RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 209 - Testo della
Trasmissione di martedì 27 luglio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Al
via a Quito, in Ecuador, il primo Forum sociale delle Americhe
In
Iraq, in diversi attacchi, tra ieri e oggi, tre persone morte e sedici ferite.
Risolta
la crisi di governo in Medio Oriente: il premier palestinese, Abu Ala, ha
ritirato le proprie dimissioni. Ancora violenze sul terreno.
27
luglio 2004
GIOVANNI PAOLO II DEFINISCE
“INQUALIFICABILE”
IL SEQUESTRO DEL VESCOVO COLOMBIANO MISAEL
VACCA RAMIREZ,
RAPITO SABATO SCORSO DAI
GUERRIGLIERI DELL’ELN,
E NE INVOCA LA LIBERAZIONE “SENZA
INDUGI”
- A cura di Alessandro De Carolis
-
Un atto “riprovevole” e “penoso” diretto contro un vescovo
che si trovava in viaggio per portare il messaggio di pace e di speranza di
Cristo ai poveri della sua diocesi. In una dichiarazione, resa nota questa
mattina dalla Sala stampa vaticana, Giovanni Paolo II ha espresso “dolore e preoccupazione”
per il rapimento di mons. Misael Vacca Ramirez, vescovo della diocesi
colombiana di Yopal, sequestrato lo scorso fine settimana da uomini del Frente
José David Suarez dell’Esercito di liberazione nazionale (ELN). Il Papa ha chiesto
la rapida liberazione del presule.
“Il Santo Padre ha appreso con dolore e
preoccupazione la notizia di tale atto criminoso, in nessun modo giustificabile
– si legge nella dichiarazione - e
chiede con paterna fermezza la liberazione del presule, senza indugi. E’ estremamente
penoso e riprovevole – prosegue la nota - che un vescovo, recatosi ad annunciare
il Vangelo della pace e della speranza ai fedeli affidati alle sue cure,
soprattutto ai più poveri, venga impedito in maniera così inqualificabile
dall’esercitare liberamente il suo ministero pastorale”. Anche i vertici della
gerarchia ecclesiale colombiana hanno espresso grande sconcerto per un’azione
contro la Chiesa locale che non ha giustificazione apparente giacché, viene sottolineato,
nelle scorse settimane i vescovi del Paese latinoamericano hanno più volte incontrato
responsabili e portavoce dell’ELN, nel tentativo di proseguire la mediazione
tra governo e guerriglia sul processo di pace interno. Cenni di cronaca sul
sequestro, nel servizio di Maurizio Salvi:
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Mons. Vacca Ramirez è stato sequestrato verso le 8.00 di
domenica, quando, insieme con due sacerdoti, si trovava in missione pastorale
al confine fra i dipartimenti di Casanare e Boyacà. La notizia del rapimento è
stata data alcune ore dopo a Yopal dai due religiosi rilasciati dai guerriglieri.
Il segretario generale della Conferenza episcopale colombiana, mons. Fabian
Marulanda, ha manifestato l’apprensione della Chiesa per il sequestro e ha
chiesto il rispetto della vita del vescovo. Secondo alcune fonti, è possibile
che mons. Vacca Ramirez possa essere liberato in tempi brevi dai guerriglieri
con un messaggio per il governo del presidente Alvaro Uribe.
Da alcune settimane, infatti, esistono contatti informali
ed ufficiali in vista di un dialogo di pace fra responsabili colombiani ed
emissari della seconda guerriglia colombiana di sinistra per importanza dopo le
Farc. “Se il rapimento è legato alla trasmissione di un messaggio – ha
sostenuto il segretario della Conferenza episcopale – chiediamo che il rilascio
avvenga nel più breve tempo possibile”. Da parte sua, infine, il nunzio
apostolico nella capitale colombiana, mons. Beniamino Stella, ha indicato che,
non appena conosciuti i particolari del sequestro, sono stati avviati contatti
con i rapitori per risolvere rapidamente e positivamente la dolorosa vicenda.
Maurizo Salvi, per la Radio Vaticana.
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PROSEGUE
L’OPERA DI CARITA’ DELLA FONDAZIONE “POPULORUM PROGRESSIO”.
APPROVATI
NELL’ULTIMO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE IN BRASILE
231
PROGETTI A FAVORE DELL’AMERICA LATINA
-
Intervista con don
Segundo Tejado Muñoz -
Si è
conclusa la scorsa settimana in Brasile l’annuale riunione del Consiglio di
Amministrazione di “Populorum Progressio”. Nel corso dell’incontro la
Fondazione autonoma, istituita da Giovanni Paolo II nell’ambito del Pontificio
Consiglio “Cor Unum”, ha approvato 231 progetti su 263 esaminati, per un
importo complessivo di 1.881.000 dollari. Ma come e dove si concretizzeranno
queste iniziative di solidarietà? Barbara Castelli lo ha chiesto a don Segundo
Tejado Muñoz, officiale del Pontificio Consiglio “Cor Unum” e membro
della Fondazione “Populorum Progressio”:
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R. - I progetti della fondazione “Populorum Progressio”
vengono investiti in particolare in tutti i Paesi dell’America Latina, dal
Messico in giù e anche nei Caraibi. I progetti sono di diversa natura, vanno
dall’educazione alla costruzione di piccoli centri, all’agricoltura, ecc. Le
popolazioni che vengono aiutate con queste iniziative sono quelle più colpite
dalla povertà in America Latina. Speciale riguardo è rivolto alle popolazioni
indigene meticce, quelle afro-americane.
D. - Quando e perché è nata “Populorum progressio”?
R. - Nasce già da un’idea di Paolo VI, durante il suo
viaggio in Colombia. Ma sarà Papa Giovanni Paolo II, il 13 febbraio del ’92, in
occasione del V centenario dell’Evangelizzazione dell’America, ad istituire in
modo legale questa fondazione, che inizia a lavorare da subito.
D. - Con lo sguardo rivolto al passato, quanto ha seminato
questa fondazione?
R. - Credo tanto, ma ritengo che non sia solo una
questione di quantità. La fondazione vuole essere un segno concreto
dell’attenzione del Santo Padre per queste popolazioni, per il problema dell’emarginazione
in America Latina, per le necessità dei più poveri e dei più bisognosi.
D. - Quali sono, oggi, le aree di maggiore emergenza?
R. -
Credo che le aree di maggiore emergenza siano rappresentate dalle periferie
delle città, dove è grave soprattutto la questione della violenza. Durante i
giorni della riunione, ho avuto l’occasione di visitare la periferia di
Medellin, per vedere alcuni progetti realizzati. Sono rimasto veramente colpito
dal problema della violenza, dal disagio che esiste in tutte queste grandi
periferie delle città, con livelli di povertà molto elevati.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In apertura di prima pagina la
notizia del sequestro - in Colombia - del Vescovo di Yopal, Mons. Vacca
Ramirez, da parte dell'Esercito di liberazione nazionale.
Il Papa chiede con
"paterna fermezza" l'immediata liberazione del Presule.
Sempre in prima, un articolo
dal titolo "La bandiera italiana torna a sventolare sulla vetta del
K2".
Nelle vaticane, il Documento finale
del VI Congresso mondiale sulla pastorale del turismo (Bangkok, 5-8 luglio
2004).
La presentazione del Cardinale
Salvatore Pappalardo ad un volume del Vescovo di Caltanissetta che raccoglie
diverse "Lectiones divinae".
Nelle estere, Sudan, Darfur: s'intensifica
la pressione diplomatica. Anche l'Unione Europea prospetta sanzioni al Governo
di Khartoum.
Nella pagina culturale, un
articolo di Irene Iarocci sul volume "Arte dell'ospitalità in Italia",
un itinerario attraverso i secoli sulle tracce dell' "Homo viator".
Nell' "Osservatore
libri" un approfondito contributo di Fernando Salsano in merito alla
"Vita di Petrarca" di Giovanni Boccaccio, con testo latino e
traduzione a fronte, a cura di Gianni Villani, edito dalla Salerno.
Nelle pagine italiane, in
rilievo il dibattito sul Documento di programmazione economica e finanziaria
(Dpef) presentato dal Governo alle parti sociali; critici Cgil, Cisl e
Uil. La Confindustria chiede più rigore.
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27
luglio 2004
CON UN APPLAUDITISSIMO DISCORSO DELL’EX PRESIDENTE BILL CLINTON,
SI E’ APERTA A BOSTON LA CONVENTION DEL
PARTITO DEMOCRATICO,
CHE
GIOVEDI’ INCORONERA’ IL SENATORE JOHN FORBES KERRY
QUALE
SFIDANTE DI GEORGE W. BUSH ALLE PRESIDENZIALI DEL 2 NOVEMBRE
- Nota
di Empedocle Maffia -
L’ex presidente Jimmy Carter, l’ex
vicepresidente Al Gore, ma soprattutto Hillary e Bill Clinton sono state le
star che hanno caratterizzato la prima giornata della Convention democratica,
al FleetCenter di Boston. Giovedì prossimo, i cinque mila delegati democratici
ufficializzeranno la candidatura del senatore John Forbes Kerry alla presidenza
e quella del senatore John Edwards come suo vice. Intanto, ieri, l’ultimo
presidente democratico, Bill Clinton, ha saputo infiammare, con un
applauditissimo discorso, la platea del FleetCenter. Da Boston, Paolo Mastrolilli:
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Clinton ha accusato
l’amministrazione Bush di aver diviso l’America scegliendo di favorire solo chi
condivide i valori e gli interessi economici dei repubblicani, e dimenticando
tutti i problemi che affliggono i più deboli, dalla sanità alla disoccupazione.
Sul piano internazionale, poi, Bush ha deciso di polarizzare il mondo invece di
guidarlo per guadagnare rispetto per gli Stati Uniti. Quindi, Clinton ha posto
gli americani davanti ad una scelta: se condividono le scelte politiche di Bush
che portano divisione, devono rieleggerlo, ma se pensano che sia possibile
costruire “un’unione più perfetta”, devono votare un uomo come Kerry, che ha
dimostrato la sua capacità di leadership da giovane quando andò volontario in
Vietnam e da adulto col suo lavoro in Senato. Clinton è stato introdotto dalla
moglie Hillary che ha esaltato le qualità umane e politiche del candidato democratico,
accusando i repubblicani di aver alienato il mondo, perso posti di lavoro,
aumentato il deficit e trascurato la stessa sicurezza nazionale dopo l’11
settembre. Prima di Hillary, l’ex-presidente Carter aveva detto che la politica
estera di Bush ha danneggiato l’America e Al Gore lo aveva accusato di aver
tradito le promesse fatte nel 2000, quando aveva vinto un’elezione che i
democratici ancora contestano.
Da Boston, per la Radio Vaticana,
Paolo Mastrolilli.
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Sugli interventi di ieri alla
giornata inaugurale della Convention democratica, la nota dagli Stati Uniti di
Empedocle Maffia:
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Dal primo giorno di dibattito, i
democratici hanno comunicato al Paese un messaggio rassicurante. Per quanto le
sfide siano dure per l’America, una nuova leadership può affrontarle con
coraggio e senza arroganza, unendo il Paese sulle sue scelte e non dividendolo.
Un messaggio rassicurante ad un elettorato che Bush e i repubblicani cercano,
invece, di tenere sempre in tensione, tra la paura del terrorismo ed il sospetto
verso il resto del mondo. Un messaggio che ha avuto i toni alti dell’ex
presidente Carter, per il quale il rispetto della verità deve essere la base
della democrazia, o l’amara ironia di Al Gore, che ha chiesto agli elettori
repubblicani se Bush abbia mantenuto le promesse fatte quattro anni fa, o la
lucidità dell’analisi di Bill Clinton, quando ha detto che i repubblicani per
vincere hanno bisogno di un Paese diviso, i democratici no. Su questa immagine
di compattezza e di impegno a rimettere assieme un Paese diviso come poche
volte nella sua storia i democratici si affidano a John Kerry, leader che tutti
gli oratori presentano come la scelta per uscire dall’emergenza del dopo 11
settembre. Un’emergenza fatta di debito pubblico, il più alto mai registrato, e
di rotture sociali, le più drammatiche dai tempi della guerra civile. Resta la
certezza che tra Kerry e la Casa Bianca ci sia solo la sua abilità nel prendere
il voto degli indecisi e dei delusi.
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INDONESIA, QUASI UN PLEBISCITO PER YUDHOYONO:
MEGAWATI
AL BALLOTTAGGIO, MA DEVE RINCORRERE
- Con
noi, Francesco Montessoro -
A spoglio ormai ultimato, le elezioni presidenziali
indonesiane confermano la tendenza già anticipata dalle proiezioni: nessun
eletto al primo turno, nel voto del 5 luglio scorso. Ma vincitore morale è l’ex
generale Yudhoyono, che ha ottenuto quasi 40 milioni di voti. La corsa per il
secondo posto, che permette l’accesso al ballottaggio del 20 settembre, è stata
vinta dalla presidente in carica, Megawati Sukarnoputri. Sentiamo Maurizio
Pascucci:
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Yudhoyono
ha ottenuto il 33,5 per cento dei voti, la maggioranza relativa, ben lontano
dalla soglia del 50 per cento che avrebbe dovuto superare per aggiudicarsi da
subito il mandato. L’Indonesia tornerà quindi alle urne il 20 settembre, per il
ballottaggio tra Yudhoyono e l’attuale presidente Megawati Sukarnoputri la
quale ha ottenuto il 26,6 per cento dei suffragi. Quattro punti percentuali in
più rispetto al terzo incomodo, ovvero il generale Wiranto, che immediatamente
dopo il voto sembrava in grado di superare la Sukarnoputri, seppure sul filo di
lana. Invece, tra meno di un mese, sarà la presidente in carica ad affrontare
il suo ex ministro alla sicurezza, Yudhoyono, che, uscito dal governo prima
delle elezioni, è riuscito ad incarnare la delusione dell’elettorato per le
promesse non mantenute da Sukarnoputri.
Maurizio Pascucci, per la Radio Vaticana.
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Sono dunque 7
punti percentuali a dividere i due candidati. E’ uno svantaggio incolmabile per
la figlia di Sukarno o la presidente in carica ha possibilità concrete di vittoria?
Andrea Sarubbi lo ha chiesto a Francesco Montessoro, docente di Storia
dell’Asia all’Università statale di Milano:
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R. –
Dipenderà dalle alleanze che Megawati riuscirà a fare. Credo che dalle urne
emerga un indizio chiaro: nel voto del 20 settembre il favorito è Yudhoyono,
che è il grande vincitore già adesso. Con un partito che può contare sul 7 per
cento dei voti, Yudhoyono è riuscito ad ottenere un terzo dei consensi
dell’elettorato. Ma comunque Megawati potrebbe trovare alleati nel Golkar, dunque
non è fuori gioco.
D. -
Diversi osservatori internazionali sono stupiti dall’assenza, nel ballottaggio,
di Wiranto: il generale Wiranto è il leader del Golkar ed il Golkar è il
partito più forte in Indonesia...
R. – Wiranto era, in realtà, un candidato debole. Si è
arrivati alla sua candidatura con una divisione del partito. Non a caso, uno
degli esponenti del Golkar è il candidato alla vicepresidenza con Yudhoyono.
Questa divisione nel Golkar non ha certamente favorito un candidato che ha,
inoltre, un ulteriore elemento di debolezza: Wiranto è stato uno degli
esponenti di maggior rilievo delle Forze armate al tempo di Suharto ed ha
responsabilità dirette negli eccidi di Timor Est nel 1999. Sul piano
internazionale, è una macchia indelebile.
D. – Il vincitore del primo turno, Yudhoyono, è stato
l’organizzatore della lotta al terrorismo di marca islamica in Indonesia.
Secondo lei, è stato questo a fargli ottenere così tanti voti?
R. – Secondo me, non tanto. È vero che, dopo il 2002,
Yudhoyono ha svolto un ruolo significativo, in qualità proprio di ministro per
la Sicurezza interna, ma credo che il segreto della sua vittoria sia
soprattutto la sua abilità politica. Lo si riconosce come leader, qualità che
viene riconosciuta invece a Megawati o a Wiranto in termini decisamente diversi
ed attenuati.
D. –
Ieri, mentre stava terminando lo scrutinio, c’è stato un attentato negli uffici
della Commissione elettorale. Si può già parlare, secondo lei, dell’Indonesia come
di un Paese democratico o è ancora presto?
R. – L’Indonesia è un Paese che ha dimostrato di sapere
affrontare molto bene prove di tipo democratico. Dire che sia un Paese
completamente democratico è però impreciso e non vero. Quella indonesiana
rimane una democrazia in cui pesano elementi tradizionalmente ostili alla
democrazia. Come, ad esempio, la componente militare.
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DUE
CAPITALI EUROPEE A CONFRONTO SULL’IMMIGRAZIONE.
AL MEETING IN CORSO A LORETO OSPITI OGGI
I
RISPETTIVI SINDACI DI ROMA E PARIGI
-
Servizio di Giovanni Peduto -
Due capitali europee a confronto sul problema delle
migrazioni: al centro del dibattito, questa mattina, al Meeting internazionale
di Loreto, promosso dai missionari e laici Scalabriniani. A parlare di Roma e
Parigi c’erano i rispettivi sindaci, Walter Veltroni e Khédidja Bourcart. Ai
partecipanti è pervenuto il messaggio di saluto del presidente della Repubblica
italiana, Carlo Azeglio Ciampi, che ha espresso apprezzamento per l’alto valore
etico e sociale dell’iniziativa. Su quanto emerso a proposito della realtà dei
migranti nelle grandi città, ascoltiamo il servizio da Loreto di Giovanni
Peduto:
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Quasi la metà dei migranti e rifugiati in tutto il mondo,
circa 86 milioni di adulti, è economicamente attiva, impiegata o impegnata in
attività remunerative. Nei prossimi anni, il numero dei migranti internazionali
in cerca di un’occupazione e di migliori condizioni di vita crescerà per
mancanza di lavoro nei luoghi in cui le persone vivono. I nuovi arrivati
contribuiscono al rinnovamento della popolazione e stimolano la crescita senza
inflazione.
I Paesi di origine sperimentano, invece, il fenomeno della
fuga di ‘cervelli’ di migranti qualificati. Quasi 400 mila scienziati e
ingegneri, provenienti dai Paesi in via di sviluppo, lavorano nei settori della
ricerca e sviluppo nei Paesi industrializzati. Diventa perciò necessario
coordinare localmente le diverse politiche ed attività che interessano
l’immigrazione, cioè l’accesso al mercato del lavoro e lo stimolo dell’attività
economica locale; lo studio e l’apprendimento delle lingue; la fruizione dei
servizi sociali e sanitari; l’accesso all’abitazione e la lotta per evitare discriminazioni
negli spazi urbani. E poi, in particolare, la partecipazione a tutti gli ambiti
della vita comunitaria per una buona interazione con la società autoctona,
senza perdere di vista la necessaria partecipazione alla vita politica e
democratica della società.
La Commissione Europea ha in progetto un Libro verde
dedicato all’immigrazione con lo scopo di suscitare sull’argomento un dibattito
a livello europeo. Lo ha reso noto Angela Martini della direzione generale
Giustizia e Affari interni della Commissione. “L’idea – ha detto Martini – è
nata dopo la diffusione, il mese scorso, di uno studio della Commissione
Europea sulle connessioni tra migrazione legale ed illegale”. Nel documento,
pur realizzato in tempi brevi, emergono chiari limiti delle politiche adottate
dai singoli Stati membri dell’Unione, se non sono supportate da un
rafforzamento delle consultazioni e da uno scambio delle informazioni a livello
comunitario.
Per restare in Italia, una modifica profonda al testo di
legge Bossi-Fini è stata chiesta dal segretario della CISL, Savino Pezzotta,
ospite al Meeting. “Vanno cambiate – ha detto – quelle norme che sono in
contrasto con la Costituzione italiana e negano i diritti civili agli immigrati”.
Ribadendo la sua opposizione all’attuale legge sull’immigrazione, Pezzotta l’ha
definita autoreferenziale e lontana dalla realtà concreta e ha sottolineato che
le motivazioni ascritte alla recente sentenza della Corte costituzionale, che
ha chiesto modifiche, confermano quanto già affermato dalle forze sindacali e sociali.
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UN ROMANZO RICORDA IL GENOCIDIO DEGLI ARMENI,
UNA DELLE PAGINE PIU’ OSCURE DEL XX SECOLO
- Intervista con l’autrice, Atonia Arsan -
“La
masseria delle allodole” è il titolo del romanzo, edito dalla Rizzoli, che
ricorda una delle pagine più oscure della storia contemporanea: il genocidio
degli armeni. L’autrice, Antonia Arsan, italiana di origine armena, racconta le
peripezie di quattro ragazzini costretti nel 1915 a lasciare l’Anatolia, a
causa della politica del partito dei Giovani Turchi, attratto dal mito di una
grande Turchia in cui non c’era posto per le minoranze. Al microfono di Dorotea
Gambardella la signora Arsan, docente di Letteratura italiana all’Università di
Padova, spiega che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro:
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R. – E’
la necessità di dare voce a queste esistenze spezzate nel fiore degli anni e
dimenticate.
D. –
Del genocidio armeno, purtroppo, si sa poco. Cosa lo ha scatenato?
R. –
Soprattutto la decisione di attuare una pulizia etnica da parte del governo dei
Giovani Turchi, che aveva preso il potere dopo il 1908 e che nel ’15 ha deciso
di avviare questo primo processo di sterminio del XX secolo.
D. –
Perché il silenzio della comunità internazionale?
R. –
Dopo la guerra e dopo due anni in cui si è arrivati al trattato di Servr, che
ha sancito l’esistenza di un focolare armeno in Anatolia, i successi della
Turchia e la stanchezza delle nazioni vincitrici della guerra hanno fatto sì
che degli armeni non si sia più parlato. Viene ricompattata la Turchia, la
nazione armena è ormai scomparsa. Gli armeni orientali finiscono sotto il
dominio sovietico e degli armeni occidentali, sparsi ormai in diaspora nei
quattro angoli del mondo, non si parla più. Si arriva poi alla Trattato di
Losanna del ’23, in cui addirittura scompare la parola armeno.
D. –
Che cosa rappresenta la fede per gli armeni, primo popolo a proclamarsi
cristiano oltre 1700 anni fa?
R. – La
fede per gli armeni rappresenta una forma di identità, anche nazionale. Tanto è
vero che appena un gruppo di armeni si stabilisce in una città viene
immediatamente costruita una chiesa, che rappresenta il luogo dell’incontro. La
liturgia è sentita come un qualcosa di estremamente vivo, nonostante si tratti
di una liturgia di antiche tradizioni.
D. – Le
sue pagine, pur essendo terribili, sono pervase però da una grande serenità. Da
cosa deriva questa sua serenità?
R. – Mi
sono resa conto che ci sono persone che organizzano e proclamano massacri spaventosi,
la gente comune è purtroppo volta al massacratore e al massacrato. Questa è una
battaglia che ognuno di noi deve combattere all’interno di se stesso. Quello
che si deve usare è la testimonianza, che ha valore di memoria e che porta ad
una presa di coscienza. Basandosi solo sull’indignazione si ha un’effimera
ventata di odio e nient’altro.
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27
luglio 2004
MIGLIORARE
LA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI DA INVIARE NEI SANTUARI:
E’
L’ESORTAZIONE DI PADRE PIERBATTISTA PIZZABALLA, CUSTODE DI TERRA SANTA,
AL
TERMINE DEL CAPITOLO ELETTIVO, SVOLTOSI IN QUESTI GIORNI AD AMMAN
AMMAN. = “Più religiosi nei santuari principali, studiare
forme di illustrazione dei santuari che tengano conto delle nuove tecnologie
informatiche, formazione anche in lingua araba”. Padre Pierbattista Pizzaballa,
Custode di Terra Santa traccia, così, il cammino futuro della Custodia di Terra
Santa, che nei giorni scorsi ad Amman, in Giordania, ha celebrato il suo
Capitolo elettivo. In un’intervista all’agenzia Sir, padre Pizzaballa afferma:
“Abbiamo discusso sul ruolo dei Luoghi Santi e sulla necessità di inviare più
religiosi nei santuari principali. Dovremo inoltre studiare forme di
illustrazione dei santuari che tengano conto delle nuove tecnologie informatiche”.
Miglioramenti sono previsti anche nel sistema di comunicazione e informazione:
riviste, editoria, internet. Lo scopo è quello di far conoscere di più e meglio
le differenti comunità ecclesiali nel mondo”. Ma la vera sfida, per padre
Pizzaballa, riguarda soprattutto “la formazione e la revisione delle strutture
di governo”. Circa la formazione: “Da diversi anni la maggior parte delle
vocazioni vengono dai Paesi arabi. Per cui nel nostro iter di formazione
dobbiamo tenere conto della possibilità, o forse necessità, di studiare almeno
in parte anche l’arabo. Lo studio delle lingue locali sarà parte integrante del
cammino formativo. I Luoghi Santi restano ovviamente il luogo e l'ambiente
necessario per tale formazione, ma non si esclude la possibilità di aprire
qualche casa di formazione anche in Siria o Libano”. Per quanto riguarda la
revisione delle strutture di governo, il Capitolo ha chiesto un maggior
decentramento. “La Custodia si estende su 12 Paesi diversi ed è quindi
necessario – ha concluso padre Pizzaballa - che le zone più lontane da
Gerusalemme, o quelle con le quali la comunicazione è più difficile, abbiano
una certa autonomia gestionale”. (A.G.)
CENTINAIA DI PROFUGHI NORDCOREANI SONO ARRIVATI, IN
QUESTI GIORNI, A SEUL.
IL MASSICCIO ESODO POTREBBE
INCIDERE NEGATIVAMENTE SUL NUOVO ROUND
NEGOZIALE TRA LE DUE COREE, IN PROGRAMMA LA PROSSIMA
SETTIMANA
SEUL. = Oltre 200 profughi nordcoreani sono arrivati
in questi giorni a Seul, capitale della Corea del Sud. Il gruppo, atterrato
all’aeroporto militare di Sungnam a bordo di un aeroplano sudcoreano, è il più
numeroso tra quelli composti da fuggitivi nordcoreani che periodicamente
trovano accoglienza in Corea del Sud. A loro, si aggiungeranno altri profughi
del Paese comunista, che dovrebbero far salire il numero totale a 460 persone.
I nordcoreani, che prima di arrivare a Seul sono passati attraverso un ‘Paese
terzo’ rimasto sconosciuto (forse il Vietnam), saranno ora sottoposti a
interrogatori da parte di funzionari di agenzie governative per la sicurezza,
soprattutto per verificare se tra loro vi siano eventuali spie. Successivamente
seguiranno speciali corsi per adattarsi al nuovo stile di vita in un Paese
diverso dal proprio. In media, la Corea del Sud accoglie un migliaio di nordcoreani
all’anno, che in genere arrivano in piccoli gruppi di tre o quattro per volta.
Di solito passano attraverso la Cina, che però li considera immigrati clandestini
e rifiuta loro lo status di rifugiati. Di recente gli arrivi sono aumentati: si
calcola che nei primi sei mesi del 2004 siano giunti a Seul 760 nordcoreani.
Finora il governo sudcoreano del presidente riformista e progressista Roh Moo
Hyun è stato molto prudente su questo terreno e attento a non pubblicizzare le
defezioni, in considerazione della sua politica di dialogo e cooperazione con
il Nord comunista. La prossima settimana è in programma a Seul un nuovo round
di negoziati intercoreani a livello ministeriale e il massiccio esodo di oggi potrebbe
creare tensioni tra le due Coree. (A.G.)
L’UNIVERSITA’ DELLO STATO AMAZZONICO DELL’ACRE
ASSEGNA
LA LAUREA HONORIS
CAUSA IN MEDICINA A PADRE PAOLINO BALDASSARRI.
IL MISSIONARIO SERVITA, DA 50 ANNI SI PRENDE CURA
DEGLI
INDIOS E DEI POVERI DEL BRASILE
BRASILIA.
= Padre Paolino Baldassarri, missionario dell’ordine dei Servi di Maria (Serviti),
ha ricevuto in questi giorni la laurea “honoris causa” in medicina
dall’università di Rio Branco, nello Stato amazzonico dell’Acre, in Brasile.
Già vincitore del premio “Cuore amico” nel 1996, il sacerdote ha ottenuto la
qualifica universitaria con questa motivazione: da oltre 50 anni è al fianco
degli indios dell’Amazzonia, dedicandosi anche alla medicina e sviluppando
conoscenze in campo sanitario utilizzate a favore dei più poveri. “L’amore e la
fede contano più del diploma in tasca”, ha detto il missionario ricevendo la
laurea. Nato a Quinzano (Loiano, provincia di Bologna) nel 1926 e ordinato
sacerdote nel 1953 a San Paolo del Brasile, padre Baldassarri ha trascorso
tutta la vita nel Paese latino-americano accanto ai più poveri e deboli. Ha
realizzato scuole e cooperative e ha affiancato gli indios nella battaglia
contro i latifondisti che distruggono la foresta. Nel 1996 il religioso ha
ottenuto dall’allora presidente brasiliano, Fernando Cardoso, l’emissione di un
decreto contro l’estrazione del mogano. (A.G.)
AL VIA A QUITO, IN ECUADOR, IL PRIMO FORUM SOCIALE
DELLE AMERICHE.
ALL’EVENTO,
PARTECIPANO MIGLIAIA DI ESPONENTI DI ORGANIZZAZIONI
NON
GOVERNATIVE DI 40 DIVERSI PAESI
QUITO. = “Uno spazio aperto di dibattito per
aumentare le capacità di resistenza sociale non violenta al processo di
‘disumanizzazione’ che sta vivendo il pianeta”: questo, nelle intenzioni degli
organizzatori, dovrebbe essere il Primo Forum sociale delle Americhe, aperto a
Quito alla presenza di migliaia di esponenti di organismi della società civile
provenienti da 40 Paesi. ‘Figlio’ del Forum sociale mondiale tenuto nel 2001 a
Porto Alegre, in Brasile, il Forum delle Americhe trasformerà per cinque giorni
la capitale ecuadoriana in un’immensa piazza che ospiterà 350 eventi, tra
seminari, conferenze e dibattiti dedicati a temi considerati cruciali per il
futuro del continente, come la povertà, l’immigrazione, il debito estero, la
tutela dell’ambiente, la corruzione. Si parlerà anche di Area di libero
commercio delle Americhe (Alca), l’imponente progetto voluto
dall’ammini-strazione Bush per creare entro il 2005 un mercato unico dall'Alaska
alla Terra del Fuoco. Un progetto che si sovrappone ai trattati di libero
scambio che la Casa Bianca sta discutendo singolarmente con Ecuador, Colombia e
Perù e, prossimamente, anche con la Bolivia. Tra gli organizzatori del Forum, Azione
ecologica, Agenzia latinoamericana d’informazione (Alai), Confederazione
delle nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie) e Facoltà
latinoamericana di scienze sociali (Flacso). (A.G.)
MERCOLEDI’
PROSSIMO, A SANTIAGO DEL CILE,
I
FUNERALI DI PADRE FAUSTINO GAZZIERO, UCCISO SABATO SCORSO
DA UNO
SQUILIBRATO, AL TERMINE DELLA MESSA
NELLA
CATTEDRALE DELLA CAPITALE CILENA
SANTIAGO DEL CILE. = Si
svolgeranno mercoledì, alle 10.00, i funerali di padre Faustino Gazziero de
Stefani, ucciso sabato sera da un giovane probabilmente legato a sette sataniche,
mentre stava officiando la Messa nella Cattedrale metropolitana di Santiago del
Cile. La salma di padre Gazziero de Stefani, 69 anni, appartenente all'Ordine
dei Servi di Maria, è vegliata nella Cattedrale dove sono accorsi per dare
l’estremo saluto. L’agenzia Misna riferisce che il vescovo ausiliare di
Santiago, mons. Cristián Contreras, non ha escluso che l’arcivescovado della capitale
cilena decida di agire legalmente contro l’omicida, identificato come Rodrigo
Enrique Orias Gallardo, 25 anni, ricoverato presso l’ospedale “Posta Central”
dove versa in permanente stato di agitazione ed è mantenuto sotto sedativi.
“Stiamo valutando questa possibilità, ma decidere spetta anche all’Ordine dei
Servi di Maria. L’arcivescovado sarà molto rispettoso nei confronti di quello
che riterrà opportuno l’Ordine”, ha detto il presule a Radio Cooperativa. Mons.
Contreras ha avuto parole di elogio per l’attività che i missionari svolgono in
Cile,ricordando i “sacerdoti che giungono da molti Paesi per lavorare tre,
cinque anni e che poi finiscono per rimanere tutta la vita”. Nato il 29 aprile
del 1935 a Lozzo Atestino (provincia di Padova), padre Faustino Gazziero de
Stefani si era trasferito in Cile nel 1960 a soli 25 anni, subito dopo la sua
ordinazione a sacerdote. Nel Paese latinoamericano aveva proseguito i suoi
studi e aveva ricoperto numerosi incarichi. Da anni era totalmente dedito
all’educazione. Ricopriva il ruolo di presidente della Fondazione Santa Teresa,
incaricata di gestire numerose scuole nel Paese. Nella sola Santiago, padre
Faustino coordinava 4 collegi dei Servi di Maria. Era rientrato in Italia per
l'ultima volta quattro anni fa. (A.G.)
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27
luglio 2004
- A cura di Dorotea Gambardella -
Non si
arresta la spirale di sangue in Iraq. Tra ieri e oggi, in diversi attacchi hanno
perso la vita tre persone e ne sono rimaste ferite sedici. I particolari nel
servizio di Dorotea Gambardella:
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Nello
scontro a fuoco di stamani, vicino all’ambasciata iraniana, nel pieno centro di
Baghdad, oltre al ferimento di quattordici militari statunitensi, è stato
ucciso anche un operaio iracheno mentre un altro civile è rimasto ferito. Nei
pressi di Kerbala, un iracheno è morto ed un altro ferito nella deflagrazione
di una bomba lungo una strada. Secondo la polizia locale, il bersaglio era una
pattuglia polacca, ma l’ordigno è esploso in ritardo. Nella tarda serata di
ieri il vicedirettore di un ospedale a Mahmudiya, a sud di Baghdad, è stato
assassinato in un agguato armato contro l’auto con la quale stava rincasando.
In merito alla vicenda dei due ostaggi pakistani, catturati venerdì scorso da
un gruppo estremista islamico, un appello per la loro liberazione è stato
lanciato da Islamabad. In un video trasmesso dalla televisione araba al
Jazeera, i due rapiti, entrambi impiegati in una società del Kuwait, sono stati
accusati di collaborazionismo dai loro sequestratori e minacciati di morte se
il Pakistan invia truppe in Iraq. Dura la posizione del presidente iracheno,
Ghazi al-Yawar, che ha escluso con forza ogni concessione delle autorità ai
rapitori, definiti “nemici del popolo”. Sul piano diplomatico, l’esecutivo
conservatore australiano, fedele alleato militare di Washington, che durante la
guerra in Iraq ha inviato duemila soldati e ne mantiene nell’area circa 850,
rasenta la crisi diplomatica con la Spagna e le Filippine. I due governi hanno,
infatti, respinto le dichiarazioni del ministro degli Esteri di Canberra,
Alexander Downer, secondo cui il ritiro dal Paese mediorientale dei contingenti
militari incoraggia il fenomeno dei sequestri di persona e rende più ardua la
guerra al terrorismo. Intanto, soddisfazione per il lavoro del battaglione di
trasporto ungherese in Iraq è stata espressa dal segretario di Stato americano,
Colin Powell, in visita lampo in Ungheria.
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Medio Oriente. Il premier palestinese, Abu Ala, ha
annunciato di aver ritirato le sue dimissioni al termine di un incontro,
svoltosi nella città di Ramallah, con il presidente dell’Autorità nazionale
palestinese, Yasser Arafat. La crisi tra i due leaders era stata causata dal
rifiuto di Arafat di rinunciare ai poteri di comando sui servizi di sicurezza.
Sul terreno, due palestinesi sono morti e altri cinque sono stati feriti in uno
scontro a fuoco con le truppe israeliane, avvenuto in un quartiere ad est della
città di Gaza. Intanto, una cellula del movimento islamico Hamas, formata in
parte da studenti dell’università di Nablus, che progettava una serie di
attentati suicida in Israele, è stata scoperta dai servizi di sicurezza dello
Stato ebraico.
“E’ necessario cambiare le leggi antiterrorismo”. Ne è
convinto il ministro dell’Interno italiano, Giuseppe Pisanu, che in
un’intervista al “Giornale” invoca un adeguamento degli ordinamenti alla
minaccia terroristica a cominciare dal prelevamento di impronte digitali e foto
per chi entra in Italia. Le parole di Pisanu giungono a pochi giorni
dall’ultima minaccia di Al Qaeda. Il commento di Maurizio Calvi presidente del
Ceas, Centro alti studi per la lotta al terrorismo nell’intervista di Paolo
Ondarza:
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R. - Se il ministro ritiene che ci debba essere
un’ulteriore legislazione io credo che questo sia, diciamo, eccessivo. Già gli
strumenti che abbiamo a disposizione garantiscono un livello di sicurezza alto.
D. – Dal suo punto di vista, il ricorso alle foto ed alle
impronte digitali quindi non potrebbero essere un ulteriore aiuto?
R. – Va benissimo, su questo non c’è dubbio, ma ci
dobbiamo fermare solo là, perché il Paese è già attrezzato da un punto di vista
legislativo.
D. – Solo sabato scorso nuove minacce sono state rivolte
all’Italia dal sedicente braccio armato di Al Qaeda in Europa...
R. – E’ da tempo che questa minaccia è presente nel nostro
Paese. Soprattutto la minaccia, a mio avviso, è su Roma, sulla città eterna.
D. – Probabilmente questa supposizione allarmerà i romani.
In che modo possono vivere al meglio possibile questa minaccia?
R. – I cittadini dovranno soprattutto collaborare con le
forze di polizia. Qualsiasi elemento, diciamo sospetto, e qualsiasi piccolo
particolare deve essere segnalato.
D. – In Italia ci sono cellule di Al Qaeda, questo ormai è
appurato, quanto sono diffuse?
R. – Per costruire un evento catastrofico nel nostro
Paese, dal punto di vista della minaccia terroristica, non vi è dubbio che c’è
bisogno di una lunga incubazione. C’è bisogno poi di un’organizzazione
capillare dal punto di vista internazionale, c’è bisogno di forti flussi
finanziari, credo che tutti e tre gli elementi siano presenti e sia quindi
fortemente presente la minaccia nel nostro Paese.
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“Di fronte ad una situazione in cui la
sicurezza dei nostri cittadini richiede
che si agisca al di fuori dei confini, occorre riesaminare le nostre
istituzioni”. Lo ha affermato l’alto rappresentante dell’Unione europea per la
politica estera e di sicurezza, Javier Solana, intervenendo alla quinta
conferenza degli ambasciatori, al via da oggi per tre giorni alla Farnesina, a
Roma. Solana ha sottolineato, dunque, l’importanza di rafforzare il settore
europeo della sicurezza, ma anche di una risposta multilaterale alle sfide del
terrorismo e lo sviluppo di una società internazionale, in cui le Nazioni Unite
siano “il cuore del sistema”.
Continua
in India e in Bangladesh il rinvenimento dei corpi delle vittime causate dalle
violente inondazioni di questi giorni. Sarebbero oltre 1100 le vittime in tutto
il Sud dell’Asia. Diversi milioni i senzatetto.
Al via
oggi a Ginevra la riunione del Consiglio generale dell’Organizzazione mondiale
del commercio (Wto), i cui lavori si protrarranno fino a venerdì. Il vertice punta
al rilancio dei negoziati per la liberalizzazione degli scambi, un tema che ha
già provocato profonde lacerazioni tra Paesi del Nord e del Sud del mondo a
proposito dell’agricoltura. Al riguardo, il presidente del Consiglio generale
del Wto, il giapponese Oshima, ha elaborato una bozza di documento che elimina
le sovvenzioni per le esportazioni agricole. Stamani, inoltre, i 147 Paesi
membri del Wto si sono detti d’accordo ad aprire negoziati per un eventuale
ingresso della Libia nell’Organizzazione. Ma che significato ha tale decisione?
Giada Aquilino lo ha chiesto all’economista Riccardo Moro, direttore della
Fondazione Giustizia e Solidarietà, promossa dalla Conferenza episcopale italiana:
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R. - È un ulteriore passo nel percorso di avvicinamento
della Libia alla comunità internazionale e, soprattutto, un’etichetta di
affidabilità che tutti hanno interesse a dare a Tripoli, soprattutto il Nord
del mondo, nel momento in cui c’è una situazione di tensione come l’attuale.
C’è da dire poi che la Libia è sempre stata un elemento di pericolosità
nell’area mediorientale in passato: oggi tale posizione è mutata e la Libia è
diventata una testa di ponte interessante.
D. - Alla riunione di Ginevra si tenta di rilanciare i
negoziati per la liberalizzazione del commercio mondiale tra Nord e Sud del
mondo. Perché?
R. – Oggi abbiamo mercati del Sud che sono fortemente
liberalizzati e mercati del Nord che, in materia di agricoltura, sono
fortemente protetti. Per molti anni il Nord del mondo, usando la Banca mondiale
ed il Fondo monetario internazionale, ha proposto - o qualcuno dice imposto -
ai governi del Sud le cosiddette politiche di liberalizzazione radicale dei
mercati, invitandoli ad eliminare i dazi e ogni tipo di intervento dello Stato
nel mercato e, semmai, ad aumentare le loro esportazioni. I Paesi del Nord,
però, hanno continuato ad avere agricolture molto protette. Ora avviene che i
Paesi del Sud esportano prevalentemente materie prime, in maggioranza prodotti
agricoli, che arrivano a prezzi bassi sui mercati del Nord, ma qui sono
ostacolati da dazi e da aiuti che proteggono i prodotti locali. All’interno del
Wto, quindi, si è presa coscienza che è necessario sanare tale situazione.
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Torniamo
in Italia. L’ambasciatore libico a Roma, Adulati Ibrahim Alobidi, ha avvertito
che se da parte del governo italiano ci saranno ritardi nel fornire i mezzi per
rimpatriare gli immigrati “il loro numero potrà essere tale da diventare incontrollabile”.
Intanto, sono terminate la scorsa notte le operazioni di salvataggio dei 236
clandestini, tra cui 54 donne e 13 minori, soccorsi al largo di Linosa, in Sicilia.
Gli extracomunitari erano a bordo di un natante affondato per una falla subito
dopo che tutti sono stati trasbordati sulle motovedette della Guardia Costiera
e su una nave militare.
“Si avverte in Italia l’esistenza di una
nervatura che supera le polemiche politiche e tiene collegate le varie
componenti del sistema sociale, amministrativo ed economico”. Lo ha detto il
presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nel suo discorso al
Quirinale, durante lo scambio di auguri con l’Associazione stampa parlamentare.
Ciampi ha indicato l’Italia delle cento province e degli ottomila comuni come
esempio delle virtù nazionali: nella serietà del lavoro, nella capacità di
dialogo e del rapporto tra le forze politiche e sociali.
Oltre
duecento rifugiati nordcoreani in cerca di asilo politico in Corea del Sud sono
giunti a Seul a bordo di un aereo proveniente da un Paese del Sud-est asiatico.
Si tratta del più massiccio esodo in un solo giorno dal regime dittatoriale di
Kim Jong Il. Lo hanno reso noto fonti dell’organizzazione missionaria protestante
sudcoreana “Durihana”. Intanto, il ministro della Difesa di Seul, Cho
Young-Kil, ha presentato le proprie dimissioni in seguito ad un’ingente fuga di
notizie circa un incidente navale in Corea del Nord.
Il
ministero degli Esteri di Parigi ha confermato il rilascio da parte degli Stati
Uniti di quattro francesi e non sette come era stato detto inizialmente, finora
detenuti nel carcere speciale per sospetti terroristi islamici nella base
militare di Guantanamo, a Cuba. I quattro uomini vi erano rinchiusi da oltre
due anni. Nella nota ministeriale si precisa che presto sarà possibile la
liberazione di altri francesi detenuti nel penitenziario cubano.
Due
miliziani ceceni filo-russi sono stati uccisi a Grozny in un attentato dei
ribelli indipendentisti. Lo hanno riferito fonti del Ministero degli Interni
ceceno, citate dall’agenzia di stampa russa Interfax. Intanto, il leader
militare della guerriglia cecena, Samil Basayiev, ha affermato in un video di
aver guidato personalmente il sanguinoso raid del 21 e 22 giugno scorsi contro
il Ministero degli Interni a Nazran, capitale della piccola repubblica autonoma
del Caucaso.
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