RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLIX n.
363 - Testo
della trasmissione di giovedì 29 dicembre 2005
IL
PAPA E
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Si aggrava la situazione di siccità e carestia in
alcune regioni del Kenya
In Iraq, uccisi 10 presunti terroristi in un raid
aereo americano su un villaggio nei pressi di Kirkuk
- 4 morti all’attentato suicida all’altezza di un
posto di blocco israeliano in Cisgiordania - Sequestrato nello Yemen l’ex sottosegretario agli Esteri dell’ultimo governo
tedesco, Juergen Chrobog
29 dicembre 2005
“Artigiani di pace”: è l’espressione scelta dal Papa
per salutare i giovani
che da ieri partecipano al 28° Pellegrinaggio
promosso
dalla Comunità di Taizè, quest’anno
a Milano
“Artigiani di pace”: è l’espressione scelta dal Papa per
salutare i giovani che da ieri partecipano al 28° Pellegrinaggio di fiducia
sulla terra promosso dalla Comunità di Taizè che
ritorna nel capoluogo lombardo dopo sette anni. Ieri pomeriggio il suono delle
1200 campane di Milano ha accolto sotto la neve i 50 mila giovani che
partecipano agli incontri di preghiera e di meditazione, ma anche a laboratori
su pace, globalizzazione, ecumenismo, fino al 1
gennaio prossimo. Il servizio da Milano di Fabio Brenna:
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Il filo conduttore dell’incontro è dato da quella lettera
incompiuta che Frère Roger stava scrivendo ai giovani prima di essere assassinato il 16
agosto scorso. Il testo è stato distribuito ieri sera nel corso della prima
meditazione guidata da Frère Alois, successore di
Frère Roger alla guida della Comunità di Taizè. E’ un
invito ad “allargare la speranza” nel segno di quella “confiance”,
la fiducia predicata lungo tutta la sua vita da Frère Roger.
Il Papa, nel messaggio inviato per questo appuntamento,
definisce questi giovani provenienti da 42 paesi del mondo “artigiani di pace”
e indica loro come esempi da seguire le figure di Giovanni Paolo II e di Frère
Roger. Benedetto XVI “si augura” - si legge poi nel messaggio - “che il dialogo
tra voi, che siete convenuti da vari Paesi e provenite da confessioni cristiane
diverse, così come l’incontro con i cristiani di Milano che vi accolgono, vi
consentano di tessere dei nuovi legami che saranno altrettanti semi di pace fra
gli uomini”.
L’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, che incontrerà i giovani domani sera, nel suo
indirizzo di saluto si augura che questo incontro europeo definito “straordinario
evento missionario” possa accendere una luce nella Città, mettendo al centro la
preghiera. I giovani sono stati accolti per la gran parte da famiglie della
Diocesi presso cui dormono e fanno colazione. Il resto
della giornata viene speso in Fiera, nei gruppi linguistici
e negli incontri sparsi in città. Ogni giorno alle 13:15
e alle 19:00, la preghiera comune. Un padiglione della Fiera è stato riservato
al silenzio.
Da Milano, per Radio Vaticana, Fabio Brenna.
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Ascoltiamo con quali sensazioni e con quali attese ha scelto di non
mancare il raduno Marcello Fidanzio uno dei partecipanti avvicinato da Isabelle Coustourié.
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R. – L’incontro di Taizé è sempre un’occasione per
riscoprire le sorgenti della fiducia in Dio, fiducia che ci dà la spinta per
aprirci agli altri e fiducia nelle persone cui apriamo le nostre case. Quindi,
l’incontro di Milano è un’occasione per riannodare rapporti, per scoprirne di
nuovi, per incontrare tante persone con cui condividere la propria fede … magari,
abitano vicinissime a noi, non le conosciamo e la venuta dei giovani di Taizé
diventa un’occasione per incontrarle. Con altre persone che sono molto lontane,
una volta incontrate si scopre che, a migliaia di chilometri di distanza,
viviamo le stesse cose. La presenza di frère Roger è
stata un grande dono per tanti di noi, davvero un’autentica sorgente, perché
con la sua vita di uomo semplice, come siamo tutti noi, ha saputo dare fiducia
a tanti e dare lo slancio. Dunque, oggi viviamo anche di questa eredità.
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NOMINE
L’arcivescovo maggiore di Kyiv Halyč, il cardinale Lubomyr Husar, con il consenso del
Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina e dopo aver informato la Sede Apostolica,
ha trasferito, a norma del canone 85 del Codice dei
Canoni delle Chiese Orientali, mons. Ihor Vozniak, dei Padri Redentoristi, da vescovo titolare di Nisa di Licia ed
ausiliare dell'Arcieparchia
di Lviv degli Ucraini ad arcivescovo residenziale
della medesima sede.
In Messico, Benedetto XVI ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi
di Morelia mons. Octavio Villegas Aguilar, finora vescovo
di Tula. Il neo vescovo di Morella, 65 anni, è stato
ordinato sacerdote nel 1966, ed ha successivamente svolto, tra gli altri, gli
incarichi di formatore del Seminario Minore, parroco, vicario episcopale. Il 27
aprile 1994 fu nominato vescovo di Tula e consacrato
nel maggio dello stesso anno.
DOMATTINA
IL SANTO PADRE VISITA IL DISPENSARIO ‘SANTA MARTA’ IN
VATICANO
-
Intervista con la responsabile, suor Chiara Pfister -
Domani mattina Benedetto XVI si recherà in visita al
Dispensario Santa Marta in Vaticano. La struttura è sorta nel 1922, in seguito
al progetto presentato al Papa Benedetto XV da una volontaria americana impegnata
da anni nella distribuzione di latte “Dryco” - ad
alta concentrazione proteica - ai bambini poveri della capitale. Il Papa affidò
il progetto alle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli
e ne nacque una struttura poi destinata all’accoglienza gratuita dei pellegrini
e all’assistenza dei poveri della zona di San Pietro e dei Borghi. Oltre 214.mila pellegrini trovarono accoglienza a Santa Marta tra il
1887 e il 1929, senza contare quanti vi furono ospitati in periodi di calamità
e i soldati ricoverati al tempo della Grande Guerra. Durante il secondo
conflitto mondiale la struttura accolse gli ambasciatori presso la Santa Sede non allineati con
le posizioni delle potenze belligeranti. Oggi il “Dispensario pediatrico Santa
Marta” assiste nuclei familiari extracomunitari di qualsiasi Paese, etnia o
religione, in prevalenza bambini: soprattutto fino ai 2 anni. Nel 2005 ne ha
assistiti circa 700. Si avvale di un’équipe composta da
10 medici delle diverse specializzazioni, una psicologa e 40 volontari, con il
coordinamento della Figlia della Carità suor Chiara Pfister,
di origine svizzera. Giovanni Peduto l’ha intervistata:
**********
R. – A Roma non
ce ne sono tante di strutture dello stesso tipo. Io personalmente non ne
conosco. La specificità di questo dispensario è che è un centro, un
consultorio, per le famiglie che hanno bisogno. Vogliamo aiutare queste
famiglie a rimettersi in piedi, a camminare da sole. Vogliamo accompagnarle per
due, forse tre anni, nel desiderio e nelle indicazioni dei Papi, come è stato
sottolineato anche da Papa Giovanni Paolo II.
D. – Ci vuole descrivere una giornata tipica di lavoro al ‘dispensario? Quante persone aiutate ogni giorno?
R. – Di solito le giornate sono varie. Ad esempio, il
giovedì, che siamo aperti anche la mattina, passano fra le 30 e le 40 famiglie,
che corrispondono spesso a più persone. Se le famiglie vengono con due o tre
figli, il dispensario funziona diversamente che se viene solo una mamma con un
bambino. Le famiglie vengono e sono visitate o da me o dai medici. Se hanno
problemi di salute, e per qualsiasi problema di salute, ci rivolgiamo al
medico. Con il medico parliamo dell’alimentazione del bambino piccolo. Infatti,
la condizione per essere ammessi al dispensario è avere un bambino piccolo, tra
0 e 6 anni. Poi diamo un aiuto fino a che la famiglia non è in grado di
assumere tutte le sue responsabilità. Le famiglie vengono
accolte da un gruppo di volontari che sono ogni giorno 5 o 6. Vogliamo essere
nel seno della Chiesa accoglienza e quindi vogliamo dire a queste persone:
“Siamo i vostri fratelli. Voi per il momento avete bisogno. Domani aiuterete
gli altri”. Capita pure che ‘ex assistiti’ vengono, si presentano da noi, e vogliono dare una mano,
facendo volontariato a turno.
D. – Attualmente in quante persone siete impegnate in
questo ‘dispensario’?
R. – A tempo fisso ci sono io. Ma ci sono poi 45
volontari. Tra questi ci sono dieci medici che si danno il turno e si mettono a
disposizione della gente. Oltre alla distribuzione delle cure mediche e dei
medicinali che facciamo in collaborazione con la farmacia vaticana, diamo
viveri di prima necessità, soprattutto per i bambini piccoli, ma anche per i
grandi. Non perché fuori non esistano questi centri, ma vogliamo evitare il
peregrinare da un centro ad un altro. Siamo in grado di prenderci cura di tutte
le famiglie e un po’ di tutti i bisogni, perché vogliamo evitare che la
famiglia dica: “Qui vado a prendere la pasta. Lì vado per i pannolini. Là vado
per altro…”. Vogliamo camminare con loro, con dignità ed evitare questa
mendicità in tutti gli angoli.
D. – Dove attingete i fondi necessari per l’attività del
‘dispensario?
R. – Il dispensario vive solo di opere di beneficenza. Certo, una forte spinta ce la dà il Vaticano, la Santa Sede.
Poi ci sono altri enti. Il dispensario è nato per iniziativa di una donna
americana che assieme a Papa Benedetto XV dette inizio
a questo dispensario. Poi il dispensario è stato aperto e benedetto da Papa Pio
XI, perché durante la sua costruzione Papa Benedetto XV è morto. Questa
organizzazione di donne americane ci aiuta tuttora per una piccola parte. Ci
sono poi diverse istituzioni italiane ed anche straniere, svizzere, che aiutano
e poi benefattori privati.
D. –
Quale significato riveste la visita del Santo Padre domani e come vi siete
preparati ad accoglierlo? Gli offrirete anche dei doni?
R. –
Per noi è una grandissima gioia, perché è come una piccola ricompensa per
questi volontari che sono qui da 10, 15 anni. Abbiamo un grande gruppo di
giovani, per tutto l’anno. Anche d’estate, quando fa caldo, invece di andare al
mare, vengono uno o due pomeriggi - due giorni a settimana - secondo le loro
possibilità, per questa opera. Penso che per noi sia una grande ricompensa e
anche per questi volontari, ma desideriamo pure che il Papa venga a benedire
quest’opera che è stata iniziata da Papa Benedetto XV. Per noi è un segno di
continuità per l’opera e ci aiuta ad andare nel senso della Chiesa, che è molto
importante. Abbiamo anche un ginecologo e conosciamo molti bambini prima della
nascita. E alle mamme che vengono con tante difficoltà non diamo soltanto
consigli o direttive della Chiesa, ma possiamo offrire anche un aiuto concreto.
E’ molto importante per noi questo incontro. Siamo preparati. E i volontari
assieme alle famiglie hanno stimolato i bambini a fare qualche disegno, per
offrirlo al Papa. Certo, la maggioranza sono piccolini
e non possono fare niente. Ma nel loro cuore, soprattutto i genitori, si sono
preparati molto bene. Come dono offriamo al Papa una ceramica della Sacra
Famiglia, che è il nostro stemma. Dappertutto, ovunque siamo
state – abbiamo fatto diversi spostamenti nella Città del Vaticano – la
prima cosa era mettere questo stemma della Sacra Famiglia sulla porta. E’
sempre stato fin dall’inizio all’entrata del dispensario. Questo sarà il nostro
regalo al Santo Padre.
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PER LA CHIESA, L’ANNO CHE SI CHIUDE E’ SEGNATO
DALLA SUCCESSIONE DI
Benedetto XVI a Giovanni Paolo II sulla cattedra di
Pietro. NE PARLIAMO
CON IL direttore della Sala stampa vaticana, Joaquin Navarro-Valls
L’anno che si sta chiudendo è caratterizzato dalla
successione di Benedetto XVI a Giovanni Paolo II sulla cattedra di Pietro. Un
evento che ha riguardato in particolare la Chiesa cattolica, ma che ha avuto
un’eco eccezionale in tutto il mondo. La morte di Papa Wojtyla
ha coinvolto un numero inestimabile di persone. Tiziana Campisi
ha chiesto al direttore della Sala stampa vaticana, il dott. Joaquín Navarro-Valls quali ricordi
conserva di quei giorni:
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R. – Ricordo con enorme intensità quei giorni, quelle circostanze
che hanno avuto una dimensione straordinaria nell’opinione pubblica in tutto il
mondo. Soprattutto li ricordo come uno di quei momenti in cui si vede quasi
fisicamente agire lo Spirito di Dio. Non erano soltanto le masse, la quantità
di persone in quei giorni che si concentravano qui in Vaticano, in Piazza San
Pietro, ma l’intensità che si vedeva in quelle persone per quanto riguarda la
percezione di vivere un momento veramente religioso. Da questo punto di vista è
stata una cosa straordinaria.
D. - Lei ha potuto osservare da vicino il passaggio dal
264 al 265.mo pontefice della Chiesa cattolica. Alla
luce di questi mesi come può descriverlo e come l’ha vissuto personalmente?
R. – Per me in concreto avere vissuto e seguito ogni
momento di quei giorni ultimi di Giovanni Paolo II è stato qualcosa, come può
immaginare, che mi ha colpito in profondità. E anche nei giorni successivi i
contatti con il decano del Collegio dei cardinali, l’allora cardinale Ratzinger, e poi, come tutti, la sorpresa
di ascoltare quel nome come il Papa che era stato eletto. Naturalmente ho
vissuto tutti quegli eventi con grande commozione personale, che doveva in
qualche modo essere diluita di fronte al lavoro informativo che si doveva fare
da parte di questo ufficio. Forse da un punto di vista personale è stato solo
dopo questi avvenimenti che ho potuto riflettere un po’. In quei giorni
l’intensità del lavoro era tale che non c’era molto spazio e molto tempo per
riflettere su quello che si stava vivendo e che dovevo comunicare.
D. – Che cosa è cambiato con questo nuovo Pontificato?
R. – Mi facevo anch’io questa domanda. Inevitabilmente me
la sono posta diverse volte e me la sono posta particolarmente l’estate scorsa
durante il primo viaggio di Benedetto XVI all’estero, a Colonia. Nella reazione
della gente lì a Colonia, in maggior parte ragazzi e ragazze, avevo la
percezione che si vedeva la teologia del Pontificato, vale a dire che c’era la
percezione della paternità universale di un Papa, c’era la percezione
dell’unità della dottrina cattolica nel tempo, nel passaggio da una persona
all’altra. C’erano molti elementi che parlavano di continuità. Naturalmente
quando si parla di continuità a proposito di Pontificato è una continuità che
dura da 20 secoli, non soltanto con il Papa precedente, ma da venti secoli.
Qualche cosa è cambiato, qualche cosa rimane. Naturalmente ci sono delle
differenze di stile, differenze personali tra Giovanni Paolo II e Benedetto
XVI, forse ci sono e ci saranno anche cambiamenti nelle priorità pastorali.
Ogni Pontefice dipende anche un po’ dal suo tempo, dalle richieste, dai bisogno
spirituali del suo tempo.
D. – Un suo commento sul legame oggi tra il Papa e i
fedeli?
R. – E’ che bisogna riflettere su queste enormi masse di
gente. Deve tener conto che le udienze generali in altri momenti, in altri
anni, in quest’epoca dell’anno si tenevano nell’Aula Paolo VI. Adesso non si
possono fare lì per il numero di persone che vengono all’udienza del mercoledì.
Se poi vediamo il numero delle persone che vengono alla
domenica per la recita dell’Angelus è davvero sorprendente. Quindi riflettere
su questo: è aumentata la sensibilità religiosa? Questa è una domanda che
rimane lì.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina l’Iraq,
ancora segnato da sanguinose violenze. L’ONU respinge l’idea di ripetere, a
motivo di presunti brogli, le elezioni legislative del 15 dicembre.
Servizio vaticano - Una pagina
dedicata alla celebrazione del Natale nelle diocesi italiane.
Una pagina sul cammino della
Chiesa in Asia.
Servizio estero - Ciad-Sudan: nonostante gli sforzi diplomatici l’incubo
della violenza si perpetua sulle sventurate popolazioni del tormentato confine.
Servizio culturale - Un
articolo di Carmine Di Biase dal titolo “L’‘apartheid’ di uno scrittore
cristiano”: ricordo di Mario Pomilio a quindici anni
dalla morte.
Servizio italiano - In primo
piano la nomina di Mario Draghi a nuovo Governatore della Banca d’Italia.
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29 dicembre 2005
APRIAMO UNA SERIE DI APPROFONDIMENTI SUL 2005
CON
UNO SPECIALE DEDICATO ALL’AREA MEDIORIENTALE
- Con
noi, Antonio Ferrari -
In questi giorni cerchiamo di tracciare un bilancio di ciò
che è avvenuto nel 2005 nel mondo. Cominciamo da un’analisi della regione
mediorientale. L’anno appena
trascorso è stato molto importante per l’intera regione, dove lentamente gli
equilibri geopolitici si stanno modificando. Ad
iniziare dal fronte israelo-palestinese, dove il
disimpegno dalla Striscia di Gaza, deciso da Sharon, ha certamente segnato un
nuovo percorso. Lo conferma, al microfono di Salvatore Sabatino, Antonio Ferrari inviato speciale del Corriere della Sera:
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R. – Ha
segnato un nuovo percorso con uno sviluppo e una complicazione. Lo sviluppo è
il terremoto politico che c’è stato in Israele con l’uscita di Sharon dal
partito di destra Likud, la creazione di una formazione di centro, la
possibilità di rivincere per la terza volta consecutiva le elezioni. E poi la
rivoluzione all’interno del partito laburista, con consecutivo pensionamento
dei vecchi e l’arrivo al potere di un personaggio assolutamente nuovo, di sinistra,
per un partito di sinistra. Dall’altra parte, invece, c’è un’incognita legata
ad una malattia, legata al leggero ictus che ha colpito Sharon, alla necessità
per Sharon di sottoporsi ad un intervento e quindi alla possibilità che tutto
questo possa avere un impatto sulla società
israeliana: “Sharon l’invincibile, Sharon il duro”, l’uomo della sicurezza, che
dimostra la sua fragilità umana.
D. – C’è da segnalare inoltre un processo di
democratizzazione politica sul fronte palestinese. Tra un po’ ci saranno le
elezioni …
R. – Sì, con il rischio che però la situazione sfugga al
controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Mi riferisco all’avanzata
veramente considerevole degli integralisti di Hamas e
alla perdita, in fondo, di nerbo da parte dell’Autorità palestinese con il
rischio per Mahmud Abbas di
non poter e non sapere controllare la situazione.
D. – Se da una parte c’è stato un primo passo verso la
distensione, nel vicino Libano, però, la tensione
resta alta, nonostante il ritiro delle truppe siriane: prima l’uccisione di Hariri, poi altri omicidi eccellenti. Gli sguardi della
comunità internazionale sono tutti puntati a questo punto su Damasco …
R. – Assolutamente sì. Bisognerà capire, e forse le
prossime settimane ci potranno dire qualcosa di più concreto dei timidi segnali
che abbiamo colto sinora, se ci sia la possibilità
davvero di un riassestamento del regime siriano. Bisognerà capire se il
presidente Bashar el Assad compirà un passo decisivo verso le riforme,
quindi verso la pulizia non soltanto all’interno delle istituzioni, ma forse
all’interno della sua stessa famiglia alawita, la minoranza di cui Bashar fa parte, che guida il Paese. Sino a quando non si
arriverà a questo chiarimento, credo che vi saranno degli effetti a cascata. Ed
il Libano, che la Siria considera quasi un protettorato, è chiaro che può
continuare ad essere il terreno dove queste tensioni sfociano, magari in fatti
di sangue terribili come quelli recenti.
D. – La
situazione resta complessa anche in Iran, dove è andato al potere – lo ricordiamo
– l’ultraconservatore Ahmadinejad. Le sue minacce su Israele e la questione
nucleare certamente stanno continuando ad attirare l’attenzione
dei media internazionali su questo Paese…
R. – Assolutamente sì, e questa è un’altra grandissima
incognita. E’ chiaro che gli Stati Uniti non è che possano fare più di tanto,
cioè alzare la voce o anche minacciare. L’Iran non è l’Iraq e questo
scatenerebbe tutta una serie di reazioni che forse neanche la grande potenza
sarebbe in grado di poter controllare e gestire. Quello che è successo in Iran
purtroppo è anche colpa, è anche responsabilità, dell’Occidente. Se si fosse
capito alla vigilia delle ultime elezioni che il rischio maggiore era appunto
che questo conservatore, anche, a quanto pare, a
quanto si dice, abbastanza ignorante, e se si vuole addirittura naif, che usa
un linguaggio del passato oggi assolutamente insopportabile, stava per vincere
le elezioni con una minoranza – perché è una minoranza che lo ha votato –
allora, forse la comunità occidentale
avrebbe dovuto fare di più per sostenere l’alternativa Ahmadinejad, cioè
quel vecchio volpone di Rasfanjani che sicuramente non sarà un moderato come lo è
stato il presidente Katami, ma comunque sarebbe stato
sicuramente meglio del presidente attuale.
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ALLA SCOPERTA DELLE RADICI
CRISTIANE DELL’EUROPA
IL MEDIO EVO, EPOCA DI CRESCITA CULTURALE E DI
INCONTRO TRA CRISTIANI
E MUSULMANI:
CON NOI, LO STORICO MEDIEVALISTA, FRANCO CARDINI
- Intervista con il prof. Franco
Cardini -
Terzo appuntamento con la rubrica dedicata alla scoperta
delle radici cristiane dell’Europa. Ci chiediamo come si possa credere che
un’epoca contrassegnata dall’ignoranza abbia dato frutti come le cattedrali e
le università, opere letterarie come la Divina Commedia e teologiche
come la Summa di San Tommaso. Eppure troppo spesso ancora si sente
ripetere che i secoli del Medio Evo siano stati aridi sotto il profilo culturale.
In realtà, l’epoca medievale presenta una straordinaria vitalità in ogni ambito
del sapere e fu testimone di un proficuo incontro tra popoli e culture diverse.
Tra Cristianesimo e Islam, per esempio, non fu solo scontro nel Medio Evo: le
due civiltà dialogarono sempre, anche quando, come durante le Crociate, si
affrontarono militarmente. Sulla cultura e il dialogo interreligioso nel
Medioevo, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Franco Cardini,
medievalista dell’Università di Firenze:
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R. – Noi siamo abituati a pensare all’analfabetismo come
ad una categoria dell’ignoranza. Nel mondo medievale non è così. Da una parte,
la cultura della scrittura è legata ad un ceto preciso di persone, che
tecnicamente si sanno servire di questo strumento. Però, dall’altra, e non solo
ai livelli più bassi, più popolari, c’è un analfabetismo che non è affatto
sinonimo di ignoranza, perché è corretto da una grande capacità di usare la
cultura orale. E’ corretto da una grande capacità di far parte cosciente, consapevole
dico, di una sorta di memoria collettiva.
D. – C’è un pregiudizio anticristiano in questa etichetta
di ignoranza affibbiata al Medioevo?
R. – Noi colleghiamo il concetto di ignoranza medievale
molto spesso alla devozione, alla cultura religiosa. Facendo questo noi tributiamo
un’indebita fiducia ad una critica molto superficiale dei soliti illuministi, i
quali concepivano sempre e comunque la fede come una funzione dell’ignoranza.
L’ignoranza genera la credulità, la credulità genera evidentemente la
superstizione e il fanatismo, ma non è affatto così. In realtà, dietro quella che nel mondo illuministico si definiva la
superstizione, c’è una somma di valori, di conoscenze radicate nelle tradizioni
popolari, radicate nella conoscenza della liturgia, un grande e profondo ed
estensivo uso della memoria, che rende abbastanza ridicolo parlare dell’età
medievale come di un tempo di mancanza di cultura. Chiunque si affacci, dico la
prima cosa che mi viene in mente, alla Chanson
de Roland, a queste migliaia e migliaia di versi,
chiunque si affacci davanti a questo panorama, scopre una cultura diffusa di un
grandissimo valore.
D. – Le Crociate sono nell’immaginario collettivo il
fenomeno più forte, più significativo del Medioevo. Anche qui gli stereotipi
non mancano…
R. – Le Crociate, nel loro vivo contesto storico, sono
state episodi senza dubbio di guerra, ma sempre molto limitata, nel tempo e
negli effetti propriamente militari. Guerre anche sanguinose, sì, ma nelle
quali in fondo gli episodi di violenza scatenata sono pochi. Noi viviamo le
Crociate come se fossero state guerre missionarie. Bisogna tener presente che
la Crociata non è mai stata vissuta come una guerra di religione da chi accettava
di fare il voto di Crociata. Non si facevano le Crociate per convertire i
musulmani. Si facevano semmai per rivendicare alla cristianità la sovranità su
certe aree, come appunto la Terra Santa. Ma l’elemento missionario che si è, in
certi momenti storici, accompagnato e collegato con la Crociata non è
estrinseco alla Crociata. La Crociata non è una guerra di religione. Noi
europei ci siamo scannati fra cristiani, non bisogna mai dimenticarlo, per un
lungo periodo: dall’inizio della Riforma fino alla pace di Westfalia.
Mai nulla di questo è successo nei confronti del mondo islamico!
D. – Le Crociate, dunque, non impedirono i contatti fra
cristiani e musulmani?
R. – Fortissimo era il rapporto economico fra il mondo
europeo ed il mondo islamico, uno scambio continuo che poi ha fatto sì che
l’Europa si arricchisse proprio nei secoli stessi delle Crociate. Sono stati
anche i grandi secoli della prosperità mediterranea. Si deve desumere che,
evidentemente, la Crociata è stata soltanto l’epifenomeno militare di un rapporto
economico, ma anche diplomatico, anche culturale strettissimo, in cui cristiani
e musulmani ed ebrei hanno interagito fra loro. Ebrei, cristiani e musulmani
vivono insieme, lavorano insieme. L’Islam ci passa la geografia, la matematica,
ci passa la musica, ci passa la chimica, quelle scienze nuove che poi hanno
dato vita alla stessa modernità. Sono tutti prodotti del contatto diretto fra
Cristianesimo e Islam in tempi in cui cristiani e musulmani periodicamente si davano
anche a conflitti di una certa entità fra loro.
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29 dicembre 2005
AL
DUOMO DI MILANO SARA’ UN PRIMO GENNAIO ALL’INSEGNA DELL’ECUMENISMO:
NELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, IL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI
CELEBRERA’
UNA SANTA MESSA CON LA PARTECIPAZIONE
DEI RESPONSABILI DELLE ALTRE CHIESE CRISTIANE
MILANO.= Nell’arcidiocesi di Milano, il primo gennaio verrà festeggiato all’insegna dell’ecumenismo: in occasione
della 39.ma Giornata
Mondiale per la Pace, infatti, l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, celebrerà una Santa Messa in Duomo alle 17.30
con la partecipazione dei responsabili delle altre Chiese cristiane di Milano.
Dopo la celebrazione, il porporato li incontrerà nella sua abitazione in
arcivescovado. L’invito, informa l’agenzia SIR, è esteso ai ministri delle
diverse confessioni e alle delegazioni che compongono il Consiglio delle Chiese
cristiane di Milano. Nato nel 1998, il Consiglio abbraccia oggi 17 chiese
cristiane e alla sua presidenza si sono avvicendati esponenti delle diverse
aree confessionali. Gli auguri rivolti dal cardinale Dionigi Tettamanzi ai responsabili delle altre Chiese cristiane di
Milano sono espressi, come di consueto, il primo dell’anno, data significativa
per dare inizio – spiegano i promotori - “nel segno della fraternità e
dell’amicizia, a un anno di pace e al mese
caratterizzato dagli importanti appuntamenti della settimana ecumenica in
programma dal 18 al 25 gennaio 2006”. La Settimana avrà, quest’anno, per tema il testo di Matteo 18,20: “Se due o tre si riuniscono per
invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro”. Per la città, il Consiglio
delle Chiese cristiane di Milano ha predisposto un programma che prevede, tra
le varie iniziative, una celebrazione di apertura nella Basilica di
Sant’Ambrogio (il 18 gennaio) una veglia ecumenica dei giovani nella chiesa
metodista (il 20 gennaio) e, infine, (il 21 gennaio) una tavola rotonda
all’Istituto Leone XIII. (A.G.)
TROPPO
SPESSO I DIRITTI FONDAMENTALI DEI LAVORATORI SONO CALPESTATI
IN
NOME DEL PROFITTO E A SOFFRIRNE SONO SOPRATTUTTO LE FAMIGLIE:
SEVERA
DENUNCIA DEI VESCOVI POLACCHI IN UNA LETTERA PASTORALE
PER LA
FESTA, DOMANI, DELLA SACRA FAMIGLIA
VARSAVIA. = In Polonia i diritti fondamentali dei
lavoratori sono troppo spesso calpestati in nome del profitto e la principale
vittima di questa situazione è la famiglia. E’ la forte
denuncia contenuta in una lettera pastorale pubblicata dai vescovi
polacchi per la Festa della Sacra Famiglia, il 30 dicembre. “La politica statale
– affermano i presuli nella lettera - non ha sostenuto e difeso i diritti della
famiglia come avrebbe dovuto e ha invece favorito il loro sfruttamento da parte
dei datori di lavoro. I lavoratori – aggiungono – non possono essere trattati
come mera forza lavoro”. Essi sono infatti “madri e
padri, mogli e mariti cui va garantito il fondamentale diritto alla famiglia e
ad una vita coniugale”. Troppo spesso invece i “datori di lavoro chiedono a
giovani donne sposate di rinunciare ad avere bambini e impongono una discrezionalità
che nega di fatto ai dipendenti qualsiasi vita
privata”. “L’insegnamento sociale della Chiesa – ricordano quindi i vescovi – ha sempre
evidenziato che, mettendo al mondo ed educando i figli in un clima di amore, la
famiglia aiuta la società a costruire il suo futuro. Questo – rimarcano – non
può essere dimenticato proprio qui in Polonia, dove per generazioni la famiglia
ha dovuto fare le veci dello Stato e assumersi la responsabilità della sopravvivenza
e del futuro della Nazione”. La denuncia dell’episcopato polacco non è nuova. A
più riprese in questi ultimi anni diversi esponenti ecclesiastici hanno
denunciato il deterioramento delle condizioni dei lavoratori del Paese,
condizioni che non sono migliorate con il suo ingresso nell’Unione Europea. Non
poche aziende occidentali hanno infatti delocalizzato le loro strutture in Polonia proprio per
aggirare le più severe normative dei propri Paesi. (L.Z.)
SI
AGGRAVA LA SITUAZIONE DI SICCITA’ E CARESTIA IN ALCUNE REGIONI DEL KENYA,
TANTO
CHE ALCUNI PARLAMENTARI HANNO CHIESTO AL PRESIDENTE
DEL
PAESE AFRICANO DI DICHIARARE LO STATO DI ‘DISASTRO NAZIONALE’
E DI
RIAPRIRE IL PARLAMENTO PER FRONTEGGIARE LA SITUAZIONE
NAIROBI. = Un gruppo di parlamentari kenyoti,
di diversi schieramenti politici, ha chiesto al presidente Mwai
Kibaki di dichiarare lo stato di “disastro
nazionale”, a seguito della siccità e carestia, che hanno colpito soprattutto
le zone nord orientali del Paese, dove almeno 30 persone sarebbero già morte
per denutrizione e disidratazione. Lo riferisce oggi l’agenzia MISNA,
riportando la notizia apparsa sul principale quotidiano del Paese, il “Daily Nation”. L’iniziativa dei
deputati è volta a liberare una serie di aiuti internazionali assolutamente
necessari per fare fronte all’emergenza. Alcuni deputati hanno chiesto al
governo anche la riapertura straordinaria del Parlamento (che secondo l’agenda
dovrebbe riaprire i lavori non prima di marzo) per
discutere dell’utilizzo eccezionale di fondi destinati ad altre finalità e
vagliare leggi apposite con cui facilitare il compito di chi è impegnato in
operazioni di soccorso. Nei giorni scorsi il presidente kenyota
ha lanciato un appello alla comunità internazionale per la raccolta urgente di
100 milioni di dollari necessari per finanziare l’acquisto di aiuti destinati
alle quasi 2 milioni e 500.000 persone interessate dall’emergenza siccità. La
gravità della situazione è confermata dalle poche organizzazioni umanitarie e
sanitarie presenti nella zona, secondo cui i problemi di denutrizione e disidratazione
interesserebbero ormai ben 22 distretti del nord del Paese alle frontiere con
Etiopia e Somalia. (R.G.)
“I NOSTRI BAMBINI, LA NOSTRA CHIESA”: E’ IL TITOLO DEL
SUSSIDIO CHE DETTA
LE NUOVE DIRETTIVE PER LA PROTEZIONE DEI MINORI, MESSO A PUNTO DAI VESCOVI IRLANDESI PER “EVITARE
CHE I DOLOROSI ERRORI DEL PASSATO SI RIPETANO”,
HA SPIEGATO IL PRIMATE, MONS.
SEAN BRADY, RIFERENDOSI AI CASI
DI
ABUSI SESSUALI IMPUTATI AD ESPONENTI DEL CLERO
DUBLINO. = Fare in modo che la Chiesa in Irlanda sia un
luogo “veramente sicuro per i bambini” ed “evitare che i dolorosi errori del
passato si ripetano”. Con queste parole mons. Sean Brady, arcivescovo di Armagh e
Primate d'Irlanda, ha presentato nei giorni scorsi a Dublino le nuove direttive
dei vescovi irlandesi per la protezione dei minori. Il documento “Our Children, Our Church”
(“I nostri bambini, la nostra Chiesa”) è stato preparato dalla Conferenza
episcopale in collaborazione con la Conferenza dei religiosi d’Irlanda e con
l’Unione Missionaria irlandese. Il sussidio esce a poche settimane dalle nuovi vivaci polemiche scatenate dalla pubblicazione
del rapporto governativo sugli abusi commessi da esponenti del clero nella
diocesi di Ferns. Le nuove direttive, ha spiegato
mons. Brady, si propongono appunto di sopperire alle
carenze delle precedenti misure in materia adottate dall’episcopato nel 1996 e
rivelatesi inadeguate, come purtroppo confermato anche dal caso della diocesi
di Ferns. Il documento prevede, tra l’altro, un
codice di condotta per gli
esponenti del clero che lavorano con minori e procedure più
severe per l’accertamento di casi sospetti di pedofilia in seno alla Chiesa. E’
inoltre prevista l’istituzione di un Ufficio nazionale per la protezione dei
bambini, composto da genitori ed esperti di infanzia,
psicologi, giuristi ed educatori. Le direttive sono state accolte positivamente
dal ministro irlandese per l’Infanzia, Brian Lenihan,
e dalla Società irlandese per la prevenzione della crudeltà verso i bambini
(ISPCC). Critiche restano invece le associazioni delle vittime di abusi, che
non registrano sostanziali modifiche rispetto alle precedenti misure adottate
dai vescovi. (L.Z.)
SODDISFAZIONE
PER LA MESSA IN ORBITA IERI DI “GIOVE-A”,
IL
PRIMO SATELLITE DEI 30 DEL SISTEMA EUROPEO DI NAVIGAZIONE “GALILEO”,
REALIZZATO
E GESTITO IN AMBITO CIVILE, CHE PERMETTERA’ IL CONTROLLO COSTANTE DEI TRASPORTI
AEREI, FERROVIARI, SU STRADA E VIA MARE,
OLTRE
CHE LA SORVEGLIANZA AMBIENTALE
BRUXELLES - Da ieri in orbita con successo “Giove-A”, il
primo satellite del sistema di navigazione “Galileo”, lanciato dalla base kazaka di Baikonur, a bordo del
vettore russo Soyuz. Si tratta del primo passo
importante nella messa in opera del sistema di navigazione satellitare
“Galileo”, in grado di assicurare un controllo preciso e costante per la
sicurezza dei trasporti ferroviari, aerei e via mare e su strada, oltre che per
la sorveglianza ambientale. Si stimano 850 milioni di potenziali utenti ed un
mercato di centinaia di miliardi di euro entro il 2020. “Galileo” è anche il
primo sistema di navigazione satellitare al mondo realizzato e gestito in
ambito civile, congiuntamente dall’Agenzia spaziale europea (ESA) e dall'Unione
Europea. I due sistemi di navigazione satellitare oggi attivi, lo statunitense
GPS e il russo GLONASS, sono stati infatti realizzati
e gestiti entrambi in ambito militare. Tutto è andato come previsto e il
satellite è stato posto nell'orbita definitiva, a 22.250 chilometri dalla
Terra. Con i 30 satelliti di “Galileo”, il cui completamento è previsto nel
2008, l’Europa avrà dunque un proprio sistema di satelliti sempre operativo (R.G.)
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29
dicembre 2005
- A cura di Roberta
Moretti e Antonella Ratti -
Situazione ad alta tensione in
Iraq, dove proseguono le violenze. L’esercito americano ha colpito alcuni
sospetti, nel nord curdo del Paese, mentre a Baghdad
un kamikaze ha fatto numerose vittime. Il nostro servizio:
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E’ di almeno 10 morti il bilancio dell’attacco aereo
americano sferrato questa mattina su un villaggio 50 chilometri a sudovest di Kirkuk. Le vittime sono state colpite
mentre piazzavano bombe lungo una strada. A Baghdad, intanto, un
kamikaze, che indossava una divisa della polizia, si è fatto saltare in aria
davanti a una pattuglia delle forze dell’ordine, uccidendo quattro agenti e
ferendone altri cinque, tra cui un ufficiale. L’attentato è avvenuto vicino a
un ingresso del ministero dell’Interno iracheno. E mentre è ancora forte
l’impatto del video trasmesso ieri dall’emittente araba al Arabiya,
che mostra l’ingegnere francese, Bernard Planche, sequestrato lo scorso 5 dicembre a Baghdad, giunge
l’appello del ministro degli Esteri francese, Philippe
Douste-Blazy, a un rilascio incondizionato. “Non vi è
nulla che giustifichi il fatto di tenere prigioniero Bernard
Planche”, ha sottolineato, rispondendo alle minacce
dei sequestratori di uccidere l’ostaggio se la Francia
non metterà fine alla sua “presenza illegittima” in Iraq. Intanto, non si arrestano
le tensioni politiche e sociali nel Paese. L’aumento del prezzo del petrolio ha
fatto scendere in piazza migliaia di persone. E a preoccupare maggiormente è la
protesta sunnita contro i risultati elettorali a
favore del gruppo sciita del 15 dicembre scorso, che ieri, dopo Baghdad e Tikrit ha toccato anche la città di Samarra.
E proprio in questo momento, nella capitale, le forze USA e la polizia irachena
stanno cercando di porre fine all’ennesima insurrezione.
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In
Medio Oriente, un attentato suicida è stato sferrato stamani da uno o due kamikaze
all’altezza di un posto di blocco dell’esercito israeliano vicino
a Tulkarem, in Cisgiordania. Un soldato
israeliano e 3 palestinesi sono rimasti uccisi nell’esplosione. Ce ne parla,
nel servizio, Antonella Ratti:
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L’episodio
appare fortemente legato al rialzarsi della tensione
tra palestinesi e Israele, a seguito della creazione, da parte del governo del
premier israeliano, Ariel Sharon, di una zona di sicurezza all’estremo nord
della striscia di Gaza, interdetta alla popolazione palestinese. Nella notte
sono continuati i bombardamenti dell’artiglieria e dell’aviazione israeliane
nell’area, per impedire gli attacchi dei militanti palestinesi con missili Qassam. Proprio ieri, il segretario generale delle Nazioni
Unite, Kofi Annan, aveva
lanciato un appello a evitare una escalation di
violenza nel territorio. Al governo libanese Annan
aveva chiesto invece di garantire il controllo del proprio territorio,
condannando il lancio di missili sul nord di Israele avvenuto martedì scorso.
Cresce, intanto, l’apprensione per la sorte dei tre operatori umanitari
britannici rapiti ieri a Rafah, nel sud della
Striscia di Gaza. Secondo quanto riferito dalle forze di sicurezza
dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), i rapitori apparterrebbero a un gruppo
armato vicino ad al-Fatah. Finora non c’è stata alcuna
rivendicazione, ma la polizia dell’ANP fa sapere che sono in
corso trattative per la liberazione degli ostaggi.
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Attentato suicida
anche in Afghanistan, dove 2 kamikaze si sono fatte esplodere nella città di Spin Boldak, al confine con il
Pakistan. La deflagrazione, avvenuta nei pressi del più grande supermercato
locale, non ha provocato vittime, né feriti.
Grande paura stamani in Russia. Un uomo si è
fatto saltare in aria nel centro di Makhackalà,
capitale della regione musulmana del Daghestan, al
confine con la Cecenia, fortunatamente senza causare
vittime. Non è ancora chiaro se l’attentato suicida sia legato alla cerimonia
di commemorazione per il figlio del viceministro
degli Interni e capitano dei servizi segreti, Gazim Agomedov, ucciso nella notte di mercoledì scorso. Il Daghestan, nel Caucaso settentrionale,
sconta ancora oggi la violenza seguita al conflitto che ha opposto per circa 11
anni la vicina Cecenia al governo centrale di Mosca.
È ormai vicina la scadenza dell’ultimatum lanciato dal
gigante economico russo, Gazprom, all’Ucraina. Kiev, entro le 10 ora locale di domenica prossima, dovrebbe
accettare di pagare il gas russo ad una tariffa quattro volte
più alta di quella attuale. Il primo ministro ucraino, Yuriy Yekhanurov, ha denunciato ieri
la proposta della controparte russa come “inaccettabile”. Proseguono intanto i
negoziati tra la compagnia monopolista russa e il ministro dell’Energia
ucraino, Ivan Plachkov.
E’ dunque Mario
Draghi il nuovo Governatore della Banca d’Italia. In
mattinata era giunto il parere favorevole del Consiglio Superiore dell’istituto
di Palazzo Koch. Poco fa la designazione da parte del
Consiglio dei ministri. L’ultimo atto sarà il decreto di nomina da parte del
Capo dello Stato. Servizio di Giampiero Guadagni.
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58
anni, romano, per dieci anni direttore generale del Tesoro, attualmente
vicepresidente di un’importante banca d’affari internazionale, Mario Draghi è
dunque il nuovo Governatore della Banca d’Italia. Considerato il regista delle
grandi privatizzazioni italiane degli anni ’90, Draghi, nome gradito ad
entrambi i poli, ha vinto la concorrenza di Vincenzo Desario,
attuale reggente dell’istituto di Palazzo Koch; e di
Tommaso Padoa Schioppa, ex
dirigente della Banca centrale europea. Nei giorni scorsi era emersa anche la
candidatura dell’ex commissario europeo Mario Monti, che però si era autoescluso con una lettera al premier Berlusconi.
Draghi viene nominato con le nuove regole introdotte
dalla legge di tutela del risparmio appena approvata e pubblicata oggi sulla
Gazzetta Ufficiale. Le nuove regole cambiano la procedura di nomina del
governatore: che è perfezionata con decreto del presidente della repubblica,
dopo la designazione del Governo su parere del Consiglio superiore di Bankitalia. Draghi sarà il primo governatore con un mandato
a termine di 6 anni rinnovabile una sola volta. La riforma di Bankitalia è completata con l’attribuzione all’autorità
Antitrust di gran parte delle competenze sulla vigilanza della concorrenza bancaria.
Mario Draghi prende il posto di Antonio Fazio, governatore per 13 anni,
dimessosi perché indagato nell’ambito dell’inchiesta milanese sulla scalata
alla banca Antonveneta. Tra gli indagati anche il presidente
del gruppo assicurativo Unipol Giovanni Consorte, che
ieri a sua volta ha annunciato le proprie dimissioni.
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Dopo una lunga serie di dinieghi e di irrigidimenti sul
proprio controverso programma nucleare, l’Iran ha manifestato ieri una prima
apertura, annunciando la disponibilità a valutare un’offerta di compromesso
formulata dalla Russia, con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
La proposta di Mosca prevede che le attività iraniane di arricchimento
dell’uranio, invece di essere espletate in patria, siano svolte appunto sul
territorio russo e, quindi, inevitabilmente sottoposte a un certo grado di
controllo esterno.
E’ di almeno 30 morti e decine di dispersi il grave
bilancio delle frane che si sono abbattute ieri sera sul villaggio yemenita di al Dhofair, nei pressi della
capitale, Sana’a. Lo hanno riferito oggi funzionari
locali. La polizia ha circondato la zona e sta cercando sopravvissuti.
Sequestrato nello Yemen l’ex
sottosegretario agli Esteri dell’ultimo governo tedesco, Juergen
Chrobog. Con lui sono stati rapiti anche la moglie e
i tre figli. L’uomo, in pensione da qualche settimana dopo una lunga carriera
diplomatica, era in vacanza con la famiglia nel Paese asiatico. Secondo
l’Agenzia di stampa tedesca, DPA, i cinque sarebbero stati rapiti insieme
all’autista yemenita con cui viaggiavano. Il rapimento sarebbe stato messo in
atto da esponenti di un clan tribale per ottenere la liberazione di cinque congiunti
imprigionati nel carcere di Aden.
Nella
Repubblica Democratica del Congo, violenti scontri
nella regione orientale del Nord Kivu hanno provocato
lo sfollamento di circa 11 mila persone. Nella zona è in atto da giorni una
vasta offensiva dell’esercito congolese, affiancato da 600 caschi blu dell’ONU,
contro i ribelli dell’Alleanza delle Forze Democratiche, che controllano
l’area. L’operazione ha causato finora una quarantina di morti, tra i quali
alcuni soldati ed un casco blu. Una azione analoga è
in corso anche nella vicina regione dell’Ituri.
Con una cerimonia ufficiale, oggi è stato
celebrato il completamento del ritiro delle truppe indonesiane da Aceh, nel nord dell’isola di Sumatra.
Si tratta dell’ultimo tassello dello storico accordo di pace
siglato tra il governo indonesiano e i guerriglieri separatisti lo
scorso agosto a Helsinki, per porre fine a quasi 30 anni di guerra civile,
costata la vita a più di 15 mila civili. I ribelli, che hanno deposto le armi
nei giorni scorsi, hanno rinunciato all’indipendenza in cambio dell’istituzione
di un governo locale ad Aceh.
Rinvio a giudizio e concessione della libertà provvisoria
su cauzione: sono i provvedimenti presi ieri dal giudice di Santiago del Cile,
Victor Montiglio, nei confronti dell’ex dittatore,
Augusto Pinochet, che deve rispondere dei crimini perpetrati
con l’Operazione Colombo, durante la dittatura militare. Il magistrato, la cui
decisione deve essere confermata dalla Corte d'Appello, ha fissato la cauzione
in 24 milioni di pesos, pari a circa 40 milioni di euro.
Almeno 5 persone sono morte e oltre un centinaio di
abitazioni sono state danneggiate da una serie di incendi che sono divampati in
questi giorni in una vasta area negli stati USA di Oklahoma e Texas. Lo
riferiscono fonti ospedaliere. I roghi, alimentati dal vento e dalle alte
temperature, inconsuete per la stagione, probabilmente si sono sviluppati per
l’incendio di depositi della spazzatura, anche se non si esclude l’origine
dolosa. Il governatore del Texas, Rick Perry, ha dichiarato lo stato di calamità.
Sono false le ricerche dello scienziato sudcoreano, Hwang Woo-suk, sull’estrazione di cellule staminali a partire da
un embrione umano ottenuto con la clonazione, presentate quest’anno su “Science”. Lo ha confermato oggi il verdetto definitivo di
una commissione d’inchiesta ufficiale. “Hwang e la
sua équipe – ha detto la Commissione dell’Università Nazionale di Seul
incaricata – non hanno alcun dato scientifico per provare che essi hanno
davvero prodotto cellule staminali che corrispondono specificamente al DNA di
una persona”.
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