RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 209 - Testo della Trasmissione di mercoledì 28 luglio 2004 

 

Sommario   

                                               

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Dio rappresenta l’unico rifugio e l’unica fonte di bene per l’uomo, che deve allontanare ogni forma di idolatria.  Così Giovanni Paolo II all’udienza  generale, incontrando oltre 4000 pellegrini

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Rilasciato mons. Vacca Ramirez, sequestrato in Colombia dalla guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale domenica scorsa: ai nostri microfoni padre David Gutierrez

 

Dopo 24 anni Medici Senza Frontiere lascia l’Afghanistan per l’insicurezza nel Paese: delle necessità della popolazione ci parla il direttore della sezione italiana, Stefano Salvi

 

Le prossime scelte di Washington in politica estera, tema forte nel secondo giorno di convention democratica: intervista con il direttore della rivista dell’Aspen Institute, Marta Dassù

 

Presenza di studenti esteri in Italia, diritto di voto agli immigrati, globalizzazione della solidarietà: alcuni dei temi approfonditi al VII Meeting internazionale sulle migrazioni che prosegue a Loreto: intervista con Paolo Veardo

 

“Una cosa in mente” è il titolo del film dedicato a San Giuseppe Benedetto Cottolengo: ai nostri microfoni il regista Paolo Damosso e l’attore Massimo Wertmuller

 

CHIESA E SOCIETA’:

Si apre oggi in Malaysia la Sessione plenaria della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese

 

A Santiago del Cile, l’ultimo saluto dei fedeli a padre Faustino Gazziero

 

I missionari del Sacro Cuore celebrano 80 anni  di presenza nella Repubblica Democratica del Congo

 

“Aprire un varco alla speranza”: è il tema chiave del 62.mo Corso internazionale di studi cristiani in programma ad Assisi dal 22 al 27 agosto

 

Inizia oggi a Cracovia il capitolo generale dei definitori dell’Ordine dei predicatori

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq almeno 68 morti e 70 feriti in un attentato a Baquba  ed altri morti in diversi attacchi

 

Preoccupa il massiccio esodo di profughi nordcoreani verso la Corea del Sud.

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 luglio 2004

 

DIO RAPPRESENTA L’UNICO RIFUGIO E L’UNICA FONTE DI BENE PER L’UOMO,

CHE DEVE ALLONTANARE OGNI FORMA DI IDOLATRIA.

LO HA DETTO GIOVANNI PAOLO II DURANTE L’UDIENZA GENERALE,

INCONTRANDO OLTRE 4000 PELLEGRINI

- Servizio di Barbara Castelli -

 

 

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Dio è nel futuro dell’uomo, che deve rigettare “radicalmente la tentazione dell’idolatria, con i suoi riti sanguinari e con le sue invocazioni blasfeme. E’ una scelta di campo, decisiva e netta”. Incontrando 4000 pellegrini di diverse nazionalità, in occasione della tradizionale udienza generale del mercoledì, Giovanni Paolo II si è soffermato sul Salmo 15, “un luminoso cantico dal respiro mistico”. Per la seconda volta il Papa ha lasciato la residenza estiva di Castel Gandolfo per incontrare i numerosi e festanti fedeli nell’aula Paolo VI.

 

Il Salmista parla di Dio come l’unico bene, l’unico rifugio da cui trarre forza per la vita quotidiana e sviluppa due temi. Innanzitutto, attraverso il simbolo dell’eredità, proclama che Dio è il suo futuro: “il Signore è mia parte di eredità”. “Qui - ha spiegato il Papa - si afferma che Dio è l’eredità del credente e che avere Dio come futuro è veramente una magnifica eredità”.

 

“‘Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene’. Dio è, quindi, visto come l’unico bene e perciò l’orante sceglie di collocarsi nell’ambito della comunità di tutti coloro che sono fedeli al Signore”.

 

Il Salmista aggiunge un secondo tema, quello della “comunione perfetta e continua con il Signore”. Vengono proposti due nuovi simboli: il primo è quello del corpo, descritto nella sua fisicità, emotività e fragilità. “E’ - ha detto Giovanni Paolo II - la rappresentazione dell’essere intero della persona, che non è assorbito e annientato nella corruzione del sepolcro, ma viene mantenuto nella vita piena e felice con Dio”. Il secondo è quello della via: “Mi indicherai il sentiero della vita”. Attraverso questo secondo simbolo il Salmista giunge ad allargare la prospettiva alla speranza della comunione con Dio, oltre la morte, nella vita eterna. “Ecco perché - ha concluso il Papa - questo Salmo è stato usato dal Nuovo Testamento per proclamare la risurrezione di Cristo”. “Lo Spirito di Cristo – ha aggiunto – faccia crescere in voi l’uomo spirituale, che ci aiuta a vivere in pienezza la gioia e la gloria del Signore”.

 

A conclusione dell’udienza generale, il pensiero di Giovanni Paolo II è andato ai bambini e ai ragazzi. Le vacanze - ha detto - siano un momento di gioia, un modo per riacquisire la “voglia di riprendere gli impegni” futuri. Il saluto del Papa è andato anche alle suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù, partecipanti al Capitolo generale del loro Istituto; alle religiose capitolari della Congregazione delle Figlie di Maria Vergine Immacolata di Savona e alle suore Orsoline dell’Unione canadese. Un grazie, infine, ai chierichetti del preseminario San Pio X, che prestano servizio in questi giorni nella Basilica vaticana.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina la notizia del rilascio del vescovo di Yopal, in Colombia, che era stato sequestrato dall'Esercito di liberazione nazionale. 

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

 

Nelle estere, in evidenza l'Iraq, dove si è consumata l'ennesima carneficina: a Baaquba un attentato "kamikaze" ha provocato la morte di più di cinquanta persone.

 

Nella pagina culturale, un dettagliato contributo di Marko Jacov in merito ai due volumi dal titolo: "Inter Arma Caritas. L'Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra istituito da Pio XII (1939-1947)". 

 

Nelle pagine italiane, coppie di fatto: a Pizzo Calabro un'altra iniziativa contro la famiglia.

In rilievo la riforma del sistema pensionistico.

 

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

28 luglio 2004

 

 

RILASCIATO IL VESCOVO DI YOPAL, MONS. MISAEL VACCA RAMIREZ,

SEQUESTRATO IN COLOMBIA DALLA GUERRIGLIA DELL’ESERCITO

DI LIBERAZIONE NAZIONALE DOMENICA SCORSA

- Intervista con padre David Gutierrez -

 

   

E’ stato rilasciato ieri il vescovo di Yopal, Mons. Misael Vacca Ramirez, sequestrato in Colombia dalla guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale. Il presule è stato liberato nei pressi della città di Marcote, la stessa dove era stato sequestrato domenica mattina durante una visita pastorale. Ieri il Papa aveva espresso dolore e preoccupazione per il sequestro, definito un atto riprovevole e penoso, e aveva chiesto la liberazione del presule. Il servizio di Maurizio Salvi.

 

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Il rilascio di mons. Vacca Ramìrez da parte dei guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale è avvenuto in mattinata dopo che, a quanto pare, erano falliti alcuni tentativi di far pervenire un messaggio politico al governo del presidente Alvaro Uribe. Dopo aver camminato tre ore il vescovo di Yopal ha raggiunto un luogo dove lo attendeva mons. Javier Pizarro, titolare della diocesi di Trinidad che ha comunicato ufficialmente ai mezzi di comunicazione l’avvenuto rilascio, assicurando tra l’altro sulle buone condizioni di salute del religioso. Trasferito in elicottero nella caserma dell’esercito a Yopal, mons. Vacca Ramirez ha sostenuto che i suoi rapitori non lo hanno maltrattato e che hanno avuto un comportamento rispettoso. Da parte sua, mons. Luis Augusto Castro, vice presidente della Conferenza episcopale colombiana, ha ricordato che i sequestri non hanno mai senso, ma lo hanno ancora di meno nel caso della Chiesa, che offre il suo appoggio per la ricerca della pace.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Ascoltiamo quanto ha riferito, subito dopo il rilascio, padre David Gutierrez, segretario del Dipartimento di comunicazioni sociali del Consiglio Episcopale Latino-Americano raggiunto telefonicamente a Bogotà:

 

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R. – E’ stato liberato all’interno della foresta ed ha quindi dovuto lungamente camminare. Appena è arrivato ad un centro abitato, ha parlato con la gente ed ha dato lui stesso la notizia. Secondo le prime informazioni, sembra che i rapitori abbiano avuto un problema: la forza di polizia appena ha saputo del rapimento del vescovo si è immediatamente attivata, iniziando le ricerche. Questo ha fatto sì che coloro che hanno rapito il vescovo, probabilmente sentendosi alle strette, lo hanno liberato, senza condurlo ancora di più all’interno della foresta. Questo sarebbe stato il problema maggiore visto il territorio della Colombia.

 

D. – Quali sono state le prime dichiarazioni del vescovo?

 

R. – Il vescovo è stato rapito perché portasse, una volta liberato, un messaggio al governo della Colombia. Questo piano non è stato portato a compimento proprio perché l’azione della polizia non ha permesso che venisse condotto dove si trovano i leader dell’Esercito di liberazione nazionale. E’ stata la guerriglia a rapirlo.

 

D. – Qual è stata la reazione della Chiesa colombiana e della sua diocesi in particolare?

 

R. – La prima reazione, appena abbiamo saputo della sua liberazione, è stata quella di grande gioia ed allegria. Il vescovo è apparso bene ed in salute, malgrado abbia dovuto camminare nella foresta per parecchie ore. Nella sua diocesi i fedeli hanno espresso grande gioia.

 

D. – Il presule aveva saputo della sollecitudine del Papa, che aveva chiesto ieri con parole forti la sua liberazione?

 

R. – Il vescovo ha ringraziato tutti, non soltanto per la sollecitudine della Chiesa colombiana ma anche per la sollecitudine dello stesso governo della Repubblica, perché lo stesso presidente Alvaro Uribe aveva rivolto un appello molto forte alla guerriglia. E ha espresso un grande riconoscimento per questo appello rivolto dal Santo Padre ed anche a lui ha inviato parole di vicinanza e di ringraziamento.

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MEDICI SENZA FRONTIERE LASCIA L’AFGHANISTAN

PER L’INSICUREZZA CHE REGNA NEL PAESE.

IL QUADRO DELLE NECESSITA’ ATTUALI

 ED IL BILANCIO DI 24 ANNI DI ASSISTENZA ALLA POPOLAZIONE

- Intervista con Stefano Salvi -

 

“Dopo 24 anni di assistenza indipendente al popolo afghano, Medici Senza Frontiere si ritira dall’Afghanistan in ragione degli assassinii, delle minacce e dell’insicurezza” nel Paese. È quanto si legge nel comunicato dell’organizzazione umanitaria che verrà presentato domani a Kabul. Il 2 giugno scorso, cinque dei suoi operatori erano stati uccisi da uomini armati in un agguato nel Nord-ovest del Paese. Nel documento si motiva la decisione con “l’incapacità del governo afghano di condurre un’inchiesta credibile sull’attacco”. Ma in quali condizioni versa attualmente l’Afghanistan? Dorotea Gambardella ha girato la domanda a Stefano Salvi, direttore di Msf Italia:

 

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R. – Il livello di insicurezza non permette l’accesso ad una serie di zone che sono meno visibili, ma non per questo meno vulnerabili. Già questo è un elemento molto indicativo, nel senso che le organizzazioni umanitarie hanno degli spazi ridotti di intervento, anche perché lo stesso staff nazionale di diverse organizzazioni è stato già oggetto di minacce e purtroppo anche di aggressioni e di uccisioni. Questo significa che tutti quanti hanno minor possibilità di intervento e tutto questo va ovviamente a scapito delle popolazioni. Ci sono poi problemi sanitari. Stavamo trattando casi di tubercolosi ed interventi di più lungo respiro e questo tipo di interventi, che richiedono anche una presenza continua e costante nel tempo, sono estremamente a rischio. Quindi diciamo che anche quello che si può fare per la popolazione certe volte non può rispecchiare quelli che sono i veri bisogni, nel senso che un intervento occasionale, veloce, come la distribuzione di cibo è un qualcosa, mentre il prendersi carico di una malattia come la tubercolosi è un’altra cosa. Non c’è più la possibilità di garantire una presenza di personale medico qualificato vicino alla popolazione che ha bisogno.

 

D. – Medici Senza Frontiere è presente in Afghanistan dal ’79. Cosa ha fatto in questi anni?

 

R. – Abbiamo dato risposta a quelli che erano i bisogni delle popolazioni a seconda delle situazioni che si presentavano: inondazioni, terremoti, epidemie che siano state di colera o di morbillo. Da qualche tempo ci stavamo occupando della tubercolosi, che è un problema che nessuno ha mai affrontato in modo adeguato. E questo perché è un bisogno emerso in questi ultimi anni. C’è stata poi la gestione di tutto quello che è stato un movimento di rientro dei rifugiati dall’Iran. Abbiamo sempre ascoltato le persone e cercato di rispondere alle loro richieste.

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CON L’AVVICINARSI DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI AMERICANE,

 CRESCE L’ATTENZIONE PER LE PROSSIME SCELTE DI WASHINGTON

IN POLITICA ESTERA, TEMA FORTE NEL SECONDO GIORNO

DI CONVENTION DEMOCRATICA A BOSTON

- Intervista con Marta Dassù -

 

Alla Convention democratica di Boston, ieri è stato il momento di Teresa Heinz Kerry. L’aspirante First Lady ha tessuto le lodi del marito John, che giovedì verrà incoronato ufficialmente quale candidato alla Casa Bianca del partito democratico. Dalla capitale del Massachussets, Paolo Mastrolilli:

 

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(Musica)

 

JOHN KERRY WILL GIVE US BACK OUR FAITH IN AMERICA …

 

“Con John Kerry come presidente noi proteggeremo la sicurezza della nostra Nazione senza sacrificare le nostre libertà civili” è la promessa fatta ieri sera da Teresa Heinz, la moglie del candidato democratico, presentando il marito alla Convention di Boston. Teresa ha descritto il marito come l’uomo adatto a ristabilire il prestigio e la simpatia per gli Stati Uniti nel mondo, combattendo con decisione il terrorismo e affrontando nello stesso tempo i problemi interni, dalla sanità, all’istruzione, per restituire ai più deboli la speranza nel sogno americano.

 

THE ONLY THING WE HAVE TO FEAR IS …

 

Prima di lei aveva parlato il senatore Ted Kennedy, che ha accusato l’amministrazione Bush di aver tradito gli ideali fondanti del Paese con la guerra in Iraq e la disuguaglianza nelle scelte di politica interna. Ma la rivelazione della serata è stato il candidato al senato Barack Obama che ha tenuto il “key note speech”, ossia il discorso che definisce la linea del partito. Obama ha puntato sulle proposte positive dei democratici, dicendo che l’elezione di Kerry alla Casa Bianca garantirebbe che i giorni migliori degli Stati Uniti devono ancora venire.

 

Da Boston, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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La politica estera è stata, dunque, tra i temi chiave della seconda giornata di Convention democratica a Boston. Ieri, intanto, l’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune dell’Unione europea, Javier Solana, si è detto ottimista sui rapporti futuri tra Washington e il Vecchio Continente. Per una riflessione sullo stato delle relazioni euro-atlantiche, dopo le incomprensioni sull’Iraq, Alessandro Gisotti ha intervistato Marta Dassù, direttore della rivista dell’Aspen Institute Italia:

 

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R. - Credo che la fase più difficile, quella della vera e propria guerra delle parole, che si è avuta all’inizio del 2003, sia effettivamente passata. C’è stato, in fondo, un voto congiunto alle Nazioni Unite in giugno sul futuro dell’Iraq e così via, ma certo i problemi concreti restano, in particolare la non disponibilità di una parte dei Paesi europei, Germania e Francia in particolare, ad aiutare più di tanto il difficilissimo dopo guerra americano in Iraq. Quindi, direi che la fase acuta è passata e i problemi strutturali rimangono, ma quel che dice Solana è un’altra cosa, cioè che il rapporto fra Stati Uniti ed Europa è comunque un rapporto primario.

 

D. – L’amministrazione Bush ha oscillato tra decisioni unilateraliste e ritorni al multilateralismo. Qual è il vero volto di questo 43.mo presidente americano in politica estera?

 

R. – Direi che aveva cominciato su una linea molto più orgogliosamente spavalda. Era convinto di potercela fare da solo nel clima post 11 settembre. Aveva detto abbastanza chiaramente che l’America anche senza alleati sarebbe riuscita a gestire il problema iracheno e non è stato così. Quindi, è un ritorno che nasce da una semi sconfitta, credo. Poi, e vale per tutti i presidenti degli Stati Uniti, bisogna capire che l’America agisce o sul piano multilaterale o su quello unilaterale a seconda delle circostanze. In fondo, è l’unico Paese a potersi permettere anche una politica unilaterale.

 

D. – Se il 2 novembre, alle presidenziali americane, prevalesse il democratico John Kerry, dovremmo aspettarci una vera inversione di rotta nella politica estera di Washington o piuttosto un cambiamento solo di approccio?

 

R. – Un cambiamento di tono sicuramente. Per sintetizzare al massimo, direi che Bush ha reagito all’11 settembre dicendo: “L’America può farsi temere e così sarà più sicura”. Kerry dice piuttosto: “L’America deve farsi amare per essere più sicura”. Questo è il cambiamento di tono. Nella sostanza non credo che cambierà moltissimo, anche perché Bush ha già impresso una svolta notevole e quindi non cambierà molto rispetto al Bush di oggi. Non sappiamo cosa sarebbe un Bush se venisse rieletto, cioè non sappiamo, se ci fosse un altro mandato di Bush, che politiche estere effettivamente sceglierebbe. Guardando alle ultime scelte di Bush, Kerry, secondo me, non cambierà granché e questo metterà in difficoltà una parte degli europei, perché a quel punto Kerry chiederà aiuti per l’Iraq a Germania e Francia e Parigi e Berlino dovranno decidere cosa fare.

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PRESENZA DI STUDENTI ESTERI IN ITALIA, DIRITTO DI VOTO AGLI IMMIGRATI, GLOBALIZZAZIONE DELLA SOLIDARIETÀ: ALCUNI DEI TEMI APPROFONDITI DAL VII MEETING INTERNAZIONALE SULLE MIGRAZIONI CHE PROSEGUE A LORETO, SU INIZIATIVA DEI MISSIONARI E LAICI SCALABRINIANI

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

Presenza di studenti esteri in Italia, diritto di voto agli immigrati, globalizzazione della solidarietà: sono solo alcuni dei temi approfonditi dal VII Meeting internazionale sulle migrazioni che prosegue a Loreto su iniziativa dei missionari e laici Scalabriniani.  Ascoltiamo quanto riferisce dalla città marchigiana Giovanni Peduto:

 

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La migrazione costituisce una delle sfide politiche più complesse per i governi. Le modifiche sociali, inerenti all’accoglienza di immigrati di origine etnica differenti, sono diventate oggetto di dibattito pubblico tanto che la questione della migrazione è oggi ai primi posti nell’agenda internazionale. Nel 2006, la stessa Assemblea generale dell’ONU sarà impegnata esplicitamente sulle questioni di migrazioni e sviluppo. Cosa fare nei panni di un clandestino trattenuto in un centro di permanenza temporanea? Quale decisione prendere come amministratore di un ente locale a fronte della richiesta di costruire una moschea nella tua città? Si trovano di fronte a questo tipo di interrogativi i partecipanti al ‘Laboratorio interculturale diritti umani in emigrazione’, nell’ambito del VII Meeting. Si tratta di uno spazio riservato soprattutto ai giovani per riprendere in maniera interattiva, attraverso un gioco di ruolo, le tematiche affrontate nelle Tavole rotonde. Attraverso l’attività del laboratorio interculturale sui diritti, si vuole invitare ciascuno a decentrare il proprio punto di vista, riflettere sui pregiudizi e sul ruolo cruciale dell’informazione. Confrontarsi vuol dire evitare l’atteggiamento comune per cui l’immigrato diventa capro espiatorio di tutti i problemi. “Si avvicina a 300 mila il numero di alunni stranieri, pari al 3,5 per cento della popolazione scolastica in Italia”, ha detto Vinicio Ongini, del ministero Istruzione Università e Ricerca, anticipando alcuni dati di tendenza del rapporto annuale ‘Alunni aventi cittadinanza non italiana’, che verrà integralmente pubblicato a settembre. Dal ’93, data del primo censimento, gli alunni stranieri sono quasi duplicati, passando da 30 mila a 285 mila. Nei prossimi 10 anni le ipotesi di crescita prevedono una presenza almeno raddoppiata. E’ Mantova, per l’anno scolastico 2003-2004, la provincia italiana con la percentuale più alta di alunni stranieri: il 9,32 per cento dell’intera popolazione scolastica. Questo dato conferma come in Italia siano i comuni più piccoli ad avere la maggiore incidenza percentuale di alunni stranieri inseriti nella scuola. Segue, subito dopo Mantova, Cuneo. Tra le varie iniziative relative al VII Meeting internazionale sulle migrazioni a Loreto, di particolare interesse la mostra fotografica ‘Il riso in tasca’ del fotografo Federico Tamburini, mostra promossa dai missionari Scalabriniani. L’esposizione è collegata con riflessione  che il VII Meeting vuole dedicare venerdì prossimo alla ‘mobilità umana nel Continente asiatico’, dove vivono i due terzi della popolazione mondiale e dove i flussi migratori, all’interno del Continente stesso, si contano a livello di milioni.

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E in materia di integrazione degli immigrati il consiglio comunale di Genova ha approvato a larga maggioranza la modifica dello Statuto per la concessione del voto amministrativo agli stranieri extracomunitari legalmente soggiornanti da più di 5 anni in Italia. Stefano Leszczynski ha intervistato Paolo Veardo, assessore alle politiche sociali del Comune di Genova:

 

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R. – La nostra città è una città che è sempre stata estremamente attenta ai temi dell’integrazione e dell’accoglienza. Ci è quindi parso naturale in questi anni, visto l’incremento notevole della presenza dei cittadini extra-comunitari, ritenerli a pieno titolo partecipanti alla vita della comunità locale. Si è quindi pensato che poteva essere importante dare un segnale, che può essere rivolto anche alle altre città del nostro Paese, e che si potesse intraprendere questa via. Volevamo essere capaci di mostrare che questa è una via assolutamente possibile.

 

D. – Quindi non si tratta, come è avvenuto in alcune città, di un diritto di voto per una consulta di immigrati?

 

R. – No, si tratta di una modifica allo statuto, che ha avuto la necessità di più votazioni, e che prevede che dal 2007 i cittadini stranieri avranno diritto di voto attivo e passivo. Ci sono delle regole ovviamente e sono i due anni di residenza nella città e i cinque di presenza legale in Italia. E’ necessario stabilire, più puntualmente, attraverso un regolamento di attuazione, come questo potrà poi avvenire tecnicamente.

 

D. – Quanti sono gli immigrati residenti nel Comune di Genova?

 

R. – La stima non è semplicissima, diciamo però che siamo intorno alle 50 mila unità. C’è stata una variazione di tipologia: abbiamo avuto una grande immigrazione maghrebina che in questi ultimi anni si è non dico arrestata ma certamente stabilizzata. C’è stata invece l’espansione della comunità del centro e sud America: a Genova abbiamo 25 mila ecuadoregni.

 

D. – Avete avuto già un riscontro da parte della comunità di immigrati?

 

R. – Direi molto positivo, perché è chiaro che questo nostro lavoro non nasce come un fungo ma nasce attraverso un dialogo ed un dibattito che nella nostra città c’è da molto tempo.

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LA VITA DI SAN GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO

IN UN FILM PER LA TELEVISIONE.

LE RIPRESE IN QUESTI GIORNI IN NORD ITALIA

 SU INIZIATIVA DELL’ISTITUTO “PICCOLA CASA DELLA DIVINA PROVVIDENZA

- Intervista con il regista Paolo Damosso e l’attore Massimo Wertmuller -

 

Hanno luogo in questi giorni, tra Torino e l’astigiano, le riprese del film per la televisione intitolato “Una cosa in mente” che racconta la vita di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Il film, voluto dall’Istituto “Piccola Casa della Divina Provvidenza” fondato dal Santo nel 1832, è realizzato dalla Nova-T, casa di produzioni televisive e multimediali istituita dai Cappuccini del Piemonte 22 anni fa. Il servizio di Roberta Moretti:

 

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Era la notte del 2 settembre 1827, quando il 41enne Giuseppe Benedetto Cottolengo, già sacerdote, dona gli ultimi sacramenti ad Anna Maria Gonnet, una donna incinta e febbricitante giunta a Torino con la sua famiglia con urgente bisogno di cure per un male misterioso e respinta dagli ospedali della città a causa della sua gravidanza avanzata. La donna muore tra le braccia del Cottolengo, che battezza la bimba ancora in vita per qualche istante. La maternità insanguinata, la duplice morte e le grida disperate dei cinque orfani spezzano il cuore del canonico, che dedicherà il resto della vita a costruire case di cura per assistere tutti i malati respinti dagli altri ospedali. Regista del film è Paolo Damosso:

 

R. – Vorrei trasmettere in particolar modo la storia di una persona che parla ancora al cuore dell’uomo di oggi, a tutti gli uomini, credenti e non credenti. Cottolengo è un uomo impegnato, un uomo serio ma non serioso. E’ un uomo che ama ridere, scherzare, un uomo divertente che spesso alleggerisce anche i problemi grandi con delle battute. Penso che questo modo di interpretare la vita, non leggero ma lieve e molto ispirato, rappresenta una cosa molto grande, molto bella. E in momenti difficili, come quello in cui viviamo, è importante far riferimento a storie di uomini come Cottolengo.

 

Nel film la figura del Cottolengo è interpretata da Massimo Wertmuller, al quale abbiamo chiesto come si sia preparato a questa impegnativa prova d’attore:

 

R. – E’ una responsabilità, perché sei di fronte ad una grande figura che ha dedicato la sua vita, nei fatti, a fare del bene a chi sta peggio, a chi è povero, a chi non ha i soldi per potersi curare e per “permettersi la salute”. E’ quindi chiaro che la prima impostazione con cui affronti qualsiasi figura importante è di umiltà, di grande attenzione e di grande rispetto.

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CHIESA E SOCIETA’

28 luglio 2004

 

 

SI APRE OGGI IN MALAYSIA LA SESSIONE PLENARIA DELLA COMMISSIONE

 “FEDE E COSTITUZIONE” DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE.

 AI LAVORI PRENDONO PARTE 150 ECCLESIASTICI,

TRA CUI 12 RAPPRESENTANTI DELLA CHIESA CATTOLICA

 

KUALA LAMPUR.= Inizia oggi a Kuala Lumpur, in Malaysia, la sessione plenaria della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (WCC-COE), sul tema “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo vi ha accolto, per la gloria di Dio”. Vi prendono parte circa 150 ecclesiastici, tra cui 12 rappresentanti della Chiesa Cattolica, insieme con esperti, giovani e osservatori esterni laici. L'agenda include l’esame del lavoro svolto negli ultimi otto anni, da quando si tenne l’ultima riunione della Commissione in Tanzania, e la presentazione di proposte per l’attività futura. Tra le principali questioni che verranno discusse, il riconoscimento reciproco da parte delle Chiese dell'iniziazione cristiana (battesimo); le differenti concezioni della natura e della missione della Chiesa (ecclesiologia); la concezione della natura della persona umana nella prospettiva cristiana (antropologia teologica) e i suoi effetti su problematiche quali l’identità comunitaria, la sessualità umana, la disabilità, la bioetica; il modo in cui testi, simboli e pratiche delle diverse Chiese cristiane possono essere interpretati, comunicati e recepiti (ermeneutica ecumenica). Altri temi di analisi dell’organismo, che riunisce più di 340 Chiese in oltre 100 Paesi del mondo, riguardano il processo di riflessione teologica su pace, giustizia e riconciliazione intrapreso dalla Commissione nel contesto del decennio del Consiglio Ecumenico delle Chiese dedicato a  “Vincere la violenza” (2001-2010). Ad intervenire al forum di Kuala Lumpur saranno, fra gli altri, il segretario generale del WCC-COE, il reverendo Samuel Kobia, e i segretari generali della Conferenza Cristiana dell'Asia e del Consiglio delle Chiese della Malaysia. (R.M.)

 

 

A SANTIAGO DEL CILE, IERI L’ULTIMO SALUTO DEI FEDELI A PADRE FAUSTINO GAZZIERO, UCCISO SABATO SERA DA UNO SQUILIBRATO AL TERMINE DELLA MESSA.

 ALLA CERIMONIA FUNEBRE HA PRESO PARTE ANCHE IL CARDINALE

FRANCISCO JAVIER ERRÁZURIZ, ARCIVESCOVO DELLA CAPITALE CILENA

 

SANTIAGO DEL CILE.=  Riposano da ieri nel “Cementerio Católico” di Santiago, di cui era cappellano, le spoglie di padre Faustino Gazziero de Stefani, ucciso sabato sera da un giovane probabilmente legato a sette sataniche, mentre stava officiando la Messa nella Cattedrale metropolitana di Santiago del Cile. “È stata una cerimonia toccante e molto partecipata, con la presenza del cardinale Francisco Javier Errázuriz, arcivescovo della capitale cilena, che ha presieduto la messa funebre, e numerosi vescovi e sacerdoti. La Cattedrale era gremita”: è quanto racconta all’agenzia Misna un confratello di padre Faustino, appartenente all'Ordine dei Servi di Maria. “Padre Faustino forse avrebbe voluto una cerimonia più in sordina, semplice come era lui: un sacerdote umile che lavorava in silenzio, senza fare chiasso”, aggiunge il confratello. Nato il 29 aprile del 1935 a Lozzo Atestino (Padova), padre Faustino Gazziero de Stefani si era trasferito in Cile nel 1960 a soli 25 anni, subito dopo la sua ordinazione a sacerdote. Nel Paese latinoamericano aveva proseguito i suoi studi e aveva ricoperto numerosi incarichi. Da anni ormai era totalmente dedicato all'istruzione: ricopriva infatti il ruolo di presidente della Fondazione Santa Teresa, incaricata di gestire numerose scuole nel Paese. (A.G.)

 

 

IN PRIMA LINEA NELLA DIFESA DEI POVERI: I MISSIONARI DEL SACRO CUORE CELEBRANO 80 ANNI DI PRESENZA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

 

KINSHASA - “Dobbiamo essere tra la popolazione, là dove esiste la miseria, per dare alla gente la speranza, la speranza che la vita continua”. Così - rivela l’agenzia Fides - i Missionari del Sacro Cuore spiegano il senso della loro missione in un opuscolo pubblicato in occasione degli 80 anni della loro presenza nella Repubblica Democratica del Congo e dei 150 anni della loro fondazione. Padre Fritz Rezac, un missionario del Sacro Cuore che opera da anni in Congo, in una dichiarazione ripresa dall’agenzia cattolica congolese DIA, afferma che i membri della congregazione “preferiscono lasciare ad altri le parrocchie delle città, per andare a lavorare là dove c’è più bisogno di amore: presso i malati i prigionieri, negli ospedali, accanto ai giovani in difficoltà”. “In Congo” - dice padre Rezac “ - il nostro carisma è necessario, perché vi sono molteplici situazioni dove donare segni di speranza”. “Bisogna però essere realisti. Non possiamo avere specialisti in ogni campo. Noi spesso siamo come una chiave-universale”. I primi appartenenti alla provincia belga dei Missionari del Sacro Cuore sono arrivati nell’allora Congo belga nel 1924, seguiti nel 1955 dai loro confratelli della provincia della Germania e dell’Austria meridionale. I Missionari del Sacro Cuore hanno evangelizzato le regioni che corrispondono alle attuali diocesi di Mbandaka-Bikoro e di Bokungu-Ikela, fondate in pratica da questi religiosi. Attualmente, la congregazione ha in Congo 9 religiosi belgi, 5 tedeschi e austriaci e 28 professi, dei quali 14 con voti perpetui. Dispongono anche di un postulato e di un noviziato a Kinshasa e del centro culturale Aequatoria a Bamanya. Quest’ultimo è un importante luogo di conservazione e di trasmissione dei valori culturali africani. Il centro è stato fondato nel 1937 dai padri Gustaaf Hulstaert e Edmond Boelaert e ha avuto un ruolo significativo nel promuovere l’inculturazione della fede nel Paese africano. (A.G.)

 

 

“APRIRE UN VARCO ALLA SPERANZA”: E’ IL TEMA CHIAVE DEL 62.MO CORSO INTERNAZIONALE DI STUDI CRISTIANI, IN PROGRAMMA AD ASSISI DAL 22 AL 27 AGOSTO PROSSIMI. L’EVENTO E’ PROMOSSO DA PRO CIVITATE CHRISTIANA, COMUNITA’ DI BOSE, PAX CHRISTI  E L’EDITRICE QUERINIANA

 

ASSISI.= “Aprire un varco alla speranza” è il tema del 62.mo Corso internazionale di Studi cristiani che si terrà alla Cittadella di Assisi dal 22 al 27 agosto prossimo. La Pro Civitate Christiana – afferma un comunicato - in collaborazione con la Comunità di Bose, con Pax Christi e con l'Editrice Queriniana, giunge all’appuntamento “in uno scenario mondiale particolarmente drammatico. In tale contesto il tema della speranza si presenta come una sfida che intende accettare il rischio delle domande scomode e inquietanti di cui sono portatori quelle donne e quegli uomini che, a giudicare dai loro gesti estremi, possiamo considerare i disperati della Terra”. Le tematiche dell’incontro, come è tradizione della Pro Civitate Christiana, saranno affrontate in chiave di dialogo e di dibattiti, sia attraverso l'approccio alle varie discipline antropologiche, psicologiche, filosofiche, socio-politiche, sia nell'incontro e nella testimonianza interreligiosa, che quest'anno vedrà coinvolti ebrei, musulmani, cristiani e in intensi momenti di preghiera. Dopo il saluto del presidente della Pro Civitate, Marco Marchini, darà il via ai lavori Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità di Bose. Tra gli interventi previsti quelli di don Luigi Ciotti, dell’on. Maria Pia Garavaglia e del senatore Giorgio Tonini. La relazione finale, sul tema “Giustizia e pace si baceranno”, sarà tenuta da Oscar Luigi Scalfaro che ritorna alla Cittadella dopo due anni. (A.G.)

 

 

INIZIA OGGI A CRACOVIA IL CAPITOLO GENERALE

 DEI DEFINITORI DELL’ORDINE DEI PREDICATORI

 

CRACOVIA.= Prende il via oggi, in Polonia, il Capitolo Generale dei Definitori dell’Ordine dei Predicatori presso il Convento della Santissima Trinità di Cracovia sulla tomba di San Giacinto, il primo domenicano polacco. Il Capitolo dei Definitori si distingue dalle altre due modalità assembleari - il Capitolo Generale e quello dei Provinciali, per essere l’espressione della “base” dell’Ordine dei Predicatori. In linea con lo spirito democratico e comunitario dell’Istituto presente in tutta la legislazione domenicana, i Definitori partecipano in piena autorità e autonomia alla preparazione delle leggi dell’Ordine, apportando alle assemblee legislative la sensibilità, le tendenze e l’ottica del “popolo” dell’istituto. A Cracovia si riuniscono circa 80 religiosi, tra i quali il Maestro dell’Ordine, Fr. Carlos Azpiroz Costa, con il suo immediato predecessore; 49 definitori eletti, uno per ogni entità dell’Ordine (38 province, 2 vice-province, 9 vicariati generali); 11 delegati eletti di alcuni vicariati regionali o provinciali; 8 invitati del Maestro (laici domenicani, monache domenicane, suore apostoliche domenicane, assistenti della Curia). Oltre al lavoro in plenaria, è previsto l’approfondimento nei gruppi ristretti delle seguenti tematiche: predicazione, vita intellettuale, vita comunitaria, vocazione e formazione, governo ed economia. (A.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

28 luglio 2004

 

 

- A cura di Dorotea Gambardella -

 

Escalation di violenza in Iraq. E’ salito ad almeno 68 morti e 70 feriti il bilancio, ancora provvisorio, dell’attentato suicida avvenuto stamani davanti al quartier generale della polizia di Baquba, una sessantina di chilometri a nord di Baghdad. Lo ha reso noto il ministero della Sanità iracheno. Ma non è l’unico episodio di sangue registratosi oggi nel Paese. Il servizio è di Dorotea Gambardella:

 

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Secondo una prima ricostruzione dell’attacco a Baquba, un furgone-bomba guidato da un autista kamikaze, è esploso mentre veniva affiancato da un minibus. Dei 68 morti finora accertati, la maggior parte sarebbero passanti. Nell’attentato stava rischiando la vita anche il ministro della Sanità iracheno. Inoltre, due persone sono state uccise e altre cinque ferite da un razzo, che ha colpito un quartiere residenziale del centro di Baghdad. Tra le vittime, anche un bambino di 13 anni. E nel sud del Paese, sette poliziotti iracheni e 35 guerriglieri sono rimaste vittime di uno scontro a fuoco. Sangue anche a Suwaira, una cittadina sul Tigri 80 km a sud di Baghdad, dove cinque agenti della polizia irachena sono stati uccisi ed altri 48 feriti durante una battaglia con dei guerriglieri. A Kirkuk, due iracheni hanno perso la vita nello scoppio della bomba che stavano maneggiando, mentre tentavano di sabotare un oleodotto. Sul piano diplomatico, si aggrava la tensione dell’Australia con Spagna e Filippine per il rifiuto del ministro degli Esteri di Canberra, Alexander Downer, di presentare le proprie scuse dopo aver dichiarato che con il ritiro delle truppe dall’Iraq, i due governi incoraggiano il fenomeno dei rapimenti e rendono più difficile la guerra al terrore. In merito alla vicenda delle torture, un ex detenuto iracheno, testimoniando in un’azione legale federale negli Stati Uniti, ha accusato di abusi il generale Janis Karpinski, ex comandante della rete delle prigioni in Iraq.

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Medio Oriente. Un urgente appello alla Corte suprema dello Stato ebraico è stato rivolto da medici palestinesi e israeliani e membri di organizzazioni umanitarie, affinché venga ordinato il ritorno nella striscia di Gaza di oltre duemila palestinesi che da giorni sono fermi sul versante egiziano del valico di Rafah, chiuso dalle autorità israeliane in seguito a notizie di attentati. Intanto, fonti palestinesi hanno denunciato la demolizione di 20 loro abitazioni da parte delle truppe israeliane a Khan Yunes, nella striscia di Gaza.

 

Cinquemila persone fuggite dal Nord al Sud Corea in dieci anni e quasi 500 solo negli ultimi due giorni in cerca di asilo politico a Seul. L’esodo dal Paese comunista rischia di assumere proporzioni preoccupanti per il regime di Pyongyang e per gli equilibri politici della regione, sulla quale è puntato l’interesse delle grandi potenze. Sul fenomeno delle fughe, ormai continue, dalla Corea del Nord, Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Roberto Maggi, corrispondente Ansa per il Giappone e la Corea:

 

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R. - Difficile dire se si sia alla vigilia di un progressivo sgretolamento interno del regime di Pyongyang, come accadde alla fine degli anni ’80 per la Germania Est, oppure se si tratti di un caso particolare, come, invece, sembrano sostenere le autorità sud-coreane.

 

D. – Da che cosa fuggono questi profughi?

 

R. – Queste persone fuggono, ormai da anni, da due mali che sono associati con il regime comunista nord-coreano: un male che si è ingigantito negli ultimi 10 anni con la fame di massa, dopo carestie e alluvioni, ed un male endemico a questo regime, che è la repressione ideologica capillare dalla quale la gente ormai fugge in massa. Si pensa che ci siano almeno 300 mila nord-coreani che si nascondono in Cina, dopo essere fuggiti attraversando il confine, fino a pochi anni fa poco controllato, tra la Corea del Nord e la Cina, e vivono lì clandestinamente.

 

D. – Potrebbe nascere un problema umanitario proprio nel momento in cui il numero di queste persone dovesse diventare più cospicuo e, quindi, di aiuti alla Corea del Sud per provvedere a queste persone e alle loro famiglie?

 

R. – Sì, questo sicuramente sta avvenendo e ieri il ministro dell’unificazione nazionale sud coreano per la prima volta ha posto molto chiaramente il problema. Ha detto: “Finora la Corea del Sud è riuscita ad assorbire senza traumi il flusso di profughi, ma – ha aggiunto il ministro – se tra poco tempo il numero arriverà a superare le 10 mila unità, allora sicuramente la Corea del Sud dovrà rivedere completamente la sua politica di accoglienza e dovrà studiare nuove forme, perché da sola forse non ce la potrà fare.

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Si è risolto nel sangue il sequestro di stanotte all’ambasciata cilena in Costarica: una guardia giurata ha tenuto in ostaggio per sette ore dieci persone, poi ha ucciso il console, Cristian Youssef, il segretario della sede diplomatica Roberto Nieto e l’addetto diplomatico Rocio Sariego. Infine si è sparato un colpo alla testa. Orlando Jimenez, 54 anni, questo il nome del sequestratore, avrebbe attuato il suo gesto per protestare contro un eventuale trasferimento. Tutti salvi gli altri sette ostaggi.

 

La pressione internazionale per mettere fine al conflitto interetnico nella regione sudanese del Darfur, che ha causato 50mila morti e 200mila profughi, preoccupa il regime di Khartoum. Le autorità sudanesi hanno chiesto alla Lega Araba di convocare una riunione urgente dei ministri degli Esteri dei vari Paesi per esaminare la situazione attuale in Sudan e respingere le minacce americane di sanzioni. Il servizio è di Giulio Albanese.

 

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Majzoub al-Khalifa, titolare del dicastero dell’Agricoltura e capo dei negoziati con i ribelli del Darfur, ha detto che “il suo governo rafforzerà le sue posizioni per impedire qualsivoglia intervento straniero nella regione occidentale del suo Paese, il Sudan, dove la violenza etnica contro la popolazione nera da parte delle milizie nomadi islamiche, note come ‘Janjaweed’, sta provocando una gravissima crisi umanitaria. La rabbia di Khartoum è stata inevitabilmente acuita dalla presa di posizione del Congresso statunitense, che ha denunciato come nel Darfur sia in atto un vero e proprio genocidio. Sta di fatto che mentre crescono le pressioni internazionali contro il governo sudanese, Stati Uniti ed Unione Europea hanno minacciato sanzioni se le autorità non fermeranno i ‘Janjaweed’, garantendo al contempo l’accesso agli aiuti umanitari. Gran Bretagna ed Australia avrebbero già fornito una disponibilità di massima ad inviare truppe per un’operazione di pace.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Spagna. L’ex ministro dell’Interno, Angel Acebes, ha invitato il governo Zapatero ad indagare a fondo per identificare i “mandanti intellettuali” degli attentati dell’11 marzo scorso e su un eventuale ruolo dell’Eta. Davanti alla Commissione parlamentare che indaga sulle azioni terroristiche a Madrid prima delle elezioni che dettero la vittoria ai socialisti, Acebes ha negato che il vecchio esecutivo abbia mai mentito sull’accaduto.

 

 

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