RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX
n.11 - Testo della trasmissione martedì
11 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il futuro del Sudan che festeggia
l’accordo di pace: ai nostri microfoni padre Giuseppe Puttinato
CHIESA E SOCIETA’:
In
corso a Caracas, fino al 13 gennaio, l’83.ma Assemblea dei vescovi venezuelani
Il
60-80 per cento della popolazione cinese muore perché non può permettersi cure
mediche
A meno di tre settimane
delle elezioni, si intensificano le violenze in Iraq: una ventina i morti negli
attentati a Tikrit e a Baghdad
Le crisi in Costa
d’Avorio, nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione sudanese del
Darfur al centro del vertice del Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione
Africana in Gabon
11
gennaio 2005
OFFRIRE UN NUOVO VIGORE AL CAMMINO ECUMENICO:
L’INCORAGGIAMENTO DEL PAPA ALLE COMUNITA’
ITALO-ALBANESI DI RITO BIZANTINO, RIUNITE IN SINODO A GROTTAFERRATA
“Un rinnovato
annuncio dell’Evangelo” e “un vigoroso slancio ecumenico”: è quanto si aspetta
Giovanni Paolo II dai lavori conclusivi del Sinodo Intereparchiale delle
Circoscrizioni di rito bizantino in Italia, in corso da ieri e fino a venerdì
prossimo a Grottaferrata. Stamani, in Vaticano, l’udienza del Papa ai
partecipanti, accompagnati dal prefetto della Congregazione per le Chiese
orientali, Ignace Moussa I Daoud. Il servizio di Roberta Gisotti.
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Risale al 1940 il primo Sinodo
delle due eparchie - equivalenti a diocesi - degli Italo-Albanesi, giunti nel
XV secolo dopo l’occupazione di Albania, Grecia e Balcani da parte degli
Ottomani: l’Eparchia di Lungro per quelli di Calabria e dell’Italia
continentale, e l’Eparchia di Piana degli Albanesi per quelli della Sicilia. A
queste si aggiunge il monastero esarchico di Grottaferrata, nei pressi di Roma,
l’antica e gloriosa abbazia di San Nilo, che risale all’anno Mille, erede del
monachesimo italo-greco, prima della rottura fra Oriente ed Occidente.
Riunito in questi giorni proprio
nella cittadina laziale, il Sinodo riflette sul tema “Comunione e annuncio
dell’Evangelo”. “Un tema quanto mai attuale” – ha detto il Papa – per le vostre
realtà ecclesiali “chiamate a testimoniare l’unità della stessa fede in diversi
contesti sociali”, e “che collaborano con le comunità di tradizione latina e
rafforzano sempre più la loro identità, facendo tesoro della loro millenaria
tradizione bizantina”. Giovanni Paolo II ha lodato l’impegno del Sinodo
incentrato sulla missione nel nostro tempo, “evitando un’indebita
trasformazione dell’identità spirituale”, e puntando sulla formazione del clero
e del laicato, perché sia “radicata nella tradizione orientale atta a
rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione”. Il
Papa ha poi assicurato che la Santa Sede, mediante la Congregazione per le
Chiese orientali, non mancherà di offrire “sostegno a quest’azione
rinnovatrice”. Ed infine, l’incoraggiamento “a proseguire – grazie alla comune
tradizione liturgica - i contatti con le Chiese ortodosse, desiderose anch’esse
di rendere gloria all’unico Dio e Salvatore” ed auspicando che il Signore
“conceda a tutti i credenti in Cristo di vivere appieno l’unità della medesima
fede”.
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ALTRE UDIENZE E NOMINE
Giovanni
Paolo II ha ricevuto questa mattina, in successive udienze, il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, l’arcivescovo Fernando
Filoni, nunzio apostolico in Giordania e in
Iraq, l’arcivescovo Aldo Cavalli, nunzio apostolico in Cile, e l’ambasciatore di Malta, James Farrugia, in visita di congedo.
In Paraguay, il Papa ha accettato la rinuncia al
governo pastorale della diocesi di San Pedro presentata dal vescovo Fernando
Lugo Mendez, dei Padri Verbiti, in
conformità al canone 401, paragrafo 2, del Codice di Diritto Canonico.
Il
Pontefice ha accolto la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’Eparchia di
Newton dei Greco-Melkiti presentata da mons. Nicholas James Samra.
VITA, PANE, PACE E LIBERTA’:
SULLE QUATTRO SFIDE LANCIATE IERI
DA GIOVANNI PAOLO II NEL DISCORSO AL CORPO DIPLOMATICO,
LA RIFLESSIONE DEL PROF. ANTONIO MARIA BAGGIO DELLA GREGORIANA
E DEL PROF. ANTONIO BIANCHI DELLA CATTOLICA DI MILANO
- A cura
di Alessandro Gisotti -
Difendere la vita sin dal
concepimento, distribuire equamente le ricchezze della terra, rifiutare la
violenza per costruire la pace, garantire la libertà degli individui e degli
Stati: sono le quattro grandi sfide per l’umanità tracciate ieri da Giovanni
Paolo II nella tradizionale udienza di inizio anno al Corpo Diplomatico
accreditato presso la Santa Sede. Le parole del Papa hanno suscitato una vasta
eco nell’opinione pubblica per l’attualità dei temi affrontati e soprattutto
per le vibranti esortazioni levate dal Pontefice. Quale dunque la forza di
questo discorso del Papa agli ambasciatori di 174 Paesi dei cinque continenti?
Ascoltiamo la riflessione del prof. Antonio Maria Baggio, docente di Etica
sociale alla Pontificia Università Gregoriana, intervistato da Alessandro
Gisotti:
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R. - La forza del discorso del
Papa, a mio avviso, sta nella visione integrale dell’uomo. La visione dell’uomo
e dei compiti dell’umanità, che il Papa propone, si basa appunto su un’impronta
unitaria che vede tutti gli aspetti e tutti i diritti della persona umana e
delle comunità umane.
D. – Il Pontefice ha messo un accento particolare su due temi: la
difesa della vita e la libertà religiosa, ancora oggi due diritti non completamente
tutelati in molti angoli del pianeta…
R. – Sì, questo è vero, e sono
due temi entrambi radicali. La vita certamente è la sfida più fondamentale
perché fonda tutte le altre. Una comunità politica, uno Stato, nasce e ha
sempre come centro del proprio obiettivo la tutela della vita dei propri
membri. D’altra parte, la sfida della libertà religiosa è fondamentale perché la
libertà religiosa è un’esponente, un indice, dell’esistenza di tutte le altre
libertà. La cosa interessante è che il Papa propone quattro sfide insieme e le
sfide sono collegate, perché se si tende a difendere soltanto la vita
disinteressandosi delle altre - del pane, della pace e della libertà - anche la
vita viene meno.
D. – Il Papa chiama all’unità i
popoli del mondo per affrontare le grandi sfide di oggi. Una via difficile,
anche se di fronte alla tragedia umanitaria, provocata dalla tsunami,
abbiamo assistito ad una risposta unitaria…
R. – La
risposta che abbiamo dato a questa enorme tragedia dell’Asia dimostra che è
possibile per tutti i popoli della Terra muoversi insieme. Il Papa non si
limita a rilevare la capacità di fare questo in maniera pratica: dà anche un
fondamento teorico-concettuale per fondare questa collaborazione. In ognuna
delle sfide, che il Papa lancia, compare come elemento unitario di tutta
l’umanità: l’idea di fraternità. Il Papa dice: Siamo prima di tutto fratelli.
Per cui riconosco mio fratello nella vita nascente a partire dal concepito, in
colui che muore di fame, in colui che non può esprimere la propria opinione
religiosa, in colui che è travagliato dalla guerra.
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Nel discorso al Corpo
Diplomatico, il Papa ha passato in rassegna tutte le grandi questioni aperte
all’inizio di questo 2005: dalla crisi umanitaria dello tsnuami alle
speranze di pace in Medio Oriente e Sudan. Quindi, ha esortato tutti gli uomini
di buona volontà ad impegnarsi a vincere il male con il bene. Ma come
attualizzare questo principio nelle relazioni fra gli Stati? Fabio Colagrande
lo ha chiesto al prof. Andrea Bianchi, docente di diritto internazionale
all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:
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R. – Credo che
ci sia la possibilità di identificare una serie di valori comuni e credo che i
tragici avvenimenti di questi giorni ci mostrino come in realtà la comunità
internazionale sia vulnerabile ed esposta a delle minacce di carattere globale,
che non sono solo i conflitti armati. Le sfide di carattere globale per la
comunità internazionale sono anche quelle di far fronte ad emergenze umanitarie
e a catastrofi naturali: un nucleo di questioni rispetto alle quali tutti gli
Stati, indipendentemente dal loro sistema politico, dalle Fedi prevalenti in
ciascuno di essi, hanno interesse a fronteggiare in maniera comune. E credo
che, al di là dell’evocazione del Papa del bene che vince il male, si possa in
qualche modo collegare l’idea del bene all’idea di uno sforzo comune, che in termini
tecnici non può che tradursi in una parola: cooperazione. Come i recenti
avvenimenti mostrano - la comunità internazionale si è molto divisa per esempio
sulla questione dell’uso della forza nella lotta al terrorismo – la
cooperazione è la sola che possa garantire una efficace azione contro questo
tipo di problemi.
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DOPO UNA BREVE MALATTIA, E’ MORTO IERI, ALL’ETA’
DI 78 ANNI,
IL CARDINALE BELGA JAN PIETER SCHOTTE, PRESIDENTE
DELL’UFFICIO
DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA E PER LUNGHI ANNI
SEGRETARIO
GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI
- A cura di Alessandro De Carolis -
“Una vita spesa per Cristo”,
sempre “attento alle questioni sociali, in piena fedeltà al Vangelo e
all’insegnamento della Chiesa”. E’ il breve ritratto che Giovanni Paolo II fa
del cardinale belga Jan Pieter Schotte, il presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede
Apostolica (ULSA) che si è spento ieri pomeriggio, al Policlinico
Gemelli di Roma, all’età di 78 anni. Nel suo telegramma di cordoglio, il Papa ricorda “con
animo grato” la “solerte collaborazione” prestata per tanti anni dal porporato
alla Santa Sede, e “specialmente – scrive - il suo generoso servizio come
segretario generale del Sinodo dei vescovi”. Ricoverato dallo scorso mese di dicembre, il
cardinale Schotte aveva ricevuto, venerdì scorso, la speciale benedizione del
Santo Padre dalle mani del sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo
Leonardo Sandri, che si era recato a fargli visita. I funerali, presieduti da
Giovanni Paolo II, saranno celebrati solennemente venerdì prossimo, 14 gennaio,
alle ore 11, presso l’Altare della Confessione nella Basilica vaticana.
Membro
illustre, da 59 anni, della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, nella
quale entra diciottenne, a Bruxelles, subito dopo la fine della Seconda guerra
mondiale, il giovane religioso viene ordinato sacerdote nel 1952 e in seguito
completa gli studi nelle Università Cattoliche di Lovanio e di Washington.
Ricopre numerosi incarichi di docenza in patria e diviene rettore del seminario
statunitense del suo Congregazione finché, nel 1967, venne a Roma come segretario
generale del suo Istituto. Per tutti gli anni Settanta, e fino alla metà del
1980, il futuro cardinale lavora a servizio della Santa Sede assumendo molti incarichi
come membro di Commissioni pontificie o di gruppi congiunti di lavoro.
Il 6 gennaio del 1984, Giovanni
Paolo II lo ordina vescovo. Diviene arcivescovo l’anno successivo, assumendo la
carica di segretario generale del Sinodo
mondiale dei vescovi e ricoprendola fino allo scorso anno. In questa veste,
mons. Schotte prende parte ai vari Sinodi continentali, speciali e ordinari,
che si susseguono nel corso degli anni. Nel 1989 assume la responsabilità del
nuovo Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, oltre ad espletare numerosi
incarichi come consultore di Commissioni pontificie. Tra gli anni Settanta e
Ottanta, rappresenta la Santa Sede in occasione di vari incontri
internazionali, in qualità di membro di delegazioni vaticane. Giovanni Paolo II
gli impone la berretta cardinalizia nel Concistoro del 26 novembre del 1994.
Numerose le onorificenze che gli vengono conferite. In particolare è
Commendatore con Stella dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme,
Commendatore dell'Ordine di Leopoldo, Belgio, Ufficiale de La Légion d'Honneur,
Francia.
Con la morte del porporato, il
Collegio cardinalizio risulta ora composto di 184 cardinali, di cui 120
elettori e 64 non elettori.
IL BILANCIO DEL MAREMOTO SUPERA I 157 MILA MORTI.
A GINEVRA,
L’ONU CHIEDE ANALOGA SOLIDARIETA’ ANCHE CON LE
ALTRE CRISI UMANITARIE
MONDIALI. GLI AIUTI DELLA SANTA SEDE ALLE
POPOLAZIONI COLPITE DALLO TSUNAMI
- Intervista con mons. Karel Kasteel -
Continua
a crescere il bilancio delle
vittime travolte dallo tsunami di
domenica 26 dicembre. Sono oltre 157 mila, di cui più di 100 mila solo in Indonesia,
dove i ribelli indipendentisti, che fino ad oggi ostacolavano
le operazioni di soccorso, hanno comunicato che daranno libero accesso agli operatori
umanitari internazionali, garantendo loro l’incolumità. A Ginevra,
intanto, è in corso la conferenza dei Paesi donatori, presieduta dal coordinatore
ONU per l'emergenza Jan Egeland, il quale - in apertura dei lavori - ha
invitato la comunità internazionale ad estendere la generosità che si è
manifestata in Asia alle altre 14 crisi umanitarie in atto nel mondo, dodici
delle quali in Africa, che colpiscono complessivamente oltre 25 milioni di
persone. Anche la Chiesa, fin dai primi istanti della tragedia, ha messo in
campo tutta la sua consolidata esperienza in fatto di aiuto alle popolazioni
colpite da calamità. In particolare, sull’impegno della Santa Sede Giovanni
Peduto ha intervistato mons. Karel Kasteel, segretario del Pontificio Consiglio
Cor Unum:
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R. – Il
Santo Padre in primo luogo è stato costantemente attento all’evolvere della
situazione. Penso sia stato il primo a lanciare un appello forte alla comunità
internazionale e ha disposto un primo invio di aiuto alle popolazioni colpite
non solo del sudest asiatico, ma anche nei Paesi africani che si affacciano
sull’Oceano indiano. Per incarico di Giovanni Paolo II, il Pontificio Consiglio
Cor Unum, attraverso le rispettive
rappresentanze pontificie, ha inviato soccorsi d’urgenza in Indonesia, Sri
Lanka, India, Thailandia, Somalia, Tanzania… In seguito, il nostro presidente
visiterà i luoghi, per concordare con i nunzi che già sono stati - anche con
notevoli sacrifici - a visitare i luoghi, e quindi con i vescovi, quali altre
azioni intraprendere. Naturalmente, la Santa Sede rappresenta la Chiesa
universale e posso testimoniare che non ricordo un coro così unanime di
solidarietà fraterna: ogni giorno arrivano lettere, telefonate, messaggi per
dire che è stata raccolta la tale cifra, adottata la tale iniziativa… Noi
abbiamo un conto corrente postale sul quale la gente volendo può versare: è il
n° 101010. Abbiamo inoltre un conto corrente sulla Banca di Roma. Quindi, chi
intende aiutare quelle popolazioni può farlo in diversi modi, anche tramite la
Caritas o qualunque altro organismo riconosciuto.
D. – Quanto è stato raccolto
finora in denaro e in altri aiuti? Può quantificarlo?
R. – No, non si può quantificare
perché non lo sappiamo: è ancora troppo recente. Il denaro ricevuto verrà reso
noto in seguito, come d’abitudine qui, presso il Pontificio Consiglio Cor Unum, come dicastero della carità
del Papa. Ma in questo momento, non posso dire ancora niente perché,
semplicemente, non abbiamo dati.
D. – Come considera la
solidarietà internazionale emersa di fronte a questa tragedia?
R. – Formidabile! Si è levato
questo coro unanime di solidarietà fraterna, con risposte concrete agli appelli
delle popolazioni colpite. La Conferenza episcopale italiana è stata una delle
prime, con una somma molto cospicua: 3 milioni di euro. Poi, la rete Caritas ha
subito raccolto oltre due milioni di dollari americani, mentre Caritas di molte
parti del mondo hanno inviato esperti sul posto per sostenere l’opera delle
varie Caritas nazionali, giacché quando si produce un fenomeno così forte – mi
pare che l’ultimo tsunami di questa
intensità fosse quello in Cile, che distrusse Concepción nel 1960, quindi più
di 40 anni fa - le Caritas locali a volte non hanno la capacità di accogliere
gli aiuti necessari, e dunque hanno bisogno anche di un aiuto logistico. Mi
preme anche dire qui che il Jesuit Refugee Services - una delle opere più belle della
Compagnia di Gesù, tra le molte, voluta da padre Arrupe quando era generale -
ha già compiuto meraviglie appoggiando le opere delle Chiese locali.
D. – Sta nascendo, a seguito di
questa tragedia, anche una nuova possibilità di collaborazione interreligiosa:
che Le pare?
R. – Senza dubbio. Così come fu
esattamente un anno fa, il 26 dicembre 2003, quando ci fu un terremoto
terribile a Bam, in Iran: lì nacque un dialogo interreligioso. Lo stesso sta
avvenendo in Indonesia, ad Aceh, che fa parte dell’arcidiocesi di Medam, nella
zona in cui lo tsunami ha fatto
maggiori danni – ma tutta la costa di Sumatra ne ha subito le conseguenze – e
sta accadendo nonostante la presenza cattolica sia abbastanza ridotta. Sono già
in corso colloqui molto, molto positivi anche con i buddisti e con le altre
religioni in Sri Lanka e altrove. In genere, questo tipo di disastro fa capire
agli uomini che l’umanità è una e promuove fortemente il dialogo interreligioso
ed ecumenico, e questo noi lo auspichiamo fortemente. Vediamo con gioia che
immediatamente sono state aperte le chiese, i conventi nei luoghi dove noi
abbiamo queste strutture, e dove le popolazioni di qualsiasi appartenenza
religiosa hanno potuto trovare almeno un tetto e le prime cure e la prima
assistenza, soprattutto per i bambini: il cibo e l’acqua.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la
prima pagina l'udienza di Giovanni Paolo II al Sinodo Intereparchiale delle
Eparchie Italo-Albanesi in Italia.
Il
vostro Sinodo - ha auspicato il Papa nell'occasione - contribuisca a favorire
un rinnovato annuncio dell'Evangelo e un vigoroso slancio ecumenico in ogni
vostra comunità.
Un
articolo di Andrea Riccardi dal titolo "...E continuerò ad intervenire per
indicare le vie della pace": il discorso di Giovanni Paolo II al Corpo
diplomatico.
Sempre
in prima, il telegramma di cordoglio del Papa per la morte del cardinale Jan
Pieter Schotte. Nelle vaticane, la dettagliata biografia del compianto
porporato.
Nelle
vaticane, una pagina dedicata alla figura del Servo di Dio don Salvatore
Vitale, fondatore della "Piccola Casetta di Nazareth".
Nelle
estere, Medio Oriente: Abu Mazen si dice pronto a trattare con Israele.
Per
la rubrica dell'"Atlante geopolitico" un articolo di Pierluigi
Natalia dal titolo "Sudan: primi passi per costruire la pace".
Nella
pagina culturale, un articolo di Mario Spinelli dal titolo "Icone
architettoniche delle radici cristiane dell'Europa": una pubblicazione
illustrata sui più rappresentativi monasteri del Vecchio Continente.
Per
"L'Osservatore libri" un articolo di Angelo Marchesi in merito a due
pubblicazioni dei "Cahiers de l'Ecole cathedrale".
Nelle
pagine italiane, in primo piano l'apertura dell'anno giudiziario.
Elezioni:
la Lega da sola alle regionali; mentre l'Ulivo ritrova l'unità.
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11 gennaio 2005
APPREZZAMENTI E SPERANZE DALLA COMUNITÀ
INTERNAZIONALE PER L’ELEZIONE
DI ABU
MAZEN ALLA PRESIDENZA DELL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE
- Intervista con Marcella Emiliani -
Comincia
l’attività per il nuovo presidente palestinese Abu Mazen. Previsto, a breve, un
colloquio tra il successore di Arafat e il governo israeliano. Questa la
speranza espressa sia dal nuovo capo dello Stato, sia dal premier ebraico
Sharon. Intanto, il premier israeliano Sharon ha strappato alla Knesset il “sì”
al nuovo governo di coalizione formato con i laburisti. Il servizio di Graziano
Motta:
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Il primo ministro d’Israele,
Sharon, così come il presidente dello Stato, Moshé Katzav, ha chiamato al
telefono il neo presidente palestinese, Abu Mazen, per felicitarsi della sua elezione.
Hanno convenuto di incontrarsi presto - la data non è stata ancora fissata –
per riattivare il dialogo principalmente su questioni di sicurezza, anche
perché - come previsto dalla road-map, il piano di pace sostenuto dalla
comunità internazionale – occorre che finiscano tiri di missili, di obici e di
mortaio dei guerriglieri palestinesi sui villaggi dei coloni ebrei della
Striscia di Gaza - oggi, fra l’altro, è stata colpita una sinagoga con dei
fedeli in preghiera, ma non ci sono state vittime – ed anche sul territorio
israeliano: quattro i missili caduti sulla città di Sroth, danneggiate soltanto
delle automobili. Di questa esigenza, ha parlato oggi il ministro della Difesa
israeliano, durante la nella prima riunione del governo di coalizione, che ieri
sera aveva raccolto una risicata maggioranza in Parlamento. Ha chiesto che
colloqui siano presto avviati da militari israeliani e palestinesi preposti
alla sicurezza. E su questo sembra sia d’accordo Abu Mazen, che in mattinata ha
riunito il suo Consiglio di sicurezza. Tuttavia, egli insiste perché il dialogo
con Israele, così come chiede l’elettorato che gli ha data la vittoria, affronti
subito i temi del ritiro dei soldati dai Territori e la scarcerazione dei detenuti.
Per la Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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L’elezione
di Abu Mazen sembra aver dunque riaperto spiragli di dialogo. Ma molto dipende
da come il nuovo leader palestinese saprà gestire gli equilibri interni. Lo
conferma Marcella Emiliani, docente di Sviluppo politico del Medio Oriente
all’Università di Bologna, intervistata da Andrea Sarubbi:
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R. – Il problema sta nel
rapporto che Abu Mazen riuscirà ad instaurare con Hamas e con la Jihad
islamica. Sappiamo già che negli apparati di sicurezza palestinesi c’è una
grossa parte che non è disponibile a reprimere eventuali azioni terroristiche
di Hamas. Dunque, va trovato un accordo al più presto proprio su questo punto,
che è il punto-chiave di tutto.
D. – Ecco: Arafat non è riuscito
a tenere fermi gli estremisti. In cosa si differenzia, ora che c’è Abu Mazen,
il rapporto con Hamas?
R. – Assolutamente in niente.
Nel senso che se scoppia anche solo una bomba, Sharon dirà di Abu Mazen quello
che ha detto di Arafat. Abu Mazen adesso deve dar prova di saper reprimere o
comunque di arrivare ad un compromesso per una tregua con Hamas e la Jihad
islamica. Sharon aspetta solo quello. Ma se non c’è questa prova dei fatti, non
si arriverà assolutamente a nessun tipo di accordo.
D. – Ammettiamo, però, che le
violenze si plachino. Secondo lei, quali sono gli aspetti di cui Abu Mazen e
Sharon dovranno parlare subito?
R. – Bisogna recuperare un
quadro negoziale, prima ancora di incominciare a parlare di qualsiasi cosa, e
questo penso che sarà l’argomento principale della loro conversazione. Poi, se
raggiungono un accordo sul ritiro unilaterale da Gaza, allora può ripartire
tutto il grande quadro negoziale della road-map anche con la grande assistenza
internazionale del quartetto, cioè Stati Uniti, Unione Europea, ONU e Russia.
D. – Quindi, lei crede che la road-map
abbia ancora un futuro?
R. – Indubbiamente sì, perché il
conflitto israelo-palestinese è un conflitto ormai troppo vecchio e anche i
grandi sponsor internazionali – sto pensando agli Stati Uniti – hanno tutto
l’interesse che venga composto, perché ormai la priorità è rappresentata
dall’Iraq. Passi avanti nel conflitto israelo-palestinese potrebbero
addirittura aiutare gli Stati Uniti in una opera di stabilizzazione dell’Iraq e
anche di disimpegno militare dall’Iraq.
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PROSEGUE A BETLEMME E
GERUSALEMME LA MISSIONE DEI VESCOVI EUROPEI ED
AMERICANI PER ESPRIMERE LA SOLIDARIETÀ DELLE
PROPRIE CHIESE,
AI CRISTIANI DI TERRA SANTA
- A cura di Roberto Piermarini -
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Il “Gruppo di Coordinamento” per
la Terra Santa dei vescovi europei ed americani che in questi giorni sta
incontro gli Ordinari cattolici locali a Betlemme e Gerusalemme, questa mattina
ha visitato a Betlemme due scuole cattoliche che accolgono 600 bambini, un ospedale
pediatrico ed un orfanotrofio. Come ci spiega l’arcivescovo di Liverpool, Patrick
Kelly, che fa parte della delegazione, i maggiori problemi per la cura dei
bambini negli ospedali locali nascono dalle difficoltà di movimento tra
Territori palestinesi e Israele, dove migliori sono le strutture mediche:
R. – L’ospedale, qui, non può
fare tutti gli interventi chirurgici ed è molto difficile raggiungere un
ospedale più grande che le possa eseguire. Per questo, per andare da Betlemme a
Gerusalemme servono due ambulanze: una fino al check-point e poi un’altra che
può entrare in territorio israeliano. Si comprende come questo sia dannoso per i
bambini malati.
D. – Qual è, eccellenza, la
situazione delle scuole?
R. – Ci sono gli stessi
problemi, perché qui la vita dipende dai pellegrinaggi e dal turismo dei
cristiani. Si risente fortemente della mancanza dei pellegrini: questo significa
che non c’è lavoro e che le famiglie non hanno il denaro per mandare i figli a
scuola.
D. – Si avverte l’esodo dei
cristiani dalla Terra Santa?
R. – Questo è un grande
problema. Anche se i giovani si diplomano o si laureano, poi non riescono a
trovare lavoro, qui, e quindi se ne vanno. Il nunzio ha parlato di un villaggio
dal quale sono partite, l’anno scorso, migliaia di persone, e quasi tutti erano
cristiani.
Toccante la visita del gruppo
dei vescovi all’orfanatrofio di Betlemme, che accoglie 40 bambini in gran parte
provenienti da famiglie musulmane e retto dalle Suore di San Vincenzo de Paoli.
Sulla dedizione totale delle religiose verso i piccoli orfani: la testimonianza
del vescovo di Urgell in Andorra, Joan Enric Vives:
R. – Fanno un gran lavoro con i bambini
e con le donne, e si impegnano tanto per la vita, perché la donna musulmana che
aspetta un bambino e non è sposata è una grande offesa per la famiglia. Perciò,
malgrado si dica che lo Stato qui è laico, è molto condizionato dalla legge
islamica e non consente un’adozione diretta. Ho chiesto alle suore perché non
fosse prevista l’adozione internazionale: sicuramente tante persone dall’Europa
o dagli Stati Uniti vorrebbero poter adottare. Ma non è possibile, perché le
autorità non consentono di adottare questi bambini.
D. – Chi finanzia questo
orfanotrofio?
R. – In parte, la Chiesa
francese e poi ci sono donazioni: mi hanno detto che è la Provvidenza, perché
arrivano aiuti ma non sono “regolari” ...
D. – Che cosa l’ha colpita,
dell’aiuto che la Chiesa dà ai Territori autonomi palestinesi?
R. – Penso che ci siano altre
organizzazioni, come le ONG che fanno il nostro lavoro. E’ molto importante
però ricordare che la Chiesa è qui da 100-125 anni: questo orfanotrofio esiste
da 125 anni, ad esempio. Le altre istituzioni sono scuole, ospedali ... E’
importante ricordare che la Chiesa non opera solo limitatamente nel tempo, ma
rimane. Questa è la specificità della nostra carità: non è per un tempo, ma è
un compromesso che dura tutta una vita e per la vita. Anche le famiglie
cristiane fanno quanto è in loro potere fare.
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IL
SUDAN IN FESTA PER L’ACCORDO DI PACE:
ORA
BISOGNA RICOSTRUIRE IL TESSUTO SOCIALE E DEMOCRATICO DEL PAESE
-
Intervista con padre Giuseppe Puttinato -
Migliaia
di persone nelle città del sud del Sudan stanno festeggiano con canti e danze
lo storico accordo di pace firmato domenica scorsa a Nairobi, che ha messo fine
al più lungo conflitto interno in Africa. Nel Paese si apre ora una nuova fase
storica. Grandi sono le speranze della popolazione del Sud, cristiane e
animiste, le più duramente provate dai 21 anni di guerra civile tra la
guerriglia sudista e il regime islamico di Khartoum. Sono oltre 4 milioni gli
sfollati che nel conflitto hanno perso tutto: cosa potrà cambiare per loro? Barbara
Castelli ne ha parlato con padre Giuseppe Puttinato, direttore del Comboni
College di Khartoum:
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R. – Per il momento niente è cambiato. Si spera,
naturalmente, che implementando questi accordi la situazione migliori. C’è
molto da fare nella ricostruzione del Paese, delle infrastrutture, soprattutto
ospedali, vie di comunicazione, strade... La gente semplice adesso è entusiasta
e dice che tutto andrà bene. Ma chi ha un po’ di esperienza - tanto i sudanesi,
quanto gli stranieri - non sa quanto cambierà la situazione, almeno
nell’immediato.
D. – Qual è l’impegno della Chiesa in questo
processo e qual è il suo rapporto con le altre confessioni religiose?
R. – Mi pare che l’influenza della gerarchia
ecclesiastica cattolica o anche delle altre confessioni religiose sia stata
minima questa volta. E’ stata una pace fatta soprattutto per interessi
economici, per la presenza del petrolio. Non è una pace fatta dal popolo
sudanese. E si può dire che neppure la guerra è stata fatta dal popolo
sudanese: qui da sempre convivono cristiani e musulmani. Quindi, queste
tensioni sono state create dai politici ed anche la guerra è stata fatta dai
politici, così come la pace, mentre la gente va avanti in gran parte con il
principio della coesistenza pacifica: convive e lavora insieme.
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11 gennaio 2005
“LO
TSUNAMI NON HA FATTO DISTINZIONI DI RELIGIONE E NAZIONALITÀ: COSÌ ANCHE
L’ASSISTENZA E IL SOCCORSO NON DEVONO FARE ALCUNA DISCRIMINAZIONE”.
E’ L’INVITO DI PADRE
RAMON BERNABE, SUPERIORE DEGLI OBLATI
DI MARIA IMMACOLATA
NELLE FILIPPINE, DOVE CRISTIANI E MUSULMANI
STANNO COLLABORANDO
CON OPERE DI SOLIDARIETA’
PER LE POPOLAZIONI
COLPITE DAL MAREMOTO
MANILA.
= Di fronte alla tragedia che ha investito il Sud-Est asiatico, il dialogo
interreligioso tra cristiani e i musulmani nelle Filippine è cresciuto. Lo
affermano, in una nota inviata all’agenzia vaticana Fides i Missionari Oblati
di Maria Immacolata (OMI) presenti nel Paese, che hanno attivato con successo
una grande campagna di raccolta fondi per le popolazioni colpite dallo tsunami.
La depressione tropicale e i tifoni che hanno investito le Filippine all’inizio
di dicembre 2004, facendo oltre 1.500 vittime nella parte orientale dell’isola
di Luzon, sono un ricordo molto recente e la popolazione sa bene cosa
significhi la furia della natura, capace di portare morte e distruzione. Per
questo, i cittadini stanno rispondendo con generosità mostrando la loro grande
inclinazione verso la solidarietà. Gli Oblati in Asia e Oceania, in accordo con
l’Ufficio Giustizia e Pace della Curia generalizia di Roma, hanno creato un
coordinamento per gli aiuti, che saranno destinati alle missioni degli Oblati
che operano nei Paesi colpiti, ha spiegato padre Ramon Bernabe, superiore
provinciale OMI nelle Filippine. “E’ importante ricordare – sottolinea il
religioso – che questa tragedia non ha fatto distinzioni di razza, cultura,
religione, nazionalità: così anche l’assistenza e il soccorso non devono fare
alcuna discriminazione e raggiungere soprattutto i più deboli e i più vulnerabili
come i bambini”. (R.M.)
“SE LO
STATO VUOLE CHE LA CHIESA CONTINUI AD ESSERE SIMBOLO DI DIALOGO
E DI
RICONCILIAZIONE, DOVRÀ GARANTIRLE IL DIRITTO DI ILLUMINARE LE REALTÀ
TEMPORALI
SECONDO I DETTAMI DEL VANGELO”. COSÌ, IL NUNZIO APOSTOLICO
IN
VENEZUELA, L’ARCIVESCOVO ANDRÉ DUPUY,
ALL’83.MA
ASSEMBLEA DEI VESCOVI VENEZUELANI
CARACAS. = Tutto incentrato
sulla richiesta di riforme a favore della tutela dei diritti umani, il discorso
di apertura della 83.ma Assemblea dei vescovi venezuelani, pronunciato dal
presidente, mons. Baltasar Porras. Le recenti modifiche apportate al Codice
penale e al Tribunale supremo di giustizia, che prevede l’allargamento dei
componenti da 20 a 32, preoccupa il presule che, durante la sua riflessione ha
sottolineato che “le leggi devono essere approvate con un largo consenso
affinché possano rispondere alle esigenze di tutti”. Se così non fosse, “si inasprirebbero i toni del conflitto
sociale e lo scontro tra le parti politiche, mentre l’impegno permanente della
Chiesa è, e rimane, quello della difesa dell’essere umano”. Prettamente
dedicato a temi di attualità, invece, il discorso del nunzio apostolico in
Venezuela, l’arcivescovo André Dupuy il quale, rivolgendosi ai presuli, ha
affermato: “Siate testimoni della vera speranza in questo momento di difficoltà
che sta segnando il Paese. Da quattro anni condivido con voi gioie e speranze,
tristezze e angustie di questo popolo”. “Oggi, in particolare – ha specificato
il nunzio – incombono due minacce: la superbia e il fatalismo. La prima ha indotto Pietro a rinnegare, mentre la seconda
ha spinto Giuda a tradire”. “Sono convinto – ha aggiunto – così come lo siete
voi, che la Chiesa deve essere per tutti messaggera della vera speranza”.
L’arcivescovo Dupuy ha poi posto l’accento sul rilancio dei valori: “In una
società segnata da una crisi senza precedenti, abbiamo bisogno dei valori e di
quella forza espressa dai profeti dell’Antico Testamento, così che la Chiesa
rimanga sempre punto di riferimento spirituale e morale”. Allora, “se lo Stato
vuole che la Chiesa continui ad essere simbolo di dialogo e di riconciliazione,
dovrà riconoscerle e garantirle il diritto di illuminare le realtà temporali
secondo i dettami del Vangelo”. E questo, secondo il diplomatico vaticano,
“anche quando vengono contraddette le opinioni e gli interessi particolari”.
Infine un appello: “Dobbiamo essere umili e realisti al tempo stesso. Evitiamo
di abbatterci nei momenti più bui, così come dobbiamo usare cautela a non
lasciarci andare all’ottimismo quando lo scenario sembra più favorevole. Non
chiudiamo gli occhi e stiamo bene attenti che la nostra speranza non si traduca
in rassegnazione o, peggio, in violenza”. (D.D.)
APPELLO
DEL VESCOVO DI SAN SEBASTIAN IN FAVORE DI UN ATTEGGIAMENTO
DI RIFLESSIONE E RISPETTO
RECIPROCO RIGUARDO ALLA “PROPOSTA DI STATUTO
POLITICO DELLA COMUNITÀ DI
EUSKADI”
APPROVATO DAL PARLAMENTO BASCO IL
30 DICEMBRE SCORSO
- A cura di padre Ignacio Arregui
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SAN SEBASTIAN.
= In occasione dell’approvazione nel Parlamento Basco, lo scorso 30 dicembre di
una “Proposta di Statuto politico della Comunità di Euskadi”, sulla trasformazione
del Paese basco in nazione liberamente associata alla Spagna, è in corso un
forte dibattito politico che ha meritato anche l’intervento della Conferenza episcopale
spagnola. Tra gli interventi anche quello di mons. Juan Maria Uriarte, vescovo
della città basca di San Sebastiàn, che in una lettera indirizzata ai suoi
fedeli invita tutti “senza protezionismi ne interventismi ecclesiali” ad
“analizzare con attenzione la situazione reale, esaminare la legittimità degli
obiettivi e dei mezzi utilizzati per raggiungerli e soppesare le conseguenze
prevedibili dell’applicazione dei differenti modelli”. “Non dovranno mai
perdere di vista – sottolinea il presule – lo scopo principale della pace e
della riconciliazione della nostra società”. Riferendosi alla nota della
Conferenza episcopale spagnola del 7 gennaio 2005 (RG 8/1/2005), che invece
prende posizione contro l’attuale progetto di un nuovo Statuto per i Paesi
Baschi, mons. Uriarte ricorda che “né l’aspirazione alla sovranità, né
l’adesione ad un autogoverno maggiore o minore, né la preferenza per una
integrazione più o meno stretta con lo Stato spagnolo, sono, in linea di
principio, per la Chiesa ‘dogmi politici’ tali da richiedere un appoggio
incondizionato” (cfr. RG, 1/06/2002). Per quanto riguarda l’Istruzione Pastorale
della Conferenza episcopale spagnola del 22 novembre del 2002, alla quale fa
riferimento la nota del 7 gennaio scorso, il vescovo di San Sebastiàn, ricorda
che essa non è vincolante per la formazione del criterio morale della Comunità
cattolica di Guipuzcoa, dato che è uno scritto pastorale, non un documento
dottrinale approvato all’unanimità dei vescovi, né ratificato dalla Santa
Sede”. Da parte sua, l’arcivescovo di Barcellona, cardinale Ricardo Maria Carles,
il 30 novembre del 2002 aveva dichiarato che l’Istruzione Pastorale “non richiede
un grado di adesione pari a quello di un documento di natura dottrinale” e
aggiunge che “la discrepanza che si può registrare su alcuni punti” va situata
nel “solco dell’esercizio del legittimo pluralismo delle opinioni politiche dei
cristiani” (RG 1/XII/2002).
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IN CINA, TRA IL 60 E L’80 PER
CENTO DELLA POPOLAZIONE MUORE PERCHE NON PUÒ PERMETTERSI CURE MEDICHE. E’
QUANTO EMERGE DA UNA RICERCA SVOLTA NEL 2004 SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE E
PRESENTATA IERI A PECHINO
DAI VICE MINISTRI DELLA SANITÀ
CINESE
PECHINO. = Almeno il 48,9 per
cento dei cinesi non riceve cure mediche e il 29,6 per cento dei pazienti
interrompe le cure subito dopo il ricovero. Nelle zone urbane della Cina, dove
si trova l’80 per cento dei centri ospedalieri, il 45 per cento della
popolazione è senza copertura assicurativa, mentre nelle zone rurali, dove solo
lo scorso anno sono morte 190 mila persone, i non-assicurati sono il 79 per
cento. Inoltre, il costo delle cure mediche ospedaliere nel Paese continua ad aumentare:
solo l’anno scorso l’incremento è stato dell’11 per cento. Questi sono solo
alcuni dei dati presentati ieri a Pechino dai vice ministri della Sanità
cinese, Gao Qiang e Zhu Qingsheng, sulla base di una ricerca svolta nel 2004 su
tutto il territorio nazionale. Qingsheng ha sottolineato che fra il 40 e il 60
per cento dei contadini non ha mai potuto permettersi cure mediche, e che per
lo stesso motivo fra il 60 e l’80 per cento dei cittadini cinesi muore senza
poter andare in ospedale. Le cause di questa situazione, in un Paese che cresce
con un incremento del prodotto interno lordo dell’8 per cento annuo, sono la
mancanza di risorse, la penuria di fondi governativi e la bassa professionalità
della classe medica. Qiang ha delineato un piano d’azione che prevede il
rafforzamento delle infrastrutture sanitarie, la prevenzione di malattie gravi,
la riduzione del costo dei farmaci e l’aumento del 15 per cento dei contributi
statali per affrontare le cure mediche dei singoli individui. E’ in programma
anche l’invio nelle zone rurali di 10 mila medici, per affrontare le situazioni
d’emergenza e per istruire i colleghi sulle nuove tecnologie. Il governo ha
promesso un controllo più severo sui prezzi dei farmaci e verificherà le
licenze professionali in campo medico e farmaceutico. (R.M.)
“TRENTUNO
DOMANDE SULL’ADORAZIONE DEL SANTISSIMO SACRAMENTO”.
E’ IL
TITOLO DELL’OPUSCOLO PUBBLICATO DALLA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI,
PER SPIEGARE SIGNIFICATO E MODALITA’ RITUALI DELL’ADORAZIONE EUCARISTICA E
INCORAGGIARE I FEDELI A PRATICARLA ASSIDUAMENTE
WASHINGTON. = Un opuscolo per
spiegare il significato e le modalità rituali dell’adorazione eucaristica e
quindi incoraggiare i fedeli a praticarla assiduamente. Lo ha pubblicato la
Commissione liturgica della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (USCCB), in
occasione dell’Anno dell’Eucaristia, con il titolo: “Trentuno domande
sull’adorazione del Santissimo Sacramento”. “L’adorazione eucaristica – vi si
legge - estende la Santa Comunione in modo duraturo, preparandoci a partecipare
più pienamente alla celebrazione del Mistero eucaristico” e, come afferma il
Santo Padre, “è un’importante pratica quotidiana che diviene una fonte inesauribile
di santità”. Citando Paolo VI, l’opuscolo evidenzia la dimensione sociale
dell’adorazione eucaristica: “La devozione alla Divina Eucaristia esercita una
grande influenza sull’anima, spronandola all’amore ‘sociale’, in cui anteponiamo
il bene comune al nostro bene particolare”. Esso ricorda come la Chiesa raccomandi
l’esposizione e l’adorazione dell’Eucaristia per un periodo congruo nel corso
dell’anno in tutte le chiese e oratori e come essa sia una “celebrazione
pubblica”, accompagnata da riti liturgici, non una devozione privata. Nel
volume figurano anche ampie appendici con la normativa canonica sul culto
dell’Eucaristia fuori dalla Messa, sull’adorazione del Santissimo solennemente
esposto nell’ostensorio o riposto nel tabernacolo e sulle processioni e i
congressi eucaristici. (L.Z.)
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11 gennaio 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco e Rita
Anaclerio -
Con l’avvicinarsi delle elezioni si intensificano,
in Iraq, gli attacchi della guerriglia: almeno sei agenti sono rimasti uccisi
per l’esplosione di un’autobomba nei pressi di un posto di polizia a Tikrit, città
natale dell’ex dittatore Saddam Hussein, dove si concentra tuttora la
resistenza sunnita. L’attacco è stato rivendicato
da un gruppo legato al terrorista giordano, Al Zarqawi. Sempre nel nord del
Paese, è stato danneggiato l’oleodotto che collega Kirkuk alla raffineria di
Beiji. Le violenze non hanno risparmiato neanche la capitale ed il sud
dell’Iraq. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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A Baghdad, uomini armati hanno attaccato un minibus
uccidendo 8 persone. I guerriglieri hanno anche sequestrato tre civili. Non si
sa ancora chi fossero i passeggeri a bordo del mezzo: secondo le prime
informazioni raccolte, potrebbe trattarsi di reclute o di pellegrini. In
un’altra imboscata compiuta al passaggio di un convoglio americano nei pressi
di Mahmudiyah, 25 chilometri a sud della capitale, sono morti tre iracheni.
Secondo fonti della polizia, tra i soldati statunitensi non ci sono state
vittime. Anche il sud dell’Iraq è stato sconvolto da episodi di violenza: a
Bassora un attentatore suicida è morto e sette persone sono rimaste ferite in
due distinti attentati condotti, ieri sera, contro un edificio del Ministero
dell’interno ed un posto di polizia. Per cercare di stabilizzare la situazione
in vista della consultazione del prossimo 30 gennaio, il governo britannico ha
deciso di inviare altri 400 soldati nel Paese arabo. In Ucraina, il Parlamento
si è pronunciato oggi per il ritiro immediato del continente militare
dispiegato in Iraq. Il ministro degli Esteri di Parigi, Barnier, ha ribadito,
infine, che sulla sorte della giornalista francese e del suo autista, dei quali
non si hanno più notizie da mercoledì scorso, non c’è alcun dato in grado di
avvalorare l’ipotesi del rapimento.
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Cuba ha ripristinato i
contatti con tutti i Paesi dell’Unione Europea, dopo oltre un anno e mezzo di
tensione diplomatica. Ad annunciarlo il ministro degli Esteri dell’Avana,
Felipe Perez Roque. L’UE aveva congelato i suoi rapporti con l’isola caraibica
per protestare contro un giro di vite del governo di Fidel Castro contro i
dissidenti.
La Commissione
Europea e l’Iran riprenderanno domani a Bruxelles i negoziati per la firma di
un accordo di commercio e di cooperazione, in seguito alla decisione di sospendere
le attività di arricchimento dell’uranio da parte del governo iraniano.
In Iran, sono 110 le persone rimaste ferite per la scossa,
con magnitudo di 5,8 gradi della scala Richter, avvenuta ieri sera nel nordest
del Paese. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa “IRNA”, aggiungendo che la
maggior parte dei feriti ha riportato conseguenze lievi.
Una
delegazione composta da sei parlamentari statunitensi, guidata dal repubblicano
Curt Weldon, è arrivata stamani in Corea del Nord. “Diremo ai funzionari di Pyongyang
che l’amministrazione americana non ha intenzione di rovesciare il regime di
Kim Jong Il”, ha detto prima della partenza Weldon. L’ammi-nistrazione di
Washington sta tentando di portare il governo di Pyongyang al tavolo dei colloqui
a sei tra Russia, Stati Uniti, Cina, Giappone e Corea del Sud sul programma
nucleare.
Viktor
Yushenko è ufficialmente il nuovo presidente dell’Ucraina. Lo ha reso noto la
commissione elettorale pubblicando i dati ufficiali del ballottaggio: Yushenko
ha ottenuto il 51,99 per cento dei voti mentre l’ex premier Yanukovic ha conquistato
il 44,2 per cento delle preferenze.
Le crisi in
Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo e regione sudanese del Darfur:
sono questi i temi al centro del Consiglio di pace e sicurezza dell'Unione Africana,
riunito – per la prima volta a livello di capi di Stato – da ieri a Libreville,
in Gabon. Nel corso dei lavori, presieduti dal capo di Stato gabonese, Omar
Bongo, i leader africani hanno studiato la possibilità di un referendum su una
riforma costituzionale in Costa d’Avorio. Il servizio di Giulio Albanese:
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In qualità di presidente di turno del Consiglio, Bongo ha
sottolineato l’urgenza di passare dalle parole ai fatti, per quanto riguarda
l’impegno a rinunciare alla violenza e giungere così alla pace nelle aree di
crisi. Una quindicina i capi di Stato erano presenti al summit. Il presidente
ivoriano, Laurent Gbagbo, che in un primo tempo aveva fatto sapere di aver
declinato l’invito, si è invece presentato a sorpresa a Libreville. Fonti
diplomatiche hanno poi riferito che la partecipazione del presidente Gbagbo al
vertice era stata tenuta segreta per motivi di sicurezza. Al summit di Libreville,
che si concluderà oggi, l’euforia dell’intesa di Nairobi che ha sancito la pace
nel Sudan meridionale, rischia di essere smorzata dalle polemiche e dalle
divisioni interne. Ieri, ad esempio, l’opposizione ivoriana, in coincidenza del
vertice di Libreville, ha accusato il presidente Gbagbo di voler sferrare un
nuovo attacco contro il nord del Paese.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Potrebbe
essere rilasciato su cauzione l’ex dittatore, Augusto Pinochet, agli arresti
domiciliari da mercoledì scorso per incriminazioni relative al “Piano Condor”.
Il titolare dell’inchiesta, il giudice Guzman, gli ha concesso la libertà
provvisoria imponendogli però una cauzione di 3.500 dollari. Si attende ora il
pronunciamento della Corte d'appello, che dovrà confermare l'ordine di
rilascio.
Il
Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria, ha rieletto come mediatore
europeo, a Strasburgo, il greco Nikiforos Diamandouros, che ha ottenuto 564
voti contro i 45 dello sfidante, l'italiano Giuseppe Fortunato, difensore
civico presso la regione Campania e presidente dell'Associazione nazionale dei
difensori civici italiani.
Dopo il maltempo che ha
colpito questo fine settimana i Paesi del nord Europa, causando la morte di 14
persone, i servizi meteo hanno emesso nuovi avvisi di tempesta sulla stessa
area. Si attendono venti con punte di 160 chilometri orari. La depressione del week
end ha provocato un numero elevato di incidenti stradali, danneggiato reti
elettriche e paralizzato le comunicazioni ferroviarie, marittime e stradali.
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