RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 211 - Testo della
Trasmissione di giovedì 29 luglio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Stasera,
recita del Rosario nei giardini vaticani, in occasione della festività di Santa
Marta.
A Soddo, nel Sud dell’Etiopia, nasce una Scuola di Mestieri promossa dai padri cappuccini e dalla Confederazione artigiana italiana.
In
Iraq rapito un autista somalo. Dura condanna di Islamabad all’indomani per
l’uccisione dei due ostaggi pakistani
La
crisi irachena al centro ieri della Convention del Partito democratico a Boston
Uganda. Aperta un’inchiesta dal Tribunale penale internazionale contro i ribelli dell’Esercito di resistenza del signore.
29
luglio 2004
DIO
COSTITUISCE IL DNA DELL’UOMO,
LA CUI
VITA NON APPARTIENE AI CALCOLI E ALLE MISURE UMANE:
LA
RIFLESSIONE DEL TEOLOGO DON LUIGI NEGRI DOPO LE PAROLE DEL PAPA
SULLA
VERA VOCAZIONE DELL’UOMO, ALL’UDIENZA GENERALE DI IERI
Dio rappresenta l’unico bene per
l’uomo, il faro al quale rivolgere ogni azione, ogni pensiero. Incontrando ieri
migliaia di fedeli in aula Paolo VI, per l’udienza generale, Giovanni Paolo II
ha commentato il salmo 15, “Il Signore è mia parte di eredità”. Dio, ha detto
il Papa, illustrando le parole del Salmista, libera l’uomo dall’angoscia della
morte. Per un commento sull’udienza di ieri, Barbara Castelli ha intervistato
don Luigi Negri, docente di Introduzione alla Teologia e Storia della Filosofia
all’Università Cattolica di Milano.
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R. – Il Papa ha fatto una esegesi particolarmente acuta
del Salmo 15. L’uomo cristiano vive la vita portando in sé l’eredità di Dio,
cioè la presenza di Dio. Questo rende l’uomo cristiano una realtà assolutamente
incommensurabile ed irriducibile alle misure umane. La vita di Dio costituisce
il “dna” profondo del cristiano e, quindi, il senso ultimo della sua esistenza.
Ogni momento della sua esistenza non appartiene ai calcoli e alle misure umane,
ma appartiene all’avvenimento di Dio, al quale la vita può essere
quotidianamente offerta.
D. – Nel Salmo c’è anche un accenno all’idolatria?
R. – Sì, io credo che il Papa ieri abbia fatto una grande
provocazione positiva. L’idolatria di oggi, in modo perfettamente analogo
all’idolatria di quando il salmista scriveva, è l’idolatria della cultura
dell’apparenza, che diventa poi facilmente, allora come oggi, cultura della
violenza, cultura della sopraffazione, pratica dell’indifferenza e culto del
benessere. Il Papa ha voluto dire che nel Salmo 15, così come la Chiesa lo fa vivere
e sperimentare, è contenuto un umanesimo nuovo, un umanesimo diverso. Non si
tratta solo della condanna di questo mondo, ma dell’apertura di fronte a questo
mondo di una possibilità nuova, inedita ma reale di vita.
D. – Perché il Salmo 15 è usato dal Nuovo Testamento per
proclamare la Risurrezione di Cristo?
R. – Perché l’eredità di Dio è la vita, la passione, la
morte e la resurrezione di Cristo e tutto ciò trova in Cristo la pienezza
dell’eredità di Dio, che diventa liberazione definitiva dalla morte per ogni
uomo che crede in Lui. Quindi è una partecipazione alla vita stessa di Dio, che
in Cristo ha dominato il nulla e la morte.
D. – Nei saluti, il Papa, ancora una volta, ha inquadrato
le vacanze come un tempo di gioia, per ricaricarsi di energie per gli impegni
che ci aspettano. In che modo?
R. – Credo che l’udienza di ieri indichi la strada della
soluzione. L’uomo di oggi ha bisogno, nelle vacanze, di recuperare la coscienza
vera di sé e del suo rapporto con la realtà. La vera rigenerazione, che poi può
diventare anche riposo fisico, distensione dell’animo, riaccendersi di rapporti
in famiglia e con gli amici, ha bisogno di una forte chiarezza culturale
all’origine. Ieri il Papa ha detto: “Ciò che ci consente di vivere pienamente è
la fede”. Se noi partiamo di qui e torniamo a radicarci in questo, rinnoviamo
la nostra coscienza. Rinnovata la coscienza, la vita non diventa certo più
facile ma certamente più umana.
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E’ GRANDE LA GIOIA MANIFESTATA NELLA
CHIESA COLOMBIANA
PER IL RILASCIO DI MONSIGNOR MISAEL
VACCA RAMIREZ,
VESCOVO DELLA DIOCESI DI YOPAL,
RAPITO LA SCORSA SETTIMANA DAL FRENTE
JOSÈ DAVID SUAREZ
DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE NAZIONALE E RILASCIATO L’ALTRO IERI NOTTE
- Ai nostri microfoni lo stesso
presule -
E’ grande la gioia
manifestata nella Chiesa colombiana per il rilascio di monsignor Misael Vacca
Ramirez, vescovo della diocesi di Yopal, rapito la scorsa settimana dal Frente
Josè David Suarez dell’Esercito di liberazione nazionale e rilasciato l’altro
ieri notte. Il presule è stato trattenuto dai suoi rapitori, due uomini e due
donne, in una tenuta agricola non identificata e ha dichiarato di essere stato
trattato con rispetto. Ma ascoltiamo lo stesso mons. Vacca Ramirez raggiunto a
Yopal da Paolo Ondarza:
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R. - In quella
situazione non si ha la volontà, tanto meno la libertà sulla volontà di quelle
persone che non si sa cosa vogliano.
D. – Quali sono,
secondo lei, le motivazioni di questo sequestro nei confronti di un rappresentante
della Chiesa?
R.- Mi avevano detto
che dovevo andare con loro, perché volevano inviare un messaggio al governo
centrale, al governo nazionale …
D. – Come è stato
trattato durante la detenzione?
R. – Molto bene. Non
ho sentito alcuna parolaccia, non ho ricevuto alcun maltrattamento. Tutto bene
…
D. – Non le hanno
fatto violenza …
R. – No. In nessun
momento …
D. – I suoi pensieri
quali erano in quei momenti di sequestro?
R. – Soltanto quello
di rimettermi alla volontà di Dio, perché ho pensato che, in quel momento,
veramente recitare il ‘Padre Nostro’ avesse la sua importanza: “Che si faccia
la Tua volontà”. Non si ha un’altra alternativa, veramente siamo nelle mani di
Dio e Lui ha la responsabilità della nostra vita.
R. – Ha avuto paura?
R. – Certo, perché
quando si sta da soli, praticamente, e davanti ai fucili, non si sa cosa
pensare. E possiamo dire che, in quel momento, la vita di una persona dipende
da loro.
D. – Eccellenza,
quella dei rapimenti sta diventando una vera piaga per la Colombia. C’è il
pericolo che questo fenomeno possa ostacolare il difficile processo di
pacificazione nel Paese?
R. – Non sappiamo
ancora cosa può succedere. La Chiesa fa un lavoro di mediazione, perché la pace
sia una realtà. In diversi luoghi della Colombia c’è una situazione di violenza.
Speriamo che queste situazioni non si ripetano, cosicché la Chiesa possa
svolgere la sua missione.
D. – Che cosa ha
rappresentato questa esperienza per la sua vita di cristiano, in primo luogo, e
poi di vescovo?
R. – Ha fatto
maturare il proposito di offrire quel momento di sofferenza a Dio nostro Signore
e di fare una celebrazione mensile, almeno, per quelle persone che sono trattenute
contro la loro volontà.
D. – Ora, dopo la
paura e dopo la preghiera per la sua liberazione è il momento della gioia per
la sua Chiesa …
R. – Oltre che a
ringraziare Dio e le altre persone che hanno pregato in questi giorni, a tutte
le persone che stanno ascoltando queste parole, tante grazie e che Dio ci benedica
sempre.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In
apertura di prima pagina la situazione in Iraq con un articolo dal titolo
"Sempre più lastricata di sangue la strada verso la normalizzazione",
in riferimento al turbinio delle violenze che imperversa sul tormentato
territorio.
Nelle vaticane, una pagina sul
cammino della Chiesa in Africa.
Nelle estere, Sudan, Darfur:
Khartoum chiede il sostegno della Lega Araba. L'Unione Africana studia l’invio
di una forza di mantenimento della pace con un ampio mandato.
Per la rubrica dell’
"Atlante geopolitico" un articolo di Pierluigi Natalia dal titolo
"In Sudan e in Uganda simili e irrisolte tragedie".
La pagina culturale è dedicata
al tema "1954-2004: gli italiani sul K2".
Nelle pagine italiane, è legge
il provvedimento delega sulla Riforma del sistema previdenziale italiano.
In rilievo una notizia dal
titolo “Un'ora per trovare un medico: bimbo muore per un rigurgito”.
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29
luglio 2004
IN GHANA, IL VERTICE DEI CAPI DI STATO DELLA COMUNITÀ ECONOMICA
DEGLI
STATI DELL’AFRICA OCCIDENTALE, DEDICATO ALLA CRISI
DELLA COSTA D’AVORIO. MA, RESTA IN PRIMO PIANO
L’EMERGENZA NELLA REGIONE SUDANESE DEL DARFUR
-
Intervista con Massimo Alberizzi -
Si apre
questa sera ad Accra, in Ghana, il vertice della Comunità economica degli Stati
dell’Africa occidentale (Ecowas). Il summit è stato promosso per discutere
della crisi della Costa d’Avorio ma affronterà anche le difficili situazioni di
Liberia e Sudan. All’incontro è prevista la partecipazione, tra gli altri, dei
presidenti di Sudafrica, Mozambico, Gabon, Ghana e del segretario generale
dell’Onu. Proprio Kofi Annan ha lanciato ieri un appello chiedendo a Paesi europei, asiatici ed arabi di elargire
ulteriori aiuti per il Darfur. La Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa hanno
annunciato, intanto, l’apertura in Ciad di un nuovo campo profughi per accogliere
almeno 20 mila persone fuggite dalla martoriata regione sudanese. Sul Darfur
sembrano dunque concentrarsi, adesso, le attenzioni della Comunità
internazionale. Ma quali le radici e le motivazioni di questo interesse? Fabio
Colagrande lo ha chiesto a Massimo Alberizzi, esperto di questioni africane per
il Corriere della Sera:
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R. – Io credo che la partita del Darfur interessi più le
grandi potenze, per quella che è la loro partita interna o le schermaglie fra
di loro. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, siamo in anno di elezioni, c’è il
“voto nero”, cioè il voto dei neri in America, da considerare e quindi questa
pressione non dipende, secondo me, da nessuna nuova “conversione” verso
l’umanità dell’amministrazione di Bush ma piuttosto nell’occhieggiamento,
appunto, al “voto nero”. Vogliono in qualche modo conquistarselo, con delle
prese di posizione a livello internazionale, in relazione alle Nazioni Unite,
esercitando delle sanzioni nei confronti del governo sudanese.
D. – Anche i ministri degli Esteri dell’Unione Europea
hanno preso in mano la situazione chiedendo, tra l’altro, una risoluzione del
Consiglio di sicurezza dell’Onu e discutendo
delle sanzioni proposte dagli Usa …
R. – L’Unione Europa è arrivata a queste decisioni per la
forte pressione dell’opinione pubblica. Adesso il “circo dei giornalisti” è
arrivato in Sudan: sono presenti nel Paese tutte le grandi testate
internazionali. Questo, ovviamente, crea pressione sull’opinione pubblica. Dopo
il fallimento in Iraq, sembra ci voglia
ora qualcosa per mostrare di saper “tirar fuori le unghie”. Bisogna
stare attenti, perché la situazione qui non è facile. Il governo ha detto, per
esempio, “di non interferire negli affari interni”. Bisogna quindi andare veramente
molto, molto cauti. Personalmente io sarei anche favorevole ad un intervento,
ma è necessario valutarne esattamente le conseguenze, perché possono essere
gravissime: può scoppiare una guerra, una guerriglia, se la possono prendere
ancora con gli europei. In fondo i Janjaweed, cioè questi predoni,
questi “cavalieri del deserto” che ammazzano, uccidono e bruciano i villaggi,
sono arabi e la solidarietà araba è sempre molto forte, al di là di chi abbia
torto o ragione.
D. – Crede che il governo abbia
veramente intenzione di disarmare i Janjaweed?
R. – Credo che parte del
governo sudanese sì, perché si rende conto che la situazione può essere senza
ritorno. Attenzione perché il governo prende gli introiti del petrolio. Le
sanzioni, se venissero applicate, verrebbero applicate anche sul petrolio,
immagino. E quindi non avrebbero più introiti i governanti di qua. Il problema vero
è che arrivano tardi. Questo Paese si è armato l’anno scorso in continuazione,
arrivavano aerei dalla Russia, dall’Ucraina, dall’ex blocco sovietico pieni di
armi. Si sapeva che sarebbe finita così in Darfur, ma nessuno ha mosso un dito.
Se le sanzioni fossero state promosse due anni fa, sarebbe stato diverso. E ci
si potrebbe anche chiedere perché non le ipotizziamo per altri Paesi, coinvolti
in altri conflitti o in situazioni di quasi conflitto, che si stanno armando. Tutto ciò accade anche in questo stesso momento.
D. – Possibilità che riprendano
i colloqui tra i ribelli del Sud Sudan ed il governo?
R. – In questo momento sono
poche. Dovrebbe accadere qualcosa che
ribalti realmente le cose. Per esempio un vero disarmo dei Janjaweed e
arresti reali dei Janjaweed. Qui qualcuno è stato messo in prigione, ma
l’impressione è che si tratti di qualcuno che partecipava alle razzie ma per
ragioni personali. Nel senso che i Janjaweed sono organizzati dal governo e a
loro si aggregano spontanei saccheggiatori. Credo che siano stati questi ultimi
a finire in prigione. I veri capi dei Janjaweed sono ancora liberi di compiere
le loro nefandezze.
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‘IL
DIRITTO DI ASILO IN EUROPA’ E’ IL TITOLO DELLA ODIERNA TAVOLA ROTONDA
AL
MEETING INTERNAZIONALE SULLE MIGRAZIONI IN CORSO A LORETO.
I DIBATTITI SCANDITI DA MANIFESTAZIONI
INTERCULTURALI
‘Il diritto d’asilo in Europa’ al centro della tavola
rotonda organizzata questa mattina nell’ambito del VII Meeting internazionale
sulle migrazioni, in corso a Loreto per iniziativa dei missionari e laici
Scalabriniani. Ogni sera una manifestazione interculturale conclude le intense
giornate di studio. Ieri sera è andato in scena uno spettacolo di musica e
danza araba con i Baladì, mentre questa sera è in programma lo spettacolo di
musica Gospel con i Bronzeville. Ma delle tematiche discusse e
dell’impostazione multiculturale data all’incontro, ci riferisce da Loreto,
Giovanni Peduto:
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Nelle nostre società europee la presenza di migranti
extracomunitari è una realtà strutturale ed irreversibile. Basti pensare che
quanti hanno lasciato la loro terra e oggi vivono fuori dai confini del loro
Paese sono 175 milioni. Vengono in mente le parole di un grande scrittore, Max
Frisch: “Volevamo delle braccia, sono arrivate delle persone”. E’ come fosse un
nuovo Continente, solo in Europa vivono 15 milioni di stranieri non comunitari,
molti dei quali da più di 10 anni e, secondo lo scenario disegnato dall’Ufficio
statistico dell’Unione Europea, l’Eurostat, entro il 2050 è prevista
l’immigrazione di circa 30 milioni di persone. In un mondo che continua a non
essere equo, che continua ad essere diviso, anzi spezzato in due da troppe
disuguaglianze economiche e sociali, moltitudini continueranno a muoversi
dall’Asia, dall’America Latina e dall’Africa, soprattutto in cerca di quelle opportunità
che noi europei diamo per scontate, ma che sono le stesse che un secolo fa, e
anche meno, portarono i nostri nonni, i nostri padri a compiere una scelta
simile verso altre mete.
Che le società europee abbiano bisogno di immigrati è
indubbio. Gli europei vivono più a lungo rispetto ad un tempo e fanno meno
figli. E’ stato calcolato che senza immigrazione la popolazione dei 25 Paesi
aderenti all’Unione, scenderà dagli attuali 450 a meno di 400 milioni nel 2050.
Pensiamo all’Italia: secondo le ultime rilevazioni, l’apporto dei lavoratori
stranieri oggi è stimabile intorno al 6 per cento, quasi il doppio rispetto a
solo quattro anni fa. E la ricerca più recente, seguita da Unioncamere, ha stimato
tra 143 mila e 224 mila unità il numero di immigrati lavoratori necessari
all’economia italiana per l’anno corrente. Quanti vorrebbero respingere a
cannonate le imbarcazioni che si avvicinano alle coste della Sicilia dovrebbero
riflettere sul fatto che questa stessa ricerca sottolinea come nella sola
Lombardia, nel prossimo anno, servirebbero almeno 10 mila lavoratori stranieri.
Insomma, gli immigrati hanno bisogno dell’Europa, ma anche
l’Europa ha bisogno degli immigrati. I punti da affrontare, i nodi da risolvere
sono altri e riguardano non il ‘se’, che è ineludibile, ma il ‘come’, e cioè
come garantire insieme l’accoglienza e la legalità, l’integrazione sociale e la
sicurezza, come riuscire a costruire società aperte, comunità inclusive dove
ogni individuo che qui è nato, che qui vive, che qui lavora e che qui aspira a
crescere i propri figli, sia un soggetto riconosciuto in quanto ha dei doveri e
dei diritti. E’ tempo, ad esempio, che si facciano passi concreti in direzione
del riconoscimento, intanto, del diritto di voto alle elezioni amministrative,
una questione che è di civiltà e che ha un enorme valore dal punto di vista sia
del riconoscimento di un diritto che è fondamentale, sia in un più ampio senso
culturale.
A Roma sono quasi 300 mila, per la precisione 298 mila, i
cittadini stranieri presenti. Secondo i calcoli della Caritas, ogni otto
immigrati presenti in Italia, uno vive a Roma. La cosa importante, poi, è che
si tratta di persone sempre più integrate nel tessuto sociale ed economico della
città.
300 mila stranieri vivono nella capitale francese. Sono il
14 per cento della popolazione totale, circa 215 mila provengono dai Paesi non
appartenenti all’Unione Europea. Si tratta di una popolazione che tende ad
invecchiare. I maghrebini sono i più numerosi, circa 75 mila, seguiti dagli
asiatici che sono 53 mila e dagli africani subsahariani, 41 mila.
Da Loreto, Giovanni Peduto, Radio Vaticana.
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CRESCE
L’ATTESA PER LA RAPPRESENTAZIONE DELL’AIDA
NELLA POLIEDRICA AREA DEL
FORO ITALICO A ROMA.
PROGRAMMATA
PER MARTEDÌ SCORSO, È STATA RIMANDATA
A
CAUSA DEL MALTEMPO A DOMANI SERA
-
Intervista con Loretta Braschi -
Cresce l’attesa per la rappresentazione dell’Aida nella
poliedrica area del Foro Italico a Roma. Programmata per martedì scorso, è
stata rimandata a causa del maltempo a domani sera alle 21:30. L’opera
monumentale di Giuseppe Verdi, per la regia di Alessio Pizzech, si inserisce
nel programma di concerti di diverso genere musicale organizzati
dall’Associazione Culturale Forum. Roberta Moretti ha intervistato la
direttrice artistica dell’Aida, Loretta Braschi:
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R. – Siamo un ensemble
d’opera. Operiamo da diversi anni a livello europeo e ci troviamo, a partire
dal 1 di luglio fino al 23 agosto, in tournée in tutta Europa. Abbiamo con noi
quattro spettacoli: Aida, Nabucco, Madame Butterfly e la Traviata. Per Roma ci
sembrava bello e interessante vedere una grande Aida, un allestimento con cantanti
d’eccezione, come Lucia Mastromarino, mezzosoprano che canterà Amneris; Elisabetta
Battaglia che sarà Aida, e il tenore Franco Anile, una voce meravigliosa, nella
parte di Radames. Abbiamo un grande cast di 200 persone. E’ un’Aida colossale,
maestosa nelle scene. Un’orchestra di 60 elementi con un buon direttore, Borislav
Ivanov, che è anche direttore e intendente del Teatro sia di Sofia, sia di Plovdiv,
in Bulgaria. L’orchestra, il coro e il balletto vengono da Plovdiv, mentre
tutti i solisti sono italiani e di alto livello artistico.
(musica)
D. – La lirica oggi attrae ancora? In particolare come è
accolta dai giovani?
R. – Il nostro pubblico è un pubblico maturo, che va dai
30-35 anni ai 75. I giovani che vengono sono curiosi. Noi abbiamo sempre tutte
le sere dove ci esibiamo un pubblico che va dalle 1.500 alle 3.000 persone e ci
sono sempre alcuni giovani.
(musica)
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29
luglio 2004
STASERA,
RECITA DEL ROSARIO NEI GIARDINI VATICANI,
IN OCCASIONE DELLA FESTIVITA’ DI SANTA MARTA.
LA
PREGHIERA MARIANA AVRA’ INIZIO ALLE ORE 20:00
PRESSO LA TORRE DI SAN GIOVANNI
CITTA’ DEL VATICANO. = In occasione della festività di
Santa Marta, stasera, si terrà la
recita del Santo Rosario con processione aux flambeaux nei Giardini Vaticani.
La preghiera mariana ha inizio alle ore 20:00 davanti all’immagine della
Madonna del Divino Amore, presso la Torre di S. Giovanni, e proseguirà con soste
davanti alle icone di Czestochowa, Guadalupe, Fatima, Lourdes e presso
l’effigie della Madonna della Guardia, per la meditazione dei misteri. A
concludere il Rosario sarà il canto del “Salve Regina” davanti alla Madonna
della Misericordia nei pressi della Torre della Radio Vaticana. La presenza
dell’immagine della Madonna della Misericordia nei Giardini Vaticani, si deve
alla volontà del Santo Padre che venerava la Vergine, sotto questo titolo, già
a Vilnius. A suggello del suo amore filiale l’ha voluta ricordare anche a
conclusione dell’Enciclica “Veritatis Splendor”. Come negli anni scorsi, ci
sarà il collegamento (tramite la nostra emittente) con le suore Carmelitane di
Clausura per una preghiera finale che unirà le “Marie” della vita contemplativa
con le “Marte” della vita attiva, nel cui numero si possono ben annoverare con
le Familiari del Clero, promotrici di questa iniziativa, anche tutti coloro che
sono al servizio della Chiesa. (A.G.)
PROROGATO
PER UN ANNO DALL’ONU
L’EMBARGO
SULLE ARMI AI RIBELLI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
NEW
YORK. = Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha prorogato di un anno l’embargo
sulle armi nei confronti di numerosi gruppi armati attivi nella parte est della
Repubblica democratica del Congo. Il divieto era stato introdotto l’anno scorso
dopo la grave crisi nell’Ituri, la regione nord-orientale devastata dagli
scontri tra fazioni ribelli, in lotta per il controllo delle risorse naturali.
Il prolungamento delle sanzioni è stato deciso all’unanimità dai Quindici
rappresentanti del massimo organo decisionale delle Nazioni Unite, che hanno
anche rinnovato l’invito ai Paesi confinanti con l’ex-Zaire a non offrire
sostegno alle formazioni armate che cercano di destabilizzare il governo di
Kinshasa. Nelle prossime ore, al Palazzo di Vetro, dovrebbe essere anche
approvata l’estensione della missione di pace in Congo (conosciuta con
l’acronimo francese Monuc). Nonostante la presenza di diecimila caschi blu in
tutto il Paese, all’inizio di giugno il contingente internazionale non era
stato in grado di fermare un gruppo di militari insubordinati che hanno
conquistato per pochi giorni la città orientale di Bukavu, capitale del
sud-Kivu e centro strategico al confine con il Rwanda. Dopo cinque anni di guerra,
che secondo le stime più diffuse ha provocato almeno due milioni e mezzo di
morti (in gran parte per malattie e fame), a luglio del 2003 a Kinshasa si è
insediato un governo di transizione di cui fanno parte anche gli ex-gruppi
ribelli del Paese africano. (A.G.)
LA
COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO IN PRIMA LINEA
PER LA
RIPRESA DEL DIALOGO POLITICO IN TOGO. GRAZIE ALLA SUA MEDIAZIONE,
RESTITUITO
IL PASSAPORTO AL LEADER DELL’OPPOSIZIONE
ROMA. = Facilitare una
conclusione pacifica della crisi del Togo e appoggiare gli sforzi della
comunità internazionale per una ripresa normale delle relazioni col Paese
dell'Africa Occidentale. E’ l’obiettivo della Comunità di Sant'Egidio, che come
primo gesto concreto ha spinto per la restituzione del passaporto al leader dell'UFC,
movimento dell’opposizione togolese in esilio, Gilchrist Olympio, di cui era
stato privato da anni. La consegna è avvenuta nel corso di un incontro tenutosi
ieri presso la sede della Comunità Sant'Egidio a Roma e al quale erano presenti,
come testimoni, alcuni ambasciatori dei Paesi dell'Unione Europea, dell’Africa,
degli Stati Uniti ed un rappresentante del governo italiano. “La restituzione
del passaporto a Olympio - sottolinea un comunicato di Sant’Egidio - è stata,
da molto tempo, una delle pre-condizioni dell'opposizione (UFC) per l’inizio di
un dialogo col governo di Lomé”. Il presidente Gnassingbé Eyadema - prosegue la
nota - “ha accettato di riconsegnare il passaporto in seguito al lavoro paziente
di mediazione della nostra Comunità. Si tratta di un primo gesto, forte e simbolico,
sulla via della riconciliazione”. (A.G.)
AL VIA OGGI IN MALAYSIA IL SETTIMO DIALOGO INTERNAZIONALE DEGLI STATI ASIATICI ED AFRICANI
INCENTRATO SULLO SVILUPPO ECONOMICO DEI PAESI POVERI
KUALA LUMPUR. = Circa 700
rappresentanti di una ventina di Paesi in via di sviluppo (dal Malawi al
Botswana, dall’Uganda al Mozambico allo Swaziland) sono riuniti da oggi
nell’isola tropicale malese Langkawi (nel nord del Paese) per partecipare al
settimo Dialogo internazionale di Langkawi (Lid 2004), summit annuale tra Stati
africani e asiatici il cui scopo è favorire il dialogo tra i popoli economicamente
più svantaggiati del pianeta. “La riunione di quest’anno ha come obiettivo
aiutare le nazioni in via di sviluppo ad affrontare le questioni che hanno a
che vedere con la globalizzazione e il terrorismo”, ha spiegato il
co-presidente dell’evento, Ahmed Tasir Lope Pihie. Il tema di quest’anno è:
“Verso un pianeta più intelligente: riconciliare le sfide dello sviluppo con la
sicurezza mondiale attraverso il dialogo”. Gli incontri si protrarranno per tre
giorni, durante i quali i partecipanti, tutti esponenti dei governi dei Paesi
ospiti, si scambieranno dati, idee e consigli riguardanti l’armonia tra le
etnie, stabilità sociale, lotta contro droga e crimine, sviluppo economico
attraverso la scienza e la tecnologia. Il summit è stato aperto dall’ex-primo
ministro malese Mahatir Mohamad, l’ex-padre-padrone del Paese asiatico che nel
1995 suggerì la nascita di questo spazio d’incontro tra Paesi in via di sviluppo
nell’isola tropicale. (A.G.)
A
SODDO, NEL SUD DELL’ETIOPIA, NASCE UNA SCUOLA DI MESTIERI
PROMOSSA
DAI PADRI CAPPUCCINI E DALLA CONFEDERAZIONE ARTIGIANA ITALIANA
ADDIS
ABEBA. = “Ogni anno, 100 giovani saranno formati nella nostra Scuola dei Mestieri
a Soddo, 400 km a sud di Addis Abeba”: lo rivela, all’agenzia Fides, padre
Gianfranco, responsabile delle Missioni della Provincia Cappuccina delle
Marche, dalla quale dipendono le missioni cappuccine in Etiopia. “Questo
risultato lo dobbiamo al contributo della Confederazione artigiana italiana,
che invia ex artigiani marchigiani a insegnare il mestiere ai giovani del
luogo”. “E’ dal 1970 - aggiunge il religioso - che i nostri confratelli insegnano
un mestiere a Soddo. Il governo etiopico, infatti, concede il visto di entrata
ai missionari cattolici solo dietro la presentazione di un permesso di lavoro
per un progetto di utilità sociale. Le missioni cattoliche, quindi, hanno
avviato diversi progetti nel campo sociale, educativo e sanitario. L'intervento
di personale specializzato – prosegue – avviene quindi su un terreno sociale
già preparato da tempo dai nostri confratelli. Con il contributo di questi
tecnici siamo ora in grado di far fare un salto di qualità alla nostra scuola”.
La Scuola dei Mestieri, costruita accanto alla missione dei Cappuccini, ha
un'estensione di 10mila metri quadrati ed è formata da 5 laboratori per
altrettanti mestieri: falegnameria, autoriparazione (carrozziere, verniciatore,
elettrauto, gommista), lavorazione ferro e alluminio, taglio e cucito, modelli
di calzature. L'obiettivo è quello di formare entro il 2006 oltre 200 giovani,
di cui 20 destinati ad avviare un'attività autonoma. A questi ultimi sarà
fornita un'assistenza tecnica iniziale e un'adeguata attrezzatura. Gli insegnanti
sono 100 maestri artigiani italiani. La scuola è stata promossa dalla
Confederazione artigiana italiana, in collaborazione con l’Ethiopian
Catholic Church Social and Development e con l'associazione “Africa 3000”.
La scuola era stata donata dalla Confartigianato, con l’offerta di un mattone
simbolico a Giovanni Paolo II, nel corso del Grande Giubileo del 2000. Il Vicariato
Apostolico di Soddo-Hosanna, dove sorge la scuola, è retto dal cappuccino mons.
Domenico Crescentino Maritozzi. Il territorio del Vicariato ha un’estensione di
65mila chilometri quadrati con una popolazione di 7 milioni di abitanti, dei
quali 200mila sono cattolici. (A.G.)
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- A cura di Dorotea Gambardella -
Il
Tribunale penale internazionale ha aperto un’inchiesta contro i ribelli
ugandesi dell’Esercito di resistenza del Signore, accusati di crimini di guerra
e contro l’umanità: omicidi, mutilazioni, stupri, rapimenti ai danni della popolazione
civile. Il conflitto, intanto, continua a mietere vittime anche oltre confine:
nel corso di una battaglia scoppiata, ieri, in territorio sudanese, l’esercito
di Kampala ha ucciso 120 guerriglieri ed ha mancato di poco la cattura del loro
leader storico, Joseph Kony. Ma in quale clima si inserisce questo nuovo
drammatico episodio? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a padre Tarcisio Pazzaglia,
missionario comboniano a Kitgum, nel nord Uganda:
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R. - Dopo l’uscita di ufficiali tra le fila dei ribelli, che
si sono consegnati alle autorità approfittando dell’amnistia, in Uganda i
gruppi ribelli sono diventati più deboli. Ora hanno meno armi, anche se sono
ancora presenti, a piccoli gruppi sparsi un po’ per tutto il territorio. Quindi
c’è ancora una forte e costante
insicurezza, perché l’Esercito, in questo momento, è molto più attivo
che in passato. I militari cercano di circondare e attaccare questi gruppi di
guerriglieri quando vengono localizzati.
D. – La gente come vive questa situazione alquanto
difficile?
R. – Per la gente, in questo momento, il problema più
grosso è la fame, perché qui si vive di agricoltura e sinora non è stato fatto
alcun raccolto, anche se in questi giorni le piogge hanno cominciato ad esser più
presenti. Le organizzazioni non governative e la Caritas diocesana danno le
sementi almeno per poter raccogliere, nel mese venturo, qualche cosa che ancora
può maturare; ma raggiungere un milione e mezzo di profughi non è facile. Alla
fame si uniscono le malattie, poi, purtroppo, l’abuso di alcol. L’Aids, in
questa situazione, non è certamente in diminuzione, ma costituisce un allarme costante.
D. – Ma, oggi come oggi, quali sono gli obiettivi politici
dei ribelli in armi?
R. – La maggior parte dei ribelli sono giovani plagiati e
ormai nessuno pensa più a rovesciare il governo. C’è soltanto una situazione di
guerra senza senso che si tira avanti. Uno di loro mi ha detto: “Padre, io ho
vissuto per nove anni col fucile e morirò col fucile”ed io gli ho risposto: “Ma
no, ti porto a casa e ti aiuto!” e lui: “No, padre. Io non voglio più lavorare
la terra, prendere la vanga. Col fucile è più facile vivere e finché vivo,
vivo; quando muoio, muoio!”. Ecco, quando ti senti dire queste cose ti cadono
le braccia.
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Ancora un rapimento in Iraq. Un autista somalo è
stato preso in ostaggio da un gruppo di estremisti islamici ed è apparso in un
video mostrato dall’emittente televisiva Al Jazeera. I sequestratori minacciano
di uccidere l’uomo entro 48 ore. Intanto, da Islamabad giunge la dura condanna
dell’uccisione, avvenuta ieri, dei due emigrati pakistani. In merito alla presenza
militare in Iraq, sia il segretario di Stato americano, Colin Powell, sia il
primo ministro iracheno, Iyad Allawi,
hanno accolto con favore il progetto saudita che prevede l’invio di forze
musulmane nel Paese mediorientale. Sul piano politico, è stata rinviata dal 31
luglio al 15 agosto la conferenza dedicata alle priorità politiche per delineare
il futuro dell’Iraq. Sul terreno non si placa la violenza. Un soldato polacco è
rimasto ucciso ed alcuni altri feriti in seguito all’esplosione di una mina al
passaggio del loro convoglio nella regione di Hilla. Mattinata di scontri anche
a Nassyria, tra carabinieri italiani e miliziani iracheni, per fortuna senza alcuna
vittima. Rimane dunque l’allarme per le continue violenze. Ma perché proprio in
questo momento? Giada Aquilino lo ha chiesto a Guido Olimpio, esperto di
terrorismo del ‘Corriere della Sera’:
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R. – La guerriglia e i gruppi terroristici, con gli
attentati, vogliono contrassegnare questo momento piuttosto delicato per
l’Iraq. Il passaggio dei poteri anticipato, un mese fa, li aveva colti di
sorpresa, poi però i guerriglieri hanno ripreso a compiere attacchi in tutto il
Paese, intensificando pure le violenze contro gli iracheni che vogliono
collaborare con gli americani.
D.- Attacchi da un lato, sequestri e uccisioni dall’altro.
Qual è allora l’obiettivo della guerriglia?
R. – Con gli attentati e gli assassinii vogliono costringere
gli iracheni a non collaborare con la coalizione. Con i sequestri di persona si
cerca di spingere sempre più Paesi ad abbandonare gli americani.
D. – Sabato, partirà la Conferenza nazionale che dovrà
approvare una specie di Parlamento ad interim. E’ quindi un altro esperimento
democratico che viene però oscurato dalle violenze. Quale sarà la sua sorte?
R. – Purtroppo per gli iracheni non ci sono molte speranze
in questa fase. È necessario però che ci siano queste scadenze, che si vada
avanti nel percorso democratico, ma è altrettanto necessario che il governo
iracheno acquisti una propria forza, altrimenti non potrà imporsi. Nel
frattempo gli attentati si fanno sempre più forti, sempre più violenti e in
modo indiscriminato vengono uccise le persone. È chiaro che qualsiasi tentativo
di mettere in piedi una struttura di governo è comunque positivo. Il problema è
andare avanti in questo senso.
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E la
crisi irachena è stata al centro, ieri a Boston, della Convention del Partito
democratico che ha formalizzato la candidatura
di John Kerry e del suo vice John Edwards per la corsa alla Casa Bianca. Oggi i
riflettori saranno tutti puntati sull’atteso discorso che John Kerry pronuncerà
in chiusura dei lavori della Convention mentre ieri è stata la volta
dell’intervento del suo vice, John Edwards. Da Boston, Paolo Mastrolilli:
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Edwards ha cominciato ricordando le sue umili origini ed
esaltando le doti personali del candidato presidente John Kerry, che con il suo
servizio in Vietnam ha dimostrato di avere le qualità di coraggio e forza per
guidare gli Stati Uniti in questo tempo, segnato dalla lotta al terrorismo.
Edwards non ha mai nominato il capo della Casa Bianca Bush ma ha sottolineato
le sofferenze che la guerra in Iraq ha inflitto ai soldati americani ed ha promesso
che i democratici cambieranno il corso se verranno eletti, puntando sulla
collaborazione internazionale per riportare la stabilità a Baghdad. Nello
stesso tempo ha garantito il massimo impegno per difendere l’America e
sconfiggere i terroristi, dicendo che Al Qaeda sarà distrutta. Poi Edwards si è
concentrato sui problemi interni, accusando l’amministrazione di aver favorito
la creazione di due Americhe: una per i ricchi privilegiati e l’altra per i
poveri dimenticati. Figlio di un operaio, ha detto che questo tradisce i valori
del Paese ed ha promesso di riformare il sistema previdenziale, sanitario e
dell’istruzione per garantire a tutti le stesse opportunità.
Da Boston, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Trasferiamoci
in Italia. Con 333 sì e 148 no, il Parlamento ha approvato, ieri, la riforma
delle pensioni, su cui il governo aveva posto la fiducia. Dal 2008 si potrà
lasciare il lavoro a 60 anni (61, se lavoratori autonomi) con 35 anni di contributi,
oppure con 40 anni di versamenti a prescindere dall’età. Per le donne l’età
minima è di 57 anni, ma in questo caso la pensione sarà inferiore. La legge, che
prevede anche incentivi per chi resta al lavoro, è stata duramente criticata
dai sindacati. Pierpaolo Baretta, segretario confederale della Cisl, ne spiega,
al microfono di Paolo Ondarza, i punti controversi:
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Prima di tutto l’aumento dal 2008 dell’età pensionabile è
troppo secco: sono tre anni di colpo, più alto di due scaglionati. Cinque anni
di aumento dell’età lavorativa non sono necessari ai grandi problemi, che pure
ci sono, di risanamento e soprattutto sono troppo rigidi e non consentono
quindi una gestione flessibile da parte del singolo lavoratore. In secondo
luogo è stata equiparata la previdenza collettiva, complementare, che era necessaria
come seconda gamba per assicurare una pensione dignitosa a tutti alle polizze
individuali assicurative, che sono ben altra cosa. In terzo luogo non è vi è
una politica per i giovani, nel senso che noi avevamo chiesto che venissero
equiparati i contributi previdenziali che oggi, per esempio, sono molto bassi
rispetto a quelli dei lavori dipendenti. Tutte cose che sono state rifiutate.
Per queste ragioni la nostra obiezione è una obiezione netta.
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Medio
Oriente. Due attivisti palestinesi a bordo di un’auto hanno perso la vita
nell’esplosione di un missile a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Nel mirino
dell’attacco israeliano contro la vettura, c’era presumibilmente il leader
delle Brigate Abu Rish. Inoltre, un palestinese è rimasto ucciso nel corso di
una sparatoria con soldati israeliani nel nord della Cisgiordania. Violenze
anche nel villaggio di Beit Lakia, presso Ramallah, dove militari dello Stato
ebraico hanno fatto saltare in aria l’abitazione di un membro di Hamas. Sul
piano politico, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza
dell’UE, Javier Solana, ha chiesto al presidente dell’ANP, Yasser Arafat, di
concedere maggiori poteri al primo ministro, Abu Ala, affinché possa
intraprendere le riforme necessarie. Ieri, intanto, duecento immigrati ebrei
francesi giunti in Israele sono stati accolti dal primo ministro Ariel Sharon,
che ha elogiato la lotta all’antisemitismo promossa dal presidente francese,
Jacques Chirac. Appianate dunque le polemiche tra i due Paesi, innescate
dall’appello lanciato il 18 luglio scorso dallo stesso Sharon, che aveva
esortato gli ebrei di Francia ad espatriare per sfuggire all’“antisemitismo”.
Clima
di attesa e qualche segnale positivo al vertice dell’Organizzazione mondiale
del commercio (WTO), in corso a Ginevra. Nelle prossime ore dovrebbe essere
presentata la nuova bozza del presidente del Consiglio Generale della WTO,
Shotaro Oshima, per sbloccare i colloqui in corso tra i 147 paesi membri
dell’organismo sui negoziati multilaterali di Doha. Intanto, stamani, Stati
Uniti, Unione Europea, Australia, India e Brasile hanno raggiunto un’intesa che
potrebbe aprire la strada verso un pronunciamento unanime sulla difesa dei
prodotti sensibili nei mercati internazionali. I Paesi del Sud del mondo, infatti,
chiedono a quelli del Nord di eliminare l’eccessivo protezionismo dei loro prodotti
nazionali.
La
corte d’appello del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia ha ridotto
da 45 a 9 anni la condanna inflitta al generale Tihomir Blaskic. Comandante
delle forze croate in Bosnia centrale dal 1992 al ’94, era accusato di crimini
contro la locale comunità musulmana, ma i giudici lo hanno assolto da 17 dei 19
capi d’accusa.
È stata
confermata dalla corte d’appello del Qatar la condanna all’ergastolo inflitta
ai due cittadini russi accusati dell’assassinio di Zelimkhan Yandarbiyev. L’ex
presidente indipendentista ceceno era rimasto ucciso, nel febbraio scorso a
Doha, nell’esplosione della sua auto.
Restano
in prigione Mikhail Khodorkovski, il magnate russo fondatore del colosso petrolifero
Yukos, e il suo socio, Platon Lebedev, sotto processo per frode ed evasione fiscale:
il tribunale di Mosca ha respinto una nuova richiesta di scarcerazione avanzata
dai loro difensori. Il Ministero della Giustizia russo, intanto, ha revocato il
bando sulla vendita di tre società controllate dalla stessa Yukos.
Un duro
attacco alla Corea del Sud per il massiccio esodo di rifugiati nordcoreani a
Seul, è arrivata da Pyongyang, che ha definito l’espatrio in appena due giorni
di oltre 450 suoi cittadini: “un sequestro di massa pianificato e un crimine
terroristico”. Le aspre accuse sono contenute in una dichiarazione del Comitato
di Pyongyang per la riunificazione della madrepatria, l’organismo deputato a
trattare con Seul.
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