RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
6 - Testo della trasmissione giovedì
6 gennaio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
La riflessione del vescovo di Terni-Amelia,
mons. Vincenzo Paglia
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Cristiani e musulmani delle Filippine uniti nella preghiera
per le vittime dello tsunami.
I palestinesi si
preparano per le elezioni di domenica prossima: la Corte suprema di Gerusalemme
non concede la possibilità di votare a migliaia di palestinesi detenuti nelle
carceri israeliane
6 gennaio 2005
NEL GIORNO DELL’EPIFANIA, IN CUI GESU’ BAMBINO
MOSTRA IL VOLTO DI DIO AI MAGI, IL PAPA HA PREGATO ALL’ANGELUS IN PIAZZA SAN PIETRO
PER LE PICCOLE VITTIME DEL MAREMOTO IN ASIA
E PER TUTTI I BAMBINI COLPITI DALLA FAME E DALLA
GUERRA
E PER
TUTTI QUELLI RAPITI O SFRUTTATI PER TRAFFICI IGNOBILI.
HA POI INVITATO I BAMBINI A PREGARE
PERCHE’ LA
LORO PREGHIERA SALVA E MIGLIORA IL MONDO
- Servizio di Sergio Centofanti -
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Il
Papa rinnova la sua preghiera per le popolazioni del Sud-Est asiatico colpite
dal maremoto: Nei giorni scorsi aveva chiesto la mobilitazione della
solidarietà internazionale. Oggi, solennità dell’Epifania, che ricorda i Magi
in adorazione presso Gesù bambino, ha pregato in particolare per le piccole
vittime del disastro. Poi il suo pensiero è andato a tutti i bambini sofferenti
nel mondo:
“Non posso dimenticare i bambini vittime
della fame e delle malattie, della guerra e del terrorismo, come pure i bambini
rapiti, scomparsi o sfruttati per traffici ignobili”.
Giovanni
Paolo II ringrazia “quanti si impegnano per la tutela dei più piccoli”, in modo
speciale la Pontificia Opera della Santa Infanzia e ricorda che “l’Epifania è
anche la Giornata dei Bambini Missionari”. “I bambini – ha detto – sono il
presente e il futuro della Chiesa. Hanno un ruolo attivo nella evangelizzazione”
e li ha esortati a pregare, perché “con le loro preghiere contribuiscono” a salvare
e a migliorare il mondo. Il Papa ha quindi ripetuto il monito di Gesù: “Chi non
accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. Ieri il Pontefice
aveva affidato nuovamente l’umanità a Maria, Regina della Pace; oggi ha chiesto
l’aiuto della Vergine, che “presenta Cristo alle genti”, perché possiamo
“adorarlo con animo di fanciulli”.
“Siamo
venuti per adorarlo”: queste parole dei Magi – ha aggiunto - sono il tema della
prossima Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà in agosto a Colonia, in
Germania:
“Invito i giovani della Germania e del mondo
intero a mettersi spiritualmente in cammino verso questo importante
appuntamento per scoprire in Cristo, come i Magi, il volto di Dio”.
Dopo
la preghiera dell’Angelus Giovanni Paolo II ha rivolto il suo “cordiale augurio
di pace e di letizia nel Signore” ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali
che, seguendo il calendario giuliano, celebrano in questi giorni il Santo Natale.
Il
Papa ha infine salutato quanti hanno partecipato al tradizionale corteo
storico-folcloristico “Viva la befana”, ideato nel 1985 per far reinserire in
Italia l’Epifania come giorno festivo nel calendario civile. La manifestazione,
giunta alla sua XX edizione, è promossa dall’Associazione Europae Fami.li.a
(Famiglie Libere Associate d’Europa) che ogni anno affida ad un comune italiano
l’organizzazione dell’evento. Quest’anno è toccato a Fiumicino. Il corteo come
sempre è stato guidato dai Re Magi ed era composto da 1.500 persone, 23
cavalli, cinque carri allegorici ed un originale Presepe vivente, animato da
oltre 250 personaggi a ricostruire scenari della vita quotidiana della
cittadina laziale: prima dell’Angelus è sfilato lungo Via della Conciliazione.
All’inizio del corteo, con separata scenografia, era stata trasportata in
Piazza San Pietro, per ricevere la benedizione Apostolica, la statua in bronzo
di Salvo D’Acquisto in memoria del gesto d’amore del vice brigadiere dell’Arma
che nel 1943, a Palidoro, nei pressi di Fiumicino, si fece fucilare dai nazisti
in cambio della vita di 22 ostaggi. La statua sarà collocata a Fiumicino, in
una Piazza che prenderà il suo nome.
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Ma
sul significato della festa dell’Epifania ascoltiamo, al microfono di Gabriella
Ceraso, mons. Vincenzo Paglia Vescovo di Terni-Amelia:
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R. - La prima
cosa da sottolineare è quell’ansia di universalità che si respira in questa festa.
Potremmo dire che Gesù è appena nato e già il mondo se ne accorge e già i
popoli della Terra, rappresentati da questi Magi, arrivano subito ad adorarlo.
Potremmo dire che già duemila anni fa c’era questa spinta a globalizzare
l’amore. E oggi questa festa assume toni particolarmente importanti e per certi
versi anche drammatici, viste le tragedie che si stanno abbattendo sulla nostra
Terra. Davvero quel bambino di Betlemme è il Salvatore di tutti, il Salvatore
da tutte le tragedie. Ecco perché in quei Magi la Chiesa ha sempre visto fin
dall’inizio la fede dei popoli della Terra, nel venire ad adorare e a riconoscere
come loro Salvatore quel piccolo bambino di Betlemme.
D. – Se i Magi rappresentano i
popoli della Terra, allora quella Stella che li mosse da lontani Paesi e li
attirò irresistibilmente a Gesù che cosa simboleggia?
R. – La Stella credo potremmo
somigliarla al Vangelo. E’ una parola di Dio che ci viene dall’alto, e se
l’uomo e la donna sono in ricerca della salvezza, se sono in ricerca di un
“oltre”, certamente quando ascolteranno quella parola potranno capire la
direzione nella loro ricerca. Il Vangelo non appartiene ad una cultura, è per
tutti, così come la Stella può essere vista da tutti. Sta ad indicare che ciascuno
di noi ha bisogno di una guida: che sia un padre spirituale, un fratello, una sorella,
gli eventi del mondo, la Chiesa. Tutti abbiamo bisogno di guardare qualcosa
oltre di noi che ci indichi il cammino per raggiungere il Signore. Chiunque di
noi si avvicina, va dal Signore portando i doni che ha, ma il dono fondamentale
che si deve portare è il proprio cuore, perché il Signore lo abiti. E quando si
incontra il Signore e noi gli offriamo il nostro cuore, cambiamo noi e cambia
il mondo. Ecco perché l’Epifania è un grande momento che va riscoperto, che va
vissuto e testimoniato nella vita di ogni giorno.
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OGGI,
GIORNATA MONDIALE DELL’INFANZIA MISSIONARIA:
ATTENZIONE
PUNTATA SULLA SOLIDARIETÀ UNIVERSALE TRA I
PIÙ PICCOLI
-
Intervista con suor Maria Teresa Crescini -
“I
bambini aiutano i bambini”. E’ lo
slogan della POIM, la Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria, che dal 1950,
su invito di papa Pio XII, nel giorno della festa dell’Epifania celebra la
Giornata missionaria mondiale dei bambini. Nata nel 1843 dall’intuizione del vescovo
francese, mons. Forbin Janson, che pensò alla solidarietà tra bambini come
veicolo per migliorare le condizioni di tutti i piccoli del mondo, oggi la POIM
è presente in 110 Paesi. Tra le tante iniziative in corso, la vendita benefica,
in Italia, della “Matita missionaria”, strumento per disegnare un mondo
migliore e simbolo di una vita che si consuma, lasciando dietro di sé una
traccia visibile. Ma qual è l’impegno concreto dei bambini dell’Infanzia Missionaria
nel mondo? Roberta Moretti lo ha chiesto a suor Maria Teresa Crescini,
incaricata dell’animazione missionaria della POIM a livello internazionale:
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R. - Operano nelle diocesi,
nelle parrocchie, nelle scuole, nelle missioni; operano dove c’è la Chiesa,
dove ci sono i catechisti e gli animatori, che li aiutano ad operare in senso
missionario. Lavorano tutto l’anno e pregano soprattutto - la preghiera è alla base
della dimensione missionaria - per riempire un Fondo comune che finanzia 2.500
progetti di solidarietà per i bambini nel mondo. I soldi raccolti quest’anno
sono 18 milioni di dollari: possono sembrare pochi, ma sono invece tantissimi,
perché sono soldi dei bambini, soldi che vengono dai loro sacrifici.
D. – Come hanno reagito i
bambini nel mondo alle terribili notizie che giungono tutti i giorni dal
Sud-Est asiatico?
R. – Si
sono mobilitati tutti. La mobilitazione più forte, che noi stessi incoraggiamo,
è quella della preghiera, che rappresenta la partecipazione fraterna alle tragedie
del mondo. Noi abbiamo programmato non un intervento immediato ma, quando i
riflettori su questa tragedia saranno spenti, il Fondo di Solidarietà
dell’Infanzia comincerà il finanziamento dei progetti di ricostruzione delle
scuole, degli ospedali, soprattutto delle case di accoglienza e l’aiuto ai
bambini che sono rimasti orfani, a molti di questi piccoli che erano e sono
ragazzi missionari in queste terre.
D. – Qual è lo spirito con cui i
giovanissimi fanno opera di solidarietà?
R. – I piccoli hanno una
generosità indescrivibile, nonostante la loro dimensione egocentrica. E’
proprio la missionarietà che li aiuta a rompere il cerchio dell’egocentrismo,
non mettendo se stessi al centro dell’attenzione affettiva e solidale, ma
spostando l’asse su tutti i bambini meno fortunati.
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6
gennaio 2005
VERTICE INTERNAZIONALE A
GIAKARTA, IN INDONESIA SUGLI AIUTI AL SUD-EST ASIATICO: SÌ ALLA MORATORIA SUL
DEBITO DEI PAESI COLPITI DAL MAREMOTO. KOFI ANNAN CHIEDE 977 MILIONI DI DOLLARI
PER AIUTARE 5 MILIONI DI PERSONE.
DECISA
LA CREAZIONE DI UN
SISTEMA DI ALLARME CONTRO GLI TSUNAMI.
- Ai nostri microfoni
Sergio Marelli, il vescovo ausiliare di Madràs, Gabriele
Garnìga,
Vincenzo Curatola -
Coordinamento
degli aiuti, fondi da stanziare, ma anche creazione di un sistema di controllo
Tsunami per l’area che si affaccia sull’Oceano Indiano, oltre che l’assenso
alla moratoria del debito estero per i Paesi colpiti. Numerosi ed
importantissimi i temi in agenda alla conferenza internazionale di Giakarta, in
Indonesia. Il primo incontro a livello planetario dopo il terribile maremoto
che ha spazzato via oltre 146mila vite. Il dato, però, dovrà inevitabilmente
essere rivisto al rialzo. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
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Il mondo si riunisce attorno ad
un tavolo, quello di Giakarta, in Indonesia, e mette a punto un piano di
coordinamento planetario per gli aiuti alle popolazioni colpite dallo tsunami
del 26 dicembre scorso. La capitale indonesiana si trasforma, dunque, in un crocevia
di azioni diplomatiche tese a mettere ordine negli aiuti. Ed il primo atto
concreto lo fa Washington, che decide di smantellare il "gruppo
guida" creato insieme a India, Australia e Giappone per coordinare la distribuzione
degli aiuti e di fare capo alle Nazioni Unite. A comunicarlo il segretario di
Stato americano, Colin Powell, che solo ieri, sorvolando le zone colpite, aveva
detto di non aver visto mai nulla di simile, nonostante avesse visitato molte
volte le zone colpite dalla guerra. E la portata epocale del disastro viene
evidenziata anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan,
anch’egli presente alla Conferenza. “Nei prossimi sei mesi – dice - serviranno
977 milioni di dollari per tendere la mano ai cinque milioni di superstiti” di
quello che egli stesso definisce “la più grande emergenza mai affrontata dalle
Nazioni Unite”. "Dobbiamo preparare il terreno per gli aiuti a lungo termine
- ha aggiunto Annan - man mano che si passerà alla ricostruzione". Ma c’è
bisogno di più personale e più materiale per portare aiuto ai bisognosi.
“Questo disastro offre un'occasione unica: dar prova di umanità" e il
mondo, ha aggiunto, sta dando prova di unità.
Un’unità che dal continente
americano passa per l’Europa e giunge fino alle zone colpite. L’Unione Europea,
infatti, aumenta di 461 milioni di dollari i fondi a disposizione, giungendo in
totale a 1,5 miliardi di dollari.
L’aumento degli stanziamenti è stato annunciato dal presidente della
Commissione UE, Jose Manuel Barroso. Ma solo l'India ha stimato i danni
economici e finanziari procurati dal maremoto in 1,1miliardi di dollari. Le
quantificazioni dei danni lasciano il passo, poi, alle cifre delle vittime.
Sono 146mila i morti accertati; la cifra, però, dovrà essere inevitabilmente
rivista. Le squadre di soccorso, infatti, continuano a scavare tra le macerie,
e a trovare decine di corpi senza vita. Il Paese più colpito è senza dubbio
l’Indonesia, con quasi 100mila morti, seguita da Sri Lanka ed India, rispettivamente
con 30mila e 16 mila vittime. E tra i Paesi maggiormente colpiti spunta anche
la lontana Somalia, con quasi 300 persone uccise dall’onda assassina. E per non
ripetere più una tragedia di tali dimensioni, la Conferenza di Giakarta ha
preso una decisione importante: creare un sistema di allerta-tsunami che
metterà in allarme i Paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano nel caso in
cui un'altra onda anomala tornasse a minacciare le coste. Intanto la terra
continua a tremare in Indonesia, interessata in meno di 12 ore da due scosse di
assestamento piuttosto rilevanti: entrambe intorno ai 6 gradi della Scala
Richter.
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Altro Tema fondamentale discusso
a Giakarta è stato quello del debito estero dei Paesi colpiti. I leader
asiatici e mondiali presenti hanno approvato l'idea di una moratoria. Poco
prima il ministro delle finanze britannico, Gordon Brown, aveva annunciato che
tutti i Paesi del G8 erano “pienamente d'accordo” per un congelamento del
debito. Un primo passo di solidarietà concreta, come ci conferma Sergio
Marelli, presidente delle ONG italiane, al microfono di Salvatore Sabatino:
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R. – Noi non abbiamo esitato a
giudicare come estremamente positiva questa decisione del Vertice di Giakarta
ma non è sufficiente. Sappiamo tutti che per essere operativa, questa decisione
dovrà attendere il parere del club di Parigi e cioè degli Stati creditori più
importanti nel mondo, che si riunirà il prossimo 12 gennaio.
D.
- Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan ha chiesto 977 milioni di dollari
nei prossimi 6 mesi per aiutare 5 milioni di persone. Come verrà organizzata
questa complessa macchina di aiuti?
R.
– Anzitutto penso che questa dichiarazione, questa richiesta di Kofi Annan sia
importante anche alla luce di alcune dichiarazioni che abbiamo sentito nei
giorni scorsi di organizzazioni che dicono “stop agli aiuti”. Giustamente il
segretario delle Nazioni Unite continua a ricordare che questa è una emergenza
che si protrarrà anche sul medio e lungo periodo. La solidarietà dei cittadini
privati e gli stanziamenti dei governi non dovranno interrompersi quando
l’emotività, quando gli spot delle agenzie informative si affievoliranno su
questa tragedia. In secondo luogo io penso che quella dell’Organizzazione di
questa impressionante ed enorme macchina di aiuti è la grande sfida di questo
momento. Resto assolutamente del parere che solo le Nazioni Unite, solo una
Organizzazione sopranazionale può essere delegata a gestire anche delle
situazioni così difficili come quelle che si vivono in molti di questi Paesi,
ancora sconvolti da tensioni sociali, ancora schiavizzati da governi
dittatoriali.
D.
– Sono molti i Paesi, anche non proprio amici, che collaboreranno per fare avere
gli aiuti alle popolazioni colpite. Il dramma sta creando, forse per la prima
volta, una sorta di grande unione planetaria…
R. – Speriamo in qualche modo
che almeno a questo possa servire questo enorme cataclisma che ha colpito
milioni e milioni di persone.
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Tra i Paesi maggiormente
colpiti, c’è sicuramente l’India che, come abbiamo detto, ha quantificato i
suoi danni in 1,1 miliardi di dollari. Lo Stato più colpito è stato quello del
Tamil Nadu, dove decine di villaggi sono scomparsi in seguito allo Tsunami. In
questo contesto si è inserita l’azione concreta della Chiesa indiana.
Ascoltiamo la testimonianza di mons. Lawrence Pius Dorairaj, vescovo ausiliare
di Madras e Mylapore:
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R. - WELL, THE CHURCH
SPRANG INTO ACTION IMMEDIATELY. …
La
Chiesa è entrata in azione immediatamente. Come prima cosa abbiamo distribuito
vestiario e cibo e abbiamo accolto la popolazione colpita nelle nostre chiese e
nelle nostre scuole; poi molti sono tornati alle loro case, anche se distrutte.
Ora la Chiesa sta cercando di aiutare questa gente a ricostruirsi una vita,
acquistando le reti da pesca, ricostruendo gli edifici e acquistando i libri
scolastici per i bambini che hanno perso tutto e che devono tornare a scuola.
La gente è profondamente sotto shock, perché non era mai successo nulla di
simile … Quello che ci colpisce è la solidarietà mondiale che è scattata con
questa tragedia: veramente tante, ma tante persone hanno offerto il proprio
aiuto in questo dramma, hanno donato con generosità denaro, vestiti, cibo e
medicine a questa gente bisognosa di tutto: con questi aiuti possiamo
finalmente soccorrere la nostra gente. Certo le nostre popolazioni sono ancora
sotto shock, ma pian piano si riprenderanno. All’inizio, c’è stato chi si è
ribellato a Dio, ma ora stanno iniziando ad accettare quanto accaduto per tornare
ad una vita normale.
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Purtroppo, i più colpiti dalla
tragedia sono certamente i bambini: ne sono morti, secondo le ultime stime,
almeno 50 mila, e decine di migliaia hanno perso i genitori. Per prendersi cura
dei minori superstiti, il governo dello Sri Lanka ha chiesto aiuto ai salesiani,
come conferma Gabriele Garnìga, missionario da 22 anni nel Paese asiatico.
L’intervista è di Andrea Sarubbi:
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R. – Questa è una richiesta alla
quale abbiamo risposto da anni, lavorando in questo settore. Due nostri
salesiani fanno parte anche dell’organizzazione del dicastero formato dal
presidente per la salvaguardia dei bambini.
D. – Quanti sono in Sri Lanka i
bambini vittime del maremoto?
R. – Si parla di 9 mila bambini
morti e di 3 mila bambini completamente orfani. Perciò, dovremo darci da fare
per trovare un ambiente per questi 3 mila bambini in modo tale che possano
crescere con l’affetto che avrebbero trovato in famiglia.
D. – E voi salesiani,
concretamente, che cosa pensate di fare?
R. – Di aprire i nostri centri
dove abbiamo già la possibilità di ospitare bambini; e poi, darci da fare per
attrezzare altri centri in modo che possano raggiungerci il numero più alto
possibile di questi bambini delle zone colpite dal maremoto.
D. – Si sta parlando in questi
giorni del rischio che proprio i bambini finiscano nelle mani dei trafficanti
di minori o addirittura dei trafficanti d’organi ... Secondo lei, è un rischio
che esiste anche in Sri Lanka?
R. – Purtroppo sì, perché già
anni fa, verso gli anni ’84, ’85 questo problema era un problema acuto in Sri
Lanka. Il problema della pedofilia rimane sempre un problema acuto in Sri Lanka
perciò è possibilissimo che ci siano stati anche dei bambini che sono stati
usati o portati via per questo commercio purtroppo così impensabile ...
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Le principali associazioni a
difesa dei diritti dei bambini chiedono di bloccare per il momento le adozioni
internazionali per evitare il traffico illegale di minori e invitano a sostenere
le adozioni a distanza. Della stessa opinione sono i missionari, secondo i
quali, tra l’altro, è meglio assistere i bambini nel loro Paese per non privare
le nazioni del Sud-Est asiatico di un’intera generazione. Ascoltiamo in
proposito Vincenzo Curatola presidente dell’associazione La Gabbianella che opera
nel settore con progetti in 80 Paesi del mondo. L’intervista è di Marina Tomarro:
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R. – La stessa convenzione
dell’Aja stabilisce che deve essere fatto il possibile per far rimanere il
bambino nel proprio territorio, proprio perché vuole tutelare gli interessi dei
bambini che, comunque, quando vengono portati in un’altra cultura cercano di
adattarsi ad una situazione che non hanno scelto. Se vogliamo veramente aiutarli
bisogna fare il possibile affinché rimangano lì.
D. – In che modo verranno
utilizzati i soldi che arriveranno da queste adozioni a distanza?
R. – Verranno utilizzati per
sostenere i bambini, le famiglie e le comunità. Subito dopo questa emergenza,
facendo una mappatura delle esigenze, lanceremo dei progetti mirati, come
abbiamo sempre fatto, di sostegno a distanza per aiutare le persone a
riprendere l’attività normale: per il bambino andare a scuola e per i genitori
l’attività lavorativa per dare alla famiglia un decente livello di vita. Il
sostegno a distanza aiuta anche a non dimenticare queste persone.
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QUESTA
SERA NELLA BASILICA ROMANA DI SANTA CROCE IN GERUSALEMME
PER I
BAMBINI DEL DARFUR, CON IL CORO DI VOCI BIANCHE “MATITE COLORATE”,
E IERI
SERA A SANTA MARIA MAGGIORE, PER LE VITTIME DELLO TSUNAMI
NEL
SUD-EST ASIATICO, CON LA CAPPELLA MUSICALE LIBERIANA
E L’ORCHESTRA NOVA AMADEUS DIRETTE DA MONS.
VALENTINO MISERACHS.
-
Servizio di A.V. -
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Una riflessione sul mistero della
morte e sulla speranza cristiana attraverso la musica: così Mons. Valentino
Miserachs, direttore della Cappella Musicale Liberiana presso la Basilica di
Santa Maria Maggiore, ha guidato l’ascoltatore nel percorso di arte e fede
suggerito dal concerto. Il Maestro Miserachs:
R. –
C’è sempre un pensiero o un accenno alla morte salvifica di Cristo e quindi la
morte che segue la vita. Della Messa esplicita del Requiem c’è soltanto il
primo brano del Requiem di Fauré, ma anche il Iustorum Animae dal Libro
della Sapienza, che viene letto anche nelle messe dei defunti: “le anime dei
giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà…..”. C’è poi l’Ave
Verum, “in Mortis examinae”, che il Signore ci salvi nel momento della
morte; c’è poi l’Ave Maria “nunc et in hora mortis nostrae” e l’Agnus
Dei, “dona nobis pacem”, perché sono sentimenti di dolore, di mestizia,
umanamente parlando, ma soprattutto dal punto di vista della fede sono
sentimenti di speranza e di proiezione verso un futuro di ripresa. Quindi
questa pace che ci viene da Dio è necessaria ed indispensabile per poter
ricostruire, per poter riguardare al futuro.
Di
carattere elegiaco e meditativo, invece, i brani strumentali, con una prima
esecuzione assoluta di Lorenzo Perosi:
R. – Sono pezzi per lo
più di musica cameristica o sinfonica, non esplicitamente sacra, ma sono
talmente belli questi brani che sono già in se stessi musica sacra.
Valentino Miserachs, nel solco
della tradizione dei Maestri di Cappella, ha composto alcuni dei brani in
programma per i musicisti da lui diretti, su testi in latino, come spiega egli
stesso:
R. –
Naturalmente è la tradizione romana. Siamo nella scia di questa plurisecolare
tradizione che, dopo il Concilio, dopo che le lingue vive si sono affermate
nell’uso liturgico, è ancora viva il latino non è bandito, non è spento, non è
morto. Cerchiamo noi di tenerlo vivo. Nella tradizione della Liturgia delle nostre
Basiliche, almeno Maggiori, perché noi abbiamo per obbligo di costituzione di
celebrare la Messa Capitolare delle domeniche e delle feste in latino. La
Cappella Musicale che canta in queste funzioni capitolari, essendo la Messa in
latino, canta in latino. Naturalmente io mi sento erede e depositario di una
grandissima tradizione e sento molto, per esempio, l’eredità del Maestro
Refice, di cui celebriamo quest’anno il 50.mo della morte. Lui è stato Maestro
di cappella per 37 anni, dal 1911 al ‘47. C’è stato poi il Maestro Bartolucci e
poi, dal ’73, ci sono io.
Quale contributo ha voluto dare
ieri questo concerto, alla giornata di lutto per le vittime dello Tsunami,
indetta dall’Unione Europea? Ancora Valentino Miserachs:
R. – Il messaggio della musica è
universale ed internazionale; supera le barriere di lingua, di razza, di
cultura. E’ un linguaggio che può arrivare al cuore di tutti gli uomini e poi
quando la musica è alleata con la Parola di Dio, nella musica sacra, non c’è
messaggio così forte e così efficace. Dovremmo essere veramente consapevoli di
questo, perché può fare e fa effettivamente – me ne rendo conto tutte le domeniche
– un bene enorme.
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6
gennaio 2005
CRISTIANI E MUSULMANI DELLE
FILIPPINE
UNITI
NELLA PREGHIERA PER LE VITTIME DELLO TSUNAMI.
MANILA.
= Domani cristiani e musulmani delle Filippine si uniranno in preghiera per le
vittime dello tsunami. L’iniziativa, riferisce l’agenzia AsiaNews, segue la
dichiarazione del governo filippino di stabilire per il 7 gennaio una “giornata
di preghiera e lutto nazionale”. Il presidente Gloria Macapagal-Arroyo ha
spiegato che “venerdì è un giorno adatto alla preghiera per i musulmani, ma
anche per i cristiani, essendo il primo venerdì del mese”. La stessa iniziativa
è stata promossa anche dalla Chiesa cattolica. L’arcivescovo di Davao, mons.
Fernando R. Capalla ha annunciato che il Consiglio episcopale permanente delle
Filippine, ha fissato per il 9 gennaio, festa del Battesimo di Gesù, “una
giornata di preghiera per le vittime dello tsunami in Asia”. Le diocesi del
Paese, intanto, si sono mobilitate per raccogliere aiuti da inviare nelle zone
colpite. Le donazioni saranno smistate dal Segretariato nazionale di Giustizia
e Pace. Ricordando gli ultimi tifoni che a dicembre nelle Filippine hanno
ucciso oltre 1.500 persone, mons. Capalla, presidente della Conferenza
episcopale nazionale, ha sottolineato che nonostante le difficoltà subite, “i
filippini hanno ancora qualcosa da condividere”. (B.C.)
NELLO STATO INDIANO DEL TAMIL
NADU, IL PIU’ COLPITO DAL MAREMOTO
DEL 26 DICEMBRE SCORSO, LA FEDE RAPPRESENTA LA
SPERANZA
SECONDO IL PRESIDENTE DELL’ALL INDIA CATHOLIC
UNION, JOHN DAYAL,
CHENNAI.=
“Potrei raccontare molti segni di speranza”, sono le parole di John Dayal,
presidente dell’All India Catholic Union, riferendosi al suo ultimo viaggio
nello stato del Tamil Nadu, duramente colpito dallo tsunami. Dayal ha
sottolineato come, nello scenario di completa distruzione, non manchino storie
positive di persone di ogni religione, che in circostanze così tragiche
riscoprono la fede, trovando in essa la necessaria forza per reagire. Una
grande solidarietà interreligiosa ha caratterizzato le operazioni di soccorso
che - secondo Dayal - hanno visto tanti giovani cattolici prodigarsi.
Fondamentale in questa fase è stato l’apporto della Chiesa insieme alla
Caritas, che si sono prodigate per soccorrere le vittime con operazioni di
primo intervento e a lunga scadenza. Dayal ha reso noto che uno dei primi
bisogni è il reperimento di fondi per comprare o costruire barche per i pescatori,
un primo modo per far ripartire l’economia delle zone costiere. Aiuti diretti
in questo senso stanno arrivando dall’Italia, che si occuperà di ricomprare le
imbarcazioni per i distretti srilankesi di Galle, Matara e Kinniya. Il ministro
della pesca del Paese asiatico e le autorità italiane hanno già stilato un
protocollo d'intesa e nei prossimi giorni sarà siglato l'accordo. Sostegno
internazionale è stato chiesto anche dai vescovi del Tamil Nadu e dalle
organizzazioni cristiane per riorganizzare le attività intorno al famoso
santuario cattolico di Nostra Signora della Buona Salute a Vailankanni, dove la
furia del maremoto ha preservato l’edificio religioso ma intorno ha provocato
centinaia di vittime in maggioranza pellegrini. Più interventi per la zona e la
ripresa del turismo è quanto auspica il rappresentante dell’All India Catholic
Union. “I governi - ha ribadito - non devono scoraggiare i viaggi verso il
Sud-Est asiatico”. In merito all’allarme lanciato da diverse organizzazioni sul
possibile traffico di bambini, Dayal ha confermato che la stampa locale parla
di persone che consegnano i minori per assicurarsi i sussidi del governo, una
cifra pari a 4544 dollari. La polizia speciale, che è impegnata a monitorare il
fenomeno, ha comunque escluso casi di compravendita dei bambini. (B.C.)
SINGOLARE INIZIATIVA
DELLA COMUNITA’ SRILANKESE A ROMA.
DONARE IL SANGUE PER RINGRAZIARE GLI ITALIANI CHE
SI SONO PRODIGATI
IN FAVORE DELLE POPOLAZIONI DEL SUD-EST ASIATICO
ROMA.=
Un gesto di ringraziamento, così i rappresentati della comunità dello Sri Lanka
di Roma, hanno motivato l’intenzione di donare il sangue nei maggiori ospedali
della Capitale. Duecento srilankesi hanno scelto questo modo per esprimere la
loro riconoscenza agli uomini della Protezione Civile accorsi immediatamente
sul posto per soccorrere i loro connazionali dopo il devastante passaggio dello
tsunami. “Vogliamo ringraziare tutti gli italiani e tutti i romani che ci
stanno vicino in questo difficile momento - ha dichiarato uno dei
rappresentanti della comunità srilankese in Italia, Selma Guruge Marius - il
nostro piccolo regalo sarà quello di donare sangue ai vostri ospedali”. Una
delle tante testimonianze di solidarietà dopo la terribile catastrofe
umanitaria in Asia. (B.C.)
AL VIA, IN BURUNDI, LA
COMMISSIONE PER LA VERITA’ E LA RICONCILIAZIONE.
BUJIMBURA.=
La creazione di una commissione nazionale per la verità e la riconciliazione
era prevista negli accordi di pace, siglati nell’agosto del 2000 tra governo e
forze ribelli nella città tanzaniana di Arusha. L’organismo, voluto
dall’esecutivo del presidente ad interim Domitien Ndayizeye, dovrà far luce sui
tanti crimini commessi in Burundi nel corso della lunga guerra fratricida che
ha opposto le due principali etnie, i tutsi e gli hutu, a partire
dall'indipendenza del Paese dal Belgio, il 1° luglio 1962. Lo scopo è
l’identificazione degli autori delle violenze commesse nel lungo arco di anni
ma la commissione, composta da 25 membri con mandato di due anni e nominati dal
presidente con l’approvazione dell’Assemblea Nazionale e del Senato, avrà anche
il difficile compito di fungere da arbitro nelle controversie e sollecitare la
riconciliazione. Un lavoro complesso soprattutto in un Paese che da poco ha
trovato una stabilità ma in cui ogni fazione racconta la sua verità sui tanti
massacri e le stragi commesse. Lo storico accordo firmato l’8 ottobre 2003 ha
permesso di raggiungere la tanto agognata pacificazione dopo 10 anni di guerra
e 300mila morti, in maggioranza civili. (B.C.)
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6
gennaio 2005
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Medio Oriente non si ferma la
violenza nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha ucciso un militante
palestinese di 18 anni, che si era infiltrato nell’insediamento di Ganei Tal
insieme ad un componente delle Brigate Ezzedine al Qassam. Intanto, il capo
dell’OLP, Abu Mazen, grande favorito per l’elezione presidenziale palestinese
del prossimo 9 gennaio, ha ribadito a Nablus la propria condanna della violenza
nell’Intifada contro lo Stato ebraico. Sull’intricato scenario politico in
Israele e nei Territori, ascoltiamo il nostro servizio:
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In Israele il premier Ariel
Sharon chiederà lunedì prossimo la fiducia del Parlamento al suo nuovo governo
composto dal partito del Likud, dai laburisti di Shimon Peres e dalla
formazione ortodossa ‘Fronte della Torah’. Lo ha dichiarato alla radio militare
un consigliere del primo ministro, Eyal Arad. A sbloccare la situazione dopo
due settimane di empasse è stata ieri una delle guide spirituali del ‘Fronte
della Torah’, che ha autorizzato l’accordo con il Likud per un periodo di
“rodaggio” di tre mesi, al termine del quale si tornerà ad esaminare la
situazione. Secondo gli osservatori, un secondo partito ortodosso, lo ‘Shas’,
potrebbe decidere di entrare nel governo Sharon dopo le elezioni palestinesi.
Le autorità israeliane hanno deciso, inoltre, la revoca del regime di
isolamento per Marwan Barghuti, leader di Al Fatah in Cisgiordania che sconta
cinque ergastoli in Israele. Nei Territori palestinesi fervono, intanto, i
preparativi per le elezioni del prossimo 9 gennaio. Al voto sono chiamati gli
abitanti di Cisgiordania e della Striscia di Gaza dove vivono circa 2 milioni
di persone. Parteciperanno alla consultazione anche gli arabi residenti a Gerusalemme
est dove la campagna elettorale è circoscritta ai soli luoghi privati e le
preferenze saranno espresse in cinque uffici postali prestabiliti. Oggi la
Corte suprema israeliana ha rifiutato di concedere la possibilità di votare a
migliaia di palestinesi detenuti nelle carceri di Israele. Le ultime elezioni
presidenziali nei Territori si sono tenute nel gennaio del 1996: Yasser Arafat
risultò vincitore con l’88 percento dei voti.
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Spostiamoci in Iraq dove un
soldato americano è rimasto ucciso durante un’operazione militare condotta
nella provincia sunnita ribelle di Al Anbar, nell’ovest del Paese. A Baghdad
uomini armati hanno ucciso, inoltre, il capo della polizia del quartiere sciita di Sadr City. Il
ministero dell’Interno ha poi reso noto che a Mossul sono state assassinate, lo
scorso 8 dicembre, 18 persone. Le vittime, i cui corpi sono stati mostrati
dalla televisione Al Iraqiya, sono cadute in una trappola mortale tesa dalla guerriglia: erano,
infatti, tutti operai ai quali era stata prospettata la possibilità di lavorare
in una base americana. In questa
cornice dominata dalle violenze si deve anche registrare che il gruppo
integralista “Esercito islamico” ha rivendicato l’attentato di ieri avvenuto
nei pressi dell’accademia di polizia di Hilla, a sud di Baghdad, dove sono
morte almeno 10 persone.
Negli
Stati Uniti un deputato democratico, John Conyers, ha diffuso un rapporto che
mette in discussione la vittoria del presidente George Bush nell’Ohio,
risultato determinante per la sua rielezione alla Casa Bianca dopo le
presidenziali dello scorso 2 novembre. Nel rapporto sono denunciate “numerose
gravi irregolarità avvenute in Ohio” e viene contestato il risultato del voto
del Collegio elettorale. Il deputato denuncia in particolare casi di
intimidazione, di disinformazione, di manipolazione dei registri degli elettori
ed una mancanza di controllo delle 93.000 schede bianche.
Il presidente della Banca Mondiale James Wolfensohn, per 10 anni alla guida
dell’organismo internazionale dedicato allo sviluppo e al quale aderiscono 164
Paesi, ha reso noto di non volersi ricandidare per una terza volta al termine
dell’attuale mandato, il 31 maggio prossimo. Durante questi due lustri,
Wolfensohn, 71 anni, australiano di nascita ma con cittadinanza americana, ha
puntato l’azione della Banca Mondiale soprattutto sulla lotta alla corruzione
ed ha portato avanti il programma di riduzione del debito dei Paesi più poveri,
coinvolgendo anche il Fondo Monetario Internazionale. Secondo gli osservatori,
la decisione di Wolfensohn – proposto alla presidenza della Banca mondiale nel
1995 dall’allora presidente democratico Clinton - è legata ai rapporti talvolta
tesi con l’amministrazione repubblicana di George Bush. Ma quale eredità lascia
alla Banca Mondiale James Wolfensohn? Roberto Piermarini lo ha chiesto al
direttore esecutivo per l’Italia della Banca Mondiale, Biagio Bossone, che ha
raggiunto telefonicamente a Washington:
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R. – Credo che il merito più importante di Wolfensohn sia quello di aver
riposizionato la Banca fortemente al centro della lotta alla povertà nel mondo,
facendone la vera e propria missione dell’Istituto. Wolfensohn ha pressato i
governi dei Paesi in via di sviluppo a guardare al buon governo, a guardare
soprattutto alla lotta alla corruzione, come pre-requisito per la lotta alla
povertà.
D. – Cosa vi aspettate ora per la successione di Wolfensohn?
R. – Indubbiamente quello che ci aspettiamo è un nuovo presidente,
competente e che conosca bene le problematiche dello sviluppo e quindi che sia
in grado di essere immediatamente al centro dell’azione, a partire da un anno
molto complesso – il 2005 – nel quale le problematiche dello sviluppo saranno
al centro dell’opinione pubblico. Il nuovo presidente dovrà quindi adoperarsi
in tutti i modi, perché effettivamente la lotta alla povertà nel mondo
rappresenti parte integrante e sia punto di avanguardia dell’agenda internazionale
degli impegni dei Paesi sia ricchi che poveri. Una parte importante
dell’attività di Wolfensohn, che mi augurerei fosse sostenuta dal nuovo
presidente, è quest’idea di un patto fra Paesi poveri e Paesi ricchi per la
lotta alla povertà. Un patto, questo, che riconosca le responsabilità
reciproche che questi Paesi hanno. I Paesi poveri hanno la responsabilità di
dover mettere in piedi, appunto, misure di buon governo, di lotta alla corruzione:
tutte quelle misure interne che possano realmente agevolare l’uso migliore
degli aiuti che provengono dai Paesi ricchi; dall’altra parte, i Paesi ricchi, così
come hanno promesso all’inizio del millennio, devono impegnarsi ad aprire maggiormente
i propri mercati alle esportazioni dei Paesi poveri, devono impegnarsi in una
politica seria della riduzione del debito, devono impegnarsi in una politica di
maggiori e migliori aiuti a favore dei Paesi poveri.
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La Corte Costituzionale della
Croazia ha respinto l’appello presentato da Boris Miksic, candidato
indipendente alle presidenziali, che ha denunciato presunte irregolarità nel voto
dello scorso 2 gennaio. Al ballottaggio del 16 gennaio andranno quindi il
presidente uscente Stipe Mesic, candidato del centrosinistra, e la vice-premier
Jadranka Kosor, esponente del partito nazionalista al governo.
Da
oltre dieci anni la Somalia è in mano ai “signori della guerra”. Ma ieri
l’Unione Africana ha preso una fondamentale decisione per riportare la pace in
questo martoriato Paese. Il servizio di Rita Anaclerio:
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Parte da Addis Abeba un
primo segnale di ricostruzione per la Somalia. Il Consiglio
per la Pace e la Sicurezza dell’Unione Africana (UA) ha approvato infatti “il
dispiegamento di una forza di pace” nel territorio per
permettere al neonato governo transitorio di insediarsi nella capitale
Mogadiscio. Rimane ancora da definire la dimensione del contingente e l’avvio
della missione. In realtà, il governo somalo avrebbe richiesto almeno 15.000
operatori di pace per garantirgli il rientro in patria e soprattutto per
aiutare la stabilizzazione del Paese. Per coordinare al meglio questa cruciale
operazione di peacekeepers sarà, inoltre, predisposto l’insediamento di una missione
preliminare di collegamento dell’Unione Africana a Nairobi. Un delicato compito
di mediazione che dovrà permettere il ritorno del presidente somalo
Abdullahi Yusuf Ahmed e del primo ministro Mohammed Gedi, in esilio a Nairobi
per ragioni di sicurezza. Ricordiamo che proprio in Somalia è stata predisposta
la più grande operazione di peacekeeping della storia. Dopo l’uscita di scena del presidente Siad Barre
nel 1991, infatti, è iniziato un sanguinoso conflitto tra i vari clan del
Paese, guidati dai cosiddetti “signori della guerra”. Vani gli interventi degli
Stati Uniti e dei vari contingenti di pace internazionali. La Somalia si è
trovata coinvolta in una spirale di violenza che, fino ad oggi, ha provocato 70
mila morti.
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