RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 78 - Testo della trasmissione di giovedì 18 marzo 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
A
Monopoli, in Puglia, l’ottavo Convegno di pastorale giovanile promosso dalla
Cei
Dopo il sanguinoso attentato di ieri a Baghdad,
anche le città di Baluba e Bassora colpite oggi dal dramma della violenza
Tensione ad Haiti per l’esclusione nel nuovo
governo degli alleati del deposto presidente Aristide
Inaugurato oggi ad Addis Abeba il Parlamento
panafricano.
18 marzo 2004
EVANGELIZZARE LA DIOCESI DI ROMA:
È UNA PRIORITÀ PASTORALE.
E’ QUANTO HA DETTO IL PAPA AI SEMINARISTI
DEL REDEMPTÒRIS MATER,
LEGATO AL CAMMINO NEOCATECUMENALE.
GIOVANNI PAOLO ELOGIA L’ESPERIENZA
DEFINITA NUOVA E SIGNIFICATIVA
DEL SEMINARIO CHE IN 16 ANNI HA
PORTATO ALL’ORDINAZIONE DI TANTI SACERDOTI
Evangelizzare la diocesi di Roma: una priorità pastorale.
La raccomandazione del Papa ricevendo stamane nella Sala Clementina la Comunità
del Seminario “Redemptoris Mater”, che ha celebrato quest’anno i 16 anni dalla
sua erezione canonica nella diocesi di Roma. Preghiera, studio e vita
comunitaria sono elementi fondamentali nel progetto formativo dei candidati al
sacerdozio. Il servizio di Roberta Gisotti.
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Con le parole di Gesù risorto Giovanni Paolo II ha accolto
stamane gli alunni di questo Collegio internazionale, che raccoglie le
vocazioni nate nelle 450 comunità del Cammino neocatecumenale, presente a Roma
in oltre 90 parrocchie.
“Particolarmente
abbondanti sono i frutti di bene prodotti nel corso di questi anni dal vostro
Seminario”.
“Un’esperienza nuova e assai
significativa” “per la nuova evangelizzazione”, ha sottolineato il Papa. 196 i
presbiteri ordinati nel Seminario “Redemptoris Mater” di Roma e circa mille
quelli ordinati negli altri 50 Collegi sorti in questi 16 anni nei cinque continenti
e che oggi contano 1500 studenti. Sappiate, a somiglianza di Cristo – si è
rivolto il Santo Padre ai seminaristi neocatecumenali – “spendere e donare la
vostra vita” a servizio del popolo di Dio, così come prescrive il sacerdozio
ministeriale, in virtù del sacramento dell’Ordine, “in stretta comunione con il
vescovo”. Preparatevi dunque a vivere “in modo sereno e proficuo” e “senza
riserve” la vostra appartenenza “al presbiterio diocesano”. Occorre dunque evitare
– ha raccomandato Giovanni Paolo II - “una falsa alternativa tra il servizio
pastorale nella diocesi” e “la missione universale”, cui siete particolarmente
preparati dall’esperienza neocatecumenale. Compete infatti al vescovo la vostra
concreta destinazione ed affidandovi “con fiduciosa e cordiale ubbidienza alle sue decisioni voi troverete la vostra
pace e serenità interiore”. Del resto - ha concluso il Papa - in ogni caso
potrete esprimere il vostro carisma missionario, dato che “anche qui a Roma la
pastorale è, e dovrà essere sempre più caratterizzata dalla priorità
dell’evangelizzazione”.
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ALTRE
UDIENZE
Nel corso della mattina il Papa ha ricevuto anche mons.
Manuel Monteiro de Castro, nunzio apostolico in Spagna e nel Principato di
Andorra, un gruppo di vescovi australiani in visita ad Limina e il cardinale
Camillo Ruini, suo vicario generale per la diocesi di Roma e presidente della
Conferenza Episcopale italiana, accompagnato da mons. Luigi Moretti,
vicegerente di Roma, con alcuni parroci romani.
LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE SIA UNITA NEL LOTTARE
CONTRO IL TERRORISMO,
DI CUI VANNO ELIMINATE LE CAUSE: COSI’, AI NOSTRI MICROFONI,
IL CARDINALE RENATO MARTINO, PRESIDENTE DI “GIUSTIZIA E PACE”,
CHE RIBADISCE LA NECESSITA’ DI UN RAFFORZAMENTO DELLE NAZIONI UNITE
La missione religiosa della Chiesa include la difesa e la
promozione dei diritti fondamentali dell’uomo: è quanto riaffermato stamani dal
cardinale Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace,
intervenuto al congresso internazionale dei Legionari di Cristo, all’ateneo
pontificio Regina Apostolorum, sul tema “La donna e i diritti umani”. Il
porporato ha sottolineato come il materialismo e l’individualismo mettano a
repentaglio l’intero sistema dei diritti umani. Quindi, ha ribadito che il
rispetto dell’uomo è “imperativo morale
per la cultura democratica del nostro tempo”. A margine del convegno, il
presidente di Giustizia e Pace si è soffermato – al microfono di Alessandro
Gisotti - sul tema della lotta al terrorismo e il ruolo delle Nazioni Unite per
la soluzione della crisi irachena:
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R. - Anche in questa tragica circostanza, ciò che mi viene
subito alla mente è ancora il messaggio del Santo Padre per la Giornata della
Pace di quest’anno: per essere vincente, la lotta contro il terrorismo non può
esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. E’ essenziale che il
pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida
analisi. Qui il Papa suggerisce di andare alla ricerca delle cause, oltre poi
ad un’azione educativa alla pace. Se le cause non sono eliminate ci sarà sempre
una ricaduta. Naturalmente, vediamo che il terrorismo è un nemico subdolo, che
si annida ovunque, colpisce ovunque. E’ una piaga per eliminare la quale tutta
la comunità internazionale si deve impegnare.
D. - Per risolvere la situazione irachena in molti
invocano un ruolo forte, un rinnovato impegno delle Nazioni Unite...
R. - Anche qui posso citare il Papa nello stesso messaggio
dove riconosce alle Nazioni Unite questo ruolo di protettore della pace nella
comunità internazionale. Il Papa spera che all’Onu sia ridato questo ruolo e
naturalmente suggerisce ed esorta anche una riforma dell’Onu che metta
l’organizzazione in grado di funzionare efficacemente per il conseguimento dei
propri fini statutari tuttora validi.
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R. – Quel che più sorprende della sua personalità è la
fortezza d’animo e una fedeltà non comune all’ispirazione iniziale. Anche se
fin dai 15 anni si sentì chiamata alla vita religiosa, dovette rimandare di
quasi 20 anni il suo ingresso in convento per non urtare i fratelli maggiori,
rimasti a capo della famiglia dopo la morte dei genitori. E anche se attese
fino ai 35 anni di età, i fratelli reagirono non andando mai a farle visita in
monastero.
D. – Come ha vissuto l’Eucaristia?
R. – Da quando, a 10 anni, venne ammessa alla Prima
Comunione, la sua più grande gioia era poter fare la Comunione. Ed è stata
proprio l’Eucaristia a darle forza per superare gli ostacoli che si opponevano
alla sua vocazione. Privarsi della Santa Comunione era per lei, sono parole
sue, “una croce ben grande e tormentosa”. Dopo la morte della mamma nel 1914,
infatti, i fratelli non permettevano che uscisse da sola, e non poteva recarsi
alla Comunione che raramente. Entrata nel Carmelo, dove assume il nome, per
certi aspetti profetico, di Maria Candida dell’Eucaristia, volle “fare
compagnia a Gesù nel suo stato di Eucaristia quanto più fosse possibile. A partire
dalla solennità del Corpus Domini del 1933, Anno Santo della Redenzione, la
beata inizia a scrivere quello che potremmo definire il suo piccolo
“capolavoro” di spiritualità eucaristica, pubblicato recentemente sotto il
titolo Colloqui eucaristici. Un vero gioiello di spiritualità
eucaristica vissuta.
D. – Cosa dice la sua santità al mondo di oggi?
R. – I Santi sono sempre attuali, perché sono immagine di
Cristo e Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Ma se vogliamo mettere in
risalto qualche aspetto della sua “attualità” è sorprendente, per esempio, il
parallelismo che troviamo tra alcune pagine scritte dalla beata Maria
dell’Eucaristia 70 anni fa e quanto scrive il Santo Padre nella sua recente enciclica
Ecclesia de Eucharistia. Ecco alcune espressioni che mostrano la
consapevolezza che la nuova beata aveva della sua missione speciale nella
Chiesa: “Gesù, come vorrei farmi intendere, come vorrei essere l’apostola della
Santissima Comunione, come vorrei che tutti ne facessero la prova”! “Io chiedo
al mio Gesù di essere posta a custodia di tutti i tabernacoli del mondo fino
alle fine dei tempi”.
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RINUNCE
E NOMINE
Sempre oggi il Santo Padre ha
nominato ausiliare dell’arcivescovo metropolita di Trichur dei Siro-Malabaresi
(India) mons. Andrews Thazhath, finora sincello della medesima sede
arcivescovile e presidente dell’Associazione di Diritto Canonico Orientale in
India, assegnandogli la sede titolare vescovile di Aptuca.
Il Papa ha quindi nominato vescovo dell’eparchia di
Mananthavady dei Siro-Malabaresi (India) padre Josè Porunnedom, del clero di Mananthavady,
sinora cancelliere della curia arcivescovile maggiore di Ernakulam-Angamaly.
Il Santo Padre ha poi accettato la rinuncia al governo
pastorale dell'eparchia di Palai dei Siro-Malabaresi (India) presentata da
mons. Joseph Pallikaparampil, in conformità al canone 210 §2 del Codice dei
Canoni delle Chiese Orientali e ha nominato vescovo della medesima eparchia
padre Joseph Kallarangatt, del clero di Palai, sinora presidente del
“Pontifical Oriental Institute of Religious Studies Paurastya Vidyapitham”.
Il Pontefice ha inoltre accettato
la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Meru (Kenya), presentata
da mons. Silas Silvius Njiru, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Salesius Mugambi,
coadiutore della medesima diocesi.
Infine
il Santo Padre ha creato la nuova
provincia ecclesiastica di Raipur, dividendola da quella di Bhopal (India). La
nuova provincia comprenderà le diocesi suffraganee di Ambikapur, Jagdalpur dei
siro-malabaresi e Raigarh. Quindi il Pontefice ha nominato primo arcivescovo
metropolita di Raipur, mons. Joseph Augustine Charanakunnel, finora vescovo
della medesima diocesi.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre con la
situazione in Iraq: si sottolinea che in Iraq il lungo e faticoso cammino della
ricostruzione è segnato dal sangue di nuovi attentati. Anche ieri il cuore di
Baghdad è stato trafitto da un attacco suicida.
Nelle vaticane, in occasione
dell’udienza alla comunità del Seminario "Redemptoris Mater", Giovanni
Paolo II ha ricordato con forza che l’appartenenza costitutiva e senza riserve
al presbiterio diocesano ha nel vescovo il suo punto di riferimento essenziale.
Una
pagina dedicata alla solennità di San Giuseppe.
Nelle estere, un numero
speciale dell’“Atlante geopolitico” - a cura di Marcello Filotei e di Gabriele
Nicolò - sul tema “Medio Oriente: l’urgenza della pace”.
Nella pagina culturale, in
evidenza un articolo di Maria Maggi da titolo “Una scoperta che riapre il
vecchio dibattito su cosa sia esattamente un pianeta”: nel novembre 2003,
l’astronomo Brown ha osservato il corpo celeste, chiamato Sedna per la
temperatura della superficie che arriva a meno 240 gradi.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema delle riforme.
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18 marzo 2004
NUOVE VIOLENZE A SFONDO ETNICO
IN KOSOVO:
LA NATO INVIA ALTRI 350 MILITARI,
LA RUSSIA CHIEDE UNA RIUNIONE D’URGENZA
DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU
“Mettere
fine immediatamente alle violenze” scoppiate in Kosovo. Questo l’appello del segretario
generale dell’Onu Kofi Annan, al quale si è unita anche l'Unione Europea, per
chiedere il ritorno della stabilità nella provincia serba a maggioranza
albanese. Gli scontri in corso da ieri in diverse zone del Kosovo hanno provocato
almeno 22 morti e circa 500 feriti. Per la gravità della situazione, la Russia
ha chiesto la convocazione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite. Il servizio di Giada Aquilino:
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Due
giorni di gravi violenze tra serbi e albanesi del Kosovo, tali da spingere la Nato a riunirsi d’urgenza a Bruxelles e ad inviare rinforzi dalla
Bosnia. 350 militari statunitensi e italiani appartenenti alla Forza di
Stabilizzazione della Nato-Sfor sono stati infatti già inviati in territorio kosovaro,
attualmente sotto amministrazione Onu. Il livello di allarme ai confini fra
Serbia e Kosovo è stato innalzato al massimo grado. Tutto è cominciato martedì
sera a Mitrovica, nel Kosovo settentrionale, quando tre bambini albanesi sono
annegati nel fiume Ibar, per sfuggire - secondo quanto raccontato da testimoni
- all’inseguimento di altri ragazzini serbi. Ne sono nati proteste e attacchi a
sfondo etnico, che proseguono anche oggi: scontri fra albanesi e soldati
francesi della Kfor sono tutt’ora in corso. Le violenze però si sono estese a
macchia d’olio a molte città serbe e kosovare. Incendiate due moschee a
Belgrado e a Nis e la sede della Conferenza islamica a Novi Sad. A Prizren, nel
Kosovo meridionale, è stato appiccato il fuoco a due chiese ortodosse e al monastero
di Sant'Arcangelo. Ad Obilic, alle porte del capoluogo Pristina, stamani è
stata incendiata un’altra chiesa ortodossa; stessa sorte per il piccolo
monastero di Gjakova. Simili attacchi ad edifici serbi sono segnalati pure a
Gjilane e Peje.
Ma quali sono i motivi che hanno scatenato questa
nuova, dolorosa pagina della turbolenta storia del Kosovo? Sentiamo Federico Eichberg,
esperto di questioni balcaniche:
R. – La
tensione era latente in Kosovo. La novità di questi giorni è che dal tradizionale
focolaio di Mitrovica gli scontri si sono estesi in tutta la regione. Alla
radice delle violenze, oltre alle note questioni tra serbi ed albanesi per il
controllo della provincia, c’è un problema di status: la risoluzione 1244 del
’99 non ha cioè definito chiaramente lo status del Kosovo. I corpi locali che
dovrebbero in qualche misura rappresentare il potere decisionale sulla
provincia, infatti, ancora non hanno iniziato quest’opera di ricostruzione
della società civile.
D. – Perché ora sono state prese di mira moschee, chiese
ed edifici di culto?
R. – Per un valore iconografico. Di fatto lo avevano
sempre avuto, soprattutto nel giugno del ’99, quando la minoranza serba
abbandonò forzatamente la provincia, dando alle fiamme tutto ciò che incontrava
sul suo cammino. Ma la possibilità che gli scontri ora degenerino in un
conflitto su scala regionale - con il coinvolgimento di forze regolari di più
Stati - è praticamente inesistente.
L’ondata di scontri a sfondo etnico di questi giorni in
Kosovo non ha precedenti dalla fine della guerra, nel ’99. Ma come si è
arrivati alle nuove tensioni tra serbi ed albanesi? Da Prizren, risponde un
religioso cattolico che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonimo:
R. – In questi ultimi anni le cose dovevano andare avanti.
Invece si è creata una situazione di stallo, che non è più sostenibile. Ci
vuole un’azione più forte per andare avanti.
D. – Serve un aiuto dall’estero?
R. – Non solo questo. Certo la risoluzione 1244 non può
avere effetti duraturi per sempre.
D. – Teme che gli ultimi scontri possano degenerare in
gravi violenze, come quelle degli anni ’90?
R. – Non credo, perché sono presenti le forze
internazionali come la Kfor, la polizia, le istituzioni.
D. – Quale ruolo può assumere la Chiesa in questa
situazione di rinnovata tensione?
R. – Può rivolgere un appello alla calma, per cercare
pacificamente di risolvere i problemi, che non sono pochi. C’è da precisare
comunque che gli ultimi scontri non hanno nulla a che fare con la religione,
con la fede: è una questione puramente politica.
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AL VIA
IL PROGETTO PER UN GRANDE OSPEDALE A TIRANA INTITOLATO
A
MADRE TERESA DI CALCUTTA COSTRUITO DALL’ITALIA
CON IL
CONTRIBUTO DELLA BANCA MONDIALE
-
Intervista con Biagio Bossone -
Sta
decollando il progetto per la costruzione di un grande ospedale a Tirana, intitolato
a “Madre Teresa di Calcutta” quasi interamente finanziato dall’Italia ma che si
avvarrà anche di un contributo della Banca Mondiale. L’istituzione che ha sede
a Washington, ha inviato a Roma un suo funzionario, il dottor Biagio Bossone,
per definire con il governo italiano gli ultimi dettagli dell’ospedale la cui
direzione è stata affidata ad una congregazione religiosa. Roberto Piermarini
ha chiesto allo stesso dottor Bossone come si configura questo progetto nel
contesto degli aiuti internazionali?
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R. – Il progetto si configura certamente sotto un profilo
innovativo per quanto riguarda la cooperazione tra entità di governo, la Banca
Mondiale quale istituto finanziario, che sostiene lo sviluppo e la lotta alla
povertà, e le istituzioni religiose, poiché l’ospedale, una volta realizzato,
sarà gestito dalla congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, che è
una congregazione italiana legalmente basata a Tirana e che si occuperà di
gestire la struttura.
D. – Sarà un ospedale pubblico o un ospedale privato?
R. – Sarà un ospedale privato, ma con una forte
connotazione sociale. Uno degli obiettivi è quello di poter garantire
assistenza a tutti coloro che della popolazione albanese avranno bisogno di
cura, di assistenza medica e a tutti i livelli di reddito, dunque, i poveri e
le fasce più povere della popolazione potranno avere accesso, a condizioni
gratuite o comunque di particolare favore.
D. – La Banca Mondiale, che è un ente notoriamente laico,
finanzia un progetto intitolato a Madre Teresa di Calcutta, che poi verrà
gestito da una Congregazione religiosa. C’è un rapporto nuovo o c’è un dialogo
nuovo tra la Banca Mondiale e le istituzioni religiose?
R. – Vi sono due grosse spiegazioni, data la necessità di
questo dialogo. Una se vogliamo più filosofica, per la quale si è capito che lo
sviluppo economico richiede una multidimensionalità. Non si tratta soltanto di
accrescere il benessere materiale degli individui e delle società, ma lo
sviluppo richiede anche altre cose: la crescita dell’uomo, la crescita della
sua spiritualità e la crescita dei suoi diritti umani. Essendo un concetto
complesso non si può più pensare che ci sia una unica istituzione che abbia in sé
tutta la capacità per promuovere questo sviluppo. Quindi, occorre il concorrere
di più istituzioni, tra queste naturalmente anche quelle religiose, per
riuscire a promuovere efficacemente questo sviluppo. C’è anche un aspetto più
pratico ed è quello che le istituzioni religiose, nei Paesi più poveri, sono
quelle anche più capillarmente diffuse sul territorio. Quindi, in termini di garanzia
hanno la possibilità di far arrivare meglio i servizi alla popolazione che
consta di organizzazioni religiose che sono diffuse e che operano sul
territorio a contatto con i poveri. C’è anche un altro aspetto legato a ciò:
attraverso questo contatto, attraverso il dialogo con i poveri, fra i poveri e
i religiosi, talvolta effettivamente si impara, e le istituzioni laiche possono
imparare meglio, quali siano i bisogni effettivi di questa gente e come meglio
soddisfarli. E’ talvolta grazie a questo dialogo e questo contatto continuo con
i missionari, i sacerdoti, gli imams che parlano la lingua di queste persone,
che capiscono queste persone, che trasferiscono loro quella conoscenza che
altrimenti non arriverebbe, perché hanno la capacità di lavorare con loro e
ricevono la fiducia di questa gente e attraverso questa fiducia possono passare
concetti e conoscenze che altrimenti l’oscuro tecnico di Washington non sarebbe
in condizioni di trasferire loro.
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PRESENTATA
OGGI A ROMA NELL’ATRIO DELL’AULA PAOLO VI, IN VATICANO,
LA MOSTRA FOTOGRAFICA “LA PIETA’ DEL
MICHELANGELO: UNA RIVELAZIONE”.
AD
OSPITARE L’ESPOSIZIONE FINO AL 23 LUGLIO,
LA SALA DEL “BRACCIO DI CARLOMAGNO” DEL
BERNINI, IN PIAZZA SAN PIETRO
“La Pietà del Michelangelo: una rivelazione”. Questo il
titolo della mostra fotografica inaugurata oggi, che farà tappa a Roma fino al
23 luglio, grazie al sostegno della Santa Sede e con il patrocinio del
presidente del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Alla presentazione
dell’evento, svoltasi nell’atrio dell’Aula Paolo VI, in Vaticano, c’era per noi
Dorotea Gambardella.
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Dopo
dieci anni di allestimenti e di successi in tutta Europa: da Parigi a
Czestochowa da Vienna a Madrid, approda nella magnifica sala del “Braccio di Carlomagno”
del Bernini, in Piazza San Pietro, la mostra fotografica dedicata al capolavoro
che il Buonarroti terminò nel 1500 a soli 25 anni. Si tratta di un’autentica
rivelazione della Pietà del Michelangelo mediante gli scatti del fotografo
austriaco, scomparso nel 2001, Robert Hupka, il quale ebbe la fortuna di
immortalare la statua, in occasione dell’Esposizione Universale di New York del
1964. In colore e in bianco e nero, con macchine grandi e piccole, con lenti da
35 a 400 millimetri, da ogni angolo e a tutte le ore del giorno e della notte,
Hupka è riuscito a scoprire quest’opera come solo Michelangelo l’aveva vista
finora e come nessuno probabilmente riuscirà più a vederla, visto che dal 1972,
da quando cioè fu mutilata da uno squilibrato che la aggredì con 15 colpi di
martello, viene esposta nella Basilica Vaticana dietro un vetro antiproiettile,
che ne permette solo una visione parziale e distante. La mostra è
allestita in uno spazio completamente scuro, dove oltre cento faretti fanno
emergere dal buio gli splendidi scatti, conferendo loro un’intensità
straordinaria. Il visitatore può così passare da un fotogramma all'altro, quasi
che si spostasse all’interno dell'opera, circondato da pannelli che gli
mostrano tutte le sfaccettature del capolavoro.
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18 marzo 2004
A
MONOPOLI, IN PUGLIA, L’OTTAVO CONVEGNO
DI
PASTORALE GIOVANILE PROMOSSO DALLA CEI
- A cura di Emanuela Campanile -
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MONOPOLI. = E’ in corso a Monopoli in Puglia, l’ottavo
Convegno di pastorale giovanile, promosso dal Servizio Nazionale della Cei, sul
tema “Ascoltino gli umili e si rallegrino con i giovani, testimoni di gioia e
di speranza per la civiltà dell’amore”. Tra i relatori il vescovo Giuseppe
Betori, segretario generale della Cei; mons. Domenico Sigalini, vice assistente
generale dell’Aci, ma anche alcuni relatori laici impegnati nel ripensare
radicalmente modi di essere e di agire in un contesto mondiale, quello di oggi,
che pone grandi sfide alla fede dei giovani. Riscoprire la centralità della
testimonianza del Vangelo all’insegna della gioia, della speranza e nella
fantasia della carità. Ma da dove partire in un periodo di grandi
contraddizioni e terrori mondiali? Da questo ottavo Convegno di pastorale giovanile
alcune proposte nuove e radicali, ma soprattutto grandi domande. Come, per
esempio, che senso ha a livello individuale quello che stiamo vivendo oggi? Due
i professori dell’Università degli Studi di Bergamo che questa mattina hanno
cercato di tracciare una soluzione. Dal prof. Stefano Tomelleri l’invito e la
riflessione a costruire la propria identità sulla preoccupazione delle vittime,
dei più deboli, secondo il principio che l’umanità può unirsi contro la forza
distruttrice. Concetto e certezza ripresa dal secondo relatore, Ivo Lizzola,
per il quale la vicinanza di chi soffre è opportunità di comprensione e buon
incontro, non per creare nuove teorie, ma per rifare il mondo. Un convegno, dunque,
dalle grandi domande e speriamo anche dai grandi frutti.
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IL
PLURALISMO E’ FONDAMENTALE PER LA DEMOCRAZIA:
COSI’,
I VESCOVI DEL COMITATO EPISCOPALE EUROPEO PER I MEDIA,
AL
TERMINE DI UN INCONTRO TENUTOSI NEI GIORNI SCORSI A ROMA
SAN
GALLO. = “Il pluralismo e la diversità dei media sono un elemento fondamentale
della democrazia”: è quanto ribadito dai vescovi europei esperti di comunicazioni
sociali riuniti nel Comitato episcopale europeo per i media (Ceem), organo del
Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. In una nota diffusa
ieri – su un incontro che si è svolto lo scorso 12-13 marzo a Roma – i presuli
ribadiscono che i media non possono limitarsi ad una logica unicamente
commerciale: “canali pubblici e media associativi devono avere il loro spazio”.
I vescovi del Ceem si rallegrano della recente adozione da parte dell’assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa della Raccomandazione 1641, che ribadisce
la necessità della presenza, nel Vecchio Continente, di “canali televisivi pubblici indipendenti, forti e vivaci, a
servizio della diversità culturale, della coesione sociale e della cittadinanza”.
I vescovi – si legge nel comunicato – auspicano “una coesistenza e
complementarità con i media commerciali” a patto che “canali pubblici e media
associativi” abbiano “il loro spazio”. (A. G.)
ABBATTERE
IL MURO DI IGNORANZA TRA CATTOLICI ED ISLAM: E’ L’ESORTAZIONE
ESPRESSA DA ANDREA RICCARDI,
FONDATORE DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO,
INTERVENUTO IERI ALL’ISTITUTO DI
STUDI STORICI “LUIGI STURZO” DI ROMA
ROMA.= E’ necessario abbattere il muro di ignoranza che
c’è ancora tra cattolicesimo e mondo islamico. E’ la viva esortazione espressa
dal prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, intervenuto
ieri all'istituto di studi storici “Luigi Sturzo” di Roma. L’occasione è stata
la presentazione di un documento su questo tema che i vescovi siciliani hanno
richiesto alla facolta' teologica siciliana di Palermo, dopo un loro convegno
nel giugno scorso con la facoltà teologica musulmana Zapanadi in Tunisia.
Riccardi ha sottolineato che “bisogna abbattere il muro dell'ignoranza che
ancora oggi esiste tra cattolici e musulmani. Nell'area musulmana va registrato
che sia nei circoli intellettuali colti sia a livello di base si dà troppe
volte per scontata una conoscenza del fenomeno cristiano che nei fatti risulta
povera e schematica”. Don Andrea Pacini, direttore del centro studi interreligiosi
“Edoardo Agnelli” di Torino ha segnalato che su 20 mila immigrati musulmani in
Sicilia, ben tre quarti di loro sono di origine tunisina. Nonostante questa
massiccia presenza, a Mazara del Vallo, fino alla primavera del 2003, per 40
anni, non vi è stata alcuna moschea “perché in Tunisia come in Francia - ha proseguito
don Pacini - l'Islam ha vissuto una forte secolarizzazione”, il che “non significa
abbandono della religione ma una sua rielaborazione in termini personali come
la recita di sola preghiera al giorno al posto delle numerose previste dalla
tradizione”. (A.G.)
UN
ANNO DEDICATO ALLA MEMORIA DELL’ARCIVESCOVO ROMERO,
UCCISO
BARBARAMENTE 24 ANNI FA A SAN SALVADOR.
A
CHIEDERLO SONO DUE ORGANIZZAZIONI DEL PAESE CENTROAMERICANO
SAN SALVADOR.= Il ‘Centro
Salvadoreño de Tecnología Apropiada’ (Cesta) e la Fondazione Oscar Arnulfo
Romero – informa l’agenzia Misna – hanno chiesto al Parlamento di San Salvador
di decretare, a partire dal prossimo 24 marzo, un anno in memoria
dell’arcivescovo Romero, ucciso il 24 marzo del 1980 da un commando di estrema
destra mentre officiava messa, nella capitale salvadoregna. Il presule,
assassinato a 63 anni, viene ricordato in occasione di ogni anniversario della
sua uccisione con manifestazioni sociali e funzioni religiose. La richiesta
delle due organizzazioni è motivata dal fatto che il prossimo 24 marzo si
entrerà nel 25.mo anniversario dell’uccisione di Romero. (A.G.)
ALLA
BRASILIANA LYGIA BOJUNGA NUNES IL PREMIO INTERNAZIONALE
DI
LETTERATURA PER L’INFANZIA, PROMOSSO DAL GOVERNO SVEDESE
- A
cura di Vincenzo Lanza -
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STOCCOLMA.
= Il Premio internazionale di letteratura per l’infanzia, istituito nel 2002
dal governo svedese in memoria della scrittrice svedese Astrid Lindgren, la
creatrice di “Pippi Calzelunghe”, è stato attribuito alla scrittrice brasiliana
Lygia Bojunga Nunes, alla quale verranno consegnati 5 milioni di corone, pari a
circa 540 mila euro, alla presenza della principessa ereditaria svedese
Victoria durante una cerimonia a Stoccolma, il 26 maggio prossimo. La giuria di
12 personalità della cultura svedese ha motivato il premio, al suo secondo
anno, perché la scrittrice brasiliana Lygia Bojunga Nunes, come un bambino che
gioca e in maniera altrettanto vertiginosamente semplice, riesce a sciogliere
la frontiera tra fantasia e realtà. Nel suo modo di raccontare drammatico e
orale tutto risulta possibile. In un modo profondamente originale riesce ad
unificare giocosità, bellezza poetica e humor stravagante, assieme a pathos di
libertà, critica sociale e ad un grande impegno nella salvaguardia
dell’infanzia abbandonata e in stato di miseria. Nata a Pelotas, nel sud del
Brasile, nel 1932, Lygia Bojunga Nunes nelle sue oltre 40 opere letterarie e
teatrali riesce a compenetrarsi nella tradizione del realismo magico e della
narrativa fantastica che si è sviluppata nel continente latino-americano, una
tradizione che la scrittrice sviluppa e completa. Per portare il proprio
contributo a ridurre l’analfabetismo è lei stessa a creare e gestire per 5 anni
una scuola per i figli dei contadini poveri. I testi della narrativa di Bojunga
Nunes hanno una marcata prospettiva rivolta all’infanzia: osserva il mondo con
lo sguardo ricco di fantasia del bambino che gioca. Le fantasie servono spesso
anche come elaborazione di difficili situazioni personali. Lygia Bojunga Nunes,
che iniziò a scrivere i suoi racconti quando la dittatura teneva ancora il
Brasile in una morsa di ferro, con la sua narrativa conduce in pratica
un’attività sovversiva, cosa che a suo avviso le riusciva più facile fare
scrivendo per i più piccini, poiché – diceva la stessa Bojunga – “i generali
non leggono libri per l’infanzia”. I venti di libertà soffiano forte nei libri
di Bojunga Nunes, assieme a critiche contro la mancanza di eguaglianza fra i
sessi, argomento questo spesso ricorrente.
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18 marzo 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Ancora
violenze in Iraq. Dopo l’esplosione di una bomba, che ieri ha devastato un albergo
nel centro di Baghdad causando almeno 17 vittime, due nuovi attacchi hanno provocato
stamani la morte di 7 persone. Il nostro servizio:
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Alla vigilia del primo
anniversario dell’inizio della guerra in Iraq, odio e sgomento continuano ad
alternarsi tragicamente nel Paese arabo, anche oggi teatro di drammatici attacchi
che hanno provocato, a Baquba, la morte di tre operatori di una
emittente locale finanziata dalla coalizione e, a Bassora, 4 morti per una
violentissima esplosione avvenuta all’esterno di un albergo. Una vera e propria
battaglia tra truppe statunitensi e guerriglieri è inoltre divampata questa
mattina a Falluja, una settantina di chilometri ad Ovest di Baghdad. A questa
drammatica ondata di violenza bisogna purtroppo aggiungere l’attentato compiuto
ieri nel centro della capitale irachena, dove sono rimaste uccise almeno 17
persone e non 29 come riportato in un primo bilancio fornito da fonti militari
americane. In questo complesso scenario non mancano, comunque, segnali di
speranza per un progressivo ritorno alla normalità. Il prossimo 15 aprile sarà
infatti riaperto il
ministero della Difesa iracheno, chiuso dopo l’ingresso delle truppe
anglo-americane a Baghdad.
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Gli
attentati ai treni a Madrid – in relazione ai quali la polizia spagnola ha
arrestato stamattina altre 4 persone – sono stati una conseguenza del sostegno
della Spagna a Washington. Lo ha confermato oggi, dall’Indonesia, Abu Bakar
Bashir, leader dell’organizzazione terroristica Jemaah Islamiyah. Il gruppo
terroristico legato ad al Qaida che ha rivendicato le stragi di giovedì scorso
a Madrid, ha intanto annunciato una tregua nelle sue operazioni in Spagna in
attesa di vedere se il nuovo governo spagnolo ritirerà effettivamente le sue
truppe dall’Iraq.
Ancora alta la tensione fra la Georgia e l’Adzharia, dopo
il blocco economico imposto da Tbilisi alla repubblica autonoma sul mar Nero.
Il presidente georgiano, Saakashvili, ha varcato il confine tra i due Paesi,
per incontrare il leader della repubblica “ribelle”, Aslan Abachidze. La
sanzione potrà essere rimossa – ha ribadito il governo georgiano – se
l’Adzharia accetterà di tenere elezioni libere e democratiche il prossimo 28 marzo.
È tornata la tensione ad Haiti
dopo la decisione del neo premier, Gérard Latortue, di escludere dalla lista
del suo governo provvisorio, formato da 13 ministri tra cui tre donne, gli
alleati del deposto presidente Aristide. Il giorno del suo insediamento, infatti,
Latortue aveva annunciato un governo di unità nazionale. Ma quali sono state le
prime reazioni nell’isola alla nomina del nuovo esecutivo? Lucas Duran, lo ha
chiesto al vice-console italiano ad Haiti, Joanny De Matteis che ha raggiunto
telefonicamente a Port-au-Prince.
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R. – E’ un nuovo governo che viene dalla società civile.
Non c’è nessun membro appartenente a qualsiasi partito politico. E’ formato
soprattutto da tecnocrati, persone molto note all’estero e ad Haiti. Si pensa
che sarà un governo che potrà ben fare.
D. – Quali sono state le reazioni all’arrivo di
Jean-Bertrand Aristide in Giamaica, Paese geograficamente molto vicino ad
Haiti?
R. – Dopo questo, il nuovo governo di Haiti ha gelato le
sue relazioni diplomatiche con Kingston-Giamaica. Bisogna distinguere bene
adesso i Paesi amici di Haiti ed i governi amici di Aristide. Molti capi di
Stato erano vicini ad Aristide, ma certamente per interessi privati.
D. – Console, lei ritiene realistico un ritorno ad Haiti
di Aristide, allo stato attuale delle cose?
R. – No, assolutamente. Secondo noi è pura fantasia.
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Il Pakistan verrà designato, dagli Stati Uniti, come “un
importante alleato non-Nato” per rafforzare la lotta contro il terrorismo. Lo
ha annunciato il segretario di Stato americano, Colin Powell, in visita ad
Islamabad. Le forze pachistane hanno intanto lanciato oggi una “importante”
operazione militare nel Nord Ovest del Paese, dove ieri 39 persone sono state
uccise in scontri fra soldati e integralisti islamici.
Giornata storica per l’Unione africana (Ua), l’organizzazione del Continente africano nata nel 2002 sul modello
dell’Unione Europea. Ad Addis Abeba, sede dell’organizzazione, è stato infatti
ufficialmente inaugurato oggi il parlamento panafricano, a cui hanno aderito
finora 39 Stati sui 53 dell’Unione. Su questa nuova, importante istituzione,
ascoltiamo il direttore dell’Agenzia missionaria Misna, padre Giulio Albanese,
al microfono di Sergio Centofanti:
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R. – Certamente è una giornata significativa nella storia
del Continente anche se, a mio avviso, bisogna essere estremamente realisti.
Attualmente l’Unione Africana è ancora una realtà molto giovane. Vi sono
difficoltà di vario genere, anche di ordine finanziario. A mio avviso, è
importante riaffermare l’importanza dei parlamenti nazionali perché se non si
apre davvero il dibattito democratico all’interno degli Stati membri, pensare
ad un’assemblea del popolo panafricana rischia di essere davvero utopico.
D. – Cosa cambia per l’Africa?
R. – Cambia poco nel senso che comunque si tratta di un
organismo consultivo. Il che significa sostanzialmente che questo parlamento si
limiterà a dare suggerimenti ai singoli Stati.
D. –Questo parlamento panafricano potrebbe aiutare il
continente ad avere più pace, più sviluppo, più democrazia?
R. – Il parlamento certamente ha una grande responsabilità
morale, anche perché l’Africa ha attraversato in questi anni non poche tragedie
e disastri. E dunque i valori della democrazia, della pace e della non violenza
sicuramente sono principi di cui deve farsi davvero interprete questa assemblea
continentale. Ciò non toglie, però, che a mio avviso, un grande sforzo a
livello di singoli Stati membri deve essere fatto soprattutto sul versante
interno. Vale a dire finché non vi saranno dei parlamenti davvero liberi,
finché non vi saranno elezioni davvero trasparenti, credo che un progetto
politico come quello del parlamento africano difficilmente sarà avviabile.
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Una manifestazione, oggi, contro il terrorismo ed un
corteo, sabato prossimo, in favore della pace. Sono le due iniziative, unite da
obiettivi comuni ed entrambe in programma a Roma, che vedranno, però, la
partecipazione di realtà politiche e sociali molto diverse. Alla manifestazione
odierna, promossa dall’Associazione dei comuni italiani (Anci), aderiscono
infatti tutti i partiti del centrodestra, l’Udeur e le forze della “Lista
Prodi”. Gli esponenti della sinistra radicale prenderanno parte, invece, al
corteo di sabato, una manifestazione molto eterogenea a cui aderiranno, tra gli
altri, anche le Acli e movimenti no global.
Il primo
ministro greco, Costas Karamanlìs, parteciperà all’ultima fase dei negoziati
per la riunificazione di Cipro, in programma la prossima settimana a
Burgenstock, in Svizzera. Il premier ha accettato l’invito del segretario
generale dell’Onu, Kofi Annan, e prenderà parte dal 28 marzo ai colloqui che
prevedono la partecipazione di Grecia e Turchia.
Almeno 17 persone sono morte e 50 risultano disperse in seguito
all’affondamento di un traghetto al largo dell’atollo
corallino di Thinadoo, nelle Maldive meridionali.
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