RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 207 - Testo della
Trasmissione di domenica 25
luglio 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il dramma dei profughi del
Darfur, testimoniato ai nostri microfoni dal sottosegretario di Cor Unum,
mons. Dal Toso, che ieri assieme all’inviato speciale del Papa, l’arcivescovo
Cordes, ha visitato la martoriata regione sudanese. Al via
la missione per il Darfur della Caritas italiana: ce ne parla il direttore
dell’organismo della Cei, mons. Nozza
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
I vescovi del Kenya lanciano la
proposta di una nuova evangelizzazione
Cap Anamur: tutti a casa i 25
africani espulsi dall’Italia
Il governo della Mauritania
intensifica la lotta alle locuste
Il festival Africano dei media ha
premiato l’agenzia di stampa cattolica DIA
Sempre più acuta la crisi degli ostaggi in Iraq. A
Baquba, uccisi tredici guerriglieri durante violenti scontri – A Gaza, raid
israeliano contro la casa di un dirigente di Hamas: almeno 4 i feriti.
25
luglio 2004
LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE NON DIMENTICHI LE POPOLAZIONI
DEL DARFUR E DEL NORD UGANDA: E’ IL VIBRANTE APPELLO
DEL PAPA ALL’ANGELUS.
IL SANTO PADRE HA ESORTATO TUTTI I FEDELI A PREGARE
PER I FRATELLI
CHE SOFFRONO NEL CONTINENTE AFRICANO
- Servizio di Alessandro Gisotti -
La
comunità internazionale non resti insensibile al dramma che affligge tanti
Paesi africani e in particolare il nord dell’Uganda e la regione sudanese del
Darfur. E’ la vibrante esortazione di Giovanni Paolo II, che all’Angelus da
Castel Gandolfo, si è soffermato sui mali dell’Africa. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
*****
I cristiani preghino per
l’Africa, sconvolta dalle guerre e dalla povertà. All’Angelus, Giovanni Paolo
II ha esortato i fedeli a non dimenticare i fratelli che soffrono nel
continente africano. Nella regione sudanese del Darfur, ha detto, “la guerra,
intensificatasi nel corso di questi mesi, porta con sé sempre più povertà,
disperazione e morte”. Un ventennio di duri scontri, ha proseguito, “ha
prodotto in Sudan un numero ingente di morti, di sfollati e di rifugiati”.
Parole corredate da un forte appello:
“Come restare indifferenti? Rivolgo
un accorato appello ai responsabili politici e alle organizzazioni
internazionali, perché non dimentichino questi altri nostri fratelli duramente
provati”
Il Pontefice ha così ricordato che proprio nel
Darfur ha voluto inviare in questi giorni il presidente del Pontificio
Consiglio Cor Unum, mons. Cordes, per recare “a quelle tribolate
popolazioni la solidarietà spirituale e materiale della Santa Sede e della
Chiesa universale”.
Il pensiero del Papa si è rivolto anche al Nord
dell’Uganda, terra – ha affermato – sconvolta da “un disumano conflitto”, lungo
oltre 18 anni, che coinvolge milioni di persone e non risparmia i bambini.
Molti di essi, ha rilevato, sono “presi nella morsa della paura e privati di
ogni futuro, si sentono costretti a fare i soldati”. Un orrore che non può
durare oltre:
“Mi
rivolgo alla Comunità internazionale e ai responsabili politici nazionali
perché si ponga fine a questo ormai tragico conflitto e si offra una reale
prospettiva di pace all’intera nazione ugandese”.
La comunità
cristiana, ha poi evidenziato, “si sta impegnando per far fronte a queste emergenze”.
In Uganda, i vescovi aiutati da altre diocesi del mondo e da organizzazioni di
volontariato, “operano con generosità per la riconciliazione nazionale e per i
soccorsi alle persone in difficoltà”.
Dopo l’Angelus, il Papa
ha salutato i fedeli castellani accorsi numerosi, nonostante il maltempo. In
occasione della tradizionale Sagra delle Pesche, il Santo Padre è stato
omaggiato dei frutti tipici dei Castelli Romani. Infine, non ha mancato di rivolgere
un saluto speciale ai fedeli spagnoli, nel giorno della festa del santo patrono
di Spagna, l’Apostolo Giacomo il Maggiore.
******
IL DRAMMA DEI PROFUGHI DEL DARFUR, TESTIMONIATO AI
NOSTRI
MICROFONI
DAL SOTTOSEGRETARIO DI COR UNUM, MONS. DAL TOSO,
CHE IERI ASSIEME ALL’INVIATO SPECIALE DEL PAPA,
L’ARCIVESCOVO CORDES,
HA VISITATO LA MARTORIATA REGIONE SUDANESE.
AL VIA LA MISSIONE PER IL DARFUR DELLA CARITAS
ITALIANA,
CE NE PARLA IL DIRETTORE DELL’ORGANISMO DELLA CEI,
MONS. NOZZA
- A cura di Alessandro Gisotti -
La popolazione del Darfur con il suo dramma è,
dunque, nel cuore di Giovanni Paolo II, che oggi all’Angelus ha messo l’accento
sulla missione del suo inviato, l’arcivescovo Cordes, presidente di Cor Unum.
Ieri, il momento più toccante della missione con la visita ai campi profughi di
Nyala nella martoriata regione sudanese. Ad accompagnare l’arcivescovo Cordes,
c’era il sottosegretario di Cor Unum, mons. Giovanni Pietro Dal Toso,
che, raggiunto telefonicamente a Khartoum, da Alessandro Gisotti, testimonia il
dramma dei profughi del Darfur:
***********
R. – E’ sempre impressionante
vedere migliaia di persone sotto un sole cocente, prive di tutto, fuggire di
fronte alla violenza. Noi speriamo che si possa presto fare il possibile per
soccorrerle, portare acqua, cibo. Ci sono diverse organizzazioni umanitarie
cattoliche e non che stanno prestando la loro opera.
D. – In tale situazione di
assoluta emergenza, quali sono le necessità più urgenti per questi sfollati?
R. – La copertura delle
necessità primarie, cioè mangiare, bere e dare un tetto e una coperta a queste
persone. Speriamo che presto si possa iniziare un’operazione di rimpatrio,
operazione che, però, sarà possibile quando verrà garantita la loro sicurezza.
D.- Come siete stati accolti, come è stata accolta questa missione e il
messaggio del Papa?
R. – C’è un grande interesse per la voce del Santo Padre e, quindi, anche
per questo gesto del Santo Padre che ha voluto mandare concretamente il presidente
di Cor Unum, mons. Cordes, come suo inviato nel Darfur. E’ stato accolto
con particolare entusiasmo dalla Chiesa locale e anche da parte delle autorità
c’è stata attenzione per questo gesto del Papa.
D. – Come proseguirà ora la
missione di pace in Sudan?
R. – Noi speriamo che l’attenzione internazionale, l’attenzione da parte
delle diverse organizzazioni internazionali possa far realizzare presto lo
scopo per cui anche il Santo Padre si è preoccupato.
***********
Se dunque prosegue la missione papale in Darfur,
proprio nelle ultime ore ha preso il via la missione della Caritas italiana per
la regione sudanese. Prima di partire per il Sudan, il direttore dell’organismo
pastorale della Cei, mons. Vittorio Nozza, ha spiegato ad Alessandro Gisotti le
finalità di questa iniziativa:
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R. - Far emergere quelli che sono i bisogni principali e immediati;
quello di considerare in modo particolare quali sono i diritti negati, in modo
tale che, su tutto questo, venga posta la più ampia attenzione. Cerchiamo il più
ampio coinvolgimento, cosa questa che dà continuità ad una presenza, ad un modo
di interventi che già da anni si realizza in quella regione, soprattutto
attraverso l’assistenza igienico-sanitaria nei campi, l’accesso all’acqua
potabile, l’assistenza alimentare, soprattutto per i bambini malnutriti, e poi
anche l’organizzazione di momenti scolastici per queste comunità che, solitamente,
vengono penalizzate anche da un punto di vista educativo e scolastico.
D. - Quali sono le notizie che
avete dal terreno dalla regione del Darfur?
R. - Quello che ci giunge, soprattutto attraverso la rete di Caritas
Internationalis, è il numero di persone coinvolte in questa pesante situazione:
più di un milione di sfollati di cui circa 200 mila rifugiatisi poi nel vicino Ciad.
Si parla addirittura dai 10 ai 30 mila morti, e quello che preoccupa è la
difficoltà di dar mano ad una soluzione nei confronti di questa grossa
emergenza.
D. - Dunque, che cosa possono fare i fedeli fattivamente per aiutare
Caritas in quest’opera di aiuto alla
popolazione del Darfur?
R. – Innanzitutto, mantenendosi costantemente informati, cosa che noi
cercheremo di fare in una maniera più ampia; in secondo luogo, attivarsi anche
attraverso una solidarietà fattiva che consiste nel mettere a disposizione il denaro
sufficiente per poter, anche solo per quanto riguarda il nostro programma, far
fronte all’aiuto di 500 mila persone.
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25
luglio 2004
SPAGNA IN FESTA PER LA SOLENNITA’ DEL SUO SANTO
PATRONO,
L’APOSTOLO GIACOMO IL MAGGIORE.
LA SOLENNE CELEBRAZIONE A SANTIAGO DE COMPOSTELA,
MOMENTO CULMINANTE DEL 118.MO ANNO SANTO GIACOBEO
- Ai nostri microfoni, mons. Barrio e mons. Novalín -
Come ricordato dal Papa all’Angelus, oggi ricorre la
solennità dell’Apostolo Giacomo il Maggiore. I fedeli della Spagna sono in
festa per il proprio santo patrono. Evento ricco di significato, essendo questo
2004 il 118.mo anno santo giacobeo. Cuore della festività odierna è la
cattedrale di Santiago de Compostela, in Galizia, dove si trovano le spoglie
dell’evangelizzatore della penisola iberica. Qui, stamani, si è svolta la messa
solenne, concelebrata dai cardinali di Madrid e Siviglia e da tutti i vescovi galiziani.
A rivolgere al Santo la tradizionale invocazione - la “ofrenda” - è stato il Re
di Spagna Juan Carlos, che ha partecipato al rito assieme alla Regina Sofía. Il
Re ha ricordato le 191 vittime degli attentati dello scorso 11 marzo a Madrid.
Quindi ha chiesto a San Giacomo di aiutare il popolo spagnolo a lavorare unito
contro il terrorismo.
Giovanni Paolo II si è recato in pellegrinaggio a
Santiago de Compostela due volte, durante il suo pontificato. La prima nel
1982: in quell’occasione, pronunciò uno storico discorso in cui esortò l’Europa
ad “essere se stessa” non dimenticando le proprie radici cristiane. Il
Pontefice è poi tornato a Santiago, sette anni dopo, per la Giornata mondiale
della Gioventù. Sull’odierna solennità di San Giacomo, ecco la riflessione
dell’arcivescovo di Santiago de Compostela, mons. Julián Barrio Barrio, al
microfono di Rafael Taberner Alvarez:
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“Questa
solennità ci induce un po’ a fare memoria della fede cristiana e cattolica, che
costituisce la nostra identità. Approfondire la conoscenza di questa realtà
credo significhi arricchire la nostra identità, per non distruggere le nostre
radici cristiane. Il messaggio dell’Apostolo diventa, soprattutto in questo
giorno, un messaggio di speranza e di fortezza nella fede. L’Apostolo
incoraggia quanti sono in pellegrinaggio ad arrivare a Dio, alla Casa del
Padre. Il suo è veramente un messaggio di speranza. Ecco, questo è il messaggio
che anche noi tutti dovremmo cercare di vivere, soprattutto in questi momenti
non facili”.
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La
figura di San Giacomo Apostolo, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni
evangelista, è legata alla secolare tradizione dei pellegrinaggi verso il
Santuario di Compostela. Tra storia e leggenda, le circostanze in cui le
spoglie dell’Apostolo giunsero dalla Terra Santa in Galizia. La tradizione
narra di un eremita che per alcune notti assistette ad una pioggia di stelle su
un punto del bosco nel quale viveva. Proprio in quel terreno - chiamato
successivamente “Campo delle stelle”, da cui il nome di Compostela - vennero
ritrovate, intorno all’820, le spoglie di San Giacomo. Ben presto fiorisce
l’usanza dei pellegrinaggi, che, nei secoli XI e XII, acquistano una dimensione
europea. Oggi esistono 5 itinerari, quello francese è il più frequentato, che
portano a Santiago dopo 800 chilometri di Camino. Proprio questo
pellegrinaggio – ha sottolineato il Papa nel messaggio per il 118.mo anno
compostelano – insegna che “Chiesa ed Europa sono due realtà intimamente
correlate nella loro essenza e nel loro
destino”
Sull’importanza
del Camino di Santiago per la storia della Chiesa e dell’Europa,
Alessandro Gisotti ha raccolto una riflessione di mons. José Luis Gonzàlez
Novalín, rettore del convitto ecclesiastico S. Maria in Monserratto:
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R. – Penso che l’importanza risieda proprio nell’epoca in cui nasce il
pellegrinaggio. C’è la grande tradizione del sepolcro a Santiago de Compostela
e con questa tradizione è incominciato in Europa il fenomeno del
pellegrinaggio. Lo si deve situare in pieno Medioevo, proprio quando l’Europa è
una fioritura di Nazioni che, in un certo senso, confluiscono devozionalmente
verso Roma, Gerusalemme e Santiago de Compostela.
D. – Ecco, la festa di San Giacomo ha, nel 2004, un significato
particolare: è infatti il momento culminante di quest’Anno Santo compostelano
...
R. – Quando la festa di San Giacomo cade di domenica, dà un colore
speciale a tutto l’anno, e quell’anno si chiama ‘giacobeo’: tutto un anno di
penitenza, un anno di perdono. Più o meno come l’Anno Santo Romano.
D. – “Il pellegrinaggio giacobeo rimanda alle origini spirituali e
culturali del Vecchio Continente”, ha scritto il Papa nel messaggio per
quest’anno compostelano. Come può contribuire il ‘Cammino di Santiago’ a non
dimenticare le radici cristiane del Vecchio Continente?
R. – Fin dall’inizio, abbiamo molti resoconti di pellegrini che sono
andati a Santiago de Compostela, e in questi rapporti c’è sempre questo scambio
di culture, di religiosità che i pellegrini trovano percorrendo la strada dalla
Germania, dalla Francia, dall’Italia a Santiago de Compostela. Questo fenomeno
permane tuttora.
D. – Secondo lei, cosa spinge oggi migliaia di fedeli a mettersi in
cammino verso Santiago rinnovando una tradizione secolare?
R. – L’esperienza degli uni richiama l’esperienza degli altri. Sono
moltissimi quelli che, nel ‘Cammino di San Giacomo de Campostela’ hanno trovato
non solo la conversione, ma persino la vocazione e soprattutto la pace. Per me,
questa è una delle ragioni principali: è un cammino di pace! Farei un paragone,
per esempio, con Assisi. Quando andiamo ad Assisi, ci accorgiamo che lì si
respira un’atmosfera speciale; la stessa cosa accade con il Camino di Santiago.
**********
In Italia, la solennità di San
Giacomo è stata celebrata con particolare partecipazione nella Chiesa nazionale
spagnola di Santiago e Montserrat. La Celebrazione Eucaristica è stata
presieduta dal vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia
Accademia delle Scienze.
AL VIA OGGI A LORETO IL MEETING INTERNAZIONALE SULLE
MIGRAZIONI,
PROMOSSO DAI MISSIONARI SCALABRINIANI CHE CHIEDONO
ALL’EUROPA
DI
RICONOSCERE I DIRITTI DEGLI IMMIGRATI
- Intervista con padre Gianni Borin -
Al via
stamani a Loreto il settimo Meeting internazionale sulle migrazioni, che ha
questa volta per tema “Migranti, cittadini della nuova Europa: mobilità e
diritti”. Ne sono promotori i Missionari Scalabriniani. Numerosi i
partecipanti: politici, sindacalisti, rappresentanti dell’ONU, di
Organizzazioni non governative ed esponenti della Chiesa cattolica. Ogni sera
ci sarà spazio per concerti e spettacoli etnici. Dunque l’Europa è al centro
del meeting: ma cosa cambia per i migranti nella nuova Unione ‘a 25’? Giovanni Peduto lo ha chiesto a padre Gianni
Borin, responsabile della manifestazione:
**********
R. –
Siamo ad un passaggio epocale. Ci stiamo avvicinando al sogno manifestato dal
Santo Padre all’inizio del suo Pontificato: quello di un’Europa unita
dall’Atlantico agli Urali! Quest’anno, i cittadini dell’Unione Europea sono passati
da 376 milioni a più di 450 milioni, e le lingue ufficiali da 11 a 20. Una vera
Pentecoste! Tutto questo, però, non manca di essere ancora un sogno, perché per
prevenire difficoltà varie, 13 su 15 dei vecchi Paesi si sono avvalsi della
facoltà di rinviare il “libero movimento delle persone” (e non quello delle merci
o delle imprese, guarda caso) di due anni, e poi di altri tre, cui se ne
possono aggiungere altri due. In poche parole, fino al 2011 la situazione
potrebbe rimanere sostanzialmente invariata.
D. – E’ rispettata in Europa la Carta ONU sui
diritti dei migranti?
R. – E’ un dato preoccupante che nessuno dei Paesi
membri, né tanto meno l’Unione Europea stessa, abbia ancora ratificato la
“Convenzione dell’ONU per la tutela dei diritti dei migranti e delle loro
famiglie” del 18 dicembre 1990. Il privare alcune persone residenti sul
territorio di una serie di diritti, oltre ad accentuare le divisioni e le
discriminazioni, rischia di ostacolare la formazione di società locali,
nazionali e sopranazionali “integrate”. Non è raro verificare nei Paesi dell’UE
misure prevalentemente restrittive e repressive, quali il rigido sbarramento
delle frontiere esterne ; il declamato contrasto all’immigrazione clandestina
con i conseguenti provvedimenti di espulsione di massa, concordati anche fra
più Paesi dell’Unione; la sproporzionata limitazione dei ricongiungimenti
familiari.
D. – E
riguardo ai richiedenti asilo?
R. – La realtà dei profughi tocca una parte dei
migranti che drammaticamente hanno a che fare con il pericolo di vita e la
libertà di pensiero o di religione. Siamo in un ambito delicato e profondo.
L’Italia è stata richiamata spesso dagli organismi internazionali al rispetto
della Convenzione di Ginevra del 1951 sui richiedenti asilo. Siamo il fanalino
di coda in materia di accoglienza dei rifugiati. Purtroppo, anche in Germania,
tradizionalmente al primo posto in questa realtà si nota ultimamente un passo
indietro.
D. – Molti
migranti sono musulmani: come avviene l’incontro con la cultura europea?
R. – L’Europa ha una lunga storia di rapporti con l’Islam che non sono
segnati solo dallo scontro e dalle guerre, come pensa la maggior parte delle
persone oggi. Ci sono state, ci sono e ci saranno tante occasioni e possibilità
di dialogo, di convivenza tra le culture europee e i musulmani. Il dialogo (sia
pure con le tipiche difficoltà) non è impossibile, ma deve vedere i cristiani e
gli europei come i primi fautori. Grosso problema dell’Islam è e sarà il suo incontro-scontro
con la cultura consumistica. Dobbiamo aiutare questi fratelli credenti a
superare questa prova in un quadro di rispetto della libertà religiosa.
D. –
Cosa fa la Chiesa per gli immigrati?
R. – Tutti conoscono come la Chiesa sia in prima linea nell’ospitalità e
nella formazione all’accoglienza di ogni uomo e donna, fedele all’insegnamento
del suo Maestro, che ci giudicherà un giorno in base a ciò che avremo fatto al
più piccolo e all’ultimo. Proprio questi infiniti e spesso sconosciuti gesti di
fraternità vera rendono la Chiesa credibile nel suo sollecitare i governi a
concretizzare, ad esempio, interventi effettivi (e non solo proclamati), volti
allo sviluppo dei Paesi di maggior pressione migratoria, o anche solo
l’introduzione da parte di tutti i nostri Paesi di quote annuali d’ingresso regolare.
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UN VILLAGGIO DELLA SOLIDARIETA’ A ROMA PER UNA
SETTIMANA. NEL CUORE DELLA CITTA’ ETERNA, TANTI GIOVANI DEL MOVIMENTO
DEI FOCOLARI
STANNO CONDIVIDENDO, DA IERI E FINO AL 30 LUGLIO,
INSIEME A RAGAZZI EUROPEI
UN PROGETTO CULTURALE BASATO SULLA FRATERNITA’ E
SULL’INTEGRAZIONE
- Servizio di Rita Salerno -
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Sacco a pelo, abbigliamento
sportivo e tanta voglia di stare insieme per costruire un mondo più solidale e
basato sul rispetto reciproco. Sono gli ingredienti di Patchworld, la
manifestazione promossa dal Movimento Internazionale Giovani per un mondo unito
di Roma e dall’associazione Nuove Vie per un mondo unito. Un villaggio animato
da trecento ragazzi, dai 17 ai 30 anni, provenienti da diversi paesi europei allestito
presso la parrocchia di Sant’Andrea Avellino fino al 30 luglio. Un’esperienza
forte, da vivere in chiave di aiuto concreto agli ultimi della capitale e di
scambio culturale per sette giorni. Senza dimenticare la solidarietà
internazionale. Silvia Cataldi, 27 anni, che fa parte dei Giovani per un mondo
unito, ha già alle spalle diverse esperienze del genere:
R. –
Patchworld è una settimana che stiamo organizzando già molti mesi insieme ai
giovani per un Mondo Unito di Roma e del Lazio. Siamo arrivati qui già dal 24
luglio e siamo circa 300 provenienti oltre che dal Lazio anche da altre regioni
italiani. Ci sono poi anche rappresentanti provenienti dall’Europa. Siamo tutti
insieme perché vogliamo fare un vero e proprio laboratorio di fraternità in
questa settimana in cui collaboriamo insieme.
D. –Qual è il messaggio che volete lanciare con
questa settimana?
R. – Il
messaggio che vogliamo lanciare è semplicemente quello della fraternità, di essere
tutti fratelli, un po’ richiamandoci all’arte del patchwork, cioè un’arte che
assembla i vari materiali insieme per fare una stoffa bellissima, un disegno
nuovo, del tutto diverso. Così siamo noi, provenienti da varie culture, da vari
Paesi, da varie tradizioni che insieme vogliamo mettere a disposizioni i nostri
talenti, conoscerci meglio per fare qualcosa, per fare un dono alla nostra
città, al territorio che ci è intorno; ma vogliamo anche costruire una cultura
nuova perché questo sarà un progetto non soltanto di tipo fattivo, che si
esprimerà attraverso azioni concrete, ma anche un progetto di tipo culturale.
D. – Cosa accade in questi sette giorni?
R. – In
questi sette giorni ci stiamo dividendo nelle strutture sociali del territorio.
In collaborazione appunto con l’Assessorato alle politiche sociali abbiamo individuato
ospedali, case di riposo, case famiglia, mense per dividere la nostra gioia con
chi, soprattutto nel periodo estivo, è più solo. Avremo anche tante altre attività,
come workshop e così via. Poi verrà a celebrare con noi la messa mons. Apicella,
vescovo ausiliare di Roma.
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ALL’INSEGNA DEL BINOMIO SPORT E SOLIDARIETA’,
AL VIA OGGI IN SVEZIA IL CAMPIONATO MONDIALE
- Servizio di Francesca Fialdini -
Lo sport come strumento di riscatto sociale: è
questa la sfida del Mondiale di calcio delle persone senza fissa dimora, al via
oggi a Goteborg in Svezia. Vent’otto i Paesi in gara che si sfideranno fino al
4 agosto. L’evento, promosso dalla Rete internazionale dei giornali di strada è
patrocinato dall’Uefa e dalle Nazioni Unite. Il servizio di Francesca Fialdini:
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Usare
il potere collante del calcio contro esclusione ed emarginazione sociale.
Questo lo scopo dell’Homeless World Cup, il mondiale di calcio delle
persone senza dimora, promosso dalla rete internazionale dei giornali di
strada, UEFA e Segretariato allo Sport delle Nazioni Unite. Tra i 20 Paesi in
gara anche l’Italia. Ecco le aspettative dell’allenatore:
“Noi
andiamo a rappresentare tutti gli emigrati che ci sono in Italia. Quello che facciamo
noi lo facciamo anche per tutti quelli che sono rimasti qua, con i vari problemi
dal permesso di soggiorno alla casa”.
Una sfida difficile, ma non
impossibile dove la vittoria sul campo ha il sapore di una rivincita sulle
barriere che impediscono la piena integrazione ed un riconoscimento dei propri
diritti:
“Sicuramente
c’è un grosso lavoro da fare. Le persone si devono convincere che ognuno ha il
suo problema. C’è chi ha lasciato la propria famiglia, i propri figli, chi è
fuggito dalla guerra, chi è venuto a cercare un lavoro. Noi cerchiamo
attraverso sport di favorire l’integrazione nella società italiana con uno
spirito di pace”.
Accoglienza, tenacia e forza in
un grande ideale: il segreto dei giocatori che fino al 4 agosto si
contenderanno il titolo di campioni del mondo nella cittadina svedese di Goteborg:
“Non pretendiamo di vincere. Noi
andiamo lì per vincere, però non lo pretendiamo. L’importante è che i ragazzi
si divertano, stiano insieme, giochino con la maglia dell’Italia. Tutto questo
è già moltissimo per noi”.
Il consigliere speciale del
segretariato allo sport dell’ONU ha detto che l’Homeless World Cup è una
risorsa nuova per superare gli ostacoli politici, sociali e culturali. I numeri
parlano chiaro: oltre la metà dei 140 partecipanti alla scorsa edizione hanno
oggi una casa e un lavoro assicurato.
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25
luglio 2004
NELLA CATTEDRALE DI SANTIAGO DEL CILE, UN SACERDOTE
ITALIANO, PADRE FAUSTINO MARIA GAZZIERO, E’ STATO ASSALITO ED UCCISO DA UNO
SQUILIBRATO
SANTIAGO DEL CILE. = Un sacerdote italiano, Faustino
Maria Gazziero, di 69 anni, è stato ucciso a coltellate nella Cattedrale
Metropolitana di Santiago del Cile alla fine della messa. La notizia è stata
confermata dalla polizia, che ha precisato che il suo aggressore è stato arrestato,
identificato e incarcerato. Padre Faustino apparteneva all'ordine dei Padri Servi di Maria ed era solito
celebrare la messa pomeridiana nella principale chiesa della capitale cilena.
Secondo testimoni che hanno assistito all’aggressione, il sacerdote italiano
stava tornando in sacrestia verso le 18,30 quando è stato attaccato da un
giovane vestito di nero, Rodrigo Oria Gallardo, che ha improvvisamente
sfoderato un coltello con cui lo ha colpito alla gola. Alcuni fedeli sono
prontamente intervenuti per disarmare l'assalitore, che si è a sua volta inferto alcune ferite al corpo, accasciandosi
al suolo. Fonti giornalistiche hanno indicato che Oria Gallardo apparterrebbe
ad una setta satanica di Aysen, nella undicesima regione cilena. Il vescovo
ausiliare di Santiago, mons. Cristian Contreras Villaroel, ha chiesto ai fedeli
dell'arcidiocesi di unirsi in preghiera dopo la tragica morte del sacerdote.
“Siamo affranti e sbigottiti - ha concluso - nel veder morire un fratello
sacerdote con gli abiti liturgici”. (S.S.)
I VESCOVI DEL KENYA ATTRAVERSO UNA LETTERA PASTORALE
LANCIANO LA PROPOSTA DI UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE DEL PAESE. DI FRONTE AI MALI
ATTUALI CRESCONO LE ATTESE E LE SPERANZE DELLA POPOLAZIONE.
NAIROBI. = La proposta di una nuova evangelizzazione
a 10 anni dal Sinodo speciale per l’Africa è stata lanciata dai Vescovi del
Kenya. L’annuncio è contenuto nella Lettera Pastorale “Evangelizzazione in
Kenya”, che riprende le riflessioni dell’incontro della Conferenza episcopale
del Paese africano, tenutosi dal 20 al 23 aprile 2004 presso il Seminario S.
Tommaso d’Aquino di Nairobi. “Per la prima volta da decenni – si legge - la
popolazione del Kenya comincia a sentire che vi è la speranza”. “Azioni
sbagliate e criminali commesse in passato sono ora sotto esame delle autorità
giudiziarie; si tiene conto dell’operato di coloro che avevano derubato la
ricchezza del paese; i bambini più poveri hanno adesso la possibilità di andare
a scuola e la gente può di nuovo parlare liberamente senza timore di rappresaglie”.
Restano, tuttavia, diversi problemi da risolvere. Tra questi si ricorda
“l’insicurezza crescente, le aggressioni e la violenza diffusa” che fanno sì
che “la speranza della quale abbiamo fatto riferimento è minacciata, anche
dall’egoismo di coloro ai quali guardiamo come guida ed esempio”. I Vescovi si
dicono, inoltre, preoccupati “dalla crescente influenza del consumismo, alimentato
dai mass media, che sta conducendo ad una rottura dei codici morali e a trascurare
i valori etici”. “Per questi motivi”- affermano -“desideriamo richiamare
l’attenzione dei cattolici e delle persone di buona volontà per fermare queste
tendenze prima che sia troppo tardi. Quello di cui abbiamo bisogno oggi in
Kenya è una nuova evangelizzazione”. Ricordando che solo attraverso la persona
di Cristo l’uomo può incontrare Dio, i Vescovi affermano che “il primo radicale
passo da compiere è un mutamento del cuore, della mentalità e del
comportamento. Si riafferma, infine, il concetto di “Chiesa famiglia di Dio”.
In questo senso i cristiani sono chiamati all’impegno per il bene comune: “non
viviamo per il nostro interesse o quello di un gruppo ristretto. Lavoriamo,
viviamo e agiamo per il bene comune, il bene di tutte le creature di Dio”. Sul
piano sociale questo si traduce nel rispetto della dignità della persona umana,
nell’onestà e nella lotta alla corruzione, nel promuovere la solidarietà
nazionale. (S.S.)
CAP
ANAMUR: TUTTI A CASA I 25 AFRICANI ESPULSI DALL’ITALIA. LE AUTORITA’ GHANESI
NON PROCEDERANNO NEI CONFRONTI DEI PROPRI CONNAZIONALI PER AVER DANNEGGIATO
L’IMMAGINE DEL PAESE
ACCRA. = Sono tutti a
casa i 25 africani della Cap Anamur arrivati in Ghana dopo essere stati espulsi
dall'Italia. A riferirlo all’agenzia missionaria Misna è stata ieri una
fonte del governo di Accra, precisando che “il governo ha dato loro cibo, soldi
e un passaggio che li riportasse nei rispettivi villaggi di provenienza”.
Rassicurazioni sono poi giunte sulle possibili conseguenze penali nei confronti
dei 25; la stessa fonte ha infatti spiegato che le autorità ghanesi non
procederanno nei confronti dei propri connazionali per aver "danneggiato
l'immagine del Ghana". Definiti "impostori" negli articoli e
negli editoriali dedicati alla loro vicenda dai principali quotidiani ghanesi,
in un primo momento sembrava che i 25 sarebbero potuti finire davanti a un
tribunale in base all'articolo 185 del codice penale nazionale, che
sostanzialmente considera reato la falsa testimonianza che possa arrecare danno
all'immagine e alla reputazione del Ghana o del suo governo. Il ministro
dell'Interno, Hackman Owusu-Agyemang, aveva condannato il comportamento dei
propri connazionali per “aver sfruttato, o tentato di sfruttare, a proprio
vantaggio una situazione drammatica come quella del Darfur”. Prima di arrivare
in Europa, quasi tutti i ghanesi giunti sulle coste siciliane a bordo della Cap
Anamur avevano passato gli ultimi due anni della loro vita in Libia, lavorando
duramente per raccogliere i fondi necessari per pagare i mercanti di immigrati.
(S.S.)
IL
GOVERNO DELLA MAURITANIA INTENSIFICA LA LOTTA ALLE LOCUSTE CHE POTREBBERO
DISTRUGGERE I RACCOLTI DELL’INTERO PAESE. IL PIANO PREVEDE L’USO DI FITOSANITARI
CAPACI DI DISTRUGGERE GLI INSETTI
NOUAKCHOTT. = Sette
squadre speciali per fronteggiare la minaccia di una nuova massiccia invasione
di locuste del deserto. Il governo della Mauritania ha messo a punto un piano
straordinario per evitare che gli insetti mettano a repentaglio, come sempre in
questo periodo, l’agricoltura locale. I gruppi, coordinati dal Centro anti-locuste
di Nouakchott, opereranno in alcune delle aree più vaste e inaccessibili del
Paese - le regioni orientali di Adrar, Brakna, Gorgol e quelle occidentali di
Hodh e Guidimakha. Avranno il compito di spruzzare oltre 30mila litri di
fitosanitari messi a disposizione dal governo. Nei prossimi giorni altri 90mila
litri di prodotti analoghi dovrebbero arrivare nel Paese grazie al contributo
di alcuni donatori, tra cui la Norvegia, l’Italia e gli Stati Uniti. Tra
l’agosto del 2003 e i primi mesi di quest’anno la Mauritania è riuscita, grazie
a una serie di programmi speciali, a sradicare le locuste del deserto dal
proprio territorio, ma alcune zone del Paese si trovano sul percorso migratorio
dei voraci insetti provenienti da nord. Ai primi di luglio anche la Fao,
Organizzazione per l'alimentazione l'agricoltura delle Nazioni Unite, aveva
lanciato un nuovo allarme in Africa, sottolineando che le locuste avevano già
lasciato i luoghi di riproduzione in Africa nord occidentale pronte a sciamare
verso Mauritania, Senegal, Mali, Nigeria e Ciad. Le locuste del deserto sono
considerate animali solitari, ma in presenza di condizioni climatiche
favorevoli - ad esempio dopo abbondanti piogge - tendono a formare sciami
lunghi chilometri che possono contenere decine di milioni di esemplari. (S.S.)
KINSHASA. = L’Agenzia cattolica Dia ha
ricevuto il riconoscimento di migliore agenzia di stampa nella prima edizione del
Festival africano dei Media, in corso di svolgimento a Kinshasa. L’evento si
snoda quest’anno sul tema: “Appropriazione delle tecnologie d’informazione e di
comunicazione”. L’agenzia Dia è stata creata nel 1957 dai vescovi di Rwanda,
Burundi e Congo belga. Dopo la gestione da parte della congregazione dei Padri
di Scheut, i vescovi cattolici in Repubblica Democratica del Congo hanno
chiesto, a partire dagli anni ottanta, ai gesuiti di assumerne la direzione. Il
Festival africano dei Media è organizzato sotto l’Alto Patronato della
presidenza delle Repubblica Democratica del Congo. Il Festival ha aperto i
battenti il 22 luglio scorso, giornata nazionale della Stampa nel Paese africano.
Sono 13 i Paesi che prendono parte all’assise, la cui direzione è stata affidata
all’Istituto di scienze dell’Informazione e della Comunicazione. (S.S.)
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In Iraq, ore di angoscia per la sorte degli ostaggi
ancora in mano alla guerriglia. In base a quanto dichiarato
stamani dal segretario dell’ambasciata del Cairo a Baghdad, i sequestratori del
diplomatico egiziano, Mohammed Mamduh Kotb, non hanno avanzato nessuna
richiesta di riscatto. Anche nel caso del direttore di una impresa di
costruzioni statale, rapito ieri nei pressi di Baghdad, sembra che non sia
stato chiesto il pagamento di alcuna somma di denaro. Sulla drammatica vicenda
dei sequestri nel Paese arabo, ci riferisce Amedeo Lomonaco:
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La compagnia del Kuwait per la
quale lavoravano i sette camionisti presi in ostaggio da un gruppo di
miliziani, sta negoziando con i sequestratori per la loro liberazione. Lo ha
annunciato il presidente della società assicurando che “sarà adottata qualsiasi
misura pur di garantire il rilascio degli ostaggi”. Il ministero degli Esteri
di Islamabad teme, inoltre, che siano stati rapiti due pachistani, un ingegnere
e un autista. Sul terreno, almeno tredici guerriglieri sono stati uccisi in
violenti scontri nella cittadina di Baquba, a nord est di Baghdad. Un soldato
americano è morto, inoltre, in seguito ad un attentato dinamitardo contro il
suo convoglio. L’agguato, secondo quanto reso noto oggi dal comando militare
americano, è avvenuto ieri nei pressi di Beiji, città sede di raffinerie
petrolifere situata a circa 200 chilometri a nord di Baghdad. Dopo le recenti
minacce contro i governi di Polonia e Bulgaria, presunti terroristi di Al Qaeda
tornano, intanto, a diffondere il seme dell’odio su Internet. Un sedicente
gruppo islamico, che afferma di essere il “braccio operativo” della rete di Bin
Laden in Europa, ha dichiarato di voler attaccare con “colonne di autobombe”
l’Italia e l’Australia se i due Paesi non ritireranno le loro truppe dall’Iraq.
Sul fronte politico, il primo ministro iracheno, Allawi, è giunto stamani a
Beirut per una visita ufficiale di tre giorni che sarà incentrata sul problema
della sicurezza e del debito estero
dell’Iraq.
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Restiamo in Iraq dove truppe
statunitensi hanno arrestato una quindicina di sospetti ribelli durante
un’incursione a Mandalay, località a ridosso della frontiera con l’Iran. Ed in
Pakistan le forze di Islamabad hanno fermato otto presunti terroristi, tra i
quali quattro donne, dopo un violento scontro avvenuto nel Punjab, regione
centrale del Paese. Alcuni tra i fermati, secondo quanto dichiarato da un
responsabile della sicurezza, farebbero parte della rete di Al Qaeda.
Otto soldati afgani sono stati
feriti per errore da un bombardamento americano nella provincia dell’Oruzgan,
regione centro-meridionale dell’Afghanistan. Lo ha detto oggi il ministero
della Difesa di Kabul. Domani, intanto, scade il termine per presentare le
candidature alle elezioni presidenziali che si terranno il 9 ottobre. La lista
dei candidati - ha detto il portavoce dell'Onu Manuel de Almeida e Silva - sarà
resa nota il 29 prossimo luglio.
Ancora violenze in Medio
Oriente. A Gaza, elicotteri israeliani hanno colpito una casa nella zona di
Zeitoun, considerata una roccaforte dei militanti palestinesi più radicali.
Almeno 4 persone sono rimaste ferite dopo questo ennesimo raid compiuto contro
l’abitazione di un dirigente di Hamas. E sempre nella striscia di Gaza, dove ieri soldati dello Stato ebraico
hanno ucciso un giovane nella città di Bieit Hanun, un commando di miliziani ha
attaccato un commissariato di polizia dell’Autorità nazionale palestinese,
subito dopo avvolto dalle fiamme. Le forze israeliane hanno reso noto, inoltre
di aver sventato ieri un attentato suicida a Tubas, nel nord della Cigiordania.
L’avvocatessa Shirin Ebadi,
Premio Nobel per la pace, ha dichiarato, stamani, che chiederà un nuovo
processo per la morte della fotografa iraniano-canadese Zahra Kazemi, avvenuta
lo scorso anno in seguito alle percosse subite dopo l’arresto. L’unico
imputato, l’agente del ministero dell’intelligence Reza Ahmadi, è stato assolto ieri per insufficienza di prove.
In Spagna, la polizia spagnola
ha annunciato di avere arrestato quattro persone che tentavano di ricostituire
il ‘Comando Biscaglia’ dell’organizzazione separatista basca ‘Eta’ smantellato
lo scorso anno. Nel Paese iberico, intanto, dovrebbe tenersi alla fine di
febbraio e non a novembre, come previsto inizialmente, il referendum sulla
Costituzione dell’Unione Europea. Lo riferisce la stampa locale, che cita fonti
dell’esecutivo, secondo le quali lo slittamento al 2005 sarebbe stato imposto
da ragioni tecnico-giuridiche.
Non sarà arrestato l’ex
presidente del Messico Luis Echeverria, accusato del massacro di decine di
studenti durante una manifestazione svoltasi nelle strade della capitale il 10
giugno del 1971. Il tribunale ha negato, infatti, l’ordine di custodia
richiesto da Ignacio Carrello, procuratore speciale. Echeverria, oggi 82.enne,
è stato presidente del Messico dal 1970 al 1976.
In Italia continua la gigantesca caccia all’uomo
lanciata per arrestare Luciano Liboni, presunto assassino dell’appuntato dei
carabinieri Alessandro Giorgioni. Ieri, il latitante ha sparato colpi di arma
da fuoco, in pieno centro a Roma, contro due agenti di polizia che lo hanno
riconosciuto. Sul fronte delle indagini si è appreso, intanto, che l’uomo fece
una lunga telefonata in un Paese del sudest asiatico dal bar di Sant’Agata
Feltria prima che la titolare si insospettisse e chiamasse i carabinieri.