RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
41 - Testo della trasmissione giovedì 10 febbraio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
Raccolte in un volume le poesie giovanili di Karol Wojtyla: intervista con Marta Burgart.
CHIESA E SOCIETA’:
La Chiesa coreana lancia la “Missione cattolica di Seul”
L’Iraq ancora in preda
alla violenza. Altre due autobombe oggi a Baghdad con almeno 9 morti, mentre
sono stati rinvenuti nella regione di Suwairah venti corpi carbonizzati di iracheni
In Medio Oriente scricchiola la tregua siglata a Sharm el-Sheikh. Pioggia
di razzi e colpi di mortaio a Gaza, rivendicata da Hamas
Ennesima battuta di arresto nei colloqui sulla crisi nucleare
nord-coreana. Pyongyang annuncia di voler sospendere a tempo indeterminato la
sua partecipazione ai negoziati a sei.
10 febbraio 2005
GIOVANNI PAOLO II E’ GUARITO E TORNA OGGI IN
VATICANO.
AI NOSTRI MICROFONI, IL DIRETTORE DELLA SALA
STAMPA VATICANA,
NAVARRO-VALLS, PARLA DI UN PONTEFICE “IMPAZIENTE”
DI TORNARE AL LAVORO.
LA VICINANZA SPIRITUALE DEI FEDELI, HA
SOTTOLINEATO NAVARRO-VALLS, HA GIOVATO MOLTO A PAPA WOJTYLA, CHE NON HA MAI
INTERROTTO LA SUA ATTIVITA’
Giovanni Paolo II è guarito dalla
laringo-tracheite acuta che lo ha costretto al ricovero al Policlinico Gemelli,
martedì primo febbraio, e già oggi potrà tornare in Vaticano. L’annuncio,
atteso con trepidazione dai fedeli, è stato fatto stamani dal direttore della Sala
Stampa della Santa Sede, il dottor Joaquín Navarro-Valls. Dunque, dopo dieci
giorni di degenza, Papa Wojtyla lascia l’ospedale romano per tornare presto
alla sua normale attività. Per un aggiornamento sulle condizioni di salute del
Pontefice, Alessandro Gisotti ha intervistato il dott. Navarro-Valls:
**********
R. – La
laringo-tracheite acuta, il motivo del ricovero urgente del Santo Padre
all’ospedale, è guarita. Prosegue favorevolmente il miglioramento delle
condizioni generali del Papa. Negli ultimi due giorni tutti gli accertamenti
diagnostici, inclusa la TAC, hanno consentito di escludere altre patologie.
Quindi, è da ritenersi che il rientro del Santo Padre in Vaticano avvenga entro
oggi.
D. – Direttore, il Papa ha
voluto manifestare il suo ringraziamento a quanti lo hanno assistito in questi
giorni e lo ha voluto fare in modo particolare…
R. – Il Papa ha deciso di
scrivere una lettera che consegnerà oggi prima di uscire dall’ospedale a tutte
le persone che lo hanno assistito: i medici, il personale paramedico, gli
infermieri, gli assistenti, gli ausiliari dell’ospedale e così via. In particolare
vorrei menzionare il prof. Rodolfo Proietti, Ordinario di Anestesiologia e Rianimazione
e Direttore del Dipartimento Emergenza e Accettazione, che ha coordinato l’équipe
medica, coadiuvato dal prof. Massimo Antonelli; il prof. Gaetano Paludetti,
Ordinario di Otorinolaringoiatria e il prof. Filippo Crea, Ordinario di
Cardiologia. Il ringraziamento va esteso anche al suo medico personale, Renato
Buzzonetti.
D. – Oggi la decisione
dell’équipe medica di dimettere il Santo Padre dal Gemelli. Il Papa,
evidentemente, ha accolto con soddisfazione questo annuncio…
R. – Io direi, ricordando le
altre occasioni in ospedale, che fosse come impaziente, naturalmente ubbidiente
ai medici, ma impaziente di ritornare in Vaticano e confrontarsi subito con
l’agenda degli appuntamenti per il futuro.
D. – Moltissimi fedeli davvero,
in tutto il mondo, e anche al Gemelli, hanno voluto manifestare in tanti
diversi modi l’affetto, la propria vicinanza spirituale al Papa. Ci sono stati
momenti toccanti: tanti giovani e anche bambini. Questa vicinanza ha fatto bene
al Santo Padre?
R. – Molto direi.
Spiritualmente, in primo luogo. E’ stato commovente, come tanta gente
ricorderà, durante l’Angelus di domenica scorsa, dalla finestra dell’ospedale,
quando il Papa ha detto alle persone di raccomandare tutte le loro intenzioni.
Mentre la gente prega per lui, lui dice: “Io raccomando tutte le vostre
intenzioni”. Quindi, questo è accaduto in questi giorni. E’ stata toccante tra
molti altri momenti la visita, ieri, di quel bambino che da giorni voleva
vedere il Papa e che ieri pomeriggio lo ha potuto incontrare, entrando nella
sua stanza d’ospedale; e il dialogo tra il bambino e il Santo Padre, quando il
Papa dice: “Tu porta adesso la mia benedizione a tutti i tuoi amici, a tutti i bambini
che stanno nel reparto oncologico dove stai tu”.
D. – Certo, il Papa dovrà
riposarsi, ma già c’è chi si chiede quando potrà tornare a svolgere la sua
attività?
R. – Per quanto riguarda la sua
attività, si può anche dire che non sia stata interrotta, perché quando c’è
stato bisogno - attraverso il cardinale segretario di Stato - di portare
qualcosa all’attenzione del Papa, c’è stato modo di farlo in questi giorni.
Adesso, rientrando, il Santo Padre vedrà la sua agenda e deciderà se qualcosa
debba essere spostata. Penso però che per quanto sarà possibile, il desiderio
del Santo Padre sia quello di riprendere gli appuntamenti che in questi giorni
aveva e che sono dovuti slittare di qualche giorno.
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IERI POMERIGGIO NELLA
BASILICA ROMANA DI SANTA SABINA IL CARDINALE TOMKO
HA CELEBRATO LA MESSA
PER L’INIZIO DELLA QUARESIMA: “LA TENTAZIONE DELL’UOMO – HA DETTO IL PORPORATO
–
E’ QUELLA DI ELEVARE SE
STESSO AL DI SOPRA DI DIO
Un monito all’uomo che pretende
di eguagliare il suo Creatore e un invito a fare penitenza per riconciliarsi
con Dio. E’ quanto espresso ieri pomeriggio dal cardinale Jozef Tomko, Prefetto
emerito della Congregazione per l’Evangelizza-zione dei Popoli e presidente del
Pontificio Comitato per i congressi Eucaristici internazionali, durante la
celebrazione della Santa Messa Stazionale nella Basilica romana di Santa
Sabina, in apertura del tempo liturgico quaresimale. Il servizio di Gabriella
Ceraso.
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E’ una
forma di devozione penitenziale, che risale all’inizio del cristianesimo,
quella di visitare ogni giorno, dal Mercoledì delle Ceneri alla domenica in Albis,
un luogo di culto per pregare. E’ l’itinerario delle stazioni quaresimali, un
ideale cammino di conversione in vista della Pasqua, inaugurato anche quest’anno
sulle pendici dell’Aventino con una breve processione interna alla Basilica di
Santa Sabina, dove il cardinale titolare Jozef Tomko ha celebrato l’Eucaristia
e imposto le Ceneri. Quest’ultime, “materia funebre” sì - come ha ricordato il
cardinale durante l’omelia - ma anche richiamo agli inizi della nostra storia
di salvezza. “Polvere sei e polvere ritornerai” è infatti la punizione inflitta
alla “pretenziosa disubbidienza di Adamo” che ha creduto di poterlo eguagliare
e poi ha avuto bisogno del Salvatore per riscattarsi.
“Noi tutti siamo figli di Adamo. Come lui
sperimentiamo la continua tentazione di elevare il nostro io al di sopra della
volontà di Dio. Come lui, come Adamo, pretendiamo di saper meglio che cosa sia
il bene e che cosa sia il male per noi, che cosa scegliere come nostra vera
felicità”.
Ed ecco gli effetti
dell’orgoglio, del culto dell’individuo e della libertà, li elenca il porporato
parlando ai fedeli e ai Padri benedettini e domenicani, seduto nel coro, e
punta soprattutto il dito contro l’eutanasia, l’aborto e la manipolazione
genetica.
“La cultura della morte comincia ora ad avanzare
poco a poco nell’intero campo della vita umana, usando le stesse armi di
inganno, che si chiamano: dolce morte, progresso, qualità della vita, esigenze
della società, benessere comune”.
Facciamo penitenza, dunque, per
questi peccati sociali e per quelli personali - prosegue il cardinale - ma
confidiamo anche nell’amore di Dio, che sacrificando suo Figlio ci ha dato la
speranza della salvezza.
“La liturgia, per quanto austera, ci mostra la
strada di questa speranza. E’ la via della riconciliazione con Dio e con i
fratelli alla sequela del servo sofferente”.
“Lasciamoci riconciliare con Dio
e con le armi della penitenza e iniziamo il cammino di conversione”: questo
l’invito finale riecheggiato tra le volute dell’antica Basilica di Santa
Sabina.
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IN INDIA, EREZIONE DELL’ARCIVESCOVADO MAGGIORE
PER LA CHIESA SIRO-MALANKARESE
In
India, Giovanni Paolo II ha elevato la Chiesa metropolitana sui iuris
siro-malankarese al grado di Chiesa arcivescovile maggiore ed ha promosso mons.
Cyril Mar Baselios Malancharuvil alla dignità di arcivescovo maggiore di Trivandrum
dei Siro-Malankaresi. Mons. Mar Baselios è nato a Ullannor, Pandalam,
nell’arcieparchia metropolitana di Trivandrum nel 1935. Nel 1960 è stato
ordinato sacerdote. Nell’ottobre 1978 viene eletto primo vescovo di Battery dei
Siro-Malankaresi. Nel 1995 è stato nominato arcivescovo metropolita di
Trivandrum dei Siro-Malankaresi.
La Chiesa Siro-malankarese conta
oggi 5 Eparchie con circa 450 mila fedeli, 632 sacerdoti di cui 511 eparchiali
e 121 religiosi. Nei 5 seminari studiano 643 seminaristi di cui 256 maggiori,
189 minori e 198 religiosi. Sono presenti inoltre 2.030 religiose divise in 17
comunità. Si contano poi 22 Istituzioni ecclesiastiche, 449 Istituti educativi
(scuole, centri universitari ecc..) e 466 Istituti caritativi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina l’articolo di Giampaolo Mattei dal titolo “Bambini e giovani, i
grandi amici del Papa”: il rientro di Giovanni Paolo II in Vaticano è previsto
per il pomeriggio di oggi.
Sempre
in prima, un articolo sulla firma dei Patti Lateranensi, avvenuta l’11 febbraio
di 76 anni fa.
Nelle
vaticane, l’omelia del cardinale Jozef Tomko che - nella Basilica di Santa
Sabina all’Aventino - ha celebrato la Santa Messa stazionale del Mercoledì
delle Ceneri.
Una
pagina dedicata alla Giornata mondiale del malato.
Nelle
estere, Medio Oriente: Abu Mazen intensifica i contatti con le fazioni radicali
per garantire il rispetto del cessate-il-fuoco con Israele.
Per
la rubrica dell’“Atlante geopolitico”, un articolo di Giuseppe M. Petrone dal
titolo “Arabia Saudita: globalizzare la lotta al terrorismo”.
Nella
pagina culturale, un articolo di Michele Sangiorgi dal titolo “Quando Dante
‘studiava’ sui libri della Biblioteca di Fonte Avellana”: preziosi manoscritti
dal X al XVIII secolo nella mostra marchigiana “Collectio Thesauri”.
Nelle
pagine italiane, in primo piano gli sviluppi della vicenda della giornalista
italiana rapita in Iraq.
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10 febbraio 2005
FOIBE: PER LA PRIMA VOLTA SI CELEBRA IN ITALIA
LA GIORNATA DEL RICORDO
- Interviste con Gianni Oliva, Silvana De Lombardo
e don Evio Martinoli -
Oggi si
celebra per la prima volta in Italia la Giornata del ricordo per le vittime
delle foibe, profonde cavità carsiche dell’Istria dove sono stati gettati, ancora
vivi, molti italiani. La ricorrenza è stata istituita dal Parlamento per
commemorare il massacro contro la comunità italiana perpetrato dalle truppe
comuniste di Tito in Istria e in Dalmazia tra il 1943 ed il 1945. Secondo
fonti storiche, le persone infoibate o fucilate sono state almeno 5 mila. Altre
fonti parlano di circa 10 mila vittime.
A determinare la drammatica miscela di odio, tensione e risentimento
sono state, soprattutto, la politica fascista del ventennio e l’occupazione
italiana e tedesca della Jugoslavia dal 1941 al 1943. Da questo contrasto
sempre più profondo tra la comunità italiana e quella iugoslava è poi derivato il folle
progetto realizzato dal maresciallo Tito contro gli italiani dell’Istria e
della Dalmazia. Ascoltiamo in proposito lo storico Gianni Oliva, autore del
libro “Profughi”, edito da Mondadori. L’intervista è di Alessandro Guarasci:
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R. – Il progetto è quello del nazional-comunismo di Tito
che voleva raggiungere il confine dell’Isonzo e annettere alla nuova Jugoslavia
territori misti, come l’Istria e la Dalmazia, o nettamente italiani come
Monfalcone, Gorizia e Trieste. Quando Tito raggiunge per primo queste terre,
cerca di fare in modo che la comunità italiana non abbia nessuno che ne difenda
i diritti. L’esercito iugoslavo ha perseguitato, ucciso e infoibato chi è stato
esponente del passato regime fascista ma anche chi è stato esponente
dell’antifascismo perché rappresentava la nuova Italia e quindi un grande ostacolo
al progetto annessionistico.
D. – Cosa fecero gli
anglo-americani per difendere la comunità italiana?
R. – Fecero poco. Avrebbero
sicuramente potuto impedire i massacri ma ha prevalso la logica della politica
internazionale. Nella primavera del ’45 la seconda guerra mondiale non era
infatti ancora finita perché il Giappone era ancora in armi: la priorità, per gli
anglo-americani, era quella di mantenere l’alleanza antifascista. E per mantenere
l’alleanza con l’Unione Sovietica, non si poteva contrastare chi dell’Unione
Sovietica era il maggiore alleato: l’esercito di Tito.
D. – Furono innumerevoli i campi
profughi sparsi in tutta Italia. Non ci fu regione che non ebbe almeno un campo
profughi. Come accoglievano gli italiani questi loro concittadini che, in
qualche modo, erano tornati in patria?
R. – I campi profughi censiti
sono 109. In questi campi i profughi gli esuli sono stati ospitati in
condizioni di emergenza, di miseria, di promiscuità e di confusione. Gli
italiani hanno guardato a questi profughi con il sospetto, la diffidenza con la
quale si guarda alle minoranze che vivono in condizioni degradate perché
nessuno, in quel momento, ha raccontato quale fosse la loro storia. Non è mai
stato detto, e questa è una colpa di tutta la memoria nazionale, che quei
profughi erano quelli che avevano pagato il prezzo della sconfitta dell’Italia
nella seconda guerra mondiale.
D. – C’è stato un disegno
preciso nel non dire questa verità?
R. – Ci sono stati tre elementi
convergenti. Prima di tutto un silenzio internazionale perché quando Tito nel
‘48 ha rotto i rapporti con Stalin, per l’Occidente è diventato un interlocutore.
Poi c’è stato un silenzio di Stato: l’Italia aveva bisogno di avere dei buoni
rapporti con il governo jugoslavo, suo Paese confinante, e quindi non voleva
riaprire una questione che avrebbe invece reso difficili questi rapporti.
Terzo: c’è stata una rielaborazione della nostra memoria che ha sempre negato
di essere un Paese che ha perso la guerra. Le Foibe, e soprattutto i profughi,
erano l’immagine vivente della sconfitta.
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Le
foibe sono state un caso, non unico nella storia, di pulizia etnica. Lo ha
detto il presidente del Senato Marcello Pera al termine della discussione in
aula per la Giornata del ricordo. Di fronte alla barbarie delle foibe – ha
dichiarato inoltre il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini - a
nessuno è consentito utilizzare la memoria per alimentare divisioni, per
marcare differenze o per acquisire consensi”. Il presidente italiano, Carlo Azeglio
Ciampi, ha anche auspicato che “i ricordi ragionati prendano il posto dei
rancori esasperati”. Sul dramma delle foibe,
ascoltiamo al microfono di Luca Collodi la testimonianza di Silvana De Lombardo,
esule istriana che all’età di 15 anni ha lasciato l’isola di Lussino.
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Ricordo che sono fuggita dalla
mia isola. Sono poi arrivata a Fiume, dove ho preso un autobus. Sono quindi
arrivata a Trieste dove c’era un campo profughi. E poi a me e alla mia
famiglia, ci hanno mandato a Bari, a Fesca di Bari. In questo campo profughi
c’era tanta gente. Ci hanno dato una camera e lì siamo stati otto anni. I
baresi ce l’avevano un po’ con noi e ci dicevano: “Questi slavi cosa sono
venuti a fare qui? Potevano stare a casa loro! Vengono a mangiare il nostro
pane”. Poi mio fratello ha trovato un lavoro e siamo venuti a Roma. Tutta la
mia gioventù, insomma, l’ho passata in un campo profughi.
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Riviviamo ancora la tragedia
delle foibe attraverso il ricordo di don Evio Martinoli, che all’epoca era
seminarista nella diocesi di Zara:
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Come
uomini di Chiesa abbiamo vissuto in modo tragico il periodo delle foibe. Anche
in seminario eravamo sempre in apprensione. Nel ’47, il Seminario è stato
chiuso di urgenza perché il rettore era stato minacciato ed è dovuto scappare.
Eravamo trattati proprio male. Dovevamo essere molto attenti nel parlare;
durante le prediche in chiesa veniva sempre qualcuno ad ascoltare quello che si
diceva.
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L’ARABIA SAUDITA PER LA PRIMA VOLTA OGGI VA ALLE
ELEZIONI:
APERTI
I SEGGI PER LE MUNICIPALI, MA LE DONNE NON POSSONO VOTARE
-
Intervista con Marcella Emiliani -
Per la
prima volta nella storia dell’Arabia Saudita, i cittadini del regno si recano
oggi alle urne per le elezioni municipali. Aperti i seggi a Riad e nella sua
provincia. Nelle altre zone si voterà il 3 marzo e il 21 aprile. Gli elettori -
soltanto 140 mila iscritti su un totale di 470 mila aventi diritto - sono
chiamati a scegliere metà dei 178 consigli municipali del Paese, mentre l’altra
metà sarà nominata direttamente dalle autorità saudite. Si tratta di un voto
dal quale le donne restano però escluse e il cui esito non cambierà l'assetto
istituzionale del regno. Sull’importanza delle consultazioni, ascoltiamo
Marcella Emiliani, docente di sviluppo dei Paesi del Medio Oriente
all’Università di Bologna, intervistata da Giada Aquilino:
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R. – Per il regno è un avvenimento assolutamente
rivoluzionario, nel senso che in Arabia Saudita non ci sono mai state elezioni.
Certamente, però, questo è un passo molto timido nei confronti di un processo
che non oserei definire di democratizzazione, bensì solo di vaga liberalizzazione:
l’Arabia Saudita non ha un Parlamento, né alcuna forma di rappresentanza.
L’unico organo che esiste è un Consiglio consultivo che aiuta il re nella
gestione del Paese.
D. – Le donne non partecipano al
voto: a che punto è l’Arabia Saudita nel riconoscimento dei principali diritti
umani?
R. – C’è tutta la questione
femminile che da sola costituisce un enorme buco nero nel sistema saudita. Non
essendoci diritto di associazione, né quello di rappresentanza, l’Arabia
Saudita - rispetto ai canoni occidentali - è ad un livello insufficiente per
ciò che riguarda i diritti umani, civili e politici.
D. – Cosa si sta facendo in tal
senso?
R. – Il reggente, Abdullah,
anche a seguito della grossa ondata di terrorismo che ha investito l’Arabia
Saudita, ha capito che nel regno bisogna cominciare a concedere qualcosa alla
società, anche perché l’Arabia Saudita non è più quel Paese dorato in grado di
garantire a tutti un welfare indistinto com’è stato nei decenni passati. Per
cui, Abdullah ha cominciato timidamente, partendo appunto dalle amministrative,
ad allargare le maglie del sistema. Certo che, come abbiamo già visto succedere
in molte altre parti del mondo, rischia di essere troppo poco e troppo tardi.
D. – Quanto pesa il
fondamentalismo islamico sulla famiglia reale saudita?
R. – Certamente pesa moltissimo.
Tutto avviene nel quadro islamico; anche l’opposizione è un’opposizione
islamica. Non si può prescindere da questo punto di riferimento!
D. – Cosa ci si deve aspettare a
breve e lungo termine per l’Arabia Saudita?
R. – Il test di queste
amministrative è molto importante, perché si avrà il polso della società
saudita, cosa che in tutti gli anni del regno non è mai successo: l’Arabia Saudita
è un’enorme bolla opaca che nessuno è mai riuscito a penetrare. Vedremo quindi
quali sono le istanze che vengono dal basso. Io mi auguro che la famiglia reale
saudita riesca a pilotare e a controllare questo processo di liberalizzazione,
perché il rischio che corre è molto alto.
D. – Qual è il rischio?
R. – Il rischio maggiore è una crisi irreversibile di
legittimità della famiglia Saud a governare: non dimentichiamo che l’Arabia
Saudita è l’unico Paese al mondo che porta nel proprio patronimico un cognome
di una famiglia. Quindi, l’Arabia Saudita è la famiglia Saud. Penso che i Saud
potranno continuare governare solo se riusciranno a coniugare quello che è
stato il loro ruolo religioso con il loro ruolo politico.
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RACCOLTE IN
UN VOLUME LE POESIE GIOVANILI DI KAROL WOJTYLA
- Intervista con Marta Burgart -
17 sonetti ed
un epistolario risalente agli anni 1939-40, compongono l’antologia che raccoglie
le poesie giovanili di Karol Wojtyla, edito dalle edizioni Studium in collaborazione
con l’Università LUMSA di Roma. Il volume, composto dal testo originale e la
traduzione italiana a fronte, è stato presentato in questi giorni nell’Aula
giubilare della LUMSA. Ce ne parla Francesca Smacchia.
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(musica)
“Sulla tua tomba bianca
sbocciano i fiori bianchi della
vita.
O, quanti anni sono già passati
senza di te
Spirito alato”.
Alcuni versi pieni di nostalgia e di malinconia compongono la poesia
“Sulla tua tomba bianca”, in memoria di Emilia, la madre di Karol Wojtyla,
scomparsa prematuramente quando lui era solo un bambino. Il ricordo delle
visite davanti alla tomba bianca, i fiori freschi e le preghiere mormorate a
fil di voce, l’immagine conservata dentro al cuore per tanti anni. Sono le
parole scritte di getto dal giovane Karol, 19.enne, che soffre per la patria
sconvolta dalla guerra, che si impegna nel lavoro, che ama intensamente l’arte
e la letteratura. Poeta, dunque, ma soprattutto uomo che ha attraversato la
dura esperienza del dolore e che nonostante tutto si appassiona alla vita. Ed è
soprattutto la scoperta di una vocazione interiore, il cammino difficile ma
irresistibile della fede che lo accompagnerà al suo destino di Papa molti anni
dopo, come si intuisce dal componimento ispirato al Salmo “E quando Davide
giunse alla sua terra madre”.
“I luoghi dove vagavo,
dove capii la riflessione delle
querce slave, delle betulle.
Con Dio collegavo le stradine
tue collinose
ed estirpavo le erbacce
e preparavo le vie nitide
per Colui che viene”.
Questi i temi principali delle
opere racchiuse in un libro, che tratteggia i primi segni di un’esperienza
umana davvero singolare: 17 sonetti, più altre composizioni rimaste nascoste e
ritenute in un primo tempo dallo stesso autore artisticamente immature. Ascoltiamo
Marta Burgart, curatrice del volume:
“Ci sono degli elementi che ritornano in quasi
tutte le poesie. In primo luogo, l’amore per l’uomo. C’è un forte richiamo al
patriottismo, all’amore per la tradizione, la cultura non solo polacca, ma
anche slava. E’ molto forte il richiamo alla religione.”
Ma le poesie giovanili sono
soprattutto la testimonianza dell’animo del futuro Giovanni Paolo II. Alcune
tematiche del giovane Karol costituiranno i nuclei fondamentali dai quali si
diffonderà la lezione umana di Papa Wojtyla. L’idea della bellezza come
rivelazione della verità di Dio, l’amore per la Polonia, il motivo della
cultura che dovrebbe liberare l’uomo e la realtà dalla commercializzazione e
dal consumismo, sono argomenti proposti nei versi con una certa inquietudine,
ma sempre proiettati verso la speranza.
(musica)
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10 febbraio 2005
GIOVANI, LAICI E PARROCCHIE, AL CENTRO DEL
PROGRAMMA PASTORALE
PRESENTATO
DAI VESCOVI DEL NORD DELLA SPAGNA,
IN UNA LETTERA PUBBLICATA IERI, IN OCCASIONE DELLA
QUARESIMA
MADRID. = “Rinnovare le nostre
comunità cristiane”: è il titolo della lettera pastorale pubblicata ieri, in
occasione della Quaresima, dai vescovi di Pamplona, Tudela, Bilbao,
Saint-Sébastien e Vitoria, nella Spagna settentrionale. Oltre 70 pagine, in cui
viene analizzata la situazione sociale ed ecclesiale nelle loro diocesi,
segnata dal venire meno della fede nella società, nelle istituzioni, tra la
gente. Al centro della preoccupazione dei vescovi, c’è la violenza, la forte
diminuzione della pratica religiosa e la scristianizzazione crescente. E ancora:
l’individualismo, il binomio “produrre-consumare”. Per far fronte a queste
piaghe, i vescovi propongono di puntare soprattutto sui giovani, sui laici, su
una pastorale rinnovata e capace di incidere sulla società attraverso
parrocchie attive nel territorio. Nella lettera viene poi rivolto l’invito alla
comunità cristiana a “stabilire un dialogo” con chi non crede, ma si pone
domande sul senso della vita, e con chi opera per la verità, la giustizia e la
solidarietà. I presuli ribadiscono infine che il cattolicesimo è un inno alla
“speranza” e che il presente è un “tempo di grazia” in cui tutti i credenti e
le comunità sono chiamate ad agire per rinnovare la società. (R.M.)
LA CHIESA COREANA LANCIA LA “MISSIONE CATTOLICA DI
SEUL”:
SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI INVIATI
PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE IN AMERICA
SEUL. = L’arcidiocesi di Seul ha
creato ufficialmente la “Missione cattolica di Seul”, una nuova commissione
diretta da padre Louis Kim Taek-gu con lo scopo di promuovere
l’evangelizzazione in America. In aggiunta all’“Opera delle Missioni Estere Coreane”,
istituita dalla Conferenza episcopale del Paese nel 1975, e a quella delle “Suore
Coreane per le Missioni Estere”, istituita dalla diocesi di Pusan nel 1986, la
nuova Missione coinvolgerà nel servizio di evangelizzazione sacerdoti,
religiosi e laici. La novità è anche il focus rivolto specificamente
all’America: finora, la Chiesa coreana si era rivolta principalmente all’Asia.
L’America invece, dicono all’agenzia vaticana Fides dall’arcidiocesi di Seul,
ha bisogno di missionari: per questo sarà formato personal religioso e laico
che possa recarsi dall’altra parte dell’Oceano Pacifico a portare la Buona
Novella. Come primo passo la missione prevede di inviare tre missionari
nell’arcidiocesi di Panama. Con questa nuova iniziativa, l’arcidiocesi di Seul
contribuisce a trasformare lo status della Chiesa coreana da “Chiesa che riceve
missionari” a “Chiesa che li invia”, dando il proprio contributo
all’evangelizzazione dei popoli nel Terzo Millennio. (R.M.)
A GERUSALEMME, GRANDI
CELEBRAZIONI NEL 60. MO DELLA MORTE NEL LAGER
DI DACHAU,
DI GIOVANNI PALATUCCI, L’EROICO QUESTORE DI FIUME CHE SALVÒ
DALLO STERMINIO MIGLIAIA DI EBREI. GIÀ “SERVO DI
DIO”, UN ANNO FA SI ERA CHIUSA A ROMA L’INCHIESTA DIOCESANA DEL PROCESSO DI
BEATIFICAZIONE
GERUSALEMME. = Manifestazioni, a
Gerusalemme, in commemorazione del 60. mo della morte, il 10 febbraio 1945 nel
campo di concentramento di Dachau, di Giovanni Palatucci, l’eroico questore di
Fiume che salvò dallo sterminio migliaia di ebrei durante l’occupazione nazista
della Riviera adriatica. Già proclamato “Servo di Dio”, esattamente un anno fa
si era chiusa al Vicariato di Roma, alla presenza del cardinale vicario,
Camillo Ruini, l’inchiesta diocesana del processo di beatificazione, avviata il
9 ottobre 2002. Nel 1990, l’istituzione del Memoriale Ebraico dell’Olocausto
dello Yad Vashem gli conferì il massimo onore per gli ebrei, quello di “Giusto
tra le Nazioni”. E da allora, sul Viale dei Giusti in Yad Vashem a Gerusalemme,
una lapide lo ricorda. E proprio lì è ricordato oggi con grandi cerimonie
commemorative, promosse delle autorità italiane, dallo Stato di Israele e dalla
comunità ebraica, alla presenza del ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, del
capo della Polizia, Gianni De Gennaro, e del presidente dell’Unione comunità ebraiche
italiane, Amos Luzzatto. Ieri, sempre in suo onore, le bande musicali della
Polizia israeliana e italiana hanno eseguito nell’Auditorium di Gerusalemme il
“Concerto per un giusto”, con musiche di Verdi, Morricone e Ellington. Presenti
all’evento, oltre alle autorità italiane citate, il ministro israeliano della
Sicurezza Interna, Gidon Ezra, il capo della Polizia del Paese, Moshe Karadi, e
il nunzio apostolico in Israele, l’arcivescovo Pietro Sambi. (R.M.)
GRANDE
SUCCESSO IN ECUADOR PER IL “MINUTO MISSIONARIO”, BREVI MESSAGGI
RADIOFONICI
PRODOTTI DALLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE ECUADOREGNE
PER
INFORMARE I FEDELI SULLE MISSIONI DELLA CHIESA NEL PAESE
QUITO.
= “Il Minuto Missionario” è una “pillola radiofonica” della durata di un minuto
che contiene un messaggio breve, puntuale ed incisivo circa le attività
missionarie della Chiesa in Ecuador, ovvero, testimonianze di missionari ad
gentes, riflessioni e preghiere di santi missionari, descrizione di realtà
di missione e messaggi di spiritualità missionaria. L’iniziativa, avviata nel
2000 dalla Direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM)
dell’Ecuador, sta riscontrando un gran successo anche in Guatemala, Nicaragua,
Cile, Argentina, El Salvador e Venezuela. A livello nazionale, sono 59 le
emittenti cattoliche e laiche, presenti in tutte le regioni dell’Ecuador, a trasmettere
ogni giorno questi brevi messaggi missionari. “Molte radio laiche, sollecitate
dai loro utenti, hanno voluto ricevere il programma in questione”, scrive
Osvaldo Fierro Terán, delle POM dell’Ecuador, all’agenzia vaticana Fides.
Inizialmente, il programma veniva registrato presso la radio cattolica
nazionale dell’Ecuador su cassette audio che poi erano distribuite alle diverse
emittenti. Adesso invece la Direzione Nazionale ha allestito uno studio di
produzione, dove ogni mese vengono registrate, con professionalità e qualità,
le “pillole” missionarie. Mensilmente vengono incisi su cd 30 o 31 messaggi.
Altre informazioni possono essere richieste a: omp@interactive.net.ec. (R.M.)
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10 febbraio 2005
- A cura di Barbara Castelli -
L’Iraq
ancora in preda alla violenza. Nuovi episodi di sangue si sono verificati in
diverse zone del Paese, mentre si spera in una svolta nella vicenda di Giuliana
Sgrena, nelle mani della guerriglia ormai da sei giorni. Il nostro servizio:
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Due
violenti esplosioni hanno scosso stamani Baghdad. Nelle prime ore della mattina,
un’autobomba è deflagrata al passaggio di un convoglio americano, in piazza
Tahrir, uno snodo stradale molto trafficato nel cuore della capitale, causando
la morte di almeno quattro persone e il ferimento di numerose altre. Una
seconda autobomba è esplosa, invece, poco fa, nella zona di Salman Pak,
causando almeno cinque morti. Nell’area sono ora in corso scontri a fuoco tra
poliziotti governativi e insorti armati. Nuovo orrore anche nella regione di
Suwairah. Più di venti corpi calcinati di iracheni, che trasportavano zucchero
per il ministero del Commercio, sono stati ritrovati oggi nei loro veicoli a
sud di Baghdad. La zona dove è avvenuta la carneficina sfugge al controllo
delle forze di sicurezza ed è teatro di innumerevoli attacchi. Sono ore di
angosciosa attesa, intanto, per la sorte della giornalista italiana Giuliana
Sgrena. Nelle ultime 24 ore, non si è registrato alcun comunicato nell’altalena
di rivendicazioni, minacce e annunci di rilascio o di esecuzione dell’inviata
del quotidiano “Il Manifesto” da parte di uno dei vari gruppi di supposti rapitori.
Il portavoce del governo transitorio, Thaer al-Naqib, intanto, ha annunciato
che dal 17 al 22 febbraio prossimi, l’Iraq chiuderà le frontiere per la
ricorrenza dell’“Ashura”, il principale periodo di raccoglimento del calendario
sciita. Per l’occasione sono attesi nelle città sante di Najaf e Kerbala
migliaia di pellegrini. Proprio in questa ricorrenza, lo scorso anno, in
attacchi simultanei contro i pellegrini sciiti a Baghdad e Kerbala, vennero
uccise oltre 170 persone.
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L’Iran
non intende rinunciare alla sua tecnologia nucleare, compreso l’arricchimento
dell’uranio, e non intende subire le minacce degli Stati Uniti. Così oggi il
presidente, Mohammad Khatami, parlando davanti a decine di migliaia di persone,
in occasione del 26.esimo anniversario della rivoluzione islamica. “Ci possono
essere opinioni diverse – ha aggiunto il capo di Stato – ma il Paese è unito
contro le aggressioni e le minacce. In caso di aggressione, l’Iran diventerebbe
un inferno di fiamme per l’aggressore”.
A
meno di 48 ore dal vertice di Sharm el-Sheikh, in Egitto, primi segni di cedimento
nella tregua proclamata dal presidente palestinese, Abu Mazen e dal premier israeliano,
Ariel Sharon. Una pioggia di razzi e di colpi di mortaio si è abbattuta la
scorsa notte e questa mattina sulle colonie ebraiche a Gaza. Hamas ha
rivendicato gli attacchi, che fortunatamente non hanno causato vittime,
sottolineando di avere agito per vendicare la morte di un palestinese, colpito
ieri sera dal fuoco di soldati israeliani dopo essere penetrato in una zona di
esclusione militare. Il premier Sharon ha subito convocato una riunione urgente
del Consiglio di governo ristretto. In segno di protesta, inoltre, è stata rinviata
una riunione israelo-palestinese di coordinamento per la sicurezza che avrebbe
dovuto svolgersi questo pomeriggio. Il presidente palestinese, Abu Mazen,
intanto, ha dato “ferme istruzioni” ai dirigenti dei servizi di sicurezza
dell’Autorità Nazionale Palestinese perché facciano cessare gli attacchi.
Accusando
il presidente americano, George Bush, di voler “soffocare” il Paese, la Corea
del Nord ha affermato oggi apertamente, per la prima volta, di essersi dotata
di armi nucleari. In una dichiarazione, Pyongyang ha, inoltre, annunciato che
si ritira dai colloqui a sei sulla proliferazione nucleare “per un periodo di
tempo indefinito”. Immediata la reazione americana. Se abbandona i negoziati
sul nucleare, ha detto il segretario di Stato USA, Condoleezza Rice, la Corea
del Nord rischia di “approfondire il suo isolamento”. Chiaretta Zucconi:
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Nell’annuncio-shock fatto dal
ministero degli Esteri nordcoreano, e riportato dall’agenzia ufficiale Corean
Central News Agency, Pyongyang spiega che: “nonostante avessimo sollecitato gli
Stati Uniti a rinunciare al loro atteggiamento ostile verso la Repubblica popolare
di Corea e adottare una politica improntata alla coesistenza pacifica tra i due
Paesi, Washington ha respinto la nostra richiesta, come ben evidenziato nel
discorso inaugurale del presidente Bush e nell’intervento al Congresso del
Segretario di Stato americano”. “Abbiamo voluto i colloqui a sei ma siamo
costretti a sospendere la nostra partecipazione fino a quando non ci saranno le
condizioni e l’atmosfera giuste – continua la nota – e, d’altra parte, non c’è
motivo di sedersi al tavolo negoziale con chi, come gli Stati Uniti, ci ha
definito un avamposto della tirannia”. I colloqui multilaterali, cui partecipano
oltre alle Coree anche Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone sono stati lanciati
ad agosto 2003, nel tentativo di risolvere in modo pacifico la crisi nucleare
iniziata nell’ottobre 2002, dopo che gli Stati Uniti riportarono la notizia
secondo la quale la Corea del Nord avrebbe ammesso di possedere un programma
segreto per l’arricchimento di uranio. La nota del ministero degli Esteri
conclude dicendo di voler risolvere con i colloqui la questione nucleare, ma
certo è che l’annuncio a sorpresa di Pyongyang rischia di accrescere la
tensione, rendendo più difficili gli sforzi di chi vorrebbe aiutare il Paese ad
uscire dall’isolamento. Un Paese messo in ginocchio dalla carestia e che fa
affidamento sugli aiuti internazionali per sostenere la propria popolazione.
Per la Radio Vaticana, Chairetta
Zucconi.
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Rimasto
isolato per oltre una settimana dal resto del mondo, il Nepal è tornato quasi
alla normalità dopo la riapertura ieri dei servizi Internet e di telefonia
fissa. I servizi sono stati interrotti il primo febbraio scorso, quando il re
Gyanendra ha sciolto il vecchio esecutivo, ne ha formato uno nuovo di suoi
stretti sostenitori e ha dichiarato lo stato di emergenza per bloccare la
guerriglia maoista che controlla vaste aree del Paese. Sette dirigenti
politici, messi agli arresti domiciliari per ordine del re, intanto, sono stati
liberati.
Nel 1964 i paramilitari dell’IRA
fanno esplodere due bombe a Guildford e a Woolwich causando sette morti. Per
tali misfatti, due famiglie innocenti, i Conlon e i Maguire, in tutto 11
persone, sono state ingiustamente condannate. Il servizio di Enzo Farinella:
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Dopo 30 anni i quattro civili detenuti a Guildford e i
sette di Woolwich, condannati per le bombe, ricevono le pubbliche scuse dal
primo ministro britannico: “Sono profondamente dispiaciuto – ha dichiarato Tony
Blair, dinanzi alle televisioni di tutto il mondo – per quanto i Conlon e i
Maguire hanno dovuto ingiustamente soffrire. Meritano di essere del tutto e
pubblicamente scagionati”. Gli 11 condannati hanno trascorso 15 anni in prigione
di massima sicurezza. Jerry Conlon, il cui padre Joseph è morto in prigione,
accusato dello stesso misfatto e la cui storia è stata rappresentata nel film
‘Nel nome del padre’, ha detto dopo: “Il primo ministro Blair ci ha incontrati,
si è intrattenuto con noi, ci ha ascoltati ed è andato al di là delle nostre
aspettative nello scusarsi”. Annie Maguire, un’altra vittima di tale
ingiustizia, ha affermato: “Abbiamo tutti sofferto tanto. E questo è un grande
giorno per noi e per i nostri figli”. Il primo ministro irlandese Ahern, che ha
tanto richiesto queste pubbliche scuse al suo collega Blair, ha dichiarato: “So
che gli anni sottratti ai Conlon non possono essere recuperati, ma spero
adesso, che possano continuare a vivere serenamente”.
Da Dublino per la Radio
Vaticana, Enzo Farinella.
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Si
riaccende la violenza in Colombia. Intensi combattimenti scoppiati martedì,
nella regione di Uraba, tra l’esercito e le Forze armate rivoluzionarie, hanno
causato almeno 28 morti, di cui 17 soldati. L’attacco dei ribelli costituisce
una dura risposta a chi sostiene che la guerriglia è stata costretta in un
angolo e alla popolare politica di sicurezza del presidente, Alvaro Uribe. La
regione nord-occidentale, al confine con Panama, rappresenta un corridoio per i
ribelli e i paramilitari per il traffico di armi e di droga.
Ancora
una giornalista uccisa in Somalia. Kate Peyton, 39 anni, inviata della BBC, è
morta ieri per le ferite da arma da fuoco riportate in un agguato di cui era
stata vittima in mattinata a Mogadiscio. Dalla cacciata del dittatore Mohammed
Siad Barre nel 1991, la Somalia è precipitata in una guerra che oppone i clan
dei diversi signori della guerra. Da allora almeno 8 giornalisti stranieri sono
stati uccisi: tra questi, l’italiana Ilaria Alpi.
Nei
due anni appena trascorsi in Cina sono state eseguite almeno 650 condanne a morte.
La denuncia viene dall’organizzazione umanitaria Amnesty International, che in
un comunicato sottolinea come si tratti di un numero insolitamente alto anche
per la Cina e che contraddice la dichiarata volontà delle autorità di contenere
l’uso della pena di morte. Amnesty aggiunge, inoltre, che nelle sole ultime due
settimane sono stati uccisi duecento condannati a morte.
Il principe Carlo d’Inghilterra
e Camilla Parker Bowles si sposeranno, con ogni probabilità il prossimo 8
aprile. Lo ha annunciato oggi il portavoce dell’erede al trono d’Inghilterra.
Quando Carlo diventerà Re, tuttavia, Camilla non sarà Regina.
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