RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLIX n.11  - Testo della trasmissione martedì 11 gennaio 2005

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Offrire un nuovo vigore al cammino ecumenico: l’incoraggiamento del Papa alle comunità italo-albanesi di rito bizantino, riunite in sinodo a Grottaferrata

 

Vita, pane, pace e libertà: sulle quattro sfide lanciate ieri da Giovanni Paolo II, nel discorso al corpo diplomatico, le riflessioni del prof. Antonio Maria Baggio e del prof. Antonio Bianchi

 

Dopo una breve malattia, è morto ieri, all’età di 78 anni, il cardinale belga Jan Pieter Schotte, presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica e per lunghi anni segretario generale del Sinodo dei vescovi

 

Il bilancio del maremoto supera i 157 mila morti. A Ginevra, l’ONU chiede analoga solidarietà anche con le altre crisi umanitarie mondiali. Sugli aiuti della Santa Sede alle popolazioni colpite, intervista con mons. Karel Kasteel

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Apprezzamenti e speranze dalla comunità internazionale per l’elezione di Abu Mazen alla presidenza dell’Autorità nazionale palestinese: il commento di Marcella Emiliani

 

Prosegue a Betlemme e Gerusalemme la missione di solidarietà dei vescovi europei ed americani ai cristiani di Terra Santa: interviste con mons. Patrick Kelly e mons. Joan Enric Vives

 

Il futuro del Sudan che festeggia l’accordo di pace: ai nostri microfoni padre Giuseppe Puttinato

 

CHIESA E SOCIETA’:

Davanti al cataclisma nel sud-est asiatico, cresce il dialogo interreligioso tra cristiani e  musulmani nelle Filippine

 

In corso a Caracas, fino al 13 gennaio, l’83.ma Assemblea dei vescovi venezuelani

 

Appello del vescovo di San Sebastian alla riflessione e al rispetto reciproco riguardo alla proposta di Statuto politico della comunità di Euskadi approvato dal Parlamento basco il 30 dicembre scorso

 

Il 60-80 per cento della popolazione cinese muore perché non può permettersi cure mediche

 

“Trentuno domande sull’adorazione del Santissimo Sacramento”: è il titolo dell’opuscolo pubblicato dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti

 

24 ORE NEL MONDO:

A meno di tre settimane delle elezioni, si intensificano le violenze in Iraq: una ventina i morti negli attentati a Tikrit e a Baghdad

 

Le crisi in Costa d’Avorio, nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione sudanese del Darfur al centro del vertice del Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione Africana in Gabon

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

11 gennaio 2005

 

 

 

OFFRIRE UN NUOVO VIGORE AL CAMMINO ECUMENICO:

L’INCORAGGIAMENTO DEL PAPA ALLE COMUNITA’ ITALO-ALBANESI DI RITO BIZANTINO, RIUNITE IN SINODO A GROTTAFERRATA

 

“Un rinnovato annuncio dell’Evangelo” e “un vigoroso slancio ecumenico”: è quanto si aspetta Giovanni Paolo II dai lavori conclusivi del Sinodo Intereparchiale delle Circoscrizioni di rito bizantino in Italia, in corso da ieri e fino a venerdì prossimo a Grottaferrata. Stamani, in Vaticano, l’udienza del Papa ai partecipanti, accompagnati dal prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, Ignace Moussa I Daoud. Il servizio di Roberta Gisotti.

 

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Risale al 1940 il primo Sinodo delle due eparchie - equivalenti a diocesi - degli Italo-Albanesi, giunti nel XV secolo dopo l’occupazione di Albania, Grecia e Balcani da parte degli Ottomani: l’Eparchia di Lungro per quelli di Calabria e dell’Italia continentale, e l’Eparchia di Piana degli Albanesi per quelli della Sicilia. A queste si aggiunge il monastero esarchico di Grottaferrata, nei pressi di Roma, l’antica e gloriosa abbazia di San Nilo, che risale all’anno Mille, erede del monachesimo italo-greco, prima della rottura fra Oriente ed Occidente.

 

Riunito in questi giorni proprio nella cittadina laziale, il Sinodo riflette sul tema “Comunione e annuncio dell’Evangelo”. “Un tema quanto mai attuale” – ha detto il Papa – per le vostre realtà ecclesiali “chiamate a testimoniare l’unità della stessa fede in diversi contesti sociali”, e “che collaborano con le comunità di tradizione latina e rafforzano sempre più la loro identità, facendo tesoro della loro millenaria tradizione bizantina”. Giovanni Paolo II ha lodato l’impegno del Sinodo incentrato sulla missione nel nostro tempo, “evitando un’indebita trasformazione dell’identità spirituale”, e puntando sulla formazione del clero e del laicato, perché sia “radicata nella tradizione orientale atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione”. Il Papa ha poi assicurato che la Santa Sede, mediante la Congregazione per le Chiese orientali, non mancherà di offrire “sostegno a quest’azione rinnovatrice”. Ed infine, l’incoraggiamento “a proseguire – grazie alla comune tradizione liturgica - i contatti con le Chiese ortodosse, desiderose anch’esse di rendere gloria all’unico Dio e Salvatore” ed auspicando che il Signore “conceda a tutti i credenti in Cristo di vivere appieno l’unità della medesima fede”.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Giovanni Paolo II ha ricevuto questa mattina, in successive udienze, il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, l’arcivescovo Fernando Filoni, nunzio apostolico in Giordania e in Iraq, l’arcivescovo Aldo Cavalli, nunzio apostolico in Cile, e l’ambasciatore di Malta, James Farrugia, in vi­sita di congedo.

 

In Paraguay, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Pedro presentata dal vescovo Fernando Lugo Mendez, dei Padri Verbiti, in conformità al canone 401, paragrafo 2, del Codice di Diritto Canonico.

 

Il Pontefice ha accolto la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’Eparchia di Newton dei Greco-Melkiti presentata da mons. Nicholas James Samra.

 

 

VITA, PANE, PACE E LIBERTA’: SULLE QUATTRO SFIDE LANCIATE IERI

DA GIOVANNI PAOLO II NEL DISCORSO AL CORPO DIPLOMATICO,

LA RIFLESSIONE DEL PROF. ANTONIO MARIA BAGGIO DELLA GREGORIANA

E DEL PROF. ANTONIO BIANCHI DELLA CATTOLICA DI MILANO

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Difendere la vita sin dal concepimento, distribuire equamente le ricchezze della terra, rifiutare la violenza per costruire la pace, garantire la libertà degli individui e degli Stati: sono le quattro grandi sfide per l’umanità tracciate ieri da Giovanni Paolo II nella tradizionale udienza di inizio anno al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Le parole del Papa hanno suscitato una vasta eco nell’opinione pubblica per l’attualità dei temi affrontati e soprattutto per le vibranti esortazioni levate dal Pontefice. Quale dunque la forza di questo discorso del Papa agli ambasciatori di 174 Paesi dei cinque continenti? Ascoltiamo la riflessione del prof. Antonio Maria Baggio, docente di Etica sociale alla Pontificia Università Gregoriana, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. - La forza del discorso del Papa, a mio avviso, sta nella visione integrale dell’uomo. La visione dell’uomo e dei compiti dell’umanità, che il Papa propone, si basa appunto su un’impronta unitaria che vede tutti gli aspetti e tutti i diritti della persona umana e delle comunità umane.

 

D. –  Il Pontefice ha messo un accento particolare su due temi: la difesa della vita e la libertà religiosa, ancora oggi due diritti non completamente tutelati in molti angoli del pianeta…

 

R. – Sì, questo è vero, e sono due temi entrambi radicali. La vita certamente è la sfida più fondamentale perché fonda tutte le altre. Una comunità politica, uno Stato, nasce e ha sempre come centro del proprio obiettivo la tutela della vita dei propri membri. D’altra parte, la sfida della libertà religiosa è fondamentale perché la libertà religiosa è un’esponente, un indice, dell’esistenza di tutte le altre libertà. La cosa interessante è che il Papa propone quattro sfide insieme e le sfide sono collegate, perché se si tende a difendere soltanto la vita disinteressandosi delle altre - del pane, della pace e della libertà - anche la vita viene meno.

 

D. – Il Papa chiama all’unità i popoli del mondo per affrontare le grandi sfide di oggi. Una via difficile, anche se di fronte alla tragedia umanitaria, provocata dalla tsunami, abbiamo assistito ad una risposta unitaria…

 

R. – La risposta che abbiamo dato a questa enorme tragedia dell’Asia dimostra che è possibile per tutti i popoli della Terra muoversi insieme. Il Papa non si limita a rilevare la capacità di fare questo in maniera pratica: dà anche un fondamento teorico-concettuale per fondare questa collaborazione. In ognuna delle sfide, che il Papa lancia, compare come elemento unitario di tutta l’umanità: l’idea di fraternità. Il Papa dice: Siamo prima di tutto fratelli. Per cui riconosco mio fratello nella vita nascente a partire dal concepito, in colui che muore di fame, in colui che non può esprimere la propria opinione religiosa, in colui che è travagliato dalla guerra.

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Nel discorso al Corpo Diplomatico, il Papa ha passato in rassegna tutte le grandi questioni aperte all’inizio di questo 2005: dalla crisi umanitaria dello tsnuami alle speranze di pace in Medio Oriente e Sudan. Quindi, ha esortato tutti gli uomini di buona volontà ad impegnarsi a vincere il male con il bene. Ma come attualizzare questo principio nelle relazioni fra gli Stati? Fabio Colagrande lo ha chiesto al prof. Andrea Bianchi, docente di diritto internazionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

 

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R. – Credo che ci sia la possibilità di identificare una serie di valori comuni e credo che i tragici avvenimenti di questi giorni ci mostrino come in realtà la comunità internazionale sia vulnerabile ed esposta a delle minacce di carattere globale, che non sono solo i conflitti armati. Le sfide di carattere globale per la comunità internazionale sono anche quelle di far fronte ad emergenze umanitarie e a catastrofi naturali: un nucleo di questioni rispetto alle quali tutti gli Stati, indipendentemente dal loro sistema politico, dalle Fedi prevalenti in ciascuno di essi, hanno interesse a fronteggiare in maniera comune. E credo che, al di là dell’evocazione del Papa del bene che vince il male, si possa in qualche modo collegare l’idea del bene all’idea di uno sforzo comune, che in termini tecnici non può che tradursi in una parola: cooperazione. Come i recenti avvenimenti mostrano - la comunità internazionale si è molto divisa per esempio sulla questione dell’uso della forza nella lotta al terrorismo – la cooperazione è la sola che possa garantire una efficace azione contro questo tipo di problemi.

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DOPO UNA BREVE MALATTIA, E’ MORTO IERI, ALL’ETA’ DI 78 ANNI,

IL CARDINALE BELGA JAN PIETER SCHOTTE, PRESIDENTE DELL’UFFICIO

DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA E PER LUNGHI ANNI

 SEGRETARIO GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

“Una vita spesa per Cristo”, sempre “attento alle questioni sociali, in piena fedeltà al Vangelo e all’insegnamento della Chiesa”. E’ il breve ritratto che Giovanni Paolo II fa del cardinale belga Jan Pieter Schotte, il presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (ULSA) che si è spento ieri pomeriggio, al Policlinico Gemelli di Roma, all’età di 78 anni. Nel suo telegramma di cordoglio, il Papa ricorda “con animo grato” la “solerte collaborazione” prestata per tanti anni dal porporato alla Santa Sede, e “specialmente – scrive - il suo generoso servizio come segretario generale del Sinodo dei vescovi”. Ricoverato dallo scorso mese di dicembre, il cardinale Schotte aveva ricevuto, venerdì scorso, la speciale benedizione del Santo Padre dalle mani del sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Leonardo Sandri, che si era recato a fargli visita. I funerali, presieduti da Giovanni Paolo II, saranno celebrati solennemente venerdì prossimo, 14 gennaio, alle ore 11, presso l’Altare della Confessione nella Basilica vaticana.

 

         Membro illustre, da 59 anni, della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, nella quale entra diciottenne, a Bruxelles, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il giovane religioso viene ordinato sacerdote nel 1952 e in seguito completa gli studi nelle Università Cattoliche di Lovanio e di Washington. Ricopre numerosi incarichi di docenza in patria e diviene rettore del seminario statunitense del suo Congregazione finché, nel 1967, venne a Roma come segretario generale del suo Istituto. Per tutti gli anni Settanta, e fino alla metà del 1980, il futuro cardinale lavora a servizio della Santa Sede assumendo molti incarichi come membro di Commissioni pontificie o di gruppi congiunti di lavoro.

 

Il 6 gennaio del 1984, Giovanni Paolo II lo ordina vescovo. Diviene arcivescovo l’anno successivo, assumendo la carica di segretario generale del Sinodo mondiale dei vescovi e ricoprendola fino allo scorso anno. In questa veste, mons. Schotte prende parte ai vari Sinodi continentali, speciali e ordinari, che si susseguono nel corso degli anni. Nel 1989 assume la responsabilità del nuovo Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, oltre ad espletare numerosi incarichi come consultore di Commissioni pontificie. Tra gli anni Settanta e Ottanta, rappresenta la Santa Sede in occasione di vari incontri internazionali, in qualità di membro di delegazioni vaticane. Giovanni Paolo II gli impone la berretta cardinalizia nel Concistoro del 26 novembre del 1994. Numerose le onorificenze che gli vengono conferite. In particolare è Commendatore con Stella dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Commendatore dell'Ordine di Leopoldo, Belgio, Ufficiale de La Légion d'Honneur, Francia.

 

Con la morte del porporato, il Collegio cardinalizio risulta ora composto di 184 cardinali, di cui 120 elettori e 64 non elettori.

 

 

IL BILANCIO DEL MAREMOTO SUPERA I 157 MILA MORTI. A GINEVRA,

L’ONU CHIEDE ANALOGA SOLIDARIETA’ ANCHE CON LE ALTRE CRISI UMANITARIE

MONDIALI. GLI AIUTI DELLA SANTA SEDE ALLE POPOLAZIONI COLPITE DALLO TSUNAMI

- Intervista con mons. Karel Kasteel -

 

Continua a crescere il bilancio delle vittime travolte dallo tsunami di domenica 26 dicembre. Sono oltre 157 mila, di cui più di 100 mila solo in Indonesia, dove i ribelli indipendentisti, che fino ad oggi ostacolavano le operazioni di soccorso, hanno comunicato che daranno libero accesso agli operatori umanitari internazionali, garantendo loro l’incolumità. A Ginevra, intanto, è in corso la conferenza dei Paesi donatori, presieduta dal coordinatore ONU per l'emergenza Jan Egeland, il quale - in apertura dei lavori - ha invitato la comunità internazionale ad estendere la generosità che si è manifestata in Asia alle altre 14 crisi umanitarie in atto nel mondo, dodici delle quali in Africa, che colpiscono complessivamente oltre 25 milioni di persone. Anche la Chiesa, fin dai primi istanti della tragedia, ha messo in campo tutta la sua consolidata esperienza in fatto di aiuto alle popolazioni colpite da calamità. In particolare, sull’impegno della Santa Sede Giovanni Peduto ha intervistato mons. Karel Kasteel, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum:

 

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R. – Il Santo Padre in primo luogo è stato costantemente attento all’evolvere della situazione. Penso sia stato il primo a lanciare un appello forte alla comunità internazionale e ha disposto un primo invio di aiuto alle popolazioni colpite non solo del sudest asiatico, ma anche nei Paesi africani che si affacciano sull’Oceano indiano. Per incarico di Giovanni Paolo II, il Pontificio Consiglio Cor Unum, attraverso le rispettive rappresentanze pontificie, ha inviato soccorsi d’urgenza in Indonesia, Sri Lanka, India, Thailandia, Somalia, Tanzania… In seguito, il nostro presidente visiterà i luoghi, per concordare con i nunzi che già sono stati - anche con notevoli sacrifici - a visitare i luoghi, e quindi con i vescovi, quali altre azioni intraprendere. Naturalmente, la Santa Sede rappresenta la Chiesa universale e posso testimoniare che non ricordo un coro così unanime di solidarietà fraterna: ogni giorno arrivano lettere, telefonate, messaggi per dire che è stata raccolta la tale cifra, adottata la tale iniziativa… Noi abbiamo un conto corrente postale sul quale la gente volendo può versare: è il n° 101010. Abbiamo inoltre un conto corrente sulla Banca di Roma. Quindi, chi intende aiutare quelle popolazioni può farlo in diversi modi, anche tramite la Caritas o qualunque altro organismo riconosciuto.

 

D. – Quanto è stato raccolto finora in denaro e in altri aiuti? Può quantificarlo?

 

R. – No, non si può quantificare perché non lo sappiamo: è ancora troppo recente. Il denaro ricevuto verrà reso noto in seguito, come d’abitudine qui, presso il Pontificio Consiglio Cor Unum, come dicastero della carità del Papa. Ma in questo momento, non posso dire ancora niente perché, semplicemente, non abbiamo dati.

 

D. – Come considera la solidarietà internazionale emersa di fronte a questa tragedia?

 

R. – Formidabile! Si è levato questo coro unanime di solidarietà fraterna, con risposte concrete agli appelli delle popolazioni colpite. La Conferenza episcopale italiana è stata una delle prime, con una somma molto cospicua: 3 milioni di euro. Poi, la rete Caritas ha subito raccolto oltre due milioni di dollari americani, mentre Caritas di molte parti del mondo hanno inviato esperti sul posto per sostenere l’opera delle varie Caritas nazionali, giacché quando si produce un fenomeno così forte – mi pare che l’ultimo tsunami di questa intensità fosse quello in Cile, che distrusse Concepción nel 1960, quindi più di 40 anni fa - le Caritas locali a volte non hanno la capacità di accogliere gli aiuti necessari, e dunque hanno bisogno anche di un aiuto logistico. Mi preme anche dire qui che il Jesuit Refugee Services - una delle opere più belle della Compagnia di Gesù, tra le molte, voluta da padre Arrupe quando era generale - ha già compiuto meraviglie appoggiando le opere delle Chiese locali.

 

D. – Sta nascendo, a seguito di questa tragedia, anche una nuova possibilità di collaborazione interreligiosa: che Le pare?

 

R. – Senza dubbio. Così come fu esattamente un anno fa, il 26 dicembre 2003, quando ci fu un terremoto terribile a Bam, in Iran: lì nacque un dialogo interreligioso. Lo stesso sta avvenendo in Indonesia, ad Aceh, che fa parte dell’arcidiocesi di Medam, nella zona in cui lo tsunami ha fatto maggiori danni – ma tutta la costa di Sumatra ne ha subito le conseguenze – e sta accadendo nonostante la presenza cattolica sia abbastanza ridotta. Sono già in corso colloqui molto, molto positivi anche con i buddisti e con le altre religioni in Sri Lanka e altrove. In genere, questo tipo di disastro fa capire agli uomini che l’umanità è una e promuove fortemente il dialogo interreligioso ed ecumenico, e questo noi lo auspichiamo fortemente. Vediamo con gioia che immediatamente sono state aperte le chiese, i conventi nei luoghi dove noi abbiamo queste strutture, e dove le popolazioni di qualsiasi appartenenza religiosa hanno potuto trovare almeno un tetto e le prime cure e la prima assistenza, soprattutto per i bambini: il cibo e l’acqua.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina l'udienza di Giovanni Paolo II al Sinodo Intereparchiale delle Eparchie Italo-Albanesi in Italia.

Il vostro Sinodo - ha auspicato il Papa nell'occasione - contribuisca a favorire un rinnovato annuncio dell'Evangelo e un vigoroso slancio ecumenico in ogni vostra comunità. 

Un articolo di Andrea Riccardi dal titolo "...E continuerò ad intervenire per indicare le vie della pace": il discorso di Giovanni Paolo II al Corpo diplomatico.

Sempre in prima, il telegramma di cordoglio del Papa per la morte del cardinale Jan Pieter Schotte. Nelle vaticane, la dettagliata biografia del compianto porporato.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata alla figura del Servo di Dio don Salvatore Vitale, fondatore della "Piccola Casetta di Nazareth".

 

Nelle estere, Medio Oriente: Abu Mazen si dice pronto a trattare con Israele.

Per la rubrica dell'"Atlante geopolitico" un articolo di Pierluigi Natalia dal titolo "Sudan: primi passi per costruire la pace".

 

Nella pagina culturale, un articolo di Mario Spinelli dal titolo "Icone architettoniche delle radici cristiane dell'Europa": una pubblicazione illustrata sui più rappresentativi monasteri del Vecchio Continente.

Per "L'Osservatore libri" un articolo di Angelo Marchesi in merito a due pubblicazioni dei "Cahiers de l'Ecole cathedrale".

 

Nelle pagine italiane, in primo piano l'apertura dell'anno giudiziario.

Elezioni: la Lega da sola alle regionali; mentre l'Ulivo ritrova l'unità. 

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

11 gennaio 2005

 

APPREZZAMENTI E SPERANZE DALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER L’ELEZIONE

 DI ABU MAZEN ALLA PRESIDENZA DELL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE

- Intervista con Marcella Emiliani -

 

Comincia l’attività per il nuovo presidente palestinese Abu Mazen. Previsto, a breve, un colloquio tra il successore di Arafat e il governo israeliano. Questa la speranza espressa sia dal nuovo capo dello Stato, sia dal premier ebraico Sharon. Intanto, il premier israeliano Sharon ha strappato alla Knesset il “sì” al nuovo governo di coalizione formato con i laburisti. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Il primo ministro d’Israele, Sharon, così come il presidente dello Stato, Moshé Katzav, ha chiamato al telefono il neo presidente palestinese, Abu Mazen, per felicitarsi della sua elezione. Hanno convenuto di incontrarsi presto - la data non è stata ancora fissata – per riattivare il dialogo principalmente su questioni di sicurezza, anche perché - come previsto dalla road-map, il piano di pace sostenuto dalla comunità internazionale – occorre che finiscano tiri di missili, di obici e di mortaio dei guerriglieri palestinesi sui villaggi dei coloni ebrei della Striscia di Gaza - oggi, fra l’altro, è stata colpita una sinagoga con dei fedeli in preghiera, ma non ci sono state vittime – ed anche sul territorio israeliano: quattro i missili caduti sulla città di Sroth, danneggiate soltanto delle automobili. Di questa esigenza, ha parlato oggi il ministro della Difesa israeliano, durante la nella prima riunione del governo di coalizione, che ieri sera aveva raccolto una risicata maggioranza in Parlamento. Ha chiesto che colloqui siano presto avviati da militari israeliani e palestinesi preposti alla sicurezza. E su questo sembra sia d’accordo Abu Mazen, che in mattinata ha riunito il suo Consiglio di sicurezza. Tuttavia, egli insiste perché il dialogo con Israele, così come chiede l’elettorato che gli ha data la vittoria, affronti subito i temi del ritiro dei soldati dai Territori e la scarcerazione dei detenuti.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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L’elezione di Abu Mazen sembra aver dunque riaperto spiragli di dialogo. Ma molto dipende da come il nuovo leader palestinese saprà gestire gli equilibri interni. Lo conferma Marcella Emiliani, docente di Sviluppo politico del Medio Oriente all’Università di Bologna, intervistata da Andrea Sarubbi:

 

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R. – Il problema sta nel rapporto che Abu Mazen riuscirà ad instaurare con Hamas e con la Jihad islamica. Sappiamo già che negli apparati di sicurezza palestinesi c’è una grossa parte che non è disponibile a reprimere eventuali azioni terroristiche di Hamas. Dunque, va trovato un accordo al più presto proprio su questo punto, che è il punto-chiave di tutto.

 

D. – Ecco: Arafat non è riuscito a tenere fermi gli estremisti. In cosa si differenzia, ora che c’è Abu Mazen, il rapporto con Hamas?

 

R. – Assolutamente in niente. Nel senso che se scoppia anche solo una bomba, Sharon dirà di Abu Mazen quello che ha detto di Arafat. Abu Mazen adesso deve dar prova di saper reprimere o comunque di arrivare ad un compromesso per una tregua con Hamas e la Jihad islamica. Sharon aspetta solo quello. Ma se non c’è questa prova dei fatti, non si arriverà assolutamente a nessun tipo di accordo.

 

D. – Ammettiamo, però, che le violenze si plachino. Secondo lei, quali sono gli aspetti di cui Abu Mazen e Sharon dovranno parlare subito?

 

R. – Bisogna recuperare un quadro negoziale, prima ancora di incominciare a parlare di qualsiasi cosa, e questo penso che sarà l’argomento principale della loro conversazione. Poi, se raggiungono un accordo sul ritiro unilaterale da Gaza, allora può ripartire tutto il grande quadro negoziale della road-map anche con la grande assistenza internazionale del quartetto, cioè Stati Uniti, Unione Europea, ONU e Russia.

 

D. – Quindi, lei crede che la road-map abbia ancora un futuro?

 

R. – Indubbiamente sì, perché il conflitto israelo-palestinese è un conflitto ormai troppo vecchio e anche i grandi sponsor internazionali – sto pensando agli Stati Uniti – hanno tutto l’interesse che venga composto, perché ormai la priorità è rappresentata dall’Iraq. Passi avanti nel conflitto israelo-palestinese potrebbero addirittura aiutare gli Stati Uniti in una opera di stabilizzazione dell’Iraq e anche di disimpegno militare dall’Iraq.

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PROSEGUE A BETLEMME E GERUSALEMME LA MISSIONE DEI VESCOVI EUROPEI ED

AMERICANI PER ESPRIMERE LA SOLIDARIETÀ DELLE PROPRIE CHIESE,

AI CRISTIANI DI TERRA SANTA

- A cura di Roberto Piermarini -

 

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Il “Gruppo di Coordinamento” per la Terra Santa dei vescovi europei ed americani che in questi giorni sta incontro gli Ordinari cattolici locali a Betlemme e Gerusalemme, questa mattina ha visitato a Betlemme due scuole cattoliche che accolgono 600 bambini, un ospedale pediatrico ed un orfanotrofio. Come ci spiega l’arcivescovo di Liverpool, Patrick Kelly, che fa parte della delegazione, i maggiori problemi per la cura dei bambini negli ospedali locali nascono dalle difficoltà di movimento tra Territori palestinesi e Israele, dove migliori sono le strutture mediche:

 

R. – L’ospedale, qui, non può fare tutti gli interventi chirurgici ed è molto difficile raggiungere un ospedale più grande che le possa eseguire. Per questo, per andare da Betlemme a Gerusalemme servono due ambulanze: una fino al check-point e poi un’altra che può entrare in territorio israeliano. Si comprende come questo sia dannoso per i bambini malati.

 

D. – Qual è, eccellenza, la situazione delle scuole?

 

R. – Ci sono gli stessi problemi, perché qui la vita dipende dai pellegrinaggi e dal turismo dei cristiani. Si risente fortemente della mancanza dei pellegrini: questo significa che non c’è lavoro e che le famiglie non hanno il denaro per mandare i figli a scuola.

 

D. – Si avverte l’esodo dei cristiani dalla Terra Santa?

 

R. – Questo è un grande problema. Anche se i giovani si diplomano o si laureano, poi non riescono a trovare lavoro, qui, e quindi se ne vanno. Il nunzio ha parlato di un villaggio dal quale sono partite, l’anno scorso, migliaia di persone, e quasi tutti erano cristiani.

 

Toccante la visita del gruppo dei vescovi all’orfanatrofio di Betlemme, che accoglie 40 bambini in gran parte provenienti da famiglie musulmane e retto dalle Suore di San Vincenzo de Paoli. Sulla dedizione totale delle religiose verso i piccoli orfani: la testimonianza del vescovo di Urgell in Andorra, Joan Enric Vives:

 

R. – Fanno un gran lavoro con i bambini e con le donne, e si impegnano tanto per la vita, perché la donna musulmana che aspetta un bambino e non è sposata è una grande offesa per la famiglia. Perciò, malgrado si dica che lo Stato qui è laico, è molto condizionato dalla legge islamica e non consente un’adozione diretta. Ho chiesto alle suore perché non fosse prevista l’adozione internazionale: sicuramente tante persone dall’Europa o dagli Stati Uniti vorrebbero poter adottare. Ma non è possibile, perché le autorità non consentono di adottare questi bambini.

 

D. – Chi finanzia questo orfanotrofio?

 

R. – In parte, la Chiesa francese e poi ci sono donazioni: mi hanno detto che è la Provvidenza, perché arrivano aiuti ma non sono “regolari” ...

 

D. – Che cosa l’ha colpita, dell’aiuto che la Chiesa dà ai Territori autonomi palestinesi?

 

R. – Penso che ci siano altre organizzazioni, come le ONG che fanno il nostro lavoro. E’ molto importante però ricordare che la Chiesa è qui da 100-125 anni: questo orfanotrofio esiste da 125 anni, ad esempio. Le altre istituzioni sono scuole, ospedali ... E’ importante ricordare che la Chiesa non opera solo limitatamente nel tempo, ma rimane. Questa è la specificità della nostra carità: non è per un tempo, ma è un compromesso che dura tutta una vita e per la vita. Anche le famiglie cristiane fanno quanto è in loro potere fare.

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IL SUDAN IN FESTA PER L’ACCORDO DI PACE:

ORA BISOGNA RICOSTRUIRE IL TESSUTO SOCIALE E DEMOCRATICO DEL PAESE

- Intervista con padre Giuseppe Puttinato -

 

Migliaia di persone nelle città del sud del Sudan stanno festeggiano con canti e danze lo storico accordo di pace firmato domenica scorsa a Nairobi, che ha messo fine al più lungo conflitto interno in Africa. Nel Paese si apre ora una nuova fase storica. Grandi sono le speranze della popolazione del Sud, cristiane e animiste, le più duramente provate dai 21 anni di guerra civile tra la guerriglia sudista e il regime islamico di Khartoum. Sono oltre 4 milioni gli sfollati che nel conflitto hanno perso tutto: cosa potrà cambiare per loro? Barbara Castelli ne ha parlato con padre Giuseppe Puttinato, direttore del Comboni College di Khartoum:

 

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R. – Per il momento niente è cambiato. Si spera, naturalmente, che implementando questi accordi la situazione migliori. C’è molto da fare nella ricostruzione del Paese, delle infrastrutture, soprattutto ospedali, vie di comunicazione, strade... La gente semplice adesso è entusiasta e dice che tutto andrà bene. Ma chi ha un po’ di esperienza - tanto i sudanesi, quanto gli stranieri - non sa quanto cambierà la situazione, almeno nell’immediato. 

 

D. – Qual è l’impegno della Chiesa in questo processo e qual è il suo rapporto con le altre confessioni religiose?

 

R. – Mi pare che l’influenza della gerarchia ecclesiastica cattolica o anche delle altre confessioni religiose sia stata minima questa volta. E’ stata una pace fatta soprattutto per interessi economici, per la presenza del petrolio. Non è una pace fatta dal popolo sudanese. E si può dire che neppure la guerra è stata fatta dal popolo sudanese: qui da sempre convivono cristiani e musulmani. Quindi, queste tensioni sono state create dai politici ed anche la guerra è stata fatta dai politici, così come la pace, mentre la gente va avanti in gran parte con il principio della coesistenza pacifica: convive e lavora insieme.

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CHIESA E SOCIETA’

11 gennaio 2005

 

 

“LO TSUNAMI NON HA FATTO DISTINZIONI DI RELIGIONE E NAZIONALITÀ: COSÌ ANCHE L’ASSISTENZA E IL SOCCORSO NON DEVONO FARE ALCUNA DISCRIMINAZIONE”.

E’ L’INVITO DI PADRE RAMON BERNABE, SUPERIORE DEGLI OBLATI

DI MARIA IMMACOLATA NELLE FILIPPINE, DOVE CRISTIANI E MUSULMANI

STANNO COLLABORANDO CON OPERE DI SOLIDARIETA’

PER LE POPOLAZIONI COLPITE DAL MAREMOTO

 

MANILA. = Di fronte alla tragedia che ha investito il Sud-Est asiatico, il dialogo interreligioso tra cristiani e i musulmani nelle Filippine è cresciuto. Lo affermano, in una nota inviata all’agenzia vaticana Fides i Missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) presenti nel Paese, che hanno attivato con successo una grande campagna di raccolta fondi per le popolazioni colpite dallo tsunami. La depressione tropicale e i tifoni che hanno investito le Filippine all’inizio di dicembre 2004, facendo oltre 1.500 vittime nella parte orientale dell’isola di Luzon, sono un ricordo molto recente e la popolazione sa bene cosa significhi la furia della natura, capace di portare morte e distruzione. Per questo, i cittadini stanno rispondendo con generosità mostrando la loro grande inclinazione verso la solidarietà. Gli Oblati in Asia e Oceania, in accordo con l’Ufficio Giustizia e Pace della Curia generalizia di Roma, hanno creato un coordinamento per gli aiuti, che saranno destinati alle missioni degli Oblati che operano nei Paesi colpiti, ha spiegato padre Ramon Bernabe, superiore provinciale OMI nelle Filippine. “E’ importante ricordare – sottolinea il religioso – che questa tragedia non ha fatto distinzioni di razza, cultura, religione, nazionalità: così anche l’assistenza e il soccorso non devono fare alcuna discriminazione e raggiungere soprattutto i più deboli e i più vulnerabili come i bambini”. (R.M.)

 

 

“SE LO STATO VUOLE CHE LA CHIESA CONTINUI AD ESSERE SIMBOLO DI DIALOGO

E DI RICONCILIAZIONE, DOVRÀ GARANTIRLE IL DIRITTO DI ILLUMINARE LE REALTÀ

TEMPORALI SECONDO I DETTAMI DEL VANGELO”. COSÌ, IL NUNZIO APOSTOLICO

IN VENEZUELA, L’ARCIVESCOVO ANDRÉ DUPUY,

ALL’83.MA ASSEMBLEA DEI VESCOVI VENEZUELANI

 

CARACAS. = Tutto incentrato sulla richiesta di riforme a favore della tutela dei diritti umani, il discorso di apertura della 83.ma Assemblea dei vescovi venezuelani, pronunciato dal presidente, mons. Baltasar Porras. Le recenti modifiche apportate al Codice penale e al Tribunale supremo di giustizia, che prevede l’allargamento dei componenti da 20 a 32, preoccupa il presule che, durante la sua riflessione ha sottolineato che “le leggi devono essere approvate con un largo consenso affinché possano rispondere alle esigenze di tutti”. Se così non fosse,  “si inasprirebbero i toni del conflitto sociale e lo scontro tra le parti politiche, mentre l’impegno permanente della Chiesa è, e rimane, quello della difesa dell’essere umano”. Prettamente dedicato a temi di attualità, invece, il discorso del nunzio apostolico in Venezuela, l’arcivescovo André Dupuy il quale, rivolgendosi ai presuli, ha affermato: “Siate testimoni della vera speranza in questo momento di difficoltà che sta segnando il Paese. Da quattro anni condivido con voi gioie e speranze, tristezze e angustie di questo popolo”. “Oggi, in particolare – ha specificato il nunzio – incombono due minacce: la superbia e il fatalismo. La prima ha indotto Pietro a rinnegare, mentre la seconda ha spinto Giuda a tradire”. “Sono convinto – ha aggiunto – così come lo siete voi, che la Chiesa deve essere per tutti messaggera della vera speranza”. L’arcivescovo Dupuy ha poi posto l’accento sul rilancio dei valori: “In una società segnata da una crisi senza precedenti, abbiamo bisogno dei valori e di quella forza espressa dai profeti dell’Antico Testamento, così che la Chiesa rimanga sempre punto di riferimento spirituale e morale”. Allora, “se lo Stato vuole che la Chiesa continui ad essere simbolo di dialogo e di riconciliazione, dovrà riconoscerle e garantirle il diritto di illuminare le realtà temporali secondo i dettami del Vangelo”. E questo, secondo il diplomatico vaticano, “anche quando vengono contraddette le opinioni e gli interessi particolari”. Infine un appello: “Dobbiamo essere umili e realisti al tempo stesso. Evitiamo di abbatterci nei momenti più bui, così come dobbiamo usare cautela a non lasciarci andare all’ottimismo quando lo scenario sembra più favorevole. Non chiudiamo gli occhi e stiamo bene attenti che la nostra speranza non si traduca in rassegnazione o, peggio, in violenza”. (D.D.)

 

 

APPELLO DEL VESCOVO DI SAN SEBASTIAN IN FAVORE DI UN ATTEGGIAMENTO

DI RIFLESSIONE E RISPETTO RECIPROCO RIGUARDO ALLA “PROPOSTA DI STATUTO

POLITICO DELLA COMUNITÀ DI EUSKADI”

APPROVATO DAL PARLAMENTO BASCO IL 30 DICEMBRE SCORSO

- A cura di padre Ignacio Arregui -

 

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SAN SEBASTIAN. = In occasione dell’approvazione nel Parlamento Basco, lo scorso 30 dicembre di una “Proposta di Statuto politico della Comunità di Euskadi”, sulla trasformazione del Paese basco in nazione liberamente associata alla Spagna, è in corso un forte dibattito politico che ha meritato anche l’intervento della Conferenza episcopale spagnola. Tra gli interventi anche quello di mons. Juan Maria Uriarte, vescovo della città basca di San Sebastiàn, che in una lettera indirizzata ai suoi fedeli invita tutti “senza protezionismi ne interventismi ecclesiali” ad “analizzare con attenzione la situazione reale, esaminare la legittimità degli obiettivi e dei mezzi utilizzati per raggiungerli e soppesare le conseguenze prevedibili dell’applicazione dei differenti modelli”. “Non dovranno mai perdere di vista – sottolinea il presule – lo scopo principale della pace e della riconciliazione della nostra società”. Riferendosi alla nota della Conferenza episcopale spagnola del 7 gennaio 2005 (RG 8/1/2005), che invece prende posizione contro l’attuale progetto di un nuovo Statuto per i Paesi Baschi, mons. Uriarte ricorda che “né l’aspirazione alla sovranità, né l’adesione ad un autogoverno maggiore o minore, né la preferenza per una integrazione più o meno stretta con lo Stato spagnolo, sono, in linea di principio, per la Chiesa ‘dogmi politici’ tali da richiedere un appoggio incondizionato” (cfr. RG, 1/06/2002). Per quanto riguarda l’Istruzione Pastorale della Conferenza episcopale spagnola del 22 novembre del 2002, alla quale fa riferimento la nota del 7 gennaio scorso, il vescovo di San Sebastiàn, ricorda che essa non è vincolante per la formazione del criterio morale della Comunità cattolica di Guipuzcoa, dato che è uno scritto pastorale, non un documento dottrinale approvato all’unanimità dei vescovi, né ratificato dalla Santa Sede”. Da parte sua, l’arcivescovo di Barcellona, cardinale Ricardo Maria Carles, il 30 novembre del 2002 aveva dichiarato che l’Istruzione Pastorale “non richiede un grado di adesione pari a quello di un documento di natura dottrinale” e aggiunge che “la discrepanza che si può registrare su alcuni punti” va situata nel “solco dell’esercizio del legittimo pluralismo delle opinioni politiche dei cristiani” (RG 1/XII/2002).

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IN CINA, TRA IL 60 E L’80 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE MUORE PERCHE NON PUÒ PERMETTERSI CURE MEDICHE. E’ QUANTO EMERGE DA UNA RICERCA SVOLTA NEL 2004 SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE E PRESENTATA IERI A PECHINO

DAI VICE MINISTRI DELLA SANITÀ CINESE

 

PECHINO. = Almeno il 48,9 per cento dei cinesi non riceve cure mediche e il 29,6 per cento dei pazienti interrompe le cure subito dopo il ricovero. Nelle zone urbane della Cina, dove si trova l’80 per cento dei centri ospedalieri, il 45 per cento della popolazione è senza copertura assicurativa, mentre nelle zone rurali, dove solo lo scorso anno sono morte 190 mila persone, i non-assicurati sono il 79 per cento. Inoltre, il costo delle cure mediche ospedaliere nel Paese continua ad aumentare: solo l’anno scorso l’incremento è stato dell’11 per cento. Questi sono solo alcuni dei dati presentati ieri a Pechino dai vice ministri della Sanità cinese, Gao Qiang e Zhu Qingsheng, sulla base di una ricerca svolta nel 2004 su tutto il territorio nazionale. Qingsheng ha sottolineato che fra il 40 e il 60 per cento dei contadini non ha mai potuto permettersi cure mediche, e che per lo stesso motivo fra il 60 e l’80 per cento dei cittadini cinesi muore senza poter andare in ospedale. Le cause di questa situazione, in un Paese che cresce con un incremento del prodotto interno lordo dell’8 per cento annuo, sono la mancanza di risorse, la penuria di fondi governativi e la bassa professionalità della classe medica. Qiang ha delineato un piano d’azione che prevede il rafforzamento delle infrastrutture sanitarie, la prevenzione di malattie gravi, la riduzione del costo dei farmaci e l’aumento del 15 per cento dei contributi statali per affrontare le cure mediche dei singoli individui. E’ in programma anche l’invio nelle zone rurali di 10 mila medici, per affrontare le situazioni d’emergenza e per istruire i colleghi sulle nuove tecnologie. Il governo ha promesso un controllo più severo sui prezzi dei farmaci e verificherà le licenze professionali in campo medico e farmaceutico. (R.M.)

 

 

“TRENTUNO DOMANDE SULL’ADORAZIONE DEL SANTISSIMO SACRAMENTO”.

E’ IL TITOLO DELL’OPUSCOLO PUBBLICATO DALLA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI, PER SPIEGARE SIGNIFICATO E MODALITA’ RITUALI DELL’ADORAZIONE EUCARISTICA E INCORAGGIARE I FEDELI A PRATICARLA ASSIDUAMENTE

 

WASHINGTON. = Un opuscolo per spiegare il significato e le modalità rituali dell’adorazione eucaristica e quindi incoraggiare i fedeli a praticarla assiduamente. Lo ha pubblicato la Commissione liturgica della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (USCCB), in occasione dell’Anno dell’Eucaristia, con il titolo: “Trentuno domande sull’adorazione del Santissimo Sacramento”. “L’adorazione eucaristica – vi si legge - estende la Santa Comunione in modo duraturo, preparandoci a partecipare più pienamente alla celebrazione del Mistero eucaristico” e, come afferma il Santo Padre, “è un’importante pratica quotidiana che diviene una fonte inesauribile di santità”. Citando Paolo VI, l’opuscolo evidenzia la dimensione sociale dell’adorazione eucaristica: “La devozione alla Divina Eucaristia esercita una grande influenza sull’anima, spronandola all’amore ‘sociale’, in cui anteponiamo il bene comune al nostro bene particolare”. Esso ricorda come la Chiesa raccomandi l’esposizione e l’adorazione dell’Eucaristia per un periodo congruo nel corso dell’anno in tutte le chiese e oratori e come essa sia una “celebrazione pubblica”, accompagnata da riti liturgici, non una devozione privata. Nel volume figurano anche ampie appendici con la normativa canonica sul culto dell’Eucaristia fuori dalla Messa, sull’adorazione del Santissimo solennemente esposto nell’ostensorio o riposto nel tabernacolo e sulle processioni e i congressi eucaristici. (L.Z.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

11 gennaio 2005

- A cura di Amedeo Lomonaco e Rita Anaclerio -

 

Con l’avvicinarsi delle elezioni si intensificano, in Iraq, gli attacchi della guerriglia: almeno sei agenti sono rimasti uccisi per l’esplosione di un’autobomba nei pressi di un posto di polizia a Tikrit, città natale dell’ex dittatore Saddam Hussein, dove si concentra tuttora la resistenza sunnita. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo legato al terrorista giordano, Al Zarqawi. Sempre nel nord del Paese, è stato danneggiato l’oleodotto che collega Kirkuk alla raffineria di Beiji. Le violenze non hanno risparmiato neanche la capitale ed il sud dell’Iraq. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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A Baghdad, uomini armati hanno attaccato un minibus uccidendo 8 persone. I guerriglieri hanno anche sequestrato tre civili. Non si sa ancora chi fossero i passeggeri a bordo del mezzo: secondo le prime informazioni raccolte, potrebbe trattarsi di reclute o di pellegrini. In un’altra imboscata compiuta al passaggio di un convoglio americano nei pressi di Mahmudiyah, 25 chilometri a sud della capitale, sono morti tre iracheni. Secondo fonti della polizia, tra i soldati statunitensi non ci sono state vittime. Anche il sud dell’Iraq è stato sconvolto da episodi di violenza: a Bassora un attentatore suicida è morto e sette persone sono rimaste ferite in due distinti attentati condotti, ieri sera, contro un edificio del Ministero dell’interno ed un posto di polizia. Per cercare di stabilizzare la situazione in vista della consultazione del prossimo 30 gennaio, il governo britannico ha deciso di inviare altri 400 soldati nel Paese arabo. In Ucraina, il Parlamento si è pronunciato oggi per il ritiro immediato del continente militare dispiegato in Iraq. Il ministro degli Esteri di Parigi, Barnier, ha ribadito, infine, che sulla sorte della giornalista francese e del suo autista, dei quali non si hanno più notizie da mercoledì scorso, non c’è alcun dato in grado di avvalorare l’ipotesi del rapimento.

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Cuba ha ripristinato i contatti con tutti i Paesi dell’Unione Europea, dopo oltre un anno e mezzo di tensione diplomatica. Ad annunciarlo il ministro degli Esteri dell’Avana, Felipe Perez Roque. L’UE aveva congelato i suoi rapporti con l’isola caraibica per protestare contro un giro di vite del governo di Fidel Castro contro i dissidenti.

 

La Commissione Europea e l’Iran riprenderanno domani a Bruxelles i negoziati per la firma di un accordo di commercio e di cooperazione, in seguito alla decisione di sospendere le attività di arricchimento dell’uranio da parte del governo iraniano.

 

In Iran, sono 110 le persone rimaste ferite per la scossa, con magnitudo di 5,8 gradi della scala Richter, avvenuta ieri sera nel nordest del Paese. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa “IRNA”, aggiungendo che la maggior parte dei feriti ha riportato conseguenze lievi.

 

Una delegazione composta da sei parlamentari statunitensi, guidata dal repubblicano Curt Weldon, è arrivata stamani in Corea del Nord. “Diremo ai funzionari di Pyongyang che l’amministrazione americana non ha intenzione di rovesciare il regime di Kim Jong Il”, ha detto prima della partenza Weldon. L’ammi-nistrazione di Washington sta tentando di portare il governo di Pyongyang al tavolo dei colloqui a sei tra Russia, Stati Uniti, Cina, Giappone e Corea del Sud sul programma nucleare.

 

Viktor Yushenko è ufficialmente il nuovo presidente dell’Ucraina. Lo ha reso noto la commissione elettorale pubblicando i dati ufficiali del ballottaggio: Yushenko ha ottenuto il 51,99 per cento dei voti mentre l’ex premier Yanukovic ha conquistato il 44,2 per cento delle preferenze.

 

Le crisi in Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo e regione sudanese del Darfur: sono questi i temi al centro del Consiglio di pace e sicurezza dell'Unione Africana, riunito – per la prima volta a livello di capi di Stato – da ieri a Libreville, in Gabon. Nel corso dei lavori, presieduti dal capo di Stato gabonese, Omar Bongo, i leader africani hanno studiato la possibilità di un referendum su una riforma costituzionale in Costa d’Avorio. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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In qualità di presidente di turno del Consiglio, Bongo ha sottolineato l’urgenza di passare dalle parole ai fatti, per quanto riguarda l’impegno a rinunciare alla violenza e giungere così alla pace nelle aree di crisi. Una quindicina i capi di Stato erano presenti al summit. Il presidente ivoriano, Laurent Gbagbo, che in un primo tempo aveva fatto sapere di aver declinato l’invito, si è invece presentato a sorpresa a Libreville. Fonti diplomatiche hanno poi riferito che la partecipazione del presidente Gbagbo al vertice era stata tenuta segreta per motivi di sicurezza. Al summit di Libreville, che si concluderà oggi, l’euforia dell’intesa di Nairobi che ha sancito la pace nel Sudan meridionale, rischia di essere smorzata dalle polemiche e dalle divisioni interne. Ieri, ad esempio, l’opposizione ivoriana, in coincidenza del vertice di Libreville, ha accusato il presidente Gbagbo di voler sferrare un nuovo attacco contro il nord del Paese.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Potrebbe essere rilasciato su cauzione l’ex dittatore, Augusto Pinochet, agli arresti domiciliari da mercoledì scorso per incriminazioni relative al “Piano Condor”. Il titolare dell’inchiesta, il giudice Guzman, gli ha concesso la libertà provvisoria imponendogli però una cauzione di 3.500 dollari. Si attende ora il pronunciamento della Corte d'appello, che dovrà confermare l'ordine di rilascio.

 

Il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria, ha rieletto come mediatore europeo, a Strasburgo, il greco Nikiforos Diamandouros, che ha ottenuto 564 voti contro i 45 dello sfidante, l'italiano Giuseppe Fortunato, difensore civico presso la regione Campania e presidente dell'Associazione nazionale dei difensori civici italiani.

 

Dopo il maltempo che ha colpito questo fine settimana i Paesi del nord Europa, causando la morte di 14 persone, i servizi meteo hanno emesso nuovi avvisi di tempesta sulla stessa area. Si attendono venti con punte di 160 chilometri orari. La depressione del week end ha provocato un numero elevato di incidenti stradali, danneggiato reti elettriche e paralizzato le comunicazioni ferroviarie, marittime e stradali.

 

 

 

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