RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
19 - Testo della trasmissione mercoledì
19 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Indonesia: dopo il
maremoto è emergenza profughi. Sono oltre 600 mila: con noi Riccardo Nouri
CHIESA E SOCIETA’:
Entro
il 2005 si attende la consacrazione di due nuove chiese in Uzbekistan
Sarà tradotta in lingua russa la “Summa theologiae”
di San Tommaso d’Aquino
Confermate le misure palestinesi per fermare il terrorismo a Gaza, mentre
Sharon discute di operazioni militari da avviare se non cessano le violenze
Il maremoto in Asia non fa arrivare più aiuti in Africa:
è la denuncia del Programma Alimentare dell’ONU: in Burundi oltre mezzo milione
di persone sono alla fame
19 gennaio 2005
IL PAPA, OGGI ALL’UDIENZA GENERALE, CHIAMA OGNI
BATTEZZATO
A IMPEGNARSI PER L’UNITA’ DEI
CRISTIANI:
MA E’ UN DONO DI DIO – RICORDA – CHE GESU’ HA CHIESTO AL PADRE
NELL’ORA IN CUI HA ABBRACCIATO LA CROCE
Oggi all’udienza generale in Vaticano il Papa
ha invitato tutti i battezzati a pregare senza stancarsi per l’unità di
quanti credono in Gesù. Ricordando che ieri è iniziata la settimana di
preghiera dedicata all’unità dei cristiani, Giovanni Paolo II ha sottolineato
che il desiderio di unità va estendendosi ma ha bisogno di nuove iniziative e
nuove riflessioni. Il servizio di Sergio Centofanti:
**********
Il Papa ricorda che “il
ristabilimento della piena unità” tra i cristiani, “impegna ogni battezzato,
pastori e fedeli tutti”. E questo per la stessa volontà di Gesù:
“Il Signore Gesù nell’ora in cui ha abbracciato la Croce per la
salvezza di tutti gli uomini ha pregato il Padre perché i credenti in Lui siano
una cosa sola”.
La Settimana di preghiera sul
tema “Cristo, unico fondamento della Chiesa”, si svolge a qualche mese dal
quarantesimo anniversario della promulgazione del Decreto del Concilio Vaticano
II Unitatis redintegratio,
“testo chiave – dice il Pontefice - che ha posto la Chiesa cattolica fermamente
ed irrevocabilmente nel solco del movimento ecumenico”.
Il Papa, sulla scia del Concilio
Vaticano II, invita con forza alla preghiera definita l’“anima di tutto il
movimento ecumenico”. Infatti “poiché la riconciliazione dei cristiani “supera
le forze e le doti umane, la preghiera dà espressione alla speranza che non delude,
alla fiducia nel Signore che fa nuova ogni cosa. Ma la preghiera – ha aggiunto
- deve essere accompagnata dalla purificazione della mente, dei sentimenti,
della memoria. Diviene così espressione di quell’interiore conversione, senza
la quale non c’è vero ecumenismo. In definitiva – dice il Papa - l’unità è un dono di Dio, dono da implorare
senza stancarsi con umiltà e verità”.
“Il desiderio dell'unità – nota
ancora il pontefice - va estendendosi e si approfondisce toccando ambienti e
contesti nuovi” suscitando fervore di opere e iniziative, ma ha bisogno anche
di “nuove riflessioni”:
“Anche recentemente il Signore ha concesso ai suoi discepoli di
realizzare importanti contatti di dialogo e di collaborazione”.
“Il dolore della separazione –
ha proseguito il Papa - si fa sentire con sempre più viva intensità, davanti
alle sfide di un mondo che attende una testimonianza evangelica chiara e
unanime da parte di tutti i credenti in Cristo”.
Giovanni Paolo II ha concluso
dicendo che il 25 gennaio prossimo si unirà spiritualmente alla celebrazione
dei vespri che come di consueto, a Roma nella Basilica di San Paolo fuori le Mura concluderà la Settimana di preghiera.
Il Cardinale Walter Kasper lo rappresenterà in tale incontro liturgico, al
quale prenderanno parte rappresentanti di altre Chiese e Confessioni
cristiane.
Alla fine dell’udienza il Papa
ha salutato circa 600 tra sacerdoti, seminaristi e laici del Cammino
neocatecumenale, riuniti in questi giorni per un incontro internazionale, ringraziandoli
per il loro generoso impegno per la nuova evangelizzazione. "Auspico – ha
detto - che le riflessioni di questi giorni vi aiutino ad approfondire, con
animo docile, la comunione sia con i Pastori delle Chiese locali, sia con i
competenti Organismi della Santa Sede. Potrete così offrire un sempre più
efficace apporto alla causa del Vangelo”. Presenti all’udienza anche gli iniziatori
del Cammino Kiko Arguello, Carmen Hernandez e padre Mario Pezzi.
**********
BENEDETTA DAL PAPA LA STATUA MONUMENTALE DEDICATA
A SAN GREGORIO L’ILLUMINATORE, EVANGELIZZATORE
DELL’ARMENIA.
L’OPERA, ALTA OLTRE 5 METRI,
COLLOCATA NEL CORTILONE NORD DELLA BASILICA VATICANA
- Servizio di Alessandro De Carolis -
Una nuova statua per celebrare
uno dei più antichi evangelizzatori della Chiesa: San Gregorio l’Illuminatore,
apostolo dell’Armenia. La scultura a lui dedicata è stata benedetta questa
mattina da Giovanni Paolo II, poco prima dell’inizio dell’udienza generale.
Collocata nel Cortilone nord della Basilica vaticana, la monumentale statua –
alta oltre 5 metri e mezzo e pesante 18 tonnellate - è opera del 61.enne
scultore armeno-libanese, Kazan Khatchick. Alle cerimonia di stamattina era
presente, tra gli altri, Sua Beatitudine Nersès Bedros XIX, Patriarca degli
armeni cattolici, che ha celebrato una Messa prima della benedizione papale,
alla presenza di un rappresentante del Catholicos della Chiesa armena apostolica
di Etchimiadzin, dell’ambasciatore dell’Armenia presso la Santa Sede e di un
inviato della presidenza della Repubblica. I particolari nel servizio di Alessandro
De Carolis:
**********
Un apostolo di un’epoca remota,
che fondò e organizzò la Chiesa di un’intera nazione, come S. Patrizio in
l’Irlanda o S. Agostino in Bretagna. Sta in questo la grandezza di San Gregorio
l’Illuminatore. “Illuminatore” dell’Armenia, nella quale diffuse la luce del
Vangelo all’inizio del quarto secolo dopo Cristo, in un’epoca violenta nella
storia di quella terra e di grandi dispute all’interno della giovane Chiesa
universale. Un Santo venerato anche al di fuori della piccola nazione
caucasica, in particolare in Italia: su tutti, va ricordata la devozione di
Napoli per San Gregorio Armeno, che dà il nome ad un quartiere della città celebre
per i suoi presepi, e – in Puglia - la devozione degli abitanti di Nardò, che
venerano in San Gregorio il patrono che li salvò dal devastante terremoto del
1743.
La storia di Gregorio, che nasce
intorno al 250, è travagliata come le dispute per il potere che coinvolsero la
sua famiglia quando lui era un bambino. Unico scampato al massacro dei
familiari, salvato dalla nutrice e battezzato, viene in seguito sottoposto a
lunghe torture perché contrario a tradire la propria fede per sacrificare agli
dei, come avrebbe voluto il re Tridate. Ed è tra queste sofferenze atroci –
simbolo delle dei tragici eventi che l’Armenia vivrà tra il 19.mo e il 20.mo
secolo, in particolare nel 1915 – che la vicenda del giovane Gregorio si tinge
di straordinario. Il re Tridate si ammala gravemente e sua sorella sogna che sarà
Gregorio a guarirlo. Il giovane viene liberato e così avviene, consentendo al
cristianesimo di diventare dal quel momento – siamo nel 1301 - la religione ufficiale
dell’Armenia. Ordinato sacerdote e vescovo, Gregorio diventa l’Illuminatore per
la sua opera di annuncio e di fondazione del primo nucleo ecclesiale. Nucleo
che si dividerà appena un secolo dopo la morte del futuro Santo, avvenuta
attorno al 330: con il Concilio di Caldedonia del 451, la Chiesa armena si
separa da quella latina e, tra alterne vicende, darà vita all’attuale Chiesa
armena apostolica, distinta anche da quella ortodossa.
L’imponente scultura in marmo di
Carrara, collocata in Vaticano e benedetta oggi dal Papa, è la realizzazione di
un desiderio che il Patriarca degli armeni cattolici, il Catholicos Nersès
Bedros XIX, aveva espresso a Giovanni Paolo II nel 2001, durante le celebrazioni
per i 1700 anni della conversione del Paese asiatico al Vangelo. Un’opera che è
detentrice di un primato, poiché – ha spiegato stamani l’arciprete della
Basilica vaticana, il cardinale Francesco Marchisano – “è la prima volta che la
statua di un Santo di rito orientale viene ad essere collocata tra quelle dei
‘Fondatori”. Ciò, ha proseguito il porporato, “esprime in modo meraviglioso” la
“naturale varietà delle tradizioni e dei riti della Chiesa, che contribuiscono
al suo arricchimento spirituale e fanno in modo che essa possa – secondo la felice
espressione di Giovanni Paolo II – respirare pienamente a due polmoni”.
**********
=======ooo=======
OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina l'udienza generale.
Giovanni
Paolo II ha ricordato la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani e il
40 anniversario del Decreto Conciliare "Unitatis redintegratio",
testo chiave del rinnovamento ecumenico.
Il
Papa ha sottolineato con forza che l'unità è un dono di Dio da implorare senza
stancarsi, con umiltà e verità.
Sempre
in prima, l'Iraq: il commosso "grazie" dell'arcivescovo
siro-cattolico di Mossul al Papa. "Sono stati gli stessi sequestratori -
ha detto il presule - ad informarmi dell'appello del Santo Padre, che ritengo
sia stato un fattore decisivo per la mia liberazione".
Nelle
vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.
In
merito alla Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, un articolo di
Eleuterio F. Fortino dal titolo "Relazioni fra Roma e Costantinopoli".
Nelle
estere, il Rapporto del Millennio dell'ONU: ridurre miseria, fame e malattie.
Nella
pagina culturale, d'apertura un articolo di Franco Lanza dal titolo "L'utopia
della Rinascita", in merito alla silloge di Nino
Borsellino "Il dio di Pirandello".
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema delle elezioni regionali.
=======ooo=======
19 gennaio 2005
UNA RAFFICA DI ATTENTATI SEMINA IL TERRORE A BAGHDAD:
ALMENO 26 I MORTI, DECINE I FERITI. NONOSTANTE LA NUOVA
STRAGE,
IL POPOLO IRACHENO SI PREPARA AL VOTO DEL
30 GENNAIO,
IL PRIMO LIBERO DOPO GLI ANNI DELLA DITTATURA DI SADDAM
HUSSEIN
- Con noi, mons. Jean Benjamin Sleiman, Lorenzo
Cremonesi e Younis Tawfik -
Almeno 26 morti, decine di
feriti: è il tragico bilancio dell’azione terroristica, che stamani ha scosso
violentemente il cuore di Baghdad. Cinque autobombe sono esplose consecutivamente
in diverse parti della città. Gli attacchi sono stati indirizzati contro
l’ambasciata australiana, un ospedale, una caserma e una banca dove alcuni
poliziotti iracheni erano in fila per ritirare lo stipendio. Gli attentati sono
stati rivendicati dal gruppo affiliato ad Al Qaeda, guidato dal terrorista
giordano Al Zarqawi. Le esplosioni di stamani hanno infranto un breve periodo
di sostanziale calma nella capitale irachena. D’altro canto, con l’avvicinarsi
delle elezioni – fissate per il 30 gennaio – ci si aspetta una escalation di violenza.
A sottolinearlo è Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera in Iraq,
raggiunto telefonicamente a Baghdad da Alessandro Gisotti:
**********
R. –
Nei prossimi giorni ci si aspetta proprio un’ondata di attentati più gravi: lo
ha detto Colin Powell. Si può dire che tutto sommato negli ultimi giorni,
tranne oggi che ha visto questi attentati gravissimi, Baghdad è stata
abbastanza calma. E tutti dicevano: “E’ la calma prima della tempesta”. Si
presuppone che interi quartieri di Baghdad non andranno a votare e gli stessi
americani continuano a dire che ci saranno intere province – si parla di
quattro province sunnite – dove non si voterà il 30 gennaio.
D. – L’ambasciatore americano a
Baghdad, Negroponte, ha riconosciuto che i ribelli sono molto forti, ma ha
anche detto che le elezioni riusciranno. Anche sulla scorta di quello che
dicevi e cioè che quattro province non andranno a votare, cosa vuol dire,
allora, una riuscita delle elezioni?
R. – Per ammissione stessa degli
iracheni, anche di coloro che si oppongono alle elezioni, la stragrande
maggioranza della popolazione – parliamo di circa l’80 per cento tra sciiti e
curdi – sono d’accordo con le elezioni e vogliono votare. Si parla quindi di
una minoranza, tutto sommato, circa il 20 per cento rappresentato dai sunniti e
non tutti tra l’altro, che si oppongono invece al voto. Baghdad e le zone a
nord di Baghdad non rappresentano la cartina di tornasole di quello che pensa
la maggioranza del Paese. Detto questo, certo bisogna dire che saranno delle
elezioni monche, zoppe. Qui si ritiene che se votasse almeno il 60 per cento
degli aventi diritto, sarebbe una grande vittoria.
**********
Poco fa, il premier britannico
Tony Blair ha dichiarato che gli abusi contro prigionieri “sono inaccettabili e
non saranno tollerati”. Le parole di Blair giungono all’indomani della
pubblicazione delle foto sugli abusi commessi da militari britannici ai danni
di prigionieri iracheni. Intanto, la Cina segue con il fiato sospeso
l’evoluzione del rapimento di otto concittadini presi in ostaggio da ribelli
iracheni. La speranza è che la vicenda si possa risolvere positivamente come
nel caso dell’arcivescovo di Mossul, Basile Georges Casmoussa. Per una
testimonianza sulla situazione dei cristiani in Iraq, Giovanni Peduto ha intervistato
mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini e segretario
dell’assemblea dei vescovi cattolici in Iraq, impegnato nella riunione della
ROACO in corso a Roma:
**********
R. – Innanzitutto i cristiani
condividono con gli iracheni la stessa situazione di insicurezza, di violenza.
Non è che abbiano uno statuto a parte, ma essendo una minoranza certamente
questa situazione ha delle risonanze più drammatiche. Questi avvenimenti tanto
dolorosi ravvivano nei cristiani il ricordo di antiche paure e li mettono
quindi in una situazione di disagio, che cercano di superare fuggendo.
L’emigrazione, quindi, diventa una specie di soluzione. L’emigrazione, invece,
è un problema ma la gente non lo vede come tale, lo vede come una soluzione.
D. – Chi e cosa minaccia i
cristiani in Iraq?
R. – Certamente la guerra in
Iraq ha aperto la strada ad una situazione pericolosa per i cristiani. C’è una
grossa confusione tra cristiani locali, che non sono mai stati protagonisti di
guerre o di violenze, e le forze alleate. Quindi il fondamentalismo islamico è
pericoloso per i cristiani oggi ed è anche una conseguenza di questa guerra che
molta gente nel mondo ha condannato, il Santo Padre per primo. Noi come Chiesa
cattolica siamo stati sempre contro la guerra. Abbiamo sempre voluto,
desiderato la soluzione dei problemi dell’Iraq ma con altri mezzi, altri
metodi, non con la guerra. Quindi, si può attribuire alla guerra questa situazione
oggi difficilmente gestibile.
D. - Come sono dislocati i
cattolici in Iraq e le comunità cristiane in generale?
R. – Le comunità cattoliche e
cristiane in generale sono presenti in modo abbastanza importante a Baghdad e
nei dintorni, nel nord, nella città di Mossul e nei villaggi tradizionalmente
cristiani ed anche in alcune zone del Kurdistan, anche se in questa regione sono
molto diminuiti per molte ragioni. Ad un certo momento c’è stato anche il
trasferimento delle popolazioni cristiane decretato dallo stesso governo,
quando era in lotta con i curdi. C’è anche una minoranza di cristiani a
Bassora, nel sud.
**********
Se dunque, la giornata odierna è stata segnata dagli attentati a Baghdad,
ieri la liberazione di mons. Casmoussa, è stata accolta con gioia ed emozione
non solo dai cristiani iracheni. Una buona notizia da un Paese scosso ogni
giorno dalla violenza, ma che ha anche voglia di voltare pagina per costruire
un futuro di pace e sviluppo. Ecco come ha vissuto il rilascio di mons.
Casmoussa il giornalista e scrittore iracheno Younis Tawfik, nato proprio a
Mossul. La testimonianza è stata raccolta da Alessandro Gisotti:
**********
R. –
Con grande soddisfazione, anche perché io sono nato in un quartiere cristiano
laddove la convivenza era caratterizzata dal vicinato, dalla generosità della
gente, dal dialogo e dalla presenza della chiesa accanto alla moschea.
D. – L’Iraq, una realtà
multietnica e multireligiosa, viene scosso ogni giorno dalla violenza. Come
influisce questa situazione sui rapporti tra i cristiani ed i musulmani
dell’Iraq?
R. – Da una parte c’è la
solidarietà e quest’attaccamento alla propria terra, ma dall’altra c’è una
forte emorragia, migrazioni di cristiani. Questo ci fa addolora, perché sono i
nostri concittadini, sono gli iracheni. Sono gli antichi abitanti dell’Iraq e
non dovrebbero, quindi, lasciare il loro Paese. Purtroppo questa ondata di
violenza gioca anche al massacro e colpisce tutti, le Chiese e gli stessi
cristiani e tutto questo perché qualcuno cerca di spingere il Paese allo
scontro.
D. – Tra dieci giorni gli
iracheni andranno alle urne: se, come è prevedibile, queste elezioni non
risolveranno il problema della violenza da un giorno all’altro, si può dire che
rappresentano, però, una grande prova di democrazia e di libertà del popolo iracheno?
R. – Stando ai sondaggi, gli
iracheni che sono già iscritti nella lista elettorale sono molti e quindi si
può dire che questa grande adesione significa che gli iracheni hanno tanta
voglia e tanta sete di democrazia e vogliono partecipare alle decisioni del
Paese. Dopo anni di dittature, si credeva che gli iracheni non avessero alcuna
esperienza democratica. Stanno, invece, dimostrando tutto il contrario e di
essere cioè un popolo maturo e capace di adeguarsi anche alla democrazia. Non
escludo che questi undici milioni di iracheni che voteranno, rappresenteranno logicamente una voce in
capitolo e potranno comunque isolare quelle frange di oltranzisti, dando quindi
una svolta fondamentale al Paese.
**********
INDONESIA: EMERGENZA PROFUGHI
DOPO IL MAREMOTO.
SONO OLTRE 600 MILA LE PERSONE CHE HANNO PERSO LA
CASA
- Intervista con Riccarrdo Nouri -
Nuovo allarme tsunami per un
gruppo di isole a sud di Tokyo ma subito revocato dalle autorità giapponesi. La
scossa, avvenuta alle 15.11 ora locale, era di magnitudo 6,8 gradi della scala
Richter. L'allarme e' scattato immediatamente raggiungendo quasi in tempo reale
le autorità locali che hanno avvisato gli abitanti delle isole per mezzo di altoparlanti.
Intanto nella cittadina nipponica di Kobe, dove 500
esperti provenienti da 150 Paesi tenteranno di approvare un sistema di
prevenzione e allarme tsunami, il direttore dell'agenzia ONU per la Strategia
Internazionale per la riduzione dei disastri, Salvano Briceno, ha illustrato il
progetto di un sistema d'allarme globale contro le calamità naturali. Continuano
quindi i provvedimenti per far sì che non accadano più disastri di proporzioni
immani come quello che ha colpito i Paesi del Sud-Est asiatico. “La generosità
e il sostegno che abbiamo visto nelle ultime settimane rappresentano un nuovo
standard per la comunità internazionale - ha affermato Kofi Annan durante una
riunione dell'Assemblea generale dell'ONU dedicata agli aiuti per i Paesi del
sudest asiatico. Il segretario generale dell’ONU ha sottolineato che finora dai
governi del mondo è stato coperto il 75% dei 977 milioni di dollari chiesti per
gli aiuti d'emergenza. Intanto secondo fonti indonesiane il bilancio delle
vittime nella provincia indonesiana di Aceh potrebbe salire fino a 150mila.
Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Riccardo Nouri portavoce di
Amnesty Inernational Italia che oggi ha presentato il rapporto sulla situazione
dei diritti umani nella zona.
**********
R. - E’
una cifra attendibile, a cui dobbiamo aggiungere questo dato drammatico che
parla di oltre 600 mila persone sfollate, in situazioni dal punto di vista
sanitario molto precarie. Ma proprio per questo il trattamento dei profughi è
il tema su cui noi insistiamo oggi, in questo nostro rapporto al gruppo dei
Paesi donatori. Sarà una cartina di tornasole per vedere se il governo indonesiano
ha l’intenzione di considerare i diritti umani non come un optional, bensì come
un principio ineludibile, fondamentale.
D. – Il segretario generale
dell’ONU, Kofi Annan, ha ribadito che c’è stato una generosità senza precedenti
da parte della comunità internazionale. Ma quali sono adesso le azioni più
immediate da perseguire?
R. – Ripristinare delle
condizioni minime di sopravvivenza, garantire i gruppi più vulnerabili, le
donne, i bambini, le persone affette da disabilità, garantire che questi 600 mila
sfollati siano trattati in maniera umana e che il gruppo armato di opposizione
Gam e l’esercito la smettano di perseguire obiettivi di parte - da un lato
l’indipendenza, dall’altro la repressione – e che ci sia da parte delle autorità
indonesiane la consapevolezza di quanto sia necessario tenere il Paese aperto
agli osservatori internazionali. Noi già abbiamo notizie di alcuni ostacoli
mossi nei confronti di operatori umanitari stranieri, di organismi per i
diritti umani non governativi. Vorremmo che ci fosse anche uno sguardo indipendente
su quanto sta accadendo lì, uno sguardo di chi poi tra l’altro porta aiuti e
solidarietà.
D. – Ecco, voi ribadite
assistenza e protezione in coordinamento tra associazioni non governative, enti
locali e governo. Questo è possibile?
R. – E’ necessario. Per questo i
Paesi donatori sono riuniti a Jakarta in questi giorni. E noi chiediamo loro di
assumersi un onere, una responsabilità, cioè di farsi garanti che il rispetto
dei diritti umani sia assicurato anche in questa circostanza, e che chi conosce
bene quel territorio, chi ha una garanzia di imparzialità rispetto al conflitto
in atto, abbia accesso al territorio.
**********
DOPO DUE ANNI DI RESTAURI,
RIAPERTA LA CATTEDRALE DI BARI,
DURANTE UNA SOLENNE CERIMONIA PRESIEDUTA DAL
CARDINALE CAMILLO RUINI
- Intervista all’arcivescovo di Bari, Franco
Cacucci -
Una Messa solenne, presieduta
dal cardinale vicario Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale
italiana, ha inaugurato ieri la riapertura al culto della cattedrale di Bari,
dopo due anni di restauri. Alla cerimonia, oltre all'arcivescovo di Bari,
Franco Cacucci, erano presenti i vescovi della Puglia e molte personalità
impegnate nella preparazione del Congresso nazionale eucaristico, in programma
nel capoluogo pugliese dal 21 al 29 maggio. Mons. Cacucci, ha spiegato al
microfono di padre Vito Magno, cosa significhi per i baresi e per tutta la
regione la riapertura dell’edificio sacro:
**********
R. – La cattedrale ha un valore
simbolico molto importante nel cammino verso il Congresso eucaristico, perché
“senza la Domenica non possiamo vivere”. Questa frase dei martiri di Abitene,
che è il tema del Congresso eucaristico, in latino è “Sine Dominico non
possumus”. Il Dominico indica Gesù risorto, la celebrazione eucaristica,
la comunità dei cristiani, ma anche la chiesa come edificio.
D. – Un valore anche ecumenico. C’è un nesso con la settimana per l’unità
dei cristiani?
R. – Il nesso è legato alla
scelta di Bari come sede del Congresso eucaristico nazionale. Perché Bari?
Perché a Bari riposano le reliquie di San Nicola ed è ponte tra Oriente ed
Occidente. Il Papa lo ha sottolineato quando è venuto nel 1984 a visitare Bari
e lo ha ripreso sempre durante le visite ad Limina dei vescovi di Puglia.
D. – Anche gli ortodossi possono
celebrare nella Basilica di San Nicola?
R. – E’ l’unico luogo, nella
cripta della Basilica di San Nicola, in cui gli ortodossi celebrano ogni
domenica, l’unico luogo al mondo.
D. – Nel Congresso eucaristico
nazionale si parlerà della domenica. Le indagini dicono che alla Messa
partecipano il 27 per cento dei cattolici italiani. E’ un dato da ritenere poco
o molto soddisfacente?
R. – Poco soddisfacente, però
sono ancora rilevanti per poter annunciare ai fratelli che sono più distratti
che il giorno del Signore, il giorno della festa, il giorno dell’uomo, il
giorno del riposo, il giorno della gioia, dovrebbe essere il giorno della
famiglia.
D. – La partecipazione non
sarebbe favorita se la Messa si dicesse oltre che nelle chiese, anche nei
luoghi più affollati, per esempio nei centri commerciali, come capita in America?
R. – Non sono molto d’accordo.
Questi centri di intrattenimento servono per l’uomo di oggi, non tanto per fare
shopping, quanto per partecipare ad una sorta di distrazione nel giorno del
riposo. Uno shopping-center non può riempire il cuore dell’uomo.
D. – Ma qualcosa la Chiesa deve
pur fare, mons. Cacucci, per frenare l’emorragia dei non partecipanti…
R. – L’unico modo per poter
aiutare ad incontrare gli uomini di oggi è rendere le liturgie dominicali
autenticamente accoglienti, per far vivere quell’ora domenicale come un cuore
pulsante della Chiesa e della società.
**********
======ooo=======
19
gennaio 2005
RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SUL SUDAN
SOLLECITA UNA RIFORMA
DEL SISTEMA GIUDIZIARIO NEL PAESE AFRICANO, DOPO I RECENTI ACCORDI DI PACE, PERCHE’ SIANO INDIVIDUATI E
PROCESSATI I RESPONSABILI DI GRAVI VIOLAZIONI
DEI DIRITTI UMANI E CRIMINI CONTRO LA POPOLAZIONE
CIVILE
LONDRA.
= Il diritto delle vittime e delle loro famiglie a ottenere verità e giustizia
è un elemento essenziale del processo di riconciliazione in Sudan. Lo
sottolinea Amnesty International in un Rapporto sul Paese africano. Perché la
pace tra nord e sud sia duratura e cessino le violazioni dei diritti umani
contro la popolazione civile attualmente ancora sotto assedio nel Darfur – si
legge in un comunicato dell’organizzazione umanitaria – è indispensabile che
chi ha commesso questi abusi sia incriminato e sottoposto al processo. “La
popolazione del Darfur continua a rischiare la propria vita nel tentativo di
denunciare e di chiedere un risarcimento per le gravi violazioni dei diritti
umani che subisce quotidianamente. La popolazione dei monti Nuba spera che la
pace consentirà di conoscere il destino delle persone “scomparse”. Le comunità
soggette a pratiche schiaviste nel Bahr-el-Ghazal vogliono che i responsabili
degli abusi, commessi nei loro confronti, siano processati e che i
sopravvissuti ottengano un risarcimento. Gli avvocati del nord attendono la
fine delle leggi d’emergenza, che bloccano attualmente centinaia di
procedimenti su casi di tortura, affinché i propri clienti abbiano la giustizia
che meritano- nel sud, molte persone temono ancora i possibili attacchi delle milizie,
che per anni hanno agito nella totale impunità”. “Il governo sudanese e
l’esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLM/A), che hanno sottoscritto
l’accordo di pace del 9 gennaio – chiede Amnesty – devono assumersi la responsabilità
di garantire una pace duratura, basata sulla verità e la giustizia, per la
popolazione sudanese e devono impegnarsi in un percorso che favorisca la verità
e la riconciliazione nel Paese”. (R.G.)
ENTRO
IL 2005 SI ATTENDE LA CONSACRAZIONE
DI DUE
NUOVE CHIESE IN UZBEKISTAN: NELL’EX REPUBBLICA
SOVIETICA,
VIVONO CIRCA 2 MILIONI E 300 MILA CRISTIANI,
DI CUI 500 CATTOLICI
- A
cura di Liza Zengarini -
TASHKENT. = Il 2005 potrebbe vedere
finalmente consacrate due nuove chiese in Uzbekistan. Sono le chiese della
Vergine Maria della Carità a Urgench e di Sant’Andrea Apostolo a Bukhara,
affidate a due parroci francescani polacchi. Ricavata da un edificio acquistato
nel 2003, la chiesa della Vergine Maria della Carità è in fase di
ristrutturazione e nonostante i ritardi accumulati per la mancanza di fondi
dovrebbe essere consacrata alla fine del 2005. Anche i lavori di costruzione
della chiesa di Sant’Andrea Apostolo a Bukhara hanno subito ritardi a causa di
difficoltà burocratiche e mancanza di soldi, ma il recente arrivo di nuovi finanziamenti
dovrebbe permetterne il completamento entro l’anno. Un contributo consistente
alla realizzazione dei due progetti è venuto dall’opera “Aiuto alla
Chiesa che Soffre”, presente nel Paese dal 1993. Attualmente, solo due
delle cinque parrocchie presenti in Uzbekistan dispongono di chiese consacrate:
quella di San Giovanni Battista di Samarcanda, confiscata nel 1929 e restituita
alla Chiesa nel 1998, e quella del Sacro Cuore di Gesù nella capitale Tashkent,
consacrata nel 2000, ma ancora incompleta. In
Uzbekistan, dove la Chiesa è rinata dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica
nel 1991, più di tre quarti dei suoi 26 milioni di abitanti sono musulmani. I
cristiani sono il 9 per cento, di cui la stragrande maggioranza ortodossi e
appena 500 cattolici, assistiti questi ultimi da nove sacerdoti e tre fratelli
francescani polacchi e da diverse suore delle Missionarie della Carità. La
libertà religiosa, pur garantita dalla Costituzione, ha subito un duro colpo
con l’approvazione nel 1998 di una nuova legge sulla libertà di coscienza e
sulle organizzazioni religiose che è la più restrittiva tra tutte quelle
dell’ex-Unione Sovietica. Essa prevede infatti una fortissima limitazione delle
attività missionarie, il divieto dell’insegnamento religioso nella scuola
elementare e secondaria e impone la censura su qualsiasi tipo di materiale religioso
importato. Nonostante queste restrizioni, la Chiesa locale guidata dal superiore
della Missio sui iuris dell’Uzbeksitan, padre Kryszof Kukulka, è molto
attiva, soprattutto nell’apostolato sociale.
MILLE DONNE SFILANO DAVANTI ALLA CORTE SUPREMA A
WASHINGTON.
ABORTISTA PENTITA CHIEDE LA REVOCA
DELLE LEGGE “CHE UCCIDE LA VITA”
WASHINGTON.
= Era il 1973 e la sentenza “Roe contro Wade” rese legale il ricorso all’aborto
negli Stati Uniti. Ieri proprio Jane Roe, pseudonimo di Norma McCorvey, ha rinnegato
il suo passato abortista ed ha sfilato con oltre mille donne davanti alla Corte
suprema di Washington per sostenere il ricorso della sentenza che 32 anni fa ha
segnato una svolta negli Stati Uniti. La richiesta di abrogazione ha risalito i
gradini della giustizia americana, arrivando l’anno scorso alla Corte d’appello
federale della Louisiana dove il giudice Edith Jones ha detto “di sperare ferventemente
che la Corte suprema riesamini la decisione presa”. “Questo è il giorno che
aspetto da molto – ha sottolineato Jane Roe – fu un giorno molto brutto in
America quando venne consentire ad una madre di uccidere il suo bambino”. La
donna è rappresentata da Allan Parker, avvocato e presidente della Joustice
Foundation, organizzazione legale che sta dietro l’iniziativa del movimento
per la vita fondato dalla stessa Roe. Tra le donne che hanno sfilato c’era
anche Alveda King, la nipote di Martin Luther King. Riprendendo la celebre
frase del leader dei diritti civili, la donna ha sostenuto che “non può
sopravvivere il sogno di mio zio se uccidiamo i bambini”. (R.A.)
UN GRANDIOSO PROGETTO
LETTERARIO CHE POTRA’ CONTRIBUIRE
A RAFFORZARE IL DIALOGO ECUMENICO: SARA’ TRADOTTA IN LINGUA RUSSA
LA “SUMMA THEOLOGIAE” DI
SAN TOMMASO D’AQUINO
MOSCA. = Sarà tradotta in lingua russa la Summa
Theologiae di san Tommaso d’Aquino. L’iniziativa è dell’Università
cattolica di Eichstatt-Ingolstadt. Un “progetto del secolo”, come è stato
definito dall’Accademie Russa delle Scienze, che potrà fra l’altro contribuire
al dialogo ecumenico. L’opera, finanziata dalla Fondazione italiana
Cassamarca, sarà realizzata nell’arco di 5 anni ed il primo volume dovrebbe
essere pubblicato entro quest’anno da un editrice moscovita. La Summa
Theologiae è stata già tradotta in tutte le lingue dell’Europa occidentale,
ma nel passato regime comunista fu proibito in Russia anche solo interessarsi
di San Tommaso. Del resto, la Russia si è avvicinata alla filosofia dell’Europa
occidentale solo alla fine del XVIII secolo, rimanendo all’oscuro dell’opera
medievale di San Tommaso. Solo negli ultimi decenni sono apparse traduzioni di
piccole sezioni della Summa, ma finora i filosofi russi potevano avvicinarsi
a questa opera fondamentale del pensiero occidentale solo se conoscevano il
latino, che nei ginnasi russi non viene insegnato. Tra le difficoltà del
progetto di traduzione è il fatto che il linguaggio filosofico russo,
diversamente da quello europeo occidentale, è stato poco influenzato
dalla terminologia della Scolastica medievale e perciò la traduzione della Summa
dovrà utilizzare espressioni inusuali e perfino trovarne di nuove. (R.G.)
INTERESSI COMMERCIALI E SENSAZIONALISMO A TUTTI I
COSTI
METTONO A
RISCHIO LA LIBERTÀ E LA CORRETTEZZA DELL’INFORMAZIONE SPORTIVA.
LA DENUNCIA È VENUTA DA UNA TAVOLA ROTONDA PROMOSSA
IERI A ROMA DALL’UNIONE CATTOLICA STAMPA ITALIANA IN
COLLABORAZIONE
CON IL CENTRO SPORTIVO ITALIANO
- Servizio di Ignazio
Ingrao -
**********
ROMA. = “Dal dopoguerra a oggi il fiume dello sport
è diventato sempre più inquinato e ha smesso di portare acqua pulita al mare
della società italiana”: l’immagine è di Oliviero Beha intervenuto alla tavola
rotonda promossa da Ucsi e Csi sul tema “Sport per tutti. Informazione per
chi?” Il dito è puntato soprattutto contro il calcio, segnato dagli interessi
miliardari dei club, condizionato dal problema dei diritti televisivi e minacciato
dalla crescente violenza delle tifoserie. “Un tempo le partite della domenica
servivano a scaricare le tensioni della settimana – ha osservato Beha -. Ormai
si gioca tutti i giorni e nelle partite di calcio si accumulano altre nevrosi e
crescenti tensioni”. Il peso degli interessi economici tocca anche i più
giovani, ha denunciato Mario Pennacchio che ha portato l’esempio delle scuole
calcio per bambini: “Non si impara più a giocare a calcio nell’oratorio – ha
detto Pennacchio -. Le famiglie preferiscono spendere centinaia di euro per
portare i figli alle scuole calcio dove vengono illusi di aver scoperto un
nuovo Maradona”. Il problema allora è la formazione, ha osservato il presidente
del Csi Edio Costantini: “Non serve prendersela sempre con il Coni o con le Federazioni,
che pure hanno le loro gravissime responsabilità, occorre ripartire dalla base,
investendo sui giovani e formandoli agli autentici valori dello sport”. A tale
riguardo Beha ha denunciato che nel progetto di riforma della scuola è prevista
l’eliminazione di una delle due ore di educazione fisica. Questa scelta, ha
detto Beha, rischia di far arretrare ancora di più il nostro paese rispetto al
resto del mondo dal punto di vista della pratica sportiva.
**********
=======ooo=======
19
gennaio 2005
- A cura di Fausta Speranza -
Fin dai prossimi giorni, reparti
della Sicurezza nazionale palestinese saranno inviati a pattugliare i confini
delle zone autonome nella striscia di Gaza. Lo conferma il capo della Sicurezza
nazionale, aggiungendo che altre forze saranno all'interno delle città palestinesi
di Gaza. Dunque, misure concrete vengono annunciate all'indomani dell'arrivo a
Gaza del presidente Abu Mazen, impegnato in prima persona a ''imporre la
legalità nelle zone autonome e garantirne la sicurezza''. Restano da capire le
mosse di Israele e la posizione di Hamas. Il nostro servizio:
**********
Riunione straordinaria del
Consiglio di difesa del governo israeliano, organizzata nella tarda mattinata
di oggi a Gerusalemme da Sharon. Ieri il premier israeliano si è recato nella striscia
di Gaza per esaminare con i vertici militari una gamma di operazioni che potrebbero
essere ordinate in tempi brevi in caso di necessità. Nell'ultima settimana a
Gaza l’intifada armata ha intensificato gli attacchi: giovedì, l’esplosione al
valico di Karni; sabato, la città di Sderot bombardata con razzi Qassam, uno
dei quali ha provocato la morte cerebrale di una ragazza; ieri un kamikaze di
Hamas si è fatto esplodere all'interno di una postazione dello Shin Bet (sicurezza
interna) uccidendo un agente e ferendo otto militari. Ma c’è anche da riferire
dei due palestinesi uccisi nelle ultime ore da un’unità militare israeliana in
uno scontro a fuoco lungo la linea di confine nel nord della striscia di Gaza.
Sul campo – è evidente - la violenza non è ancora stata bloccata. A questo
proposito, guardiamo all’incontro Abu Mazen–Hamas. Un portavoce del gruppo
armato giudica positivo e costruttivo il colloquio ieri a Gaza del presidente
palestinese con uno dei dirigenti politici del gruppo. E assicura che ''la
questione della tregua nei Territori sarà adesso studiata e discussa con i
vertici del movimento che si trovano all'estero''. Da parte sua, Abu Mazen fa
sapere di avere già in programma altri incontri a Gaza con dirigenti di Hamas e
della Jihad islamica.
**********
Audizione davanti alla
commissione esteri del Senato ieri per Condoleeza Rice che deve confermare la
sua nomina, a segretario di Stato americano, a due giorni dall’inaugurazione
della nuova presidenza Bush. Al centro del discorso della Rice le scelte di
politica estera. Il servizio di Paolo
Mastrolilli:
**********
“La decisione strategica di
rovesciare Saddam è stata giusta, nonostante le difficoltà nella costruzione di
una società democratica e stabile in Iraq”. Lo ha detto ieri Condoleeza Rice,
rispondendo ad una domanda dell’ex candidato presidenziale democratico, John
Kerry.
“THE FIRST DECADE OF…”
La futura responsabile della
diplomazia Americana ha difeso le scelte concrete dell’amministrazione Bush nel
primo mandato, ripetendo la necessità di diffondere la democrazia nel Medio
Oriente e promettendo un impegno personale nel processo di pace fra israeliani
e palestinesi, per sfruttare l’opportunità offerta dal cambio della leadership
dopo la morte di Arafat. La Rice ha detto che ora la tensione a Baghdad è
concentrata sulla sicurezza per le elezioni del 30 gennaio, che secondo lei
avvieranno il Paese verso la stabilità. Quindi, ha evitato di indicare un
calendario per il ritiro delle truppe americane, sostenendo che la strategia di
uscita è direttamente proporzionale alla velocità con cui le forze irachene
diventeranno capaci di proteggere la popolazione. Durante lo scambio più duro
la senatrice Boxer l’ha accusata di aver mentito sulle armi di Saddam, ma lei
le ha intimato di non mettere in discussione la sua integrità. Il nuovo
segretario di Stato ha promesso di aumentare il dialogo e la collaborazione con
gli alleati, dicendo che ora è il momento della diplomazia.
**********
La California ha eseguito oggi
la prima condanna alla pena capitale da tre anni, mettendo a morte con
un'iniezione letale Donald Beardslee. Beardslee, 61 anni, condannato per
l'uccisione di due giovani donne nel 1981, è stato messo a morte nel carcere
statale di San Quintino, a nord di San Francisco, poche ore dopo che il
governatore della California Arnold Schwarzenegger gli aveva negato la grazia.
All'esecuzione hanno assistito quattro parenti delle vittime ma nessun
famigliare di Beardslee.
Il maremoto che ha colpito l’Asia ha bloccato gli aiuti
verso l’Africa: il continente più povero del mondo è dimenticato e non arrivano
più fondi. E’ la denuncia del PAM, il Programma Alimentare dell’ONU. Tra le
emergenze c’è il Burundi: nella
parte settentrionale e orientale del Paese, oltre mezzo milione di persone è
alla fame. L’allarme riguarda in particolare le province di Kirundo e Muyinga.
Lo conferma da Bujumbura, al microfono di Andrea Sarubbi, Guillaume Foliot, del
Programma alimentare mondiale:
**********
R. - Abbiamo due problemi in
Burundi. Il primo la terribile guerra in corso; il secondo la siccità con la
diffusione di un virus che ha colpito la manioca, con gravi conseguenze sui
raccolti. In questo momento 520 mila persone non hanno nulla da mangiare.
Abbiamo bisogno di soldi perché con ciò che abbiamo adesso si può riuscire ad
arrivare soltanto fino a giugno. L’emergenza colpisce soprattutto le regioni
del nord e del nord-est dove si aggiungono altri problemi come il rientro di
rifugiati burundesi dalla Tanzania. C’è poi un’altra emergenza da non
dimenticare: quella delle malattie. Una buona parte della popolazione è
sieropositiva e sono moltissimi quelli che soffrono di malaria, di tubercolosi
e di varie altre infezioni.
**********
Oltre
5mila rifugiati congolesi sono arrivati in questi giorni in Uganda per fuggire
dalla regione dell'Ituri, nella confinante Repubblica Democratica del Congo,
dove sono in corso combattimenti. A riferirlo è l'Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), spiegando che la maggior parte degli sfollati
sono donne e bambini e che molti di essi hanno bisogno immediato di assistenza
e cure mediche.
Circa
10.000 caschi blu vigileranno sulla pace in Sudan. Lo ha detto l'inviato
speciale dell'ONU nel Paese, Jan Pronk sottolineando l’importanza del rispetto
degli accordi di pace siglati il 9 gennaio scorso tra il governo di Khartoum e
gli indipendentisti del Sud. L'operazione dovrebbe costare circa 100 milioni di
dollari l'anno e iniziare intorno alla metà di febbraio. I violenti scontri che
per oltre 20 anni hanno visto contrapporsi il governo ufficiale e i ribelli
hanno provocato la morte di oltre due milioni di persone e quasi il doppio di
profughi e sfollati. Le due parti hanno trovato un’intesa sulla distribuzione
dei proventi petroliferi e sul dispiegamento delle forze militari che non
saranno unificate. Inoltre, sarà creato un governo di unità nazionale per sei
anni e mezzo, con successivo referendum al sud per raggiungere un'eventuale
indipendenza. Nonostante le pressioni, nell’intesa non si fa riferimento
all’altro conflitto in corso esploso nel febbraio 2003 nella remota regione
occidentale sudanese del Darfur e che ha suscitato anche le preoccupazioni
delle Nazioni Unite.
I rapporti diplomatici, le
riforme democratiche del sovrano Mohamed VI, la situazione nel Sahara
Occidentale: sono questi i temi del discorso che re Juan Carlos di Spagna ha pronunciato
ieri a Rabat davanti ai legislatori del Parlamento marocchino. Sentiamo Luciano
Ardesi:
***********
Juan Carlos ha salutato
l’amicizia ritrovata tra i due Paesi dopo un periodo di difficoltà diplomatiche
ed ha esaltato i legami privilegiati e la storia comune evocando, tra l’altro,
l’eredità arabo-andalusa come esempio dell’immagine positiva che la civiltà
arabo-islamica gode nella penisola iberica. Nel suo discorso il Re non ha
tuttavia evitato i punti più spinosi delle relazioni tra i due Paesi. Parlando
dell’immigrazione Juan Carlos ha ribadito che Marocco e Spagna non possono
permettere che i mari che li uniscono si trasformino in una fossa comune. E a
proposito del Sahara Occidentale, già colonia spagnola, ha auspicato una
soluzione consensuale e negoziata tra il Marocco e il Fronte Polisario nel
quadro della legalità internazionale e sotto gli auspici delle Nazioni Unite.
Il Re ha infine espresso un giudizio positivo sull’evoluzione in corso nel
Paese ed in modo particolare sulla recente riforma del codice della famiglia.
**********
=======ooo=======