RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 188 - Testo della trasmissione di martedì 6 luglio 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Appello
delle Acli a varare una riforma fiscale che tuteli la famiglia: il commento di
Luigi Bobba
CHIESA E SOCIETA’:
Approvata in Vietnam la legge sulle credenze religiose
Ha
preso il via oggi a Genova la Settimana dell’accoglienza
Nuove violenze nei
territori palestinesi. Intanto, a Gerusalemme si riunisce il quartetto sul
Medio Oriente ed è atteso il capo dell’Agenzia per l’energia atomica per
parlare di nucleare
Arrivata in Iraq una
delegazione della Nato: addestrerà l’esercito iracheno
In Italia, tensione nella
maggioranza dopo le dimissioni di Tremonti. L’interim di Berlusconi
all’economia, secondo l’opposizione, aggrava il conflitto di interessi.
6
luglio 2004
LE
VACANZE DEL PAPA: PRIMA BREVE USCITA TRA I BOSCHI DELLA VALLE D’AOSTA
-
Intervista con Salvatore Mazza e Osvaldo Naudin -
Il Papa
ha fatto oggi la sua prima breve uscita
tra i boschi della Valle d’Aosta a Les Combes nel comune di Introd, dove
è giunto ieri per un periodo di riposo fino al 17 luglio. Intorno a mezzogiorno
ha lasciato la villetta dove alloggia per recarsi in macchina sulle alture
vicine. Ma diamo la parola all’inviato di Avvenire Salvatore Mazza:
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Come
era prevedibile il Papa ha subito approfittato della bella giornata. Stamattina
era piuttosto bello il tempo, c’era un sole molto caldo. E’ uscito, anche se è
rimasto nei dintorni dello chalet che lo ospita in questi giorni, senza
scendere giù a valle per andare verso mete più lontane. Probabilmente è stata
una scelta dovuta al fatto che era la prima uscita di queste vacanze e per
ambientarsi in questa situazione. E’ andato in un pianoro che sta appena al di
sopra della sua casa, sempre nel comune di Introd. Tra l’altro c’è da
considerare che lo chalet dove abita è circondato da un bellissimo bosco, che
già da solo offre una soluzione di riposo molto valida.
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Ma cosa ama in particolare il Papa della Valle d’Aosta? Ci
risponde il sindaco di Introd Osvaldo Naudin:
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Gli piace il
clima, gli piacciono le sue montagne, i suoi ghiacciai, la sua neve, che è
magnifica; gli piace la gente, perché è gente molto riservata, non ha
l’ossessione di volerlo vedere o incontrare a tutti i costi, quindi rispetta il
suo riposo, sa che viene da noi per riposarsi, per pregare, per meditare e
quindi lo lascia tranquillo. Senz’altro la gente è però anche molto orgogliosa
di poterlo ospitare. Ieri ho incontrato il Santo Padre, l’ho salutato e l’ho
visto di buon umore e questo è di buon auspicio per l’inizio delle sue vacanze.
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RIPRESI IERI A GERUSALEMME GLI INCONTRI TRA
ISRAELE E SANTA SEDE SULL’ATTUAZIONE DELL’ACCORDO FONDAMENTALE FIRMATO NEL 1993
-
Intervista con padre David Maria Jaeger -
Si è svolto ieri a Gerusalemme un incontro tra le
delegazioni di Israele e Santa Sede sull’attuazione dell’Accordo Fondamentale
firmato dalla due parti il 30 dicembre del 1993. La delegazione vaticana era
guidata da mons. Gianfranco Gallone, segretario della nunziatura apostolica in
Israele, quella israeliana da Gadi Golan, capo del dipartimento affari
religiosi del Ministero degli Esteri.
L’Accordo Fondamentale, siglato più di 10 anni fa, ha
segnato una svolta storica grazie alla quale Israele e Santa Sede potevano
allacciare pieni rapporti diplomatici. Tuttavia, nell’agosto dello scorso anno
Israele aveva ritirato la propria delegazione dai negoziati che si stavano
svolgendo per raggiungere l’intesa definitiva sui punti rimasti in sospeso. Ma
come si è svolta la riunione di ieri e quali sono stati i risultati? Francesca
Sabatinelli lo ha chiesto a padre David Maria Jaeger, portavoce della Custodia
francescana di Terra Santa e consultore del Pontificio Consiglio per i testi
legislativi:
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R. – Si è svolta in un clima di grande cordialità. Posso
formulare un principio generale: quando si negozia con uno Stato, è bene che la
delegazione dello Stato abbia i poteri necessari per negoziare, perché finché
la delegazione dello Stato – qualsiasi Stato, si intende! – non avrà i poteri
necessari per negoziare e concludere, nessun negoziato potrà fare progressi.
D. – Padre David Jaeger, quindi quali sono i punti che
ancora rimangono in sospeso?
R. – I negoziati mirano a tre cose: a risolvere i nodi dei
rapporto Chiesa-Stato in tre settori. Il primo è lo statuto fiscale della
Chiesa: diritti e doveri riguardo alle tasse, esenzioni e obblighi, e
soprattutto consolidare le esenzioni che la Chiesa ha avuto da sempre sotto
tutti gli Stati precedenti ed in forza di Trattati internazionali. Inoltre, si
tratta del desiderio della Chiesa cattolica di vedersi restituire alcune
proprietà ecclesiastiche, espropriate o comunque perse nel corso degli anni. Il
terzo settore riguarda la partecipazione dello Stato al sostentamento delle
opere sociali ed educative della Chiesa in favore non di se stessa, ma della
popolazione locale. Questi sono gli argomenti definiti già 10 anni fa; la
trattativa dovrà continuare tra il 6 e il 9 settembre: che entrambe le
delegazioni abbiano i poteri necessari per negoziare!
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NOMINE
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale della diocesi di Mandeville in Giamaica,
presentata da mons. Paul Michael Boyle, dei Passionisti, per raggiunti limiti
di età. Gli succede mons. Gordon Dunlap Bennett,
della Compagnia di Gesù, finora vescovo titolare di Nesqually e ausiliare
dell’arcidiocesi di Baltimora negli Stati Uniti.
Quindi
il Papa ha nominato consultori della Congregazione delle Cause dei Santi mons.
Romano Penna, membro della Pontificia Accademia Teologica, don Alfonso Chacón
Oreja, professore straordinario di storia della Chiesa e della teologia presso
la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, i padri Alfredo Simon,
benedettino, docente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università
Gregoriana di Roma, Giuseppe Phan Tan Thanh, domenicano, professore di teologia
presso l'Università S. Tommaso d'Aquino di Roma, Luigi Padovese, dei Frati
Minori, professore di teologia spirituale e di teologia patristica presso
l'Antonianum di Roma, Francois-Marie Lethel, carmelitano scalzo, membro della
Pontificia Accademia Teologica, Alberto Valentini, monfortano, docente presso
la Pontificia Facoltà di Teologica "Marianum" di Roma, Luigi Nuovo,
dei Lazzaristi, docente di storia della Chiesa e di storia della spiritualità
presso lo Studio Teologico Brignole Sale-Negroni di Genova.
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OGGI SU
“L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina la
situazione in Iraq, dove non si arrestano le sanguinose violenze.
Nelle vaticane, una pagina ad
un mese dal viaggio apostolico del Papa a Berna.
Una riflessione del Cardinale
Jozef Tomko sul Congresso Eucaristico internazionale che si celebrerà dal 10 al
17 ottobre 2004 a Guadalajara (Messico).
Nelle estere, in evidenza il
vertice dell'Unione Africana ad Addis Abeba. Il titolo del relativo articolo è
"Occorre rispondere all'invocazione d'aiuto delle popolazioni di un
Continente stremato da fame, povertà, malattie e guerra".
Nella pagina culturale, per la
rubrica "Oggi", una riflessione di Ferdinando Montuschi dal titolo
"Ma stiamo parlando proprio di didattica?": a proposito di alcune
reazioni riguardanti il nostro intervento sull'esame di maturità a Torino.
Nella pagina dell'
"Osservatore libri" un approfondito contributo di Gino Concetti
in merito al "Nuovo dizionario di bioetica" di Salvino Leone e
Salvatore Privitera, edito da Città Nuova.
Nelle pagine italiane, il
Premier: prima ridurre le tasse, poi il nuovo ministro dell'Economia.
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6
luglio 2004
I
LEADER DELL’UNIONE AFRICANA RIUNITI AD ADDIS ABEBA
PER
AFFRONTARE LE DRAMMATICHE SFIDE IN UN CONTINENTE
AFFLITTO
DA FAME, POVERTA’ E CONFLITTI INTERETNICI.
IN
PRIMO PIANO, LA CRISI NELLA REGIONE SUDANESE DEL DARFUR
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Tre giorni per discutere, ma
soprattutto per trovare possibili soluzioni ai mali, che mortificano le
speranze di progresso di un intero continente. Con questo ambizioso obiettivo,
si è aperto oggi ad Addis Abeba il terzo vertice dell’Unione Africana,
l’organizzazione - istituita nel luglio del 2002 - che riunisce 53 Paesi
africani. Al summit, che si chiuderà l’8 luglio, prende parte anche il
segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, a suggellare l’importanza
dell’appuntamento. In primo piano al Vertice dell’Ua la crisi nella regione
sudanese del Darfur, scenario di un drammatico conflitto. Il servizio di
Alessandro Gisotti:
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“Gli obiettivi a cui state
lavorando duramente sono messi in pericolo da terribili conflitti”, come nel
“caso del Darfur”. Se non si interviene, “si rischia la catastrofe”.
All’apertura del vertice dell’Unione Africana, il segretario generale dell’Onu,
Kofi Annan, ha scelto la via della chiarezza. Parlando di fronte ad una
quarantina di capi di Stato e di governo africani, Annan ha affermato che
emergenze come quella del Darfur rischiano di vanificare gli sforzi per
sconfiggere la povertà e la fame. Proprio la pacificazione della regione
sudanese è vista come un test delle capacità dell’Ua di risolvere le crisi
regionali. Dal canto suo, il governo di Khartoum ha accettato di partecipare ai
negoziati promossi dall'Unione Africana. Intanto, ieri, il direttore
dell'Unione per la Pace e la Sicurezza, Sam Ibok, ha annunciato l’invio
imminente nel Darfur di una forza di pace, che dovrà prestare soccorso alla
popolazione provata dall’emergenza umanitaria. Stamani, ad Addis Abeba, è
intervenuto anche il presidente della Commissione dell’Ua, Oumar Konaré, che ha
messo l’accento sulle potenzialità dell’Africa. Un continente, ha detto, che
nel 2025 conterà un miliardo e trecento milioni di abitanti. Tuttavia, ha
proseguito, affinché gli africani possano divenire nuovi protagonisti sulla
scena internazionale, c’è bisogno di un aiuto finanziario, simile a quello che
l’America offrì all’Europa all’indomani della II Guerra Mondiale.
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Al Vertice di Addis Abeba, dunque,
i riflettori sono rivolti soprattutto sulla crisi nella regione sudanese del
Darfur. Anche il presidente della Repubblica italiana, Ciampi, in un messaggio
ai partecipanti al Summit sottolinea che “l'intervento a tutela della dignità e
dei diritti fondamentali degli abitanti del Darfur non è ulteriormente
differibile”. Sulla complessa situazione nel quadrante sudanese e sulle
prospettive di questo Summit dell’Ua, Alessandro Gisotti ha intervistato padre
Giulio Albanese, direttore dell’agenzia missionaria Misna:
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R. – In Sudan, in questi mesi, si
dovrebbe concludere l’accordo globale tra lo Spla, l’Esercito di liberazione
popolare del Sudan, e il governo di Khartoum. Però, sappiamo che nel contempo è
aperto un altro fronte, quello nel Darfour. La verità è che in questo accordo
di pace, in effetti la società civile è stata esclusa. Il rischio grande è che
si ripeta quello che è già successo nel Congo: una vera e propria spartizione
del potere tra i “signori della guerra”!
D. – L’Organizzazione per l’unità
africana sulle cui ceneri è nata l’Unione africana, seguiva una politica di non
intervento nelle questioni interne dei vari Paesi: è ancora così?
R. – Bisogna insistere molto sul
regionalismo, in quanto sappiamo molto bene come il concetto di frontiera, di
confine in Africa sia molto labile e sia retaggio dell’epoca coloniale. Bisogna
aiutare l’Africa davvero a sviluppare una dimensione di comunione. Devo dire
che da parte di alcuni governi c’è questo tipo di sensibilità. Penso, per
esempio, al kenyano Mwai Kibaki. La responsabilità dei Paesi occidentali, in
particolare dell’Unione Europea, è quella di sviluppare una politica unitaria
nei confronti dell’Africa, perché se da una parte Bruxelles ha manifestato in
più di una circostanza grande attenzione all’agenda dei diritti umani, dicendo
che comunque la cooperazione non può prescindere dal rispetto dei diritti della
persona, dall’altra, singoli Paesi – pensiamo soprattutto alla Francia e al
Regno Unito – continuano a portare avanti le loro politiche bilaterali,
direttamente, con i Paesi che sono sotto la loro influenza.
D. – In questi giorni, il cardinale
Martino, in visita a Kinshasa, ha chiesto un rinnovato impegno per la pace
nella regione dei Grandi Laghi, esortazione riecheggiata dai vescovi della
Repubblica democratica del Congo. Quale può essere, dunque, il contributo della
Chiesa africana?
R. – Certamente, le Chiese in
Africa hanno svolto un ruolo significativo nel contesto della società civile.
Ho sempre presente l’esperienza di mons. Giorgio Biguzzi,vescovo di Makeni in
Sierra Leone, che si è distinto nel sostenere il processo di pace in questo
Paese. Questa è un’esperienza significativa. Ce ne sono anche tante altre:
pensiamo al Kivu, nella Repubblica democratica del Congo... ciò non toglie però
che è importante anche che venga profuso un impegno maggiore a livello di
comunità cristiane, proprio dal punto di vista della catechesi. Una catechesi
che deve essere attenta agli aspetti sacramentali, ma che deve poi portare ad
un’azione pratica di fede.
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UN EX
GENERALE IN TESTA ALLE PRESIDENZIALI DI IERI,
MEGAWATI
RINCORRE E SPERA NEL BALLOTTAGGIO
-
Intervista con padre Silvano Laurenzi -
Agli elettori indonesiani –
chiamati ieri a scegliere il nuovo presidente, nelle prime elezioni dirette del
dopo-Suharto – non è bastato un turno per nominare il successore di Megawati
Sukarnoputri. In testa alle proiezioni c’è un suo ex ministro, il generale
Yudhoyono, forte del 33,6 per cento dei consensi. Il capo di Stato uscente lo
segue con il 26,6 per cento, poco sopra l’ex capo delle Forze armate, Wiranto,
che avrebbe ottenuto il 22,3. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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Sarebbe
l’ex generale Yudhoyono a guidare queste prime elezioni presidenziali in
Indonesia del dopo Suharto. Ministro della Sicurezza fino a tre mesi fa, famoso
per la sua integrità morale e per la sua determinazione nella lotta al
terrorismo dopo la strage di Bali, Yudhoyono dovrà però andare al ballottaggio
a settembre, non avendo ottenuto il 50 per cento dei consensi. Non è chiaro
ancora chi sarà lo sfidante di Yudhoyono, bisognerà aspettare i risultati
ufficiali tra circa 10 giorni. Il voto, che ha interessato 150 milioni di
elettori e migliaia di isole, si è svolto senza incidenti. Tra i 600
osservatori internazionali anche l’ex presidente americano Jimmy Carter che ha
detto che si tratta di una transizione straordinaria da un regime autoritario
ad una democrazia, in appena sei anni.
Per la
Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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L’affermazione di Yudohyono –
che ha mostrato ancora una volta il carisma dei militari sull’elettorato
indonesiano – era stata in parte annunciata dalle legislative di aprile, in cui
il Partito democratico dell’ex generale aveva ottenuto un inatteso 7,5 per
cento. Andrea Sarubbi ne ha parlato con padre Silvano Laurenzi, missionario a
Giakarta:
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R. – Yudohyono è una figura
nuova, anche se è già molto conosciuto come una persona in gamba, onesta, molto
rispettata. Per cui, non meraviglia. Si pensava già fin dall’inizio ad una
sfida tra lui e la Megawati.
D. – Come mai hanno preso così
tanti voti i candidati militari o ex-militari?
R. – Forse perché nel panorama
politico non c’è molto altro. La Megawati, forse, avrà un po’ deluso perché è
sempre indecisa e soprattutto – non avendo ottenuto l’appoggio che cercava – ha
attuato riforme molto deboli, che potrebbero comunque proseguire. Gli altri
candidati provenivano quasi tutti dalle forze armate: Wiranto è un ex-militare,
così come Yudohyono, mentre Amien Rais non riscuote la stima di tutti...
Inoltre, molti dei vice presidenti sono anch’essi ex-militari.
D. –
Proprio questa caratteristica, però, fa dire a molti che il passaggio alla
democrazia in Indonesia non è ancora compiuto...
R. –
Ma è un processo che sta avvenendo, perché io penso che – una volta avvenute
queste elezioni – anche se venisse eletto un ex-militare, deve stare molto
attento: il voto, adesso, è in mano alla gente. Chi vincerà dovrà risollevare
la democrazia, non si può ritornare alla dittatura!
D. –
Lei accennava prima agli sbagli di Megawati, a questa riforma incompiuta ...
R. – Secondo me, la presidente
attuale ha fatto molto, perché non era facile arrivare a queste elezioni con
tanta calma. Anche l’economia si è ripresa molto. Ci si aspettava di più,
forse, contro la corruzione, ma era molto difficile per un governo composto da
ministri che sono tutti un po’ coinvolti: è tutta gente del passato, che è
ancora al potere! Non è facile cambiare tutto…
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APPELLO
ALLE ACLI A VARARE UNA RIFORMA FISCALE CHE TUTELI LA FAMIGLIA
-
Intervista con Luigi Bobba -
“Le famiglie hanno bisogno di
tutele fiscali” è l’urgenza sottolineata dalle Acli, Associazioni cristiane
lavoratori italiane, che oggi hanno presentato presso la Sala Stampa della
Camera dei Deputati, a Roma, uno studio comparativo tra Italia e Francia. A
confronto 730 classi di redditi bassi, medi e alti. Massimiliano Menichetti ha
raccolto il commento di Luigi Bobba presidente delle Acli.
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R. – Ci siamo resi conto che la
famiglia è fortemente penalizzata in Italia. Il sistema fiscale, essendo basato
tutto sui redditi individuali, non tiene conto del nucleo familiare. Così che
una famiglia che ha un reddito 100, ma solo due componenti, è di fatto
privilegiata rispetto ad un famiglia che ha lo stesso reddito ma ha cinque
componenti. E abbiamo visto che le famiglie che sono numerose, che hanno dei
soggetti a disagio, per esempio un figlio con handicap, le famiglie
monoreddito, in termini percentuali contribuiscono di più al gettito pubblico
che non le altre famiglie. Ci pare un’ingiustizia lontana dai principi
costituzionali che dicono di promuovere la famiglia, con un’attenzione
particolare a quelle più numerose.
D. – Perché comparare il sistema
fiscale francese a quello italiano?
R. – Il sistema francese ci sembra
quello che meglio tiene conto della composizione effettiva del nucleo
familiare. Ha una progressività che parte da aliquote basse, per i redditi
bassi, ed aliquote alte, per i redditi alti.
D. – Si parla molto in politica
italiana di riforma fiscale e riforma a favore delle famiglie. Che cosa
proponete?
R. – Così come è impostata, la
riforma fiscale rischia di mantenere se non di allargare le distorsioni e le
disuguaglianze attuali. Noi diciamo che la linea del quoziente familiare è la
linea di una vera riforma fiscale e chiediamo che, se si deve fare questa
riforma, si faccia partendo da questo principio.
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6
luglio 2004
ISPIRATI
DAI VALORI DIVINI DEL PERDONO, DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE,
I
RELIGIOSI IN IRAQ CONTRIBUISCONO CONCRETAMENTE AL PROCESSO
DI NORMALIZZAZIONE IN ATTO NEL PAESE.
COSI’ IN UNA LETTERA IL PRESIDENTE
DELL’UNIONE SUPERIORI GENERALI
CITTA’
DEL VATICANO.= I religiosi cattolici presenti in Iraq contribuiscono al
“processo di normalizzazione del Paese, ispirati dai valori divini del perdono,
della misericordia, della giustizia e della pace”. Lo sottolinea, in una
lettera, il presidente dell’Unione Superiori Generali, fratel Alvaro Rodriguez
Echeverria. L’organizzazione raccoglie i 226 superiori generali di altrettante
congregazioni e ordini religiosi, per un totale di oltre 200 mila religiosi.
“Il fatto che siate così uniti con il popolo iracheno - si legge nella missiva,
datata primo luglio ma resa nota oggi - condividendone speranze, sofferenze e
desideri, rappresenta un incoraggiamento per noi e per tutta la Chiesa”. “La
vostra presenza è sempre più necessaria”, scrive fratel Rodriguez, che ricorda,
inoltre, le parole del vescovo di Orano, Pierre Claverie, nel 1996, a proposito
del martirio di sette trappisti in Algeria, appena 40 giorni prima di essere a
sua volta ucciso: “Noi stiamo qui a causa del Messia crocifisso. Per niente di
più e per niente altro”. “Voi - aggiunge ancora - non avete potere, non fate
parte di un’organizzazione potente e prestigiosa; non avete interessi da
salvaguardare né influenza da preservare. Per voi è questione di amore, solo
amore, di una passione che, come Gesù, vi rende capaci di creare spazi di vita
in abbondanza per il piccolo gruppo di cristiani per i quali la vostra presenza
è indispensabile e di conforto, ma anche per tutti gli iracheni, senza
attenzione alle differenze di etnia e religione”. “In questo storico momento -
conclude - noi siamo sicuri che contribuirete effettivamente all’attuale
processo di normalizzazione del vostro Paese, ispirati dai valori divini del
perdono, della misericordia, della giustizia e della pace”. (B.C.)
INAUGURATO IERI NELLE FILIPPINE IL PRIMO CONGRESSO DEL CLERO, LA PIÙ GRANDE RIUNIONE DI SACERDOTI
NELLA STORIA DELLA CHIESA DEL PAESE ASIATICO
MANILA.= Nelle Filippine oltre 3.900 preti e vescovi si sono
incontrati, ieri pomeriggio, a Manila per l’apertura del primo Congresso del
clero che si concluderà il prossimo 9 luglio. Accogliendo i partecipanti
all’incontro, l’arcivescovo di Davao e presidente della Conferenza episcopale
cattolica delle Filippine, mons. Fernando Capalla, ha illustrato gli obiettivi
del Congresso. “Questi cinque giorni che passeremo insieme – ha detto il
presule - sono momenti di grazia, di solidarietà e di scambio. Questo periodo
di condivisione del sacerdozio ministeriale di Cristo ci condurrà ad una Chiesa
e ad una nazione rinnovati”. Fra le priorità indicate dai vescovi per il
rinnovamento della Chiesa, mons. Capalla ha precisato che è contemplata la riorganizzazione
del clero. E’ una questione molto importante – ha sottolineato - “soprattutto
alla luce della recente crisi che ha interessato, in tutto il mondo, il clero
cattolico”. L’assemblea dei preti, la più grande riunione di sacerdoti nella
storia della Chiesa delle Filippine, costituisce “un passo vitale per la
crescita della fede”, ha inoltre affermato mons. Capalla. Il nunzio apostolico
nelle Filippine, mons. Antonio Franco, ha letto quindi la lettera inviata a
nome del Papa dal segretario di Stato vaticano cardinale Angelo Sodano a mons.
Gaudencio Rosales, arcivescovo di Manila e responsabile della Commissione per
il clero della Conferenza episcopale. Nel documento il Papa esprime l’augurio
che “i preti filippini siano consapevoli della sua vicinanza mentre sono
riuniti per ricevere dal Signore consiglio e grazia per il loro rinnovamento e
di quello della Chiesa locale e del Paese”. (A.L.)
APPROVATA
IN VIETNAM LA LEGGE SULLE CREDENZE RELIGIOSE.
PREOCCUPAZIONE
E’ STATA ESPRESSA DALLA CHIESA LOCALE SUL TESTO CHE, TRA
L’ALTRO, IMPONE PROCEDURE PIU’ SEVERE PER LA REGISTRAZIONE DI OPERE RELIGIOSE E
NEGA AI CARCERATI LA POSSIBILITA’ DI PARTECIPARE ALLE CELEBRAZIONI
HANOI. = L’Assemblea nazionale in
Vietnam ha approvato in via definitiva la controversa legge sulle credenze
religiose. Il provvedimento, che era in gestazione da sei anni, entrerà in
vigore il 15 novembre prossimo. Il testo approvato era stato presentato in via
provvisoria nel dicembre 2000, suscitando le reazioni negative del clero e dell’episcopato
vietnamita per il quale esso è peggiorativo rispetto alla legge sulla religione
di Ho Chi Minh del 1955, giudicata più liberale di quella attuale, ma di fatto
mai applicata. Giudizio confermato in questi giorni dal cardinale Jean-Baptiste
Pham Minh Man, arcivescovo di Ho Chi Minh City. Secondo le autorità vietnamite,
invece, essa vuole essere un aiuto alla pratica religiosa. Fonti dell’agenzia
AsiaNews ad Hanoi hanno confermato per parte loro che la legge è di fatto più
restrittiva sulla libertà religiosa. Essa, tra le altre cose, impone procedure
più severe per la registrazione di associazioni e opere religiose, vieta le
attività di propaganda religiosa in contrasto con la legislazione vigente e
nega ai carcerati la possibilità di partecipare alle celebrazioni. (L.Z.)
IL
VIRUS DELL’AIDS NEL MONDO RESTA UNA QUESTIONE APERTA E
SCOTTANTE.
E’
QUANTO EMERGE DALL’ULTIMO RAPPORTO DELL’ONU, PUBBLICATO OGGI A LONDRA
- A
cura di Barbara Castelli -
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LONDRA. = L’Aids nel mondo
continua a seminare morte e dolore: nel 2003 sono state tre milioni le vittime
del terribile virus. Secondo quanto riferisce l’ultimo rapporto delle Nazioni
Unite, reso pubblico stamani alla vigilia della 15.ma Conferenza Internazionale
sull’Aids, in programma a Bangkok (Thailandia) dall’11 al 16 luglio, nei cinque
continenti sono 38 milioni le persone affette dal virus,
compresi i cinque milioni di persone che lo scorso anno sono andate ad
accrescere l’esercito dei “nuovi” infetti. L’Africa subsahariana continua a
detenere il triste primato della regione al mondo più colpita dall’epidemia,
con tre milioni di persone affette dall’Hiv registrate solo nel 2003. La mappa
dell’infezione, comunque, segna situazioni preoccupanti anche in Asia, dove
vive il 60% della popolazione mondiale: Cina, Indonesia e Vietnam i Paesi
maggiormente colpiti. Dinanzi a questo orribile male, che ha causato, inoltre,
15 milioni di orfani nel mondo, saranno necessari 12 miliardi di dollari per la
prevenzione e la gestione del problema, tra il 2005 e il 2007. Con una tale
cifra, infatti, sarebbe possibile offrire i farmaci antiretrovirali a oltre 6
milioni di persone, assistenza a 100 milioni di adulti e corsi per 900 milioni
di studenti. Nel mondo insomma ci si sta mobilitando per far fronte alla
questione dell’Aids, ma ancora non abbastanza per riaccendere le speranze di
tanti disperati.
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“VIVERE
LA FEDE IN CRISTO OGGI, A GENOVA E IN EUROPA”:
E’ LO SLOGAN CHE ACCOMPAGNA LA SETTIMANA
DELL’ACCOGLIENZA
CHE HA
PRESO IL VIA OGGI A GENOVA.
L’INCONTRO,
DEDICATO AI GIOVANI, FA PARTE DELLE INIZIATIVE DIOCESANE
PER LA
LOCALITA’ LIGURE, CAPITALE 2004 DELLA CULTURA
- A
cura di Dino Frambati -
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GENOVA. = Sono molte migliaia i
giovani da ieri a Genova, provenienti da tutta Europa, e resteranno fino a
domenica prossima per la Settimana dedicata a loro nell’ambito delle iniziative
diocesane per Genova, capitale della cultura. “Vivere la fede in Cristo oggi, a
Genova e in Europa”, è il significativo titolo della Settimana
dell’accoglienza, avviata oggi con la visita alla città e riflessioni sul tema:
“La messe è molta ma gli operai sono pochi”. Domani mattina, invece, si
recheranno presso il Santuario del Gesù Bambino di Prada ad Arenzano, e nel
pomeriggio saliranno a quello della Madonna della Guardia, luogo di culto,
simbolo del capoluogo ligure. Giovedì da annotare un grande concerto serale di
musica sacra presso la Basilica di Carignano, la più grande di Genova. E per
dimostrare che non poteva mancare nella città più marinara d’Italia un momento
in mare, ecco che i giovani navigheranno in battello fino a Portofino. Sabato
grande momento finale alle 18, presso la cattedrale di San Lorenzo, dove i
partecipanti incontreranno il cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo del capoluogo
ligure. Nei programmi delle giornate, momenti di approfondimento culturale,
preghiera e riflessione, ma anche la gioia di stare insieme con fraternità.
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6
luglio 2004
- A cura di Fausta Speranza -
Nuova
impennata di violenza nei territori palestinesi: a Nablus e a Kissufim, nel sud
della Striscia di Gaza, sono stati uccisi in violenti scontri sei palestinesi,
fra cui due civili, e un ufficiale dell'esercito israeliano. A Gerusalemme,
intanto, è iniziata una riunione degli inviati del quartetto sul Medio Oriente
(Usa, Russia, Onu e Ue), dedicata alle misure di accompagnamento del piano di
disimpegno da Gaza del premier israeliano, Sharon. Questa sera, inoltre, è
atteso a Gerusalemme il capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica,
Mohammed el Baradei, che dovrebbe parlare con i dirigenti israeliani del
progetto di un Medio Oriente senza armi nucleari. In una dichiarazione alla
radio militare Sharon ha fatto un indiretto accenno all'ipotesi che lo stato
ebraico disponga di armi nucleari, come sostengono diversi esperti stranieri.
Ma ci sono conferme? Ascoltiamo, nell’intervista di Giada Aquilino, il prof. Maurizio Simoncelli, docente di
geopolitica all’Università Roma Tre:
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R. – Effettivamente,
questo risulta abbondantemente. Secondo i dati dell’Istituto di ricerche per la
pace di Stoccolma, il Sipri, risulta che Israele abbia qualcosa come 200 armi
nucleari. Si dice che dal 1960 Israele si sia dotato di questo armamento
nucleare. Si parla di circa 100-200 missili con capacità di raggio di azione
tra i 500 e i 1.500-1.800 chilometri. Poi ha un piccolo arsenale aeronautico di
aerei in grado di portare bombe atomiche. In realtà lo ha sempre negato o,
meglio, ha sempre cercato di non confermare né smentire in merito.
D. –
Perché la linea usata da Israele sul nucleare è sempre stata quella
dell’ambiguità strategica?
R. – Per
poter lasciare uno spazio di minaccia imprecisata rispetto a Paesi vicini che
volessero attaccarlo e distruggerlo.
D. –
Qual è la posizione di Israele rispetto al Trattato di non proliferazione
nucleare?
R. – Non
lo ha sottoscritto, come India e Pakistan. Ne è fuori. Di fatto, è in grado di
produrre tutte le armi nucleari che vuole e teoricamente anche commerciarle o
quant’altro.
D. –
Quali conseguenze possono esserci, considerando il resto dei Paesi del Medio
Oriente?
R. –
Israele l’ha sempre detto: nel momento in cui fosse stato attaccato o messo in
difficoltà al punto tale che le proprie forze armate convenzionali non
potessero reggere un eventuale urto da parte dei Paesi attaccanti, sarebbe
stata pronta ad usare l’arma nucleare. Quindi c’è una minaccia nucleare
evidente nei confronti dei vicini con cui non ha buoni rapporti.
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In Iraq il marine americano, di
origine libanese, sequestrato lo scorso 21 giugno è stato rilasciato dai suoi
sequestratori. E nel Paese è stato assassinato un membro del
consiglio municipale di Adamyia, quartiere sunnita di Baghdad. La polizia
irachena ha ucciso, inoltre, un kamikaze che si apprestava a compiere un
attentato a bordo di un’autobomba nel nord del Paese. Per garantire una più
adeguata cornice di sicurezza nello Stato arabo è arrivata oggi a Baghdad una
delegazione della Nato in vista dell’avvio della missione che avrà come
obiettivo l’addestramento del nuovo esercito iracheno. Negli
Stati Uniti fa discutere, intanto, la mancata comunicazione da parte della Cia di informazioni
rilevanti sui programmi militari di Baghdad al presidente George Bush. Ce ne parla
Amedeo Lomonaco:
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Prima dell’attacco all’Iraq la Cia
non ha trasmesso al presidente americano informazioni, ricevute da parenti
degli scienziati iracheni, sulla decisione di Baghdad di rinunciare al proprio
programma per la produzione di armi di distruzione di massa. Lo riferisce il
quotidiano ‘New York Times’ citando funzionari governativi anonimi. Il
primo ministro britannico, Tony Blair, ha ammesso inoltre che le armi chimiche
e biologiche del regime di Saddam Hussein potrebbero non essere mai trovate.
Per quanto riguarda l’ex rais, la guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha detto che
l’attacco iracheno al suo Paese nel 1980 e gli otto anni di guerra che ne sono
seguiti, dovrebbero essere “i più importanti capi di imputazione contro
Saddam”. Ma ha anche aggiunto che devono essere gli stessi iracheni a dover
processare il loro ex presidente. Continua, intanto, la caccia al numero uno di
Al Qaeda in Iraq, Al Zarqawi. Durante un ennesimo raid aereo americano lanciato
ieri sera su Falluja, città dove si sarebbe rifugiato il terrorista giordano,
sono rimaste uccise almeno 15 persone. Sempre ieri tre soldati americani sono
morti in seguito a combattimenti avvenuti nella provincia di Al Anbar ed un
bambino è deceduto quando l’auto sulla quale viaggiava non si è fermata ad un
posto di blocco della coalizione ed è stata raggiunta da colpi di arma da
fuoco. Sono infine arrivati in Italia, questa notte, i soldati italiani feriti
ieri nell’incidente stradale costato la vita, a Nassiriya, al caporal maggiore
Antonio Tarantino.
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Il
rafforzamento della sicurezza alle frontiere e la cooperazione tra i corpi di
polizia e gli organi di intelligence ma anche l'uso dei dati biometrici nei
documenti di identità e di viaggio per innalzare il livello di contrasto al
terrorismo. Questi i temi in discussione nel corso del vertice dei ministri
dell'Interno del gruppo dei 5 (Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e
Italia) che è iniziato ieri a Sheffield, in Gran Bretagna, e che si concluderà
oggi.
Se gli
Usa dovessero attaccare gli impianti nucleari in Iran, la Repubblica islamica
risponderebbe con attacchi agli ''interessi dell'aggressore ovunque nel mondo''. Lo ha detto la Guida suprema,
ayatollah Ali Khamenei, citato oggi dalla stampa. ''Se il nemico - ha detto
Khamenei, durante una visita alla città di Hamedan, nell'ovest del Paese -
attacca i nostri interessi scientifici, naturali, umani o tecnologici, il
popolo iraniano taglierà le sue mani senza esitazione e metterà in pericolo gli interessi dell'aggressore in
ogni parte del mondo''. La Guida suprema iraniana ha anche invitato tutte le
autorità del Paese a ''mantenere la vigilanza contro quella che ha definito “la
guerra psicologica del nemico''. Gli
Usa accusano l'Iran di nascondere un programma di armamenti nucleari dietro a
quello dichiaratamente civile che sviluppa da molti anni. Il mese scorso
l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha criticato l'Iran per
un’insufficiente cooperazione con i propri ispettori, ma un giudizio conclusivo
è atteso per settembre.
Tony
Blair ha dichiarato oggi che il governo di Londra non ha ancora messo a punto i
'meccanismi' per garantire che i prigionieri britannici detenuti a Guantanamo
non diventino una minaccia alla sicurezza, una volta liberati. Durante
un'audizione ai Comuni, il premier britannico ha confermato di avere discusso
personalmente della questione con il presidente americano, Bush, ''qualche
settimana fa'', e ha aggiunto di non ritenere ''irragionevole'' il proposito di
Washington di continuare a tenere in custodia i prigionieri britannici finchè
il Regno Unito non sia in grado di offrire garanzie che non si trasformino in
una minaccia per la sicurezza se dovessero essere liberati. A Guantanamo sono
ancora detenuti quattro cittadini britannici. Altri cinque sono stati invece
riportati in Gran Bretagna a marzo e, una volta a casa, sono stati liberati
senza alcuna accusa.
Momento cruciale, oggi, nella
corsa alle presidenziali americane del prossimo novembre. Il candidato
democratico alla Casa Bianca, John Forbes Kerry, ha infatti scelto il suo vice:
si tratta del senatore della Carolina del Nord, John Edwards. Cinquantunenne,
avvocato di successo ed abile oratore, Edwards è stato il più temibile rivale
di Kerry per la nomination democratica. La notizia della scelta del candidato
democratico alla vicepresidenza è stata diffusa, poco fa, dai principali
network televisivi statunitensi.
In
Italia, dopo l’annuncio ufficiale stamattina in Senato delle dimissioni del ministro Tremonti e dell'interim del
premier al ministero dell'Economia, nel pomeriggio ci si aspetta di sapere se e
quando il premier Berlusconi potrà riferire in aula sulla vicenda. Intanto, per
venerdì è convocato il Consiglio dei ministri, con all'ordine del giorno la
manovra dei conti pubblici. Berlusconi entro 10 giorni dovrà far approvare dal
governo la manovra correttiva di 7,5 miliardi, presentata ieri ai ministri
europei. Da parte sua, l’opposizione sottolinea l’aggravarsi, con l’interim del
premier, del conflitto di interessi. Secondo il presidente dei senatori della
Margherita, Bordon, “il presidente del Consiglio, proprietario della più grande
concentrazione privata nel settore dell'emittenza, è ora, in quanto ministro
dell'Economia, azionista al 99 per cento della Rai”. Ma per il momento non si
parla di una nuova nomina per l’economia. L’indicazione fatta da An e Udc del
commissario europeo Mario Monti, economista di prestigio internazionale, sembra
naufragata perché incompatibile con la
linea di governo berlusconiano e decisamente osteggiata dalla Lega. Il servizio
di Gianpiero Guadagni:
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Nessun
avvertimento preventivo ma l’Unione Europea tiene comunque l’Italia sotto
esame. Il rispetto del patto di stabilità è garantito per quest’anno, ma va
confermato anche per il prossimo. E Bruxelles vuole capire, al di là delle
singole misure correttive, come cambierà la politica economica del governo
Berlusconi dopo le dimissioni del ministro dell’economia Tremonti. Dimissioni
dovute ad un contrasto ormai insanabile con il vice premier Fini, che da tempo
reclamava il ruolo di coordinatore delle politiche economiche. Ma il contrasto
tra Tremonti e Fini non era solo personale, piuttosto lo specchio della
contrapposizione interna alla maggioranza tra Forza Italia e Lega, da una
parte, e Alleanza Nazionale e Udc, dall’altra. L’asse tra Forza Italia e Lega,
che ruotava attorno alla figura di Tremonti, è basato soprattutto sul
federalismo, anche di stampo economico. L’asse tra An e Udc vuole privilegiare,
invece, l’interesse nazionale con un’attenzione rinnovata al dialogo con le
parti sociali. Nella prima metà della legislatura, ha sostanzialmente prevalso
la linea Forza Italia-Lega, ma adesso le cose sono un po’ cambiate, soprattutto
dopo il voto europeo e amministrativo che negli equilibri interni ha segnato
una vittoria per An e Udc. E i partiti di Fini e Follini hanno sollecitato il premier al cambio della
politica economica e di conseguenza del suo artefice.
Per la
Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.
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Chiunque
sarà eletto nuovo presidente filorusso della Cecenia il 29 agosto prossimo al
posto di Akhmad Kadyrov “avrà i giorni contati”. Lo ha detto il leader
indipendentista Aslan Maskhadov ribadendo che l'unica strada per il presidente
Vladimir Putin dopo i recenti rovesci nel Caucaso è “il ritiro delle truppe e
l'apertura di un negoziato”.
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