RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
38 - Testo della trasmissione lunedì 7 febbraio 2005
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
I vescovi sudafricani esortano a non dimenticare la
lotta alla povertà
Alla vigilia del Vertice di Sharm el-Sheikh il segretario
di Stato americano Condoleeza Rice incontra Sharon e Abu Mazen, che auspica la
creazione di uno Stato palestinese indipendente che viva in pace con Israele
Sempre più delicata la situazione in Togo, dove il figlio del presidente
Eyadema, morto sabato scorso, è diventato il nuovo capo di Stato
7
febbraio 2005
IL
PAPA NON HA PIU’ LA FEBBRE MA PER MOTIVI PRUDENZIALI RESTERA’
ANCORA QUALCHE GIORNO AL POLICLINICO
GEMELLI. GIOVANNI PAOLO II –
HA AFFERMATO IL PORTAVOCE VATICANO NAVARRO VALLS – LEGGE SUI
GIORNALI L’ANDAMENTO DELLA SUA MALATTIA.
TANTI I MESSAGGI AUGURALI CHE CONTINUANO
A GIUNGERGLI DA TUTTO IL MONDO,
IN PARTICOLARE DAI MALATI E DAI DETENUTI
- Intervista con il
dott. Joaquin Navarro-Valls e don Decio Cipolloni -
Migliorano le
condizioni di salute del Papa che tuttavia dovrà restare qualche altro giorno
al Policlinico Gemelli: è quanto ha dichiarato oggi a mezzogiorno nella Sala
Stampa della Santa Sede il portavoce vaticano Joaquin Navarro-Valls.
Ascoltiamolo al microfono di Sergio Centofanti:
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R. -
Continua il miglioramento delle condizioni generali del Santo Padre, che non ha
più la febbre, si alimenta regolarmente ed ha trascorso alcune ore in poltrona.
Per evidenti motivi prudenziali, è stato consigliato al Papa di prolungare la
sua permanenza presso il Policlinico Gemelli ancora per qualche giorno. Il
prossimo comunicato sarà emesso giovedì 10 febbraio sempre alle ore 12.
D. – Continuano a pervenire al Papa molti messaggi
augurali…
R. –
Sì, numerose lettere e messaggi augurali, ma anche di molte persone, alcune si
trovano anch’esse ricoverate al Gemelli, che confidano le loro sofferenze al
Papa, il quale tiene presenti tutti nella preghiera. Ho potuto vedere alcuni di
questi messaggi. Posso citarne uno che mi ha particolarmente commosso, di una
signora che parla del suo bambino, ricoverato nello stesso ospedale, seriamente
malato, e lo raccomanda al Santo Padre.
D. - Come trascorre il Papa queste giornate in ospedale?
R. - Il
Papa concelebra tutti i giorni la Santa Messa nella sua stanza, e al rito partecipa
anche il personale che lo ha in cura. Posso ancora dire che il Santo Padre dà
un’occhiata ai giornali “per seguire – ha detto questa mattina con un sano umorismo
- l’andamento della mia malattia”.
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Ma
colleghiamoci con il Policlinico romano
Agostino Gemelli dove c’è il nostro inviato Alessandro De Carolis:
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Una piccola arpa costruita con
dei fiammiferi – un segno di gioia per alleggerire la convalescenza - e uno
scarponcino di legno per rammentargli le sue amate montagne. Sono due tra gli
ultimi, simbolici doni di pronta guarigione che questa mattina hanno raggiunto
la stanza di Giovanni Paolo II al decimo piano del Policlinico Gemelli. Due
doni particolari, portati questa mattina, qui all’ospedale, da un detenuto in
semilibertà, in rappresentanza di tutti i colleghi delle carceri romane di
Regina Coeli e di Rebibbia. Ai giornalisti è stata consegnata una copia delle
lettera che accompagnava i doni: una sola cartella, che descrive con parole
anche commoventi il legame che i detenuti avvertono con colui che definiscono,
prima della firma, “affettuoso amico di tutti noi”. Parlando dello sgomento
nell’aver appreso, decifrandolo tra il clamore dei media, della malattia del Pontefice,
gli ospiti dei due istituti di pena si stringono idealmente attorno al Papa
dicendo: “Abbiamo sofferto e soffriamo per lei e, ce lo consenta, con lei”.
“Crediamo – prosegue la lettera - che se tutte le nostre preghiere, quelle che
abbiamo rivolto alla Santa Vergine per la Sua salute, avessero potuto
fisicamente volare, esse si sarebbero addensate davanti alla Sua finestra,
impedendo l'entrata a qualsiasi morbo terreno”. Accenti lirici che si sciolgono
in sentimenti di affetto e di ammirazione quando i detenuti riconoscono nella
persona e negli insegnamenti di Giovanni Paolo II un emblema “costante” di
“pace, di bontà, di carità, di rispetto dell'uomo”.
L’Angelus di ieri ha davvero rappresentato
un momento generale di emozione per i tanti presenti qui al Gemelli e non solo.
Ecco la testimonianza che abbiamo raccolto questa mattina dal cappellano del
Gemelli, don Decio Cipolloni:
“E’
un’impressione carica di emozione, soprattutto perché in questo momento il suo
silenzio è la parola più eloquente nel continuare ad essere il pastore che insegna
e che testimonia. Lo ha detto anche nel messaggio: lui in questo momento serve
la Chiesa nel silenzio e nell’infermità. Gli siamo grati e ancora più affezionati”.
Una gratitudine condivisa da tutte le categorie che
risiedono nel Policlinico, dai malati ai medici:
“L’impressione è grande per
tutti. Basterebbe pensare alla popolazione universitaria che è scesa davanti al
piazzale, ai pazienti che si sono coperti per non prendere freddo e ad alcuni
di loro che sono usciti in carrozzella. Tutti volevano avere questo segnale di
una presenza viva e benedicente di Giovanni Paolo II”.
Per tradurre in parole cosa sia
passato nel cuore dei tanti che ieri – di persona o davanti al video –
guardavano il volto sofferente del Pontefice alla finestra della sua stanza
d’ospedale può bastare il breve messaggio che il detenuto in semilibertà,
giunto questa mattina al Gemelli, ha lasciato scritto nel registro d’onore del
Policlinico: “Santità, guarisca presto, abbiamo bisogno di lei”.
Dal Policlinico Gemelli,
Alessandro De Carolis, Radio Vaticana
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RINUNCIA
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo della diocesi di Mariannhill in Sud Africa, presentata da
mons. Paul Themba Mngoma, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto
Canonico.
LA FORMAZIONE DEI SACERDOTI, FUTURO DELLA CHIESA,
AL CENTRO DELLA PLENARIA, NEI GIORNI SCORSI, DELLA CONGREGAZIONE PER
L’EDUCAZIONE CATTOLICA
- Intervista con il cardinale Zenon Grocholewski -
Si è
svolta in Vaticano nei giorni scorsi la plenaria della Congregazione per
l’Educazione Cattolica: durante i lavori si è parlato in particolare della
formazione dei candidati al sacerdozio. Nel suo messaggio all’assemblea il
Papa, martedì scorso, aveva invitato tutti i credenti a pregare per le vocazioni
in quest’Anno dell’Eucaristia. Aveva inoltre sottolineato la necessità di
verificare la maturità affettiva e spirituale dei seminaristi. Ma quali gli elementi principali del
messaggio del Papa? Giovanni Peduto lo ha chiesto al cardinale Zenon
Grocholewski, prefetto del Dicastero vaticano:
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R. –
Al primo posto metterei il problema della formazione del clero. Questo,
infatti, è un problema di grandissima importanza. Il futuro della Chiesa
dipende in gran parte dai sacerdoti, dalla loro formazione, non soltanto intellettuale,
ma anche spirituale e umana.
D. –
Cosa deve cambiare oggi a suo parere nella scelta dei candidati al sacerdozio?
R. –
Io non penso che debba cambiare qualcosa, penso piuttosto che debbano essere osservate
le linee già stabilite dalla Chiesa, che sono frutto di una plurisecolare
esperienza. Penso che si confermi sempre più la necessità di un seminario.
Tutte le esperienze differenti che sono state fatte nella formazione del clero
sono fallite. Prima di dare qualcosa si deve avere qualcosa. E’ necessario un
tempo per il silenzio e l’approfondimento della vita spirituale, per
l’acquisizione delle notizie teologiche fondamentali, per poi poter andare per
il mondo e poter arricchire gli altri con questi valori.
D. –
A suo avviso quali sono i punti di forza e di debolezza dei giovani che sentono
la vocazione al sacerdozio?
R. –
I punti di debolezza sono una certa fragilità spirituale, una certa confusione
provocata dall’odierna cultura, la mancanza di una chiara identità, molto
spesso anche la mancanza di una preparazione religiosa nelle famiglie. I punti
di forza stanno in un certo idealismo dei giovani, oggi più forte che 20 anni
fa. Oggi i giovani vogliono una vita spirituale più profonda, sono entusiasti
di un lavoro che comporta anche un certo sacrificio. Questo delinea prospettive
molto buone per la formazione dei futuri sacerdoti, che vogliono impegnarsi,
vogliono dare, vogliono essere protagonisti.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Così
si apre la prima pagina “Anche qui in ospedale, in mezzo agli altri ammalati,
continuo a servire la Chiesa e l'intera umanità”: dalla sua stanza del
Policlinico “Gemelli” Giovanni Paolo II recita l'Angelus e impartisce ai fedeli
la benedizione apostolica. I servizi - rispettivamente dal Policlinico “Gemelli”
e da Piazza San Pietro - di Giampaolo Mattei e di Francesco M. Valiante.
Nelle
vaticane, il discorso al Seminario Romano Maggiore preparato dal Santo Padre e
letto dall'arcivescovo Leonardo Sandri.
La
notificazione - a cura della Congregazione per la Dottrina della Fede - sul
libro “Jesus Symbol of God” di Padre Roger Haight, S.J.
Nelle
estere, Iraq: appello del Consiglio degli Ulema per la liberazione della
giornalista italiana.
Medio
Oriente: Washington esercita pressioni per un'intesa israelo-palestinese:
colloqui del Segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice.
Nella
pagina culturale, d'apertura un articolo di Franco Lanza per i novant'anni di
Fernando Salsano, “letterato per scelta, dantista per vocazione”.
In
merito alla mostra romana di Palazzo Braschi un articolo di Susanna Paparatti
dal titolo “L'iconografia papale dal Rinascimento ad oggi”.
Nelle
pagine italiane, in primo piano gli sviluppi della vicenda del sequestro della
giornalista italiana in Iraq.
7
febbraio 2005
NUOVI
ATTENTATI SUICIDI IN IRAQ: MORTE ALMENO 27 PERSONE
-
Intervista con Latif Al Saadi -
In Iraq la
violenza resta in primo piano, mentre cresce l’apprensione per la sorte della
giornalista italiana Giuliana Sgrena, rapita venerdì scorso nel centro di Baghdad.
La cronaca delle ultime ore nel servizio di Barbara Castelli:
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Anche questa mattina l’Iraq si è svegliato stretto nella morsa della
violenza. L’organizzazione dell’estremista giordano Abu Musab Al-Zarqawi,
considerato il braccio destro di Osama Bin Laden nel Paese del Golfo, ha
rivendicato la responsabilità dei due attentati suicidi che hanno seminato
morte e distruzione oggi a Mossul e Baquba, nel Nord del Paese, causando la
morte di almeno 27 persone. L’attacco più grave, il peggiore dalle elezioni
generali del 30 gennaio, è stato quello di Baquba, una sessantina di chilometri
a nord-est di Baghdad: una quindicina almeno i civili straziati dall’esplosione
di un’auto-bomba, e diciassette i feriti. A Mossul, invece, i terroristi hanno
preso di mira un gruppo di poliziotti in coda accanto a un ospedale, in attesa
di ricevere lo stipendio. L’attentatore, che ha causato la morte di almeno 12
persone e il ferimento di altre sei, teneva l’esplosivo nascosto sotto un lungo
cappotto. Proseguono, intanto, febbrili le indagini sul rapimento della
giornalista italiana Giuliana Sgrena, inviata del quotidiano “Il Manifesto”. In
un comunicato il gruppo di Al-Zarqawi ha negato qualsiasi coinvolgimento nel
sequestro della donna, mentre su Internet è apparso un terzo messaggio dei
presunti rapitori, annunciato come l’ultimo in attesa che la “commissione
giuridica” delle Brigate dell’Organizzazione della Jihad nel Paese di Rafidain
(Mesopotamia) adotti la sua “decisione nel futuro imminente”. Si moltiplicano
poi gli appelli della Comunità Internazionale. Anche la Lega Araba ha chiesto
la liberazione di Giuliana Sgrena e della francese di “Liberation” Florence
Aubenas, sequestrata un mese fa in condizioni analoghe insieme con il suo
interprete. Aleggia, invece, ancora un alone di mistero sulla sorte dei quattro
ingegneri egiziani sequestrati ieri davanti alla loro abitazione, in piena
Baghdad. Lo spettacolo degli orrori ha mostrato oggi un nuovo filmato. In un
sito filo-islamico su Internet è stato inserito un video che documenta
l’esecuzione di un civile iracheno sequestrato dalla guerriglia: la vittima
lavorava come traduttore e interprete per le truppe americane.
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Intanto,
alcuni dei partiti sciiti, sicuri vincitori delle consultazioni generali del 30
gennaio scorso, esigono che la nuova Costituzione sia sottoposta alle regole
dell’Islam. Ma c’è veramente il rischio che nel futuro Iraq viga la Sharia,
cioè la legge coranica? Sentiamo il parere di Latif Al Saadi, giornalista
iracheno sciita, intervistato da Francesca Sabatinelli:
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R.
– Sono sicuro che non ci sarà uno Stato integralista islamico sul modello iraniano
o dell’Arabia Saudita: di questo siamo certi. Questa è un’idea del gruppo
legato ad Al Sistani. C’è un articolo della Costituzione che dice che l’Iraq è
uno Stato islamico, e a questo non siamo contrari perché è una realtà: è una
società islamica, comprese le forze politiche, anche quelle che non hanno vinto
le elezioni. Crediamo che il dialogo sarà alla base della costruzione del nuovo
governo. Ci sarà un dibattito con i partiti sciiti islamici. Cerchiamo adesso
di fare il possibile per andare avanti con il processo politico.
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CONCLUSO
A CHARTRES, IN FRANCIA, L’INCONTRO DELLE CHIESE CRISTIANE D’EUROPA
- Intervista
con mons. Aldo Giordano -
“Le grandi cause del mondo” sono sempre al centro delle
preghiere del Papa, nonostante l’infermità, come lui stesso ha rassicurato ieri
all’Angelus: “anche qui in ospedale” – ha detto – “continuo a servire la Chiesa
e l’intera umanità”. E tra i grandi temi che interpellano con urgenza la Chiesa
e il mondo è l’ecumenismo, di cui si è fatto il punto nella riunione
annuale del Comitato congiunto delle
Chiese cristiane europee (KEK) e dei vescovi cattolici d’Europa (CCEE). L’incontro
di tre giorni si è chiuso sabato scorso a Chartres, in Francia e Roberta
Gisotti ha intervistato mons. Aldo Giordano segretario del Consiglio delle
Conferenze episcopali europee.
**********
R. –
Innanzitutto, mi sembra bello dire che nel nostro incontro abbiamo scritto al
Papa per augurargli una ripresa veloce della salute e per ringraziarlo del suo
servizio per l’unità dei cristiani e la riconciliazione. Mi sembra che in
Europa stiamo prendendo coscienza sempre di più che siamo davanti a dei problemi
comuni: il problema di contribuire alla pace; il problema di affrontare delle
sfide mondiali – pensiamo al tema del terrorismo e della fame; il problema di
contribuire a far sì che l’Europa abbia una luce con un riferimento al cristianesimo.
E questo lo possiamo fare solo insieme. Dall’altra parte c’è una certa lentezza
nel cammino teologico, ma posso testimoniare che sta crescendo un’amicizia
ecumenica. Ci riconosciamo in qualche maniera come fratelli e speriamo che la
dimensione teologica possa procedere più veloce.
D. - Lei ha
parlato di amicizia ecumenica, ecco quale accoglienza ha trovato finora un
documento importante come la Carta ecumenica, che ricordiamo è stata approvata
nel 2001 a Strasburgo?
R. – In alcuni
Paesi sta trovando un’accoglienza anche a livello formale ed ufficiale,
attraverso la firma di questa Carta, perché la Carta contiene 26 impegni
concreti che le Chiese d’Europa si sono assunte per crescere nella collaborazione
e per dare una testimonianza comune. In realtà noi a Chartres abbiamo discusso
a lungo sul progetto di una terza Assemblea ecumenica europea, che dovrebbe essere
fatta da un processo con diverse tappe. Una prima tappa a Roma, all’inizio del
2006, un’altra tappa in un ambito protestante, forse a Wittemberg, nell’inizio
del 2007, e la conclusione in un Paese a maggioranza ortodossa, nel settembre
2007. Tutto questo processo sarà accompagnato dalla Carta ecumenica. Quindi
nell’agenda saranno i punti della Carta ecumenica. Vorremmo anche fare degli
incontri a livello nazionale e regionale per vedere come concretizzare tra le
Chiese questi impegni assunti a livello europeo e per vedere qual è il
contributo dei cristiani per il continente.
D. - Ma avete
già individuato un titolo per la prossima Assemblea ecumenica europea?
R. – “La luce
di Cristo illumina tutti”, è un titolo che viene dal mondo ortodosso ed è bello
perché ha questa centralità cristologica, con l’immagine della luce che è
rivolta a tutti. Il sottotitolo è: “Speranza per il rinnovamento e l’unità in
Europa”.
**********
PRESENTAZIONE
OGGI A ROMA DEL NUOVO LIBRO DI ALCESTE SANTINI
SUI VIAGGI INTERNAZIONALE DEL PAPA
“Giovanni
Paolo II. I viaggi nel mondo. In cammino per la pace”. E’ il titolo del nuovo
libro di Alceste Santini dedicato al Papa, che sarà presentato oggi pomeriggio
alle ore 16.30, presso la Sala conferenze della Biblioteca del Senato, in
piazza della Minerva a Roma, alla presenza annunciata del presidente Marcello
Pera. All’incontro parteciperanno Joaquin Navarro-Valls, portavoce vaticano, e Armando
Torno, editorialista del “Corriere della Sera”. Alceste Santini, noto vaticanista,
che ha già firmato altri volumi su diversi aspetti del pontificato, in questo
libro racconta di “un Papa straordinario, viaggiatore instancabile”, che annovera
104 viaggi internazionali. Il libro, edito dall’Istituto geografico De
Agostini, si avvale di un ampia documentazione che la Radio Vaticana ha messo a
disposizione dell’autore. Ascoltiamo ora Alceste Santini, spiegare al microfono
di Fabio Colagrande, il motivo di fondo di quest’ambiziosa opera divulgativa
sull’apostolato di Giovanni Paolo II:
**********
R. – Il motivo di fondo è questo: per me, i viaggi rappresentano la
più grande eredità che Giovanni Paolo II ha già lasciato a tutta la Chiesa, ma
direi che l’ha lasciata anche al mondo intero, all’umanità; perché con i
viaggi, che io ho cercato di ricostruire storicamente facendo vedere il viaggio
come si è svolto in ogni contesto, sociale, politico, religioso, ecco, il Papa
ha dimostrato di volta in volta come fosse necessario confrontarsi nel rispetto
delle culture di ciascun popolo, di ciascun Paese, per cercare di mettere al
centro l’uomo, i suoi diritti e anche il diritto a vivere pacificamente in un
mondo globale. Ha insegnato anche come sia possibile e doveroso parlare ai
popoli, tenendo conto dei loro bisogni, dei loro problemi. Quindi, i viaggi
rappresentano una grande eredità per la Chiesa, perché attraverso di essi
questo Papa ha capovolto la stessa evangelizzazione.
D. – In questi giorni di ricovero, Giovanni Paolo II ha ricevuto
manifestazioni di affetto da rappresentanti di diversi Paesi e anche di diverse
religioni. Questo può essere il segno di queste forti relazioni di pace, di
fratellanza intessute durante questi viaggi internazionali?
R. – Indubbiamente. Perché non c’è stato viaggio che - oltre a parlare
alle popolazioni – non si sia incontrato con ebrei, protestanti, musulmani, e
poi ha compiuto dei gesti straordinari. Basti ricordare non soltanto la sua
visita alla Sinagoga di Roma nel 1986, ma anche la visita nella Grande Moschea
degli Omayiadi a Damasco dove fu accolto dal Gran Muftì con un abbraccio ...
Quindi, sono queste cose, sono questi gesti ... come del resto l’altro grande
gesto a Gerusalemme, quando davanti al Muro del pianto inserì un biglietto in
cui ancora una volta chiedeva perdono nei confronti degli ebrei. Quella immagine fece il giro del mondo, ma
prima di tutto entrò nelle case degli ebrei di Gerusalemme. Quindi, oggi
durante questa malattia che ora fortunatamente si avvia ad un epilogo positivo,
abbiamo visto ebrei e musulmani pregare; 82 vescovi cattolici, luterani, evangelici
celebrare insieme una Messa ... Oggi noi constatiamo con mano quali segni
straordinari questo Papa abbia lasciato nel mondo; segni nel senso del dialogo,
dell’incontro ...
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PRIMA
MONDIALE AL TEATRO DELL’OPERA DELLE FIANDRE, AD ANVERSA,
DEL
DRAMMA PER MUSICA “RICCARDO III” DA SHAKESPEARE,
DEL
COMPOSITORE ITALIANO GIORGIO BATTISTELLI
- Con
noi il maestro Battistelli e il Sovrintendente dell’Opera, Marc Clemeur -
Successo di pubblico internazionale, applausi ed emozione
per la prima esecuzione mondiale, al Teatro dell’Opera delle Fiandre, del
dramma per musica “Riccardo III” di Giorgio Battistelli, fra i maggiori
compositori italiani d’oggi, cresciuto alla scuola tedesca di Stockhausen e
francese di Drouet e Sylvestre. L’opera rimarrà in scena fino al 9 febbraio ad
Anversa e dal 16 al 23 febbraio a Gent, in Belgio. C’era per noi A.V.:
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Un eroe negativo, tragico e sanguinario nell’inesorabile
ascesa al potere. Procedendo da Shakespeare al libretto del drammaturgo Ian
Burton, quale lettura dà Giorgio Battistelli di ‘Riccardo III”?
R. – Certamente, non quella ideologica ma quella che appartiene più ad
una dimensione epica, rituale. Il personaggio di Riccardo III è il mostro che
vive dentro ognuno di noi, è il potere, non soltanto un potere
politico-militare ma può essere anche psicologico, anche qualcosa di più
subdolo, anche una lotta interiore con noi stessi dove cerchiamo di non far
prevalere l’aspetto più mostruoso di noi rispetto all’altro, alla parte –
diciamo – più umana. Certamente è un conflitto continuo, è un confronto tra
personalità molto distanti, con forti contrasti.
La musica attinge al passato, trasfigurandolo in toni
espressionistici, con uso sapiente dei colori orchestrali ma anche di effetti
percussivi e metaforici.
R. – L’opera dev’essere impura per
essere funzionale alla drammaturgia, e la stessa drammaturgia deve creare un
rapporto con il testo narrativo o letterario. Con la musica, con la scena, con
la rappresentazione ... quindi, anche l’elemento della lingua latina in alcuni
punti è legato in effetti ad una “liturgia” intesa anche come ritualità.
L’opera inizia con una morte in scena, c’è l’incoronazione di Edoardo IV, e
l’opera termina con un’altra morte, quella di Riccardo III all’incoronazione di
Enrico VII. Quindi, una ciclicità che forse è anche una dimensione che lo
stesso Shakespeare in molte sue tragedie e drammi riporta: questa storia che
non termina mai, che è una dimensione ciclica.
La regia dell’inglese Robert Carsen,
ora surreale e simbolica à la Magritte,
ora psicologica secondo la lezione di Kubrick, rende visibile sulla
scena quanto nella partitura è magmatico prodotto dell’inconscio. Un
allestimento imponente ed efficace in tutte le sue parti – musica, canto,
drammaturgia, messa in scena – su cui ha investito con coraggio il
Sovrintendente dell’Opera delle Fiandre, Marc Clémeur.
R. – Noi facciamo spesso delle creazioni, ma questa è una prima
assoluta e la scelta è basata sul fatto che io credo che ci siano molti
compositori contemporanei ma pochi che sappiano veramente scrivere per il
teatro. Questa è una qualità incredibile di Giorgio Battistelli. Allora, volevo fare una grande opera per
grande orchestra, grande coro, coro di voci bianche e 18 solisti: dunque
veramente una “grande opera”, una grandissima produzione. Anche la costruzione
delle scene dura almeno tre giorni ed è molto massiccia. Credo che il risultato
sia veramente un modello di cosa possa essere una vera opera contemporanea.
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Radiogiornale
7
febbraio 2005
I TRIBUNALI A TIMOR EST DEVONO CONTINUARE AD
ACCERTARE LE ATROCITA’
COMMESSE DURANTE IL PROCESSO DI INDIPENDENZA. IL
VESCOVO DELLA CAPITALE,
DILI, AFFERMA: ABBIAMO BISOGNO DI GIUSTIZIA E
GIUSTIZIA DEVE ESSERE FATTA
DILI (TIMOR EST). = Il vescovo di Dili,
mons. Alberto Ricardo da Silva, si è detto contrario all’accordo fra governo
indonesiano e leader di Timor Est per mettere fine ai processi sulle atrocità
avvenute durante il processo di indipendenza del 1999. In quel periodo milizie
locali, sostenute dall’esercito indonesiano, hanno ucciso circa 1500 timoresi e
causato 250 mila profughi dopo il referendum che sanciva l’indipendenza
dell’isola da Jakarta. “La posizione della Chiesa è chiara e ferma - ha
dichiarato il presule - abbiamo bisogno di giustizia e giustizia deve essere
fatta”. Le dichiarazioni di mons. da Silva giungono dopo un accordo raggiunto
un mese fa fra il presidente indonesiano Susilo e il leader timorese Xanana
Gusmao per creare una Commissione per la verità e l’amicizia, con l’obiettivo
di far luce sulle violenze avvenute. I leader dei due Paesi hanno motivato la
loro decisione affermando che i tribunali per i crimini “non avevano il sostegno
del pubblico”. Invece, secondo mons. da Silva “tutti” gli abitanti di Timor Est
li vogliono e appoggiano il lavoro che stanno facendo. Finora i tribunali hanno
incarcerato 74 timoresi responsabili di atrocità durante i disordini del ’99.
Tuttavia, più di 300 persone accusate hanno trovato rifugio in Indonesia e i
tribunali sono privi dell’autorità di estradare gli ufficiali indonesiani. Anche
le Nazioni Unite hanno fatto sapere di non approvare l’accordo Susilo-Xanana e
hanno proposto una Commissione di esperti per indagare sul fallimento della
risoluzione del Consiglio di sicurezza, firmata nel 1999, che doveva
individuare gli autori dei massacri. Domani i ministri degli Esteri dei 2 Paesi
si incontreranno a Bali per stabilire i dettagli operativi della Commissione.
Dunque, mons. da Silva ha ribadito la necessità che i tribunali sui crimini
passati siano operativi. “Non faremo domanda ufficiale all’Onu per questo - ha
aggiunto il vescovo - ma la nostra porta è sempre aperta”. (E. B.)
IN OCCASIONE DEL REFERENDUM SULLA “COSTITUZIONE
PER L’EUROPA”, PREVISTO
IN SPAGNA PER IL 20 FEBBRAIO, I VESCOVI SPAGNOLI
PROMUOVONO IL VOTO LIBERO
E SOTTOLINEANO
GLI ASPETTI POSITIVI E NEGATIVI DEL TRATTATO
MADRID. = Il 20 febbraio
prossimo la Spagna sarà il primo Paese dell’Unione Europea a sottoporre a
consultazione popolare il Trattato costituzionale europeo. La Segreteria generale
della Conferenza episcopale spagnola, in una nota diffusa nei giorni scorsi,
interviene sul tema menzionando gli aspetti positivi e negativi del Trattato.
Il principio ispiratore è il dovere pastorale dei vescovi di “offrire un aiuto
ai cattolici, e all’opinione pubblica in generale, circa l’orientamento morale
del voto responsabile e in coscienza”. Tuttavia, credono che “l’impegno con
l’Europa non li obblighi ad indicare, un senso determinato del voto in questo
referendum”, e sottolineano che “in ogni caso sarà necessario agire con
coscienza soppesando con attenzione i motivi per i quali realmente si svolge”.
Tra gli elementi positivi, si sottolinea “che i firmatari del Trattato,
sottoponendosi al dominio di un testo costituzionale, favoriranno il processo
di integrazione dell’Unione con tutto ciò che questo comporta: consolidamento
della pace tra i popoli d’Europa; sviluppo economico e sociale; cooperazione
più efficace contro il terrorismo e la delinquenza internazionale e incremento
della capacità dell’Unione di agire in modo concertato nel mondo”. I vescovi
apprezzano anche il fatto che il Trattato valorizzi “con sufficiente chiarezza
i principi di sussidiarietà, proporzionalità e controllo giudiziario” e che
riconosca il diritto dei genitori ad educare i propri figli “in base alle
proprie convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche”. A favore del
Trattato c’è anche la menzione della religione “come uno degli elementi
costruttivi dell’eredità europea” ed il riconoscimento “delle Chiese come
realtà sociali con valore specifico” con cui l’Unione manterrà “un dialogo
aperto, trasparente e regolare”. Tra gli elementi negativi, nella
“Costituzione” i vescovi riscontrano la mancanza di un chiaro riferimento ad
“un diritto umano così fondamentale come quello alla vita”. In particolare
affermano che “il testo non esclude la ricerca letale con embrioni umani né
l’aborto né l’eutanasia” e non esclude nemmeno la clonazione di esseri umani
per la sperimentazione e la terapia. Inoltre, i prelati sentono anche la
mancanza “della definizione esplicita del matrimonio come unione stabile di un
uomo e di una donna e della protezione del diritto dei figli a non essere
adottati da un altro tipo di unione”. Infine, i religiosi “desidererebbero che
l’organizzazione politica dell’Unione facilitasse una maggiore partecipazione
dei cittadini” e “lamentano profondamente l’omissione deliberata del cristianesimo
come una delle radici vive dell’Europa e dei suoi valori”. Circa la convocazione
di un referendum, si afferma “che i cittadini devono avere sufficienti
informazioni per poter votare con cognizione di causa”. Sotto questo aspetto, i
vescovi non ignorano la “perplessità” di molte persone derivante “dalla
difficoltà di poter conoscere responsabilmente il contenuto di un lungo e
complesso testo legale”. In conclusione hanno affermato che “il ‘sì’ e il ‘no’,
il voto in bianco e l’astensione sono opzioni possibili e legittime; il voto in
bianco e l’astensione, nel caso in cui non sia possibile superare le
perplessità o non si possa accettare alla base la consultazione”. (E. B.)
I VESCOVI SUDAFRICANI ESORTANO A NON DIMENTICARE
LA LOTTA ALLA POVERTA’. UNA PIAGA CHE
AFFLIGGE NON SOLO DECINE DI PAESI POVERI MA TUTTA L’UMANITA’
PRETORIA.= La povertà uccide
ogni settimana nel mondo tante persone quante ne ha uccise nel Sud-Est asiatico
il maremoto dello scorso 26 dicembre. E’ quanto affermano i vescovi sudafricani
in un messaggio divulgato al termine della loro assemblea plenaria. In questo
modo i presuli hanno voluto segnalare che la lotta contro la povertà continua
ad essere la sfida principale non solo per i Paesi poveri ma per l’intera
umanità. Per questa ragione i vescovi sudafricani chiedono, nel loro messaggio,
uno sforzo deciso da parte dei Paesi ricchi per risolvere, attraverso il
condono del debito esterno, i problemi di povertà e sottoalimentazione che
colpiscono le popolazioni di decine di Stati. Oltre ai governi, i vescovi esortano
anche le istituzioni internazionali a creare un sistema finanziario e commerciale
globale “giusto” che “protegga i posti di lavoro” delle comunità più
vulnerabili e che “garantisca” i servizi pubblici essenziali a vantaggio dei
più poveri. I presuli sudafricani, in conclusione, non negano l’importanza del
ruolo dei governanti dei Paesi sottosviluppati. A questi suggeriscono la
definizione di “programmi di sviluppo”, un’attenta e costante “lotta contro la
corruzione” e una gestione etica e corretta della pubblica amministrazione. (E.
B.)
Anche i vescovi nelle
Filippine sono molto preoccupati dal record
di giornalisti assassinati
in questi ultimi anni nel Paese,
con grave danno per la
libertà di informazione
QUEZON CITY. = Dalla fine della
dittatura di Ferdinando Marcos, nel 1986, sono 61 i giornalisti uccisi nelle
Filippine, di cui 13 nel solo 2004. Un primato negativo secondo solo all’Iraq,
Paese peraltro in guerra. In una dichiarazione diffusa nei giorni scorsi, il
presidente della Commissione episcopale delle comunicazioni sociali, mons.
Jesus Cabrera, definisce queste cifre “tristi e vergognose per un Paese
democratico e cristiano come il nostro, tanto più che si tratta di persone uccise
solo per avere svolto il loro mestiere e detto la verità all’opinione
pubblica”. Infatti, da un’inchiesta commissionata dalle associazioni locali e
internazionali della stampa emerge che tutte le vittime erano conosciute per avere
pubblicato articoli “scomodi” a persone di potere locali e che in molti casi il
loro assassinio ha di fatto ridotto al silenzio i media più critici. Il
rapporto, presentato la settimana scorsa a Quezon City, denuncia come una buona
parte dei delitti siano rimasti impuniti, dunque, confermando protezioni
dall’alto per gli assassini. Le associazioni della stampa hanno quindi chiesto
anche il sostegno della Chiesa nella lotta contro la “cultura della violenza” che
si cela dietro questi omicidi. All’appello ha subito risposto mons. Cabrera,
che ha espresso tutta la solidarietà dei vescovi con la categoria e ha chiesto
nella sua dichiarazione più tutele per la libertà di informazione nel Paese.
Una solidarietà che si è già espressa in questi mesi con una serie di
iniziative promosse a livello diocesano, anche attraverso i media cattolici.
(L. Z.)
RESPONSABILITA’ E FIDUCIA SONO LE VIE PER LA PACE.
APPELLO
DELLE ACLI
IN PELLEGRINAGGIO A GERUSALEMME IN VISTA
DEL VERTICE ISRAELO PALESTINESE DI SHARM EL SHEIK
GERUSALEMME. = Le Associazioni
cristiane dei lavoratori (ACLI), in pellegrinaggio in Terra Santa per il 60°
anno della loro fondazione, porgono la loro preghiera con una lettera aperta
affinché l’incontro di Sharm el Sheikh fra Sharon e Abu Mazen sia coronato da
successo. “Avete la responsabilità – affermano nel comunicato – di stringere un
patto, di fidarvi l’un l’altro affinché fra i vostri popoli tacciano per sempre
le armi e nasca una nuova stagione di dialogo, unica via per realizzare il
sogno di due popoli in due Stati liberi e indipendenti”. Ricordando che proprio
questo è l’unico luogo al mondo in cui Dio, “il Dio di Abramo, di Isacco e
Giacobbe”, ha mostrato in maniera inequivocabile di essere “dalla nostra parte
come Dio della Pace”, le ACLI hanno invocato la benedizione a tutti i collaboratori
partecipanti all’incontro. (E. B.)
PROMUOVERE UNA PRESENZA PIU’ EFFICACE DELLA CHIESA
LOCALE NEI MEDIA.
QUESTA LA STRATEGIA DELLE DIOCESI DELLA NIGERIA
PER RENDERE PIU’ INCISIVA L’AZIONE DI EVANGELIZZAZIONE DELLA CHIESA NEL PAESE
LAGOS. = Le diocesi della
Nigeria vogliono valorizzare meglio la missione dei media cattolici locali e promuovere la comunicazione in campo ecclesiale per
rendere più incisiva l’azione evangelizzatrice della Chiesa nel Paese. La
decisione è emersa da un importante incontro che ha visto riuniti recentemente
ad Abuja i responsabili degli Uffici diocesani nigeriani delle comunicazioni
sociali. “Insieme realizziamo cose interessanti per Dio nel Suo popolo” è
stato il tema della riunione cui sono intervenuti, tra gli altri, padre Patrick
Alumuku, già responsabile del Programma Inglese-Africa della Radio Vaticana e
oggi direttore dell’Ufficio delle comunicazioni sociali della diocesi di Abuja,
padre Robert White, docente della Pontificia Università Gregoriana a Roma,
padre Felix Ajakaje direttore dell’Ufficio nazionale delle comunicazioni
sociali, nonché il nunzio apostolico in Nigeria, mons. Renzo Fratini. Partendo
dalla comune convinzione sulla necessità di promuovere una presenza più
efficace della Chiesa locale nei media, la sessione ha indicato le strategie
per raggiungere questo obiettivo: migliorare la formazione professionale dei
comunicatori cattolici e creare una maggiore sinergia a livello nazionale e
locale per razionalizzare l’uso delle risorse umane e materiali disponibili.
Mons. Fratini ha evidenziato anche la necessità per gli informatori cattolici
di essere aggiornati non solo sull’attualità strettamente ecclesiale, ma anche
su quella internazionale, perché siano essi stessi obiettivamente informati.
Tra le principali decisioni operative emerse dall’incontro: il lancio di un
quotidiano cattolico nazionale e la creazione a livello locale di una rete di
contatti con l’Ucip, l’Unione internazionale della stampa cattolica, e
‘Signis’, l’organizzazione mondiale cattolica per il cinema e la
radio-televisione. (L. Z.)
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7
febbraio 2005
- A cura
di Barbara Castelli -
● La
diplomazia internazionale all’opera per la pace in Medio Oriente. Alla vigilia
del vertice di Sharm el-Sheikh, in Egitto, il presidente palestinese Abu Mazen
ha avuto oggi a Ramallah, in Cisgiordania, un lungo colloquio con Condoleezza
Rice, che ieri, invece, ha incontrato il premier israeliano, Ariel Sharon. Il segretario
di Stato americano ha messo l’accento sulla necessità di affrontare la
questione della sicurezza e ha anticipato la sua decisione di nominare un
“coordinatore” personale, il generale William Ward, un ex comandante della
forza della Nato per la Stabilizzazione in Bosnia. Abu Mazen, da parte sua, ha
ribadito l’impegno dei palestinesi a rispettare il trattato di pace e ha
formulato l’auspicio di uno Stato indipendente, che viva in pace con Israele.
Annunciata per la prossima primavera una visita a Washington del presidente
palestinese, Abu Mazen, e del premier israeliano Sharon, che avrebbero
accettato l’invito del capo della Casa Bianca, George Bush. Ma è giustificato
il relativo ottimismo di queste ore intorno al vertice israelo-palestinese?
Roberto Piermarini lo ha chiesto all’inviato a Sharm el-Sheikh del Corriere
della Sera, Antonio Ferrari:
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R. – Ma, io direi che è
giustificato perché, come ben sappiamo, non è la prima volta che Abu Mazen
incontra Sharon. Era già accaduto nel 2003 ad Aqaba. Oggi, senza Arafat, Abu
Mazen resta il primo ed unico interlocutore ed i segnali che arrivano dalla
Palestina e da Israele sono segnali abbastanza distensivi. Perché nonostante
gli attacchi che ci sono stati, alcuni screzi, alcuni scontri, la sostanza è
che gli uni e gli altri hanno continuato a mantenere rapporti, anche se
indiretti.
D. – In Israele, comunque, c’è malumore per le troppe concessioni che
farà Sharon mentre si lamenta che da parte palestinese è stato fatto troppo
poco per il terrorismo …
R. – Questo fa parte anche un po’ della dialettica di un
pre-negoziato, cioè alzare il prezzo per cercare poi di abbassarlo quando si
dovrà appunto trattare con la controparte.
D. – Qual è stato il ruolo degli
Stati Uniti per la riuscita di questo vertice?
R. – Gli Stati Uniti hanno bisogno di un risultato importante nel
conflitto tra israeliani e palestinesi, quindi hanno fatto indubbiamente forti
pressioni sul governo di Israele, da una parte, e anche sui palestinesi
dall’altra. Poi dobbiamo anche considerare il ruolo abbastanza importante e
particolare che ha Condoleeza Rice, considerata uno dei falchi della prima
amministrazione Bush e che oggi si ritrova, come segretario di Stato, in una
posizione in cui bisogna privilegiare la diplomazia. In fondo, si cerca di
recuperare più che lo spirito di Camp David del 2000 - quando Clinton tentò di
mettere d’accordo le parti ma non ci riuscì - lo spirito di Taba, degli accordi
di Taba, che furono accordi piuttosto importanti anche se ormai sterili, e
soprattutto lo spirito di Aqaba di due anni fa, quando la road-map
pareva essersi messa sul binario giusto.
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●Colpo di scena ieri nel Togo, al suo secondo giorno senza
Gnassingbé Eyadema, morto improvvisamente sabato. I deputati hanno, infatti,
votato la destituzione del presidente del Parlamento e modificato l’articolo 65 della Costituzione eleggendo Faure Gnassingbè, figlio di
Eyadema, come nuovo leader del Paese. Nonostante i molteplici appelli
internazionali alle autorità del Paese, dunque, perché si attenessero alle
procedure per la successione, il Parlamento si è adeguato alla posizione presa
ieri dalle Forze armate del Paese. Il principale oppositore al defunto
presidente, Gilchrist Olympio, intanto, ha annunciato manifestazioni di piazza
contro il nuovo successore, che ha già prestato giuramento, mentre la Francia
ha espresso la propria preoccupazione, auspicando la “rapida organizzazione di
elezioni libere e democratiche”. E’ stato convocato un summit straordinario
della Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’ovest (CEDEAO) sulla
delicata situazione. Ma cosa succederà a questo punto nel Paese africano?
Francesca Fialdini lo ha chiesto a Raffaello Zordan, esperto di relazioni
africane per il mensile dei comboniani, “Nigrizia”:
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R. - Il fatto che il figlio di
Eyadema sia subentrato al padre con una procedura quasi monarchica, mi pare una
cosa che sta poco in piedi. Comunque, ha ricevuto la legittimazione da parte
del Parlamento che, essendo dominato dal partito al potere, ha potuto
modificare la Costituzione.
D.- C’è da temere una guerra civile?
R. – Non credo, perché il pilastro essenziale su cui si fonda il potere è
l’esercito. Parliamo di 15 mila soldati e poi c’è anche un corpo di
paracadutisti al servizio del presidente. Faccio fatica a pensare che ci sarà
una guerra civile. Importante in questo quadro è l’atteggiamento della Francia.
Abbiamo già visto che il presidente Chirac si è affrettato a dire che era amico
fraterno di Eyadema padre e evidentemente tenterà di ristabilire questo
rapporto con il figlio. Il Togo, insieme con il Cameroun, il Gabon e la Costa
d’Avorio, è uno degli anelli fondamentali della gestione degli interessi
francesi nell’Africa occidentale.
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●Le
elezioni presidenziali e legislative in Liberia avranno luogo il prossimo 11
ottobre. Lo ha annunciato oggi la Commissione elettorale nazionale. La tornata
elettorale metterà fine alla guida ad interim del presidente, Gyude Bryant. Il
capo di Stato era salito al potere nell’ottobre del 2003, dopo 14 anni di
guerre civili e l’esilio del presidente, Charles Taylor.
● Ore di angoscia in Svizzera. Tre
sequestratori armati hanno tenuto in scacco il consolato spagnolo di
Berna, nel quartiere di Kirchenfeld. Fortunatamente i due ostaggi sono stati liberati dalle forze dell’ordine che,
dopo aver intimato ai malviventi di uscire, hanno fatto irruzione
nell’edificio. Tuttora imprecise e contraddittorie le informazioni. Secondo le
prime ricostruzioni, gli assalitori avrebbero fatto irruzione nella sede di
rappresentanza diplomatica alle otto locali. Non si conosce l’identità e la nazionalità dei malviventi,
penetrati incappucciati nel consolato probabilmente per commettere una rapina.
●E’
stata una stufa difettosa a segnare il destino di diciotto giovani, di età
compresa tra i 25 e i 40 anni, che nel sonno hanno trovato la morte nel piccolo
albergo “San Cristobal”, situato sulla costa della regione spagnola di Valencia.
Erano andati in cinquanta in quella località per festeggiare un compleanno, ma
solo in diciotto avevano deciso di trascorrere la notte in quel piccolo
albergo, probabilmente non attrezzato a sufficienza per il freddo di questi
giorni. Si è consumata così la peggiore tragedia provocata in Spagna da una
fuga di gas negli ultimi decenni. La regione valenciana ha indetto per oggi una
giornata di lutto.
●Il
governo spagnolo ha deciso di offrire la regolarizzazione a centinaia di
migliaia di clandestini, anche se ciò rischia di far diventare la Spagna la
destinazione più appetibile dell’immigrazione illegale. Il governo del primo
ministro, José Luis Rodriguez Zapatero, ha spiegato che la regolarizzazione
permetterà di controllare meglio il flusso migratorio. La Spagna è il Paese
europeo con il più alto numero di clandestini.
●Con
una valanga di voti, il primo ministro thailandese, Thaksin Shinawatra, ha ottenuto
un secondo mandato di quattro anni. Nelle elezioni per il nuovo Parlamento,
svoltesi ieri nel Paese asiatico, il suo partito Thai Rak Thai (I thailandesi
amano i thailandesi), si è aggiudicato 399 dei 500 seggi, secondo l’exit poll
condotto congiuntamente da sei reti televisive e da un’Università. Si tratta
della prima volta, nella storia della Thailandia, che un primo ministro viene
rieletto per un secondo termine, e che viene eletto con una maggioranza di
queste proporzioni. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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Il trionfo del magnate delle telecomunicazioni, Thaksin
Shinawatra, garantirà alla Thailandia un governo stabile e duraturo, in un
momento delicato per la ripresa economica e per la ricostruzione del
dopo-tsunami. Ma come hanno scritto oggi i quotidiani di Bangkok, ci sono molte
perplessità sul futuro del regno thailandese. Innanzitutto, queste elezioni
sono state contraddistinte dal sospetto di corruzione, di commercio dei voti,
una pratica abbastanza frequente nella storia politica thailandese. Secondo,
l’indebolimento dell’opposizione in Parlamento, e il rafforzamento del parti
to di governo, il Thai Rak Thai, che avrebbe ottenuto la maggioranza
assoluta di 399 seggi su 500, consolida ulteriormente il potere del premier
Thaksin in questo suo secondo mandato. Il 55.enne Thaksin, popolare soprattutto
tra le classi più povere, è stato criticato per la sua politica autoritaria
nella repressione dei trafficanti di droga e degli estremisti musulmani, in
particolare nel Sud del Paese dove da oltre un anno l’esercito thailandese
combatte l’insurrezione islamica. Nelle elezioni di ieri la partecipazione al
voto è stata particolarmente alta: si parla del 76 per cento della popolazione.
Per la
Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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●Violenti
scontri nel sud-est di Manila, nelle Filippine meridionali. Un centinaio di
ribelli del Nuovo esercito del popolo (NPA) hanno sparato contro l’esercito.
Nei combattimenti hanno perso la vita 14 ribelli e due soldati.
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