RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX
n.9 - Testo della trasmissione domenica
9 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Sulla festa di oggi il
commento di mons. Gianfranco Ravasi
OGGI IN PRIMO PIANO:
Le dimissioni del rabbino capo di Milano Giuseppe
Laras: ce ne parla lo stesso rabbino
CHIESA E SOCIETA’:
Da domani a Grottaferrata la sessione conclusiva
del Sinodo intereparchiale di rito bizantino
Mons. Giovanni Lajolo in visita in Tunisia per la mostra
dedicata a Sant’Agostino
Si concludono oggi le celebrazioni per il centenario della
nascita di Giorgio La Pira
24 ORE NEL MONDO:
Maremoto: continua
la mobilitazione internazionale
9 gennaio 2005
NELL’ODIERNA FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE, IL PAPA OGGI
ALL’ANGELUS IN PIAZZA SAN PIETRO HA SOTTOLINEATO L’IMPORTANZA PER LA NUOVA
EVANGELIZZAZIONE DELLA RISCOPERTA DEL
BATTESIMO DA PARTE DEI CRISTIANI ATTRAVERSO
ITINERARI DI CATECHESI IN ETÀ ADULTA.
IL PAPA
BENEDICE TUTTI I BAMBINI BATTEZZATI NEL CORSO DI QUEST’ANNO
- Il
servizio di Sergio Centofanti -
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Numerosi pellegrini e tanto sole
oggi in una Piazza San Pietro, ancora immersa nel suggestivo scenario creato
dal presepe e dal maestoso albero di Natale giunto dal Trentino.
Oggi la Chiesa celebra il
Battesimo del Signore, festa che chiude il tempo natalizio. Si tratta di un
evento – ha spiegato il Papa - che gli Evangelisti considerano come l’inizio
del ministero messianico di Gesù. “La
missione di Cristo, così inaugurata si
compirà nel mistero pasquale, in cui Egli, morendo e risorgendo, toglierà il peccato
del mondo”.
Ma “anche la missione del
cristiano – ha aggiunto il Pontefice - inizia con il Battesimo”:
“La riscoperta del Battesimo, mediante opportuni itinerari di
catechesi in età adulta, è pertanto un aspetto rilevante della nuova
evangelizzazione”.
“Rinnovare in modo più maturo la
propria adesione alla fede – ha detto Giovanni Paolo II - è la condizione per
una partecipazione vera e piena alla Celebrazione eucaristica, che costituisce
il culmine della vita ecclesiale”.
Il Papa ha invocato l’intercessione
della Vergine Maria perchè “tutti coloro che con il Battesimo sono rinati
dall’acqua e dallo Spirito” facciano “della propria vita una costante oblazione
a Dio nel quotidiano esercizio del comandamento dell’amore, esercitando così il
sacerdozio comune che è proprio di ogni battezzato”.
Infine il pensiero di Giovanni Paolo II è andato a
tutti i bambini che sono stati battezzati nel corso di questo anno:
“Li abbraccio e li benedico”.
E con loro ha benedetto “anche i padrini e le madrine e, in
particolare, i genitori dei nuovi battezzati, esortando tutti a coltivare in
essi, con la parola e con l’esempio, il germe di vita divina scaturito dal
sacramento del Battesimo”.
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Ma sul
significato del Battesimo di Gesù e la differenza col nostro battesimo
ascoltiamo il prefetto della biblioteca ambrosiana di Milano, mons. Gianfranco
Ravasi, intervistato da Amedeo Lomonaco:
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R. – Il Battesimo di Gesù è
soprattutto la presentazione del suo mistero. Egli è il Figlio unigenito. Nel
battesimo cristiano invece c’è l’uomo peccatore che entra in un sepolcro
d’acqua, il fonte battesimale, per rinascere come figlio di Dio, come figlio
adottivo.
E’ dunque importante riscoprire il mistero profondo della rivelazione
di Cristo e ricordare il mistero del credente che attraverso il battesimo
cristiano entra in comunione intima e profonda col mistero di Cristo.
D. – A proposito di questa
scoperta, dai racconti evangelici sul battesimo di Gesù emerge anche la
meraviglia di Giovanni...
R. – Cristo si presenta al
Battista nella folla dei peccatori. Lo stupore è quello dovuto al fatto che la
figura del Messia si immerga quasi, prima ancora che nelle acque, nella nostra
umanità, nella nostra storia fragile, caduca e spesse volte striata dal sangue
e dal male.
D. – Il battesimo rende tutti i
credenti, ciascuno nelle modalità della propria specifica vocazione,
corresponsabili della missione della Chiesa…
R. – Il battesimo cristiano non
ha solo la funzione di liberazione dal peccato di origine. E’ anche la via che
rende il fedele partecipe della vita stessa di Dio. Per questo motivo il
battesimo è veramente un patrimonio, quasi la sorgente di tutto l’itinerario di
vita del credente.
D. – L’acqua, sorgente di salvezza
per i cristiani, ha rivelato una sconvolgente forza devastatrice in occasione
del maremoto avvenuto in Asia. Come interpretare questa tragedia attingendo al
patrimonio cristiano?
R. – L’acqua all’interno della
Bibbia stessa è il principio del diluvio che viene visto come una sorta di
giudizio divino. In realtà noi dobbiamo comprendere meglio la funzione
dell’acqua nel presentarsi come un monito rivolto all’umanità. Scoprire che
siamo limitati e impotenti, nonostante il nostro orgoglio di trionfatori sulla
materia ed il limite stesso della creatura, ci fa comprendere che al di sopra
c’è il Creatore. Dio non abbandona le sue creature a se stesse ed è per questo
motivo che da questa vicenda non emergono solo dati negativi: infatti, vediamo
che tutti gli uomini si sentono più fratelli tra loro. Il limite ci fa scoprire
di appartenere a quell’unica famiglia che è la famiglia dei figli di Dio.
Proprio questa grande esplosione di generosità, che si segnala in questi
giorni, ci dimostra ancora una volta come l’umanità guidata da Dio, anche nel
dolore, possa scoprire la grandezza di amore e di trascendenza che la può
portare verso l’infinito di Dio.
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9 gennaio 2005
IL
SUDAN RICONQUISTA LA PACE. FIRMATO
L’ACCORDO A NAIROBI TRA IL GOVERNO DI KHARTOUM ED I RIBELLI DEL SUD. FINISCE
UNA GUERRA DURATA 21 ANNI E COSTATA
LA
VITA AD OLTRE 2 MILIONI E MEZZO DI PERSONE.
- Ai
nostri microfoni mons. Cesare Mazzolari -
Giornata storica oggi
per il Sudan, che dopo 21 anni esce dal tunnel della guerra civile. Un
conflitto durato 21 anni e costato la vita ad oltre due milioni e mezzo di
persone. La firma del trattato di pace, avvenuta oggi a Nairobi, in Kenya, ha
avuto come protagonisti il primo vicepresidente sudanese Ali Osman Mohamed Taha
e John Garang, capo dei ribelli
dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLA). Esclusa, però, dal
documento, la questione del Darfur. Ce ne parla padre Giulio Albanese:
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Si tratta di un avvenimento
storico, che dovrebbe favorire il processo di normalizzazione nel Corno
d’Africa, una delle regioni più infuocate del continente africano. Se da una
parte è vero che la decisione del regime sudanese di estendere a tutto il Paese
la sharia, la legge islamica, determinò nel 1983 lo scoppio delle
ostilità, dall’altra gli interessi petroliferi sono stati evidenti fin
dall’inizio del conflitto e hanno paradossalmente dato sostanza, dopo anni di
tormenti, al negoziato tra Nord e Sud. Non è un mistero per nessuno che il
governo di Washington, in questi ultimi anni, abbia devoluto ingenti quantità
di denaro alle parti in conflitto con l’intento di promuovere una piattaforma
di riconciliazione nazionale. In questa prospettiva, l’intesa sulla ripartizione
dei proventi del greggio – peraltro già siglata in sede negoziale tra governo e
ribelli – rappresenta l’elemento centrale e sostanziale dell’accordo finale di
pace, tanto atteso.
Una cosa è certa: in questi anni di guerra – è bene ricordarlo – hanno perso
la vita oltre due milioni e mezzo di persone, e sia i governativi sia i ribelli
hanno compiuto crimini e altre vessazioni contro civili inermi, senza peraltro
mai dare spazio alla società civile, l’unica – Chiesa cattolica in testa – che
ha sempre avuto a cuore le sorti della gente, esigendo un fermo rispetto dei
diritti umani. Ecco perché la firma ha in effetti il sapore di una spartizione
del potere tra due vecchi nemici, il che potrebbe – sulla media e lunga
distanza – compromettere i difficili equilibri interni. Rimane dunque ancora
molta strada da compiere, soprattutto in merito al delicato processo di
integrazione tra le varie componenti politiche, etniche e religiose presenti
sul territorio del più vasto Paese africano.
Riguardo alla crisi nel Darfur,
dove il cessate-il-fuoco è stato ripetutamente violato, John Garang, leader dei
ribelli sud-sudanesi, ha promesso di risolvere la questione in tempi brevi, non
appena assumerà il ruolo di vice presidente. Stando infatti a fonti ufficiose
dello SPLA, vi sarebbe stato nel corso degli ultimi due anni un coinvolgimento
diretto degli uomini di Garang nella crisi in atto nel Sudan occidentale, con
l’intento di esercitare una pressione militare sulle autorità di Khartum. A
questo punto non resta che attendere gli sviluppi di uno scenario, quella
darfouriano, al momento estremamente preoccupante, soprattutto dal punto di
vista umanitario.
Per la Radio Vaticana,
Giulio Albanese.
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Ad essere firmata è
stata oggi una serie di protocolli, su cui si è raggiunta un'intesa in due anni
di colloqui. Secondo l'accordo, il partito al potere, il National Congress
party, e lo SPLA - l'Esercito popolare di liberazione del Sudan, formeranno un
governo di coalizione, il potere sarà decentralizzato, le entrate del petrolio
saranno divise e si procederà all'unificazione dell'esercito. Alla fine di un
periodo di interim di sei anni il Sud potrà votare per l’autodeterminazione. Ma
quali prospettive ci sono per il prossimo futuro? Salvatore Sabatino lo ha
chiesto a Mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek:
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R. –
Anzitutto la firma di pace è un fatto molto significativo. La partecipazione di
17 Stati e quella di Colin Powel e di altri grandi personalità ha un
significato straordinario che potrebbe creare un’aspettativa da non essere
delusa immediatamente. Il periodo difficile saranno i prossimi 6 mesi: in
questo periodo il Nord e il Sud dovranno preparare le loro costituzioni per
essere governati in modo autonomo. Questi 6 mesi saranno cruciali e potrebbero indicare
sia delle cose positive sia essere mesi di nuovi conflitti. L’aspettativa è
grande, ma è ancora tutto da vedere.
D. – Il ruolo primario per
questa pace è stato giocato dagli Stati Uniti. In che modo Washington cercherà
di far tutelare il rispetto della pace?
R. – Penso che a questo punto
gli Stati Uniti potrebbero provvedere all’aiuto materiale e probabilmente anche
all’assistenza tecnica per avviare il Sudan in questo momento di ricostruzione e
non solo dando i mezzi ma anche le persone che possano aiutare nel campo
sanitario in modo da creare infrastrutture, nell’addestrare insegnanti, dottori
e infermieri almeno per alcuni mesi se non per un paio d’anni.
D. – Dall’accordo odierno è
stata elusa la delicata questione del Darfur. Si può pensare a questo punto ad
una pacificazione anche per questa martoriata regione?
R. – Penso che dobbiamo
fare un passo alla volta. Il Darfur è stato usato come schermo per fare molto
male a tutto il Sud, questo male deve essere estirpato dal Sud Sudan, dopo si
penserà a sistemare anche la questione del Darfur.
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LA PALESTINA OGGI ALLE URNE PER
SCEGLIERE IL SUCCESSORE DI ARAFAT. GRANDE
FAVORITO IL MODERATO MAHMUD
ABBAS, DETTO ABU MAZEN, ANCHE SE
SUL VOTO PESA L’INCOGNITA
ASTENSIONISMO.
- Intervista con padre Haziz
Halaweh -
Inizia
oggi il dopo Arafat. Sono quasi due milioni gli elettori chiamati ad eleggere
il nuovo presidente del'Autorità Nazionale Palestinese. L'esito del voto, sul
quale pesa però il rischio astensione, appare scontato: il capo del'Olp, il
moderato Mahmud Abbas, meglio conosciuto come Abu Mazen, dovrebbe ottenere una
facile vittoria. L'ex-premier,
contrario alla violenza, ha già indicato che dopo le elezioni riaprirà
rapidamente il dialogo con Israele. La cronaca di questa giornata elettorale da
Graziano Motta:
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Aperte
alle 7 di questa mattina le circa 3mila sezioni elettorali, saranno chiuse alle
19. L’affluenza a metà giornata è considerata buona, da fonti ufficiali
palestinesi, che tuttavia lamentano alcune restrizioni al passaggio dei posti
di blocco militari israeliani fuori dai centri abitati, da dove i soldati fin
da ieri erano stati ritirati, per i controlli molto attenti dovuti sia al fatto
che dei ricercati vorrebbero, per spostarsi approfittare delle agevolazioni
elettorali, ma anche al persistere nella Striscia di Gaza, delle operazioni di
guerriglia palestinesi. Questa mattina infatti 3 missili ‘qassam’ sono
stati lanciati nel territorio israeliano anche se le esplosioni non hanno
causato vittime.
Alcuni gruppi di attivisti ebrei di estrema destra,
hanno manifestato contro le elezioni, ma sono stati subito dispersi dalla
polizia israeliana nei pressi di due dei 6 uffici postali di Gerusalemme Est,
dove gli arabi della città possono votare, ma non si segnalano altri incidenti
maggiori. Abu Mazen, il candidato favorito dai sondaggi, ha votato nella
Muqatah di Ramallah, esprimendo poi soddisfazione per la prova di democrazia
data con queste consultazioni dai palestinesi, la cui maggioranza – anche se i
movimenti fondamentalisti islamici Hamas e Jihad non hanno presentato candidati
ed hanno dato istruzioni a disertare le urne – manifestano al migliaio di
giornalisti di ogni parte del mondo, venuti per l’occasione la loro speranza
per una svolta non solo nell’assetto istituzionale e nella vita pubblica, con
quella trasparenza e moralità che sono mancate, ma anche nell’avvio di un
negoziato di pace serio con Israele per la nascita del loro Stato indipendente.
Gli 800 osservatori
venuti soprattutto dall’Europa e dagli Stati Uniti, si stanno muovendo
liberamente nei territori. Finora soltanto quattro osservazioni sono state
avanzate a Sharon dal capo della delegazione americana l’ex presidente degli
Stati Uniti, Jimmi Carter, anche se un altro osservatore statunitense ha
espresso soddisfazione per l’andamento delle votazioni.
Per la Radio Vaticana,
Graziano Motta.
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Dunque
l’elezione di Abu Mazen appare quasi scontata. Ma come cambierà la situazione
nei Territori sotto la sua guida? Paolo Ondarza lo ha chiesto a padre Aziz
Halaweh, parroco di Bikrzeit, una città vicino a Ramallah.
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R. – Abu Mazen è pronto a fare quello
che vogliono gli israeliani. Abu Mazen è abbastanza forte anche con il suo
partito Al Fatah per continuare la strada intrapresa da Yasser Arafat e
applicare tutte le risoluzioni dell’Onu.
D. – Che significato assume
l’eventuale elezione di Abu Mazen proprio in un momento in cui il presidente
israeliano Sharon è in procinto di sgombrare Gaza?
R. – Noi vogliamo che Sharon
lasci la striscia di Gaza, ma vogliamo che sia solo una tappa per lasciare
tutta la Cisgiordania, la Palestina perché la nostra vita è veramente difficile
con questo assedio; ed anche dalla parte israeliana non possono continuare a
vivere nella paura come tutti i coloni che vivono in mezzo ai palestinesi.
Tutti devono lasciare la Palestina e tornare nel loro Paese. Ci auguriamo che veramente
il nuovo leader guidi alla giustizia e alla pace e al rispetto della legge e
che sia realizzata una vita veramente democratica.
D. – L’eventuale elezione di Abu
Mazen quale effetto potrebbe avere nel contrastare le azioni terroristiche
palestinesi?
R. – Spero che Abu Mazen
convinca gli islamici a lasciare la strada della violenza e di seguire quella
che porta verso la pace, ma c’è la paura che gli israeliani non lascino
lavorare Abu Mazen, questo è il problema. Se gli israeliani hanno davvero la
volontà di fare la pace, ora possono dimostrarlo.
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L’IMPEGNO DELLA CHIESA BRASILIANA A SALVARE I
RAGAZZI DI STRADA
-
Intervista con padre Julio Lancellotti -
Nuovo
anno di speranza per 400 giovani ragazzi brasiliani. Saranno levati dalle
strade e inseriti in un percorso di formazione e re-inserimento nelle scuole,
nelle famiglie e nella comunità. Questo è l’obiettivo che si è prefissata la
Fondazione Joaquin Nabuco, con il sostegno delle autorità brasiliane,
per arginare gli abusi del turismo sessuale perpetrati sui minori e la piaga
dell’uso di droghe che miete molte giovani vittime. Un’indagine effettuata su
circa 3 mila bambini rivela che circa l’80% di essi abbandona le proprie case
per “tentare” la fortuna nelle strade. Rita Anaclerio ha chiesto a padre Julio
Lancellotti, sacerdote dell’arcidiocesi di San Paolo, che da diciotto anni si
occupa dei cosiddetti meninos da rua, quanti sono i bambini che ha
aiutato e quali i principali problemi a cui questi ragazzi vanno incontro:
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R. –
Lavoriamo con 7 mila bambini e adolescenti in 51 luoghi diversi, tutto nei
dintorni della città di San Paolo.
D. –
Quanti giovani a San Paolo hanno problemi con la giustizia, e perché hanno
commesso dei reati?
R. –
Oggi, ci sono 4 mila giovani nella sola città di San Paolo, in carcere; circa 8
mila sono in libertà assistita. Il problema principale è la droga, il
narcotraffico; e poi, manca una prospettiva di vita.
D. –
Questa sua infaticabile opera, però, le ha procurato molti nemici. Mi sa dare una
spiegazione del perché, e soprattutto chi è che vi si oppone?
R. –
C’è un atteggiamento molto violento da parte della polizia e dei membri della
sicurezza di Stato; si arrabbiano molto perché lavoriamo per questi giovani che
sono in carcere, perché affermiamo che non è legale la tortura, che la Chiesa
non accetta la tortura e nemmeno la violenza che lo Stato esercita nei
confronti di questi ragazzi. La parola del Santo Padre è la più forte difesa
dei diritti umani. Molte persone si arrabbiano, per questa nostra convinzione;
noi però sappiamo che la nostra opera è molto difficile, ma è un “mandato”
etico, fondato sul Vangelo. Il problema della violenza non si può risolvere con
altra violenza!
D. – Si
sta apprendendo, in questi giorni, della possibile tratta degli orfani del
maremoto nel Sud-Est asiatico: una triste condizione che li accomuna ai bambini
brasiliani?
R. –
E’ una situazione simile a quella che
si vive spesso nell’America Latina e in genere nel Terzo Mondo. L’Asia è una
regione in cui si pratica molto la prostituzione e il turismo sessuale! Serve
un maggiore senso etico. In un momento di grandissima sofferenza, come appunto
questo, serve sempre una grande opera di educazione: lo facciamo in Brasile, per
difendere le bambine orfane e i bambini dallo sfruttamento.
D. –
Padre, ci vuole salutare con un messaggio di speranza?
R. – La
speranza è nata nel cuore dei più deboli; la speranza è nata fragile in Gesù, è
nata nel cuore della gente di strada. Il cuore di Gesù è il cuore dei piccoli,
la sua parola è l’amore.
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LE DIMISSIONI DI GIUSEPPE LARAS DA
RABBINO CAPO DI MILANO
- Intervista con il rabbino -
Dopo 25
anni di attività si dimette il rabbino capo di Milano, Giuseppe Laras. Lascerà
l’incarico la prossima estate. Giuseppe Laras, 69 anni, conserva tuttavia la
carica di presidente dell’Assemblea rabbinica nazionale. La comunità ebraica
milanese conta circa 10 mila membri ed è la seconda per numero in Italia dopo
quella di Roma. Ma sui motivi delle sue dimissioni ascoltiamo lo stesso rabbino
Giuseppe Laras al microfono di Paolo Ondarza:
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R. – L’ufficio del rabbino capo
in una comunità ebraica è un centro motore, propulsore, e ha bisogno di risorse
umane. E da qualche tempo a questa parte, si era un po’ indebolita questa
struttura, e quindi la cosa mi aveva un poco preoccupato. E dato che le cose,
per il momento, continuavano ad andare avanti così, ho ritenuto che non fosse
più compatibile, almeno per me, di continuare. Comunque, non c’è niente di
drammatico: non desidero assolutamente che possa essere letta come polemica,
non è così!
D. – Che cosa ricorderà in
particolare di questi 25 anni di attività a Milano?
R. – I miei ricordi sono tanti e
belli; i ricordi belli sono legati al rapporto di conoscenza, di
approfondimento, di fraternità, di attività in comune con i miei fratelli della
comunità. Ma i miei ricordi sono anche legati all’esterno: il rapporto con la
comunità cattolica, attraverso l’opera profonda, intelligente del cardinale
Martini; il dialogo ebraico-cristiano è un’iniziativa che è partita una
sessantina di anni fa. Ricordo quindi molti incontri, molte meditazioni in
comune, molte iniziative ... tutte queste cose, secondo me, sono importanti
perché hanno contribuito, sia pur modestamente, a fare avanzare il dialogo. Il
dialogo ebraico-cristiano è un’iniziativa
che continua a svolgersi; ha qualche difficoltà però va avanti e
richiede la buona volontà e l’impegno delle persone di entrambe le fedi.
D. – Che cosa attende chi dopo
di lei assumerà la guida della comunità rabbinica milanese?
R. – Chi si occuperà dopo di me
della comunità, dovrà soprattutto cercare di conoscere in profondità le
persone, le necessità, i problemi cercando, con molta buona volontà, con
umiltà, di affrontarli; dovrà armarsi di santa pazienza: però la comunità di
Milano è una comunità che riserva sicuramente delle soddisfazioni a chi si dedica ad essa.
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9 gennaio 2005
DA DOMANI 10 GENNAIO A VENERDI’ PROSSIMO LA SESSIONE
CONCLUSIVA DEL SINODO
INTEREPARCHIALE DELLE CIRCOSCRIZIONI
DI RITO BIZANTINO IN ITALIA
- A cura di Giovanni Peduto -
GROTTAFERRATA.
– A partire da domani, lunedì 10 gennaio, e fino a venerdì prossimo si tiene a
Grottaferrata, nei pressi di Roma, la terza ed ultima sessione del Sinodo
intereparchiale delle circoscrizioni di rito bizantino in Italia. Le precedenti
si sono svolte rispettivamente nei mesi di ottobre e novembre del 2004. Si
tratta di due eparchie (diocesi): quella di Lungro per gli italo-albanesi di
Calabria e dell’Italia continentale, e quella di Piana degli Albanesi per gli
italo-albanesi di Sicilia, giunti nel XV secolo a seguito dell’occupazione di
Albania, Grecia e dei Balcani da parte dell’Impero ottomano. L’eparchia di
Lungro venne eretta come tale nel 1919 dalla Santa Sede e quella di Piana degli
Albanesi nel 1937. In questo stesso anno, 1937, venne eretto come monastero
esarchico (abbazia nullius) l’antica e gloriosa abbazia di San Nilo a
Grottaferrata, risalente all’anno mille, erede del monachesimo italo-greco
prima della rottura fra Oriente e Occidente. Nel 1940 si svolse il primo Sinodo
intereparchiale fra queste tre circoscrizioni per definirne la fisionomia, e
gli atti vennero approvati dalla Santa Sede. Ora, a seguito del Concilio
Vaticano II, che ha dato disposizioni anche per gli orientali cattolici, e dopo
la promulgazione del Codice dei Canoni delle Chiese orientali del 1990 si è
ritenuto necessario l’attuale Sinodo incentrato soprattutto
sull’evangelizzazione e la missione nel nostro tempo di secolarismo dilagante,
sulle varie problematiche pastorali, la liturgia e la formazione del clero, dei
religiosi e religiose e del laicato cattolico. Martedì è prevista l’udienza con
il Santo Padre e venerdì la conclusione con la concelebrazione presieduta dal
Patriarca Ignace Moussa I Daoud, cardinale prefetto della Congregazione per le
Chiese orientali, dalla quale dipendono le circoscrizioni di rito bizantino in
Italia.
mons. giovanni Lajolo in
visita in tunisia per la mostra dedicata a sant’agostino: “vi porto la benedizione paterna e gli incoraggiamenti del Papa,
che continua a pregare per coloro che ancora
oggi vivono il quotidiano e fraterno dialogo con i
membri
della comunità musulmana.
TUNISI. = Per la mostra dedicata
a Sant’Agostino (Saint Augustine: Africanité et universalité), il segretario
per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Giovanni Lajolo, ha compiuto nei
giorni scorsi una visita in Tunisia, che si è conclusa lo scorso 6 gennaio.
Patrocinata dal Ministero tunisino della cultura della gioventù e del tempo
libero, con la partecipazione della diocesi di Tunisi e dell’ambasciata della
Svizzera in Tunisia, la mostra è stata allestita nell’antica cattedrale della
capitale del Paese africano. Inaugurata lo scorso 15 dicembre, l’esposizione,
che si concluderà domani, è stata voluta per commemorare il 1.650.mo
anniversario della nascita di sant’Agostino, avvenuta a Tagaste nel 354. La
manifestazione vuole inoltre ricordare il legame del santo con la città di
Tunisi, in cui visse la sua giovinezza; convertitosi al cristianesimo durante
il suo soggiorno a Roma e a Milano, Agostino fece ritornoin Africa , per venire
successivamente eletto vescovo di Ippona. Nell’omelia del 5 gennnaio nella
cattedrale di Tunisi mons. Lajolo ha ricordato i martiri della Chiesa tunisina,
come san Cipriano, santa Perpetua e santa Felicita, ed ha portato inoltre ai
cittadini la “paterna benedizione e gli incoraggiamenti del Papa”, che non ha
dimenticato la sua visita nel Paese africano, il 14 aprile 1996. Il pontefice –
ha aggiunto mons. Lajolo - continua a pregare per coloro che ancora oggi
testimoniano qui la loro fede vivendo il quotidiano e fraterno dialogo con i
membri della comunità musulmana”. Mons. Lajolo ha inoltre rivolto un
apprezzamento ai religiosi e fedeli laici, che si occupano dell’educazione, la
salute, l’attenzione ai più poveri, annunciando in questo modo il nuovo regno,
quello dell’amore. “Voi praticate – ha ricordato il presule - il più bello dei
dialoghi ed il più efficace senza dubbio, quello della carità.” (S.C.)
si concludono oggi le
celebrazioni per il centenario della nascita di
giorgio la pira, il
“sindaco santo”, di cui si concluderà
tra breve la fase diocesana
del processo di beatificazione.
FIRENZE. = Si conclude oggi
l’anno di celebrazioni in onore di Giorgio La Pira, di cui ricorre il
centenario della nascita. Nato il 9 gennaio del 1904 nella cittadina siciliana di Pozzallo, nel 1986 l’allora arcivescovo
di Firenze, cardinale Silvano Piovanelli,
aveva aperto la fase diocesana del processo di beatificazione, che ha
richiesto l'esame completo degli scritti editi di La Pira (raccolti in 35
volumi) e di quelli inediti, conservati in gran parte negli archivi della
Fondazione La Pira, che ammontano ad alcune decine di migliaia di pagine. Sono
stati anche interrogati circa duecento testimoni in molte zone d'Italia e in
diverse città straniere: Mosca, Rabat, Gerusalemme, Parigi, Dakar. Lo scorso 31
dicembre durante l’omelia nella Cattedrale l’arcivescovo di Firenze, cardinale
Ennio Antonelli, aveva annunciato la prossima conclusione della fase diocesana
del processo di beatificazione. Intanto a Firenze proseguono appuntamenti e
manifestazioni, come la mostra a Palazzo Vecchio (fino al prossimo 6 febbraio)
dedicata alla figura di La Pira. Inoltre, la lettura da parte dell’attore
Alessandro Benvenuti, di alcuni testi del “professore”, in programma per le ore
11 del 19 gennaio. (S.C.)
QUESTA
MATTINA ALL’ALTARE DELLA CATTEDRA NELLA BASILICA VATICANA
SOLENNE
CELEBRAZIONE DI RINGRAZIAMENTO PER I 50 ANNI DI SACERDOZIO DI
MONS.
PIERO MONNI, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO
L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL TURISMO E PER PIU’
DI
DIECI ANNI REDATTORE PRESSO LA RADIO VATICANA
- A
cura di Giovanni Peduto
-
CITTA’
DEL VATICANO. – Alle ore 10.30 di questa mattina all’Altare della Cattedra,
nella Basilica Vaticana, un folto gruppo di parenti, amici e conoscenti, nonché
numerosissimi concelebranti fra cui vescovi e cardinali membri della Curia
Romana e il Capitolo di San Pietro di cui è membro, si sono uniti attorno a
mons. Piero Monni che ha celebrato una Messa di ringraziamento per i suoi 50
anni di ordinazione sacerdotale avvenuta a Cagliari, in Sardegna, il 2 gennaio
del 1955. Mons. Monni, nato a Ferrara il 14 dicembre del 1928, è attualmente
Osservatore permanente della Santa Sede presso l’organizzazione Mondiale del
Turismo, agenzia delle Nazioni Unite con sede a Madrid. E’ inoltre capo
missione e rappresentante pontificio in numerose assemblee internazionali. Ma
lo ricordiamo soprattutto per aver egli prestato servizio alla Radio Vaticana,
in qualità di redattore del Radiogiornale, per oltre un decennio negli anni
settanta e i primi anni ottanta. Passò quindi al servizio della Segreteria di
Stato e, poi, per sette anni consigliere diplomatico all’Ambasciata italiana
presso la Santa Sede. Non gli è mancata l’esperienza pastorale, poiché subito
dopo l’ordinazione per più di 15 anni svolse il suo ministero in varie
parrocchie della sua arcidiocesi di Cagliari, retta per alcuni anni dal
cardinale Giovanni Canestri. Il porporato ha voluto onorare mons. Piero Monni
non solo con la sua presenza in Basilica questa mattina, ma anche tenendo egli
stesso l’omelia sul tema del sacerdozio, elogiando la figura di mons. Monni
quale fedele servitore della Chiesa di Gesù Cristo. Non vogliamo tacere le
pubblicazioni di mons. Monni dal 1978 ad oggi, tra le quali risaltano le sue
ricerche sul turismo sessuale nel volume “L’arcipelago della vergogna” edito da
EUR in varie lingue. Dopo la celebrazione nella Basilica Vaticana, mons. Monni
ha salutato tutti i partecipanti nell’atrio dell’Aula Paolo VI in
Vaticano.
italia: dalla mezzanotte
sarà vietato fumare
negli esercizi pubblici
italiani.
ROMA. = Dalla mezzanotte di oggi
entrerà in vigore il divieto di fumo in tutti gli esercizi pubblici italiani.
Fino ad ora la percentuale dei locali che ha adibito una sala per fumatori è
dell’8% del totale al Nord, del 6% al centro, del 4% al Sud e del 3% nelle
isole. Gli esercenti si dicono consapevoli dell'importanza di questa legge dal
punto di vista della salute per i cittadini, secondo quanto affermato dal
segretario della Fiepet-Confesercenti Galli; e sono “disposti ad intensificare
la campagna d'informazione sul divieto di fumo nei pubblici esercizi”.
L’Associazione degli esercenti si dice inoltre decisa “nel tutelare gli
imprenditori che vogliono far rispettare la legge ma con un comportamento
equilibrato nei confronti della propria clientela: nessuna denuncia dunque e
nessuna delazione”. E segue la linea morbida anche il commento del presidente
della Federazione dei pubblici esercizi di Napoli e provincia, Antonio Pace,
che nel dichiarare: “non predisporremo le salette per fumatori prescritte dalla
legge”, punta il dito sull’eventualità di problemi, nelle zone più turbolente
della città, “nell’avvicinare una certa tipologia di clienti, quelli più
difficili.” Ai gestori il ministro Sirchia ricorda che “non
dovranno fare gli sceriffi, ma solo invitare l'avventore a non fumare. “Il
nostro fine – ha aggiunto il ministro – è quello di assicurare a tutti la
libertà di non respirare gas altamente nocivi come dimostrano le ricerche
scientifiche. (S.C.)
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9 gennaio 2005
- A cura di Salvatore Sabatino -
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Nel Sud-Est asiatico il bilancio dei morti causati dal
maremoto è di oltre 156 mila vittime delle quali almeno 104 mila in Indonesia,
circa 30 mila nello Sri Lanka e più di 15 mila in India. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
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In
Thailandia, dove sono rimaste uccise più di 5300 persone, resta ancora
sconosciuta l’identità di oltre 2000 vittime e si continuano a scavare fosse
comuni. Nel
Paese, dove sono almeno 8 mila i dispersi, si celebra oggi la “Festa dei
bambini” ma il clima gioioso che negli anni scorsi riempiva le strade e i
parchi pubblici, è sostituito ora dall’angoscia e dal dolore per la tragedia
che ha drammaticamente avvolto, tra le onde, migliaia di vite. Sempre in
Thailandia il vescovo salesiano di Surat Thani, mons. Joseph Prathan, ha
illustrato all’agenzia vaticana Fides gli interventi volti ad aiutare la
popolazione colpita dalla furia dell’acqua. “Alcuni nostri volontari - ha
spiegato il presule - si spingeranno sin dove non sono ancora arrivati i
soccorsi. Andremo là dove non potrà arrivare nessuna organizzazione
governativa”. Nei campi profughi dello Sri Lanka il servizio dei
gesuiti per i rifugiati (JRS) sta per attivare, inoltre, un programma di
sostegno psicologico per i bambini e i giovani sopravvissuti allo tsunami.
Nelle Maldive, intanto, il rappresentante
permanente dell’ONU ha reso noto che nove isole del Paese, totalmente distrutte dallo
tsunami, non saranno più abitate. E nel Sud-Est asiatico, già
drammaticamente colpito dal maremoto, si registrano anche nuovi episodi di violenza. Nello Sri
Lanka il lancio di una granata contro un deposito di raccolta di aiuti
umanitari ha causato la morte di almeno 3 persone. In Indonesia, nella città di
Banda Aceh, un gruppo di guerriglieri appartenenti al movimento per “Aceh
libera”, che da 27 anni combatte a nord di Sumatra, ha attaccato il campo
profughi di Catapang uccidendo un soldato. E in Indonesia, dove è stata
avvertita la scorsa notte una nuova scossa di assestamento di magnitudo 4,7
della scala Richter, sono arrivati aiuti provenienti dalla Thailandia. In
Svezia, infine, si sono tenute ieri cerimonie celebrate simultaneamente in 13
cattedrali del Paese in memoria delle vittime. La Svezia potrebbe risultare lo
Stato europeo con il bilancio più pesante: sono 52 i morti confermati e più di
1200 gli svedesi di cui non si hanno più notizie.
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Nei Paesi colpiti dal maremoto,
le principali urgenze sono quelle di assicurare rifugi ai senzatetto e di
portare alla popolazione medicine, acqua potabile e cibo. Sulla situazione
dello Sri Lanka in particolare ascoltiamo il segretario della nunziatura
apostolica dello Stato asiatico, mons. Claudio Cricini, intervistato da Amedeo Lomonaco:
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R.- La situazione nello Sri
Lanka sembra sotto controllo. Gli aiuti stanno arrivando in tutte le zone più
colpite. Per quello che ci risulta non ci sono epidemie. Certamente bisogna
sottolineare che le condizioni sanitarie e igieniche sono precari
D.- Nel Paese, diviso da anni di
guerra civile, si respira comunque un clima di coesione e di collaborazione.
Dalle macerie della catastrofe può emergere un uomo nuovo?
R. Credo che la tragedia possa diventare una grande
opportunità, per le parti in conflitto, per arrivare ad una soluzione definitiva
delle lacerazioni che stanno dividendo questo Paese. La riconciliazione sarebbe
davvero una parola di conforto, di speranza e di aiuto concreto per quanti si
trovano ora nella sofferenza e nella disperazione.
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Ancora violenze in Iraq. Sono almeno
14 le persone rimaste uccise nella notte tra venerdì e sabato a causa di un
raid aereo statunitense sul villaggio di Aaytha, a Sud-Est di Mossul.
L’esercito americano ha ammesso l’errore, precisando di aver colpito
un’abitazione civile, al posto di una postazione di guerriglieri. Nella
provincia di Wasit, invece, 9 soldati della Forza multinazionale, otto ucraini
e un kazako, sono morti mentre cercavano di far esplodere un deposito di
munizioni. Lo riferisce l'agenzia polacca Pap. La violenza non accenna a
diminuire neppure a Baghdad, dove una bomba, fatta esplodere al passaggio di un
convoglio statunitense, ha ucciso un marine.
A Nassirya, infine, un convoglio militare italiano è stato attaccato con
un ordigno. Nessuno è rimasto ferito.
Quattro presunti membri della
rete terroristica di Al Qaida sono rimasti uccisi questa mattina nei pressi
della capitale saudita, Riad, durante uno scontro a fuoco con le forze di
polizia. A confermare la notizia il ministero degli Interni saudita, secondo
cui le forze di sicurezza avrebbero aperto il fuoco dopo essere stati
attaccati. I quattro presunti terroristi appartenevano al “gruppo deviato”, termine che il governo di Riad
solitamente adotta per indicare la rete di Al Qaida.
Fonti della sicurezza libanese a Beirut hanno confermato che guerriglieri
del movimento islamico libanese Hezbollah hanno lanciato questa mattina razzi
contro una pattuglia israeliana lungo
il confine tra lo Stato ebraico, il Libano e la Siria. Per la milizia libanese
un soldato israeliano avrebbe perso la vita. La risposta di Israele non si è
fatta attendere: aerei da guerra hanno bombardato presunte basi dei
guerriglieri islamici. Al momento non risultano vittime.
Tensione alta anche in Pakistan,
dove ieri almeno 11 persone hanno perso la vita nel corso di scontri scoppiati
nella cittadina settentrionale di Gilgit tra le due fazioni sunnite e sciite.
Sei delle vittime hanno perso la vita nel rogo di un’abitazione, appiccato dai
sunniti. Gli scontri tra sciiti e sunniti, che sono in maggioranza in Pakistan, hanno provocato nel Paese la morte
di almeno 4.000 persone negli ultimi dieci anni.
Tempeste di vento, della forza
di un uragano, stanno battendo il nord dell'Europa, dalla Svezia alla Danimarca
al nord dell'Inghilterra, provocando
vittime - si contano finora 12 morti - e lasciando al buio o senza casa
migliaia di persone. Bloccati per ore numerosi scali aerei, ferrovie e
porti. Sono state interrotte tutte le comunicazioni via mare tra Svezia, Danimarca, Norvegia, Gran Bretagna e
Germania. In Scozia un traghetto con cento persone a bordo, è stato disincagliato questa mattina, dopo essere
rimasto bloccato ieri a Cairnryan, sulla costa occidentale.
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