RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 200 - Testo della Trasmissione di domenica 18 luglio 2004 

 

Sommario   

                                       

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Ascoltare la Parola di Dio è la cosa più importante della nostra vita”.  E’ quanto ha detto oggi il Papa all’Angelus a Castel Gandolfo, dove è giunto ieri sera a conclusione delle sue vacanze in Valle d’Aosta. Giovanni Paolo II invita a riscoprire il primato della vita interiore, la preghiera, la meditazione, il silenzio: così diventa più facile servire i fratelli.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Falliti i negoziati per riportare la pace nella regione sudanese del Darfur: ai nostri microfoni, Laura Boldrini

 

Le conclusioni del Congresso di missiologia a Kinshasa: rilanciare l’evangelizzazione attraverso i laici e le donne. Analisi di mons. Giuseppe Cavallotto e di suor Maria Giovanna

 

Cresce nel mondo il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri: ce ne parla Sergio Marelli

 

Lotta all’Aids: si riparte dalla Conferenza mondiale di Bangkok per abbassare i prezzi dei farmaci e aumentare i finanziamenti per la prevenzione e l’informazione. Con noi, padre Robert Vitillo

 

Presentato il Rapporto annuale del Comitato tv per la tutela dei minori: ci riferiscono Emilio Rossi e Riccardo Chieppa

 

Inaugurata ieri la 34.ma edizione del Giffoni Film Festival: presentazione del direttore artistico, Claudio Gubitosi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Sarà recitata oggi da tutte le Chiese dell’Inghilterra una preghiera speciale per i cristiani del Pakistan, vittime da anni di persecuzioni e discriminazioni

 

I leader religiosi presenti a Bangkok hanno presentato un loro documento conclusivo sulla Conferenza contro l’AIDS

 

I Paesi andini chiedono che il sequestro di persona sia considerato un “crimine contro l’umanità”

 

Le Nazioni Unite hanno diffuso ieri un Rapporto secondo il quale vi sarebbe il governo rwandese dietro alla presa di Bukavu e gli scontri di un mese fa nella Repubblica democratica del Congo

 

Aumentano in Brasile le invasioni abusive di terreni da parte del Movimento “Sem terra”

 

Respinte ieri dal ministero degli Interni italiano le richieste d’asilo presentate dai 37 profughi della Cap Anamur.

 

24 ORE NEL MONDO:

All’indomani del fallito assassinio del ministro iracheno della Giustizia, un raid americano causa la morte di 11 civili a Falluja: tra le vittime donne e bambini

 

 Il premier israeliano Sharon incontra il leader laburista Peres per i negoziati sul governo di coalizione, mentre a Gaza monta la rivolta palestinese contro  Arafat

 

 

 

 

       

                                     

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 luglio 2004

 

“ASCOLTARE LA PAROLA DI DIO E’ LA COSA PIU’ IMPORTANTE DELLA NOSTRA VITA”.

E’ QUANTO HA DETTO OGGI IL PAPA ALL’ANGELUS A CASTEL GANDOLFO

DOVE E’ GIUNTO IERI SERA A CONCLUSIONE DELLE SUE VACANZE IN VALLE D’AOSTA

 

“Ascoltare la Parola di Dio è la cosa più importante nella nostra vita”. E’ quanto ha detto il Papa oggi durante l’Angelus recitato a mezzogiorno nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, dove è giunto ieri sera a conclusione delle vacanze in Valle d’Aosta. Calorosa l’accoglienza dei fedeli nella cittadina laziale. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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Occorre “riscoprire il primato della vita interiore” e le vacanze sono un “tempo propizio” per valorizzare questa dimensione fondamentale dell’uomo. Il Papa ha terminato ieri le sue vacanze in Valle d’Aosta, un “luogo incantevole” che lascia trasparire la mano di Dio, ha detto nel salutare e ringraziare la comunità di Introd, che lo ha accolto con affetto e discrezione: e oggi, durante l’Angelus nella cittadina laziale di Castel Gandolfo, è tornato a parlare di ciò che è essenziale nell’ esistenza umana:

 

“Ascoltare la Parola di Dio  è la cosa più importante della nostra vita”.

 

Giovanni Paolo II ha preso spunto dal  brano evangelico dell’odierna liturgia domenicale che racconta la “sosta di Gesù nella casa di Marta e Maria”, laddove “Marta è tutta presa dalle faccende domestiche” mentre “Maria sta seduta ai piedi del Maestro e ascolta la sua parola. Cristo afferma che Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”:

 

“Cristo è sempre in mezzo a noi e desidera parlare al nostro cuore. Lo possiamo ascoltare meditando con fede la Sacra Scrittura, raccogliendoci nella preghiera privata e comunitaria, soffermandoci in silenzio davanti al Tabernacolo, dal quale Egli ci parla del suo amore”.

 

“Specialmente alla Domenica – ha continuato il pontefice – i cristiani sono chiamati ad incontrare e ascoltare il Signore. Ciò avviene nel modo più pieno mediante la partecipazione alla Santa Messa, nella quale Cristo imbandisce per i fedeli la mensa della Parola e del Pane di vita. Ma altri momenti di preghiera e riflessione, di riposo e fraternità possono utilmente concorrere a santificare il giorno del Signore”.

 

“Quando, per l’azione dello Spirito Santo, Dio prende dimora nel cuore del credente – ha detto Giovanni Paolo II - diviene più facile servire i fratelli. Così è avvenuto in modo singolare e perfetto in Maria Santissima”. E a Lei ha voluto affidare le vacanze perché  possano essere un tempo per ritrovare i valori della vita interiore.

 

Dopo l’Angelus  il Papa ha salutato i cittadini di Castel Gandolfo ringraziandoli per la loro “accoglienza, sempre tanto calorosa”. Ultima annotazione: il Papa ha dovuto interrompere per un momento la lettura del discorso per schiarirsi la voce, prontamente aiutato da un forte applauso dei fedeli presenti che in diverse centinaia hanno riempito il cortile del Palazzo Apostolico.

 

Da mercoledì prossimo Giovanni Paolo II riprende a Castel Gandolfo le udienze generali.

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OGGI IN PRIMO PIANO

18 luglio 2004

 

CONTINUA IL DRAMMA DELLE POPOLAZIONI NERE DEL DARFUR:

GLI AIUTI AI PROFUGHI STENTANO AD ARRIVARE

MENTRE I NEGOZIATI DI ADDIS ABEBA SONO FALLITI

- Intervista con Laura Boldrini -

 

 

Sono fallite le trattative avviate ad Addis Abeba con la mediazione dell'Unione Africana per fermare la grave crisi umanitaria nel Darfur, la regione occidentale del Sudan sconvolta da violenze a sfondo etnico-politico. I gruppi che rappresentano la popolazione autoctona nera hanno abbandonato il negoziato dopo che il governo di Kharum ha respinto le condizioni poste per il dialogo: tra queste, l’apertura di una inchiesta internazionale per genocidio e il disarmo delle milizie arabe filogovernative, accusate di aver compiuto veri e propri massacri ai danni della popolazione nera. Nel Darfur è in atto una delle più gravi emergenze umanitarie nel mondo, con oltre un milione di persone in fuga dalle proprie case verso il Ciad a causa delle aggressioni perpetrate dalle milizie arabe, appoggiate dal regime islamico sudanese. Intanto il governo libico ha accettato di aprire un nuovo corridoio umanitario per permettere il rapido passaggio di aiuti verso il Darfur. Che ripercussioni potrebbe avere tale decisione per l’emergenza umanitaria nella regione sudanese? Giada Aquilino lo ha chiesto a Laura Boldrini, portavoce italiana dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati:

 

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R. – Se fosse possibile – e ce l’auguriamo – faciliterebbe molto il compito logistico delle agenzie che devono portare gli aiuti.

 

D. – Che problemi ci sono per il passaggio e la distribuzione degli aiuti?

 

R. – I problemi, veramente, sono legati alle infrastrutture molto povere che esistono in questa parte di Africa; quindi, fare arrivare gli aiuti in Darfur attraverso il Sudan richiede moltissimo tempo. Sarebbe invece più facile riuscire a percorrere quest’altra direttrice.

 

D. – Qual è la situazione, oggi, in Darfur?

 

R. – Continua ad essere una situazione critica per il fatto che le persone fuori casa sono circa un milione, persone che hanno ormai anche rinunciato ai raccolti, quindi c’è un’emergenza alimentare forte. Questa gente ha bisogno di ricevere cibo e medicine prima possibile, oltre che assistenza di natura abitativa perché avendo lasciato i propri villaggi si trovano, appunto, accampati in maniera spontanea, senza adeguati generi di prima necessità. C’è veramente una corsa contro il tempo, perché ora sono già iniziate le stagioni delle piogge e questo significa che, dal punto di vista logistico, è veramente difficoltoso riuscire a portare gli aiuti anche in Ciad. Perché anche in Ciad c’è una situazione difficile dal punto di vista ambientale, è una zona molto arida al confine, non c’è acqua e quindi per riuscire ad assistere queste persone bisogna quantomeno trasferirle in questi campi. Ecco, l’auspicio è anche che finalmente la comunità internazionale non lesini nelle risorse perché per oltre un anno le agenzie dell’ONU hanno lanciato inutilmente l’appello su quanto stava accadendo in Darfur. Noi, come Alto Commissariato, abbiamo lanciato un appello per raccogliere 55,8 milioni di dollari: a oggi ne abbiamo ricevuti meno di 28. Non si può dire che oggi il Darfur sia la più grande crisi umanitaria e poi non stanziare sufficienti risorse per far fronte ad essa!

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LE CONCLUSIONI DEL CONGRESSO DI MISSIOLOGIA A KINSHASA:

RILANCIARE L’EVANGELIZZAZIONE ATTRAVERSO I LAICI E LE DONNE

- Intervista con mons. Giuseppe Cavallotto e con una missionaria comboniana -

 

 

Si è chiuso ieri a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, il Congresso internazionale di Missiologia “Tertio Millennio” – nel 40.mo anniversario del Decreto Conciliare “Ad Gentes” e nel 10.mo anniversario del Sinodo Africano – sul tema “Il futuro dell’attività missionaria. Prospettive per il XXI secolo”.  Una settimana di conferenze, incontri e dibattiti centrati sull’invito di Giovanni Paolo II a imprimere un nuovo slancio all’evangelizzazione, in un mondo che ancora in gran parte non conosce Cristo. Ma sui temi affrontati dal Congresso ascoltiamo mons. Giuseppe Cavallotto, rettore della Pontificia Università Urbaniana, intervistato dal nostro inviato, padre Joseph Ballong:

 

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R. – Mi sono sembrati interessanti il tema del coinvolgimento dei laici, in particolare delle donne attraverso i vari movimenti cattolici, in un impegno di promozione ma soprattutto di evangelizzazione, il problema dello sviluppo integrale della persona umana, il problema del dialogo interreligioso e infine i problemi connessi alla formazione degli operatori.

 

D. – Ecco, quale impressione ha avuto dai lavori di questi giorni?

 

R. – Siamo di fronte a delle Chiese in Africa che prendono coscienza di essere soggetti primi della missione, e quindi di quale sia l’impegno che devono assolvere per poter continuare questa diffusione del Vangelo nella loro realtà locale; ma, nello stesso tempo, si aprono con grande disponibilità alla missione ad gentes in senso più completo, cioè di una missione rivolta a tutti i popoli. E’ una nuova coscienza: dunque non è solo una Chiesa che aspetta, che vuole ricevere missionari, aiuti di ogni genere, ma una Chiesa che sente la coscienza di essere aperta ed impegnata alla missione universale, una Chiesa viva che sta prendendo in mano la propria situazione aprendosi a quello che è l’impegno ecclesiale e missionario in tutto il mondo.

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Ma quali sono dunque le sfide poste dall’evangelizzazione? Ascoltiamo la testimonianza di una missionaria comboniana presente ai lavori del Congresso di Kinshasa, suor Maria Giovanna, da 36 anni in Africa:

 

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Una prima sfida oggi è quella di essere testimoni di Cristo, testimoni coerenti, autentici, per essere credibili, e per essere anche entusiasti ci vuole questo incontro con Cristo in profondità. Incontro con Cristo che ci porta alla conversione per avere un atteggiamento di rispetto, di umiltà, per poter andare verso gli altri. Questa è la nostra sfida: evangelizzare. Sfida che non dobbiamo mai dimenticare. E la vita religiosa rimane un segno di speranza ed io posso dire che a Kisanghani, in Congo, dove lavoro, abbiamo degli esempi molto belli di vita religiosa: religiose consacrate che si danno all’apostolato per le ragazze-madri, le vittime della guerra, i bambini di strada, i prigionieri. E questo per me, italiana, è un segno di incoraggiamento, una grande speranza per il futuro dell’Africa.

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NEL MONDO CRESCE IL DIVARIO TRA PAESI RICCHI E PAESI POVERI.

APPELLO DELLE ONG A SCEGLIERE STILI DI VITA SOLIDALI

- Intervista con Sergio Marelli -

 

 

Negli ultimi dieci anni fame e povertà sono aumentate nell’Africa subsahariana, negli Stati arabi, nell’Europa centro orientale e nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. È quanto indica il Rapporto sullo sviluppo umano presentato nei giorni scorsi dal Programma dell’Onu per lo sviluppo, quest’anno dedicato alla “Libertà culturale in un mondo di diversità”. A commentare i dati forniti dall’Agenzia delle Nazioni Unite è il presidente dell’Associazione delle Organizzazioni non governative italiane, Sergio Marelli, al microfono di Dorotea Gambardella:

 

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R. - Emerge un dato che si consolida nel corso degli anni, cioè quello del divario crescente tra la ricchezza e la povertà. Un secondo dato importante è che cinque mila gruppi etnici costituiscono, in due terzi dei Paesi mondiali, il 10 per cento delle popolazioni: questo fatto, che comporta la sfida di saper gestire la ricchezza della diversità, “è, probabilmente – dice il rapporto delle Nazioni Unite – la grande scommessa da vincere nei prossimi anni” anche per evitare che quei 900 milioni di persone, che subiscono oggi discriminazioni, non tramutino queste discriminazioni in atti violenti che potrebbero essere una delle più grandi cause di destabilizzazione del nostro mondo. Ed infine, c’è un terzo dato che vorrei sottolineare: in 20 Paesi la speranza di vita è ancora al di sotto dei 40 anni e la grande causa è l’Aids, flagello che colpisce soprattutto le fasce più produttive delle società, un problema rispetto al quale anche il segretario generale Kofi Annan ha rilanciato un grande appello per sforzi straordinari.

 

D. – Quali sono, secondo lei, le strategie che si dovrebbero attuare per tentare di colmare questo divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri?

 

R. – Le strategie devono essere composite. Si parla da troppo tempo della necessaria riforma delle istituzioni sovra-nazionali. E’ il momento di passare ai fatti, occorre, in questo momento, lanciare un processo di riforma, perché le situazioni che ancora oggi non consentono di governare i problemi, che sono sempre più interdipendenti, abbiano delle strutture adeguate. La nostra proposta quindi è quella di indire una grande Assemblea generale delle Nazioni Unite, alla quale possano partecipare le rappresentanze della società civile e dei parlamenti nazionali per varare questa riforma. Dall’altra parte però penso che l’impegno di tutti noi, la scelta di stili di vita solidali, preoccupati e aperti anche agli altri che fanno delle differenze un valore, sia altrettanto importante.

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LOTTA ALL’AIDS: SI RIPARTE DALLA CONFERENZA MONDIALE DI BANGKOK

PER ABBASSARE I PREZZI DEI FARMACI E PER AUMENTARE I FINANZIAMENTI

PER LA PREVENZIONE E L’INFORMAZIONE

- Intervista con padre Robert Vitillo -

 

 

“E’ ora di mettere a frutto tutto le risorse a disposizione nella lotta contro l’AIDS”. E’ l’appello lanciato dal direttore generale del Programma delle Nazioni Unite per la lotta contro l’AIDS, Peter Piot, tracciando un bilancio della conferenza mondiale di Bangkok, la più grande mai organizzata sul virus, con oltre 17 mila partecipanti, conclusasi venerdì scorso. Il servizio di Francesca Sabatinelli.

 

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Bangkok segna il punto di svolta: non si possono nascondere i fallimenti nella lotta all’AIDS, ma si va avanti, riconoscendo gli sbagli e attuando nuove strategie per fermare l’epidemia. Padre Robert Vitillo, consulente speciale della Caritas Internazionale per l’AIDS, ha preso parte alla Conferenza:

 

“Finalmente, c’è la possibilità di mandare i medicinali anti-retrovirali ai Paesi del Terzo Mondo. I prezzi sono molto diminuiti. Inoltre c’è un grande sforzo da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), dell’UNAIDS (programma ONU contro l’AIDS) e delle Organizzazioni Non Governative, per far arrivare questi farmaci direttamente ai Paesi che più ne hanno bisogno”.

 

Rendere disponibili i farmaci è quindi una delle priorità. Non a caso, “Accesso per tutti” è stato lo slogan di Bangkok:

 

“Accesso non soltanto ai medicinali anti-retrovirali, ma anche ai servizi di base della salute; poi, accesso all’informazione, specialmente da parte dei giovani. In questo momento, la metà di tutte le nuove infezioni si sono rilevate tra i giovani tra i 15 e i 25 anni”.

 

Dalla Thailandia parte un appello all’unità delle forze anche per sconfiggere i pregiudizi e le discriminazioni contro coloro che sono affetti da HIV e AIDS; soprattutto parte un richiamo ad aumentare i finanziamenti:

 

“Il famoso ‘Fondo globale per l’AIDS, la malaria e la tubercolosi’ ha già mandato molti soldi ai Paesi del Terzo Mondo, però ancora c’è forte necessità. Alcuni governi non hanno risposto in maniera sufficiente”.

 

Dell’Asia si dice ormai da anni che sia una bomba ad orologeria. E’ in questa parte del mondo che si deve fermare un’epidemia che potrebbe risultare ancora più catastrofica di quella in Africa. L’India – ha detto dal palco della Conferenza Sonia Gandhi – è pronta a raccogliere la sfida dei farmaci generici e stanno per partire i primi programmi governativi per le terapie:

 

“Io sono rimasto molto impressionato dallo sforzo compiuto dalla Chiesa in India per rispondere alla pandemia: i vescovi del Paese hanno sviluppato un piano d’azione che comprende la sensibilizzazione di tutte le strutture cattoliche. E’ certo che la Chiesa svolgerà un ruolo molto importante in questo senso in India!”.

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I CITTADINI NON SMETTANO DI ESIGERE UNA TV DI QUALITA’:

E’ QUANTO EMERSO DALLA PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO ANNUALE

DEL COMITATO TV PER LA TUTELA DEI MINORI

- Interviste con Emilio Rossi e Riccardo Chieppa -

 

 

Il cittadino non si arrenda e continui a lottare per esigere una televisione di qualità. E’ quanto è emerso dal Rapporto annuale presentato in questi giorni a Roma dal Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione TV e minori: sono stati sessantaquattro i programmi televisivi sanzionati, a partire dal 16 aprile 2003. A finire nel mirino, soprattutto le trasmissioni Rai e Mediaset: fiction, reality show, varietà, pubblicità. Il servizio di Francesca Smacchia:

 

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“Si tratta di fischiare dei falli come fa l’arbitro, affinché il gioco proceda rispettando le regole” lo sottolinea Emilio Rossi, presidente del Comitato per la tutela dei minori in tv, a margine della Conferenza sul bilancio di attività annuale. Sono 64 gli interventi sanzionatori del Comitato che ha avviato 185 istruttorie in base a segnalazioni da parte di organismi, associazioni e singoli cittadini. Le reti più colpite da questi provvedimenti sono soprattutto Rai due e Italia uno. Emilio Rossi ha posto l’attenzione sulla necessità di non permettere alle emittenti, che sono state sanzionate, di archiviare il procedimento attraverso il pagamento di una somma, e di non dare un contributo statale anche a quelle emittenti locali che trasmettono programmi a luci rosse. Ciò che auspica è quindi un monitoraggio più completo da parte delle autorità e che le sanzioni siano più consistenti e tempestive.

 

“Le violazioni riguardano essenzialmente violenza e volgarità. Siamo però arrivati ad una svolta, perché la nuova legge mette le cose in termini più forti e più precisi. Fino adesso solo le emittenti che avevano sottoscritto il codice nel novembre 2002 potevano essere richiamate alla sua osservanza, d’ora in poi, avendo la legge nuova recepito il codice, non ha più importanza che un’emittente lo abbia o meno sottoscritto. Quindi, si passa da un’osservanza per patto ad un’osservanza per legge. La seconda fondamentale differenza è che fino adesso la parte di procedimento che veniva gestita dall’autorità riguardava solo violazioni di legge, d’ora in poi l’autorità ha titolo per intervenire anche per violazioni del codice. Il codice diventa quindi una normativa equiparata alla legislazione. Quel che preme è portare gradualmente un cambiamento di mentalità e sensibilità in tutti: emittenti, famiglie, scuola”.

 

Secondo Riccardo Chieppa, vice-presidente del Comitato per la tutela dei minori in tv, è necessario migliorare i comportamenti delle emittenti.

 

“Noi cerchiamo di fare elevare la qualità, ossia che, in quelle ore in cui le famiglie fanno affidamento di poter far vedere la televisione ai propri ragazzi, siano trasmessi programmi dedicati anche ai minori. Le grosse emittenti, quelle che hanno tre reti, avrebbero l’obbligo, in determinate fasce orarie, per lo meno su una rete, di trasmettere un programma adatto a loro. La legge 112 insiste molto sul carattere educativo di elevazione, di progresso, d’informazione adatta anche ai minori, quindi la Commissione tenderà a far rispettare queste regole”.

 

Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori, sostiene che gli interventi del Comitato sono incisivi anche se rallentati dall’autorità per le comunicazioni.

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INAUGURATA IERI LA 34.MA EDIZIONE DEL GIFFONI FILM FESTIVAL,

IL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA PER RAGAZZI

- Intervista con Claudio Gubitosi -

 

 

E’ stata inaugurata ieri la 34.ma edizione del Giffoni Film Festival, il festival internazionale del cinema per ragazzi in programma fino al 24 luglio a Giffoni Valle Piana, vicino Salerno. In un'edizione che sarà attraversata dal tema del ''Desiderio'', registi, attori e sceneggiatori incontreranno i 1300 giurati, tutti ragazzi, provenienti da tutto il mondo che, divisi in quattro sezioni, giudicheranno 35 film e 26 cortometraggi. Ma quali sono gli obiettivi di questa manifestazione? Luca Pellegrini lo ha chiesto al direttore artistico, Claudio Gubitosi.

 

 

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R. – Per questa 34.ma edizione abbiamo lavorato tanto per fornire al nostro pubblico, ai ragazzi giunti qui a Giffoni da tutti i Continenti, un pacchetto di film, che saranno graditi soprattutto a chi ha voglia di nuove scoperte: il programma è complesso e siamo consapevoli che i ragazzi osservano e non dimenticano nulla, imparano in fretta facendo critiche, a volte in modo anche spietato, senza compromessi e sovrastrutture. I giovani amano o scelgono un film con il cuore e non in base a momentanee opinioni. Abbiamo scelto non i migliori film, ma credo quelli giusti, quelli che sanno rappresentare il  mondo dei giovani e che riescono, tra l’altro, anche a comunicarlo agli adulti. Giffoni, sì, è un Festival per ragazzi, dove loro sono gli assoluti protagonisti, pensate 1300 giurati di 25 Nazioni, ma è anche un oggetto veramente da scoprire, anno per anno, nonostante i suoi 34 anni di vita. Ho scelto per quest’anno il tema del “desiderio” per mostrare cosa pensano, cosa desiderano i ragazzi, qual è il loro obiettivo, quali sono i loro desideri: se desiderano, innanzitutto. E i loro problemi: dalle piccole cose “mi manca il computer”, a quelle più grandi: “vorrei tanto che i miei genitori fossero di più con me”; dal desiderio di fuggire alla ricerca di nuovi desideri, fino al desiderio della solitudine, o perfino della violenza e dell’illegalità. Questo è un po’ il filo rosso che segna, soprattutto nelle due sezioni più adulte, l’esperienza del Festival di quest’anno.

 

D. – Ma che cosa significa insegnare ai ragazzi a scoprire oppure a saper condurre il desiderio, attraverso il cinema?

 

R. – Il cinema per loro è pane quotidiano e quindi di conseguenza è lo strumento più immediato per capire e per parlare. Il film in un Festival fondamentalmente serve all’industria cinematografica, ma Giffoni smette un po’ questi panni. Qui tu hai la possibilità di capire i gusti di questi ragazzi, i film e i temi che vogliono portare avanti. Chi frequenta il cinema vuole un certo tipo di prodotto. Dall’altra parte però Giffoni è formazione, è un osservatorio privilegiato per i produttori, per i distributori, per capire in anticipo qual è l’evoluzione anche dei gusti dello spettatore e qui succede qualcosa in più. Il cinema non viene banalizzato, il cinema viene discusso e scomposto, i registi hanno la possibilità di spiegare e di difendere le proprie scelte, ed i ragazzi hanno il diritto, finalmente, di parlare e di dire ‘questo mi piace o no’, indipendentemente da quelle che sono le scelte ‘tecniche’. Qui, appunto, il film si vede per il cuore che batte e non soltanto per la musica che è perfetta o per la scena che è stata ben girata.

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CHIESA E SOCIETA’

18 luglio 2004

 

 

UNA PREGHIERA SPECIALE PER I CRISTIANI DEL PAKISTAN, VITTIME DA ANNI

DI PERSECUZIONI E DI DISCRIMINAZIONI DA PARTE DEI FONDAMENTALISTI MUSULMANI, SARA’ RECITATA OGGI DA TUTTE LE CHIESE DELL’INGHILTERRA

 

BRADFORD. = Tutte le Chiese dell’Inghilterra pregheranno oggi per i cristiani del Pakistan. L’“Organizzazione per la tutela dei cristiani dell’Asia e del Pakistan”, con sede a Bradford, ha chiesto ai fedeli inglesi di unirsi in preghiera per la drammatica situazione della libertà religiosa nel Paese asiatico. I cristiani del Pakistan, infatti, sono da anni vittime di discriminazioni e di persecuzioni da parte degli estremisti musulmani, che spesso si servono della legge sulla blasfemia per reprimere qualunque atto ritenuto incompatibile con la legge islamica. Dal 1986, almeno 79 cristiani e 289 musulmani sono stati accusati di blasfemia. Altri, invece, sono in attesa di processo. Anche quando non si arriva all’omicidio, l’atteggiamento verso i cristiani è di grande intolleranza. L’appello dell’“Organizzazione per la tutela dei cristiani dell’Asia e del Pakistan” chiama i fedeli a pregare per le famiglie delle ultime vittime dell’intolleranza religiosa, per i giudici e la polizia nell’esercizio delle loro funzioni sui casi di blasfemia e per il presidente Pervez Musharraf, che si è espresso a favore di una revisione della legge, delle ordinanze “Hudood” e del cosiddetto “delitto d’onore”, affinché abbia la forza di mettere in atto il suo progetto. Gli organizzatori della preghiera hanno dichiarato che pregheranno “in particolare per tutte la Chiese del Pakistan, che contribuiscono a dare vita e speranza a 10 milioni di cristiani”. (L.Z.)

 

 

UN MAGGIORE IMPEGNO PER CONTRASTARE IL DIFFONDERSI DELL’AIDS

E PER REALIZZARE L’ACCESSO A FARMACI E TERAPIE PER TUTTI. E’, IN SOSTANZA,

IL CONTENUTO DEL DOCUMENTO ELABORATO DAI LEADER RELIGIOSI

AL TERMINE DEL XV CONGRESSO INTERNAZIONALE SULL’AIDS, SVOLTOSI A BANGKOK DALL’11 AL 16 LUGLIO SUL TEMA “ACCESSO PER TUTTI”

 

BANGKOK. = I metodi per contrastare la diffusione dell’Aids sono ancora inadeguati. È, in sostanza, quanto emerge dal documento elaborato dai leader religiosi che hanno partecipato al XV Congresso internazionale sull’Aids, svoltosi dall’11 al 16 luglio a Bangkok, in Tailandia, sul tema “Accesso per tutti”. Nella dichiarazione, i capi di buddismo, cristianesimo, islam ed ebraismo assicurano che non si fermeranno fino a quando non si realizzerà, appunto, l’accesso per tutti a cure e medicinali. A tal proposito, hanno sottolineato la necessità di condividere “conoscenze ed esperienze in modo che gli sforzi diventino sempre più efficaci, rispettando l’unicità delle diverse tradizioni ma puntando ai valori condivisi, quali la dignità della persona e i diritti umani”. Nel documento, si riconosce anche “con rammarico che le comunità religiose finora non hanno fatto abbastanza per rispondere alle sfide che il virus dell’Hiv pone a tutta la famiglia umana, agendo spesso mosse da pregiudizio, ignoranza, paura”. Da qui i propositi di implementare politiche presso le strutture di ciascun Paese, al fine di combattere la tendenza ad emarginare le persone che hanno contratto l’Aids; di richiedere, per gli ammalati, assistenza e prezzi più bassi per i farmaci e i test di laboratorio; di appellarsi alle autorità istituzionali affinché adempiano alla responsabilità di realizzare il sogno dell’ “accesso per tutti” in tutto il mondo; di garantire, mediante attività educative ed incontri, un’accurata informazione sui modi che impediscono un’ulteriore diffusione del virus dell’Hiv. E ancora – si legge nella dichiarazione – “destineremo fondi aggiuntivi attingendo dalle risorse delle nostre comunità religiose, per aumentare il nostro contributo alla lotta all’Aids e promuoveremo risposte adeguate agli speciali bisogni dei bambini rimasti orfani a causa di questa malattia”. (D.G.)

 

 

IL SEQUESTRO DI PERSONA SIA CONSIDERATO UN CRIMINE CONTRO L’UMANITA’.

E’ QUANTO RICHIEDONO I PAESI ANDINI,

DOVE IL FENOMENO DEI RAPIMENTI COSTITUISCE UNA VERA E PROPRIA EMERGENZA

 

QUITO. = Il sequestro di persona sia dichiarato “crimine contro l’umanità”, perché colpisce i diritti basilari dell’uomo quali la libertà e il diritto alla vita. È la richiesta che verrà avanzata tra breve all’Organizzazione degli Stati americani e alle Nazioni Unite da parte dei Paesi della Comunità andina. I rappresentanti di Bolivia, Colombia, Perù e Venezuela, riunitisi nei giorni scorsi a Quito, in Ecuador, hanno dibattuto dei rapimenti di persona, che in America Latina costituiscono una vera e propria piaga sociale. Sequestri di poche ore, per riscatti anche esigui, di cui sono vittima soprattutto piccoli imprenditori, in quest’area del Continente americano sono all’ordine del giorno. A detenere il primato è la Colombia, dove i rapimenti ad opera della guerriglia sono circa 7mila all’anno. Segue, con 3mila sequestri, il Messico. (D.G.) 

 

 

VI SAREBBE IL GOVERNO RWANDESE DIETRO LA PRESA DI BUKAVU

E GLI SCONTRI DI UN MESE FA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO.

E’ L’ACCUSA CONTENUTA NEL RAPPORTO DIFFUSO, IERI, DALLE NAZIONI UNITE

 

NEW YORK. = Dietro la presa di Bukavu e i cruenti scontri avvenuti un mese fa nella Repubblica democratica del Congo vi è il presidente rwandese, Paul Kagame. Ad accusare il governo di Kigali, questa volta, è il rapporto diffuso, ieri, da una commissione di esperti delle Nazioni Unite. Nel documento si sostiene che il Rwanda ha quindi violato l’embargo militare deliberato lo scorso anno per le regioni congolesi appena uscite da due sanguinosi conflitti. L’accusa era stata mossa anche dall’esecutivo di Kinshasa, tanto da spingere il presidente del Congo, Joseph Kabila, a schierare truppe lungo la frontiera con il Rwanda. Sempre ieri, intanto, i ministri degli Esteri di Uganda, Repubblica democratica del Congo e Rwanda si sono incontrati a Washington sotto l’egida del Dipartimento di Stato americano. Al centro dei colloqui, l’impegno per il consolidamento della stabilità regionale. (D.G.) 

 

 

IN BRASILE AUMENTANO LE INVASIONI ABUSIVE DI TERRENI

DA PARTE DEL MOVIMENTO SEM TERRA

 

SAN PAOLO. = In costante incremento le occupazioni abusive di terra da parte del Movimento Sem Terra (MST) brasiliano, che quest’anno già superano quelle del 2003 e degli anni precedenti. Con l’invasione avvenuta ieri di una fazenda nel Portal de Paranapanema, nello Stato della capitale San Paolo, una delle zone più calde nella disputa per la riforma agraria, le conquiste di terre da parte del MST ammontano a 230, rispetto alle 222 dell’anno scorso e alle 123 del 2002. Un fenomeno, dunque, che non accenna a migliorare, nonostante i negoziati in corso tra i membri dell’esecutivo brasiliano e i leader del Movimento, e le numerose concessioni ottenute da quest’ultimo. Dure le critiche da parte dell’associazione latifondisti. “Il governo – ha commentato il presidente dell’organizzazione, Luiz Antonio Nabhan Garcia – è passato dal ruolo di ostaggio dei “Sem Terra” alla connivenza pura e semplice”. Secondo i vertici del MST, invece, “soltanto una vasta mobilitazione sociale, con una differente politica economica più attenta ai bisogni delle classi indigenti, potrebbe risolvere la questione”. (D.G.)

 

 

RESPINTE, IERI, DAL MINISTERO DEGLI INTERNI ITALIANO LE RICHIESTE D’ASILO

PRESENTATE DAI 37 PROFUGHI DELLA NAVE UMANITARIA TEDESCA CAP ANAMUR.

IN SICILIA, INTANTO, SBARCANO ALTRI 147 IMMIGRATI CLANDESTINI.

E IL VIMINALE, DOMANI, DIVULGHERA’ UN VADEMECUM PER INTEGRARE GLI ARTICOLI DELLA LEGGE BOSSI-FINI BOCCIATI DALLA CONSULTA

 

CALTANISSETTA. = Imboccano strade diverse le sorti dei 37 immigrati africani giunti in Italia a bordo della nave umanitaria tedesca Cap Anamur. Ieri, 14 di loro sono stati trasferiti nel Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria, a Roma. Una decisione che preluderebbe all’espulsione. Per altri 22, invece, si profila la “protezione umanitaria”, una concessione che non dà le stesse garanzie dell’asilo politico ma che consentirebbe a questi extracomunitari di godere di un permesso di soggiorno regolare. Ancora incerto il destino dell’ultimo degli immigrati della Cap Anamur, trasferito nella struttura di accoglienza di Racalmuto, in provincia di Agrigento, dopo avere subito ammesso di non essere sudanese. La Commissione rifugiati del Viminale ha, dunque, respinto in blocco le richieste d’asilo presentate dai 37 uomini, per mancanza dei requisiti richiesti. A nessuno di loro è stato, infatti, riconosciuto lo status di rifugiato. Nella serata di ieri, intanto, la Guardia di Finanza ha soccorso un’altra imbarcazione con a bordo 147 immigrati, a 30 miglia a sud di Lampedusa. E domani, in seguito alla bocciatura della Corte costituzionale che giovedì scorso ha giudicato illegittima la legge Bossi-Fini in alcuni suoi articoli, il Ministero degli Interni invierà alle questure una direttiva per disciplinare il fenomeno dell’immigrazione clandestina. (D.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

18 luglio 2004

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

Ennesima giornata di sangue in Iraq. A Falluja la gente è scesa tra le strade a protestare dopo il raid americano che ha causato la morte di almeno 11 iracheni, mentre Manila ha annunciato per domani il ritiro definitivo del contingente filippino dal Paese. Il servizio di Barbara Castelli:

 

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In Iraq è caccia aperta al terrorista giordano Abu Musab al-Zarqawi, considerato l’emissario di Al Qaeda nel Paese e capo del gruppo armato che ieri ha rivendicato il fallito attentato contro il neo-ministro transitorio della Giustizia, Malek Dohan al-Hassan. Aerei americani, con il via libera del primo ministro iracheno, Iyad Allawi, hanno bombardato questa mattina uno stabile nella città ribelle di Falluja, a ovest di Baghdad, causando la morte di almeno 11 persone e il ferimento di altre sette. Subito gli iracheni si sono riversati nelle strade protestando per l’uccisione di donne e bambini. La violenza non si è arrestata stamani neppure a Tikrit, dove è finito in manette un ex generale della Guardia Repubblicana, il corpo armato speciale di Saddam Hussein. In quella che era la roccaforte dell’ex dittatore, inoltre, un’autobomba è esplosa vicino ad un posto di blocco, ferendo un poliziotto iracheno. Manila, intanto, continua a sperare per la sorte del cittadino filippino Angelo de la Cruz, in mano alla guerriglia, dopo aver annunciato il ritiro definitivo del suo esiguo contingente entro domani. Il premier polacco Marek Belka, invece, è giunto in visita in Iraq per assistere al previsto avvicendamento al comando della divisione multinazionale che le forze di Varsavia guidano nel settore centro-meridionale del Paese. Si tratta del primo capo del governo di un Paese della coalizione, a guida statunitense, che si rechi in Iraq dal 28 giugno, quando a sorpresa avvenne il passaggio lievemente anticipato dei poteri tra gli stessi alleati e il nuovo governo iracheno ad interim.

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L’Arabia Saudita ha ottenuto l’estradizione di 27 connazionali sospettati per attività legate al terrorismo e a minacce contro la sicurezza. Lo hanno annunciato stamani le autorità di Riad, senza, tuttavia, fornire ulteriori informazioni. Il governo saudita ha intrapreso da diverso tempo una campagna senza quartiere contro il terrorismo, in seguito a un’ondata di azioni armate che dal maggio dello scorso anno sono costati una novantina di morti e centinaia di feriti, compresi numerosi cittadini occidentali.

 

Sono tornati in libertà in Afghanistan cento prigionieri, di cui 66 pakistani, detenuti dopo la caduta del regime del talebani nel 2001. La scarcerazione è stata decisa dal presidente Hamid Karzaï, per ragioni umanitarie. Un rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato ieri, ha lamentato il persistere della mancata libertà politica nel Paese, che il prossimo ottobre e nell’autunno del 2005 sarà chiamato alle urne rispettivamente per le elezioni presidenziali e per quelle legislative.

 

Fiammata di violenza nello Yemen. In tre giorni l’esercito locale ha ucciso 90 insorti tra i sostenitori di un predicatore estremista, che si nasconde in una zona montagnosa del nord del Paese. Sale così a 300 vittime il bilancio di un mese di combattimenti.

 

Resta alta la tensione in Medio Oriente. Palestinesi armati hanno attaccato e dato alle fiamme la scorsa notte a Khan Yunes, nella striscia di Gaza, uno stabile in cui si trovavano forze leali al nuovo comandante dei servizi di sicurezza, Musa Arafat, che ha reso noto di non aver intenzione di dimettersi. Il leader del partito laburista israeliano, Shimon Peres, intanto, ha incontrato stamani il premier Ariel Sharon per preparare i negoziati formali sull’eventuale adesione dei laburisti all’attuale governo di coalizione. Ci riferisce Graziano Motta: anche con i partiti religiosi

 

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Avvio difficile delle trattative. Sharon ha respinto la richiesta fatta da Peres di un’intesa preliminare sul cambiamento della piattaforma politica ed economica dell’attuale governo. Qualsiasi problema, tuttavia - ha detto Sharon - potrà essere sollevato nel corso dei negoziati tra le delegazioni dei due partiti che cominceranno questa sera. Eppure, su una richiesta specifica verosimilmente avanzata da Peres, di una ripresa del dialogo di pace con l’autorità palestinese, Sharon ha opposto un diniego, ripetendo la risposta poco dopo il loro incontro in Consiglio dei Ministri. Egli si è riferito alla gravissima crisi dell’Autorità palestinese venuta alla luce con la contestazione da parte dei gruppi armati della rivolta, in nome della lotta alla corruzione e della necessità di riforme. In effetti, pur avendo Arafat destituito il capo della polizia e nominato un nuovo capo delle forze di sicurezza - suo nipote, il generale Musa Arafat - la contestazione prosegue. I gruppi armati, emanazione del suo partito Al Fatah, occupano a Gaza il comando di queste forze ed esigono un diverso comandante. E’ chiaro che è in corso una lotta di potere: i capi dei gruppi armati, affermatisi in quattro anni di Intifadah, intendono raccogliere i frutti politici rifiutando che, ritiratisi i soldati ed i coloni israeliani da Gaza, tornino alla ribalta personaggi dell’antico establishment. Fra questi lo stesso primo ministro Abu Ala che oggi, in un colloquio con Arafat, ha confermato le sue dimissioni. Arafat, per comporre la crisi, ha chiesto aiuto all’Egitto, che ha rivolto un appello ai palestinesi di dar prova di responsabilità e di dignità, per provare al mondo intero di essere in grado di dar vita ad uno Stato indipendente.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Ma torniamo alle consultazioni tra Sharon e Peres. Quali sono le prospettive? Roberto Piermarini lo ha chiesto all’inviato speciale e analista di questioni mediorientali del Corriere della Sera, Antonio Ferrari:

 

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R. - La decisione di Sharon di smantellare le colonie ebraiche nella Striscia di Gaza, e alcune anche in Cisgiordania, è una decisione che ha creato chiaramente grande interesse in Israele. Nella stragrande maggioranza, l’opinione pubblica è favorevole a questa mossa, che, tuttavia, ha creato un odio crescente da parte dell’estrema destra. Le prospettive sono obbligatoriamente buone, perché Sharon non può procedere a questa operazione se non con un largo consenso politico, consenso che non aveva più! Anche perché abbiamo sempre considerato Sharon come rappresentante dell’estrema destra israeliana, ma in effetti Sharon non è più l’estrema destra israeliana, è soltanto un “centro-destra” e alla sua destra c’è gente che assolutamente non vuole accettare questo tipo di procedura, cioè quella di smantellare gli insediamenti a Gaza e in parte della Cisgiordania. Sharon, quindi, avrà assolutamente bisogno di un consenso politico più ampio e l’unico partito che glielo può dare è il partito laburista.

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Il Portogallo ha un nuovo governo. L’esecutivo di Pedro Santana Lopes, leader del Partito socialdemocratico (Psd), ha prestato giuramento ieri davanti al presidente della repubblica, Jorge Sampaio. Lopes, designato dopo le dimissioni di Jose Manuel Durao Barroso, che sostituirà Romano Prodi alla presidenza della Commissione europea, avrà come vice-primo ministro con competenza sull’eco-nomia Alvaro Barreto. Il secondo vice-premier e ministro della difesa, invece, sarà Paulo Portas, leader del Centro Democratico Social-Partido Popular (Cds-Pp).

 

E’ finito in manette Dejan Milenkovic, un serbo ricercato per la presunta partecipazione all’assassinio del primo ministro serbo Zoran Djindjic. Il 34.enne è stato arrestato venerdì sera a Salonicco, nel nord della Grecia. Il premier serbo è stato ucciso il 12 marzo 2003, davanti alla sede del governo serbo a Belgrado. 

 

Si è concluso in Iran il processo per l’omicidio della fotoreporter irano-canadese Zahra Kazemi, uccisa nel luglio 2003 mentre era agli arresti a Teheran. Il giudice ha messo fine questa mattina al dibattimento, senza accogliere alcuna delle richieste avanzate dalla parte civile. Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace 2003, aveva domandato che il processo fosse trasferito ad altra Corte, che contemplasse il reato di omicidio volontario e che le indagini proseguissero per trovare i veri colpevoli.  E’ attesa ora la sentenza nei confronti dell’unico imputato, l’agente del ministero dell’Intelligence Reza Ahmadi, accusato di omicidio preterintenzionale.

 

La Bolivia oggi alle urne per il referendum sulla politica energetica nazionale. Gli oltre 4,4 milioni di elettori sono chiamati a scegliere se mettere fine o meno alla stagione del neoliberismo, che ha ceduto il petrolio, e soprattutto il gas, al capitale straniero. L’appuntamento elettorale, difeso a spada tratta dal presidente Carlos Mesa, è stato contestato, invece, dai movimenti sindacali, dagli indios e da alcuni esperti di questioni andine, che hanno sottolineato l’ambiguità delle cinque domande referendarie. I primi risultati della tornata elettorale si avranno in serata.

 

Hanno preso il via ieri a Nairobi, in Kenya, i colloqui di pace tra l’inviato delle Nazioni Unite in Burundi, Carolyn McAskie, e le forze del Fronte di Liberazione Nazionale (Fnl), l’ultimo movimento ribelle attivo nel Paese. Al centro dei colloqui la firma di un cessate-il-fuoco, dopo la mancata intesa tra i guerriglieri, attivi nei pressi della capitale, e il presidente burundese, Domitien Ndayizeye. Sul terreno, intanto, tre ribelli hanno perso la vita e altri 17 sono stati catturati venerdì, nel corso di un’operazione militare sulla collina di Musenyi, una quarantina di chilometri a sud di Bujumbura.

 

Il premier italiano, Silvio Berlusconi, e l’ex ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, si sono recati ieri sera nella clinica di Lugano dove il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, è ricoverato da alcuni giorni per uno scompenso cardiaco. Il leader della Lega deciderà oggi se restare ministro oppure optare per il seggio a Strasburgo.

 

E’ giunto questa mattina a Tokyo, visibilmente debole, Charles Jenkins, il sergente americano accusato di aver disertato nel ’65 trasferendosi in Nord Corea, dove ha sposato una giapponese rapita nel ‘78 dai nordcoreani. Il 64.enne, accompagnato dalla consorte, è giunto in Giappone per sottoporsi ad alcune cure mediche. Gli Stati Uniti ne hanno chiesto l’estradizione.

 

 

 

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