RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 191 - Testo della trasmissione di venerdì 9 luglio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Nuova escursione del Papa questa mattina tra i boschi
della Valle d’Aosta.
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La Chiesa di Hong Kong “addolorata” per la
nuova legge sull’educazione
Il primo ministro cambogiano
Hun Sen pronto ad inviare truppe contro i rifugiati Montagnard
Amnesty International denuncia che nel pianeta un
abitante su dieci possiede un’arma.
Il sito della Chiesa di Genova
on-line con una veste del tutto rinnovata
Attesa tra poco la sentenza della Corte
internazionale di giustizia dell’Aja sul muro che Israele sta costruendo in
Cisgiordania
In Iraq continua il dramma degli ostaggi:
sequestrati due cittadini bulgari da un gruppo di guerriglieri
Ricorre oggi, in Iran, il quinto anniversario
della protesta studentesca duramente repressa dalla polizia.
9
luglio 2004
IL
PAPA CHIEDE ALLE NAZIONI RICCHE MAGGIORE SOLIDARIETA’ VERSO I PAESI POVERI.
L’INVITO GIUNGE IN OCCASIONE DEL SEMINARIO INTERNAZIONALE
SU “POVERTA’ E GLOBALIZZAZIONE” ORGANIZZATO
OGGI A ROMA
DAL
PONTIFICIO CONSIGLIO GIUSTIZIA E PACE.
PRESENTATA
DAL CANCELLIERE DELLO SCACCHIERE BRITANNICO
UN’INIZIATIVA
PER CENTRARE GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO
- Interviste con il cardinale Martino e il
cardinale Mc Carrick -
“Molto è stato fatto per ridurre
il peso del debito che affligge i Paesi poveri ma occorre fare di più”. E’
l’invito che il Papa rivolge alla comunità internazionale in una lettera
inviata al cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace, promotore del seminario internazionale
in corso oggi a Roma sul tema: “Povertà e globalizzazione: il finanziamento
allo sviluppo e agli Obiettivi del Millennio”. All’iniziativa prendono
parte responsabili di agenzie dell’Onu e membri di organizzazioni cattoliche di
solidarietà. Nel contesto del seminario, il Cancelliere dello Scacchiere
britannico, Gordon Brown, ha illustrato - poco fa - un’iniziativa per
raddoppiare l’aiuto ai Paesi più poveri, portandolo da 50 a 100 miliardi di
dollari, al fine di raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio entro
il 2015. Il progetto è stato illustrato in una conferenza stampa, seguita per
noi da Alessandro Gisotti:
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“Abbiamo bisogno di una nuova
creatività nella carità, così da trovare mezzi più efficaci per una più giusta
distribuzione delle risorse mondiali”. E’ questa la viva esortazione del Papa
in un messaggio al cardinale Martino per l’occasione odierna, sottolinea come
la Chiesa sia fortemente impegnata a far sì che venga centrato l’obiettivo del
millennio, che prevede il dimezzamento entro il 2015 del numero di persone che
nel mondo vivono in povertà. “Molto – scrive il Pontefice – è stato fatto per
ridurre il peso del debito, che affligge i Paesi poveri, ma molto ancora
bisogna fare” affinché le nazioni in via di sviluppo, sfuggano ai terribili
effetti della povertà.
Il Papa richiama così i Paesi
ricchi a “rispettare il dovere di solidarietà con chi è meno fortunato” in
altre parti del mondo. D’altro canto il Pontefice sottolinea che il sostegno
finanziario degli Stati ricchi deve essere accompagnato da una “dimostrazione
di trasparenza e responsabilità” da parte dei Paesi che ricevono questi fondi.
In tale contesto, il Santo Padre evidenzia che la Chiesa accoglie positivamente
“soluzioni innovative” di finanziamento allo sviluppo come l’International Finance Facility,
progetto britannico che proprio stamani è stato presentato qui a Palazzo San
Calisto dal Cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown. “L’iniziativa - ha
spiegato – si basa sulla raccolta per dieci anni di risorse pari a 50 miliardi
di dollari l’anno”, grazie all’emissione di obbligazioni sul mercato
internazionale dei capitali. Brown ha sottolineato che questi fondi saranno
destinati a migliorare le condizioni degli ospedali e delle scuole nei Paesi
poveri. Il ministro del Tesoro britannico ha, quindi, confermato che sono già
numerosi gli Stati che hanno dato il proprio appoggio a questo progetto, che il
Regno Unito si impegna a sponsorizzare con forza il prossimo anno, in seno al
G8, di cui Londra assumerà la presidenza di turno. Brown ha infine espresso
l’auspicio che l’International
Finance Facility
trovi sempre maggiori consensi nella comunità internazionale, affinché gli obiettivi
tracciati al Vertice del Millennio non restino una chimera.
Da Palazzo San Calisto, Alessandro Gisotti, Radio
Vaticana.
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Sul significato e gli obiettivi
di questo seminario sul finanziamento allo sviluppo, Alessandro Gisotti ha
intervistato il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente di Giustizia e
Pace:
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R. - Lo scopo è quello di attirare l’attenzione del mondo
e specialmente dei governi dei Paesi sviluppati alle necessità del mondo in via
di sviluppo. Il debito estero, la situazione interna dei Paesi, varie
ingiustizie riguardo il commercio estero devono essere superate. Gli stessi
Paesi interessati, da soli, non ce la fanno ed hanno quindi bisogno della “mano
di un buon samaritano” che li aiuti ad alzarsi e a camminare da soli. Vogliamo
che i Paesi poveri siano resi capaci di essere protagonisti del proprio
sviluppo e attori del proprio futuro.
D. – Sembra esserci oggi, almeno come percezione diffusa,
una maggiore attenzione dei Paesi ricchi nei confronti dei Paesi poveri.
D’altro canto, è anche vero che siamo molto lontani da quegli obiettivi di
riduzione del debito, di finanziamento allo sviluppo. C’è, quindi, una certa
divaricazione tra proposte e poi reali e concrete iniziative…
R. – Il nostro seminario ha proprio questo scopo, quello
cioè di richiamare l’attenzione e di incoraggiare non solo i governi ma anche i
comuni cittadini a fare pressione sui propri governi affinché si interessino di
questo villaggio globale. Quello che noi vorremmo è che il mondo sviluppato
tenga fede a quell’impegno preso 30 anni fa di dare lo 0,7 del proprio prodotto
interno lordo allo sviluppo dei Paesi poveri. Questi nuovi progetti, come la International
Finance Facility, che il governo britannico sta proponendo, rientrano nei
piani della Santa Sede nel promuovere l’aiuto a chi è più povero.
D. – Il Papa ha più volte parlato di globalizzazione della
solidarietà. Cosa può fare su questo fronte la Chiesa? Quale può essere il suo
ruolo?
R. – Già l’esempio dei cattolici individualmente e delle
organizzazioni cattoliche in tutto il mondo, specialmente nel mondo in via di
sviluppo è presente, è evidente. Questo è meraviglioso ed è già una cosa che si
fa. Ma quello che bisogna raggiungere è l’interesse fattivo dei governi. Anche
i cattolici lo possono fare, facendo appelli: quando la società civile si
muove, anche i governi stanno ad ascoltare, perché dopo tutto è la società
civile che elegge i governi.
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Al simposio di Palazzo San
Calisto partecipa anche l’arcivescovo di Washington, il cardinale Theodore Mc Carrick, che – al microfono di Alessandro Gisotti –
parla dell’atteggiamento del governo americano nei confronti dei Paesi in Via
di Sviluppo:
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R. –
Credo che il governo degli Stati Uniti abbia deciso di tentare di fare qualcosa
per i poveri, con il varo del Fondo ad hoc. Questa iniziativa sta a
significare che c’è una volontà di appoggiare le nazioni povere, che hanno
molti debiti.
D. –
Gli Stati Uniti sono impegnati fortemente nella guerra contro il terrorismo.
Questo aspetto della politica americana può togliere fondi per lo sviluppo?
R. – Lei ha ragione, perché la quantità di denaro è
limitata. E’ sempre una questione di priorità. Noi, come Chiesa, abbiamo quale
priorità l’appoggio e l’aiuto ai poveri. Oggi dobbiamo essere forti per dire ai
leader di tutte le nazioni che bisogna appoggiare, aiutare i poveri.
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NUOVA ESCURSIONE DEL PAPA QUESTA MATTINA TRA I
BOSCHI DELLA VALLE D’AOSTA
- Servizio di Dorotea Gambardella -
Complice
la giornata di sole, il Papa anche oggi è uscito dalla sua abitazione, tra i
boschi valdostani di Les Combes, per una escursione che potrebbe protrarsi fino
al tardo pomeriggio. Ce ne parla Dorotea Gambardella:
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Giovanni Paolo II, apparso
sorridente, è uscito dalla sua villetta intorno alle 11.00. Come di consueto,
la meta verso la quale si è diretto il corteo papale è avvolta dal riserbo.
Ieri, invece, il Santo Padre ha
trascorso l’intera giornata a Mont Chaussi, nella zona di Quart, a 1.600 metri
di altitudine. Lì si trova un alpeggio con una balconata naturale, dalla quale
si contemplano i monti Milius e Becca di Nona. L’escursione ha giovato al
Pontefice che, ieri sera, è apparso anche lievemente abbronzato.
Sulla strada del ritorno, il
Papa si è fermato ai due posti di blocco prima del suo chalet, per salutare le
numerose persone che lo attendevano da ore. Il Santo Padre ha preso in braccio
due bambini, Riccardo, di pochi mesi, e Camilla di 7 anni, accarezzandoli e
baciandoli con aria divertita. Il suo rientro, intorno alle 20.00, ha colto
tutti di sorpresa visto che si trattava della sua prima gita e soprattutto
visto il tempo, piovoso e freddo per quasi tutto il pomeriggio.
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SCAMBIO DEGLI STRUMENTI DI RATIFICA
DELL’ACCORDO
TRA SANTA
SEDE E REPUBBLICA SLOVACCA
SULL’EDUCAZIONE
E L’ISTRUZIONE CATTOLICA
NOMINE
Il Santo Padre ha
accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi spagnola di
Mérida-Badajoz, presentata da mons. Antonio Montero Moreno, per raggiunti
limiti di età. Gli succede mons. Santiago García Aracil, finora vescovo di
Jaén. Mons. Santiago García Aracil è nato a Valencia l’8 maggio 1940 ed
è stato ordinato sacerdote il 21 settembre 1963. E’ stato assistente diocesano della “Juventud estudiantil
católica” (1966-1984) e assistente diocesano dell’Azione Cattolica (1972-1984).
Nel 1971 ha fondato a Valencia il “Centro di Estudios Universitarios (CEU) San
Pablo”. Nel 1984 è stato nominato vescovo titolare di Croe ed ausiliare di
Valencia, e nel 1988 vescovo di Jaén. In seno alla Conferenza Episcopale
Spagnola è presidente della Commissione per il Patrimonio Culturale.
Il Papa ha poi nominato ausiliari di Guatemala: mons.
Gustavo Rodolfo Mendoza Hernández, pro-vicario generale, cancelliere della
curia e parroco della parrocchia di "Nuestra Señora de Guadalupe"
dell'arcidiocesi di Guatemala, assegnandogli la sede titolare vescovile di
Selemsele; e padre Gonzalo De Villa y Vásquez, gesuita, consultore e rettore
dell'Università "Rafael Landívar", assegnandogli la sede titolare
vescovile di Rotaria. Mons. Gustavo Rodolfo Mendoza Hernández è nato
nella città di Guatemala il 19 ottobre 1934 ed è stato ordinato sacerdote il 21
settembre 1958. Mons. De Villa y Vásquez è nato a Madrid il 28 aprile 1954 ed è stato ordinato
sacerdote a Panamá il 13 agosto 1983.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Il Medio Oriente apre la prima
pagina: attesa per la sentenza dell'Aja sul "muro" israeliano in
Cisgiordania.
Nelle vaticane, il messaggio di
Giovanni Paolo II al cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in occasione di un seminario
dedicato alla povertà e alla globalizzazione; il Papa invita ad elaborare modi
sempre più efficaci per ottenere una distribuzione più equa delle risorse del
mondo.
Nelle estere, la notificazione
dello scambio degli strumenti di ratifica tra la Santa Sede e la Repubblica di
Slovacchia.
In Iraq non si arrestano le
violenze. Il premier iracheno conferma il ritrovamento di materiale nucleare e
radioattivo.
Nella pagina culturale, un
articolo di Marco Impagliazzo sul volume "I viaggi apostolici di Paolo
VI", che raccoglie gli Atti del convegno di Brescia.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema dei conti pubblici.
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9
luglio 2004
IERI
IN ARGENTINA IL 26° VERTICE DEL MERCOSUR,
IL
MERCATO COMUNE SUDAMERICANO
-
Intervista con Roberto Da Rin -
L'accettazione del Venezuela
come nuovo socio del MERCOSUR - il mercato comune sudamericano - lo slittamento
di un accordo di libero commercio con l'Unione Europea e la richiesta del Cile
di diventare un membro dell’organizzazione sono stati i punti salienti del
26.mo Vertice presidenziale del MERCOSUR, svoltosi ieri a Puerto Iguazù, nel nord dell’Argentina. Alla
riunione è stato presentato anche il progetto per la creazione di un Parlamento del MERCOSUR.
L’Assemblea sarà formata da 64 deputati ed avrà inizialmente prerogative
piuttosto limitate. Ma si tratta comunque di una novità importante per lo
sviluppo delle relazioni dei Paesi sudamericani. Lo conferma l’inviato del Sole
24 Ore, Roberto Da Rin, intervistato da Giancarlo La Vella:
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R. – E’ un segnale importante per chi cerca di mettere a
punto un’unione doganale che sia mano a mano più avanzata e che abbia dei
connotati – e questo i latinoamericani non lo nascondono – sempre più
somiglianti a quelli dell’Unione Europea. Questo è certamente un aspetto
positivo. Quello invece meno positivo è che è slittato a dicembre l’accordo tra
Unione Europea e MERCOSUR. E questo proprio perché ci sono alcune questioni non
risolte.
D. – Come per l’Unione Europea, il prossimo passo sarà
quello dell’allargamento?
R. – Sì, c’è un’idea del rafforzamento del MERCOSUR che si
sta profilando. Questo naturalmente con alcuni problemi da risolvere. Tutti
questi processi necessitano di tempi molto lunghi.
D. – Se l’Unione Europea guarda con favore allo sviluppo
del MERCOSUR, con quale spirito gli Stati Uniti osservano questi cambiamenti?
R. – Gli Stati Uniti non guardano con gran favore al MERCOSUR,
tanto da aver lanciato un’idea distinta, quella dell’Area di libero scambio
delle Americhe, che va dall’Alaska alla Terra del Fuoco. Questa potrebbe essere
una buona idea, soltanto se i rapporti di forza che gli Stati Uniti hanno
sempre mantenuto e perpetuato con molti Paesi latinoamericani, non si
ripetessero ancora e dando delle reali opportunità di sviluppo ai Paesi
latinoamericani, che con l’idea del MERCOSUR vorrebbero creare un loro nocciolo
duro. Eventualmente poi si potrebbe approdare a quest’area di libero scambio
delle Americhe, ma soltanto in un secondo momento. Gli Stati Uniti quindi il MERCOSUR
non lo hanno mai favorito, al contrario lo hanno sempre boicottato.
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I
VESCOVI DELL’EMILIA ROMAGNA E LE ASSOCIAZIONI CATTOLICHE UMBRE
SCENDONO
IN CAMPO IN DIFESA DELLE RADICI CRISTIANE.
PROFONDO
DISSENSO PER IL MANCATO RIFERIMENTO AI VALORI DELLA FEDE
NEGLI
STATUTI DELLE DUE REGIONI, RECENTEMENTE APPROVATI IN PRIMA LETTURA
- A
cura di Barbara Castelli -
Cresce il dibattito sugli statuti
regionali recentemente approvati in prima lettura da Emilia Romagna e Umbria.
“Proclamare che la regione Emilia Romagna si fonda sui valori del Risorgimento
e della Resistenza al nazismo e al fascismo - affermano i vescovi locali in una
dichiarazione - senza identificare nelle vicende della regione alcun altro
valore fondativo, significa censurare diciotto secoli di storia”. I presuli
lamentano, quindi, “la menzione generica dell’esistenza di un patrimonio
religioso”, che “sembra riferirsi a un patrimonio giacente e infruttifero, più
che a una radice ancora viva e vitale”. Nel nuovo Statuto, dunque, per i
vescovi emiliani, la religione appare “solo in senso negativo, cioè come
possibile fattore di discriminazione sociale”. Tra i diritti elencati nel
documento, concludono i presuli, non viene menzionato poi “il primo e
fondamentale di essi: il diritto alla vita, con tutto quello che ne dovrebbe
conseguire sul piano delle politiche, familiari, culturali ed economiche”.
A scendere in campo nella questione
per la regione Umbria è, invece, un gruppo di associazioni cattoliche della
diocesi di Perugia-Città della Pieve, in collaborazione con il Movimento ecclesiale
di impegno culturale (MEIC). In una lettera, in modo particolare, si chiede che
il testo faccia esplicito riferimento al “patrimonio spirituale e culturale,
civile e cristiano, caratterizzato dai movimenti benedettino e francescano, che
fa dell’Umbria una terra di pace e di Assisi la capitale mondiale del dialogo
tra le religioni”. I gruppi firmatari difendono, inoltre, l’istituzione della
famiglia. Nell’articolo 9 dello Statuto umbro, infatti, compare l’espressione
“tutela le varie forme di convivenza”. Le associazioni sottolineano così che si
tratta di una frase “equivoca” che “implicitamente equipara alla famiglia altre
forme di convivenza non meglio identificate”.
DIOCESI
STATUNITENSI SULL’ORLO DELLA BANCAROTTA
IN
SEGUITO AI CASI DI ABUSI SESSUALI
-
Intervista con padre Thomas Reese -
Cresce il numero delle diocesi statunitensi sull’orlo
della bancarotta, in seguito alle sentenze di risarcimento per i casi di abusi
sessuali. E l’avvio della procedura fallimentare chiesto ufficialmente
dall’arcivescovo di Portland, in Oregon, ha riaperto il dibattito sulla
liquidazione del danno alle vittime degli abusi. Colpire economicamente la
Chiesa locale – spiega il gesuita Thomas Reese, direttore della rivista America
– significa penalizzare molte persone che hanno bisogno del suo aiuto. Ascoltiamolo
al microfono di Charles Collins:
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“WE HAD A
SIMILAR SITUATION …
Abbiamo vissuto una situazione simile alcuni anni fa,
quando la Croce Rossa fu ritenuta responsabile di avere fatto ammalare di Aids
alcune persone, in seguito a trasfusioni di sangue infetto. Si pose anche
allora il problema di una pena per i colpevoli, e si fece *pagare alla Croce
Rossa una multa elevata. Questa multa non punì direttamente i responsabili –
che, nel frattempo, non lavoravano più lì – ma, piuttosto, i finanziatori della
Croce Rossa e la stessa organizzazione. In molti notarono che sarebbe stato meglio
punire direttamente i responsabili, magari con la galera, non la Croce Rossa
nel suo insieme. Allo stesso modo, questi enormi risarcimenti a cui le diocesi
sono obbligate non puniscono i responsabili degli abusi, ma piuttosto tutte
quelle persone che hanno bisogno della diocesi stessa: i ragazzi a cui serve
una borsa di studio per andare in una scuola cattolica, i senzatetto che hanno
bisogno di un ostello dove passare la notte… Ma la Chiesa non avrà più i soldi
per poter attuare questi programmi”.
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LE
CONCLUSIONI A STRASBURGO DELLA CONFERENZA EUROPEA PER LE
VOCAZIONI
-
Intervista con padre Riccardo Tonelli -
Speranze
per le vocazioni in Europa, nonostante la cultura occidentale non sembri favorire
la crescita nella risposta alla chiamata di Dio: è quanto emerge dal comunicato
conclusivo della “Conferenza europea per le vocazioni”, che si è svolta dal 1
al 4 luglio scorsi a Strasburgo. All’iniziativa, promossa dall’European Vocation
Service di Dublino, si è discusso della nuova realtà dell’Europa a 25 e
sulla situazione dei giovani nell’Unione allargata, per imparare ad offrire
loro idee coraggiose e mature che li aiuteranno ad ascoltare la chiamata di
Gesù “Vieni e seguimi”. Ma cosa significa “Promuovere una cultura vocazionale
in Europa”? Roberta Moretti lo ha chiesto a padre Riccardo Tonelli, direttore
dell’Istituto per la Pastorale giovanile presso la Pontificia Università Salesiana,
che su questo tema ha svolto la relazione introduttiva alla Conferenza:
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R. – La vocazione si muove all’interno dei modelli
culturali che noi respiriamo per il fatto di vivere in un certo tempo;
nell’Europa in genere, le vocazioni non sono tanto numerose proprio perché
stiamo assistendo ad una trasformazione culturale notevole. Se vogliamo ridare
spazio all’esperienza vocazionale, dobbiamo ricostruire una cultura
vocazionale, orientata verso la possibilità di una decisione di vita nel seguire
Gesù. Posso fare qualche esempio, riprendendo dei temi che abbiamo trattato.
Abilitare prima di tutto le persone al coraggio di decidersi, sapendo rischiare
e sapendo essere fedeli a questa decisione. Ci vuol poco, ad esempio, a
constatare come nella nostra cultura la decisione sia davvero sempre più
difficile e sia difficile essere fedeli all’eventuale decisione presa. Un
secondo atteggiamento, collegato alla capacità di vivere in interiorità, di
essere cioè persone capaci di contemplazione, di cogliere il senso del mistero,
superando le logiche dell’efficienza. Una terza caratteristica di questa
cultura è la capacità di scoprire che la verità della vita non può ignorare la
dimensione di limite: dolore, morte, incertezza fanno parte del nostro vivere e
dobbiamo imparare a guardare al futuro dentro questi limiti che accogliamo.
D. – Quali sono le gioie, i dolori e le ansie dei giovani
che vivono una vocazione religiosa nell’Europa di oggi?
R. – I giovani più sensibili si stanno rendendo sempre più
conto di avere una responsabilità profetica rispetto alla cultura che andiamo
respirando. Si tratta cioè di far vedere qual è il senso vero della vita; di
far vedere che consegnare la nostra esistenza al Signore Gesù non significa
‘perdere’, ma ‘ritrovare’; che sceglierlo non significa decidersi per lui perché
ci guadagniamo, ma decidersi per lui perché possiamo servire meglio la vita e
la speranza di tutti. Ora, io conosco molti giovani religiosi che sentono di
avere una funzione per l’Europa, ma ci stiamo chiedendo qual è la ragione di
questa Unione. Certo, non può essere quella di facilitare il mercato, ma
dovrebbe essere quella di restituire speranza a tutti, e siamo sempre più
consapevoli che la speranza con le ragioni oggettive di disperazione – e ce ne
sono tante – non può che ancorarsi nell’unico nome in cui avere la speranza,
che è il Signore Gesù.
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9
luglio 2004
LA CHIESA DI HONG
KONG “ADDOLORATA” PER LA NUOVA LEGGE SULL’EDUCAZIONE.
IL PROVVEDIMENTO, SOTTOLINEANO I
VESCOVI, DISTRUGGERA’ IL SISTEMA EDUCATIVO
HONG KONG.= Dopo due giorni di dibattito, è passata a Hong Kong la
nuova legge sulle scuole. La Chiesa cattolica, da tempo critica verso il provvedimento,
ha sottolineato in un comunicato che la nuova legge servirà a ridurre
l’influenza della Chiesa nell’educazione e a minare il sistema educativo. La
diocesi, tuttavia, ha affermato che continuerà a esprimere le proprie
responsabilità educative, fino al giorno in cui non sarà costretta a ritirarsi
dal sistema educativo. Alla vigilia del dibattito al Legco (Legislative
Council), il 6 luglio scorso, mons. Joseph Zen Ze-kiun, vescovo della diocesi,
e 500 cattolici si sono radunati fuori dell’edificio del parlamento per
una veglia di preghiera, domandando ai parlamentari di votare contro la legge.
La Chiesa cattolica e quella protestante sono presenti con le loro scuole dalla
metà del XIX secolo, ancora prima che il governo britannico varasse un sistema
educativo moderno nell’isola di Hong Kong. Le comunità cristiane in seguito
sono divenute partners nell’educazione insieme con il governo. Mentre Londra
non riusciva a soddisfare tutte le esigenze, gruppi cristiani hanno di loro
iniziativa aperto scuole, varato programmi, impegnato persone per offrire educazione
alle persone. Solo più tardi, dopo gli anni ‘50, il governo ha cominciato a
sostenere economicamente alcune di queste scuole. Nel 2000, il governo di Hong
Kong ha introdotto l’Education (Amendment) Bill 2002, in cui si richiede che
ogni scuola sostenuta economicamente dal governo appronti un comitato
organizzativo della scuola (School Management Committee, Smc) con valore
legale, separato da quello delle istituzioni educative (Sb). (B.C.)
IL PRIMO MINISTRO
CAMBOGIANO HUN SEN PRONTO AD INVIARE TRUPPE
CONTRO I RIFUGIATI MONTAGNARD,
LA MINORANZA CRISTIANA DEL VIETNAM CENTRALE NASCOSTA
NELLE FORESTE CAMBOGIANE DALLO SCORSO APRILE PER SFUGGIRE ALLA
REPRESSIONE
PHNOM PENH.= Sempre più critica la
situazione degli oltre 200 Montagnard, minoranza cristiana del Vietnam
centrale, fuggiti lo scorso aprile verso le foreste nord-orientali della
Cambogia dopo la violenta repressione che ha messo a tacere le loro richieste
di terra e libertà religiosa. Il primo ministro di Phnom Penh, Hun Sen,
infatti, ha deciso di inviare alcuni militari nella regione per stanare i
rifugiati. Questi ultimi da mesi vivono di espedienti nella giungla cambogiana,
con il rischio di contrarre la malaria, nutrendosi di tuberi e bevendo acqua
piovana. Fonti di The Cambodia Daily hanno riferito che più di 250
Montagnard potrebbero nascondersi lungo il confine e molti sono gravemente
malati. Il governo Hun Sen, tuttavia, continua a negare la presenza dei
Montagnard. “Dobbiamo valutare - ha fatto sapere il primo ministro - se sono
immigrati illegali o se vogliono formare, nascondendo i loro insediamenti, una
zona autonoma. Se così fosse, useremo anche la forza per impedirlo”. Hun Sen
ha, inoltre, fatto sapere che il suo governo permetterà all’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) di aprire un ufficio nel
nord-est del Paese, purché quest’area non venga usata come un campo profughi,
mentre ha negato la possibilità di aprirne uno a Phnom Penh per dare asilo ai
rifugiati. Le organizzazioni umanitarie a difesa dei diritti umani, intanto, si
stanno mobilitando. Unica voce fuori dal coro, la Croce Rossa cambogiana,
guidata da Bun Rany, moglie di Hun Sen, che considera gli aiuti ai profughi
fuori dalle proprie competenze, limitate, invece, al soccorso delle vittime dei
disastri naturali. Human Rights Watch (HRW), alla fine di maggio, ha
chiesto di aprire un’indagine sulle repressioni dello scorso aprile in Vietnam
e ha fatto pressione sul governo Hun Sen affinché sottoscrivesse la Convenzione
di Ginevra del 1951, riguardo alle condizioni dei rifugiati. Il Vietnam, dal
canto suo, ha negato l’esistenza dei rifugiati Montagnard e ha impedito
l’entrata nella zona centrale degli altopiani ad agenzie stampa e reporter.
(B.C.)
ANCHE UN MISSIONARIO
COMBONIANO DA DOMANI A BORDO DELLA NAVE TEDESCA,
CAP ANAMUR: L’IMBARCAZIONE CON 37 PROFUGHI
SUDANESI BLOCCATA
ORMAI DA 18 GIORNI AL LARGO DELLA COSTA SICILIANA
PORTO EMPEDOCLE.= Padre Cosimo
Spadavecchia, missionario comboniano che ha prestato il proprio servizio nel
Sudan per 18 anni, da domani salirà a bordo della Cap Anamur: la nave tedesca
con i 37 profughi sudanesi, bloccata dalle autorità italiane al largo di Porto
Empedocle, in Sicilia, ormai da oltre due settimane. Il religioso, domenica,
celebrerà la Santa Messa sull’imbarcazione, per volere dell’arcivescovo di
Agrigento, mons. Carmelo Ferraro, al quale i naufraghi, tutti cattolici, hanno
chiesto assistenza spirituale. Il mercantile Cap Anamur, dell’omonima organizzazione
umanitaria tedesca, aveva soccorso i 37 naufraghi al largo delle coste libiche,
dove, secondo le leggi internazionali, avrebbero potuto sbarcare. La nave è poi
approdata per alcuni problemi tecnici, a Malta, dove le autorità governative
non erano a conoscenza della presenza a bordo dei profughi, quindi si è diretta
verso la Sicilia, dove però è stata bloccata dalla Guardia costiera. La storia
della Cap Anamur comincia con l’emergenza dei profughi vietnamiti in fuga verso
la libertà nei mari del Sud della Cina. Questi viaggi su imbarcazioni malandate
e sovraccariche si risolsero in tragedia per migliaia di persone, che rimasero
vittime di tempeste o di assalti dei pirati. Nel 1979, il giornalista tedesco
Rupert Neudeck fondò insieme ad alcuni amici il comitato “Una nave per il
Vietnam” e noleggiò, per la missione di salvataggio, la nave da carico “Cap
Anamur”, così chiamata dal nome di un promontorio sulla costa turca. In
venticinque anni di attività, la “Cap Anamur” ha salvato oltre 10mila
naufraghi. (D.G.)
“EUROPA TERRA D’ASILO”:
È IL TITOLO DELLA RICERCA
SU ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE DEI RIFUGIATI
PRESENTATA OGGI A ROMA,
PRESSO
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANTO SPIRITO.
L’UNIONE
EUROPEA AUMENTERÀ PER IL PERIODO 2005-2010
GLI
STANZIAMENTI IN FAVORE DEI RICHIEDENTI ASILO
E DEI
RIFUGIATI ACCOLTI DAGLI STATI MEMBRI
- A
cura di Stefano Leszczynski -
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ROMA. =
Il dato positivo è stato illustrato da Patrick Lefèvre, rappresentante della Commissione
europea, nell’ambito della conferenza conclusiva del progetto Europa Terra
d’Asilo svoltasi stamani a Roma. Se da un lato gli sforzi dell’UE per garantire
l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia d’asilo si stanno
moltiplicando, dall’altro la Commissione europea sottolinea le disfunzioni di
alcuni sistemi nazionali che impediscono un corretto accesso ai finanziamenti
europei per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati. “L’Italia, per
esempio – fa notare Lefèvre – ha perso in 4 anni oltre il 60% dei finanziamenti
erogati dall’Unione in favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati: dai 9,1
milioni di euro riscossi dall’Italia nel 2000, si è passati a 2,3 nel 2003 e si
è giunti a 0,7 milioni nel 2004.” Una perdita dovuta essenzialmente alla mancanza
di dati corretti sulla situazione dei rifugiati nel Paese e che le ONG hanno
denunciato più volte. Per padre Francesco De Luccia del Centro Astalli di Roma
si tratta di una situazione imputabile ad una scarsa volontà politica di
sviluppare il sistema di accoglienza e ad un disinteresse politico di fondo per
le questioni dell’asilo. Una linea questa che rischia anche di esasperare le
tensioni a causa dell’alto costo sociale sostenuto dagli enti locali e dalla società.
La stessa Raffaella Milano, assessore per le politiche sociali del Comune di
Roma, ha lamentato l’isolamento istituzionale degli enti locali nell’affrontare
le problematiche di accoglienza ed integrazione dei rifugiati ed ha lodato
l’operato delle ONG impegnate nel settore. Infine, la rappresentante del Comune
di Roma ha auspicato una veloce approvazione di una legge organica sull’asilo
realmente basata sui principi fondamentali di solidarietà ed umanità. Unanime
da parte delle organizzazioni e degli enti locali che hanno preso parte al
progetto Europa Terra d’Asilo l’appello in favore di una pronta accoglienza in
Italia dei 37 profughi bloccati da giorni a largo di Porto Empedocle sulla nave
tedesca Cap Anamur.
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NEL PIANETA, UN ABITANTE SU DIECI POSSIEDE
UN’ARMA.
LO DENUNCIA AMNESTY INTERNATIONAL, CHE, IN
OCCASIONE
DELL’ODIERNA GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA
DISTRUZIONE DELLE ARMI,
RINNOVA LA RICHIESTA DI UN TRATTATO INTERNAZIONALE
SUL COMMERCIO DELLE ARMI
ROMA.=
Un trattato internazionale sul commercio delle armi è stato richiesto per
l’ennesima volta da Amnesty International, in occasione della “Giornata internazionale
per la distruzione delle armi”, che si celebra oggi. Dal canto suo,
l’organizzazione “Small Arms Survey”, in un rapporto presentato nei giorni
scorsi a Ginevra, in Svizzera, ha reso noto che l’Italia è seconda soltanto
agli Stati Uniti nella produzione di armi leggere e di piccolo calibro. Queste,
secondo Amnesty, rappresentano “la vera arma di distruzione di massa”. Ve ne
sono, infatti - denuncia l’organizzazione - 639 milioni in circolazione nel mondo,
cioè una ogni dieci persone. Non solo, annualmente, vengono prodotte 8 milioni
di nuove armi e 14 miliardi di munizioni. Ogni anno, inoltre, viene smarrito e
rubato circa un milione di armi. In particolare in Iraq, nel 2003, nei depositi
militari abbandonati in tutto il Paese, sono state sottratte almeno 650 mila
tonnellate di armi ed esplosivi. Secondo Emilio Emmolo, della sezione italiana
di Amnesty International, “la proliferazione e l’uso incontrollato delle armi
leggere alimentano violazioni dei diritti umani, povertà, conflitti e
criminalità e causano ogni anno centinaia di migliaia di vittime”. Per questo
motivo, una coalizione costituita da Amnesty International, Oxfam e Rete
internazionale di azione sulle armi leggere, nell’ottobre 2003 ha lanciato in
oltre 50 Paesi una campagna denominata “Controllare le armi”. (D.G.)
IL
SITO DELLA CHIESA DI GENOVA ON-LINE CON UNA VESTE DEL TUTTO RINNOVATA.
DIVERSE
E VARIEGATE LE INIZIATIVE PROPOSTE SULLA PAGINA INTERNET
- A
cura di Dino Frambati -
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GENOVA. = La Chiesa di Genova si propone on-line con un
bel sito, completamente rinnovato rispetto all’esistente, attivo nei giorni
scorsi e realizzato dallo sforzo corale di molti uffici e componenti della
curia di Piazza Matteotti, in primis quello delle comunicazioni sociali. Una
novità presentata dallo stesso arcivescovo, cardinale Tarcisio Bertone, cui peraltro
è dedicata ovviamente ampia parte del sito, da sempre convinto assertore che pure
la fede possa avvalersi vantaggiosamente delle nuove tecnologie e di Internet
in particolare. Se l’aspetto visivo del nuovo sito è quello di una grafica più
chiara e moderna, il suo vero valore sta nei contenuti, con le molte
informazioni su storia, avvenimenti, associazioni cattoliche, la missione di
Santo Domingo, fatti culturali, tesori architettonici e artistici della diocesi
all’ombra della lanterna, comprese persino notizie sulle agenzie di viaggio
diocesane e le sue iniziative. Nella proposta web, inoltre, appare primaria la
lettura de “Il Settimanale cattolico”, organo di stampa ufficiale della Chiesa
genovese. Molte, infine, e assai cliccate, le pagine sul cardinale Dionigi
Tettamanzi, già arcivescovo del capoluogo ligure. Per concludere sono da citare
le ampie pagine, con oltre 130 immagini, delle chiese genovesi, delle quali
viene anche fornita un’anagrafe e gli orari di celebrazione delle messe.
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9
luglio 2004
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Il muro in Cisgiordania all’esame
della Corte internazionale di giustizia: è una sentenza attesa da quattro mesi,
quella che il Tribunale dell’Aja dovrebbe emettere tra poco. Ma sulla stampa
israeliana di oggi si sono già diffuse anticipazioni ed indiscrezioni. Il
nostro servizio:
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Il muro
di separazione che Israele sta costruendo in Cisgiordania è contrario alle
leggi internazionali, va smantellato e devono essere pagati compensi ai
palestinesi per le proprietà loro confiscate: secondo il quotidiano israeliano
Haaretz sarebbe questa la sentenza del tribunale dell’Aja che sarà letta tra
poco. La Corte internazionale avrebbe chiesto, inoltre, che l’Onu prenda
“misure supplementari” contro la barriera di sicurezza. Il giornale Haaretz
aggiunge che il verdetto è stato sottoscritto da 14 giudici, con il solo voto contrario
dell’americano Thomas Buerghental. Nella decisione della Corte dell’Aja –
sempre secondo il documento pubblicato dal quotidiano israeliano – il governo
di Ariel Sharon viene invitato a rispettare “la libertà di accesso ai Luoghi
Sacri che sono sotto il proprio controllo”. In attesa della lettura della
sentenza, il portavoce del governo di Tel Aviv Avi Pazner ha dichiarato,
intanto, che Israele è pronto a discutere della linea di separazione dopo il
previsto ritiro da Gaza. Pazner ha anche ribadito l’opinione dell’esecutivo di
Sharon sul Tribunale dell’Aja: “Non ha alcuna giurisdizione” sulla decisione
che si appresta a prendere; il verdetto non è vincolante. La Corte
internazionale di giustizia è stata incaricata, infatti, della controversa
questione del muro dall’Assemblea generale dell’Onu lo scorso 8 dicembre 2003.
In quell’occasione, le Nazioni Unite hanno richiesto un parere consultivo sulle
conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione della barriera da parte del
governo di Tel Aviv. L’odierna sentenza ha dunque un carattere non vincolante
ma si
tratta, senza dubbio, di una raccomandazione dal grande significato politico.
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In Iraq un gruppo di guerriglieri
ha dichiarato di aver preso in ostaggio due cittadini bulgari. I rapitori minacciano
di ucciderli entro 24 ore se le forze della coalizione non libereranno dei
detenuti. Il governo di Sofia ha reso noto che non cambierà la propria politica
sul Paese arabo. Nel drammatico capitolo relativo agli ostaggi si deve comunque
rimarcare una buona notizia. Il marine americano di origine libanese Ali
Hassoun, rapito da estremisti islamici lo scorso mese di giugno, si trova
nell’ambasciata americana a Beirut. Lo ha rivelato la Cnn citando fonti del
Pentagono, secondo le quali il militare verrà prossimamente trasferito in una
base militare statunitense in Germania per una serie di accertamenti medici. Un
comunicato dell’esercito americano ha inoltre reso noto che ieri un soldato
statunitense è rimasto ucciso in seguito a combattimenti.
Cresce l’allarme terrorismo negli Stati Uniti. Il ministro
americano per la Sicurezza interna, Tom Ridge, ha dichiarato che la rete di Al
Qaeda sta preparando un attacco su larga scala negli Stati Uniti per
condizionare la campagna elettorale per la Casa Bianca. L’attenzione
dell’amministrazione americana, che non ha alzato il livello di sicurezza nel
Paese, è riversata soprattutto sulle imminenti convention repubblicane e
democratiche di New York e Boston.
“Una ferita profonda nel corpo del mondo universitario”.
Così un comunicato dell’Università di Teheran ricorda il quinto anniversario
delle violenze sugli studenti e della rivolta poi duramente repressa da miliziani
islamici e forze di sicurezza iraniane nel 1999. Era la sera del 9 luglio quando scoppiarono gli
scontri nei quali perse la vita uno studente. Molti altri giovani, che
rivendicavano maggiori diritti, sono ancora in carcere. In Iran ogni anno si
tengono manifestazioni - peraltro quest’anno vietate - per non dimenticare la
tragedia di quell’estate. Giada Aquilino ha chiesto al giornalista iraniano
Ahmad Rafat, già segretario della stampa estera in Italia, di ricordare quei
momenti drammatici:
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R. – Cinque anni fa ci fu una repressione brutale: furono
distrutte le case degli studenti, intervenne la polizia nell’Università - dove
per legge non potrebbe entrare - e tutto questo per reprimere un movimento di
studenti che era iniziato con la chiusura di uno dei più importanti giornali
indipendenti di Teheran, “Salam”. Quel giorno saltò il rapporto tra gli
studenti e la società civile e ora nessuno ha voglia di dimenticare. Anche
perché i colpevoli di quel massacro di studenti non furono mai né arrestati né
processati, perché le richieste dei ragazzi per una maggiore libertà ed una maggiore
democrazia sono ancora valide e perché la situazione è peggiorata negli ultimi
cinque anni. Un anno fa, poi, una giornalista e fotografa iraniana con
passaporto canadese che era a Teheran per coprire il quarto anniversario della
rivolta degli studenti - mentre fotografava i genitori che protestavano fuori
dal carcere per i figli che da quattro anni sono in prigione senza un processo
- fu arrestata e morì in seguito a maltrattamenti ricevuti durante gli
interrogatori: fu colpita alla testa con un oggetto contundente.
D. – Esiste un bilancio certo della repressione del
regime?
R. – I bilanci in Iran sono difficili da fare, perché
molto spesso le fonti ufficiali tacciono ed altre fonti danno numeri diversi.
Personalmente, posso dare un bilancio per quanto riguarda la repressione nel
campo giornalistico degli ultimi 12 mesi: un giornalista morto; 11 reporter in
carcere; 47 giornali chiusi definitivamente; 10 mila siti internet, che rappresentano
l’ultimo rifugio per poter parlare ed esprimersi liberamente in Iran, sono
stati bloccati. Questo è soltanto un cenno di quanto sta accadendo in questi
ultimi mesi in Iran.
D. – Cosa significa quindi libertà di espressione oggi in
Iran?
R. – Significa la gran voglia di comunicare,
di parlare, di dire, nonostante tutto. Credo che la marcia degli iraniani per
la democrazia, che è iniziata qualche anno fa, sia ormai inarrestabile.
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Si
profilano i timori di un nuovo conflitto nell’Ossezia del sud, la regione
separatista georgiana al confine con la Russia, dopo che ieri duecento ribelli
hanno fermato una quarantina di militari georgiani. In seguito all’accaduto, la
Georgia ha richiesto, per la prima volta, l’intervento delle forze russe per il
mantenimento della pace nella regione.
L'ex generale croato, Mirko Norac, si è
dichiarato ieri non colpevole di fronte al Tribunale penale internazionale
sull’ex Jugoslavia. Norac è accusato di crimini di guerra ai danni della
popolazione civile serba di Croazia, commessi durante il conflitto bellico dei
primi anni novanta. L’ex generale sta già scontando una pena di 12 anni per
crimini compiuti nel 1991 nella regione della Lika, quando era comandante
militare di tale zona.
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