RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 82 - Testo della Trasmissione di lunedì 22 marzo 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La Santa Sede depreca l’attacco israeliano di questa mattina a Gaza, che ha causato la morte dello sceicco Yassin e di altre 8 persone.

 

“L’amore è più forte dell’odio e della morte”: il richiamo del Papa, ieri all’Angelus, ad una speranza più grande delle violenze e delle tragedie che scuotono il mondo di oggi. Ne parliamo col teologo don Bruno Forte.
 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Tensione alle stelle in Medio Oriente dopo l’uccisione dello sceicco Yassin, guida spirituale del movimento estremista Hamas, che promette nuove stragi e l’Unione Europea condanna l’attacco israeliano: intervista con Guido Olimpio.

 

Oggi la Giornata Mondiale dell’Acqua: nel 2025 tre miliardi di persone saranno prive di risorse idriche se non si prenderanno in tempo misure preventive: con noi Riccardo Petrella e Raia Hatoum.

 

Elezioni presidenziali in Salvador: l’imprenditore Antonio Saca, candidato della destra, batte l’ex leader della guerriglia di sinistra Shafik Handal: ce ne parla Maurizio Chierici.

 

Prende il via oggi a Milano il XIV Festival del Cinema africano, d’Asia e America Latina: ai nostri microfoni la direttrice Anna Maria Gallone.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Chiesa di Nampula unita contro il traffico di organi e minori: in un documento la Comunità cattolica del Mozambico ripudia le calunnie diffuse da alcuni organi di stampa contro il lavoro delle suore del “Mater Dei”.

 

Scomparse almeno 50 persone in Thailandia dall’avvio della legge marziale.

 

Iniziativa della Chiesa birmana in favore dei bambini.

 

In Lussemburgo ha preso il via l’incontro della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria dei Paesi europei, che si concluderà il prossimo 24 marzo.

 

Il figlio di Sonia Ghandi concorrerà con il partito del Congresso alle prossime elezioni parlamentari in India.
 

24 ORE NEL MONDO:

La lotta al terrorismo in primo piano alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea.

 

Alle elezioni regionali, la Francia sterza a sinistra.

 

In Nepal, oltre 500 morti in scontri tra esercito e ribelli maoisti.

 

Vittoria degli islamici moderati alle elezioni legislative in Malaysia.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

22 marzo 2004

 

 

LA SANTA SEDE DEPRECA L’ATTACCO ISRAELIANO DI QUESTA MATTINA A GAZA

CHE HA CAUSATO LA MORTE DELLO SCEICCO YASSIN E DI ALTRE 8 PERSONE

 

La Santa Sede – ha affermato oggi il direttore della Sala Stampa vaticana Joaquìn Navarro Valls - si unisce alla comunità internazionale nel deprecare questo atto di violenza non giustificabile in alcun Stato di diritto.

 

La posizione e i sentimenti della Santa Sede - prosegue Navarro Valls - sono chiaramente espressi dalle parole del Santo Padre al Corpo Diplomatico del 12 gennaio scorso, quando il Papa ha ripetuto "ai responsabili di questi due popoli: la scelta delle armi, il ricorso, da una parte al terrorismo e dall’altra alle rappresaglie, l’umiliazione dell’avversario, la propaganda astiosa, non conducono da nessuna parte. Solo il rispetto delle legittime aspirazioni degli uni e degli altri, il ritorno al tavolo dei negoziati e l’impegno concreto della comunità internazionale possono condurre all’inizio di una soluzione".

 

La pace autentica e duratura – conclude il portavoce vaticano - non può essere frutto di una semplice esibizione di forza; "essa è soprattutto frutto di un’azione morale e giuridica".

 

 

IL RICHIAMO DEL PAPA, IERI ALL’ANGELUS, AD UNA SPERANZA PIU’ GRANDE

DELL’ODIO E DELLE TRAGEDIE CHE SCUOTONO IL MONDO DI OGGI

- Intervista con il teologo Bruno Forte -

 

“Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo”. E’ una frase del Cantico dei Cantici a fare da ideale contrappunto all’affermazione del Papa, ieri all’Angelus: “L’amore è più forte dell’odio e della morte”. Se le stragi del terrorismo e la catena di odio, violenze e rappresaglie che scuote il Medio Oriente, da Gerusalemme a Baghdad, appaiono come onde di una tempesta cieca che può seminare morte in modo indiscriminato, le parole di Giovanni Paolo II - quasi come un’eco di uno dei più celebri cantici della Bibbia – riaffermano la supremazia dell’amore di Dio sulla brutalità del mondo. Parole che restituiscono lo spazio ad una speranza non solo umana nei cuori di chi – soprattutto in Occidente, dopo la tragedia madrilena – vive condizionato da sentimenti di paura, di avversione, di rivalsa. Ne è convinto il teologo don Bruno Forte, che ha recentemente predicato in Vaticano gli esercizi spirituali della Quaresima alla presenza del Papa e della Curia. L’intervista è di Alessandro De Carolis:

 

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R. – Il Papa ha detto ancora una volta semplicemente la verità: e la verità è che se si risponde all’odio, alla barbarie terroristica, con la violenza, con la guerra, con le cosiddette bombe intelligenti, la spirale dell’odio e della violenza non si fermerà mai. L’unica maniera per superare la tragedia che tutti stiamo vivendo è quella di scegliere la via del dialogo, della riconciliazione e del perdono, di una pace costruita nella giustizia per tutti. Ed è questo che il Papa ha affermato in tutto il suo magistero riguardo alle vicende della guerra in Iraq, ribadendolo poi con forza con quel suo: “El amor es mas fuerte que la muerte”.

 

D. – Quella di Giovanni Paolo II è parsa quasi una parafrasi di un versetto del Cantico dei Cantici che dice “perché forte come la morte è l’amore”. Ma ieri il Papa ha detto di più: “L’amore è più forte dell’odio e della morte”. Un richiamo ad una speranza più grande delle nostre paure…

 

R. – A me sembra che nell’amore, così come il Papa ce ne parla, si deve credere giocando se stessi. Dunque, è una sfida a seguire Colui che impersona la rivelazione dell’amore: Gesù. Davvero è un richiamo ad una speranza non solo più grande delle nostre paure, ma anche più grande delle nostre speranze umanamente possibili. E’ una sfida a credere nell’impossibile possibilità di Dio: è su questo che io credo noi dobbiamo tutti deciderci e giocare la nostra esistenza, non solo gli umili della terra, come tutti noi, ma anche tutti quelli che si considerano i grandi della terra, sapendo che se continuano a calcolare con la legge della forza, l’odio l’avrà vinta. Se cominciano a calcolare con la forza delle leggi, soprattutto con il primato della giustizia, dell’amore, della riconciliazione e del perdono, allora un mondo migliore potrà nascere per tutti.

 

D. – Accade sempre che, soprattutto in momenti critici della collettività, si assista ad un moltiplicarsi di slogan: ideologici e politici. Cosa può fare il credente per non rischiare di confondere le parole del Papa con questa ridda di voci?

 

R. – Il surplus che c’è nelle parole del Papa è esattamente questa apertura al mistero santo di Dio, del suo amore che supera ogni calcolo e ogni misura. Proprio per questo, quello del Papa non è un pacifismo ideologico, a buon mercato, che si contenta di slogan e che casomai unisce agli slogan la violenza verbale e qualche volta perfino fisica verso chi non la pensa come lui. Quella del Papa è la testimonianza altissima del primato della carità spinta fino in fondo. E’ questo l’amore di cui abbiamo bisogno. Per rimanere, come ieri il Papa, allo spagnolo, c’è un bellissimo proverbio che ho imparato in America Latina che dice: “El que ama se compromete hasta el final”, colui che ama si impegna - si sporca le mani, oserei dire - fino in fondo. E’ questo l’amore, tutt’altro che sentimentale e facile ma esigente e costoso, che il Papa indica come la via della risoluzione del conflitto.

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UDIENZE E NOMINE

 

Il Papa oggi ha ricevuto alcuni vescovi della Conferenza episcopale australiana in visita ad Limina e il cardinale Pierre Nasrallah Sfeir, Patriarca di Antiochia e dei Maroniti.

 

Sempre oggi il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Regensburg (Germania), presentata da mons. Vinzenz Guggenberger, per raggiunti limiti di età.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre con il solenne rito di beatificazione: nella domenica “Laetare” il Papa ha elevato agli onori degli altari quattro “testimoni di consolante speranza’: un sacerdote lombardo, due religiose spagnole ed una religiosa calabrese.

La prima pagina è poi fortemente caratterizzata dal titolo: “L’amore è più forte dell’odio e della morte!”: all’Angelus l’esortazione di Giovanni Paolo II agli spagnoli a mantenere la speranza anche davanti al dolore per le vittime dell’attentato a Madrid.

 

Nelle vaticane, l’omelia del Santo padre durante la Concelebrazione Eucaristica – nell’Aula Paolo VI – presieduta in occasione dell’incontro con quattro comunità parrocchiali romane. Un’omelia nel ricordo della Giornata Mondiale della Gioventù del 2000 a Tor Vergata: “Dalla Croce il coraggio per evangelizzare il nostro mondo così travagliato da divisioni, odi, guerre, terrorismo”.

Il Messaggio del Papa a P. Bernardo D’Onorio, abate di Montecassino, in occasione del LX anniversario della distruzione-ricostruzione di Montecassino e del XL della proclamazione di San Benedetto patrono d’Europa.

 

Nelle estere, Medio Oriente: ucciso il leader del movimento islamico Hamas; stato di massima allerta in Israele.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Franco Lanza sul volume postumo “Un critico a Roma”: gli scritti di Filiberto Mazzoleni sugli autori con i quali aveva intessuto un amichevole dialogo.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo le manifestazioni di sabato, a Roma, contro la guerra in Iraq: strascichi polemici dopo alcuni episodi di violenza e di intolleranza.  

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

22 marzo 2004

 

 

TENSIONE ALLE STELLE IN MEDIO ORIENTE

DOPO L’UCCISIONE DELLO SCEICCO YASSIN, GUIDA SPIRITUALE DI HAMAS

- Intervista con Guido Olimpio -

 

Tensione altissima in Medio Oriente dopo l’uccisione dello sceicco Ahmed Yassin, fondatore e leader spirituale del gruppo estremista Hamas, centrato da un razzo, sparato dagli israeliani, mentre usciva questa mattina da una moschea di Gaza. Con lui sono morti altri 8 palestinesi, tra cui uno dei suoi figli. Hamas giura vendetta e minaccia nuove stragi. Scontri sono in corso in tutti i Territori. Il premier israeliano Sharon ha detto che “è diritto del popolo ebreo colpire chi si alza per colpirlo” e ha aggiunto: “La guerra al terrorismo non è finita e continuerà giorno per giorno, ovunque”. Preoccupazione nella comunità internazionale. Gli Stati Uniti fanno sapere che non erano stati avvertiti dell’attacco israeliano. Il servizio di Graziano Motta.

 

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Centinaia di migliaia di persone, molti guerriglieri mascherati partecipano, nelle vie di Gaza, ai funerali dello sceicco Yassin gridando vendetta fra spari di armi da fuoco. Scuole, negozi ed uffici sono chiusi e dalle moschee si ripete l’annuncio dell’uccisione di un martire. Guerriglieri sparano obici di mortaio e razzi contro insediamenti ebraici. In uno scontro con soldati a Khan Yunes, 5 manifestanti palestinesi sono stati feriti; un ragazzo, coinvolto negli incidenti, è stato ucciso. Manifestazioni si svolgono pure in molte località di Cisgiordania. A Nablus dei soldati hanno colpito a morte un giornalista palestinese. A Sud di Betlemme, dimostranti hanno ferito un bambino israeliano. In Israele, nei pressi di Tel Aviv, un palestinese ha attaccato e ferito 3 israeliani, due dei quali sono in gravi condizioni. Scontri fra i soldati e manifestanti a Gerusalemme Est. Sul piano politico, il movimento Hamas, in un comunicato e in dichiarazioni dei suoi portavoce afferma che porterà la morte in Israele e non si acquieterà finché non avrà eliminato il primo ministro Sharon. L’Autorità Palestinese, che ha decretato tre giorni di lutto, parla di un crimine ignobile, codardo e pericoloso. Personalità vicino ad Arafat temono che Israele colpisca adesso Arafat attorno al quale è stata rafforzata la protezione. Arafat è indicato al ministero della difesa come più pericoloso di Yassin, “perché - ha detto il consigliere di Sharon, Amos Gilad – camuffa le attività terroristiche sotto le sembianze di un pacifista”. L’ambasciatore Avi Pazner, portavoce del governo Sharon, ha detto di sperare adesso che, attenuatasi l’influenza negativa dello sceicco Yassin, possa emergere una leadership palestinese più moderata che comprenda come violenza e terrorismo non diano speranze e che il solo modo di far avanzare le cose è un dialogo con Israele.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Sull’uccisione dello sceicco Yassin ascoltiamo il commento di Guido Olimpio, inviato del Corriere della Sera in Medio Oriente, al microfono di Roberto Piermarini:

 

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R. – Mai azione mirata era stata annunciata come questa. Gli israeliani vogliono demolire le strutture, i capi e i dirigenti di Hamas prima di un eventuale ritiro da Gaza. Quindi il primo obiettivo è quello di decapitare – per quello che è possibile – l’organizzazione Hamas, anche se non è facile. Il secondo punto è quello di gettare molta confusione in campo avversario. Non c’è dubbio che Hamas reagirà ma, al tempo stesso, dovrà riorganizzarsi, perché Yassin era Yassin, era il fondatore, la guida spirituale e non è quindi facile rimpiazzarlo.

 

D. – Una morte annunciata, perché più volte avevano tentato di ucciderlo. Come mai non aveva cambiato le sue abitudini?

 

R. – Questo è il fatto più sorprendente. Proprio pochi giorni fa c’erano notizie che i dirigenti di Hamas sapevano che stava per arrivare un colpo duro, molto duro. Il fatto che Yassin sia andato alla Moschea, la mattina, senza alcuna precauzione, è sorprendente. Forse perché riteneva che fosse un destino ineluttabile. C’è anche una sorta di fatalismo che caratterizza questi leader, soprattutto se oltre ad essere leader di un gruppo è anche guida spirituale.

 

D. – Cosa potrà succedere ora con la morte di Yassin?

 

R. – Sicuramente avremo un’ondata di violenza senza precedenti e temo attentati già dalle prossime ore. Ritengo che ci sarà ancora più confusione e caos in campo palestinese, dove oggi abbiamo un Arafat dimezzato ma Hamas è molto forte ed in ascesa; però è anche un Hamas senza capo. Io ritengo quindi che ci possa essere il rischio di un’ulteriore frammentazione sul terreno.

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OGGI LA GIORNATA MONDIALE DELL’ACQUA

- Intervista con Riccardo Petrella e Raia Hatoum -

 

Creare sinergie per migliorare i piani di gestione dei bacini idrici ed evitare così disastri ambientali. E’ l’invito del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, contenuto nel messaggio per la Giornata Mondiale dell'Acqua, che si celebra oggi. Il tema di questa edizione è “Acqua e disastri”, una relazione che ha provocato negli anni considerevoli perdite di vite umane ed enormi danni economici. Con questa giornata si vuole ribadire ancora l’importanza dell’acqua come diritto umano, come bene comune e non soltanto economico. Il servizio è di Benedetta Capelli.

 

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Solo nel dicembre scorso si è chiuso l’Anno internazionale dell’acqua, promosso dall’assemblea generale delle Nazioni Unite. Un’occasione nata in conseguenza dell’impegno assunto dal Vertice del Millennio nel 2000 nel quale i leader mondiali concordarono di dimezzare la percentuale di coloro che non hanno accesso all’acqua, entro il 2015. L’attenzione verso il problema acqua è cresciuta, ma i nove anni che ci separano da quella data sembrano pochi per risolvere i problemi più urgenti. E’ calcolato che nel 2025 tre miliardi di persone saranno prive d’acqua, sono 2 miliardi coloro che non dispongono di servizi igienici ed impianti fognari adeguati, causa principale di malattie mortali. Sono soprattutto i Paesi più sottosviluppati a vivere in emergenza costante: è stimato che 80 milioni di persone soffrono la fame in conseguenza della mancanza d’acqua. Riccardo Petrella, segretario del Comitato internazionale per il contratto mondiale sull’acqua, insiste su questo binomio:

 

“Il fatto che nel Paese più ricco d’acqua del mondo, che è il Brasile, ci siano 55 milioni di esseri umani che non hanno accesso all’acqua, perché è gente che vive in uno stato di estrema povertà, significa privazione del diritto alla vita. Ogni giorno muoiono 30 mila persone a causa di malattie dovute all’assenza di acqua oppure alla sua cattiva qualità”.

 

Raia Hatoum, rappresentante di un’associazione libanese che lavora nei campi profughi, denuncia la difficoltà del suo popolo di accedere alle risorse idriche: 265 villaggi non hanno una rete di distribuzione, e quelli che ne sono dotati usufruiscono spesso di acqua non pulita.

 

“I THINK, IF YOU DON’T HAVE WATER ...

Credo che se non hai l’acqua, non hai alcun diritto alla salute: non è possibile progredire. La maggior parte delle persone che vivono in Libano sono agricoltori e hanno bisogno di acqua per far crescere le loro colture, per guadagnare quel poco che basta per vivere con dignità. Ma noi non abbiamo questa possibilità. Stiamo comunque facendo pressione sul governo affinché l’acqua non sia un bene né da vendere né da comprare, ma sia un diritto. Un diritto fondamentale!”.

 

Quest’anno l’agenzia dell’Onu che celebra la Giornata è l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, quella sulle Strategie per la Riduzione dei Disastri; perché l’altro pericolo – oltre all’accesso negato – è quello della mancanza di  protezione delle acque, che altera lo stato ecologico provocando danni irreparabili.

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LE ELEZIONI IN SALVADOR

RICONFERMANO UN PRESIDENTE DEL PARTITO DELLA DESTRA.

 L’EX GUERRIGLIA RIMANE ALL’OPPOSIZIONE

 

In Salvador il partito di destra Arena, Alleanza repubblicana nazionalista, ha confermato alla guida del Paese un suo candidato. Si tratta di Antonio Saca, che ha ottenuto alle elezioni presidenziali di ieri il 63 per cento dei consensi, distanziando nettamente il candidato dell’ex guerriglia del Fronte Farabundo Martì, Shafik Handal. Quali i motivi di questa larga vittoria? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Maurizio Chierici, esperto di America Latina:

 

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R. – I motivi sono nella totalità dell’informazione a senso unico, anche perché c’è un invecchiamento nella classe politica dell’ex fronte rivoluzionario. Shafik Handal, io lo ricordo nell’82, diceva: “Dobbiamo conquistare il potere”. Il programma era nutrito ed era molto specializzato, ma in realtà poi non è stato fatto quasi nulla. Anche dove il centro-sinistra ha vinto le elezioni è stato fatto molto poco. Dall’altra parte, teniamo presente che Antonio Saca è l’uomo scelto per le solite grane di famiglie. Per lui si è mobilitato l’intero apparato americano. Dobbiamo pensare che 2 milioni e mezzo di salvadoregni lavorano negli Stati Uniti e la seconda fonte di ricchezza del Paese sono le rimesse degli emigrati. Uno degli slogan lanciati nella campagna elettorale è stato: “Attenzione, se vince il centro-sinistra, le rimesse fanno la fine di Cuba”. Bisogna dire che il consumismo ha cambiato le prospettive. Manca un centro propulsivo, un centro morale ideale, come si è avuto con il vescovo Romero, non perché la Chiesa non sia presente, ma perché i mezzi di comunicazione hanno sbiadito tutto. Allora non c’era questa potenza. Oggi tutto è sterilizzato da un’informazione a senso unico. Non c’è un giornale dell’opposizione, non c’è una radio dell’opposizione, non c’è una televisione dell’opposizione. Poi, le grandi famiglie detengono tutti i poteri economici, anche quelli dei commerci.

 

D. – Una scelta obbligata, quindi, che comunque non scontenta la comunità internazionale, Stati Uniti in testa?

 

R. – Credo che non la scontenti, perché gli Stati Uniti in quell’area cominciano ad avere grossi problemi. Hanno un enorme problema nel Venezuela. Hanno il problema della Colombia e di Haiti: dalla Giamaica Aristide vuol richiamare la ‘negritudine’, così come in Bolivia sono rinati i sindacati degli Amerindi, pronti ad una lotta, perché come ha detto Gaviria, il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, le democrazie stanno fallendo in America Latina e l’impoverimento ha raggiunto limiti non più accettabili. Quindi, stabilizzare il Salvador era indispensabile per gli Stati Uniti.

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PRENDE IL VIA OGGI A MILANO IL XIV FESTIVAL

DEL CINEMA AFRICANO, D’ASIA E AMERICA LATINA

- Il servizio di Fabio Brenna -

 

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Giunto alla 14.ma edizione il Festival del Cinema africano di Milano si arricchisce di una nuova sezione: il concorso ‘finestre sul mondo’ che ospiterà lungometraggi provenienti da Africa, Asia e America Latina. Sarà invece come sempre il cinema africano a farla da padrone nelle altre sezioni del festival: cortometraggi, documentari e non, fiction e retrospettiva. E’ nata dagli stessi registi africani la richiesta di aprire il festival agli altri componenti del Sud del mondo. L’obiettivo è di dare vita a co-produzioni sud-sud, migliorando lo scambio con i professionisti europei. Un centinaio le proiezioni programmate da oggi a domenica 28 marzo nelle cinque sale milanesi, cui prenderanno parte registi e attori del continente. Anna Maria Gallone è la direttrice del 14.mo festival del cinema africano, d’Asia e America Latina:

 

R. – E’ un’edizione innanzitutto ormai in un percorso avanzato, che però quest’anno cambia parecchio: ci sono dei grandi cambiamenti, già dal titolo. Infatti, non si chiama più soltanto ‘Festival del cinema africano’, ma ‘Festival del cinema africano, d’Asia e d’America Latina’. Questo perché? Crediamo sia importante aprire i confini geografici ancora di più e permettere ai film del sud del mondo di circolare, di farsi conoscere tra di loro e di farsi conoscere soprattutto in Italia perché il grande problema che vorremmo mettere in rilievo con questo festival è l’indifferenza assoluta che c’è in Italia per questo cambiamento culturale che è sempre più forte, ma sempre più ignorato, in verità.

 

D. – Quali sono i punti di forza di questa edizione?

 

R. – Abbiamo una serie di ‘prime’ – tutte sono ‘prime’ nazionali, che abbiamo scelto dopo avere visto una vastissima serie di film, sono film estremamente interessanti; l’altra novità è che privilegiamo in questa sezione i film dei registi nuovi, di quelli che stanno emergendo, mentre invece tutto il resto del festival è focalizzato sull’Africa, come sempre, e abbiamo aperto anche una nuova sezione – ‘Panoramica di cinema africano’ – che ci fa vedere tutto quello che avviene sul film dell’Africa nera e della diaspora. Poi, è da ricordare la retrospettiva ‘Sudafrica’, che riprende: l’anno scorso eravamo rimasti agli anni Cinquanta, ed arriviamo fino ad oggi, dal buio dell’apartheid, anche per festeggiare i dieci anni della democrazia.

 

D. – Questo è un festival di cinema o un’occasione anche per promuovere la cultura africana?

 

R. – Ed è proprio questo un po’ lo scopo di questa nuova edizione, di promuovere contatti, di promuovere le possibilità di comunicare e anche di progettare insieme.

 

Da Milano, per la Radio Vaticana, Fabio Brenna.

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CHIESA E SOCIETA’

22 marzo 2004

 

 

LA CHIESA DI NAMPULA UNITA CONTRO IL TRAFFICO DI ORGANI E MINORI.

IN UN DOCUMENTO LA COMUNITA’ CATTOLICA DEL MOZAMBICO

 RIPUDIA LE CALUNNIE DIFFUSE DA ALCUNI ORGANI DI STAMPA

 CONTRO IL LAVORO DELLE SUORE DEL “MATER DEI”

 

MAPUTO. = La “Chiesa cattolica dell’arcidiocesi di Nampula” ripudia “tutte le notizie calunniose che ultimamente sono state diffuse gettando discredito sul lavoro, credibile, svolto dalle sorelle del monastero ‘Mater Dei’”. E’ quanto si legge in un documento con il quale la Chiesa di Nampula (capoluogo dell’omonima provincia settentrionale del Mozambico) prende posizione sulle denunce del presunto traffico di minori e di organi fatte negli ultimi mesi da alcune missionarie locali e da una laica brasiliana, sorella Elilda dos Santos. Quest'ultima, infatti, è stata al centro di alcune inchieste e articoli giornalistici della stampa mozambicana e portoghese tesi a metterne in dubbio la credibilità. “Rifiutiamo - si legge ancora nella nota, firmata, fra gli altri, dall’arcivescovo di Nampula, mons. Tomé Makhweliha - tutti i meccanismi che sono stati utilizzati per zittire o depistare tutto il lavoro fatto dalla Chiesa cattolica di Nampula nel denunciare traffico di minori, rapimenti, assassinii e mutilazioni di cadaveri”. “Riaffermiamo - continuano, tuttavia, i rappresentanti della Chiesa locale - la nostra volontà e apertura a lavorare, in difesa della vita e della dignità della persona, con tutti, indipendentemente dal credo, dalla razza, dal colore e dalla condizione politica o socio-economica”. “Pretendiamo - conclude il documento - che le indagini continuino e arrivino a una soluzione esaustiva, trasparente, coerente e senza condizione alcuna. Che la verità sia rapida e che i criminali siano smascherati”. (B.C.)

 

 

SCOMPARSE ALMENO 50 PERSONE IN THAILANDIA

DALL’AVVIO DELLA LEGGE MARZIALE.

CRESCE IL SOSPETTO E LA SFIDUCIA

NELLA POPOLAZIONE DELLE REGIONI MERIDIONALI

 

BANGKOK. = Misteriose sparizioni si sono registrate in Thailandia negli ultimi due mesi, da quando il governo di Bangkok ha promulgato la legge marziale nelle province meridionali di Yala, Pattani e Narathiwat, a causa della violenza contro agenti di polizia e pubblici ufficiali. La denuncia è stata lanciata dal Comitato centrale islamico, sottolineando che tutto questo accresce il sospetto e la sfiducia della locale comunità musulmana nei confronti delle autorità. Non esistono dati ufficiali sul numero degli scomparsi, ma nei giorni scorsi il vice primo ministro, generale Chavalit Yonhchaiyudh, ha confermato di aver ricevuto segnalazioni sulla sparizione di molti sospettati fermati e interrogati dalla polizia, aggiungendo che, secondo gli abitanti dei villaggi, sarebbero un centinaio le persone di cui si sono perse le tracce. Le province meridionali della Thailandia, al confine con la Malesia, sono afflitte da anni da problemi sociali e da una crescente criminalità comune. Dallo scorso gennaio poi, sono ripresi gli attentati, prevalentemente contro agenti di polizia e pubblici ufficiali. Secondo il governo centrale, questi atti portano la firma di gruppi indipendentisti islamici, tra cui il Barisan Revolusi Nasional e l’organizzazione per la liberazione del Pattani (Pulo), formazioni che aspirano a creare uno Stato autonomo musulmano, essendo quei territori abitati da buona parte della minoranza tailandese di religione islamica (quattro per cento della popolazione). Dall’inizio dell’anno, sono state uccise almeno una cinquantina di persone, inclusi tre monaci buddisti, e sono stati dati alle fiamme decine di scuole e di strutture pubbliche. (B.C.)

 

 

LE PAROLE DI GIOVANNI PAOLO II SCUOTONO LA CHIESA IN BIRMANIA.

L’ARCIDIOCESI DI YANGON RAFFORZA IL PROPRIO IMPEGNO IN AIUTO DEI BAMBINI

- A cura di Barbara Castelli -

 

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YANGON. = Impegnarsi di più per migliorare le condizioni di vita dei bambini, per il loro sviluppo e l’assistenza sanitaria: questo, in sintesi, l’obiettivo che si prefigge la Chiesa in Birmania. Dopo il messaggio quaresimale di Giovanni Paolo II, dedicato ai più piccoli, e dopo il dossier dell’Agenzia Fides sulla condizione dell’infanzia nel mondo, il salesiano mons. Charles Maung Bo, arcivescovo della capitale Yangon, ha annunciato di voler rafforzare l’impegno della Chiesa locale a favore dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, per venire incontro alle loro esigenze materiali, di istruzione e spirituali. Nell’ex Myanmar c’è un alto tasso di mortalità infantile (circa 80 su mille), specialmente nei primi mesi dopo la nascita, a causa della diffusa malnutrizione: per questo l’arcidiocesi costruirà nuovi ospedali e ambulatori per curare i bambini. Nominato a capo della chiesa di Yangon nel maggio 2003, l’arcivescovo intende, inoltre, aprire nuovi centri di orientamento vocazionale, per dare ai giovani un’istruzione e una formazione sul senso della vita e sulla scoperta della loro vocazione. La Chiesa di Yangon sostiene anche oltre 500 bambini orfani o abbandonati, ospitandoli in case di accoglienza, fornendo loro un’istruzione e promuovendo attività di sviluppo sociale e relazionale. Secondo mons. Maung Bo, ogni parrocchia deve avere un programma di istruzione culturale e religiosa per bambini e giovani. L’arcivescovo aveva già espresso questa intenzione, dopo la Giornata dell’Infanzia Missionaria del 6 gennaio scorso, e ha rafforzato la sua convinzione dopo il messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2004. “La guerra, l’aborto e altri mali odierni - ha detto - causano la morte di milioni di piccoli innocenti: la Chiesa deve interrogarsi su quanto può fare per contribuire a porre fine a questa sofferenza”.

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“INSIEME SULLE STRADE DEL MONDO” :

E’ LO SLOGAN CHE ACCOMPAGNA L’INCONTRO DEI RAPPRESENTANTI

DELLA PONTIFICIA OPERA DELL’INFANZIA MISSIONARIA DEI PAESI EUROPEI.

L’INCONTRO SI CONCLUDERA’ IL PROSSIMO 24 MARZO A LUSSEMBURGO

 

LUSSEMBURGO. = Ha preso il via ieri a Lussemburgo, l’incontro della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria dei Paesi europei. Il tema scelto per questa edizione è: “Insieme sulle strade del mondo. Elementi per una proposta catechistica missionaria”. L’incontro è stato preparato dai rappresentanti dei Segretariati della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria dei Paesi francofoni, in stretta collaborazione con il Presidente della Ceme (Conférence de l’Enfance Missionnaire Européenne). Il calendario dei lavori prevede, oltre a momenti di preghiera, la presentazione del tema in assemblea generale; lavori di gruppo in base alla lingua, dibattiti e scambio di esperienze. (B.C.)

 

 

CANDIDATO D’ECCEZIONE

PER LE ELEZIONI PARLAMENTARI DEL PROSSIMO MESE IN INDIA.

IL FIGLIO DI SONIA GHANDI CONCORRERA’ CON IL PARTITO DEL CONGRESSO

 

NEW DELHI. = Rahul Gandhi, figlio del defunto primo ministro Rajiv, si è candidato per le elezioni parlamentari del prossimo mese in India. Il 34.enne candidato si presenterà per il Partito del Congresso, guidato da sua madre Sonia, principale schieramento di opposizione nel Paese asiatico. Entrando in politica, il figlio del premier - assassinato 13 anni fa – potrebbe essere l’esponente della quinta generazione dei Gandhi a ricoprire incarichi di leadership in India. Il suo bisnonno, Jawaharlal Nehru, fu il primo premier dell’India indipendente mentre la figlia, Indira Gandhi, uccisa 20 anni fa, ricoprì per due volte il ruolo di primo ministro. (B.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

22 marzo 2004

 

 

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Il Consiglio dei ministri dell'Ue, così come la Commissione, condanna “l'uccisione extragiudiziaria” del leader di Hamas e di altri otto palestinesi da parte delle forze israeliane questa mattina. E’ quanto si legge nelle conclusioni del Consiglio dei ministri europei. Le crisi internazionali incombono, dunque, sulla riunione dei ministri degli Esteri dei Quindici che si è aperta questa mattina a Bruxelles sui temi della lotta al terrorismo e del rilancio della strategia economica messa a punto nel vertice di Lisbona del 2000. Il servizio di Fausta Speranza:

  

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I capi delle diplomazie europee sono riuniti in preparazione del Consiglio di giovedì e venerdì prossimo. Gli argomenti in agenda sono quelli che attendono i leader per questo vertice di primavera e cioè cooperazione per la sicurezza e rilancio dell’economia. Ma è forte l’eco di quanto avviene in Medio Oriente, in Afghanistan e nei Balcani. In tema di terrorismo, il dibattito è aperto da giorni: ci sono stati gli incontri a livello di ministri di interni e giustizia e c’è proprio in queste ore a Madrid la riunione dei servizi di intelligence di Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna, i cosiddetti Grandi. E’ una riunione a porte chiuse in una sede non rivelata, visto il coinvolgimento dei servizi segreti e il carattere operativo della discussione. Va detto che l’Unione non vorrebbe parlare di terrorismo solo in termini di prevenzione poliziesca ma anche affrontando le motivazioni profonde del fenomeno. Lo sottolinea il ministro italiano, Frattini, a margine dell’incontro a Bruxelles, spiegando che l’Italia sostiene un progetto di ricerca delle cause profonde che alimentano il terrore. E un documento comune dei Quindici in tema di terrorismo ci sarà presto: sarà presentato al vertice dei leader di giovedì e venerdì. In termini di impegno politico, il dibattito è aperto su come possa essere più attivo il ruolo dell’Unione europea nei Balcani, dove ancora regna l’instabilità. Su questo tema ci sono consultazioni in corso tra i maggiori Paesi europei impegnati nell'area e gli Stati Uniti. E non si esclude in prospettiva una consultazione del Gruppo di Contatto.

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Alle elezioni legislative di ieri in Malaysia, trionfo degli islamici moderati sugli integralisti. La coalizione governativa malaysiana Barisan Nasional (Bn) si è aggiudicata il 90 per cento dei 219 seggi del Parlamento, sbaragliando l’opposizione degli integralisti del Partito islamico (Pas). Il premier Abdullah Ahmad Badawi, all'indomani di una delle più grandi affermazioni del partito moderato nella storia della Malaysia, ha annunciato che terrà una riunione di gabinetto il 31 marzo. Badawi ha ereditato a fine ottobre scorso la guida del Paese dall’autoritario leader Mahatir Mohamad.

 

In Francia, successo dei partiti della sinistra alle elezioni per il rinnovo dei 26 Consigli regionali, svoltesi ieri. La sinistra è in vantaggio in 17 regioni. In attesa del ballottaggio, fra due settimane, il risultato viene percepito come un campanello d’allarme per il centro-destra aggregato attorno al presidente Jacques Chirac e al premier Raffarin. Il nostro servizio:

 

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La Francia sterza a sinistra: la coalizione della “Gauche” formata da socialisti, verdi e comunisti ha ottenuto – con il 40 per cento dei consensi – un netto successo al primo turno delle elezioni amministrative. La destra di governo si è fermata al 34 per cento dei suffragi. Economia in panne, disoccupazione in aumento, delinquenza e i gravi problemi di integrazione per le minoranze maghrebine musulmane sarebbero tra i motivi che hanno portato gli elettori a votare a sinistra. Il dato di ieri, in attesa del secondo turno fra due settimane, suona dunque come una bocciatura per l’operato del premier Raffarin, che, dal canto suo, si è limitato a dichiarare che “terrà conto dei risultati delle elezioni”. Il socialista Delanoe, sindaco di Parigi, ha definito il voto “un segnale che gli elettori vogliono un cambiamento”, invitando tuttavia la sinistra a non cedere a facili entusiasmi. Se la destra gollista arranca, dalle urne esce invece rafforzata l’estrema destra di Jean-Marie Le Pen, che ha superato il 16 per cento delle preferenze. Risultati deludenti infine per l’estrema sinistra francese, che per la prima volta ha presentato liste comuni in tutte le regioni, ma non ha superato il 5 per cento dei consensi.

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Ancora una giornata di violenze in Iraq: due uomini d’affari finlandesi sono stati uccisi a Baghdad da colpi d’arma da fuoco. Poco prima un’autobomba era esplosa presso la base americana di Balad provocando la morte di un uomo delle forze di sicurezza irachene. Un altro agente di polizia è rimasto ucciso in scontri a fuoco nel nord del Paese a Mosul. In un attentato, infine, un giudice di Hilla, a sud di Baghdad, è stato ucciso da un ordigno che è esploso nella sua auto.

 

Sono momenti drammatici per il Nepal, teatro da 8 anni di una violentissima guerra civile. Ieri questo conflitto ha toccato l’apice, con la morte di circa 520 persone in uno scontro nella cittadina di Beni. Dietro alla guerra in atto fra il governo ed i ribelli maoisti si nascondono grandi interessi internazionali. Lo conferma Aldo Daghetta, responsabile per il Nepal di Amnesty Italia, nell’intervista di Andrea Sarubbi:

 

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R. – Gli interessi che si giocano in Nepal sono essenzialmente legati alla posizione geografica del Paese, nel senso che il Nepal è un vero e proprio cuscinetto tra la Cina e l’India, che si stanno giocando il dominio dell’area asiatica. Al partito maoista viene dato appoggio essenzialmente dalla Cina. Fino a pochi anni fa, ufficialmente, la Cina dichiarava di armare i maoisti. Ma dall’altra parte abbiamo un esercito nepalese che si è armato anche molto meglio grazie all’appoggio degli Usa. Dopo l’11 settembre, i maoisti sono stati inseriti in quel gruppo di fazioni cosiddette terroristiche.

 

D. – Da quando si è insediato nel 2001, dopo la strage di palazzo, il re Gyanendra non sembra avere molto il controllo della situazione …

 

R. – Diciamo che Gyanendra non ha il controllo della situazione a livello politico, ma ha un fortissimo controllo dell’esercito. Si vede in lui un’intenzione di cercare di accentrare più poteri possibili nella sua figura. E questo lo si è visto anche nei rapporti con il parlamento nepalese. Abbiamo visto, infatti, un susseguirsi di primi ministri: ne sono cambiati tre negli ultimi due anni.  La percezione anche da parte nostra e delle associazioni che lavorano in loco è che il Nepal stia andando sempre più verso una monarchia assoluta.

 

D. – Proprio Amnesty International è in prima linea nella denuncia di frequenti violazioni dei diritti umani in Nepal…

 

R. – Sì, proprio in questi giorni stiamo decidendo di lanciare uno stato di crisi. E’ stata avviata una politica di repressione di tutte quelle persone che possono essere sospettate di essere sostenitori dei maoisti. In Nepal, in questo momento, abbiamo decine di appelli per persone che sono scomparse da un giorno all’altro, di cui noi non abbiamo più notizie.

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Resta alta la tensione in Afghanistan dove ieri oltre 100 persone sono rimaste uccise ad Herat, nella regione occidentale del Paese, negli scontri seguiti all’attentato in cui ha trovato la morte il ministro dell’aviazione civile, Mirwais Sadiq. Questi è il terzo membro del governo del presidente Hamid Karzai a perdere la vita in un attentato. Le forze fedeli al governatore afgano Ismail Khan hanno ripreso in queste ore il controllo di Herat.

 

La Russia ha annunciato oggi la volontà di discutere della crisi in Kosovo nella prossima riunione del Consiglio Russia-Nato prevista per il 2 aprile. Ad affermarlo è stato il ministro degli esteri Serghiei Lavrov durante una seduta del governo al Cremlino. Ieri, intanto, si sono svolti a Kosovska Mitrovica i funerali dei due piccoli albanesi la cui morte nel fiume Iber è stata l’origine dei disordini esplosi in tutta la regione e che in tre giorni hanno provocato 28 morti e oltre 600 feriti. Il rito funebre si è svolto senza incidenti, tra imponenti misure di sicurezza.

 

Mondo del calcio sotto choc in Italia dopo la clamorosa sospensione della partita Roma-Lazio per motivi di ordine pubblico. Quattordici i feriti tra i tifosi e ben 153 gli agenti delle forze dell’ordine rimasti contusi in seguito agli scontri avvenuti all’esterno dello stadio Olimpico. Quindici persone sono state arrestate e 23 denunciate. Per il ministro del Welfare, Maroni, quanto accaduto ieri al derby romano è un’operazione gestita per “ricattare” il governo nel momento in cui deve prendere una decisione importante sul futuro calcistico italiano. Intanto, mentre la presidenza della Lega Calcio ha ribadito l’opportunità della sospensione della partita, la procura di Roma ha aperto un’inchiesta per i reati di procurato allarme e violenza privata. Il magistrato titolare dell’indagine non esclude l’ipotesi di un patto tra le tifoserie capitoline.

 

Il ministro della Difesa taiwanese ha ritirato le dimissioni - che aveva presentato per motivi di salute - dietro invito del primo ministro Yu Shyi-kun. Intanto, a Taipei continuano le manifestazioni di migliaia di persone che chiedono un nuovo conteggio delle schede delle elezioni di sabato scorso, che hanno visto prevalere per un margine di soli 30 mila voti il presidente Chen Shui-Bian.

 

Con il 95 per cento dei voti dei delegati del Congresso, Franz Muentefering capogruppo dei socialdemocratici al Bundestag è stato eletto ieri nuovo leader della Spd al posto del cancelliere Gerhard Schroeder che ha rinunciato all’incarico affermando di volersi concentrare sulla guida del Paese.

 

 

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