RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
16 - Testo della trasmissione domenica
16 gennaio 2005
IL PAPA E LA SANTA SEDE
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il premier israeliano Sharon ha annunciato operazioni
militari “senza limiti” contro i movimenti estremisti palestinesi.
La Croazia alle urne per eleggere il nuovo Capo di Sato: favorito il
presidente in carica, il liberale di centro Stipe Mesic
16 gennaio 2005
L’EQUILIBRIO TRA LA
PROPRIA IDENTITA’ E QUELLA ALTRUI,
PER L’IMPORTANTE INTEGRAZIONE TRA I POPOLI.
LA PREGHIERA E GESTI
CONCRETI PER SOSTENERE IL DIALOGO ECUMENICO:
SONO LE RACCOMANDAZIONI
DI GIOVANNI PAOLO II, ALL’ANGELUS
“Un giusto equilibrio tra l’affermazione della
propria identità e il riconoscimento di quella altrui”: è quanto ha
sottolineato il Papa ricordando, all’Angelus, l’odierna “Giornata Mondiale del Migrante e del
Rifugiato”. Poi, annunciando la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani,
Giovanni Paolo II ha chiesto significativi gesti di dialogo ecumenico. Il
servizio di Fausta Speranza:
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Il dialogo alla base del rapporto tra le diverse
culture: è la raccomandazione del Papa che ricorda il cuore del suo messaggio
in occasione dell’odierna giornata dedicata a tutti i migranti: l’invito a
trovare il punto di equilibrio tra l’espressione della propria identità e il
rispetto di quella altrui.
“Auguro
che attraverso il dialogo crescano la simpatia e la comprensione tra le diverse
culture”.
E torna la parola dialogo anche quando Giovanni
Paolo II ricorda un altro appuntamento per la comunità ecclesiale: l’annuale
“Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani”, che quest’anno ha come
tema: “Cristo, unico fondamento della
Chiesa”. Prenderà il via dopo la giornata di domani dedicata al dialogo ebraico-cristiano. E qui il Papa chiede “gesti significativi”
di incontro ecumenico. E chiede di “implorare da Dio il dono della piena unità
di tutti i discepoli di Cristo”.
La preghiera di Giovanni Paolo II si
affida come sempre a Maria, perché “aiuti i cristiani a formare un cuore solo e
un’anima sola e tutti gli uomini a crescere nella solidarietà, per costruire un
mondo di pace”.
Al momento del saluto dopo la recita
della preghiera mariana, il pensiero del Papa va, in particolare, ai fedeli
della parrocchia dei Santi Eustachio e Antonio Abate in Montoro Superiore,
venuti con la “Fiaccola della pace”, che una staffetta podistica recherà da
Roma al loro paese. Rivolgendosi ai suoi connazionali, il Papa ha salutato una banda musicale
presente nella Piazza e quanti hanno partecipato alla preghiera mariana
attraverso la radio e la televisione.
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COME RICORDATO DAL PAPA, LA CHIESA CELEBRA OGGI
LA 91.MA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL
RIFUGIATO
- Intervista con l’arcivescovo Agostino Marchetto -
Come
ricordato dal Papa, si celebra oggi la 91.ma Giornata Mondiale del Migrante e
del Rifugiato, un’iniziativa avviata nel 1914 da Papa Benedetto XV. Nel suo
messaggio, pubblicato recentemente per questa occasione, Giovanni Paolo II
invita all’accoglienza degli immigrati
e dei rifugiati, che nel mondo sono attualmente circa 175 milioni. Sottolineando
l’importanza dell’educazione interculturale, Giovanni Paolo II spiega che è
“soprattutto educazione all’accettazione della diversità”. “Ciò implica –
scrive – una pedagogia per l’accoglienza delle differenze, per la cultura del
dialogo e della reciprocità, della solidarietà e della pace”. Ma qual è oggi la
sfida principale dell’incontro tra diverse culture? Giovanni Peduto lo ha
chiesto all’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio
per la pastorale dei migranti e degli itineranti:
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R. –
La “nuova” sfida che il fenomeno migratorio ci pone è il carattere strutturale
con cui esso si è ormai configurato al giorno d’oggi. Le migrazioni sono diventate
un fenomeno diffuso, dentro al processo di sviluppo, nel sistema stesso con cui
si produce, nella globalizzazione. L’incontro tra diverse culture diventa
dunque cosa di tutti, problema da affrontare senza scorciatoie, vincendo una
certa ritrosia a porselo, perché è scomodo, molte volte, il dialogo con chi è
diverso da noi, per cultura e per religione.
D. –
Il Papa ha lanciato un appello in questo Messaggio: i cristiani ascoltino “il
grido di dolore” degli immigrati e dei rifugiati, che hanno il diritto ad
essere accolti e rispettati, in nome della solidarietà, e non genericamente
assimilati, o peggio, discriminati…
R. –
Siamo al nocciolo del cristianesimo, qui: la carità, l’amore, l’accoglienza, la
solidarietà con chi è più debole, ma che ha la sua dignità e il diritto di salvaguardare
le proprie tradizioni culturali e religiose, e di essere rispettato in quella
che è la sua mentalità, cultura e religione. Il nuovo nome dell’integrazione e
della solidarietà dev’essere perciò l’integrazione culturale e la reciprocità
di attenzione, rispetto, aiuto e servizio. Integrazione giusta, equilibrata,
rispettosa, quindi, in “ragionevolezza civica”, come si dice per la prima volta
– e non assimilazione che fa dell’altro una copia di noi.
D. –
D’altra parte il Papa afferma per gli immigrati la necessità di integrarsi
nella loro nuova nazione, imparandone la lingua e rispettandone le leggi…
R. –
Sì, credo non si possa parlare di integrazione senza una conoscenza della
lingua del Paese di accoglienza e senza
lo sforzo di osservarne le leggi che regolano le comunità locali. Da ciò può nascere
allora una convivenza, non un ghetto, imposto o voluto, dell’immigrato, con sviluppo
in fondo separato, discriminato.
D. –
L’incontro tra culture diverse mette a rischio l’identità culturale?
R. –
Non necessariamente. Anzi la coscienza della propria individualità culturale
può essere “risuscitata” dall’incontro con persone di diversa cultura senza che
tale coscienza sia vissuta in modo fondamentalistico, né sia chiusura mentale,
causa di lotte e contrapposizioni, né semplice tolleranza. Essa non basta più
oggi: è necessario che tutti ci sforziamo di raggiungere e di creare una vera e
propria coesistenza tra le varie culture, tutte soggette, però, a quello che si
dice “diritto naturale” o, tradotto in termini più accettati oggi, “diritti
umani”.
D. –
Come uno Stato laico deve intervenire in questi contesti? Pensiamo in Francia alla legge che vieta nelle scuole
ai ragazzi di portare simboli religiosi o altrove l’eliminazione di crocifissi
…
R. – Sul concetto di una sana e giusta
laicità, purtroppo i pareri sono diversi. Laicità è, nella nostra prospettiva,
una forma di organizzazione dello Stato che garantisca a tutti la libertà di
culto e di religione, nel rispetto, ovviamente, delle regole comuni della vita
sociale, così come delle libertà collettive e individuali. Essa, perciò, è la
traduzione di un principio di “neutralità”, positiva, peraltro, dello Stato
(della collettività, della comunità sociale) rispetto alla dimensione religiosa
incarnata nelle persone e nella loro cultura.
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LE RELIGIONI SONO
CHIAMATE A CREARE UN TERRENO PROPIZIO ALLA PACE:
E’ UNA DELLE RACCOMANDAZIONI EMERSE A
CONCLUSIONE DEL
CONVEGNO, IN VATICANO, DEDICATO
ALLE RELIGIONI TRADIZIONALI
Dopo quattro giorni di intensi lavori, si è
concluso ieri sera in Vaticano, il Convegno promosso dal Pontificio Consiglio
per il dialogo interreligioso sulle religioni tradizionali e il loro contributo
alla pace. Il servizio di Jean-Baptiste Sourou:
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L’Arcivescovo Michael Fitzgerarld, presidente
del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, ha parlato di sorpresa
e di contentezza a conclusione del convegno, trovando consenso tra i molti
partecipanti. Sorpresa perché pur venendo da realtà culturali diverse ci si
rende sempre conto che ci sono valori comuni. Il primo è la ricerca
dell’armonia: desiderio di vivere una relazione di unità con Dio, il creato, la
comunità, la famiglia e, quindi, con sé stessi. Si è parlato del ruolo
tradizionale della donna come mediatrice tra gruppi in conflitto. L’altro
elemento è la difesa della vita: una visione unitaria del mondo è centrata
sulla vita e, in nome della vita, tutto risulta collegato. Da ciò viene un rispetto per le cose e le
persone che non vanno mai manipolate.
L’arcivescovo ha detto che questo convegno
dimostra una volta ancora quanto la Chiesa guadagni ascoltando le altre
religioni. Ha detto che nessuna religione è piccola. Una religione non è grande
o piccola per il numero dei suoi aderenti - ha affermato - perché anche in
quelle tradizionali ci sono infinite risorse per il vivere comune, il bene
profondo dell’uomo e la pace.
Alcuni partecipanti hanno dimostrato in
concreto la celebrazione di alcuni riti tradizionali che già portano in sé semi
del Cristianesimo. Certo non ci si deve aspettare conclusioni pratiche, ma il
convegno rappresenta un invito a proseguire il dialogo con le religioni
tradizionali affinché con la Chiesa ci sia maggior impegno a servizio della
vita dell’uomo e a servizio della pace. In caso di conflitto - ha detto mons.
Fitzgerald - bisogna pensare alle
soluzioni politiche. Questo non è il ruolo delle religioni. Ma le religioni raccomandano
risoluzioni che rispecchino la vera natura delle persone. Le religioni devono
creare, quindi, un terreno propizio alla pace.
Nel messaggio finale, un accento particolare
sulla volontà di collaborazione tra Chiesa e religioni tradizionali in vari
campi e per la pace.
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16 gennaio 2005
“I GIOVANI NELLA SOCIETÀ
E NELLA CHIESA”: TEMA CENTRALE DELLA
VII PLENARIA DELL’ASSOCIAZIONE DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DELL’AFRICA
CENTRALE,
DA OGGI NELLA CAPITALE DEL CIAD
- Intervista con Bouchard Jean-Claude –
Da oggi 16 gennaio comincia a N’Djamena, capitale
del Ciad, la VII Assemblea plenaria dell’Acereac, l’Associazione delle
Conferenze episcopali dell’Africa centrale che raggruppa sei nazioni: Camerun, Ciad,
Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale, Gabon e Congo Brazzaville. Tema
dell’incontro dei vescovi è: “I giovani nella società e nella Chiesa”. E Jean
Baptiste Sourou ha chiesto a mons. Bouchard Jean-Claude, presidente
dell’Acereac, perché questa scelta:
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R. – Il tema dei giovani arriva è opportuno,
perché la situazione dei giovani nel nostro Paese è molto difficile. Per la
situazione economica e politica i giovani si sentono abbandonati. Abbiamo fatto
un’inchiesta, in vari Paesi, e lo studio ha confermato quello che pensavamo: la
gioventù si sente abbandonata dagli adulti, dai dirigenti del Paese e
l’educazione non è bene organizzata. Ci sono, dunque, tanti problemi. Poi, c’è
anche il posto dei giovani nella Chiesa. Tanti giovani aspettano dalla Chiesa
una risposta, non solo a volte ai loro problemi spirituali, ma anche ai loro
problemi culturali, economici. La Chiesa, dunque, è molto impegnata in questo
lavoro con i giovani. Per noi è un tema che s’impone e siamo molto lieti di
affrontarlo. Spero bene che ne esca qualcosa di utile.
D. – Eccellenza, cosa volete proporre ai
giovani? Avrete già un’idea di quello che volete dare, come risposta alle loro
attese…
R. – Noi cominceremo con l’ascoltare i giovani. Saranno loro a parlare
per primi. Ascolteremo i giovani dei sei Paesi e ci diranno quello che pensano
della loro situazione nella società e nella Chiesa. Solo dopo potremo
rispondere alle loro aspettative, se possiamo, perché non è detto che la Chiesa
possa fare tutto. Certo, ci sarà anche un intervento del governo, dei genitori,
degli adulti, perché la gioventù si sente veramente lasciata da parte e tanti
di loro sono scoraggiati. Quando guardano al futuro che li aspetta, c’è poco
“appetito” per questo futuro, e tanti vorrebbero andare altrove. C’è, dunque,
molto da fare e noi vedremo cosa possiamo fare.
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IL
SUD DEL SUDAN GIOISCE PER LA PACE APPENA FIRMATA
DAL GOVERNO COI RIBELLI MA RESTA LA DRAMMATICA
SITUAZIONE
NELLA REGIONE OCCIDENTALE DEL DARFUR
- Intervista con Francesco Dotto -
Se il sud del Sudan gioisce per
la pace appena firmata dal governo con i ribelli, il sangue continua invece a
scorrere nella regione occidentale del Darfur. I guerriglieri del Movimento per
la giustizia e l’uguaglianza pensano che la crisi potrebbe addirittura
peggiorare perché Khartoum avrà ora più soldati da inviare nell’ovest del
Paese. Andrea Sarubbi ha parlato della situazione con Francesco Dotto,
operatore dell’organizzazione umanitaria CESVI, raggiunto telefonicamente nel
sud del Darfur:
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R. – Qui in Darfur, in questo momento, non
si vede alcuna conseguenza, né positiva né negativa, di questa firma. Gli
scontri continuano sia nel sud che nell’est e nell’ovest del Darfur. Riguardo
all’eventualità di un peggioramento della situazione, non so quanto sia
possibile perché, comunque sia, sono presenti anche le Nazioni Unite e l’idea
di inviare dei caschi blu è sempre presente.
D. – Secondo lei, questa è una guerra che
Kartoum può risolvere con le armi sul terreno?
R. – Fondamentalmente sul terreno è
impossibile, perché comunque è ampissimo: è circa sette volte l’Italia. Un
controllo capillare del territorio sarebbe impossibile. Un miglioramento,
comunque, deve avvenire specialmente a livello politico. E’ Kartoum che deve
decidere e logicamente le varie fazioni all’interno devono trovarsi in equilibrio
fra di loro.
D. – Come operatore del CESVI è a stretto
contatto con la popolazione. Le sembra che la gente del Darfur abbia capito
questa guerra?
R. – No, assolutamente no. La popolazione è
al di fuori di certi schemi politici. Si tratta di comunità rurali e quindi
sono legati fondamentalmente alla terra ed ai raccolti. E con questa guerriglia
che c’è stata, il loro problema è stato quello del raccolto che non c’era o che
è stato scarsissimo. Il loro principale problema è rappresentato dal cibo. La
stagione 2005 sarà, per loro, veramente brutta perché non si è potuto coltivare
nel 2004 e non hanno ora le scorte per vendere prodotti o per
l’autosostentamento delle comunità stesse.
D. – Francesco Dotto, lei è andato in Darfur
come idrogeologo. Il contributo del CESVI è praticamente centrato nella
gestione delle risorse idriche?
R. – Sì, esatto. Fondamentalmente, alla fin
fine, in Sudan l’acqua c’è, ma il problema è quello delle malattie collegate
all’uso scorretto che danneggia soprattutto le fasce più deboli e cioè i
bambini, in particolare quelli al di sotto dei cinque anni. Un’altra componente
fondamentale dell’acqua è l’irrigazione: in questo momento si sta soffrendo
di una forte siccità, perché la stagione
delle piogge è stata scarsa e in generale si è ridotta molto come durata.
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SALGONO ANCORA, A 168
MILA, LE VITTIME DEL MAREMOTO NEL SUD
EST ASIATICO.
TRA LE SITUAZIONI DI
EMERGENZA,
GUARDIAMO OGGI ALLE
NECESSITA’ NELLO SRI LANKA
- Intervista con Marco
Cernuschi -
Continua a
crescere il numero dei morti del maremoto dello scorso 26 dicembre: le vittime
sono più di 168 mila dopo chein Indonesia l’ultimo bilancio, fornito dal
ministro indonesiano degli Affari sociali, parla di oltre 115 mila morti. Nello
Sri Lanka, intanto, il volontariato internazionale
per lo sviluppo (VIS), legato al mondo salesiano, ha già raccolto oltre 700
mila euro da inviare alle diverse comunità di Don Bosco presenti in tutta
l’area. Francesca Smacchia ha chiesto a Marco Cernuschi, volontario del VIS in
Sri Lanka, come si sono organizzati per fronteggiare le emergenze:
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R. – Ci sono diversi stadi di emergenze. Da un punto di vista di grosse
strutture, protezione civile e Croce Rossa, si sono presi in carico la costa ad
est. Nella occidentale abbiamo le
famiglie rimaste senza tetto, ospitate in tende della Croce Rossa o presso la
scuola tecnica “Don Bosco”. Nello Sri Lanka si parla di circa 1 milione di
senzatetto e di 15 mila orfani. Sono stime molto approssimative, ma comunque
non penso siano molto lontane dalla realtà, caso mai si differenzieranno per
difetto.
D. – Dopo i primi interventi per soccorrere le popolazioni colpite, quali
sono ora le necessità da fronteggiare?
R. - In
questa zona si può cominciare a lavorare subito per la ricostruzione. Il primo
stadio è quello di far avere il più presto possibile una casa e un lavoro alle
persone che hanno perso tutto. Le autorità locali hanno dato un pezzo di terra
su cui dal 31 gennaio si cominceranno a costruire 13 case, per il momento, di 4
piani ciascuna. Poi, con le sovvenzioni che arrivano dai vari Paesi donatori,
si può cominciare a fornire a queste persone barche e reti da pesca, in modo
che possano avere subito un lavoro e diventare il più presto possibile
autosufficienti. Per quanto riguarda i salesiani, si tenderà soprattutto a un
recupero dei bambini che hanno perso tutto, che hanno perso la casa, che sono
sfollati in altre zone. Si tratterà di un sostegno prevalentemente educativo,
quindi scuole e formazione professionale, in modo che possano essere reinseriti
in una società il più possibile normale.
D. – Il VIS è presente nello Sri Lanka dal 2003 per sostenere le opere
dei Salesiani. Quanto è importante l’impegno dei religiosi in quel territorio?
R. – Direi che è fondamentale perché sono l’unica struttura permanente su
cui si possa fare affidamento anche per programmi a lungo termine.
D. – Uno spirito di solidarietà ha unito il mondo intero. Come pensate di
organizzare i fondi raccolti?
R. – Si vogliono evitare errori fatti in passato in cui i fondi sono
stati usati male oppure purtroppo finiti nelle tasche di chi non ne aveva
bisogno. Quindi c’è la tendenza ad una trasparenza massima nella gestione di
questi fondi.
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LA SITUAZIONE DEI
DIRITTI UMANI IN OLTRE 60 PAESI DEL MONDO, NEL RAPPORTO 2005 DI HUMAN RIGHT
WATCH, PUBBLICATO QUESTA SETTIMANA
- Intervista con Jean-Paul Marthoz –
Il quadro della situazione dei diritti umani in
oltre 60 Paesi del mondo rappresentato nel rapporto 2005 di Human Right Watch,
pubblicato questa settimana. Secondo l’organismo americano, che ha sede a New
York, lo scandalo della prigione di Abu Ghraib in Iraq, costituisce uno degli
esempi più flagranti di violazione dei diritti umani verificatasi nel 2004. Per
questo nel rapporto viene messo in parallelo con la situazione del Darfur, nel
Sudan. Emerge pertanto, quanto fragile sia stato durante il 2004 il sistema
internazionale di difesa dei diritti umani. Bernard Decottignies, della nostra
redazione francese, ne ha parlato con Jean-Paul Marthoz, direttore europeo
dell’informazione di Human Right Watch:
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R. - C’EST UN PARALLELE QUI CONNAIT ...
E’ un parallelo che riconosce, naturalmente, la
differenza fra le due situazioni. Nel caso di Abu Ghraib, ci troviamo di fronte
alla violazione di norme del diritto internazionale attraverso pratiche di
tortura di cui sono state vittime un limitato numero di persone, senza negare
l’importanza di quanto accaduto nelle prigioni di Abu Graib o anche in
Afghanistan o a Guantanamo. Nel caso del Darfur abbiamo voluto mostrare che ci
troviamo di fronte non solo ad una crisi umanitaria ma anche ad una crisi dei
diritti umani. La risposta finora data ha riguardato essenzialmente il piano
umanitario, il che è senz’altro necessario perché bisogna soccorre le
popolazioni. Ma crediamo anche che la comunità internazionale debba essere
molto più determinata e, cioè, che
dovrebbe fare chiaramente una pressione politica assai più forte su Khartoum.
Anche gli Stati Uniti, malgrado abbiano denunciato che nel Darfur è in atto un
genocidio, non hanno poi preso misure adeguate.
D. – Nel rapporto 2005, ovviamente relativo
agli eventi dello scorso anno, l’Africa occupa il primo posto per le gravi
violazioni tuttora esistenti. Quali sono le situazioni più gravi?
R. – UNE GRANDE PARTIE DES
CONFLITS LES PLUS TERRIBLES...
Gran parte dei terribili conflitti in atto oggi nel
mondo si svolgono purtroppo in Africa. Soprattutto nella zona dei Grandi Laghi
è in corso una guerra eccezionalmente brutale. Quest’anno abbiamo voluto
studiare con particolare attenzione la causa principale di questi conflitti e
cioè la guerra per le risorse. Abbiamo voluto andare oltre la semplice
descrizione dei drammi umanitari per cercare di identificare le cause che
chiaramente sono di natura economica ma anche conseguenti all’inesistenza di un
sistema di giustizia, in particolare internazionale, che permetterebbe di
combattere l’impunità. L’impunità, uno dei punti forti del rapporto di
quest’anno, rappresenta per noi uno dei motivi principali per cui è difficile ridurre
le violazioni più gravi dei diritti umani.
D. – Oltre all’Iraq, che cosa si dice nel
rapporto riguardo al resto dell’area del Golfo ed al Medio Oriente?
R. – A PROPOS DU PROCHE ORIENT
...
Per quanto riguarda il Medio Oriente abbiamo
affrontato due gravi questioni. Innanzitutto, la crisi israelo-palestinese in
particolare per quanto riguarda la demolizione delle abitazioni nella Striscia
di Gaza che rappresenta una grave violazione dei diritti umani. L’altra
questione interessa il mondo arabo in generale, con particolare riferimento
alla libertà di coscienza, di espressione, di religione. Tutti elementi che
consideriamo estremamente importanti oggi quando si parla di promuovere in seno
al mondo arabo una riflessione sulla democrazia e di favorire una versione moderna e democratica dell’Islam.
D. - Come
si presenta il problema dei diritti umani in Asia?
R. – ON A TRAVAILLE L’ANNEE
DERNIERE SURTOUT SUR LA CHINE...
Lo scorso anno abbiamo lavorato soprattutto sulla
Cina, un Paese che riteniamo estremamente importante. La Cina conosce uno
sviluppo economico contrassegnato da un certo tipo di apertura sul piano
politico, ma non conosce analoghi progressi nel campo dei diritti umani.
D. – Per l’America latina il problema
riguarda, oltre alla lotta contro l’impunità, anche il contesto di violenza
legata alla guerriglia o alle bande...
R.- EN AMERIQUE LATINE ON VOIT ...
Dall’America Latina vengono due tipi di messaggi.
Uno, estremamente positivo, è quello della lotta contro l’eredità dei regimi
militari che hanno devastato il continente tra gli anni Settanta – Ottanta.
L’altro negativo, che ci preoccupa molto, è quello della crescita della
delinquenza, del senso di insicurezza che costituisce una delle minacce più
gravi contro l’affermazione della democrazia e contro l’instaurazione di un
vero stato di diritto.
*********
IL DRAMMA DEL CONFLITTO PALESTINESE RAPPRESENTATO
NEL FILM ATTUALE, DRAMMATICO MA ANCHE POSITIVO DI SAVERIO COSTANZO. “PRIVATE”,
VINCITORE DEL PARDO D’ORO AL FESTIVAL DI LOCARNO E’ IN QUESTI
GIORNI SUGLI SCHERMI ITALIANI
- Con
noi il regista -
Vincitore
del Pardo d’Oro al Festival di Locarno, è arrivato sugli schermi italiani
“Private”, opera prima di Saverio Costanzo. Con compostezza e rigore il giovane
regista racconta le drammatiche vicende che seguono l’occupazione di una casa
palestinese da parte dei soldati israeliani, scoprendo alla fine che la
convivenza e il perdono sono possibili. Il servizio è di Luca Pellegrini:
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Occupati
ed occupanti: ruoli che la storia spesso affibbia con angoscia e dolore. E dei
quali diventa difficile spogliarsi se, come esorta Giovanni Paolo II, non si
riesce a vincere il male con il bene. E’ un film attuale, drammatico e positivo
quello che il ventinovenne Saverio Costanzo ha voluto per il suo debutto cinematografico
e che gli ha fruttato incondizionati elogi da parte della critica e del
pubblico. Film quasi impossibile: riuscire a raccontare le dolorose
vicissitudini di una famiglia di palestinesi la cui casa, fortino dell’anima e
simbolo della propria identità, viene occupata da una pattuglia dell’esercito
israeliano. Altrettanto arduo, realizzare questo racconto privato, fatto di
angosce, crisi e speranze, con veri attori israeliani e veri attori palestinesi
messi gomito a gomito per cinque settimane d’impegno professionale. Pellicola
di altissimo livello, drammaturgico e contenutistico: quasi un documentario
scabro ed essenziale nel quale si intrecciano e si seguono le diverse reazioni
della famiglia e dei soldati. C’è chi cerca il dialogo, chi la fuga, chi la
vendetta. Su tutti, si erge la figura del padre palestinese, un bravissimo
Mohammad Bakri, che, al di là delle divise, delle culture e delle religioni, sa
scorgere il prossimo come persona da amare e non da combattere. Un cinema di
grande civiltà e compostezza, che è stato molto ben accolto da entrambe le
parti, come ci racconta lo stesso regista, Saverio Costanzo:
“Le
reazioni sono state positive. La sensazione che abbiamo avuto è quella
di aver portato
a questa gente una testimonianza che li rappresenta. Loro si sono sentiti
rappresentati dal film, sia i palestinesi che gli israeliani. Il film, pur
nella sua durezza è un film che dà una speranza per il futuro. Il desiderio
delle parti che tutto quello che sta accadendo finisca è un po’ rappresentato
dalla loro speranza e dall’accoglienza che abbiamo avuto”.
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16
gennaio 2005
CONTRASTARE LE TENDENZE
SCIENTIFICHE CHE ALLARGANO I CONFINI DELL’UMANITA’ A PRESCINDERE DALLA
DIMENSIONE SPIRITUALE DELL’UOMO:
COSI’ MONS. IGNAZIO MANNA AL
SEMINARIO
“LA SFIDA DEL POST-UMANO. VERSO
NUOVI MODELLI DI ESISTENZA?”
ROMA. =
Per la chiesa italiana oggi è di vitale importanza la “questione antropologica”
per contrastare diverse tendenze scientifiche e culturali che insistono nel
togliere ogni riferimento al concetto di “persona”. Così ieri in sintesi Mons.
Ignazio Sanna, pro-rettore dell’Università Lateranense, al seminario di studio
sul tema “La sfida del post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza?”,
organizzato dall'area di ricerca
''Teologia Filosofia Scienze Umane” della
Pontificia Università Lateranense, nell'ambito del Progetto culturale
della Conferenza Episcopale Italiana. Mons. Sanna ha criticato alcune tendenze
scientifiche che ''invece di descrivere
l'uomo come uomo, descrivono l'uomo sociologico, l'uomo psicologico, l'uomo neurologico, ritenendo
la propria descrizione come quella vera
e completa”. Conseguenza diretta di ciò sono, ad esempio, alcune proposte di
legittimazione e di allargamento dell’idea di famiglia, diversa da quella
fondata sul matrimonio. Oppure la proposta di assetti legislativi che nel
definire lo statuto dell'embrione prescindono dal suo essere persona umana fino
ad allargare l'idea stessa di
''umanità” anche al mondo animale. Se le scienze vengono adottate come unico
criterio dell'agire umano, gli individui che compongono la società vivono secondo
le regole biologiche comuni a tutti i corpi ''a prescindere dalla loro dimensione
spirituale”. In conclusione – ha spiegato Mons. Manna - “l'utopia dell'individuo
assoluto e assolutista ha trasformato la famiglia in tante persone che vivono da sole. L'idea di fondo che sta
dietro a questa utopia è che il
mercato, magari ben temperato, possa farci da madre, da padre e da figlio,
purché si paghi”. (E. B.)
IL
COMITATO COMUNE DELLA CONFERENZA DELLE CHIESE EUROPEE E DEL CONSIGLIO DELLE
CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA SI DA APPUNTAMENTO a febbraio PER ANALIZZARE LA
SITUAZIONE ECUMENICA NEL VECCHIO CONTINENTE
SAN
GALLO. = I membri degli episcopati cattolici e della maggior parte delle altre
Chiese cristiane d’Europa si riuniranno dal 3 al 6 febbraio a Chartres, in Francia,
per riflettere sulla situazione ecumenica nel vecchio continente. Nato nel
1972, il Comitato congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (KEK),
portavoce delle Chiese protestanti, ortodosse e anglicane, e del Consiglio
delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE),
costituito da vescovi cattolici, prevede riunioni annuali ed è
responsabile dei rapporti fra i due organismi. Fra i temi in discussione,
l’analisi dei lavori di preparazione della 3° Assemblea Ecumenica Europea prevista
per il 2007 e il lavoro del Comitato per i rapporti con i musulmani in Europa.
E sarà anche l’occasione per affrontare
i rapporti fra Chiese e Unione Europea e il tema dei matrimoni misti. Inoltre,
nel contesto della riunione avranno luogo una celebrazione Ecumenica nella
cattedrale di Chartres ed un incontro con la federazione protestante di Parigi.
All’incontro, fra gli altri, parteciperanno il segretario generale della CCEE,
monsignor Aldo Giordano, ed il segretario generale della KEK, dr. Kheit
Clements (E. B.)
L’emergenza
Asia non NASCONDA gli obiettivi del millennio:
Caritas e
Focsiv chiedono politiche di cooperazione e di solidarietà
per
garantire diritti e opportunità
a quanti
vivono in condizioni di povertà e miseria.
ROMA. =
Con l’intento di far sentire la propria voce ai singoli governi affinché rispettino
gli impegni internazionali stabiliti dal vertice del Millennioverrà presentata,
domani a Roma, la Campagna promossa da Caritas e Volontari nel Mondo – Focsiv,
insieme con le principali associazioni del mondo cattolico. La campagna si
colloca nel quadro della mobilitazione mondiale lanciata per il 2005, la
“Global Call for Action Against Poverty”, con l’obiettivo principale di
dimezzare la povertà entro il 2015. Se la tragica esperienza dello Tsunami ha
acceso i riflettori sulle carenze strutturali e la vulnerabilità della
popolazione del Sud Est asiatico, non bisogna trascurare che una catastrofe ancor
più tragica colpisce quotidianamente il Sud del mondo: oltre un miliardo di
esseri umani vive in condizioni di miseria. Di fronte a tali bisogni la
generosità umanitaria sporadica non basta, – viene sottolineato – ma è
necessario adottare misure di prevenzione
a lungo termine che richiedono un impegno più consistente da parte della
comunità internazionale e un nuovo slancio dell’aiuto pubblico allo sviluppo.
(E. B.)
IL CHISCIOTTE DI CERVANTES COMPIE
400 ANNI. DALL’EUROPA AL CONTINENTE AMERICANO DIVERSE LE MANIFESTAZIONI
PREVISTE PER LA COMMEMORAZIONE DEL PRIMO BEST SELLER DELL’EDITORIA
MADRID.
= Ricorrono oggi, secondo una datazione accettata da molti, i 400 anni
dall’uscita della prima parte del Chisciotte. Dalla tipografia madrilena di
Juan de la Cuesta, con la vendita dei primi 1200 esemplari, l’opera di Miguel
de Cervantes Saavedra iniziava il suo fortunato cammino per il mondo. Già nel
1612, prima della pubblicazione della seconda parte dell’opera, che avverrà nel
1615, le appassionanti avventure dell’ingegnoso hidalgo furono tradotte in
inglese e, due anni più tardi, in francese, in edizioni di lusso. Tuttavia, il
primo best seller dell’editoria, nonostante la sua straordinaria diffusione,
non riuscì a togliere dalla povertà il suo autore. Secondo l’UNESCO, si tratta
di uno dei libri più tradotti al mondo, dopo la Bibbia e le opere complete di
Lenin. Si tratta di un’opera che continua ancora a suscitare in ogni generazione
ammirazione ed entusiasmo per lo spirito del Chisciotte e per il genio di Cervantes.
Diversi gli eventi organizzati in occasione di questo 4° centenario, non solo
in Spagna e nel resto d’Europa, ma anche nel continente americano e in Asia.
Nel calendario delle celebrazioni, previste mostre e congressi ma anche
attività teatrali e cinematografiche. Per la ricorrenza la televisione
spagnola, TVE, ha deciso di dedicare un ciclo di trasmissioni. (E. B.)
UN’INFORMAZIONE PER DIFENDERE GLI
INTERESSI DEL POPOLO CATTOLICO E PER
VALUTARE CRITICAMENTE LE SCELTE POLITICHE DI OGNI SCHIERAMENTO:
COSI’ DON GIORGIO ZUCCHELLI, NEO PRESIDENTE DELLA
FEDERAZIONE ITALIANA DEI SETTIMANALI
CATTOLICI
ROMA. =
“I nostri giornali sono, da sempre, dalla parte della gente, al di là di ogni
possibile schieramento”. E’ quanto afferma, all’agenzia di stampa “Fides”, don
Giorgio Zucchelli, neo eletto presidente della Federazione italiana dei settimanali
cattolici (Fisc), e già direttore del settimanale diocesano di Crema “Il Nuovo
terrazzo”. “Stare dalla parte della gente – continua don Zucchelli - significa
difendere gli interessi del popolo cattolico e valutare criticamente le scelte
politiche di ogni schieramento”. Il neo presidente è chiamato a coordinare il
lavoro di 140 testate diocesane con una diffusione complessiva sul territorio
di un milione di copie. “La nostra informazione è a 360 gradi – spiega il neo
presidente della Fisc -. I nostri giudizi, i nostri articoli e le nostre
riflessioni arrivano nelle case di persone che spesso hanno smarrito la fede e
noi rappresentiamo per loro l’unico contatto con la Chiesa”. Don Zucchelli
spiega che la gente apprezza un’informazione giornalistica che vuole difendere
i diritti dei cittadini cercando di guardare con l’ottica propria del Vangelo.
“Inoltre – conclude – “dietro i nostri giornali c’è un popolo che usa la nostra
informazione come una reale possibilità di confronto democratico ed
ecclesiale”. (E.B.)
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16
gennaio 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Ad una settimana dall’elezione di Abu
Mazen come presidente palestinese, dopo aver annunciato il congelamento dei
contatti con la nuova leadership in seguito all’attentato di venerdì scorso al
valico di Karni, il premier dello Stato ebraico ha dato il proprio assenso ad
operazioni militari “senza limiti” contro gli estremisti palestinesi. Il nostro
servizio:
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Il premier israeliano, Ariel Sharon, ha
ordinato alle forze armate di rilanciare la lotta al terrorismo palestinese.
“L’attuale situazione – ha dichiarato - è inaccettabile e non si può tollerare
che prosegua. L’esercito e le forze di sicurezza - ha continuato il premier -
hanno ricevuto ordini affinchè agiscano senza alcuna limitazione: non ci sono
scadenze temporali o restrizioni su modalità operative. “Tali istruzioni - ha
puntualizzato ancora il leader del Likud - rimarranno valide fin quando i
palestinesi eviteranno di alzare anche soltanto un dito nei confronti dei
movimenti estremisti”. “La nuova leadership palestinese - ha concluso Sharon -
non ha ancora adottato misure efficaci per prevenire il terrorismo”. L’annuncio
è stato dato prima dell’apertura della consueta seduta settimanale del
Consiglio dei ministri, la seconda da quando l’esecutivo è diventato di unità
nazionale grazie all’ingresso dei laburisti. Nei Territori, intanto, è stato fissato
un incontro, previsto mercoledì prossimo a Gaza, tra il presidente dell’ANP,
Abu Mazen, e i rappresentanti di diverse fazioni politiche palestinesi per
discutere sulla necessità di una tregua con Israele. In Cisgiordania, infine,
due palestinesi sono stati assassinati a Nablus, perché sospettati di
collaborazionismo con Israele. L’azione è stata rivendicata dalla milizia delle
‘Brigate dei Martiri di Al Aqsa’.
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Il
soldato americano Charles Graner, uno degli aguzzini del famigerato carcere di Abu
Ghraib, è stato condannato a dieci anni di reclusione dalla Corte marziale di
Fort Hood, nel Texas, dopo che ieri era stato giudicato colpevole di 9 dei 10
capi di imputazione per torture ai prigionieri iracheni
In Afghanistan sono stati rilasciati
ottanta prigionieri detenuti nella base statunitense di Bagram, una quarantina
di chilometri a nord di Kabul. Lo ha reso noto un portavoce della Corte suprema
afghana.
A due
settimane dal primo turno, la Croazia è tornata oggi alle urne per scegliere il
nuovo capo di Stato tra il presidente uscente, Stipe Mesic, e la vice premier
Jadranka Kosor. Sono chiamati al voto 4,4 milioni di persone. I sondaggi danno
per favorito Mesic, liberale di centro appoggiato anche dai
partiti di sinistra e dalle minoranze serba e musulmana, che lo scorso
2 gennaio ha ottenuto il 49 per cento dei voti. Non sembra invece avere molte
possibilità di vittoria Jadranka Kosor, esponente dell’Unione democratica croata
(HDZ) sostenuta dai veterani di guerra, che al primo turno ha superato di poco
il 20 per cento delle preferenze. Il destino del Paese non sembra in discussione
anche per la comune scelta europeista dei due candidati. Andrea Sarubbi ne ha
parlato con Ingrid Badurina, corrispondente del quotidiano ‘La Stampa’ da Zagabria:
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R. – Effettivamente, la loro politica, soprattutto riguardo al
discorso dell’Unione Europea, è molto simile: sia l’uno che l’altra vogliono
assolutamente l’entrata della Croazia nell’Unione. La differenza, invece, è che
Stipe Mesic praticamente sin dall’inizio si è distanziato dal presidente
Tudjman, il primo presidente croato nazionalista dei primi anni Novanta; mentre
Jadranka Kosor fa parte del partito dell’HDZ, l’Unione democratica croata
attualmente al potere, del premier Ivo Sanader. La vicepremier nella sua
campagna elettorale ha puntato soprattutto sugli ex combattenti: ha insistito
sui drammi della guerra rimarcando l’elemento nazionalista.
D. – Quindi il voto dei vecchi nazionalisti va tutto alla Kosor?
R. – Molti
nazionalisti voteranno per la vicepremier. Il problema del partito attualmente
al potere, l’ex partito di Tudjman oggi riformato, è proprio quello che una
parte del suo elettorato tradizionale non si sente più rappresentato dall’attuale
schieramento. Bisogna vedere se saranno pronti, per fermare Mesic, a votare per
la Kosor o se semplicemente decideranno di astenersi.
D. – Sempre a proposito dei nazionalisti e della guerra negli anni
Novanta, a che punto è la collaborazione del governo di Zagabria con il
Tribunale Penale Internazionale?
R. – Credo che la Croazia collabori a tutti gli effetti con il
Tribunale dell’Aja. Rimane in sospeso la questione del generale Gotovina,
fuggitivo. Il governo diretto da Sanader si è assolutamente impegnato a fare di
tutto per arrestarlo nel caso fosse in Croazia, ma sembra che non si trovi nel
Paese. Credo che la collaborazione non sia assolutamente in questione.
D. – Lei citava, prima, l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea.
I colloqui inizieranno il 17 marzo. Secondo lei, cosa cambia se vince Mesic o
se vince la Kosor?
R. – Direi che il discorso europeista vale per tutti e due.
Sicuramente Mesic ha un passato più europeista rispetto a quello del partito della
Kosor.
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In Cina l’ex leader riformista,
l’85.enne Zhao Ziyang, è in coma profondo da ieri sera. Lo ha detto oggi una
fonte vicina alla sua famiglia. Zhao è stato deposto dalla carica di segretario
del partito comunista nel 1989, quando si è opposto alla repressione militare
messa in atto dal governo di Pechino contro le manifestazioni di protesta
organizzate in piazza Tienanmen.
Il Giappone ha preparato un piano per
la difesa dell’arcipelago di Okinawa da un’eventuale invasione cinese. Lo riporta
la stampa nipponica. Il piano si basa sull’ipotesi di un’aggressione cinese
contro le isole situate tra la punta sud dell’isola di Kyushu e Taiwan. E’
previsto il dispiegamento di 55.000 soldati e l’utilizzo di aerei e
sommergibili. Nel suo recente Libro bianco sulla difesa, il governo di Tokyo ha
citato le minacce militari nordcoreane ma anche quell2 cinesi, denunciate per
la prima volta in modo esplicito.
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