RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 62 - Testo della Trasmissione di martedì 2 marzo 2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Accolti trionfalmente ad Haiti i militari
statunitensi, mentre l’ex-presidente Aristide accusa Washington di averlo costretto
a partire con la forza.
Giornata decisiva, negli Stati Uniti, per le
presidenziali del prossimo 2 novembre: si vota per le primarie in 10 Stati
dell’Unione.
I colloqui per la riunificazione dell’isola di
Cipro continueranno con ogni probabilità anche dopo il 1° maggio.
2 marzo 2004
“LA CROCE COME LUOGO IN CUI DIO PARLA NEL
SILENZIO”.
E’ UNO
DEI PASSI DEGLI ODIERNI ESERCIZI SPIRITUALI PREDICATI,
IN
VATICANO, ALLA PRESENZA DEL PAPA
-
Servizio di Amedeo Lomonaco -
“In
cammino verso la Croce. Il Vangelo delle sofferenze. La Croce come storia
trinitaria”. E’ questo il tema degli odierni esercizi spirituali predicati in
Vaticano dal teologo mons. Bruno Forte. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Il cammino nella sequela di Gesù è proseguito, oggi,
approfondendo l’itinerario verso la croce che mons. Bruno Forte ha così
descritto:
“Il luogo in cui Dio parla nel silenzio, rischiarando le
tenebre del nostro cuore, assetato di lui”.
Tutta la vita di Gesù – ha aggiunto il predicatore – è
stata orientata dalla Croce: le stesse narrazioni del Vangelo sono come storie
della passione con una introduzione particolareggiata:
“La Croce è la narrazione della Trinità, la Trinità è il
concetto della Croce. Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai
piedi della Croce”.
Nel
pomeriggio di ieri mons. Bruno Forte ha approfondito, inoltre, il tema della
libertà, già sviluppato nelle predicazioni della mattina:
“Gesù non è soltanto l’uomo libero, l’esempio e il modello
della nostra libertà: Gesù è il nostro liberatore, e lo è perché è lui che ci
ha rivelato il Padre, il Dio di misericordia”.
Il teologo ha quindi esaminato il prezioso patrimonio
dell’ebraico biblico: con solo 5750 parole questa lingua – ha ricordato - ci
dice tutto del cuore dell’uomo perché usa le metafore. Analizzando la parabola
del figliol prodigo, il teologo ha sottolineato come il padre descritto nel
passo del Vangelo sia in realtà Dio, umile, coraggioso, materno e Signore della
speranza, della gioia e della sofferenza. Mons. Forte ha quindi proseguito
nell’interpretazione delle metafore presenti nella parabola:
“Davanti a questo Dio, chi siamo noi? Il figlio più
giovane, quello che si è preso tutto e se n’è andato di casa, in una terra dove
ha dissipato tutto”.
“Il ritorno a casa del figliol prodigo – ha detto il
predicatore – rappresenta lo straordinario momento della conversione”. Il
cammino della conversione - ha sottolineato - prevede la percezione
dell’alienazione a cui il peccato ha condotto, il riconoscimento dell’amore di
Dio, la consapevolezza del dramma per l’essersi allontanato dal messaggio di
Gesù, e infine - ultimo atto di questo itinerario di fede - l’incontro con il
Signore. Il teologo ha infine dedicato la lectio divina alla scena
dell’Annunciazione a Maria, Vergine dell’ascolto e icona della libertà.
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A motivo dello svolgimento in
Vaticano degli esercizi spirituali in preparazione della Pasqua domani,
mercoledì 3 marzo, non si svolgerà la consueta udienza generale del Santo
Padre.
IL MESSAGGIO DEL PAPA PER LA XIX GIORNATA MONDIALE
DELLA GIOVENTU’
CHE SI
CELEBRERA’, A LIVELLO DIOCESANO,
NELLA
PROSSIMA DOMENICA DELLE PALME
Il prossimo 4 aprile cade la Domenica delle Palme, che per
tradizione è ormai dedicata alla gioventù. Il Papa ha inviato ai giovani anche
quest’anno un apposito messaggio per questa che sarà la XIX Giornata mondiale
della gioventù. Ce ne riferisce Giovanni Peduto:
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“Vogliamo vedere Gesù”: fu la domanda che i Greci
rivolsero all’apostolo Filippo, come ci racconta Giovanni nel suo Vangelo.
Ebbene, Giovanni Paolo II esorta i giovani ad avere lo stesso desiderio di
trovare la risposta alla domanda sul senso della nostra vita, perché a questo
ci porta il desiderio di vedere Gesù. Accogliere l’aspetto più sublime della
dignità dell’uomo, che sta proprio nella sua vocazione a comunicare con Dio. Il
desiderio di vedere Dio abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna, ma per
poter cogliere il volto di Dio bisogna fare il silenzio dentro di noi. Il Papa
invita i giovani a fare questo silenzio, a cercare Gesù con gli occhi di carne
attraverso gli avvenimenti della vita e nel volto degli altri, ma soprattutto a
cercarlo con gli occhi dell’anima, per mezzo della preghiera e della
meditazione della Parola di Dio.
Essere veramente liberi – dice il Papa – significa avere
la forza di scegliere Colui per il quale siamo stati creati ed accettare la sua
signoria sulla nostra vita. L’Eucaristia, ricevuta con amore e adorata con
fervore, diventa scuola di libertà e di carità per realizzare il comandamento
dell’amore di Gesù. L’oblio di sé non è facile, dice ancora il Papa; esso
distoglie dall’amore possessivo e narcisista per aprire l’uomo alla gioia
dell’amore che si dona. E poi, il Papa porta l’esempio della beata Teresa di
Calcutta, che amava distribuire il suo biglietto da visita sul quale stava
scritto: ‘Frutto del silenzio è la preghiera, frutto della preghiera è la fede,
frutto della fede è l’amore, frutto dell’amore il servizio, frutto del servizio
la pace’. Ecco il cammino dell’incontro con Gesù. Ma è importante non
dimenticare che Gesù è presente nella sua Chiesa. Non solo. Ma sul cammino che
porta a Gesù si incontra la Croce, ed è proprio questa verità che il Papa ha
voluto ricordare ai giovani del mondo, consegnando loro la grande croce di
legno al termine dell’Anno Santo della Redenzione, nel 1984: centinaia di
migliaia di giovani hanno pregato attorno a quella croce, deponendo ai suoi
piedi i pesi di cui erano gravati; hanno scoperto di essere amati da Dio, e
molti di loro hanno trovato anche la forza di cambiare vita.
Quest’anno, dice il Papa ai giovani, nel ventesimo
anniversario di quell’evento, la Croce sarà accolta a Berlino da dove,
pellegrinando attraverso tutta la Germania, raggiungerà il prossimo anno
Colonia. “Mettete i vostri talenti e il vostro ardore giovanile al servizio
dell’annuncio della Buona Novella”: questa l’esortazione del Papa ai giovani.
“Siate gli amici entusiasti di Gesù, che presentano il Signore a quanti
desiderano vederlo, soprattutto a quanti sono da lui più lontani. Dio si serve
dell’amicizia umana per condurre i cuori alla sorgente della divina carità. Il
Papa conclude: la Vergine di Nazaret insegnerà a fissare lo sguardo su Gesù
perché in questo mondo che passa, voi siate profeti del mondo che non muore”.
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NOMINA IN MESSICO
Il Santo Padre ha nominato
stamane ausiliare dell’arcidiocesi di México, in Messico, il rev. Víctor
Sánchez Espinosa, del clero dell’arcidiocesi di Puebla de los Angeles,
assegnandogli la sede titolare vescovile di Ambia.
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Apre la prima pagina la notizia
delle stragi compiute a Baghdad e a Kerbala, in Iraq, nel giorno della
ricorrenza sciita dell'Ashura. Il dettagliato resoconto di questo ennesimo
atto di violenza perpetrato nel tormentato territorio iracheno.
Nelle vaticane, una pagina dedicata
alla Lettere quaresimali dei Vescovi italiani.
Nelle estere, per la rubrica
dell' "Atlante geopolitico", un articolo di Pierluigi Natalia dal
titolo "Africa: la lotta alla sete promuove la pace". Haiti: l'Onu
annuncia una missione a Port-au-Prince per preparare il dispiegamento dei
"caschi blu".
Nella pagina culturale, un
articolo di Paolo Miccoli dal titolo "Emozioni, sentimenti e
cervello": in un recente saggio la discutibile commistione tra scienza e
filosofia.
Per l'"Osservatore
libri", un approfondito contributo di Marco Impagliazzo sull'opera di
Danilo Veneruso intitolata "La storiografia di Massimo
Petrocchi".
Nelle pagine italiane, in
rilievo il tema dei conti pubblici e l'emergenza-maltempo.
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2 marzo 2004
ATTENTATI CONTRO LE COMUNITA’ SCIITE IN IRAQ
E
PAKISTAN NELLA RICORRENZA DELL’ASHURA: DECINE DI MORTI E FERITI
Scorre
il sangue in Iraq e in Pakistan nel giorno della più solenne ricorrenza per i
musulmani sciiti, la festività dell’Ashura. Una serie di gravissimi attentati
hanno colpito le città di Baghdad e Karbala, a sud della capitale irachena, e
Quetta nella regione sud-occidentale pakistana. Eventi drammatici che avvengono
alla vigilia della firma della nuova Costituzione provvisoria irachena. La
cronaca di quanto accaduto nel servizio di Giancarlo La Vella:
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Oltre 75 morti a Baghdad, altrettanti a Karbala e
centinaia di feriti in seguito alle violente esplosioni, provocate da
attentatori suicidi nel corso delle cerimonie di piazza dell’Ashura, la
ricorrenza che commemora la morte dell’imam Hussein, figlio di Alì, il genero
del profeta Maometto, sconfitto dalle truppe del califfo Yazid nella lotta per
la leadership dell’Islam e decapitato in Mesopotamia nell'anno 680 d. C. A quell'episodio
risale lo scisma islamico fra sunniti e sciiti. Questi ultimi sono oggi poco
più del 10 per cento della popolazione islamica mondiale, ma costituiscono la
maggioranza in Iran, in Iraq e nel Bahrein. Matrice politica o matrice
religiosa? L’imam di una moschea di Baghdad, coinvolta dagli attentati, punta
il dito contro Al Qaida, ma è comunque difficile in questo particolare momento
storico per l’intera regione del Golfo attribuire l’offensiva odierna. Sicuramente
è la conferma dell’esistenza di forze destabilizzanti che possono operare su
più fronti – ne è una prova la morte a Baghdad di un altro soldato americano,
colpito oggi da una granata – allo scopo di bloccare i tentativi di fare
dell’Iraq uno Stato democratico. Gli attacchi anti-sciiti hanno colpito anche
la città pakistana di Quetta, dove un gruppo di uomini armati ha aperto il
fuoco sulla folla degli sciiti, provocando almeno 20 morti. Uno sciita ucciso e
16 feriti anche a Kabul, in Afghanistan. Tensione ai massimi livelli, anche
perché domani sarà firmata la Costituzione provvisoria irachena e c’è il
rischio che nelle prossime ore il terrorismo torni a colpire.
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Gli attentati di questa mattina
mostrano quanto sia ancora difficile da sanare, in Iraq, la frattura interna
tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. Lo conferma Alberto Negri,
inviato speciale del Sole 24 Ore, intervistato da Andrea Sarubbi:
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R. - Stiamo di fronte a delle frontiere, a delle linee di
faglia tra il mondo sunnita e sciita, che sono saltate proprio con la caduta,
per esempio, del regime di Saddam Hussein. Questi scontri, che fino a qualche
anno fa erano sotterranei, adesso sono esplosi in tutta la loro portata. Ci
troviamo, quindi, di fronte ad uno scontro che ricorda un po’ quello della guerra
civile libanese, quando si scoprì che gli sciiti erano diventati la maggioranza
della popolazione, pur non essendo adeguatamente rappresentati sul piano
politico e dei diritti civili. In Iraq si ripete più o meno la stessa cosa, ma
in maniera forse ancora più dirompente.
D. – Eppure, sulla Costituzione irachena, Sciiti e Sunniti
sembravano aver trovato un accordo, almeno sulla questione di principio …
R. – Io vorrei ritornare su queste ‘questioni di
principio’, perché mi sembra che siano state risolte un po’ troppo
frettolosamente. Ad esempio, la Costituzione dice che una delle fonti di
legislazione è l’Islam… ma a quale scuola giuridica faranno riferimento, in un
Paese dove c’è una maggioranza sciita ed una minoranza sunnita che, però, ha
avuto sempre in mano il potere? Ecco, non mi sembra che sia così facile
conciliare queste cosiddette ‘linee di principio’: oggi vengono scritte sulla
carta, ma domani potrebbero diventare questioni dirompenti.
D. – Quasi contemporaneamente agli attentati in Iraq se
n’è verificato uno anche in Pakistan. Secondo te, c’è un’offensiva mondiale
contro gli sciiti o è una coincidenza?
R. – No, non si tratta assolutamente di una coincidenza,
perché gli scontri interconfessionali in Pakistan sono purtroppo una lunga
storia degli ultimi 20 anni, ed anche prima. In Pakistan gli sciiti sono una
minoranza, ma una minoranza importante ed insediata da secoli: tanto per
ricordare un piccolo episodio, il padre di Khomeini veniva chiamato ‘l’indi’,
cioè l’indiano, perché proveniva proprio dall’attuale Pakistan, dove aveva
studiato la legge islamica.
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A CINQUE ANNI DAL TRATTATO DI OTTAWA
PER LA
MESSA AL BANDO DELLE MINE ANTIUOMO, UN BILANCIO
DEI
PROGRESSI FATTI E DELLE SPERANZE DISATTESE
-
Intervista con Simona Beltrami -
Ottantadue Paesi al mondo sono
inquinati dalle mine che tengono in ostaggio milioni di persone, paralizzando
le attività produttive e rendendo inservibili le infrastrutture. E’ un dato con
cui fotografare la situazione attuale a cinque anni dal Trattato di Ottawa per
la messa al bando dei micidiali ordigni, entrato in vigore il primo marzo del
1999. Certamente va sottolineato che in questi anni è passato da 40 a 141 il
numero dei Paesi che hanno fatto proprio il principio umanitario alla base del Trattato,
riconoscendo i devastanti effetti di lungo termine delle mine. Ma si deve anche
constatare che restano disattese molte delle promesse fatte, come spiega
nell’intervista di Fausta Speranza, Simona Beltrami del Coordinamento di
associazioni intitolato Campagna italiana contro le mine:
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R. – Sono rimasti fuori dall’accordo 44 Stati, alcuni dei
quali molto importanti. Soprattutto allarma il fatto che non vogliano aderire
al Trattato di Ottawa tre quinti dei membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, ossia le grandi potenze: Stati Uniti, Russia e
Cina. Tutti e tre questi Paesi continuano a riservarsi il diritto di utilizzare
mine per i loro scopi militari. La Russia sta utilizzando mine in Cecenia e va
ricordato che la Cecenia l’anno scorso è stato il Paese in cui si è registrato
il più alto numero nel mondo di vittime per
mine. Gli Stati Uniti, purtroppo, proprio in questi ultimi giorni hanno
dichiarato che non aderiranno al Trattato di Ottawa e che continueranno ad usare
mine come e quando lo riterranno necessario, con l’unica concessione che dal
2010 utilizzeranno solo le cosiddette ‘mine intelligenti’, ossia mine che dopo
un certo periodo di attività si autodistruggono. Il problema di queste mine,
che poi così ‘intelligenti’ non sono, è che esse continuano a rappresentare un
grave pericolo per la popolazione civile nel loro periodio di attività,
esattamente come le mine che non vengono definite ‘intelligenti’.
D. – Quali sono le prossime scadenze per questo impegno a
livello internazionale?
R. – Si terrà alla fine di novembre a Nairobi, in Kenya,
la prima Conferenza di riesame del Trattato di Ottawa. Sarà un summit a livello
intergovernativo al quale, però, parteciperanno anche le agenzie delle Nazioni
Unite che sono impegnate in attività di sminamento, le organizzazioni della
società civile e le organizzazioni non governative che hanno dato un forte
impulso perché si arrivasse al Trattato e che lavorano quotidianamente sul
terreno.
D. – Qual è invece l’impegno, in particolare, dell’Unione
Europea?
R. – C’è un forte impegno di natura finanziaria. L’Unione
Europea è tra i più importanti finanziatori di attività contro le mine, insieme
con gli Stati Uniti che sul piano politico rifiutano di entrare nel concerto di
Nazioni che rifiutano le mine ma che però indubbiamente sono un Paese donatore
importante. E’ interessante notare che all’interno della stessa Comunità
europea c’è un Paese che ancora non ha aderito al Trattato di Ottawa, la
Finlandia, e che adesso con l’allargamento dell’Europa a 25, il primo maggio,
entreranno altri tre Stati che ancora non sono parte del Trattato di Ottawa: la
Polonia, l’Estonia e la Lettonia. L’Estonia pare che sia già sulla buona
strada, mentre per gli altri Paesi c’è ancora da lavorare per cercare di
portarli nella comunità di Ottawa.
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L’OPERA DEI VOLONTARI
SALESIANI IN PRIMA LINEA
PER AIUTARE LE POPOLAZIONI POVERE E SOFFERENTI DEL
RWANDA,
DEL BURUNDI E DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL
CONGO
- Intervista con don Ferdinando Colombo -
Un viaggio lungo le strade di
tre terre spesso dimenticate dai media: il Rwanda, il Burundi e la città di
Goma in Congo. A compierlo è il sacerdote salesiano don Ferdinando Colombo,
vicepresidente del Vis, il Volontariato internazionale per lo sviluppo, legato
alla famiglia di don Bosco. Molto diverse tra loro le situazioni dei tre Paesi:
il Rwanda ricorda i 10 anni dal genocidio e i 50 anni di presenza della
missione salesiana; il Burundi vive ancora un clima di terrore dopo l’uccisione
del nunzio apostolico Michael Courtney, mentre la città di Goma è in fase di
ricostruzione a seguito della devastante eruzione del vulcano Nyiragongo. Ma
qualcosa accomuna questi Paesi, come spiega don Colombo, intervistato da Paolo
Ondarza:
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R. – La cosa che accomuna questi
Paesi è la ricchezza della terra; ricchezze strategiche, che li hanno fatti
essere al centro delle attenzioni delle potenze internazionali. Proprio questo
fatto li ha portati poi a conflitti interni. Il Rwanda, in qualche modo, li ha
risolti; il Burundi si sta avviando lentamente verso una condizione di pace ma
si presenta come un Paese impaurito: nessuno osa fare investimenti o improntare
attività, perché tutto potrebbe di nuovo ricadere sotto una terribile
situazione di incertezza e di guerra. La regione di Goma è, invece, ancora
percorsa da bande di eserciti locali.
D. – Il Rwanda ricorda proprio
in questo 2004 i dieci anni dal genocidio…
R. – Purtroppo rimane sottaciuto
che dopo quel terribile avvenimento, le stragi sono continuate nella direzione
opposta. Per cui qualche fonte osa affermare che tanti ne sono stati uccisi in
quei pochi mesi di genocidio, quanti poi nei dieci anni che sono seguiti.
D. – Don Ferdinando lei si è
trovato in Burundi in un momento storico particolarmente duro: a poco tempo
cioè dall’uccisione del nunzio apostolico. Come ha vissuto la Chiesa locale
questa tragedia?
R. – E’ una Chiesa, in fondo,
coraggiosa. Sentiva nella figura del nunzio che è stato ucciso il portabandiera
della volontà di costruire la pace; e la velocità con cui la Santa Sede ha
nominato anche il nuovo nunzio credo che sia proprio un ‘regalo’ grande perché
rappresenta la volontà di continuare questo cammino.
D. – Soffermiamoci ora su Goma
che, oltre ad essere colpita da problemi di natura economica, è stata devastata
in un passato molto recente dall’eruzione di un vulcano, il Nyiragongo. Come si
presenta oggi la situazione?
R. – Oggi su questa distesa di lava la gente, gente
povera, ha cominciato a costruire migliaia di casette fatte con il legno. Lo ha
fatto con l’aiuto naturalmente delle organizzazioni internazionali, dei gruppi.
Anche noi abbiamo collaborato ed abbiamo aiutato a costruirne circa cinquanta,
ridando così la possibilità alle persone di ricostruire un tessuto sociale.
Anche perché la terra intorno alla città è una terra fertile. Goma e tutta la
regione era ritenuta la zona di produzione delle verdure e riforniva buona
parte del Congo stesso. Riprendendo questi mercati, la gente riprende speranza
e fiducia. Torno a sottolineare che in Africa riprendere la vita quotidiana è
veramente un segno di forza di volontà e di coraggio. Dimostra che i valori
grandi sono nei cuori delle persone, anche se sono povere di mezzi materiali.
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“L’ITALIA DI FRONTE AL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO.
LE
IDENTITA’, LE RAPPRESENTANZE POLITICHE”:
CONVEGNO
AL SACRO CONVENTO DI ASSISI
Laici e credenti insieme su quanto l’Italia può fare per
la pace tra israeliani e palestinesi. Di questo principalmente si è parlato al
Convegno che si è tenuto ieri presso il Sacro Convento di Assisi. Presenti
all’incontro il vicepremier Gianfranco Fini, la presidente della Rai, Lucia
Annunziata, e il presidente dei Ds e della Fondazione Italiani-europei, Massimo
D’Alema. Ma cosa può fare concretamente l’Italia per la pace in Medio Oriente?
Debora Donnini lo ha chiesto a David Meghnagi, rappresentante al Convegno
dell’Unione comunità ebraiche italiane:
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R. – Organizzare incontri come quello che è stato
organizzato, cioè offrire una sede di confronti tra rappresentanti di
istituzioni nazionali e rappresentanti anche di israeliani e palestinesi. In
secondo luogo, l’offerta da parte del Convegno di Assisi di essere sede di una
riflessione interreligiosa per vedere cosa le religioni possono fare; il terzo
aspetto riguarda il confronto politico che c’è stato tra i diversi esponenti
delle forze politiche in campo, e ragionare in modo trasversale su una
questione per la quale il contributo di tutti può essere utile ed efficace.
D. – A livello di dialogo interreligioso, che cosa si può
fare?
R. – Intanto, è stato preso l’accordo di rivedersi; sul
piano concreto la proposta è anche di approfondire la conoscenza reciproca a
partire dai testi. Parlando come rappresentante dell’Unione delle comunità
ebraiche, vediamo bene sia la riflessione tra le diverse fedi che il fatto che
il problema della pace assuma rilevanza nelle relazioni interculturali. In
questo vediamo anche una possibilità di superare le forme di antisemitismo ed
oggi anche di islamofobia, che stanno prendendo piede in Europa. E su questo
credo che ci sia una parte che lo Stato italiano, ma direi ancora di più
l’Europa, possono fare.
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L’iniziativa
di Assisi si presenta anche come occasione di riflessione tra laici e
religiosi, quindi. Ma quanto è importante il dialogo tra le religioni per risolvere
i conflitti? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Mario Scialoja, rappresentante
in Italia della Lega musulmana mondiale.
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R. – Chiaramente, è importantissimo, perché forse è solo
il dialogo tra le religioni che può risolvere il problema. L’Islam,
contrariamente a quanto molta parte dell’opinione pubblica pensa, ripudia la
violenza, come l’ebraismo, come il Cristianesimo. Se fossero gli uomini di
religione a parlare, tutto – credo – sarebbe più semplice.
D. – Il dialogo ribadito da ogni parte, ma il Convegno ha
portato anche l’attenzione sul conflitto in Medio Oriente e sulle difficoltà
per uscire dalla crisi ...
R. – Da questa impasse si può uscire soprattutto con una
pressione su ambo le parti perché arrivino al compromesso necessario, vale a
dire i palestinesi che hanno certamente il diritto ad un loro Stato
indipendente, devono però essere ragionevoli sul problema dei profughi che
abbandonarono le loro case quando Israele nacque; gli israeliani, d’altra
parte, si devono rendere conto che dovranno rientrare nelle frontiere
internazionalmente riconosciute e dovranno smantellare gli insediamenti nei
territori occupati. La mappa dei Territori occupati è oggi come una pelle di leopardo,
dove le fittissime macchie rappresentano gli insediamenti israeliani; se quegli
insediamenti non venissero smantellati, sarebbe assolutamente impossibile la
creazione di uno Stato palestinese indipendente.
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2 marzo 2004
LANCIATA CON SUCCESSO LA SONDA
SPAZIALE EUROPEA “ROSETTA”,
CHE
“AGGANCERA’” UNA COMETA DOPO UN VIAGGIO LUNGO DIECI ANNI
KOUORO.
= La sonda spaziale “Rosetta” dell’Agenzia Spaziale Europea - l’Esa - ha
cominciato il suo lungo viaggio verso la cometa Churyumov-Gerasimenko. Nella
mattinata, dalla base di lancio europea di Kourou, nella Guyana Francese, il
razzo Ariane 5 ha portato “Rosetta” nello spazio. La sonda ha completato
l’operazione di dispiegamento dei pannelli solari ed è ora in fase di
transizione verso la sua orbita definitiva. La missione spaziale europea
studierà per la prima volta il nucleo di una cometa. La sonda raggiungerà il
suo obiettivo, dopo un viaggio di circa 10 anni. Scienziati e ingegneri del
Vecchio Continente, ma anche degli Stati Uniti, hanno messo in comune le loro
conoscenze e il loro entusiasmo per realizzare un orbiter e un lander,
strumenti necessari per scoprire i segreti del misterioso mondo ghiacciato
delle comete. “Rosetta è un tassello della nostra ricerca verso la conoscenza e
dei nostri sogni” ha commentato Jean Jacques Dordain, direttore generale
dell'Esa. La missione ha un obiettivo ambizioso: come la stele di Rosetta
permise di interpretare i geroglifici egiziani, la sonda spaziale costruita
dall'Esa aiuterà a decifrare l’origine del sistema solare attraverso l’analisi
di campioni di materiale primordiale della cometa. (A.G.)
IMMIGRAZIONE, DIALOGO CON L’ISLAM E PREPARATIVI
PER LA
GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’ A COLONIA
AL
CENTRO DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DEI VESCOVI TEDESCHI,
INIZIATA
IERI A BENSBERG PER CONCLUDERSI GIOVEDI’ PROSSIMO
COLONIA.
= Una dichiarazione sull’integrazione degli immigrati, la pastorale nel mondo
militare e, ancora, un sussidio che aiuti a tenere conto dei cambiamenti nella
cultura delle esequie. Sono questi i temi principali di cui si occupano, da ieri,
i vescovi tedeschi riuniti a Bensberg, vicino a Colonia, per l’Assemblea
plenaria primaverile. L’assise si concluderà giovedì prossimo, 4 marzo. Tra gli
altri temi all’attenzione dei 71 membri della Conferenza episcopale tedesca vi
sono anche i lavori del Cibedo (Centro di documentazione per l'incontro tra
Cristiani ed Islamici), del segretariato per i cattolici tedeschi all’estero e
i preparativi per la Giornata mondiale della gioventù 2005 di Colonia. (A.G.)
L’IMPORTANTE RUOLO DELLE IMPRESE PRIVATE
PER LO
SVILUPPO DEI PAESI PIU’ POVERI IN UN RAPPORTO DELLE NAZIONI UNITE,
PRESENTATO
IERI AL PALAZZO DI VETRO A NEW YORK
NEW
YORK. = “Il mondo degli affari deve essere messo al servizio dei poveri”: è
questo il messaggio contenuto in un Rapporto delle Nazioni Unite, stilato da
una Commissione composta da 15 imprenditori e presieduta congiuntamente dal
premier canadese Martin e dall’ex presidente messicano Zedillo. Le imprese – avverte
il documento – possono contribuire al processo di sviluppo in termini di
creazione di ricchezza, posti di lavoro e attraverso la fornitura di beni e
servizi. L’importanza degli investimenti del settore privato rispetto a
finanziamenti pubblici o dall’estero appare evidente nel considerare la
composizione del prodotto interno lordo (Pil) nel corso degli anni ’90 nei
Paesi in via di sviluppo. A fronte di investimenti pubblici pari al 7 per cento
e di investimenti esteri compresi tra il 2 e il 5 per cento, le risorse messe a
disposizione dal mondo dell’impresa hanno raggiunto circa il 10-12 del Pil.
Oltre a dover garantire stabilità politico-giudiziaria, per sostenere l’avvio
di iniziative private – nei Paesi in via di sviluppo - rimane necessario limitare
il peso delle imposte; questo aspetto viene evidenziato dallo stridente
raffronto del caso limite dell’Angola dove occorrono 146 giorni e 5531 dollari
– più di 8 volte il reddito medio pro capite – per avviare un’impresa, rispetto
ai 28 dollari – meno dell’1 per cento del reddito pro capite - in Nuova
Zelanda. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, si è detto
fiducioso che i risultati di questo Rapporto diano vita a politiche
incoraggianti il risparmio, gli investimenti e l’innovazione nei Paesi del
terzo mondo. Il rischio, infatti, è che questi non riescano a raggiungere nel
2015 gli obiettivi del Millennio, stabiliti dall’Onu nel 2000. (P.C.)
LE ELEZIONI IN GUINEA BISSAU DEL 28 MARZO SI SVOLGANO
ALL’INSEGNA
DELLA
TOLLERANZA: COSI’, I VESCOVI DEL PAESE AFRICANO,
CHE IN
UN VADEMECUM ESORTANO I LEADER POLITICI AD IMPEGNARSI
PER LA
PACE E IL BENE DELLA NAZIONE
BISSAU. = La Guinea Bissau ha bisogno di una
campagna elettorale nel rispetto dei valori di “vera pace, realismo e tolleranza”,
un voto “trasparente” per il bene della nazione. E’ quanto auspicano i vescovi
del Paese africano nel messaggio “Alla vigilia delle elezioni legislative”, in
programma il prossimo 28 marzo. Il documento – reso noto dall’agenzia Misna -
contiene una serie di osservazioni che “la Chiesa cattolica ritiene opportuno
rivolgere a tutti i cattolici e a tutte le persone di buona volontà”. I vescovi
delle due diocesi del piccolo Paese africano (Bissau e Batafà) lanciano un
appello ai responsabili politici, su cui pende la “pesante responsabilità di
agire per la pace, per loro stessi, per le loro famiglie e tutta la nazione
guineana”. In vista delle elezioni legislative – le prime dopo l’incruento
colpo di Stato del settembre 2003 – i presuli invitano chi sarà chiamato a
gestire la cosa pubblica a “trascendere le divergenze, gli interessi egoistici,
le ambizioni personali” invitandoli a non cercare di conquistare il potere a
ogni costo o con mezzi sleali. Sei mesi fa un gruppo di militari mise in atto
un rapido golpe, che si concluse senza spargimento di sangue e con l’uscita di
scena del presidente Kumba Yala. Secondo l’accordo di transizione messo a punto
dal Comitato misto che ha preso le redini del Paese, entro dodici mesi dalle
elezioni legislative di marzo si tornerà alle urne per scegliere il nuovo
presidente della Guinea, incarico affidato temporaneamente ad Henrique
Rosa. (A.G.)
OGNI ANNO, 20 MILA BAMBINI PERUVIANI MUOIONO
PRIMA DI AVER COMPIUTO
IL
PRIMO ANNO DI VITA: E’ LA DENUNCIA DELL’UNICEF CHE IN UN RAPPORTO
AFFRONTA
IL DRAMMA DELLA MORTALITA’ INFANTILE NEL PAESE ANDINO
LIMA. = Ogni anno in Perù nascono circa 628 mila
bambini, ma più di 20 mila muoiono prima d’aver compiuto il primo anno d’età.
Il tragico dato è contenuto in un rapporto presentato alla stampa dalla sezione
peruviana dell’Unicef. Le percentuali più alte di mortalità infantile si
raggiungono a Cuzco (84 per mille), a Huancavelica e Apurimac (71 per mille).
Le cause principali che provocano il decesso dei neonati sono rappresentate da
malattie perinatali, infezioni respiratorie, incidenti, patologie congenite e
malnutrizione. Ma uno dei problemi principali per i neonati e per le loro
prospettive di sopravvivenza viene dalle madri e dall’anemia che tormenta la
maggior parte di loro e che miete vittime anche tra le gestanti al momento del
parto. Secondo l’Unicef, la mortalità è decisamente più elevata nelle zone
rurali che non nei centri urbani. La mancanza d’igiene è una delle principali
cause di mortalità, determinata dal fatto che in campagna il 74,5 per cento dei
parti avviene in casa, mentre in città il 43 per cento si svolge in ospedali
pubblici. (A.G.)
IN ITALIA, IL NUMERO DI MUSEI
ECCLESIASTICI E’ PASSATO DA 104 AD 820
NEGLI ULTIMI TRENT’ANNI. TRIPLICATI I MUSEI DIOCESANI.
LO RIVELA UN CENSIMENTO DELL’UFFICIO PER I BENI CULTURALI ECCLESIASTICI
DELLA CEI
ROMA. = Nell’arco di trent’anni, è
cresciuto significativamente in Italia il numero dei musei ecclesiastici, cioè
di proprietà della Chiesa, passando da 104 a 820. I musei diocesani sono
triplicati: erano 37 nel 1971, oggi sono 102. Un segno evidente che in Italia
sta crescendo l’interesse per l’arte e la storia locale. Lo sottolinea mons.
Giancarlo Santi, direttore dell’Ufficio per i Beni culturali ecclesiastici
della Conferenza episcopale italiana. La Chiesa ha censito 936 musei religiosi
di cui 820 di proprietà ecclesiastica e 116 di proprietà non ecclesiastica; i
musei diocesani rilevati sono 215, di cui 102 aperti al pubblico, 14 in
restauro, 2 chiusi, 60 in progettazione e 37 in fase di allestimento. Il
contesto – afferma il presule - registra una grande vitalità. “Anche dal punto
di vista dell’informazione – aggiunge mons. Santi - le cose sono nettamente
migliorate”. Nel 2002, inoltre, è nato il sito www.amei.info, che consente di
consultare ed entrare in contatto con molti musei ecclesiastici. (A.G.)
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2 marzo 2004
- A cura di Barbara Castelli -
“Rapito dagli americani e
costretto a partire, vittima di un colpo di Stato”. Dalla Repubblica
Centrafricana, dove è ancora rifugiato, il presidente haitiano, Jean-Bertrand
Aristide, ha raccontato ieri la sua versione dei fatti. Una versione, tuttavia,
smentita da Washington, i cui militari sono stati accolti trionfalmente dalla
popolazione di Port-au-Prince. Anche il leader dei ribelli, Guy Philippe, è entrato
ieri nella capitale, dove continua a regnare il caos. Il servizio di Barbara
Schiavulli:
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Il giorno dopo l’entrata trionfale dei ribelli a
Port-au-Prince e la rapida partenza di Jean-Bertrand Aristide, Haiti ha ripreso
la solita vita di sempre. L’ex-presidente, tuttavia, l’unico eletto democraticamente
nella storia di Haiti, accusa gli americani di averlo costretto alla fuga con
la forza. C’è il rischio così che i suoi sostenitori non si sentano più tanto
traditi quanto vittime di un complotto. Aristide in questa maniera potrebbe
boicottare il lavoro delle forze di pace, mandate dagli Stati Uniti per
ripristinare l’ordine, e quello dell’opposizione, impegnata ad organizzare un
processo politico che porti il Paese verso una crescita democratica ed
economica. Ora il problema per l’opposizione politica è decidere cosa farsene
dei ribelli. Celebrati come eroi dalla gente, molti considerati criminali
dall’amministrazione americana per il loro sordido passato, faranno quanto è possibile
per avere il posto che ritengono di meritare nel futuro governo.
Barbara Schiavulli da Port-au-Prince per la Radio
Vaticana.
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E sulla situazione oggi ad Haiti Lucas Duran ha
intervistato suor Anna D’Angela, salesiana, che da 49 anni opera a Cité Soleil,
la più dura delle baraccopoli della capitale Port au Prince:
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R. - La gente è più tranquilla e cammina per le strade.
Cammina perché cerca di comprare qualcosa: hanno necessità. Non ci sono
macchine, le persone hanno paura di uscire con le macchine e poi le strade sono
piene di barricate, di pietre ... c’è di tutto! Gli ex-militari, comunque,
hanno già incominciato a pulire, in modo che si possa passare. E’ una cosa
triste, ma ci si sente molto sollevati. Gli aerei americani continuano a venire
con dei soldati.
D. - Lei che vive proprio nei quartieri più difficili, da
dove si dice vengano buona parte di queste “chimères”, ci può fare l’identikit
di un membro di queste chimere?
R. - E’ come una milizia sua personale, che ha messo in
piedi fin da quando era stato eletto. Aveva bisogno di questo sostegno privato,
personale che armava e pagava molto bene!
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Non accennano a diminuire in Venezuela le manifestazioni
contro il presidente, Hugo Chávez. Nei disordini di ieri a Caracas un uomo ha
perso la vita, dopo essere stato gravemente ferito dall’esercito. Atteso per
oggi, intanto, l’annuncio del Consiglio Nazionale Elettorale sul referendum che
chiede l’allontanamento del Capo di Stato. Raccolte 3 milioni e 400 mila firme.
E’ giunto stamani a Mosca Mikhail Fradkov, il nuovo primo
ministro russo designato dal presidente, Vladimir Putin. Il 53.enne non ha fornito
alcun dettaglio sulla composizione del futuro governo, specificando di considerarsi
un semplice “tecnico”.
In America oggi è il
“supermartedì”, il giorno in cui George W. Bush potrebbe conoscere il nome del
suo rivale alle elezioni presidenziali del prossimo 2 novembre. In 10 Stati
dell’Unione, infatti, si vota per le primarie ed assemblee di partito, che
mettono in palio, in tutto, 1.151 delegati. La California e lo stato di New
York sono i giganti dell’appuntamento, che vede aperti anche i seggi di un gran
numero di grandi città: Los Angeles e San Francisco, Boston e New York, Atlanta
e Minneapolis. Il favorito John Kerry ha, dunque, la possibilità di chiudere i
conti con il suo rivale, John Edwards. Sentiamo Elena Molinari:
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John Kerry parla già da candidato alle presidenziali.
L’unico sfidante rimasto in gara, l’avvocato John Edwards, per la prima volta
da segni di cedimenti: è, infatti, giù nei sondaggi, proprio lui che di solito
guadagna terreno all’ultimo momento. La sensazione è che il partito democratico
abbia già fatto quadrato attorno all’apripista Kerry. Il senatore del Massachussetts
lo sa e neanche ieri ha sprecato energie contro il rivale democratico,
preferendo indirizzare le sue accuse contro il presidente, George Bush, che ha
criticato per la sua politica economica. Edward, invece, domenica ha attaccato
seriamente per la prima volta Kerry: lo ha accusato di non essere una faccia
abbastanza nuova per garantire il vero cambiamento a Washington. Ha, quindi,
continuato a corteggiare i sostenitori dell’ex governatore del Vermont, Howard
Dean, ritiratosi dalla corsa. Edwards ha anche promesso che non si farà da
parte, nemmeno se sarà sconfitto in tutti i dieci Stati.
De New York, Elena Molinari per la Radio Vaticana.
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In primo piano in Medio Oriente la decisione del primo
ministro israeliano, Ariel Sharon, di smantellare almeno dieci insediamenti
ebraici in Cisgiordania. L’annuncio, parte del piano di separazione d’intesa
con i palestinesi, è stato fatto ieri sera alla televisione pubblica. Nei
Territori, intanto, la tensione resta alta. Un giornalista palestinese,
consigliere del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Yasser Arafat,
è stato ucciso nella notte a Gaza da un gruppo di uomini armati; mentre un
27.enne ha perso la vita all’alba sotto i colpi dei soldati israeliani, nel
corso di un’incursione nel villaggio di Yatta, nei pressi di Hebron in Cisgiordania.
I
colloqui per la riunificazione di Cipro potrebbero continuare anche dopo il primo
maggio, data in cui è previsto l’ingresso dell’isola nell’Unione Europea. Così
oggi il ministro degli Esteri greco, Tassos Yannitis. “Se continueranno - ha
detto - arriveremo a un accordo nell’immediato futuro”. Nel caso l’intesa non
sia raggiunta entro il primo maggio, l’isola potrebbe entrare divisa nell’Ue,
dal momento che solo il governo greco-cipriota ha negoziato l’adesione. Per
scongiurare questa ipotesi, le Nazioni Unite sono da tempo impegnate in una
delicata mediazione che va oltre i confini dell’isoletta mediterranea.
“La
minaccia del terrorismo continua ad incombere sulla convivenza interna ed
internazionale e non può essere in alcun modo sottovalutata”. Così oggi il Ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, alla cerimonia
di commemorazione del sovrintendente di polizia Emanuele Petri, ucciso un anno
fa dalle nuove Brigate Rosse. Pisanu ha, quindi, aggiunto che “gli omicidi
Biagi e D'Antona non rimarranno impuniti”.
La
Camorra in Italia controllava la vendita dei prodotti Cirio e Parmalat, imponendo
il pizzo ai due gruppi, in modo particolare nel Casertano. E’ quanto emerge da
una inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che stamani ha
portato all’arresto di 18 persone. Nell’ambito dell’operazione, inoltre, sono
state sequestrate tre concessionarie e diverse aziende che distribuivano latte.
Gli inquirenti hanno reso noto che sulla vicenda verranno interrogati, in qualità
di testimoni, anche Calisto Tanzi e Sergio Cragnotti.
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