RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 205 - Testo della
Trasmissione di venerdì 23 luglio
2004
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN
PRIMO PIANO:
In Iraq, un nuovo raid aereo
americano su Falluja provoca 14 morti.
Intervista con Michele Farina
CHIESA E
SOCIETA’:
Nuovo
attacco portato dagli estremisti indù ad una comunità cristiana nell’India
Occidentale
Rientrati
in Sierra Leone gli ultimi 300 mila sfollati
durante il conflitto conclusosi nel 2000
Siglato a Dakar un accordo tra Mali e Senegal contro il traffico di bambini tra i due Paesi
L’incidente ferroviario
in Turchia: si esclude l’ipotesi del sabotaggio
Negli Stati Uniti la
Commissione d’inchiesta sugli attentati dell’11 settembre ha rivelato che
l’amministrazione americana non è riuscita ad evitare gli attentati perché non
aveva compreso la gravità della minaccia di Al Qaeda.
23 luglio 2004
IL
CORDOGLIO DEL PAPA PER LE VITTIME
DEL
DRAMMATICO INCIDENTE FERROVIARIO AVVENUTO IERI IN TURCHIA
Il Papa, in un telegramma inviato al nunzio apostolico in
Turchia a firma del cardinale segretario di Stato Angelo Sodano, ha espresso
“alle autorità del Paese e al popolo turco” il proprio profondo cordoglio per
“il drammatico incidente ferroviario” avvenuto ieri tra Istanbul ed Ankara, che
ha causato 36 morti. Giovanni Paolo II affida le vittime “alla misericordia
dell’Onnipotente”, assicurando le sue preghiere e “la sua vicinanza spirituale”
ai feriti e “alle famiglie colpite da questa tragedia”, “non dimenticando
quanti hanno preso parte alle operazioni di soccorso”. Il Papa esorta tutti “a
manifestare il proprio sostegno verso coloro che sono stati provati da questa
catastrofe”. Infine implora “su tutti il conforto della Benedizione divina”.
INTENSIFICARE
GLI SFORZI PER NON LASCIARE ISOLATA LA POPOLAZIONE DEL DARFUR:
COSI’,
AI NOSTRI MICROFONI, L’ARCIVESCOVO PAUL JOSEF CORDES,
INVIATO
SPECIALE DEL PAPA NELLA MARTORIATA REGIONE SUDANESE
- A cura di Alessandro Gisotti -
In lotta per la propria sopravvivenza, la popolazione
sudanese del Darfur è nel cuore di Giovanni Paolo II. In Sudan, si trova da
ieri l’inviato speciale pontificio, l’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente
di Cor Unum. Una missione che esprime la “vicinanza e solidarietà” del
Santo Padre alle popolazioni colpite da quella che, secondo le Nazioni Unite, è
la più grave crisi umanitaria in atto nel pianeta. Sullo spirito e le
aspettative con cui intraprende questa missione, ecco la testimonianza
dell’inviato del Papa, mons. Cordes, raggiunto telefonicamente a Khartoum da
Alessandro Gisotti:
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R. – Come sempre il Santo Padre sente molto la compassione
per la gente provata, e così mi ha inviato ad incontrare i cristiani nel Sudan
e, soprattutto, in Darfur. Già stamani abbiamo incontrato tanti rifugiati, qui,
nella capitale Khartoum; abbiamo avuto l’occasione di incontrare esponenti
della Chiesa cattolica che si occupano dei rifugiati e abbiamo anche consolato
ed incoraggiato un po’ questi bravi fedeli che tentano di combattere la grande
miseria.
D. – Eccellenza, quali sono le sue aspettative, le sue
speranze per questa missione di pace?
R. – Sono convinto che negli ultimi mesi, tramite tanti
viaggi, come quello di Colin Powell, si sensibilizza anche l’opinione pubblica
sulla miseria che si trova qui. E così, questi viaggi, incluso il mio in nome
del Papa, rende disponibile la gente ad aiutare… soprattutto i politici che
devono dare una risposta di aiuto e una risposta per realizzare veramente
questa pace in Sudan.
D. – Quali saranno i momenti più significativi di questa
sua missione?
R. – Domani andiamo in Darfur per vedere i rifugiati e
incontreremo il parroco responsabile della zona. Si parla di due milioni di
rifugiati e, soprattutto, di tanti, tanti morti. Questo certamente sarà il
momento più significativo di questo viaggio. Domenica poi celebreremo
l’Eucaristia insieme al cardinale di Khartoum. Sono convinto che questi viaggi
aiutano la prospettiva politica, ma aiutano anche molto la gente. Tramite la
presenza delle persone, questa gente si sente incoraggiata, vede che non è
isolata, si lotta per uno scopo importante e tutte queste cose, a livello
emozionale e morale, aiutano molto.
D. – Cosa sta facendo, in concreto, la Chiesa per dare
soccorso alla popolazione del Darfur?
R. – C’è un appello della rete Caritas. Chiedono aiuti
finanziari per realizzare il programma in questa zona. Io posso solo
incoraggiare, quelli che ci ascoltano, a contribuire… e si deve aggiungere che
questo aiuto non tocca solo i cristiani, ma tocca tutti, anche i musulmani. E’
importante che la Chiesa si mostri generosa anche di fronte alle altre religioni.
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Alla missione papale si
accompagna, intanto, proprio nelle ultime ore, un’intensificazione degli sforzi
diplomatici da parte della comunità internazionale, come ci riferisce Alessandro
Gisotti:
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Nel Darfur è in atto una drammatica corsa contro il tempo.
Ogni giorno, infatti, la guerra e la povertà causano, in questa regione del
Sudan occidentale, la morte di oltre cento persone. La gente del Darfur non può
aspettare oltre. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, e il segretario
di Stato americano, Colin Powell, hanno chiesto nuovamente al governo sudanese
di intervenire contro le milizie arabe, che stanno seminando il terrore nella
regione. Il colloquio al Palazzo di Vetro è coinciso, ieri, con la
presentazione di una nuova bozza di risoluzione da parte di Washington in cui
il governo di Khartoum viene minacciato di “sanzioni” se non saranno arrestati
i leader della milizia araba ritenuta responsabile della crisi. Intanto,
secondo fonti di stampa britannica, Tony Blair sta valutando l’ipotesi di un
piano di intervento militare in Sudan per soccorrere il milione di profughi in
fuga dal Darfur. Sul fronte degli aiuti umanitari, la Lega araba ha deciso di
inviare nella regione una missione medica ed una di esperti nei settori della
distribuzione dell’acqua e dei servizi igienici. Dal canto suo, la Caritas -
attiva sul terreno - ha lanciato un appello affinché si moltiplichino le
“occasioni concrete di dialogo tra le parti per assicurare protezione e
assistenza umanitaria alla popolazione”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre con la
notizia del tragico deragliamento di un treno partito da Istanbul e diretto ad
Ankara.
Il telegramma di cordoglio del
Santo Padre per le vittime della sciagura.
Nelle vaticane, due pagine
dedicate al cammino della Chiesa in Italia.
Nelle estere, Sudan: toni più
aspri tra il governo di Khartoum e la comunità internazionale per la
risoluzione USA presentata all'ONU sul Darfur.
Nella pagina culturale, un
articolo di Domenico Volpi dal titolo “Un freno all’impunità delle emittenti”:
le nuove regole per l’applicazione del Codice di Autoregolamentazione Tv e
Minori.
Nelle italiane, conti pubblici:
la Camera conferma la fiducia all’Esecutivo.
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23 luglio 2004
IN IRAQ ENNESIMO RAID AEREO
AMERICANO SU FALLUJA E ORE DI ANGOSCIA
PER LA SORTE DI SETTE AUTISTI STRANIERI TENUTI IN
OSTAGGIO DA UN GRUPPO DI RIBELLI
- Intervista con Michele Farina -
Un grave incidente ha colpito
l’Iraq. Fonti militari statunitensi hanno reso noto, stamani, che almeno nove
persone sono morte, ieri sera, nello scontro tra un autobus ed un carro armato
americano. E nel Paese proseguono le operazioni delle forze americane e gli
attacchi della guerriglia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
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Un nuovo raid aereo statunitense
sferrato questa notte sulla città di Falluja contro un presunto covo del
terrorista giordano, Abu Musab al Zarqawi, ha provocato la morte di almeno 14
persone. E due soldati americani sono rimasti uccisi questa mattina, a Samarra,
quando un ordigno è esploso al passaggio del loro convoglio. Il governo di
Sofia ha confermato, inoltre, che il cadavere ritrovato nei giorni scorsi nel
nord del Paese arabo è quello di uno dei due ostaggi bulgari sequestrati alla
fine di giugno. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan ha
annunciato, intanto, che l’inviato speciale dell'Onu in Iraq, Ashraf Jehangir
Qazi, arriverà a Baghdad in agosto con una piccola squadra di funzionari. E sul
fronte politico si devono registrare gli sforzi del nuovo governo e un appello
del deposto presidente Saddam Hussein. Mentre
il premier, Iyad Allawi, chiede la partecipazione dell’Egitto nella forza di
protezione dell’Onu, l’ex rais si rivolge alla Corte europea dei diritti umani
affinché intervenga sugli Stati Uniti per far rispettare, nel suo caso, la
Convenzione di Ginevra sui detenuti politici. Dopo un silenzio di quasi due
mesi, il leader radicale sciita Moqtad al-Sadr è tornato infine a predicare
nella moschea di Kufa. L’imam ha promesso ai suoi sostenitori che resterà al
loro fianco e ha pronunciato parole durissime nei confronti di Allawi.
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Sono
ore di angoscia per la sorte dei sette autisti stranieri, 3 keniani, 3 indiani
ed un egiziano, presi in ostaggio da un gruppo di miliziani. Ma perché ora la guerriglia sequestra cittadini di Paesi
non coinvolti militarmente nel conflitto? Roberto Piermarini lo ha chiesto
all’inviato del Corriere della Sera a Baghdad, Michele Farina:
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R. – La guerriglia sta agendo su più fronti. I miliziani
hanno liberato, questa settimana, l’ostaggio filippino, dopo il ritiro da parte
del governo di Manila delle sue truppe. L’India e l’Egitto sono due Paesi che
non sono direttamente coinvolti, però il premier del governo ad interim
iracheno, Allawi, ha chiesto ai due Stati di inviare truppe. Potrebbe trattarsi
di un sequestro preventivo, di una minaccia: ‘Non venite, state attenti,
sembrano avvertire i sequestratori. Ci sono 100 mila indiani che lavorano in
Iraq ed anche il gruppo degli egiziani è consistente.
D. – Stai lasciando l’Iraq; che esperienza hai fatto? Che
Paese stai lasciando, oggi?
R. – Sta cambiando, sta migliorando ma meno velocemente di
quanto gli iracheni si aspettino. Bisogna tener conto che la gente manifesta,
dice quello che pensa. E’ un Paese completamente cambiato. E’ chiaro che la
libertà può essere anche un gran problema e la preoccupazione più grande per la
popolazione è la sicurezza. E questo è un problema che durante il regime di Saddam
Hussein, paradossalmente, non c’era. Era un regime così controllato che si
poteva uscire la sera e camminare lungo il Tigri e mangiare un gelato. Oggi,
questo è più difficile anche se la gente ha voglia di vivere nonostante le
bombe, il terrorismo e i rapimenti. Non dimentichiamo che l’industria del
sequestro, in Iraq, colpisce anche la popolazione. Il gelataio con cui ho parlato
l’altro giorno mi ha detto, ad esempio, che ha subito un sequestro-lampo. I
rapitori gli hanno chiesto 10 mila dollari ed è tornato libero.
D. – Come è considerata ancora la presenza della
coalizione, in Iraq?
R. – La presenza della coalizione è il parafulmine sul
quale gli iracheni gettano le loro preoccupazioni. E’ chiaro che la ‘Forza
multinazionale’ ha fatto un passo indietro, per esempio a Baghdad: è la Guardia
nazionale che sta effettuando i rastrellamenti, che arresta i guerriglieri.
Baghdad, tutto sommato, è una città molto più normale di quando l’ho vista
qualche mese fa; Ramadi e Falluja restano invece situazioni altamente critiche.
D. – Avete avuto modo di lavorare liberamente, in Iraq, o
ci sono ancora pericoli per i giornalisti?
R. – Si calcola che qui a Baghdad ci siano 500
giornalisti, in queste settimane nessuno di loro ha avuto problemi, quindi
direi che tutto sommato si può lavorare abbastanza bene. Certo, i giornalisti
stanno prevalentemente in alberghi che sono delle cittadelle fortificate, però
si esce, si va in giro, si parla con la gente ... E’ una città normale, è una
città di 5 milioni di abitanti quindi, magari, le nostre cronache danno
l’impressione che sia una città sotto assedio o in stato di guerra permanente:
non è così. Questo credo che possa far sperare per il futuro di questo Paese.
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OGGI LA CHIESA CELEBRA LA FESTA DI SANTA BRIGIDA DI
SVEZIA, COMPATRONA D’EUROPA:
HA
SAPUTO UNIRE VITA ATTIVA E CONTEMPLATIVA METTENDO DIO AL PRIMO POSTO
-
Intervista con madre Tekla Famiglietti -
Oggi la Chiesa celebra la festa di Santa Brigida di
Svezia, proclamata nel 1999 da Giovanni Paolo II compatrona d’Europa, insieme
con Santa Caterina da Siena e Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo
Edith Stein. Ce ne parla Sergio Centofanti.
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Santa Brigida, nasce in Svezia da famiglia aristocratica
nel 1303. Sposa e madre di otto figli, fonda col marito un ospedale dove
assiste personalmente i malati. Ricercata per la sua saggezza dà consigli a
principi e sovrani, ma il suo tempo preferito è quello passato a servire i
poveri. Riceve rivelazioni mistiche: parla con Gesù, da cui impara la sapienza
della Croce.
“In Brigida – scrive il Papa nel “Motu Proprio” del 1°
ottobre 1999 – si avverte la forza
della profezia…parla con sicurezza a principi e pontefici, svelando i
disegni di Dio sugli avvenimenti
storici. Non risparmia ammonizioni severe anche in tema di riforma morale del
popolo cristiano e dello stesso clero”.
Celebri le sue lettere rivolte ai Papi perché tornino a
Roma, liberandosi dalla “cattività avignonese”. In questo, seguita poco tempo
dopo da Santa Caterina da Siena. Alla morte del marito fonda l’Ordine del SS.
Salvatore. Muore il 23 luglio del 1373.
In una famosa Orazione Santa Brigida dà lode a Cristo per
aver accettato la Passione per amore dell’umanità: perché si è lasciato
giudicare da Caifa e Pilato, Lui che è il Supremo Giudice; perché si è fatto
coronare di spine, Lui che è Re dell’Universo, perché si è lasciato inchiodare
alla Croce come un malfattore, Lui che è l’Innocente.
“Lode
eterna a te, Signor mio Gesù Cristo – dice la Santa - per ogni ora in cui hai
sopportato per noi peccatori sulla croce le più grandi amarezze e sofferenze”,
donando a tutti la speranza del perdono.
Ma
sulla santità di questa donna del 1300, ascoltiamo la superiora generale delle
Suore Brigidine, madre Tekla Famiglietti:
R. – La sua santità è quella di aver messo Dio al primo
posto. E poi la capacità di coniugare sempre la vita contemplativa con quella
apostolica. Il nome Brigida significa “luminosa”, e Dio l’ha chiamata proprio
per diffondere questa luce dal mistero della Croce.
D. – Un episodio significativo della sua vita …
R. – Lei ha voluto sempre che la santità fosse vissuta
nella quotidianità. Uno degli episodi più belli che testimoniano l’amore di
Santa Brigida per Gesù e per i fratelli è quando sulle scalinate di una chiesa
a Roma, lei, una principessa, ha chiesto personalmente l’elemosina per poi
aiutare i poveri. Questa è la sua grandezza: da ricca si è fatta povera. Ci ha
lasciato questo grande esempio: pensare ai nostri fratelli che non hanno il
pane quotidiano. Il suo sguardo era verso il povero che grida aiuto.
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EMERGENZA CALDO PER GLI ANZIANI.
DOPO
LE MIGLIAIA DI MORTI DELLO SCORSO ANNO
LA
COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO LANCIA UNA NUOVA CAMPAGNA DI SOLIDARIETA’
-
Intervista con Silvia Marangoni -
L’estate
entra nel vivo. Quello alle porte sarà un fine settimana all’insegna del gran
caldo, con temperature superiori ai 35 gradi, che potranno anche sfiorare i 40,
con conseguente allerta per gli anziani. Dopo le cifre shock dello scorso anno,
con alcune migliaia di decessi in più tra gli ultrasessantacinquenni,
la Comunità di Sant’Egidio ha messo a punto una nuova campagna di solidarietà
per gli anziani. Si tratta di “Sole sì, soli no”, una
breve guida con 14 consigli per aiutare gli anziani a difendersi dal caldo. Ma
quali sono questi suggerimenti? Barbara Castelli ha girato la domanda a Silvia
Marangoni, della Comunità di Sant’Egidio.
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R. – Quattordici consigli per vivere più freschi, e
soprattutto per vivere. Si tratta di non uscire nelle ore più calde; di bere
tanto, fornendo al corpo quell’apporto idrico necessario. Poi alcuni consigli
alimentari: la necessità di mangiare frutta e verdura, evitando quegli alimenti
che risultano più impegnativi e che, quindi, indeboliscono l’organismo. Ancora,
non assumere un certo tipo di farmaci o, comunque, rivedere le posologie dei
medicinali. Quattordici consigli che abbiamo voluto diffondere, non soltanto a
Roma ma anche nel resto d’Italia, con una campagna che aiutasse gli anziani ad
affrontare l’emergenza caldo non in solitudine.
D. – L’emergenza caldo può trasformarsi in un’occasione
per formulare una nuova assistenza agli anziani, riscoprendone il ruolo chiave
nella società?
R. – Penso che lo scorso anno gli 8.000 morti in Italia –
secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità – sono stati come uno
shock. Ci hanno aiutato a capire che effettivamente c’è un problema nuovo, al
quale non siamo preparati. Gli anziani nel nostro Paese sono tanti e questo
dovrebbe essere anche un punto di orgoglio da cui partire, perché vuol dire che
si vive bene, che si può vivere bene, che si può vivere degli anni in più che
fino a qualche decennio fa erano impensabili. Bisogna però difenderli questi
anni in più che la vita ci regala e che la vita regala ai nostri anziani.
Forse, inventandosi anche nuovi servizi. Tanti anziani, lo scorso anno, sono
deceduti in solitudine. Il caldo, insieme proprio all’isolamento, forse è stato
il vero responsabile di tante morti. Come sconfiggere l’isolamento? Ci sono
tante persone anziane che, effettivamente, non vengono raggiunte dai servizi in
atto, dai servizi abituali. Forse, si tratta di fare arrivare i servizi a casa
delle persone più deboli, più fragili, più isolate.
D. – Dicevamo che l’estate scorsa i decessi tra gli
ultrasessantacinquenni sono aumentati del 14 per cento. Quest’anno sono state
prese misure preventive a livello istituzionale?
R. – Ovviamente, c’è stata un’assunzione di responsabilità
a vari livelli. Il Ministero della Sanità, anche i giornali ne hanno parlato,
ha varato l’iniziativa dei “custodi sociali”; anche le regioni, con notevoli
differenze, hanno messo in atto dei programmi di prevenzione; così i comuni ...
Quest’anno, dunque, gli anziani saranno circondati da qualche attenzione in
più. Ovviamente, perché il discorso diventi universale, c’è bisogno di misure,
di risorse, di mezzi e soprattutto della volontà di tutti di rendersi conto che
questo problema non riguarda soltanto gli anziani, ma è un problema che
riguarda tutti. Si tratta di un problema per la cui soluzione tutti possiamo
concorrere, con un’assunzione di responsabilità piccola, alla portata di tutti,
ma che può rendere più sicura la vita di queste persone più fragili e in fin
dei conti può rendere più sicura la vita di tutti noi.
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SI
MOBILITANO LE SENTINELLE DEL MATTINO
-
Intervista con don Andrea Brugnoli -
“I fedeli vanno in ferie e la Chiesa si trasferisce sulla
spiaggia. Il 1° ed il 29 agosto saranno celebrate Messe anche nelle cappelle
degli autogrill”. Sono alcune delle sfide lanciate dalle “Sentinelle del
mattino”, progetto che raccoglie e coordina giovani di movimenti, associazioni
e singoli delle diverse diocesi. Don Andrea Brugnoli, incaricato per la
Pastorale di strada dalla diocesi di Verona e coordinatore delle Sentinelle, al
microfono di Francesca Smacchia.
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R. – Alcuni giovani, a partire dalle Giornate mondiali
della gioventù, nelle quali il Papa li ha invitati a diventare apostoli,
testimoni evangelizzatori degli altri giovani, chiamati ‘Sentinelle del mattino’,
hanno deciso di andare lì dove i giovani vivono realmente: sulle spiagge,
davanti alle discoteche, nei pub. L’estate è un tempo privilegiato, perché di
giovani ce ne sono molti ed è quindi da un po’ di anni che stiamo percorrendo
varie spiagge d’Italia per portare a questi giovani l’annuncio evangelico.
Quindi, in questo senso, un po’ la Chiesa davvero si trasferisce in luoghi un
po’ insoliti come sono le spiagge.
D. – Quali sono le loro reazioni?
R. – Contrariamente a quanto si possa immaginare, i
giovani ci ascoltano, anzi sono molto sorpresi, interessati di vedere che di
notte, alle 2-3 di notte c’è qualche loro coetaneo che li avvicina per fare
loro una proposta forte, per parlare con loro di Gesù.
D. – Quindi lo scopo è quello di aprire un dialogo di fede
tra i ragazzi, ma anche di dare una testimonianza personale di Cristo …
R. – Noi insegniamo ai nostri ragazzi che vanno in strada,
ad arrivare ad un momento nel quale possano dare la loro testimonianza;
certamente non andiamo a convertire nessuno – chi converte è solo Dio – ma solo
semplicemente ad aprire un dialogo sulla fede con questi ragazzi.
D. – Quest’anno l’opera di evangelizzazione delle
‘Sentinelle del mattino’ si trasferisce anche negli autogrill …
R. – Il primo ed il 29 agosto, che sono rispettivamente
l’esodo ed il contro esodo, in quattro autogrill d’Italia ci sarà una proposta
molto semplice: tra una rustichella ed una cocacola, invitiamo la gente di
passaggio a fermarsi per la Santa Messa. Così nell’autogrill, lì dove c’è una
cappella, verrà celebrata questa Messa che può servire anche per un momento di
pausa, un momento di vacanza nello spirito.
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23 luglio 2004
DOPO LE RECENTI VIOLENZE
COMPIUTE NELL’ANDRA PRADESH,
GLI ESTREMISTI INDU’ HANNO DISTRUTTO IL CANTIERE DI
UNA CHIESA IN COSTRUZIONE NELLO STATO DEL GUJARAT.
CREATE DELLE COMMISSIONI ANTICRISI PER ARGINARE IL
FENOMENO
AHMEDABAD. = Un nuovo attacco portato dagli estremisti
indù ha colpito una comunità cristiana nell’India occidentale. Dopo il recente
episodio, avvenuto a Hyderabad, nello stato dell’Andra Pradesh, dove a farne le
spese sono stati alcuni sacerdoti e fedeli cattolici malmenati dagli
aggressori, un altro gesto di intolleranza religiosa, informa la Fides, si
registra nello Stato del Gujarat, noto per la massiccia presenza di gruppi
estremisti, fiancheggiatori dell’ideologia nazionalista dell’hindutva
(“induità”). Domenica scorsa, nel villaggio di Rohiyal Talal, nella zona di
Kaprada, un gruppo di circa 20 persone - soprattutto contadini e tribali, con
alcuni membri del gruppo fondamentalista Vishwa Hindu Parishad (Consiglio
Mondiale Indù, VHP) - sono giunti alle prime ore del mattino sul sito dove era
in costruzione una chiesa, devastando e distruggendo il cantiere. Secondo l’All
India Christian Council, organismo che ha duramente condannato l’attacco,
la comunità cattolica locale ha denunciato l’accaduto la mattina del 19 luglio,
ma la polizia non ha arrestato nessuno. Secondo le indagini compiute dalle
forze dell’ordine, l’attacco sarebbe stato una sorta di ritorsione degli indù
contro Suresh Ada Varli, il finanziatore che sta curando la costruzione della
chiesa, un ex induista convertitosi di recente al cristianesimo. Intanto,
proprio a causa della recrudescenza degli attacchi di estremisti indù contro
istituzioni e persone cristiane - e nonostante l’annuncio del nuovo governo
indiano di voler presto approvare una legge in difesa delle minoranze religiose
- in alcuni Stati indiani le Chiese locali hanno creato apposite commissioni
per combattere la violenza anti-cristiana. Nello stato di Madhya Pradesh (India
centrale), alcune diocesi come Bhopal, Indore, Jabalpur, Ujjain, hanno formato
un “Comitato di crisi” che mette in atto modalità e strategie per affrontare i
casi di violenza. (A.D.C.)
ISRAELE NEGA I VISTI PER IL PELLEGRINAGGIO
IN TERRA SANTA
A
SACERDOTI E RELIGIOSE AFRICANI E ASIATICI. IL MOTIVO:
“TEMIAMO
CHE POSSANO RIMANERE COME IMMIGRATI ILLEGALI”
JOHANNESBURG. = Sono membri della
Chiesa cattolica, ma per Israele sono solo dei potenziali clandestini. E’
quanto sta accadendo da circa un mese a sacerdoti e religiose di origine
africana e asiatica, che non riescono a ricevere il visto per visitare la Terra
Santa. A denunciare il fatto è stata l’agenzia Asianews, secondo la quale “le
autorità temono che sacerdoti e suore rimangano in Israele come immigrati
illegali”. Nell'ultimo mese, secondo l'agenzia, “sacerdoti e suore indiane,
preti del Burkina, del Sudafrica e del Mozambico, sono stati tutti bloccati per
non aver ricevuto il visto. Alcuni uffici consolari e ambasciate di Israele
all'estero hanno espresso come motivo il timore che questi sacerdoti emigrino
in Israele per sempre. I preti e le suore in questione sono stati discriminati:
pur essendo parte di un gruppo organizzato di pellegrini, il visto è stato
negato solo a loro, africani e asiatici, mentre è stato concesso agli altri
pellegrini occidentali o europei”. Fonti ecclesiali a Gerusalemme, conclude
Asianews, sottolineano l’incongruenza di Israele che “pubblicizza il turismo e
il pellegrinaggio per risollevare l'economia della nazione”, ma poi c’è la
burocrazia che “mette tutti questi ostacoli”. “Se proprio temono che i preti
rimangano qui come immigrati illegali – suggeriscono le fonti - potrebbero dare
un visto temporaneo e fornito del foglio di via”. (A.D.C.)
QUESTA SERA, A MOSTAR, CERIMONIA INTERNAZIONALE DI INAUGURAZIONE DEL
PONTE VECCHIO,
DISTRUTTO
DURANTE IL CONFLITTO NEI BALCANI NEL ’93.
LA
RICOSTRUZIONE COSTATA 15 MILIONI DI EURO
- A
cura di Emiliano Bos -
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MOSTAR. = Per oltre quattro secoli era stato il gioiello
dell’architettura ottomana, ma il 9 novembre 1993, colpi di mortaio esplosi dai
croato-bosniaci distrussero lo “Stari Most”, il “ponte vecchio” di Mostar, che
questa sera verrà inaugurato dopo il lavoro di ricostruzione durato tre anni.
La comunità internazionale, che faticosamente sta cercando di ricostruire il
tessuto sociale di questa terra, ha voluto restituire ad una delle
città-simbolo della guerra nei Balcani quella passerella in pietra bianca,
voluta da Suleyman il Magnifico, che unisce le due sponde dove però permangono
forti divisioni. Grazie all’investimento di 15 milioni di euro, il Ponte
Vecchio di Mostar torna a rivivere e lo farà in una cerimonia serale davanti a
rappresentanti di quella comunità internazionale che, all’epoca della guerra,
non fu in grado di impedire né l’abbattimento del ponte, né – soprattutto – di evitare
200 mila vittime e oltre due milioni di profughi. La città oggi resta ancora
profondamente divisa: croati e chiese sul lato ovest del fiume Neretva, musulmani
e moschee a est, due consigli comunali separati e i soldati della NATO a vigilare
sugli accordi di pace del 1995. Ieri tuttavia, alla conferenza stampa di presentazione
del programma delle celebrazioni di questa sera nel capoluogo dell'Erzegovina,
il vicesindaco di Mostar, Ljubo Beslic, esponente del partito nazionalista
croato Hdz, ha affermato che “l'inaugurazione del Ponte Vecchio è una festa per
la stragrande maggioranza dei croati di Mostar: è anche il nostro ponte”.
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RIENTRATI IN SIERRA
LEONE GLI ULTIMI 300 SFOLLATI DELLE DECINE DI MIGLIAIA
FUGGITI DURANTE IL CONFLITTO CONCLUSOSI NEL 2000.
L’ALTO COMMISSARIATO ONU PER I RIFUGIATI
CURERA’ IL LORO PROCESSO DI INTEGRAZIONE FINO ALLA
FINE DEL 2005
FREETOWN. = Con il ritorno degli ultimi dei circa 280 mila
rifugiati sierraleonesi, rimpatriati dalla fine del decennale conflitto
conclusosi nel 2000, è stato ultimato il programma di rimpatrio da parte
dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). In un
comunicato dell’UNHCR, diffuso dalla Fides, si rende noto che, il 21 luglio,
l’ultimo convoglio dell’agenzia dell’Onu ha attraversato il fiume Mano,
passando dalla Liberia alla Sierra Leone con a bordo 286 rifugiati. Analogo il
trasferimento di 329 rifugiati dalla Guinea al piccolo Stato dell’Africa occidentale.
“È davvero incoraggiante vedere così tanti rifugiati tornare in Sierra Leone,
così determinati a ricostruire le proprie vite dopo aver vissuto per quasi dieci
anni nei campi profughi dei paesi limitrofi”, ha dichiarato l’Alto Commissario
per i rifugiati Ruud Lubbers il quale, nel corso delle diverse missioni nella
regione dell’Africa occidentale, ha evidenziato in particolar modo la necessità
di perseguire soluzioni durevoli per le cosiddette “crisi di rifugiati
protratte”, quelle in cui i rifugiati si trovano in esilio per anni o anche per
decenni. Circa 15 mila rifugiati sierraleonesi hanno invece deciso di rimanere
nei Paesi d’asilo e di integrarsi localmente. Nelle nazioni in cui più
rifugiati hanno deciso restare, l’UNHCR contribuirà alla loro integrazione
attraverso la realizzazione di progetti specifici. E assisterà fino al 2005 i
rimpatriati. (A.D.C.)
SIGLATO A DAKAR UN ACCORDO TRA GLI STATI DEL MALI E DEL SENEGAL CONTRO
IL TRAFFICO DI BAMBINI TRA I DUE PAESI.
CENTINAIA
I MINORI CHE OGNI ANNO IN MALI VENGONO VENDUTI DALLE FAMIGLIE PER POCHI SOLDI
DAKAR. = Mali e Senegal hanno firmato ieri a Dakar
un accordo di collaborazione per prevenire e reprimere il traffico di bambini
tra i due Paesi. “Un fenomeno che è in crescita e che è incoraggiato dalla
permeabilità delle frontiere, da fattori economici e dall’assenza di una legislazione
ad hoc”, ha spiegato in una nota, pubblicata dalla MISNA, l’Organizzazione Internazionale
per le Migrazioni (OIM), schieratasi a sostegno dell’iniziativa. Sono centinaia
i minori che ogni anno vengono venduti dalle proprie famiglie in Mali in cambio
di piccole somme di denaro. “I bambini finiscono poi per mendicare per strada –
ha affermato Monica Zanette, funzionaria dell’OIM in Senegal, contattata
dall’Agenzia missionaria – oppure vengono sfruttati per lavori domestici o
avviati alla prostituzione”. Il Mali ha già sottoscritto accordi simili con
Costa d’Avorio e Burkina Faso: la collaborazione con Dakar segna un ulteriore
passo avanti, soprattutto in materia di protezione, e prevede la creazione di
una commissione mista che si riunirà una volta l’anno con la partecipazione dei
rappresentanti dei due Paesi, della società civile e delle organizzazioni
internazionali. (A.D.C.)
E’ CINESE LA CENSURA PIU’ VASTA E COSTOSA
ADOTTATA IN INTERNET:
LO DENUNCIA
UNO STUDIO NORVEGESE, CHE RIVELA PERO’ COME ACCESSIBILI DAGLI UTENTI CINESI
I SITI
DEL VATICANO, DELLA FIDES E DI RADIO VATICANA
OSLO. = La Cina ha messo in atto la censura “più vasta e
dispendiosa di tutti gli altri Paesi del mondo” contro numerosi siti web di
contenuto religioso con base all’estero, ai quali l’accesso è bloccato da un
organo speciale di vigilanza. A denunciarlo, riferisce Asianews, è il gruppo
cristiano d’informazione on line Forum 18, con sede in Norvegia, che per
due mesi ha condotto un sondaggio da cui è emerso un controllo capillare e
serrato della rete, in particolare dei siti che trattano di persecuzione di
gruppi cristiani e altre minoranze nel Paese e che per il governo possono
implicare questioni politiche, compromettere la stabilità sociale e alimentare
tendenze separatiste. Il sondaggio è stato realizzato tra la metà di maggio e
la metà di luglio – comprendendo anche la data importante del 4 giugno, 15°
anniversario della repressione di Tiananmen – verificando l’accesso a Internet
da diverse località della Cina. È stato impossibile visionare siti che parlano
della persecuzione di cattolici e protestanti, del Dalai Lama, del movimento
religioso della Falun Gong, della minoranza musulmana uigura del Xinjiang, bloccati
dal dispositivo governativo Golden Shield Firewall. Dal sondaggio, nota
Asianews, sono risultati invece accessibili siti di contenuto religioso o della
Chiesa cattolica, evidentemente non considerati “nocivi”, tra i quali quello
del Vaticano (www.vatican.va), della Fides
(www.fides.org) e la sezione cinese del
sito della Radio Vaticana, oltre a quello di Radio Veritas con sede a Taiwan. (A.D.C.)
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23 luglio 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
E’ di
almeno 36 vittime il bilancio dell’incidente ferroviario di ieri in Turchia. In
un primo momento si era parlato di oltre 130 morti nel disastro provocato dal
treno ad alta velocità proveniente da Istanbul, diretto ad Ankara e deragliato
nei pressi di Sakarya, nel nord del Paese. Sul convoglio - che percorreva una
linea superveloce inaugurata appena un mese fa - viaggiavano 234 passeggeri.
All’origine dell’incidente forse un guasto meccanico. Il macchinista ed il controllore
del treno sono comunque stati interrogati. Esclusa l’ipotesi del sabotaggio. Il
premier Erdogan è accorso sul luogo del disastro. A proposito delle ripercussioni
che l’incidente potrebbe avere sull’esecutivo di Ankara, ascoltiamo il commento
di Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera, intervistato da
Giada Aquilino:
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R. – Erdogan sin dall’inizio del
suo mandato aveva caldeggiato il piano di modernizzazione strutturale dei
trasporti turchi. Visto che la linea più importante e trafficata di tutto il
Paese è quella Istanbul-Ankara, l’idea era quella di un treno superveloce. Il
problema è che l’incidente di ieri è stato un brusco richiamo alla realtà,
anche perché pare che nel tratto dov’è capitato il disastro il treno non andasse
fortissimo, ma sembra che i binari non fossero in grado di poter sopportare un
tipo di vettura come quella del convoglio superveloce. Quindi, dal punto di
vista dell’immagine dell’efficienza del governo, è un brutto colpo, in un
momento in cui Erdogan sta cercando di ottenere una data per l’ingresso della
Turchia nell’Unione Europea.
D. – Ma allora quali
ripercussioni potrebbero esserci per Erdogan e per il suo governo?
R. – E’ evidente che, sia nel
ministero dei trasporti sia in quello che ha avviato le pratiche per il varo
del treno superveloce, qualche conseguenza ci sarà, magari si arriverà a delle
dimissioni. Ma non credo che ciò possa creare una crisi di governo.
D. – Inizialmente si era parlato
di sabotaggio. Che rischi c’erano?
R. – Qui siamo nell’area
mediterranea dove tutto viene visto in chiave di sospetto. La Turchia sta
vivendo un momento molto delicato, sia per il risorgere della guerriglia curda
nel Sud-Est, sia per i difficili rapporti con l’Iraq e anche con altre forze
della regione, a cominciare da Israele. Non dobbiamo infine dimenticare che la
Turchia è stata colpita pesantemente dal terrorismo islamico con gli attentati
del novembre scorso.
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Gli Stati Uniti non riuscirono a prevenire gli attacchi
dell’11 settembre perché non avevano compreso la gravità della minaccia di Al
Qaeda: in almeno 10 occasioni si sarebbe potuto fermare il tragico piano dei
terroristi. Lo ha rivelato la Commissione d’inchiesta sugli attentati,
presentando ieri il proprio rapporto. Da New York, Paolo Mastrolilli:
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Gli errori vanno dal non aver
eliminato Bin Laden dopo la sua dichiarazione di guerra contro l’America nel
1996, alla scarsa attenzione prestata dal governo e dagli investigatori ai
segnali di allarme e alle informazioni ricevute nei mesi che hanno preceduto
gli attentati. Un video, appena pubblicato, mostra i dirottatori eludere i
controlli all’aeroporto di Washington anche
se il metal detector era scattato. Nel corso della sua inchiesta, la
commissione ha individuato profonde carenze istituzionali che hanno facilitato
le azioni di Al Qaeda. Il rapporto ha raccomandato, inoltre, la creazione di un
nuovo posto per il direttore dell’Intelligence nazionale che dovrebbe
coordinare tutte le agenzie dedicate alla sicurezza inclusa la CIA. Nel
documento si sottolinea l’assenza di prove del coinvolgimento dell’Iraq nell’11
settembre, mentre ci sono sospetti sull’Iran. Il presidente Bush, che aveva
resistito alla creazione della Commissione perché temeva ripercussioni politiche
in un anno elettorale, ha detto che terrà conto del rapporto per migliorare le
difese dell’America. Il democratico Kerry ha risposto che bisogna agire subito
per potenziare la sicurezza nazionale, visto che la Commissione ha detto di
aspettarsi altri attacchi.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Tensione altissima nei
Territori palestinesi. Un diciottenne è stato ucciso questa mattina in una
sparatoria con l’esercito israeliano a Beith Hanun, nel nord della Striscia di
Gaza, dove i gruppi armati continuano a manifestare contro l’Anp.
E’ scaduta ieri sera l’amnistia
concessa in Arabia Saudita da re Fahd agli integralisti islamici responsabili
dell’ondata di attentati che hanno insanguinato il Paese. Sei estremisti si
sono consegnati alle autorità e tra questi uno solo è inserito nella lista
delle 26 persone più ricercate.
La Corte costituzionale
indonesiana ha bocciato la legge antiterrorismo varata all’indomani degli
attentati terroristici costati la vita a Bali, nel 2002, ad oltre 200 persone.
“Il ricorso alla legge – si legge nella motivazione - è in contrasto con la
Costituzione del 1945”. Il verdetto odierno, ha precisato inoltre la Corte, non
è retroattivo e non annulla, dunque, le sentenze emesse nei confronti degli
attentatori.
Ancora
violenze in Daghestan. Una donna è morta per le ferite riportate nell’attentato
di ieri ad una base delle forze speciali nella repubblica caucasica vicina alla
Cecenia. La vittima era la responsabile amministrativa della base.
La
corte distrettuale moscovita di Meshanski ha respinto, almeno per ora,
l’istanza di prescrizione che avrebbe dovuto far cadere una delle accuse
presentata nei confronti di Mikhail Khodorkovski, azionista di controllo del
colosso petrolifero russo Yukos, e del suo socio Platon Lebedev, entrambi sotto
processo per reati fiscali. L’istanza era stata presentata dalla difesa dei
due, entrambi detenuti da diversi mesi, e riguardava in particolare l'accusa di
frode - peraltro respinta dagli imputati - per l'acquisizione da parte di Yukos
di una quota dell'azienda chimica statale Apatit.
In
Italia si’ della Camera alla conversione del decreto legge per il contenimento
della spesa pubblica su cui il governo, ieri, ha ottenuto la fiducia. Sono circa
530 milioni di euro le nuove entrate derivanti dalle misure introdotte con il
maxi-emendamento che il governo si accinge a presentare. Il segretario dell’UDC
Follini ha presentato, intanto, le dimissioni che sono state subito respinte.
Non è ancora chiuso il caso
della Cap Anamur. Sulla vicenda del mercantile tedesco la Corte europea per i
diritti umani ha chiesto, infatti, informazioni al governo italiano. Sono
inoltre ancora nel centro di Ponte Galeria, alle porte di Roma, 6 dei 37
immigrati arrivati una settimana fa a Porto Empedocle. Non sono voluti partire
con l’aereo che ha portato i loro compagni in Ghana, Paese dove saranno trasferiti
al più presto. Resterà invece in Italia il nigeriano di 29 anni che ha subito
collaborato con la polizia.
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