RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
268 - Testo della trasmissione di venerdì 24 settembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
L’emergenza dei profughi del
Darfur in Ciad: ai nostri microfoni Donatella Massai
In corso a Lille le
Settimane Sociali di Francia: con noi Paolo Bustaffa e Michel Camdessus
CHIESA E SOCIETA’:
Ancora
grave la situazione nel nord Uganda,
anche se ci sono segnali di miglioramento
Pubblicato il comunicato finale del
Convegno ecumenico sulla spiritualità ortodossa a Bose
Al via oggi a Vienna l’incontro europeo dei delegati nazionali
della pastorale universitaria
Altro passo verso la pace in
Sierra Leone
Riconfermata
Madre Brambilla alla guida delle suore missionarie comboniane
Sono ore di
angosciante attesa per la sorte di Simona Pari e di Simona Torretta. Il governo
italiano sta valutando l’attendibilità dei due comunicati che hanno annunciato
la loro morte. A Baghdad rapiti due ingegneri egiziani con modalità simili al
sequestro delle due italiane.
24
settembre 2004
L’ESORTAZIONE
DEL PAPA AI MISSIONARI OBLATI DI MARIA IMMACOLATA:
SIATE GERMOGLI DI SOLIDARIETA’ E SPERANZA TRA I
POVERI,
I SECOLARIZZATI E CHI NON CONOSCE IL VANGELO
- Servizio di Alessandro De Carolis -
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Apostoli e testimoni di speranza,
uniti nella fraternità e solidali con i popoli più diversi incontrati lungo il
cammino di missione, sia con coloro che non conoscono ancora Cristo, sia con
l’umanità secolarizzata. E’ il mandato che Giovanni Paolo II ha affidato ai
Missionari Oblati di Maria Immacolata, ricevuti oggi nel cortile del Palazzo
apostolico di Castel Gandolfo, in occasione del Capitolo generale della
Congregazione, fondata da Sant’Eugenio de Mazenod.
Mille comunità
in 67 Paesi del mondo: nel ricordare le dimensioni raggiunte oggi dalla
Congregazione oblata, il Papa ha messo in risalto la “sfida impegnativa” che
comporta la presenza missionaria “sia in ambienti secolarizzati”, ha detto,
“sia in contesti di primo annuncio”: la chiamata “a percorrere la via della
solidarietà nella diversità”. La vostra presenza, “animata da autentico fervore
religioso e missionario, deve essere – ha sottolineato il Pontefice ai padri
capitolari - segno e seme di speranza”. Fondamentale, per questo, “la rinnovata
unione fraterna”, che il Capitolo generale degli Oblati di Maria Immacolata ha
messo tra gli obiettivi per i prossimi anni. “Apprezzo inoltre – ha aggiunto il
Papa - la vostra riflessione sui profondi cambiamenti che stanno segnando la
Congregazione, il cui centro di gravità si va spostando verso le zone più
povere del mondo. Questo fatto assai significativo vi conduce ad aggiornare la
formazione, la distribuzione delle persone, le forme di governo e di comunione
dei beni”.
“Tutti vi
ringrazio per l’affetto che dimostrate al Successore di Pietro e che ricambio
cordialmente, a motivo anche della devozione che nutro nei confronti del vostro
fondatore, Sant’Eugenio de Mazenod, come pure della stima per la vostra
Congregazione, al tempo stesso mariana e missionaria”.
Il Pontefice ha infine
rammentato ai religiosi Oblati alcune delle “esigenze prioritarie” per lo
svolgimento del loro ministero: la “cura permanente” della vita spirituale e
una “rinnovata fedeltà al carisma originario”, che permette allo Spirito di
Dio, ha concluso, di ispirare alle famiglie religiose le risposte adeguate
“alle nuove domande, attingendo allo specifico dono loro affidato”.
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I
PRINCIPI DEL VANGELO CHE PLASMARONO L’EUROPA,
UN PROGRAMMA D’AZIONE DA TRASMETTERE ALLE FUTURE
GENERAZIONI
DEL CONTINENTE: COSI’ IL PAPA IN UN MESSAGGIO
PER IL SECONDO CONGRESSO DI CULTURA CRISTIANA,
IN PROGRAMMA ALL’UNIVERSITA’ DI LUBLINO
- A cura di Alessandro De Carolis -
Una “riflessione sulla presenza
del cristianesimo nella costruzione della comunità europea di valori”. E’ la
definizione che Giovanni Paolo II dà del secondo Congresso di cultura
cristiana, che si svolge all’Università di Lublino, in Polonia, da oggi a
domenica prossima. In un messaggio all’arcivescovo della città polacca, Józef
Zycinski, il Papa – che fu insegnante nel medesimo ateneo - richiama il legame
ininterrotto tra la cultura e il cristianesimo nella storia delle nazioni
europee e ribadisce la necessità di testimoniare la speranza cristiana: essa,
afferma, aiuterà ogni abitante europeo a resistere di fronte a delusioni e a
tentazioni di disperazione, mentre sempre più spesso si sperimentano casi di
sottomissione della dignità di persona umana alle leggi del mercato. “I
principi del Vangelo, che per secoli hanno plasmato letteratura e arte,
riflessione e cultura d’Europa - scrive il Pontefice - anche oggi tracciano un
programma d’azione che desideriamo trasmettere alle future generazioni”.
Il Congresso è stato inaugurato
con il conferimento di lauree ad honorem al compositore Mikolaj Górecki
e al regista Krzysztof Zanussi. La prima relazione sull’“homo sovieticus” di
fronte alla cultura del liberalismo è stata di mons. Tadeusz Kondrusiewicz,
arcivescovo di Mosca. Fra i relatori, figurano anche l’ambasciatrice polacca
presso la Santa Sede, Hanna Suchocka, l’ex primo ministro polacco, Jerzy Buzek,
l’ex ministro degli Esteri, Wladyslaw Bartoszewski - noto promotore del dialogo
fra polacchi, ebrei e tedeschi - il regista Andrzej Wajda, lo storico inglese
dell’Europa centro-orientale, Norman Davies, la norvegese Janne Haaland
Matlary, professore di Scienze sociali all’Università di Oslo e membro del
Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che nel 2001 ha presieduto la
delegazione della Santa Sede alla conferenza di Yokohama sugli abusi sessuali
contro i bambini. Il primo Congresso di Cultura cristiana si era svolto sempre
a Lublino nel 2000.
ALTRE
UDIENZE
Il Papa oggi ha ricevuto a
Castel Gandolfo in successive udienze il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, e alcuni presuli della Conferenza
Episcopale della Colombia, in visita “ad Limina”.
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Il mondo in ostaggio” è il
titolo di apertura della prima pagina in riferimento alla drammatica situazione
in Iraq che vede molte persone ancora nelle mani dei terroristi.
“La vostra presenza nel mondo dev’essere segno e seme di speranza” è il
messaggio rivolto da Giovanni Paolo II ai partecipanti al Capitolo Generale dei
Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Nelle pagine vaticane, ampio
spazio al cammino della Chiesa in Asia.
Nelle
pagine estere, Haiti: mobilitazione internazionale per fronteggiare l’immane
catastrofe provocata dall’uragano “Jeanne”; Medio Oriente: Powell chiede ad
Arafat di cedere i poteri. Israele si dichiara ancora impegnato per la “road
map”; Unione Europea: il commissario Verheugen considera superate le recenti
tensioni circa l’ingresso della Turchia. Si definiscono i particolari
dell’accordo di libero scambio commerciale con il Mercosur; Somalia: scontri
tra Somaliland e Puntland.
Nella
pagina culturale, un articolo sulla fiction televisiva dedicata a don Bosco e
un “viaggio fotografico” nella storia della comunità di Calitri, in provincia
di Avellino.
Nelle
pagine italiane, il Governo invoca cautela e prudenza sulle notizie inerenti la
sorte delle due italiane rapite in Iraq. A seguire, i temi delle Riforme, della
Finanziaria, dell’Alitalia e della Scuola.
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24 settembre 2004
SI AGGRAVA IL BILANCIO DELL’URAGANO JEANNE AD
HAITI:
1100 I MORTI E OLTRE 1200 I DISPERSI.
PROSEGUONO FRENETICI I SOCCORSI UMANITARI
- Intervista con Joanny De Matteis -
Si dirige minaccioso verso il sud degli Stati Uniti l’uragano Jeanne, che
la scorsa settimana ha messo in ginocchio Haiti. Proprio sull’isola caraibica,
intanto, vanno avanti i soccorsi agli alluvionati, mentre il bilancio della
catastrofe parla di almeno 1100 morti, 1250 dispersi e 900 feriti. Critica la
situazione a Gonaives. Ce ne parla Maurizio Salvi:
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A poco a poco gli Organismi
internazionali stanno prendendo il controllo delle operazioni di soccorso nella
regione di Gonaives, dove, dopo vari giorni dal passaggio della tempesta
tropicale Jeanne, l’emergenza è ancora totale. Gran parte delle energie dei
soldati del contingente sudamericano di pacificazione dell’ONU vengono
utilizzate, in queste ore, per la rimozione e il trasporto dei cadaveri, la
successiva sepoltura in fosse comuni, e per le operazioni di ordine pubblico.
Già più volte i caschi blu brasiliani e cileni hanno dovuto far ricorso all’uso
delle armi, soprattutto al momento dell’arrivo dei camion con gli aiuti di
prima necessità e dell’acqua. Secondo il Programma Mondiale di Alimentazione
dell’ONU, 175 mila persone si trovano da sabato nello stato di abbandono più
totale senza acqua potabile, cibo ed elettricità. Il governo haitiano ha creato
un comitato misto, presieduto dal ministro dell’Interno, per la gestione
dell’aiuto e per la messa a punto di un piano di interventi a breve e a medio
termine nelle regioni di Artibonite e nel Nord-Ovest. Fra le misure proposte,
la creazione di un servizio civile nazionale e la creazione di un fondo
finanziario alimentato, oltre che dagli aiuti internazionali, da donazioni e
prelievi sugli stipendi pubblici.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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E mentre la Conferenza
episcopale italiana ha stanziato un milione di euro per i disastrati, si
moltiplicano gli appelli alla solidarietà internazionale per Haiti. A questo
proposito, ascoltiamo le parole del viceconsole onorario a Port-au-Prince,
Joanny De Matteis, rivolte alla comunità italiana. L’intervista è di Lucas
Duran:
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Noi siamo i grandi assenti. Non
c’è alcun tipo di aiuto, alcun tipo di interessamento per quello che succede,
salvo quando ci si informa su come stanno i cittadini italiani. Questa è la
solita domanda: come stanno gli italiani? Gli italiani stanno bene, quindi
stanno tutti bene. E’ questo il riassunto. La comunità italiana ha giocato
sempre un ruolo abbastanza importante: ci sono famiglie di origine italiana
impegnate intensamente nella vita sociale e politica di Haiti. Ecco perché
chiedo un intervento concreto, nel campo del rimboscamento, ad esempio, come è
stato promesso in occasione dell’ultima catastrofe. La città di Gonaives sarà
praticamente da ricostruire. Il nostro intervento in questa fase di
ricostruzione è importante. Questa cittadina rappresenta la città
dell’indipendenza per eccellenza, quindi, un’implicazione futura sarebbe
veramente da augurarsi.
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L’EMERGENZA DEI PROFUGHI DEL DARFUR IN CIAD
- Intervista con Donatella Massai -
E’ ancora
emergenza per le popolazioni del Darfur, la regione del Sudan occidentale
teatro di un sanguinoso conflitto interetnico. Nei campi di accoglienza del
confinante Ciad, dove ben 190mila abitanti del Darfur hanno trovato rifugio, si
sono registrate pericolose tensioni con la popolazione locale. A destare
preoccupazione, inoltre, l’allarme lanciato dal personale Onu a N'Djaména che
ha comunicato di avere solo la metà dei fondi necessari a far fronte
all’emergenza. Ma com’è la situazione oggi nei campi profughi del Ciad? Giada
Aquilino lo ha chiesto a Donatella Massai, responsabile di Medici senza
frontiere per il Paese africano:
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R. – Medici senza frontiere si
occupa di due campi e dell’ospedale di Iriba. La situazione è molto difficile
da ormai quasi un anno a questa parte; adesso, i problemi della nutrizione
persistono, la mortalità è ancora elevata però cominciamo a vedere un po’ di
possibilità di miglioramento per il futuro. Sinceramente, forse mancano ancora
dei campi da terminare, ma la situazione si sta piano piano regolarizzando.
Quindi, c’è abbastanza acqua, distribuzione di cibo ...
D. – Secondo le ultime notizie,
ci sarebbero tensioni nei campi profughi in Ciad, con la popolazione locale ...
R. – Credo che oggi i rifugiati
ricevano più di quanto la popolazione locale riceva. Per esempio, i centri
nutrizionali che sono dentro i campi sono aperti solamente ai rifugiati, quindi
se un ciadiano ha un bambino malnutrito, ha meno accesso al cibo che i
rifugiati stessi. Quindi, credo che la tensione, dopo mesi e mesi che la
popolazione ciadiana ha dato supporto e ha diviso il poco che aveva con i
rifugiati, adesso la situazione sembra quasi invertirsi.
D. – Quali sono le condizioni di
vita normalmente della popolazione del Ciad?
R. – Molto precarie. Sono legate
alla natura, alla transumanza degli animali e la poca agricoltura che possono
fare in queste zone desertiche. Quindi il fatto che centinaia di migliaia di
altre persone si siano stabilite dove loro vivevano da una parte può essere fonte
di ricchezza, sotto alcuni aspetti, ma sotto altri, per niente.
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IN CORSO A LILLE LE
SETTIMANE SOCIALI DI FRANCIA
- Intervista con Paolo Bustaffa e Michel Camdessus
-
Sono in corso a Lille, capitale
europea della cultura per il 2004, le Settimane Sociali di Francia che
celebrano il centenario della loro fondazione. “L’Europa, una società da
inventare”: è il tema scelto per questa edizione che vede la partecipazione di
oltre quattromila persone insieme ad 85 esperti e testimoni. Fabio Colagrande
ha chiesto al direttore del Sir, l’agenzia di informazione dei vescovi
italiana, Paolo Bustaffa, che si trova a Lille, quali sono i principali spunti
emersi fino a questo momento.
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“Le idee che sono emerse sono
suggestive e anche impegnative nello stesso tempo: un’Europa fondata sulle
diversità, l’Europa che è un insieme di minoranze. Nessuno può violentare gli
altri con la propria superiorità e questo è un dato specifico di un’Europa che
si pone come maestra di pace anche nel mondo. E quindi c’è un grande dibattito.
Stamattina proprio Réné Rémond ha ripreso la ‘Rerum novarum’ di Leone
XIII e ha detto come questo documento indichi davvero l’inizio di una strada -
lui l’ha chiamata genealogia di pensiero sociale e cristiano in questo momento
storico - e come questa dottrina sociale, questo pensiero sociale della Chiesa
davvero costituisca una fonte fondamentale anche per coloro che credenti non
sono, per costruire un’Europa che vuole essere una maestra di pace nel mondo,
il che significa rispetto dei diritti umani, della libertà religiosa e della
dignità della persona”.
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Ma quali sono le finalità che si
propongono le Settimane Sociali di Francia? Sentiamo il presidente del comitato
organizzatore, Michel Camdessus, che ieri ha tenuto l’intervento di apertura
dei lavori.
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R. –
LE SAINT PERE A DIT ...
Giovanni Paolo II, all’udienza ai vescovi francesi nel gennaio scorso, ha
indicato le finalità delle Settimane sociali e cioé promuovere legami tra gli
uomini e le donne dell’Europa, creare nel continente un movimento di
riflessione sui problemi più attuali e difficili con cui deve confrontarsi la
società europea per costruire le fondamenta della società di domani. Queste
sono le nostre ambizioni che cerchiamo di realizzare certamente con mezzi
modesti ed inadeguati, ma animati dallo stesso spirito che ha mosso coloro che
hanno creato l’Europa, uomini semplici, senza particolari carismi eppure essi
sono riusciti a fare il miracolo dell’Unione Europea e della sua riconciliazione.
Noi vorremo che il nostro miracolo
fosse quello di far abitare questa costruzione europea da uomini e donne
consapevoli dei valori di cui sono portatori.
D. – Le Settimane sociali sono andate col tempo
assumendo una dimensione sempre più vasta. Già lo scorso anno la mobilitazione
è stata grande...
R. –
IL Y A 4 A 5 MILLE ...
Quest’anno sono presenti dalle 4 alle 5 mila persone, provenienti da
tutto il continente. In questo movimento c’è qualcosa di biblico. Quando la
gente si mette in movimento, decide di spostarsi sicuramente qualcosa accadrà e
noi siamo pieni di speranza per ciò che accadrà.
D. – Che cosa vi aspettate in
concreto al termine dei lavori di questa edizione delle Settimane sociali?
R. – NOUS VOUDRIONS QUE ...
Noi
vorremmo che dai sei forum che si terranno domani scaturisse una approfondita
riflessione, alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa, sui grandi
problemi che l’Europa oggi si trova ad affrontare e cioè la persona e la
famiglia, la pace, il pluralismo religioso, una democrazia che sia veramente
partecipativa, uno sviluppo economico durevole volto a ridurre disuguaglianze
ed esclusioni; un’Europa che riscopre la solidarietà nei confronti del resto
del mondo.
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LA
LIBERTA’ DI EDUCARE. UNA SFIDA DI CIVILTA’. E’ IL TEMA DI UN CONVEGNO
ORGANIZZATO
A MILANO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ LATERANENSE
- Intervista con il cardinale Zenon Grocholewski -
La libertà di educare è una
sfida di civiltà e l’educazione è un antidoto alla violenza e alle guerre. E’
la convinzione emersa dal convegno organizzato in questi giorni a Milano
dall’Osservatorio Finetica della Pontificia Università Lateranense. A confronto
sul tema dell’educazione rappresentanti della Chiesa, delle associazioni, del
mondo imprenditoriale e universitario. Presente anche il cardinale Zenon
Grocholevski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica. Fabio
Brenna lo ha intervistato:
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R. - Per il futuro dell’umanità
l’educazione svolge un ruolo fondamentale. Non soltanto il progresso
scientifico, tecnologico, ma soprattutto la formazione dell’uomo. Noi sappiamo
che le conquiste della scienza e della tecnica sono state sfruttate anche per
rendere le guerre più terribili, le ingiustizie più raffinate e l’oppressione
dell’uomo più perfida. Perciò io penso che tutto dipenda dall’uomo. Noi adesso
stiamo vivendo un’epoca di grandi conquiste tecnologiche, scientifiche, ma
queste possono essere sfruttate per il bene o per il male. Possono essere
sfruttate per distruggere il nostro mondo. E’ molto importante, dunque, oggi
educare la persona umana affinché sappia sfruttare queste stupende conquiste
della scienza e della tecnica per il bene dell’umanità.
D. – Eminenza, se si pone il problema
dell’educazione bisogna anche porre il problema degli educatori e della loro
formazione?
R. – Questo è un problema molto importante, perché
per quanto riguarda l’educazione i primi anni della vita sono molto importanti.
E’ difficile curvare un albero. La piccola pianta, invece, si può indirizzare
verso la luce. Io sono convintissimo che ciò che si riceve da bambino rimane
per tutta la vita. Qualche volta da questi valori, per qualche tempo, ci si
allontana, ma poi ci si torna. Di questo sono convinto. Quindi, il ruolo della
famiglia è fondamentale. La Chiesa ha sempre sottolineato il diritto
fondamentale della famiglia a educare. Lo Stato, la Chiesa devono solo aiutare
la famiglia nel compito di educare. Oggi, purtroppo, la situazione sociale è molto
più difficile per la famiglia, perché ambedue i genitori lavorano, non c’è
nessuno in casa, tornano stanchi e non hanno tempo per i figli. Questo è un
grande problema. Bisogna ricordare che l’educazione è un’arte. Oggi, purtroppo, abbiamo esempi terribili.
Io penso che l’esempio più distruttivo sia il mancato rispetto verso la vita.
Noi vediamo in televisione come si ammazzano le persone, il terrorismo ...
Veramente per educare si deve educare alla sacralità della vita.
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IL 4 OTTOBRE, FESTA DI SAN
FRANCESCO, DEDICATO IN ITALIA
AI TEMI DELLA PACE E DEL DIALOGO CIVILE, CULTURALE
E INTERRELIGIOSO:
ALL’ESAME DEL SENATO, LA LEGGE CHE INTENDE
INTRODURRE LA NOVITA’
- Intervista con padre Vincenzo Coli -
In Italia, è stato approvato
ieri in sede legislativa, in Commissione Cultura alla Camera, il provvedimento
che intende istituire per il 4 ottobre di ogni anno, festa di San Francesco
d’Assisi, una giornata dedicata alla riflessione sulla pace, sulla tolleranza
interetnica e interreligiosa, e in generale - recita il testo di legge - sui
“valori universali” di cui sono espressione i Patroni d’Italia, San Francesco e
Santa Caterina da Siena. Il provvedimento, che passa ora all’esame del Senato,
prevede che, in particolare nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, si
organizzino per il 4 ottobre “cerimonie, iniziative e incontri” incentrati sui
temi del dialogo, del Sud del mondo, in quel “percorso tracciato dalle
preghiere comuni del Papa ad Assisi”, come ha spiegato l’esponente della
Margherita, Giovanni Bianchi, precisando che la ricorrenza manterrebbe comunque
il suo significato “anche per i non credenti”. Ma cosa rappresenta questa
giornata per i cattolici, in particolare? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a
padre Vincenzo Coli, custode del Sacro Convento di Assisi:
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R. – Io credo che i politici
prima di tutto abbiano sentito il bisogno di dare una risposta a quello che
stiamo vivendo: l’esigenza del confronto, del dialogo, della comprensione
profonda degli altri, delle varie culture e delle varie religioni. Per noi
cristiani cattolici credo possa essere un’occasione per confrontarci con
Francesco e Caterina in un modo molto più profondo e molto più coerente. Per
esempio, loro sono caratterizzati da un’esperienza profondissima di Dio, del
Dio del Vangelo; sono caratterizzati da un amore appassionato per la Chiesa,
per la comunità dei credenti, per l’apertura ai fratelli.
D. – Come è possibile trasferire
questi valori in una visione laica relativa, ad esempio, ad una Giornata
nazionale istituita per legge in Italia?
R. – Credo che se noi credenti
ci impegnassimo a riscoprire i tratti salienti di Francesco e di Caterina,
potremmo portare un contributo indispensabile al pensiero laico. Io insisto,
tra le altre cose, che parlare di non violenza va bene, ma oggigiorno, quando
la violenza ce l’abbiamo nel cuore, nelle famiglie, nelle nostre strade,
bisogna che ci sia un cambio di cultura: ritornare ai valori antichi, magari in
modo critico.
D. – Assisi è sempre stata un
punto di incontro molto importante per il dialogo tra le diverse fedi e le
diverse religioni. Cos’è che accomuna le diverse religioni nel segno di San
Francesco?
R. – Che Francesco è un uomo
riuscito, con una pienezza straordinaria. E’ sicuramente uno dei più grandi
della storia, anche dal punto di vista puramente umano. E’ un uomo che ha
vissuto i valori ideali in modo profondamente libero e gioioso. Non sa niente
dell’imposizione. E’ un uomo che propone dei valori ideali che possono dare un
senso alla vita. E’ un fratello universale. E’ l’uomo del dialogo,
dell’accoglienza. Sembra che nessuno abbia paura di lui, anche se poi in
profondità la vita di Francesco è molto esigente, perché è l’uomo dei grandi
desideri, delle grandi passioni ed ha avuto la passione di vivere il Vangelo
fino in fondo.
D. – Noi stiamo vivendo in
un’epoca in cui ci sono fondamentalismi violenti. San Francesco come avrebbe
risposto a questi fondamentalismi?
R. – Io credo che la risposta di
Francesco la si possa trovare nel momento in cui lui ha voluto incontrare il
Sultano d’Egitto. Si è presentato come un autentico vero cristiano, come un
credente, cioè con una propria specifica identità, e poi proponendo il Vangelo
del Signore Gesù. Io dico che allora oggi dobbiamo riscoprire la nostra
profonda identità, portarla a maturazione, perché solo così si può dialogare
veramente.
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UNA STORIA DI
SOFFERENZA, D’AMORE E DI RISCOPERTA DELLA FEDE:
“NEL MIO AMORE”, PRIMA REGIA CINEMATOGRAFICA
DELLA SCRITTRICE SUSANNA TAMARO, È DA IERI NELLA SALE
ITALIANE
- Servizio di Luca Pellegrini -
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(dialogo tratto dal film)
“Dipinge solo questo
tipo di cose? Santi, angeli?”. “No, so anche disegnare alberi, case …”. “E’ qui
che gli sono venute tutte queste idee per la testa?”. “Quali idee?”. “La
fissazione per Gesù, il Vangelo … Non è normale, no, per un ragazzo di
quell’età, pensare sempre a queste cose”. “Che cos’è normale?”. ...
Il dialogo è tra Stella, la mamma
di Michele - il ragazzo quindicenne che ha una “fissazione” poco normale - e Jacques,
sorta di pastore e d’artista. Con cura meticolosa e nella pace della montagna,
si dedica alla pittura di icone. Molti anni prima di questo dialogo aveva
conosciuto Michele, ragazzo sensibilissimo, lo aveva seguito nella sua
sofferenza: un padre avvolto dal denaro e iroso che lo detesta, lo insulta, lo
irride per le sue scelte; una sorella, Laura, chiusa nel suo mondo per sfuggire
alla quotidiana violenza. E Stella - un’intensa e commovente Licia Maglietta -,
matrimonio naufragato nel corso degli anni e pervicacemente salvato a forza di
molte lacrime e molti dubbi.
Poi la tragedia, l’irruzione
della morte, lo sconvolgimento delle certezze, l’annaspare, per chi rimane,
alla ricerca di senso: Michele muore, il padre anche. Laura abbandona la
famiglia dissolta mentre Stella, solo e conscia del fallimento, si rifugia
nella casa paterna, in attesa, in agonia. Fino a quando il volto di Cristo e la
voce di chi Lo annuncia, di chi Lo celebra e prega, fa capolino. E’ il
“romanzo” cinematografico di Susanna Tamaro scritto insieme a Roberta Mazzoni,
è “Nel mio amore”, esordio nella regia dell’autrice del best seller “Va dove ti
porta il cuore”. Qui, dove vanno i cinque protagonisti? Da quali forze sono
portati? Cos’è davvero normale, nella vita di un giovane, in quella
dell’adulto?
La regista affronta con coraggio,
si direbbe in contro-tendenza, interrogativi pressanti ed espone, pur con una
certa comprensibile enfasi di natura letteraria, quegli oggetti della
dialettica che sono al cuore del Vangelo e della Parola di Dio: spirito e
carne, amore e odio, gioia e infelicità, comunione e solitudine. Susanna Tamaro
non arretra dinnanzi alle possibili difficoltà, quelle legate all’esposizione
coraggiosa e limpida della fede e di tutto quel corredo umano di forze e di
tensioni che animano, tra prostrazione ed entusiasmo, la ricerca del mistero,
l’accoglienza della Grazia, la presenza di Dio. Perché – lo scopriamo
nell’immagine finale sostanzialmente positiva e ricca di speranza - è nella
certezza del Suo amore che siamo certi di vivere, che siamo capaci di amare.
Luca Pellegrini, per la Radio
Vaticana.
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24
settembre 2004
LA
SITUAZIONE IN UGANDA RESTA GRAVE, ANCHE SE CI SONO SEGNALI
DI MIGLIORAMENTO.
LO SOSTIENE IN UNA DICHIARAZIONE LA CHIESA CATTOLICA
DEL PAESE AFRICANO. ANCORA ATTIVI I
GUERRIGLIERI
DELL’ESERCITO
DI RESISTENZA DEL SIGNORE
KAMPALA. = Esistono ragionevoli
motivi di ottimismo, anche se è ancora del tutto prematuro immaginare che la
tragedia sia terminata. Questo, in sintesi, il contenuto di una dichiarazione
della Commissione Pace e Giustizia della Chiesa Cattolica ugandese, sulla
situazione nel nord del Paese africano. I segnali positivi si registrano
soprattutto nella netta diminuzione dei rifugiati che vivono in condizioni
disperate nei campi profughi. La situazione, tuttavia, resta disperata e gli
assassinii continuano senza sosta. Nel nord dell’Uganda opera da 18 anni
l’Esercito di resistenza del signore (Lra), che lotta per la caduta dello Stato
ugandese e la creazione di una nazione rigidamente basata sul rispetto dei
precetti biblici, in particolare i Dieci Comandamenti. Ma di cristiano non vi è
nulla nel loro agire: oltre 50.000 morti; 20.000 bimbi rapiti e ridotti in
schiavitù; e quasi 1.500.000 persone, di fatto l’intera popolazione regionale,
costretta ad abbandonare i villaggi per cercare rifugi nei campi profughi.
(B.C.)
MOLTI INDIGENI IN ARGENTINA
SONO STATI CACCIATI DAI LORO TERRITORI E OGGI
SONO STRANIERI NELLA LORO STESSA PATRIA: COSI’ IL
PRESIDENTE
DELLA COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA PASTORALE
ABORIGENA
NEL PAESE
LATINOAMERICANO, CHE SOLLECITA UN INTERVENTO DELLE ISTITUZIONI
BUENOS AIRES. = Il presidente
della Commissione episcopale per la pastorale aborigena in Argentina, mons.
Marcelo Angiolo Melani, ha inviato una lettera al presidente Nestor Kirchner
per chiedere espressamente il riconoscimento del diritto degli indigeni alla
terra. “Siamo seriamente preoccupati per il settore agricolo – sottolinea il
presule – in particolare per le piantagioni di soia e per il processo di
deforestazione, che sta interessando le aree dove vivono le minoranze etniche.
Molte comunità sono state cacciate via dai loro territori ed oggi sono
stranieri nella loro stessa patria”. Ricordando il decimo anniversario della
riforma della Costituzione, che comprende peraltro il riconoscimento di quelle
terre abitate dagli indigeni prima della nascita dello Stato argentino, mons.
Melani denuncia: “Questa gente incontra ancora troppe difficoltà nel far valere
quello che è un loro sacrosanto diritto. L’80 per cento dei gruppi ancora non
gode di tale concessione e reclama una porzione di terra per il loro
sostentamento. Non ottenendo quanto gli spetta, emigrano forzatamente verso i
sobborghi dei grandi agglomerati urbani. Sostenendo, dunque, la loro causa,
avremo meno problemi in città”. Il presidente della Commissione episcopale per
la pastorale aborigena plaude, quindi, la decisione di Kirchner di sollecitare
il Parlamento a discutere il progetto di legge, che sospende per due anni lo
sgombero degli indigeni dalle loro terre. Il dibattito in aula è stato fissato
per la prossima settimana. Al tempo stesso, il presule esprime la sua “scarsa
fiducia nei confronti delle istituzioni e delle leggi in materia di tutela dei
diritti umani, peraltro tutelati dalla stessa Costituzione”. In Argentina
vivono 500 mila indigeni, appartenenti ad una decina di etnie. (D.D.)
l’occasione per far crescere la conoscenza e la stima
reciproca:
cosi’ l’ arcivescovo massimiliano di vologda, inviato
del patriarca
di mosca alessio II, ha commentato il convegno
ecumenico
sulla spiritualita’ ortodossa, che si è svolto nei
giorni scorsi a bose
- A cura di Ignazio Ingrao -
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BOSE. = Rappresentanti della
Chiesa cattolica, di tutte le Chiese ortodosse e della Riforma, studiosi da
ogni parte d’Europa, Canada, Stati Uniti e Israele hanno animato nei giorni
scorsi l’annuale convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa,
organizzato dalla Comunità di Bose, in collaborazione con il Patriarcato
ecumenico di Costantinopoli e il Patriarcato di Mosca. Ieri è stato diffuso il
comunicato finale dell’incontro, che è stato articolato in due sessioni: la
prima dedicata a “Sant’Atanasio e il Monte Athos”, la seconda a “La preghiera
di Gesù nella spiritualità russa del XIX secolo”. I lavori si sono aperti con
la triste notizia della morte del patriarca di Alessandria, Pietro VII,
precipitato con l’elicottero che lo portava al Monte Athos. Uno dei suoi ultimi
scritti è stato proprio il messaggio inviato al convegno di Bose, nel quale il
patriarca di Alessandria sottolineava la grande attualità dell’impegno di
Sant’Atanasio e dei suoi discepoli per la promozione del dialogo con il mondo
islamico e con le altre Chiese cristiane. Un monachesimo più unito, è stato
osservato nel corso della sessione del convegno dedicata al Monte Athos, può
aiutare le Chiese a riconoscersi finalmente sorelle nell’ascolto e nel servizio
reciproco. Molto attuale anche la riflessione nella seconda parte del convegno,
sulla preghiera interiore del cuore, secondo la spiritualità russa: “Non
dimentichiamo – ha detto il priore di Bose, Enzo Bianchi – le sofferenze di
centinaia di migliaia di uomini e di donne a causa della violenza della guerra
e del terrorismo. Ma siamo anche convinti che se i cristiani non sapranno
dilatare lo spazio della loro preghiera, allora quell’incontro tra religioni,
invece di fiorire in dialogo, imploderà in conflitto irrimediabile, sotto la
pressione di opposti fanatismi. Ecco perché - ha concluso Enzo Bianchi - è così
urgente per i cristiani ritrovare l’assiduità con Dio ed esercitarsi nell’arte
del colloquio con lui”. L’anno prossimo, il convegno sarà dedicato a san
Giovanni Damasceno e all’iconografo Andrej Rublev.
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VIENNA. = La proposta di un corpo di lineamenta
che sia approvato dalle 34 Conferenze episcopali europee e applicato e
condiviso dalle cappellanie di tutti gli atenei europei; il sistema e la
missione dei collegi universitari; la Giornata europea delle università in
programma per il 5 marzo 2005 a Roma e la promozione della partecipazione degli
universitari alla Giornata mondiale della gioventù a Colonia, dal 16 al 21
agosto 2005. Sono i temi al centro dell’incontro europeo dei delegati nazionali
della pastorale universitaria. L’appuntamento è stato convocato dal Consiglio
delle conferenze episcopali europee (CCEE), a Vienna da oggi fino al 26
settembre prossimo. Nella consapevolezza che gli studenti universitari e gli
atenei svolgono un ruolo essenziale e strategico nella costruzione della nuova
Europa, la Chiesa da un decennio sta coordinando una pastorale universitaria
comune negli atenei europei. Pastorale universitaria che è, contemporaneamente,
annuncio e proposta del Vangelo alle nuove generazioni ed al mondo della
cultura, ma anche formazione culturale, professionale ed etica d’ispirazione
cristiana, in un mondo caratterizzato dalla globalizzazione, dal
multiculturalismo e dal confronto con il mondo islamico e delle sette. Disporre
di lineamenta comuni è imposto anche dalla straordinaria mobilità degli
studenti universitari che, grazie ai progetti Erasmus, Socrates, Tempus ed
altri, ogni anno frequentano atenei all’estero, all’interno dell’Unione
Europea. Partecipano all’incontro di Vienna personalità ecclesiastiche di
grande prestigio. Tra questi: l’arcivescovo della metropoli austriaca, il
cardinale Cristoph Schönborn, e mons. Aldo Giordano, segretario generale del
CCEE. I sacerdoti che su mandato dei vescovi si dedicano alla pastorale
universitaria sono, a tempo pieno, in Europa oltre mille, 40 i sacerdoti e
religiosi ai quali la diocesi di Roma ha affidato la cura pastorale dei 300
mila studenti iscritti agli atenei della città. (B.C.)
ULTERIORE PASSO VERSO PACE IERI IN SIERRA LEONE.
NELLA CAPITALE FREETOWN SI E’ CELEBRATO IL
PASSAGGIO DI CONSEGNE
RELATIVE ALLA SICUREZZA DAI CASCHI BLU ALLA
POLIZIA LOCALE
FREETOWN.
= Giornata importante ieri nel cammino della Sierra Leone verso la
pacificazione, dopo una guerra civile durata dieci anni. Il contingente di pace
internazionale delle Nazioni Unite ha trasferito i poteri relativi alla
sicurezza alle forze locali. In una cerimonia alla State House della capitale
Freetown, è stata ammainata per l’ultima volta la bandiera Onu, suggellando il
passaggio di poteri dai caschi blu agli ufficiali di polizia sierraleonesi.
Quello di ieri rappresenta l’ultimo passo verso il ritiro graduale della
missione, che da cinque anni assicura stabilità alla Sierra Leone e che per un
certo periodo ha avuto 17 mila soldati. Oggi ne restano ottomila. Dopo la smobilitazione
dal nord, dal sud e dall’est del Paese, è stato completato anche il ritiro dai
settori occidentali, compresa la capitale. Parlando di un’importante “pietra
miliare”, il vicepresidente del Paese africano, Solomon Berewa, ha detto che le
forze di sicurezza locali sono state “addestrate e provate”, dando
dimostrazione di fiducia. Nonostante il positivo sforzo per chiudere il
capitolo di una guerra combattuta soprattutto con l’uso di bambini-soldato, che
provocò almeno 50 mila vittime, migliaia di mutilati e un numero enorme di
profughi, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto a Freetown
di aumentare il proprio impegno per garantire pace e stabilità in tutta la
nazione. (B.C.)
MADRE ADELE BRAMBILLA RICONFERMATA ALLA GUIDA
DELLE SUORE MISSIONARIE
COMBONIANE. L’ELEZIONE, ANNUNCIATA IERI, E’
AVVENUTA
NEL CORSO DEL XVIII CAPITOLO GENERALE DELLA
CONGREGAZIONE
ROMA.
= Madre Adele Brambilla, 55 anni, è stata riconfermata ieri superiora generale delle
Suore missionarie comboniane, durante i lavori del XVIII Capitolo, svoltisi a
Roma. Rimarrà alla guida della Congregazione per altri sei anni. Dopo un
momento di ringraziamento con il canto del “Te Deum”, madre Brambilla si è
rivolta alle sue consorella citando il fondatore della Congregazione, san
Daniele Comboni. “Io prendo a far causa comune con ciascuno di voi – ha detto –
il vostro bene sarà il mio e le vostre pene saranno le mie”. “Non ignoro la
gravità del peso che mi addosso – ha aggiunto – ma lo accetto nella certezza
che voi tutte mi aiuterete a portarlo con speranza”. Nata a Milano il 19 Luglio
1949, la riconfermata superiora delle Comboniane, emette i voti l’11 Febbraio
1973 a Erba. Fino al 1980 studia in Inghilterra, dove consegue il diploma
professionale di infermiera. Dal 1980 al 1984, presta assistenza alle sorelle
malate a Verona e parte nel maggio dello stesso anno per Amman, in Giordania,
dove opera nell’Ospedale italiano in qualità di “Matron”. Nel 1996 diventa
Superiora provinciale. Il 5 Ottobre 1998 viene eletta undicesima superiora
generale delle Suore missionarie comboniane. Il 22 dicembre dello stesso anno
riceve dal principe reggente Hassan, a nome del re Hussein di Giordania, la
“Jordan Independence Medal of First Order” per i 15 anni di servizio ai più
poveri nell’Ospedale di Amman. (B.C.)
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24
settembre 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
L’Italia ancora nel mirino della guerriglia
irachena. Nessuna novità sulla sorte di Simona Pari e di Simona Torretta: il
governo sta ancora valutando l’attendibilità dei due comunicati che annunciano
la loro uccisione. Secondo il direttore dell’emittente televisiva Al Arabiya
l’ultima rivendicazione, quella del gruppo che si definisce “Sostenitori di Al
Zawahiri”, va presa sul serio. E nella capitale irachena, intanto, l’ambasciata
italiana è stata centrata, stamani, da colpi di mortaio. Ascoltiamo in
proposito la giornalista Barbara Schiavulli, raggiunta telefonicamente a
Baghdad da Roberto Piermarini:
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R. - Questa mattina, verso le
8.25, sono stati sparati sei colpi di mortaio contro l’Ambasciata Italiana.
Hanno mancato il bersaglio, però sono caduti nelle vicinanze di alcune case. Ci
sono stati quattro feriti tra cui un bambino colpito da alcuni vetri della
finestra della sua camera ad un occhio. Gli altri sono leggermente feriti,
anche una signora anziana. Sono arrivate subito le guardie che presidiano
l’Ambasciata e hanno accompagnato i ragazzini all’ospedale della Croce Rossa.
Parlando con la gente del posto si avverte molta preoccupazione perché abitano
in una zona che è considerata molto sensibile per questo tipo di attacchi.
D. – Barbara, ci sono novità
sulla vicenda delle due volontarie italiane?
R. – No, per ora non si sa niente.
Si resta in attesa, si aspetta questo video che è stato annunciato, sperando
che invece non arrivi. Ma oggi è il giorno della preghiera, quindi e
probabilmente gli Imam diranno qualcosa, faranno magari qualche appello.
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E in Iraq, con modalità simili ai rapimenti delle due
volontarie italiane, di due americani e di un inglese, si è ripetuta ancora una
volta la strategia dei sequestri mirati. Ce ne parla Amedeo Lomonaco:
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Due ingegneri egiziani sono
stati prelevati questa notte dal loro ufficio a Baghdad da un commando di
uomini armati. I due rapiti sono dipendenti della società irachena di
telecomunicazione ‘Iraqna’, della quale l’egiziana ‘Orascom’ ha una grossa
partecipazione. Ed altri otto impiegati della compagnia telefonica, quattro
iracheni e quattro egiziani, sono stati sequestrati mercoledì scorso a Falluja.
Lo hanno riferito stamani fonti locali. Le continue violenze che stanno
devastando il Paese arabo hanno spinto, inoltre, la Nuova Zelanda a decidere di
rimpatriare domani, in anticipo sui programmi, il proprio esercito, un piccolo
contingente composto da 61 persone. Sul terreno, forti esplosioni hanno scosso
la città di Falluja: secondo i testimoni, si
tratterebbe di un bombardamento dell’artiglieria statunitense ma al momento non
si hanno altre informazioni. La difficile situazione dello Stato arabo è stata
anche al centro dell’incontro di ieri alla Casa Bianca tra il presidente
americano George Bush ed il primo ministro iracheno Iyad Allawi. Bush ha evidenziato
come la lotta al terrorismo sia fondamentale per garantire pace e sicurezza.
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THE WAR FOR IRAQ’S FREEDOM IS A FIGHTING AGAINST SOME
OF THE MOST RUTHLESS AND BRUTAL MEN ON EARTH ...
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“La
guerra per la libertà dell’Iraq è una lotta contro alcuni degli uomini più
spietati e crudeli della terra. In questa lotta ci sono giorni migliori e
giorni più difficili. Ma ogni giorno la nostra determinazione deve rimanere
salda. Signor primo ministro non avete vacillato nell’epoca delle sfide, non
vacillerà nemmeno l’America”.
Poco
prima il premier iracheno Allawi parlando all’Assemblea generale dell’Onu aveva
ringraziato gli Stati Uniti rivolgendosi direttamente al popolo americano.
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FIRST, WE ARE SUCCEEDING IN IRAQ; SECOND MESSAGE IS
QUITE SIMPLE ...
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“Prima
di tutto: il successo è dalla nostra in Iraq; il secondo messaggio è molto
semplice, ed è un messaggio che vorrei trasmettere direttamente dal mio popolo
al suo: grazie, America!”.
Allawi ha quindi sottolineato
l’urgenza delle elezioni per l’Iraq.
“Vorrei
essere assolutamente chiaro: le elezioni si terranno in Iraq e si terranno a
gennaio, perché gli iracheni vogliono queste elezioni”.
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Ancora violenze nei Territori. Una donna israeliana è stata uccisa,
stamattina, da un colpo di mortaio sparato da miliziani palestinesi sulla
colonia di Neveh Kalim, nel sud della striscia di Gaza. Un uomo, che era con
lei in casa, è rimasto ferito. L’attacco è stato rivendicato da Hamas, mentre
la Jihad Islamica si è assunta la paternità del lancio di razzi sulla colonia
di Morag. In Israele, intanto, è stato d’allerta: la paura di attentati è
tornata a salire, a poche ore dall’inizio della festa ebraica di Yom Kippur.
Il
leader della guerriglia cecena Shamil Basayev e gli altri responsabili della
strage di Beslan verranno processati. Lo ha detto stamani l’ex presidente
ceceno, Aslan Maskhadov. Sul terreno, intanto, proseguono gli scontri. Nella
notte, la polizia ha attaccato un covo di guerriglieri nella zona di Alleroi, a
sud est di Grozny: almeno cinque le vittime. I ribelli uccisi nella zona
sarebbero complessivamente nove.
La Chiesa turca è favorevole
all’adesione all’Unione Europea e sostiene gli sforzi del governo per
conseguire gli standard di democrazia fissati dall’Unione senza fare nessuna
distinzione tra i cittadini. E’ quanto ha dichiarato il portavoce dei vescovi
turchi in un’intervista rilasciata al Sir, il Servizio Informazione Religiosa promosso
dalla Conferenza episcopale italiana. Intanto la Commissione europea ha reso
noto che il 6 ottobre presenterà la raccomandazione che stabilirà quando
l’Unione sarà disponibile ad aprire i negoziati di adesione con la Turchia e
quali saranno le condizioni che il governo di Ankara dovrà soddisfare dal punto
di vista democratico, economico e di tutela dei diritti umani per poter essere
ammesso a tali trattative.
Il segretario di Stato
americano, Colin Powell, ha rinviato per la seconda volta la sua prevista
visita in Grecia. La decisione, resa nota dall’agenzia di stampa ellenica Ana,
è stata presa dopo un incontro tra Powell ed il ministro degli Esteri greco
Petros Molyviatis, entrambi a New York per l’assemblea generale delle Nazioni
Unite. Powell avrebbe già dovuto recarsi ad Atene a fine agosto per la
cerimonia di chiusura dei giochi olimpici ma aveva annullato la sua visita
all’ultimo momento.
E’ di
almeno 29 morti il bilancio dello scontro a fuoco fra le forze di sicurezza
nigeriane e militanti islamici che combattono per creare uno Stato sul modello
talebano in Nigeria. Lo ha reso noto la polizia precisando che 27 morti sono
militanti e due poliziotti. La battaglia si è svolta sulle colline della città
di Gworza, nello Stato di Borno, nei pressi della frontiera con il Camerun.
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