RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
332 - Testo della trasmissione di sabato 27 novembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Celebrato nella nunziatura di Ankara il 25.mo della
visita del Papa in Turchia
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il
Vangelo di domani: la riflessione di padre Marko Ivan Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
75 anni fa Papa Pio XI
fondava il Pontificio collegio russo di Roma
In Ucraina, il Parlamento dichiara non valido il ballottaggio
tra i due leader rivali
Il leader di Al Fatah in Cisgiordania, Marwan
Barghuti, ha annunciato che non si candiderà alle presidenziali palestinesi
Doppio appuntamento
elettorale domani in Romania: si vota per eleggere il nuovo presidente e
rinnovare il Parlamento
27 novembre 2004
NON MI STANCHERO’ MAI DI CERCARE L’UNITA’ DEI CRISTIANI:
COSI’ IL PAPA, STAMANI, ALLA CERIMONIA ECUMENICA NELLA BASILICA DI
SAN PIETRO PER LA CONSEGNA AL PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI BARTOLOMEO I DELLE RELIQUIE
DEI SANTI GREGORIO NAZIANZENO E GIOVANNI CRISOSTOMO
- Con noi, il Patriarca
Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I
e il cardinale Walter Kasper
-
Un momento storico sulla via dell’ecumenismo: nella Basilica Vaticana, si
è svolta stamani una solenne celebrazione, durante la quale Giovanni Paolo II
ha consegnato al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, le
reliquie dei Santi Gregorio Nazianzeno, detto il Teologo, e Giovanni
Crisostomo, da secoli venerate nella Basilica di San Pietro. La cerimonia -
particolarmente suggestiva - ha rappresentato, nelle parole del Papa, il segno
della “volontà di camminare insieme verso quella piena e visibile unità che
Cristo vuole per i suoi discepoli”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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(canti)
“Camminare insieme, affinché il mondo creda in Cristo, nostro unico Salvatore”:
Giovanni Paolo II ha sintetizzato così lo straordinario valore della
celebrazione ecumenica nella Basilica di San Pietro. Ancora una volta, il Papa
ha ribadito che non si stancherà mai “di cercare fermamente e risolutamente
questa comunione fra i discepoli di Cristo”, perché è suo desiderio, “in
risposta alla volontà del Signore”, “di essere servo della comunione nella
verità e nell’amore”. Con affetto fraterno si è rivolto al Patriarca Ecumenico
di Costantinopoli, Bartolomeo I:
“Oggi il Signore ci concede di ritrovarci insieme nel nome di Cristo e
nella gioia dello Spirito Santo per vivere un momento significativo di
preghiera, di scambio di doni e di comunione fraterna”.
Ha così messo l’accento sul ruolo dei Santi Gregorio Nazianzeno e
Giovanni Crisostomo, “ardenti intercessori del dono dell’unità visibile per le
nostre Chiese”. Due santi, vissuti nel IV secolo dopo Cristo, che si dedicarono
alla cura pastorale del popolo loro affidato, alla difesa dell’ortodossia e
dell’unità della Chiesa, favorendo la comunione tra la Chiesa d’Oriente e la
Chiesa di Roma.
(cori)
Canti latini e cori greci si
sono alternati nell’accompagnare la processione con le reliquie dei due Santi,
Padri e Dottori della Chiesa, custodite in preziose urne di alabastro. Il momento
cruciale della celebrazione, la consegna delle reliquie a Bartolomeo I, è stato
preceduto dalla lettura di una lettera indirizzata dal Pontefice al Patriarca
di Costantinopoli.
Nella missiva, letta
dall’arcivescovo Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato, il Papa
sottolinea come la “traslazione” delle sante reliquie rappresenti “un’occasione
benedetta per purificare le nostre memorie ferite, per rinsaldare il nostro
cammino di riconciliazione, per confermare che la fede di questi nostri Santi”
è “la fede delle Chiese d'Oriente e d'Occidente”. E’ questo il “momento favorevole”
– è la sua esortazione – “per unire alla loro intercessione la nostra preghiera,
affinché il Signore affretti l’ora in cui potremo insieme, nella celebrazione
della Santa Eucaristia, vivere la piena comunione, e contribuire così in modo
più efficace a far sì che il mondo creda che Gesù Cristo è il Signore”. Parole,
a cui ha fatto eco il Patriarca Ecumenico, Bartolomeo I:
“Questo fraterno gesto della Chiesa dell’Antica
Roma conferma che non esistono nella Chiesa di Cristo problemi insormontabili,
quando l’amore, la giustizia e la pace si incontrano nella sacra diaconia della
riconciliazione e dell’unità”.
Il Patriarca si è quindi detto convinto che il Papa “desideri fortemente
il miglioramento delle relazioni interecclesiali”. Ogni atto “che rimargina
vecchie ferite e ne previene di nuove – ha sottolineato Bartolomeo I –
contribuisce alla creazione dei presupposti necessari per continuare il dialogo
della verità nell’amore tra le nostre Chiese, così che, obbedendo alla volontà
divina del nostro Santo Dio nell’adorata Trinità, possiamo incontrarci di nuovo
al più presto nella fede comune della Chiesa d’un tempo, unica base per il ristabilimento della piena comunione tra le
nostre Chiese”.
(Benedizione in greco)
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A margine della solenne celebrazione di stamani, il direttore della Sala
Stampa della Santa Sede, Navarro-Valls, ha tenuto a precisare che il gesto di
Giovanni Paolo II, “gesto di grande importanza ecclesiale ed espressione della comunicatio
in sacris esistente tra l'Oriente e l'Occidente cristiani”, non rappresenta
una “riparazione” ed un “modo per il Papa di chiedere perdono da parte
della Chiesa cattolica per la sottrazione delle reliquie al Patriarcato
ecumenico durante la crociata del XIII secolo”, come erroneamente riportato da
alcuni media. “Una tale interpretazione - ha spiegato il portavoce vaticano - è
storicamente inesatta, poiché tra l’altro le spoglie mortali di San Gregorio di
Nazianzo giunsero a Roma nell'VIII secolo, all’epoca della persecuzione
iconoclasta, per metterle in salvo”. “Senza negare i tragici eventi del XIII
secolo, il ritorno, non la restituzione, a Costantinopoli delle reliquie dei
due Santi – si legge ancora nella nota – intende riproporre, al di là delle
polemiche e delle difficoltà del passato, il loro esempio edificante, e
suscitare una corale preghiera dei cattolici e degli ortodossi per la loro
piena comunione”.
La cerimonia ecumenica di stamani rappresenta, dunque, un nuovo fondamentale
gesto per la promozione dell’unità dei cristiani. Lo sottolinea con forza
proprio il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, in questa
intervista di Giovanni Peduto:
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D. – I Santi Padri e dottori della Chiesa Giovanni Crisostomo e Gregorio
Nazianzeno hanno preceduto Sua Santità sul trono di Costantinopoli. Ora Lei
riceve le reliquie di questi due grandi Santi dalle mani del Papa. Quali sono i
suoi sentimenti?
R. – Sono molto commosso e molto molto lieto. Non solo io personalmente,
ma anche tutta la Chiesa di Costantinopoli e, posso dire senza riserve, tutta
l’ortodossia, tutto l’Oriente cristiano. E’ veramente un avvenimento storico
dovuto alla buona volontà di Sua Santità il Papa, che ha voluto accettare la
mia richiesta a lui presentata nel giugno scorso. Nel frattempo è stato confermato
che le reliquie si trovano nella Basilica di San Pietro e lo scorso ottobre ho
ricevuto la risposta ufficiale di Sua Santità, scritta in greco, con la quale
mi annunciava la sua decisione di restituirci queste reliquie. E’ un passo
molto importante verso la piena unità tra le nostre Chiese sorelle, che è molto
apprezzato dal Patriarcato ecumenico e da tutta l’ortodossia. Io considero
questo fatto come il più importante del mio servizio patriarcale di questi
ultimi 13 anni. Siamo grati a Sua Santità.
D. –
Può anticiparci, Santità, dove verranno collocate le reliquie?
R. – Nella cattedrale patriarcale
di San Giorgio. Da una parte abbiamo già le reliquie di tre sante. Dall’altra
parte, nella nostra cattedrale di San Giorgio, saranno collocate per sempre le
reliquie di questi due grandi dottori.
D. – Dopo la cerimonia
della consegna delle reliquie, Sua Santità ospita nel suo aereo di ritorno a
Costantinopoli la delegazione della Santa Sede che ogni anno si reca al Fanar
per la festa di Sant’Andrea. Dopo questi scambi di cortesia così grandi, così
importanti, cosa ci si può aspettare nello sviluppo del dialogo ecumenico?
R. – Possiamo aspettarci
altri passi in avanti. Non possiamo prevedere quali saranno questi passi, ma
saranno sempre positivi, sempre dei passi fraterni che promuoveranno buone,
fraterne relazioni fra di noi. Ciascuno di questi passi sarà una pietra nella
costruzione dell’edificio della piena unità.
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E sempre nel segno dell’ecumenismo, oggi pomeriggio una delegazione della
Santa Sede si recherà ad Istanbul – assieme a Bartolomeo I – per la festa di
Sant’Andrea, Patrono del Patriarcato di Costantinopoli, che ricorre il 30 novembre.
A guidare la delegazione vaticana è il cardinale Walter Kasper, presidente del
Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, che – al microfono di Giovanni
Peduto – spiega l’importanza del ritorno a Costantinopoli delle reliquie dei
due Santi:
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R. – Si tratta di due Padri
della Chiesa molto importanti, sono venerati e stimati in Occidente e in
Oriente, formano una specie di ponte tra i due lati della cristianità. La consegna
delle reliquie è un primo segno dei nostri rapporti molto migliorati con le
Chiese ortodosse. In secondo luogo, sono segno di un’eredità comune fin dai
primi secoli della cristianità: la stessa fede in Gesù Cristo, vero Uomo, vero
Dio. La stessa fede nella Santa Trinità e molte altre cose. Adesso si è
aggiunta anche una sorta di comunicatio in sacris, per le reliquie: non
si tratta infatti di ossa morte, per gli ortodossi – neanche per noi! – ma sono
parti dei Santi che sono nella gloria dei Cieli, una sorta di contatto con la
realtà celeste, e noi partecipiamo insieme a questa realtà. Perciò questo gesto
ha un significato molto, molto profondo. E questo fa un grande effetto. E’, in
definitiva, un atto di riconciliazione tra Occidente e Oriente, e quindi un
passo molto importante per il futuro ecumenico.
D. – Al termine della cerimonia,
la delegazione vaticana che, come di consueto, ogni anno per la festa di
Sant’Andrea si reca a Costantinopoli, quest’anno viaggerà con lo stesso aereo
del Patriarca. Eminenza, cosa possiamo aspettarci da tutti questi fatti?
R. – E’ un fatto straordinario
il fatto di viaggiare insieme con il Patriarca che ci ha invitati. Avremo come
di consueto conversazioni al Fanar, e questa volta vogliamo convocare ancora la
Commissione teologica internazionale e anche questo sarà un passo molto importante.
A Costantinopoli sono radunati anche molti rappresentanti di altre Chiese
ortodosse: sarà una grande festa, una grande celebrazione. Ci saranno anche
molti vescovi dei Focolari, al Fanar, e questa volta, la celebrazione della
festa di Sant’Andrea sarà straordinaria!
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LA PASSIONE PER CRISTO E PER LE ANIME E LA SETE DELL’AMORE DIVINO
DEVONO ALIMENTARE IL
VOSTRO IMPEGNO DI CONVERSIONE PERSONALE, DI SANTITA’
E DI EVANGELIZZAZIONE:
E’ LA RACCOMANDAZIONE CHE IL PAPA HA RIVOLTO
AI RELIGIOSI NEL
MESSAGGIO PER IL CONGRESSO INTERNAZIONALE
SULLA VITA CONSACRATA
Testimoniate la speranza cristiana e la logica del
dono disinteressato, continuate a spendervi per il mondo, consapevoli che l’unica
misura dell’amore è amare senza riserve. Così Giovanni Paolo II si è rivolto ai
partecipanti al congresso internazionale della vita consacrata in corso in
questi giorni a Roma. I religiosi e le religiose, scrive il Papa nel messaggio,
“sono chiamati ad offrire all’umanità disorientata, logorata e priva di
memoria, testimonianze credibili della speranza cristiana, ‘rendendo visibile
l’amore di Dio, che non abbandona nessuno’ e offrendo ‘all’uomo smarrito
ragioni vere per continuare a sperare’”.
La vita religiosa, prosegue il Pontefice, “deve
farsi custode di un patrimonio di vita e di bellezza capace di ristorare ogni
sete, fasciare ogni piaga, essere balsamo per ogni ferita, colmando ogni
desiderio di gioia e di amore, di libertà e di pace”. Occorre aprire il cuore
al soffio vitale dello Spirito, scrive ancora il Papa, “gareggiare a vicenda
nell’amore fraterno e nel servizio, aprire le porte a chi è debole, solo e
rifiutato. La testimonianza della vostra vita casta, povera e obbediente diverrà
così, in quest’alba del terzo millennio cristiano, trasparenza del volto amorevole
di Cristo”. Siate sempre obbedienti in Cristo, ha raccomandato
Giovanni Paolo II ai religiosi, “le vostre siano comunità responsabili in cui
gli incarichi di alcuni non siano motivo di disimpegno per gli altri; comunità
in cui tutti esercitano il discernimento, la carità che edifica, la correzione
fraterna. Mostrate al mondo come la rinuncia al proprio volere, ai propri
progetti, sia fonte di felicità e apra la via alla piena realizzazione di sé”.
RINUNCIA
In
Germania, Giovanni Paolo II ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare
della diocesi di Erfurt presentata per raggiunti limiti di età dal vescovo Reinhard
Koch.
25 ANNI FA LA VISITA DI GIOVANI PAOLO II IN TURCHIA:
L’EVENTO STORICO E’ STATO
CELEBRATO CON UNA SPECIALE CERIMONIA
NELLA NUNZIATURA DI ANKARA
- A cura di Roberta
Gisotti -
Cade domani il 25.mo anniversario della visita pastorale di Giovanni
Paolo II in Turchia: tre giorni dal 28 al 30 novembre 1979, trascorsi dal Papa
ad Ankara, Istanbul, Smirne ed Efeso.
Un evento commemorato questa settimana nella capitale turca, con una
speciale celebrazione che ha avuto luogo nella sede della Nunziatura. Alla
cerimonia, svoltasi giovedì sera, ha partecipato il cardinale Roger Etchegaray,
giunto appositamente da Roma, insieme al patriarca ecumenico Bartolomeo I, al
metropolita Irinaios Ioannidis, al nunzio mons. Edmond Farhat, all’arcivescovo
di Izmir, Ruggero Franceschini e a numerose personalità del mondo politico. Tra
queste, oltre a diversi ministri in carica e al corpo diplomatico, l’ex
presidente della Repubblica turca, Suleyman Demire, che ha tenuto una
conferenza su “L’eredità della visita”, elogiando l’impegno di Giovanni Paolo
II per la pace nel mondo e il dialogo tra le religioni.
Tra i
presenti, anche l’ambasciatore dei Paesi Bassi, che in quanto presidente di
turno dell’Unione Europea, ha preso la parola sottolineando come l’azione del
Santo Padre non si sia limitata solo alla sfera religiosa o unicamente alla
Chiesa cattolica, ma sia rivolta a tutti gli uomini di buona volontà per
trasmettere la speranza, sconfiggere la violenza ed affermare l’amore tra i
popoli.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Amato
Fratello, non mi stancherò mai di essere servo della comunione”.
Apre
la prima pagina la celebrazione ecumenica presieduta dal Santo Padre insieme
con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli per la consegna delle reliquie dei
Santi Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo.
Nelle
vaticane, due pagine dedicate, rispettivamente, all’ingresso in diocesi del
vescovo di Ferrara e del vescovo di Albano.
Nelle
estere, Ucraina: annunciata un’intesa per ripetere il ballottaggio tra Yushenko
e Yanukovic.
Iraq:
la commissione competente esclude ogni rinvio delle elezioni
generali, che rimangono confermate per il 30 gennaio.
Nella
pagina culturale, un elzeviro di Mario Gabriele Giordano dal titolo “Noterelle
sparse su Alfonso Gatto”.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema del fisco.
In rilievo
il tema della camorra.
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27 novembre 2004
IL FUTURO RUOLO DI ANKARA IN EUROPA
AL CENTRO DI UN CONVEGNO A ROMA, INTITOLATO
“TURCHIA ED UNIONE EUROPEA”
- Servizio di Giada Aquilino -
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La Turchia, cerniera,
bastione e filtro tra Europa, Medio Oriente e Caucaso meridionale. Alla vigilia
del Consiglio europeo del 17 dicembre, in occasione del quale i 25 dovranno
decidere se e quando avviare i negoziati per l’ingresso di Ankara nell’Unione Europea,
al Convegno si è discusso del possibile ruolo della Turchia nell’assetto
geopolitico europeo. Sentiamo il professor Gianfranco Lizza, docente di
Geografia politica ed economica a “La Sapienza”:
“La Turchia è sicuramente molto importante per l’Europa, perché con il
suo ingresso l’Unione Europea potrà
escludere eventuali problemi con l’islam”.
La Commissione europea, ad
ottobre, si era detta favorevole all’apertura del negoziato, ma aveva
raccomandato ad Ankara il rispetto dei diritti umani, una chiara presa di posizione
nei confronti della tortura, la garanzia della libertà religiosa. Ed Ankara ha
risposto avviando tali riforme. Ce lo conferma il politologo turco Huseyin
Bagci:
(parole in turco)
“Si tratta di riforme politiche, riforme che ha chiesto l’Unione Europea
e che hanno innalzato il livello di democrazia della Turchia. Quale altro Paese
musulmano ha attuato tali riforme? Non c’è nessun altro esempio. Entro il 17
dicembre, Ankara approverà ancora otto articoli di riforma: a partire dai
diritti umani fino ai criteri economici e politici. La Turchia sta dunque ancora
lavorando”.
Ma quali sono le prospettive per
il Consiglio europeo di dicembre? Risponde Alberto Negri, inviato speciale de
“Il Sole 24 Ore”:
“Sarà un esito
ancora interlocutorio, nel senso che all’interno della stessa Unione Europea
c’è una forte opposizione all’ingresso della Turchia, come se Ankara dovesse
entrare nel giro di pochi giorni. Ma l’ingresso della Turchia va collocato in
un orizzonte di dieci-dodici anni. I turchi chiedono negoziati nei primi sei
mesi dell’anno prossimo: in realtà, probabilmente, si arriverà all’apertura dei
negoziati tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006”.
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CONCLUSO
IL DECIMO VERTICE DEI PAESI FRANCOFONI.
APPELLO PER LA CRISI IN COSTA
D’AVORIO, DOVE MIGLIAIA DI PERSONE
FUGGONO VERSO LA LIBERIA PER
SCAMPARE AL CONFLITTO
- Intervista con Laura Boldrini -
Il conflitto
in Costa d’Avorio è al centro del decimo summit della francofonia, che si conclude
oggi a Ouagadougou. Nella bozza di risoluzione finale, le 36 delegazioni presenti
denunciano il rischio che questa crisi comporta “per tutta l’Africa
occidentale”, esigono la “stretta applicazione” degli accordi di Marcoussis e
chiedono al governo ivoriano di “porre fine alle incitazioni all’odio”. Sul
terreno, intanto, prosegue l’esodo dei civili dalle città occidentali di Guiglo
e Danane, dove la presenza delle truppe Onu non scongiura il rischio di
ulteriori violenze. Lo conferma Laura Boldrini, portavoce per l’Italia
dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, intervistata da Andrea Sarubbi:
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R. – La situazione desta
serissima preoccupazione, perché - nonostante ci sia stata una diminuzione
negli ultimi giorni – gli arrivi di ivoriani in Liberia riguardano già migliaia
di persone. Le agenzie umanitarie faticano moltissimo a portare loro aiuti,
perché nel Paese le infrastrutture sono di fatto inesistenti. Le strade ed i
ponti sono spesso distrutti, anche perché la Liberia ha vissuto 14 anni di
guerra civile, e così vengono usati gli elicotteri della UNMIL, la missione
dell’ONU che porta gli aiuti in Liberia. Ma c’è anche il problema dell’acqua,
che è molto più difficile da trasportare. Sull’intera zona esiste, inoltre, un
problema di sicurezza. È dunque in mezzo a mille difficoltà che stiamo tentando
di portare i soccorsi necessari per queste 15 mila persone.
D. – Tra l’altro, le agenzie di
stampa riferiscono di un’ulteriore difficoltà: non esiste un vero e proprio
punto di ingresso per i rifugiati, che arrivano da più parti...
R. – Il punto di ingresso non
esiste, perché ci sono circa 12 punti di entrata e le persone arrivano sulle
canoe. Tenendo presente che ci sono circa 45 chilometri di frontiera, è molto
difficile riuscire a registrare questa gente, e la registrazione è fondamentale
per potere avere accesso agli aiuti. Ora si stanno allestendo due centri in cui
alloggiare le persone, ma la maggior parte di loro vive presso le famiglie, e
già lì c’è un problema di risorse. Suddividere quello che c’è diventa veramente
molto difficile.
D. – Secondo voi, questa è una
crisi circoscritta o può allargarsi?
R. – È una crisi estremamente
delicata. Potrebbe anche avere un effetto-domino, perché la regione è in
bilico: la Liberia stessa, ripeto, esce da 14 anni di guerra, e noi dell’Alto
Commissariato ONU per i rifugiati abbiamo appena avviato un massiccio rimpatrio
per riportare a casa 340 mila liberiani, che oggi si trovano nei Paesi limitrofi.
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I
VOLONTARI DELLA FOCSIV LANCIANO LA SECONDA EDIZIONE
DELL’INIZIATIVA
“ABBIAMO RISO PER UNA COSA SERIA”,
DEDICATA
ALLA LOTTA CONTRO LA FAME NEL MONDO
-
Servizio di Massimiliano Menichetti -
“Abbiamo
riso per una cosa seria”: così la FOCSIV, la Federazione organismi cristiani servizio internazionale
volontario, lancia la
sfida alla povertà del pianeta. Da venerdì 26 a Roma, per due giorni, “I
volontari nel mondo” daranno il via ad una raccolta fondi ed alla campagna
informativa sull’attività della Federazione, incentrata sulla cooperazione internazionale.
Il servizio è di Massimiliano Menichetti.
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Il riso è il cereale più
consumato sul pianeta, alimento base di circa un terzo della popolazione
mondiale. E proprio per questo i volontari della FOCSIV hanno deciso di dare
vita alla seconda edizione della manifestazione solidale contro la fame,
intitolata “Abbiamo riso per una cosa seria”. Secondo le stime della FOCSIV,
oggi circa 800 milioni di persone muoiono di fame. Romina Pagnotti, responsabile
del progetto:
“Lo scopo principale della nostra iniziativa è quello di sostenere i
progetti di cooperazione nel sud del mondo. Attualmente, abbiamo 641 progetti
di sviluppo, che vedono impegnati 817 volontari in 86 Paesi del mondo: Asia,
Africa, America Latina, Oceania ed Europa. Per noi la lotta alla fame e alla
povertà, e soprattutto la lotta alle cause strutturali della povertà, è
l’obiettivo principale, che muove tutto il nostro lavoro, sia nel sud del mondo
che in Italia, attraverso le nostre campagne di sensibilizzazione, di lobby, di
pressione e di educazione allo sviluppo”.
Oggi e domani, “Abbiamo riso per
una cosa seria” entrerà nel vivo e partirà la campagna di raccolta dei fondi:
“Abbiamo
allestito nelle principali piazze di Roma e nelle sedi CONAD dei banchetti di
solidarietà, dai quali distribuiremo al pubblico confezioni di riso, chiedendo
un piccolo contributo e facendo conoscere quello che è il ventaglio delle
attività FOCSIV”.
La FOCSIV, da oltre 30 anni,
lotta perché una necessità elementare e primaria come il cibo sia garantita a
tutti. Ma lavora soprattutto per dare a chi ne ha bisogno gli strumenti per
rendersi autonomo. Ancora Pagnotti:
“Diciamo che la
scelta della FOCSIV è quella di intervenire con progetti di sviluppo, che diano
alle popolazioni le strutture e gli strumenti per uscire fuori con le loro
forze dal problema della fame e della povertà. Almeno ci proviamo. Per questo
motivo, abbiamo progetti multisettoriali che spaziano dall’educazione,
all’assistenza sanitaria, alla costruzione di infrastrutture. Sicuramente il
nostro obiettivo è quello non di fare assistenza, ma di fornire gli ‘strumenti
per’”.
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INAUGURATA A TORINO LA MOSTRA “GLI IMPRESSIONISTI
E LA NEVE.
LA
FRANCIA E L’EUROPA”. LA RASSEGNA, UN OMAGGIO PER LE OLIMPIADI
INVERNALI
2006, RIMARRA’ APERTA FINO AL PROSSIMO 25 APRILE
-
Servizio di Barbara Castelli -
“Gli
impressionisti e la neve. La Francia e l’Europa”. E’ il titolo che accompagna
la singolare rassegna sbarcata oggi a Torino, in vista delle Olimpiadi invernali
del 2006. La mostra, organizzata congiuntamente da Linea d’Ombra, la città di
Torino, la regione Piemonte, il Toroc e la Fondazione Torino Musei, sarà aperta
fino al prossimo 25 aprile. Il servizio di Barbara Castelli:
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(musica)
Un lungo e affascinante viaggio
attraverso uno dei temi più luminosi e fiabeschi, con i quali si sia misurata
la grande pittura di paesaggio del XIX secolo: l’inverno e la neve. Sono in
tutto 150 i preziosi dipinti, da Claude Monet, a Paul Gauguin e Vincent Van
Gogh, che animano la rassegna “Gli impressionisti e la neve. La Francia e
l’Europa”, allestita nelle sale della Promotrice di Belle Arti a Torino. Il
percorso espositivo, in un’atmosfera quasi irreale attraverso le variegate
sfumature del bianco, si sviluppa attraverso due sezioni. La prima ha come tema
la pittura di neve in Europa, al di fuori della Francia. Circa cento opere,
suddivise per aree geografiche, delineano così l’ampia storia tematica della
pittura del secondo Ottocento, con autori più o meno noti, fino ai paesaggi di
neve dipinti da Edvard Munch. Con la seconda sezione, invece, si entra in
territorio francese, per accostare l’altro nucleo della mostra.
Ma cosa rappresenta per il
movimento dell’Impressionismo il tema della neve e dell’inverno? Ci risponde
Marco Goldin, curatore della mostra:
R. – Quello della neve è un tema
che ha affascinato a lungo i pittori impres-sionisti, Monet in modo
particolare. La neve serve a modificare radicalmente il tono della pittura. Il
dato atmosferico della pittura ci si propone in primissimo piano e l’idea del
racconto esce – per così dire – dai dipinti. Questa è un po’ la differenza
rispetto agli altri grandi Paesi europei: il racconto, la necessità di
collocare delle storie nel paesaggio, in questo caso sulla coltre della neve,
per gli impressionisti non conta più.
D. – Dalle tele traspira in qualche modo anche un po’ della condizione
umana dell’epoca?
R. – Diciamo che soprattutto l’ambito est-europeo e
magari, parzialmente, della Scandinavia ci mostra anche la condizione umana di
quel tempo, che a volte è molto difficile. La Francia ci mostra, invece,
qualcosa di diverso e che ha a che fare con la conquista dell’aspetto luminoso,
del colore, per quanto si parli di bianco. Sarà, infatti, molto bello ed
interessante vedere come tanti colori si appoggino e siano impastati al bianco.
(musica)
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Domani,
28 novembre, prima Domenica d’Avvento e del nuovo anno liturgico, il Vangelo ci
propone il brano in cui Gesù, parlando con i discepoli, ricorda il diluvio ai
tempi di Noè e li invita a vegliare perché non si sa in quale
giorno il Signore verrà:
“Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro,
veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state
pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà”.
Su queste parole ascoltiamo il commento del teologo gesuita, padre Marko
Ivan Rupnik:
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Ogni
volta che si parla della venuta del Signore o del suo giorno, della sua ora,
Cristo insiste che bisogna essere pronti, essere svegli, vegliare, essere
preparati perché non si sa né il giorno né l’ora della sua venuta e la sua
venuta ha anche un aspetto terribile. Sarà come nei giorni di Noé, una tragedia.
La morte attraverserà il mondo ma, per chi sarà pronto, sarà una liberazione:
il tempo dell’amore, il tempo in cui tutto mi parlerà dell’amato. La sua
presenza si fa fitta perciò chi ama riesce a riconoscerla e gioirne. Tutto
diventa un ricordo dell’amato. L’amore ci fa contemplativi e pronti. Ecco
l’Avvento, il tempo di un’attesa contemplativa. Si va verso l’incontro con il
Signore, altrimenti non ci si accorge di niente, si vive nella miopia del
quotidiano. Ma perdere l’appuntamento con il Signore infatti significa perdere
la vita ed essere inghiottiti come nei giorni di Noé.
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27
novembre 2004
I
CITTADINI ELVETICI SONO CHIAMATI DOMANI ALLE URNE PER IL REFERENDUM
SULLA LEGGE CHE
AUTORIZZA LA RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI.
LA CONFERENZA EPISCOPALE
HA DIFFUSO UNA NOTA
PER RIBADIRE IL NO AL
PROVVEDIMENTO
- A cura di Ignazio
Ingrao -
GINEVRA. = Approvata dal
Parlamento svizzero nel dicembre 2003 a larga maggioranza, la nuova legge
autorizza la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Il provvedimento
consente ai ricercatori di ricavare cellule staminali dagli embrioni
soprannumerari, cioè nati dalla fecondazione in vitro ma rimasti inutilizzati.
Non sarà invece possibile creare embrioni a scopo di ricerca o per fabbricare
un clone. Il referendum contro la legge è stato promosso dai Comitati per il
“Sì alla vita”, dall' “Aiuto svizzero per madre e bambino” e dal “Basler Appell
gegen Gentechnologie” che raggruppa i movimenti contro l’ingegneria genetica. I
promotori contestano l'uso di embrioni per la produzione di cellule staminali
poiché, ricordano, l’embrione è una persona umana e non può essere considerato
un semplice “materiale” da usare per la sperimentazione. La Conferenza
episcopale svizzera ha diffuso una nota per ribadire il no alla legge e
un’analoga posizione è stata espressa dall’associazione dei Medici cristiani.
Al voto sono chiamati quattro milioni e 700 mila cittadini: l’esito della
consultazione appare incerto anche se nei sondaggi il sì alla legge risulta in
leggero vantaggio.
un’indagine promossa dal centro internazionale studi
famiglia denuncia
la carenza di servizi e assistenza ai disabili quando
viene meno il supporto della famiglia di origine. i risultati sono stati discussi
nel corso di un convegno internazionale che si e’ svolto ieri a milano
- A cura di Fabio Brenna -
MILANO. = L’assistenza alle persone adulte disabili
che rimangono prive di genitori è oggi una vera e propria emergenza sociale.
Secondo i dati della ricerca curata dal Cisf – Centro internazionale di studi
sulla famiglia - presentati nel convegno internazionale a Milano “Dopo di noi,
insieme a noi”, sono circa 700.000 i disabili gravi che vivono in famiglia e
che dovranno pertanto affrontare il problema dell’invecchiamento e della
perdita dei genitori, appunto il “dopo di noi” che ha dato il titolo alla
ricerca e al convegno. Le risposte tradizionali che prevedevano il ricovero in
istituto non vengono più percepite come soddisfacenti, in quanto incapaci di
offrire quelle relazioni calde e quella qualità familiare della cura così
tenacemente e faticosamente offerta da tante famiglie. La ricerca evidenzia poi
come nei genitori anziani si ingeneri un crescente senso di angoscia e di paura
nella prospettiva di non poter più provvedere in prima persona al proprio
figlio disabile e di non avere una soluzione concreta al problema del “dopo di
noi”. Attraverso un confronto con esperienze europee, ma anche della
Nuova Zelanda, si è visto come la sfida sia quella di leggere come unica
e originale la situazione di ogni persona disabile e costruire così una
collaborazione reale tra famiglia e risorse esterne - servizi pubblici,
associazionismo e privato-sociale. Una
realtà questa già avanzata in molte realtà straniere, mentre in Italia sono più
numerose le famiglie che a tutti i costi resistono ad occuparsi dei disabili in
prima persona, acuendo così il problema del “dopo”. Molto interessante il
decalogo in cui vengono descritti dal Cisf i dieci punti irrinunciabili del
“dopo di noi”, in cui si punta ad esempio a creare “famiglie
integrative”, che si assumano cioè l’impegno di prendersi cura del disabile quando
questi perda i genitori, realizzando così quella che è stata chiamata “eredità
del cuore”.
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GIORNALISTI E COLLABORATORI DELLA TELEVISIONE PUBBLICA UCRAINA
HANNO SCIOPERATO PER
DENUNCIARE LA MANIPOLAZIONE DELLE INFORMAZIONI
SULLE RECENTI ELEZIONI E
HANNO RICEVUTO LA SOLIDARIETA’
DELL’ORGANIZZAZIONE
“REPORTER SENZA FRONTIERE”
KIEV. = E’ stata corale
l’adesione allo sciopero proclamato il 25 novembre dai giornalisti e
collaboratori dell’emittente televisiva pubblica ucraina UT-1 per denunciare pressioni e censure sull’informazione relativa
ai risultati delle recenti elezioni e alle proteste che ne sono seguite. Anche
i giornalisti e dipendenti delle emittenti televisive private filogovernative 1+1 e Inter hanno ufficialmente protestato contro la censura in atto. I
giornalisti di UT-1 hanno diffuso una
dichiarazione per denunciare “la copertura informativa unilaterale” degli
avvenimenti in corso che “priva i cittadini ucraini di informazioni importanti”,
e hanno chiesto di poter diffondere immagini in diretta dalla piazza centrale
di Kiev “dove si sta scrivendo la storia del nostro Paese”. Hanno lamentato
inoltre l’uso sistematico di “temnyks”, le istruzioni segrete impartite
dall’amministrazione presidenziale alle redazioni per indicare la maniera in
cui deve essere data la copertura informativa delle notizie. I giornalisti
hanno quindi sollecitato la direzione dell’emittente televisiva pubblica
affinché esprima ufficialmente il sostegno alle televisioni private di
opposizione Kanal 5 ed Era, accusate dall’attuale presidente
della repubblica, Leonid Koutchma, di “preparare un colpo di Stato” e
minacciate di chiusura. “Reporter senza frontiere” ha manifestato appoggio ai
colleghi ucraini: “Siamo solidali con i giornalisti che lottano contro la
censura di cui sono sistematicamente oggetto”, ha dichiarato l’organizzazione
internazionale per la libertà di stampa ed ha esortato le autorità ucraine a
“non chiudere Kanal 5, l’unica rete
nazionale dell’opposizione, perché una decisione in questo senso avrebbe gravi
conseguenze nell’escalation repressiva contro i media non asserviti al potere”.
La protesta sembra aver già prodotto qualche risultato positivo, perché le
emittenti ucraine hanno cominciato a diffondere le immagini delle
manifestazioni organizzate dai sostenitori delle opposizioni. (I.I.)
75
ANNI FA PAPA PIO XI FONDAVA IL PONTIFICIO COLLEGIO RUSSO DI ROMA.
L’ANNIVERSARIO E’ STATO RICORDATO OGGI CON UNA CELEBRAZIONE
ALLA PRESENZA
DELL’ESARCA DI SOFIA E DEL PREFETTO
DELLA CONGREGAZIONE PER
LE CHIESE ORIENTALI
ROMA. = Con la Costituzione apostolica “Quam Cura”, il 15 agosto del 1929
Papa Pio XI fondava il Pontificio Seminario Russo e lo affidava alla Compagnia
di Gesù. La Costituzione apostolica stabiliva che scopo del Seminario doveva
essere quello di accogliere anzitutto “i giovani appartenenti alla Russia e di
rito slavo-bizantino”, curando la loro formazione al sacerdozio affinché
divenissero capaci di esercitare il loro ministero a servizio dei fedeli della
Russia gravemente provati dal regime comunista. “Prima di tutto sarà necessaria
l’istruzione, l’educazione per questi futuri annunciatori del Vangelo, formati
ad una solida pietà e scienza, avendo cura che siano animati da uno zelo
apostolico per procurare e lavorare per l’unità cattolica, e siano muniti di
qualità e di mezzi atti a questo scopo: la conoscenza della storia e dei
costumi della regione a cui appartengono questi popoli, imparare le cerimonie
del rito slavo bizantino, confutare intelligentemente gli errori di quella
regione”, scriveva Pio XI nella Costituzione apostolica. Tra i sacerdoti e gli
ex alunni del “Russicum” si annovera anche il vescovo martire Theodor Romza,
proclamato beato nel giugno del 2001, e tra i docenti il poeta Viaceslav
Ivanov, che coniò l’immagine dell’Europa chiamata a respirare con due polmoni,
l’Oriente e l’Occidente. Per ricordare questo anniversario, questa mattina
l’Esarca di Sofia in Bulgaria, mons. Christo Proykov, ha celebrato una divina liturgia
alla presenza del prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, cardinale
Ignace I Moussa Daoud. Nel pomeriggio, un incontro a più voci ripercorrerà la
vita del Collegio, dalla nascita ad oggi. Interverranno tra gli altri, il
segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, mons. Antonio Maria
Vegliò, e il preposito generale dei Gesuiti, Peter Hans Kolvenbach. (I.I.)
CENTOmila
volontari oggi sono davanti a 4 mila supermercati italiani
per
raccogliere generi alimentari da distribuire ai poveri attraverso
i
6.800 enti che fanno capo al banco alimentare
MILANO. = E' possibile
nella giornata di oggi aiutare concretamente i poveri che vivono in Italia,
che, secondo alcune recenti rilevazioni, raggiungono quasi il 12% della
popolazione. Si sta svolgendo infatti in tutto il Paese l’annuale Giornata
nazionale della colletta alimentare. Tra i volontari ci sono anche il
conduttore televisivo Paolo Brosio e il pilota Giancarlo Fisichella. A quanti
si recano a fare la spesa al supermercato i volontari chiedono di donare
alimenti - preferibilmente olio, omogeneizzati ed alimenti per l'infanzia, tonno
e carne in scatola, pelati e legumi - che saranno distribuiti a più di un
milione di indigenti attraverso gli oltre 6.800 enti convenzionati con il Banco
Alimentare (mense per i poveri, comunità per minori, centri di solidarietà).
Nella giornata del 2003, gli italiani hanno donato 5.701 tonnellate di cibo
pari a 19 milioni di euro. La Giornata nazionale della colletta alimentare è
organizzata dalla Fondazione Banco Alimentare Onlus e dalla Federazione
dell'Impresa Sociale Compagnia delle Opere, in collaborazione con
l'Associazione Nazionale Alpini e la Società San Vincenzo De Paoli.
All’iniziativa hanno contribuito gratuitamente anche diverse agenzie e concessionarie
pubblicitarie.
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27 novembre 2004
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
In Ucraina i due candidati alla presidenza,
il primo ministro Yanukovic e il
leader dell’opposizione Yushenko
hanno espresso il loro assenso per la ripetizione del ballottaggio. La
prospettiva di una nuova consultazione è stata annunciata durante
l’odierna riunione straordinaria del parlamento ucraino, che ha dichiarato non
valido il risultato del ballottaggio di domenica scorsa. Il nostro servizio:
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I due rivali per la presidenza dell’Ucraina
“non sono contrari alla prospettiva di risolvere la loro disputa con un nuovo
ballottaggio”. Lo ha indicato il leader socialista ucraino Moroz, alleato di Yushenko,
intervenendo alla sessione straordinaria della Rada, il parlamento ucraino. Il
portavoce di Yanukovic ha
sottolineato come l’esito della consultazione debba essere considerato nullo.
L’accordo tra i due candidati per la ripetizione del voto è stato auspicato
anche dall’UE. La Rada, infatti, può censurare l’operato delle autorità
preposte a vigilare sulla regolarità della consultazione, il cui esito è stato
congelato dalla Corte Suprema, chiamata ad esaminare lunedì prossimo le denunce
per brogli. La strada dei negoziati, coronata dalla proposta di un nuovo
appuntamento elettorale, è stata aperta ieri con l’annuncio di un vertice a quattro tra il
presidente uscente Kuchma, i due candidati e il presidente del parlamento
Litvin. La decisione di avviare i colloqui tra le parti è stata presa dopo
l’incontro con i mediatori: i presidenti di Polonia e Lituania, il responsabile della politica estera
dell’UE, il segretario dell’OSCE ed il presidente della Duma di Mosca. In
questa occasione il candidato filo occidentale Yushenko aveva ribadito la necessità di indire nuove
elezioni indicando la data del prossimo 12 dicembre. Un’urgenza riconosciuta
nell’odierna riunione della Rada anche dal candidato filo russo Yanukovic.
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Al momento i disaccordi tra il
primo ministro Yanukovic e il candidato
dell’opposizione Yushenko sembrano dunque essere stati messi da parte. Ma cosa
rischierebbe l’Ucraina se le proteste di piazza riprendessero a oltranza?
Risponde Pierantonio Lacqua, responsabile della sede ANSA di Mosca:
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Il Paese si sta riprendendo dopo
la crisi economica del 1998. E’ un Paese ancora fragile e molto più povero
anche della Russia, che problemi grossi ne ha. Il rischio più grande di questi
giorni è che se lo scontro tra il filo-occidentale Yushenko e il filo-russo Yanukovic continuasse si potrebbe
addirittura arrivare alla spaccatura del Paese, cioè ad una guerra civile alla
fine della quale le regioni ‘russificate’ dell’est si staccherebbero da quelle
‘occidentalizzate’ dell’ovest. Quindi l’Ucraina, che ha una identità nazionale
molto fragile e complessa, in questi giorni rischia veramente la sopravvivenza.
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Una strada affollata di Baghdad, una bomba collocata sul bordo di un
marciapiede nei pressi della banca centrale e una potente esplosione: è la
tragica sequenza dell’ennesimo attentato, compiuto in Iraq dalla guerriglia,
che ha provocato la morte di due civili ed il ferimento di altre quindici
persone. Un soldato americano è rimasto ucciso, inoltre, per la deflagrazione
di un ordigno avvenuta a nord della capitale. Violenze anche a Baquba dove due
guardie del corpo del governatore di Diala sono state uccise per errore da
militari statunitensi. Sul versante politico, il presidente della Commissione
elettorale ha escluso oggi un possibile rinvio delle elezioni, previste il
prossimo 30 gennaio. E’ stata così respinta la richiesta, avanzata ieri dai
rappresentanti di diversi partiti moderati, di posticipare la consultazione.
Restiamo
in Medio Oriente, dove il leader di Al Fatah in Cisgiordania, Marwan Barghuti,
ha annunciato che non si candiderà alle presidenziali palestinesi previste il
prossimo 9 gennaio. Barghuti, che sta scontando 5 ergastoli in un carcere
israeliano, ha anche invitato i propri sostenitori a votare per il candidato
ufficiale di Al Fatah, l’ex premier Abu Mazen. E’ stata così scongiurata una
pericolosa spaccatura all’interno del partito fondato da Arafat.
L’Iran ha smentito di aver
raggiunto un accordo con l’Europa in merito alla risoluzione sul nucleare, che
Francia, Germania e Gran Bretagna intendono sottoporre al Consiglio dei
Governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Il ministro
degli Esteri di Teheran, Kamal Kharrazi, ha anche negato che il suo Paese abbia
rinunciato alla richiesta di mantenere in funzione 20 centrifughe per “attività
di ricerca”.
In Birmania sono stati rilasciati ieri sera oltre 9.000 prigionieri, che
la giunta militare aveva recentemente promesso di scarcerare. Tra i detenuti
liberati, ci sono anche una quarantina di dissidenti. Il principale partito
dell’opposizione, la ‘Lega Nazionale per la Democrazia’ del Premio Nobel per la
Pace, Aung San Suu Kyi, sperava invece nel rilascio di circa quattrocento attivisti.
Doppio appuntamento elettorale domani in Romania. Diciotto milioni di
cittadini andranno alle urne per eleggere il nuovo capo dello Stato al posto
dell’uscente Iliescu e per rinnovare il Parlamento di Bucarest. Si tratta di
consultazioni dall’esito molto incerto, come ci riferisce Emiliano Bos:
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Dopo 15 anni ininterrotti al
potere e tre mandati consecutivi, il presidente Jon Iliescu non potrà
ricandidarsi perché glielo impedisce la Costituzione. A contendersi la sua
poltrona saranno in 12, ma soltanto due candidati hanno reali possibilità di
arrivare al ballottaggio. Adrian Nastase, attuale primo ministro e presidente
del partito socialdemocratico, e Traian Basescu, sindaco di Bucarest e leader dell’alleanza di
opposizione “Giustizia e Verità”, che riunisce liberali e democratici. Per la
prima volta dalla caduta di Ceausescu nel 1989, appare difficile prevedere la
vittoria di uno dei due schieramenti, che i sondaggi indicano in sostanziale
parità. Difficile, comunque, che possa superare il primo turno
l’ultranazionalista Vadim Tudor, capo del partito “Romania grande”. Gli
ex-comunisti di Iliescu si presentano come riformisti, autori della crescita
economica e garanti dell’ingresso nell’Unione Europea nel 2007, mentre
l’opposizione denuncia corruzione e debolezza del sistema sociale.
Per la Radio Vaticana, Emiliano
Bos.
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