, il Rapporto del Millennio dell'ONU: ridurre miseria, fame e malattie. 

 

Nella pagina culturale, d'apertura un articolo di Franco Lanza dal titolo "L'utopia della Rinascita", in merito alla silloge di Nino Borsellino "Il dio di Pirandello". 

 

Nelle pagine italiane, in primo piano il tema delle elezioni regionali.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 gennaio 2005

 

 

UNA RAFFICA DI ATTENTATI SEMINA IL TERRORE A BAGHDAD:

ALMENO 26 I MORTI, DECINE I FERITI. NONOSTANTE LA NUOVA STRAGE,

IL POPOLO IRACHENO SI PREPARA AL VOTO DEL 30 GENNAIO,

IL PRIMO LIBERO DOPO GLI ANNI DELLA DITTATURA DI SADDAM HUSSEIN

- Con noi, mons. Jean Benjamin Sleiman, Lorenzo Cremonesi e Younis Tawfik -

 

Almeno 26 morti, decine di feriti: è il tragico bilancio dell’azione terroristica, che stamani ha scosso violentemente il cuore di Baghdad. Cinque autobombe sono esplose consecutivamente in diverse parti della città. Gli attacchi sono stati indirizzati contro l’ambasciata australiana, un ospedale, una caserma e una banca dove alcuni poliziotti iracheni erano in fila per ritirare lo stipendio. Gli attentati sono stati rivendicati dal gruppo affiliato ad Al Qaeda, guidato dal terrorista giordano Al Zarqawi. Le esplosioni di stamani hanno infranto un breve periodo di sostanziale calma nella capitale irachena. D’altro canto, con l’avvicinarsi delle elezioni – fissate per il 30 gennaio – ci si aspetta una escalation di violenza. A sottolinearlo è Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera in Iraq, raggiunto telefonicamente a Baghdad da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Nei prossimi giorni ci si aspetta proprio un’ondata di attentati più gravi: lo ha detto Colin Powell. Si può dire che tutto sommato negli ultimi giorni, tranne oggi che ha visto questi attentati gravissimi, Baghdad è stata abbastanza calma. E tutti dicevano: “E’ la calma prima della tempesta”. Si presuppone che interi quartieri di Baghdad non andranno a votare e gli stessi americani continuano a dire che ci saranno intere province – si parla di quattro province sunnite – dove non si voterà il 30 gennaio.

 

D. – L’ambasciatore americano a Baghdad, Negroponte, ha riconosciuto che i ribelli sono molto forti, ma ha anche detto che le elezioni riusciranno. Anche sulla scorta di quello che dicevi e cioè che quattro province non andranno a votare, cosa vuol dire, allora, una riuscita delle elezioni?

 

R. – Per ammissione stessa degli iracheni, anche di coloro che si oppongono alle elezioni, la stragrande maggioranza della popolazione – parliamo di circa l’80 per cento tra sciiti e curdi – sono d’accordo con le elezioni e vogliono votare. Si parla quindi di una minoranza, tutto sommato, circa il 20 per cento rappresentato dai sunniti e non tutti tra l’altro, che si oppongono invece al voto. Baghdad e le zone a nord di Baghdad non rappresentano la cartina di tornasole di quello che pensa la maggioranza del Paese. Detto questo, certo bisogna dire che saranno delle elezioni monche, zoppe. Qui si ritiene che se votasse almeno il 60 per cento degli aventi diritto, sarebbe una grande vittoria.

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Poco fa, il premier britannico Tony Blair ha dichiarato che gli abusi contro prigionieri “sono inaccettabili e non saranno tollerati”. Le parole di Blair giungono all’indomani della pubblicazione delle foto sugli abusi commessi da militari britannici ai danni di prigionieri iracheni. Intanto, la Cina segue con il fiato sospeso l’evoluzione del rapimento di otto concittadini presi in ostaggio da ribelli iracheni. La speranza è che la vicenda si possa risolvere positivamente come nel caso dell’arcivescovo di Mossul, Basile Georges Casmoussa. Per una testimonianza sulla situazione dei cristiani in Iraq, Giovanni Peduto ha intervistato mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini e segretario dell’assemblea dei vescovi cattolici in Iraq, impegnato nella riunione della ROACO in corso a Roma:

 

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R. – Innanzitutto i cristiani condividono con gli iracheni la stessa situazione di insicurezza, di violenza. Non è che abbiano uno statuto a parte, ma essendo una minoranza certamente questa situazione ha delle risonanze più drammatiche. Questi avvenimenti tanto dolorosi ravvivano nei cristiani il ricordo di antiche paure e li mettono quindi in una situazione di disagio, che cercano di superare fuggendo. L’emigrazione, quindi, diventa una specie di soluzione. L’emigrazione, invece, è un problema ma la gente non lo vede come tale, lo vede come una soluzione.

 

D. – Chi e cosa minaccia i cristiani in Iraq?

 

R. – Certamente la guerra in Iraq ha aperto la strada ad una situazione pericolosa per i cristiani. C’è una grossa confusione tra cristiani locali, che non sono mai stati protagonisti di guerre o di violenze, e le forze alleate. Quindi il fondamentalismo islamico è pericoloso per i cristiani oggi ed è anche una conseguenza di questa guerra che molta gente nel mondo ha condannato, il Santo Padre per primo. Noi come Chiesa cattolica siamo stati sempre contro la guerra. Abbiamo sempre voluto, desiderato la soluzione dei problemi dell’Iraq ma con altri mezzi, altri metodi, non con la guerra. Quindi, si può attribuire alla guerra questa situazione oggi difficilmente gestibile.

 

D. - Come sono dislocati i cattolici in Iraq e le comunità cristiane in generale?

 

R. – Le comunità cattoliche e cristiane in generale sono presenti in modo abbastanza importante a Baghdad e nei dintorni, nel nord, nella città di Mossul e nei villaggi tradizionalmente cristiani ed anche in alcune zone del Kurdistan, anche se in questa regione sono molto diminuiti per molte ragioni. Ad un certo momento c’è stato anche il trasferimento delle popolazioni cristiane decretato dallo stesso governo, quando era in lotta con i curdi. C’è anche una minoranza di cristiani a Bassora, nel sud.

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Se dunque, la giornata odierna è stata segnata dagli attentati a Baghdad, ieri la liberazione di mons. Casmoussa, è stata accolta con gioia ed emozione non solo dai cristiani iracheni. Una buona notizia da un Paese scosso ogni giorno dalla violenza, ma che ha anche voglia di voltare pagina per costruire un futuro di pace e sviluppo. Ecco come ha vissuto il rilascio di mons. Casmoussa il giornalista e scrittore iracheno Younis Tawfik, nato proprio a Mossul. La testimonianza è stata raccolta da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Con grande soddisfazione, anche perché io sono nato in un quartiere cristiano laddove la convivenza era caratterizzata dal vicinato, dalla generosità della gente, dal dialogo e dalla presenza della chiesa accanto alla moschea.

 

D. – L’Iraq, una realtà multietnica e multireligiosa, viene scosso ogni giorno dalla violenza. Come influisce questa situazione sui rapporti tra i cristiani ed i musulmani dell’Iraq?

 

R. – Da una parte c’è la solidarietà e quest’attaccamento alla propria terra, ma dall’altra c’è una forte emorragia, migrazioni di cristiani. Questo ci fa addolora, perché sono i nostri concittadini, sono gli iracheni. Sono gli antichi abitanti dell’Iraq e non dovrebbero, quindi, lasciare il loro Paese. Purtroppo questa ondata di violenza gioca anche al massacro e colpisce tutti, le Chiese e gli stessi cristiani e tutto questo perché qualcuno cerca di spingere il Paese allo scontro.

 

D. – Tra dieci giorni gli iracheni andranno alle urne: se, come è prevedibile, queste elezioni non risolveranno il problema della violenza da un giorno all’altro, si può dire che rappresentano, però, una grande prova di democrazia e di libertà del popolo iracheno?

 

R. – Stando ai sondaggi, gli iracheni che sono già iscritti nella lista elettorale sono molti e quindi si può dire che questa grande adesione significa che gli iracheni hanno tanta voglia e tanta sete di democrazia e vogliono partecipare alle decisioni del Paese. Dopo anni di dittature, si credeva che gli iracheni non avessero alcuna esperienza democratica. Stanno, invece, dimostrando tutto il contrario e di essere cioè un popolo maturo e capace di adeguarsi anche alla democrazia. Non escludo che questi undici milioni di iracheni che voteranno,   rappresenteranno logicamente una voce in capitolo e potranno comunque isolare quelle frange di oltranzisti, dando quindi una svolta fondamentale al Paese.

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INDONESIA: EMERGENZA PROFUGHI DOPO IL MAREMOTO.

SONO OLTRE 600 MILA LE PERSONE CHE HANNO PERSO LA CASA

- Intervista con Riccarrdo Nouri -

 

Nuovo allarme tsunami per un gruppo di isole a sud di Tokyo ma subito revocato dalle autorità giapponesi. La scossa, avvenuta alle 15.11 ora locale, era di magnitudo 6,8 gradi della scala Richter. L'allarme e' scattato immediatamente raggiungendo quasi in tempo reale le autorità locali che hanno avvisato gli abitanti delle isole per mezzo di altoparlanti. Intanto nella cittadina nipponica di Kobe, dove 500 esperti provenienti da 150 Paesi tenteranno di approvare un sistema di prevenzione e allarme tsunami, il direttore dell'agenzia ONU per la Strategia Internazionale per la riduzione dei disastri, Salvano Briceno, ha illustrato il progetto di un sistema d'allarme globale contro le calamità naturali. Continuano quindi i provvedimenti per far sì che non accadano più disastri di proporzioni immani come quello che ha colpito i Paesi del Sud-Est asiatico. “La generosità e il sostegno che abbiamo visto nelle ultime settimane rappresentano un nuovo standard per la comunità internazionale - ha affermato Kofi Annan durante una riunione dell'Assemblea generale dell'ONU dedicata agli aiuti per i Paesi del sudest asiatico. Il segretario generale dell’ONU ha sottolineato che finora dai governi del mondo è stato coperto il 75% dei 977 milioni di dollari chiesti per gli aiuti d'emergenza. Intanto secondo fonti indonesiane il bilancio delle vittime nella provincia indonesiana di Aceh potrebbe salire fino a 150mila. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Riccardo Nouri portavoce di Amnesty Inernational Italia che oggi ha presentato il rapporto sulla situazione dei  diritti umani nella zona. 

 

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R. - E’ una cifra attendibile, a cui dobbiamo aggiungere questo dato drammatico che parla di oltre 600 mila persone sfollate, in situazioni dal punto di vista sanitario molto precarie. Ma proprio per questo il trattamento dei profughi è il tema su cui noi insistiamo oggi, in questo nostro rapporto al gruppo dei Paesi donatori. Sarà una cartina di tornasole per vedere se il governo indonesiano ha l’intenzione di considerare i diritti umani non come un optional, bensì come un principio ineludibile, fondamentale.

 

D. – Il segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha ribadito che c’è stato una generosità senza precedenti da parte della comunità internazionale. Ma quali sono adesso le azioni più immediate da perseguire?

 

R. – Ripristinare delle condizioni minime di sopravvivenza, garantire i gruppi più vulnerabili, le donne, i bambini, le persone affette da disabilità, garantire che questi 600 mila sfollati siano trattati in maniera umana e che il gruppo armato di opposizione Gam e l’esercito la smettano di perseguire obiettivi di parte - da un lato l’indipendenza, dall’altro la repressione – e che ci sia da parte delle autorità indonesiane la consapevolezza di quanto sia necessario tenere il Paese aperto agli osservatori internazionali. Noi già abbiamo notizie di alcuni ostacoli mossi nei confronti di operatori umanitari stranieri, di organismi per i diritti umani non governativi. Vorremmo che ci fosse anche uno sguardo indipendente su quanto sta accadendo lì, uno sguardo di chi poi tra l’altro porta aiuti e solidarietà.

 

D. – Ecco, voi ribadite assistenza e protezione in coordinamento tra associazioni non governative, enti locali e governo. Questo è possibile?

 

R. – E’ necessario. Per questo i Paesi donatori sono riuniti a Jakarta in questi giorni. E noi chiediamo loro di assumersi un onere, una responsabilità, cioè di farsi garanti che il rispetto dei diritti umani sia assicurato anche in questa circostanza, e che chi conosce bene quel territorio, chi ha una garanzia di imparzialità rispetto al conflitto in atto, abbia accesso al territorio.  

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DOPO DUE ANNI DI RESTAURI, RIAPERTA LA CATTEDRALE DI BARI,

DURANTE UNA SOLENNE CERIMONIA PRESIEDUTA DAL CARDINALE CAMILLO RUINI

- Intervista all’arcivescovo di Bari, Franco Cacucci -

 

Una Messa solenne, presieduta dal cardinale vicario Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha inaugurato ieri la riapertura al culto della cattedrale di Bari, dopo due anni di restauri. Alla cerimonia, oltre all'arcivescovo di Bari, Franco Cacucci, erano presenti i vescovi della Puglia e molte personalità impegnate nella preparazione del Congresso nazionale eucaristico, in programma nel capoluogo pugliese dal 21 al 29 maggio. Mons. Cacucci, ha spiegato al microfono di padre Vito Magno, cosa significhi per i baresi e per tutta la regione la riapertura dell’edificio sacro:

 

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R. – La cattedrale ha un valore simbolico molto importante nel cammino verso il Congresso eucaristico, perché “senza la Domenica non possiamo vivere”. Questa frase dei martiri di Abitene, che è il tema del Congresso eucaristico, in latino è “Sine Dominico non possumus”. Il Dominico indica Gesù risorto, la celebrazione eucaristica, la comunità dei cristiani, ma anche la chiesa come edificio.

 

D. – Un valore anche ecumenico. C’è un nesso con la settimana per l’unità dei cristiani?

 

R. – Il nesso è legato alla scelta di Bari come sede del Congresso eucaristico nazionale. Perché Bari? Perché a Bari riposano le reliquie di San Nicola ed è ponte tra Oriente ed Occidente. Il Papa lo ha sottolineato quando è venuto nel 1984 a visitare Bari e lo ha ripreso sempre durante le visite ad Limina dei vescovi di Puglia.

 

D. – Anche gli ortodossi possono celebrare nella Basilica di San Nicola?

 

R. – E’ l’unico luogo, nella cripta della Basilica di San Nicola, in cui gli ortodossi celebrano ogni domenica, l’unico luogo al mondo.

 

D. – Nel Congresso eucaristico nazionale si parlerà della domenica. Le indagini dicono che alla Messa partecipano il 27 per cento dei cattolici italiani. E’ un dato da ritenere poco o molto soddisfacente?

 

R. – Poco soddisfacente, però sono ancora rilevanti per poter annunciare ai fratelli che sono più distratti che il giorno del Signore, il giorno della festa, il giorno dell’uomo, il giorno del riposo, il giorno della gioia, dovrebbe essere il giorno della famiglia.

 

D. – La partecipazione non sarebbe favorita se la Messa si dicesse oltre che nelle chiese, anche nei luoghi più affollati, per esempio nei centri commerciali, come capita in America?

 

R. – Non sono molto d’accordo. Questi centri di intrattenimento servono per l’uomo di oggi, non tanto per fare shopping, quanto per partecipare ad una sorta di distrazione nel giorno del riposo. Uno shopping-center non può riempire il cuore dell’uomo.

 

D. – Ma qualcosa la Chiesa deve pur fare, mons. Cacucci, per frenare l’emorragia dei non partecipanti…

 

R. – L’unico modo per poter aiutare ad incontrare gli uomini di oggi è rendere le liturgie dominicali autenticamente accoglienti, per far vivere quell’ora domenicale come un cuore pulsante della Chiesa e della società.

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CHIESA E SOCIETA’

19 gennaio 2005

 

RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SUL SUDAN SOLLECITA UNA RIFORMA

DEL SISTEMA GIUDIZIARIO NEL PAESE AFRICANO, DOPO I RECENTI ACCORDI DI PACE, PERCHE’ SIANO INDIVIDUATI E PROCESSATI I RESPONSABILI DI GRAVI VIOLAZIONI

DEI DIRITTI UMANI E CRIMINI CONTRO LA POPOLAZIONE CIVILE

 

LONDRA. = Il diritto delle vittime e delle loro famiglie a ottenere verità e giustizia è un elemento essenziale del processo di riconciliazione in Sudan. Lo sottolinea Amnesty International in un Rapporto sul Paese africano. Perché la pace tra nord e sud sia duratura e cessino le violazioni dei diritti umani contro la popolazione civile attualmente ancora sotto assedio nel Darfur – si legge in un comunicato dell’organizzazione umanitaria – è indispensabile che chi ha commesso questi abusi sia incriminato e sottoposto al processo. “La popolazione del Darfur continua a rischiare la propria vita nel tentativo di denunciare e di chiedere un risarcimento per le gravi violazioni dei diritti umani che subisce quotidianamente. La popolazione dei monti Nuba spera che la pace consentirà di conoscere il destino delle persone “scomparse”. Le comunità soggette a pratiche schiaviste nel Bahr-el-Ghazal vogliono che i responsabili degli abusi, commessi nei loro confronti, siano processati e che i sopravvissuti ottengano un risarcimento. Gli avvocati del nord attendono la fine delle leggi d’emergenza, che bloccano attualmente centinaia di procedimenti su casi di tortura, affinché i propri clienti abbiano la giustizia che meritano- nel sud, molte persone temono ancora i possibili attacchi delle milizie, che per anni hanno agito nella totale impunità”. “Il governo sudanese e l’esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLM/A), che hanno sottoscritto l’accordo di pace del 9 gennaio – chiede Amnesty – devono assumersi la responsabilità di garantire una pace duratura, basata sulla verità e la giustizia, per la popolazione sudanese e devono impegnarsi in un percorso che favorisca la verità e la riconciliazione nel Paese”. (R.G.)

 

 

ENTRO IL 2005 SI ATTENDE LA CONSACRAZIONE

DI DUE NUOVE CHIESE IN UZBEKISTAN: NELL’EX REPUBBLICA SOVIETICA,

 VIVONO CIRCA 2 MILIONI E 300 MILA CRISTIANI, DI CUI 500 CATTOLICI

- A cura di Liza Zengarini -

 

TASHKENT. = Il 2005 potrebbe vedere finalmente consacrate due nuove chiese in Uzbekistan. Sono le chiese della Vergine Maria della Carità a Urgench e di Sant’Andrea Apostolo a Bukhara, affidate a due parroci francescani polacchi. Ricavata da un edificio acquistato nel 2003, la chiesa della Vergine Maria della Carità è in fase di ristrutturazione e nonostante i ritardi accumulati per la mancanza di fondi dovrebbe essere consacrata alla fine del 2005. Anche i lavori di costruzione della chiesa di Sant’Andrea Apostolo a Bukhara hanno subito ritardi a causa di difficoltà burocratiche e mancanza di soldi, ma il recente arrivo di nuovi finanziamenti dovrebbe permetterne il completamento entro l’anno. Un contributo consistente alla realizzazione dei due progetti è venuto dall’opera Aiuto alla Chiesa che Soffre”, presente nel Paese dal 1993. Attualmente, solo due delle cinque parrocchie presenti in Uzbekistan dispongono di chiese consacrate: quella di San Giovanni Battista di Samarcanda, confiscata nel 1929 e restituita alla Chiesa nel 1998, e quella del Sacro Cuore di Gesù nella capitale Tashkent, consacrata nel 2000, ma ancora incompleta. In Uzbekistan, dove la Chiesa è rinata dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991, più di tre quarti dei suoi 26 milioni di abitanti sono musulmani. I cristiani sono il 9 per cento, di cui la stragrande maggioranza ortodossi e appena 500 cattolici, assistiti questi ultimi da nove sacerdoti e tre fratelli francescani polacchi e da diverse suore delle Missionarie della Carità. La libertà religiosa, pur garantita dalla Costituzione, ha subito un duro colpo con l’approvazione nel 1998 di una nuova legge sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose che è la più restrittiva tra tutte quelle dell’ex-Unione Sovietica. Essa prevede infatti una fortissima limitazione delle attività missionarie, il divieto dell’insegnamento religioso nella scuola elementare e secondaria e impone la censura su qualsiasi tipo di materiale religioso importato. Nonostante queste restrizioni, la Chiesa locale guidata dal superiore della Missio sui iuris dell’Uzbeksitan, padre Kryszof Kukulka, è molto attiva, soprattutto nell’apostolato sociale.

 

 

MILLE DONNE SFILANO DAVANTI ALLA CORTE SUPREMA A WASHINGTON.

ABORTISTA PENTITA CHIEDE LA REVOCA DELLE LEGGE “CHE UCCIDE LA VITA”

 

WASHINGTON. = Era il 1973 e la sentenza “Roe contro Wade” rese legale il ricorso all’aborto negli Stati Uniti. Ieri proprio Jane Roe, pseudonimo di Norma McCorvey, ha rinnegato il suo passato abortista ed ha sfilato con oltre mille donne davanti alla Corte suprema di Washington per sostenere il ricorso della sentenza che 32 anni fa ha segnato una svolta negli Stati Uniti. La richiesta di abrogazione ha risalito i gradini della giustizia americana, arrivando l’anno scorso alla Corte d’appello federale della Louisiana dove il giudice Edith Jones ha detto “di sperare ferventemente che la Corte suprema riesamini la decisione presa”. “Questo è il giorno che aspetto da molto – ha sottolineato Jane Roe – fu un giorno molto brutto in America quando venne consentire ad una madre di uccidere il suo bambino”. La donna è rappresentata da Allan Parker, avvocato e presidente della Joustice Foundation, organizzazione legale che sta dietro l’iniziativa del movimento per la vita fondato dalla stessa Roe. Tra le donne che hanno sfilato c’era anche Alveda King, la nipote di Martin Luther King. Riprendendo la celebre frase del leader dei diritti civili, la donna ha sostenuto che “non può sopravvivere il sogno di mio zio se uccidiamo i bambini”. (R.A.)

 

 

UN GRANDIOSO PROGETTO LETTERARIO CHE POTRA’ CONTRIBUIRE

A RAFFORZARE IL DIALOGO ECUMENICO: SARA’ TRADOTTA IN LINGUA RUSSA

LA “SUMMA THEOLOGIAE” DI SAN TOMMASO D’AQUINO

 

MOSCA. = Sarà tradotta in lingua russa la Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino. L’iniziativa è dell’Università cattolica di Eichstatt-Ingolstadt. Un “progetto del secolo”, come è stato definito dall’Accademie Russa delle Scienze, che potrà fra l’altro contribuire al dialogo ecumenico. L’opera, finanziata dalla Fondazione italiana Cassamarca, sarà realizzata nell’arco di 5 anni ed il primo volume dovrebbe essere pubblicato entro quest’anno da un editrice moscovita. La Summa Theologiae è stata già tradotta in tutte le lingue dell’Europa occidentale, ma nel passato regime comunista fu proibito in Russia anche solo interessarsi di San Tommaso. Del resto, la Russia si è avvicinata alla filosofia dell’Europa occidentale solo alla fine del XVIII secolo, rimanendo all’oscuro dell’opera medievale di San Tommaso. Solo negli ultimi decenni sono apparse traduzioni di piccole sezioni della Summa, ma finora i filosofi russi potevano avvicinarsi a questa opera fondamentale del pensiero occidentale solo se conoscevano il latino, che nei ginnasi russi non viene insegnato. Tra le difficoltà del progetto di traduzione è il fatto che il linguaggio filosofico russo, diversamente da quello europeo occidentale, è stato poco influenzato dalla terminologia della Scolastica medievale e perciò la traduzione della Summa dovrà utilizzare espressioni inusuali e perfino trovarne di nuove. (R.G.)

 

 

INTERESSI COMMERCIALI E SENSAZIONALISMO A TUTTI I COSTI

 METTONO A RISCHIO LA LIBERTÀ E LA CORRETTEZZA DELL’INFORMAZIONE SPORTIVA.

LA DENUNCIA È VENUTA DA UNA TAVOLA ROTONDA PROMOSSA IERI A ROMA DALL’UNIONE CATTOLICA STAMPA ITALIANA IN COLLABORAZIONE

CON IL CENTRO SPORTIVO ITALIANO

- Servizio di Ignazio Ingrao -

 

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ROMA. = “Dal dopoguerra a oggi il fiume dello sport è diventato sempre più inquinato e ha smesso di portare acqua pulita al mare della società italiana”: l’immagine è di Oliviero Beha intervenuto alla tavola rotonda promossa da Ucsi e Csi sul tema “Sport per tutti. Informazione per chi?” Il dito è puntato soprattutto contro il calcio, segnato dagli interessi miliardari dei club, condizionato dal problema dei diritti televisivi e minacciato dalla crescente violenza delle tifoserie. “Un tempo le partite della domenica servivano a scaricare le tensioni della settimana – ha osservato Beha -. Ormai si gioca tutti i giorni e nelle partite di calcio si accumulano altre nevrosi e crescenti tensioni”. Il peso degli interessi economici tocca anche i più giovani, ha denunciato Mario Pennacchio che ha portato l’esempio delle scuole calcio per bambini: “Non si impara più a giocare a calcio nell’oratorio – ha detto Pennacchio -. Le famiglie preferiscono spendere centinaia di euro per portare i figli alle scuole calcio dove vengono illusi di aver scoperto un nuovo Maradona”. Il problema allora è la formazione, ha osservato il presidente del Csi Edio Costantini: “Non serve prendersela sempre con il Coni o con le Federazioni, che pure hanno le loro gravissime responsabilità, occorre ripartire dalla base, investendo sui giovani e formandoli agli autentici valori dello sport”. A tale riguardo Beha ha denunciato che nel progetto di riforma della scuola è prevista l’eliminazione di una delle due ore di educazione fisica. Questa scelta, ha detto Beha, rischia di far arretrare ancora di più il nostro paese rispetto al resto del mondo dal punto di vista della pratica sportiva.

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24 ORE NEL MONDO

19 gennaio 2005

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Fin dai prossimi giorni, reparti della Sicurezza nazionale palestinese saranno inviati a pattugliare i confini delle zone autonome nella striscia di Gaza. Lo conferma il capo della Sicurezza nazionale, aggiungendo che altre forze saranno all'interno delle città palestinesi di Gaza. Dunque, misure concrete vengono annunciate all'indomani dell'arrivo a Gaza del presidente Abu Mazen, impegnato in prima persona a ''imporre la legalità nelle zone autonome e garantirne la sicurezza''. Restano da capire le mosse di Israele e la posizione di Hamas. Il nostro servizio:

 

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Riunione straordinaria del Consiglio di difesa del governo israeliano, organizzata nella tarda mattinata di oggi a Gerusalemme da Sharon. Ieri il premier israeliano si è recato nella striscia di Gaza per esaminare con i vertici militari una gamma di operazioni che potrebbero essere ordinate in tempi brevi in caso di necessità. Nell'ultima settimana a Gaza l’intifada armata ha intensificato gli attacchi: giovedì, l’esplosione al valico di Karni; sabato, la città di Sderot bombardata con razzi Qassam, uno dei quali ha provocato la morte cerebrale di una ragazza; ieri un kamikaze di Hamas si è fatto esplodere all'interno di una postazione dello Shin Bet (sicurezza interna) uccidendo un agente e ferendo otto militari. Ma c’è anche da riferire dei due palestinesi uccisi nelle ultime ore da un’unità militare israeliana in uno scontro a fuoco lungo la linea di confine nel nord della striscia di Gaza. Sul campo – è evidente - la violenza non è ancora stata bloccata. A questo proposito, guardiamo all’incontro Abu Mazen–Hamas. Un portavoce del gruppo armato giudica positivo e costruttivo il colloquio ieri a Gaza del presidente palestinese con uno dei dirigenti politici del gruppo. E assicura che ''la questione della tregua nei Territori sarà adesso studiata e discussa con i vertici del movimento che si trovano all'estero''. Da parte sua, Abu Mazen fa sapere di avere già in programma altri incontri a Gaza con dirigenti di Hamas e della Jihad islamica.

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Audizione davanti alla commissione esteri del Senato ieri per Condoleeza Rice che deve confermare la sua nomina, a segretario di Stato americano, a due giorni dall’inaugurazione della nuova presidenza Bush. Al centro del discorso della Rice le scelte di politica estera.  Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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“La decisione strategica di rovesciare Saddam è stata giusta, nonostante le difficoltà nella costruzione di una società democratica e stabile in Iraq”. Lo ha detto ieri Condoleeza Rice, rispondendo ad una domanda dell’ex candidato presidenziale democratico, John Kerry.

 

“THE FIRST DECADE OF…”

 

La futura responsabile della diplomazia Americana ha difeso le scelte concrete dell’amministrazione Bush nel primo mandato, ripetendo la necessità di diffondere la democrazia nel Medio Oriente e promettendo un impegno personale nel processo di pace fra israeliani e palestinesi, per sfruttare l’opportunità offerta dal cambio della leadership dopo la morte di Arafat. La Rice ha detto che ora la tensione a Baghdad è concentrata sulla sicurezza per le elezioni del 30 gennaio, che secondo lei avvieranno il Paese verso la stabilità. Quindi, ha evitato di indicare un calendario per il ritiro delle truppe americane, sostenendo che la strategia di uscita è direttamente proporzionale alla velocità con cui le forze irachene diventeranno capaci di proteggere la popolazione. Durante lo scambio più duro la senatrice Boxer l’ha accusata di aver mentito sulle armi di Saddam, ma lei le ha intimato di non mettere in discussione la sua integrità. Il nuovo segretario di Stato ha promesso di aumentare il dialogo e la collaborazione con gli alleati, dicendo che ora è il momento della diplomazia.

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La California ha eseguito oggi la prima condanna alla pena capitale da tre anni, mettendo a morte con un'iniezione letale Donald Beardslee. Beardslee, 61 anni, condannato per l'uccisione di due giovani donne nel 1981, è stato messo a morte nel carcere statale di San Quintino, a nord di San Francisco, poche ore dopo che il governatore della California Arnold Schwarzenegger gli aveva negato la grazia. All'esecuzione hanno assistito quattro parenti delle vittime ma nessun famigliare di Beardslee.

 

Il maremoto che ha colpito l’Asia ha bloccato gli aiuti verso l’Africa: il continente più povero del mondo è dimenticato e non arrivano più fondi. E’ la denuncia del PAM, il Programma Alimentare dell’ONU. Tra le emergenze c’è il Burundi: nella parte settentrionale e orientale del Paese, oltre mezzo milione di persone è alla fame. L’allarme riguarda in particolare le province di Kirundo e Muyinga. Lo conferma da Bujumbura, al microfono di Andrea Sarubbi, Guillaume Foliot, del Programma alimentare mondiale:

 

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R. - Abbiamo due problemi in Burundi. Il primo la terribile guerra in corso; il secondo la siccità con la diffusione di un virus che ha colpito la manioca, con gravi conseguenze sui raccolti. In questo momento 520 mila persone non hanno nulla da mangiare. Abbiamo bisogno di soldi perché con ciò che abbiamo adesso si può riuscire ad arrivare soltanto fino a giugno. L’emergenza colpisce soprattutto le regioni del nord e del nord-est dove si aggiungono altri problemi come il rientro di rifugiati burundesi dalla Tanzania. C’è poi un’altra emergenza da non dimenticare: quella delle malattie. Una buona parte della popolazione è sieropositiva e sono moltissimi quelli che soffrono di malaria, di tubercolosi e di varie altre infezioni.

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Oltre 5mila rifugiati congolesi sono arrivati in questi giorni in Uganda per fuggire dalla regione dell'Ituri, nella confinante Repubblica Democratica del Congo, dove sono in corso combattimenti. A riferirlo è l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), spiegando che la maggior parte degli sfollati sono donne e bambini e che molti di essi hanno bisogno immediato di assistenza e cure mediche.

Circa 10.000 caschi blu vigileranno sulla pace in Sudan. Lo ha detto l'inviato speciale dell'ONU nel Paese, Jan Pronk sottolineando l’importanza del rispetto degli accordi di pace siglati il 9 gennaio scorso tra il governo di Khartoum e gli indipendentisti del Sud. L'operazione dovrebbe costare circa 100 milioni di dollari l'anno e iniziare intorno alla metà di febbraio. I violenti scontri che per oltre 20 anni hanno visto contrapporsi il governo ufficiale e i ribelli hanno provocato la morte di oltre due milioni di persone e quasi il doppio di profughi e sfollati. Le due parti hanno trovato un’intesa sulla distribuzione dei proventi petroliferi e sul dispiegamento delle forze militari che non saranno unificate. Inoltre, sarà creato un governo di unità nazionale per sei anni e mezzo, con successivo referendum al sud per raggiungere un'eventuale indipendenza. Nonostante le pressioni, nell’intesa non si fa riferimento all’altro conflitto in corso esploso nel febbraio 2003 nella remota regione occidentale sudanese del Darfur e che ha suscitato anche le preoccupazioni delle Nazioni Unite.

 

I rapporti diplomatici, le riforme democratiche del sovrano Mohamed VI, la situazione nel Sahara Occidentale: sono questi i temi del discorso che re Juan Carlos di Spagna ha pronunciato ieri a Rabat davanti ai legislatori del Parlamento marocchino. Sentiamo Luciano Ardesi:

 

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Juan Carlos ha salutato l’amicizia ritrovata tra i due Paesi dopo un periodo di difficoltà diplomatiche ed ha esaltato i legami privilegiati e la storia comune evocando, tra l’altro, l’eredità arabo-andalusa come esempio dell’immagine positiva che la civiltà arabo-islamica gode nella penisola iberica. Nel suo discorso il Re non ha tuttavia evitato i punti più spinosi delle relazioni tra i due Paesi. Parlando dell’immigrazione Juan Carlos ha ribadito che Marocco e Spagna non possono permettere che i mari che li uniscono si trasformino in una fossa comune. E a proposito del Sahara Occidentale, già colonia spagnola, ha auspicato una soluzione consensuale e negoziata tra il Marocco e il Fronte Polisario nel quadro della legalità internazionale e sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Il Re ha infine espresso un giudizio positivo sull’evoluzione in corso nel Paese ed in modo particolare sulla recente riforma del codice della famiglia.

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