RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 188 - Testo della trasmissione di martedì 6 luglio 2004

 

Sommario

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Le vacanze del Papa: prima breve uscita tra i boschi della Valle d’Aosta. Ai nostri microfoni il sindaco di Introd e Salvatore Mazza

 

Ripresi ieri a Gerusalemme gli incontri tra Israele e Santa Sede sull’attuazione dell’Accordo fondamentale firmato nel 1993: con noi padre David Jaeger.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

I leader dell’Unione Africana riuniti ad Addis Abeba per affrontare le drammatiche sfide in un continente afflitto da fame, povertà e conflitti interetnici: ce ne parla padre Giulio Albanese

 

L’Indonesia cambia rotta: un ex generale in testa alle presidenziali di ieri, Megawati rincorre e spera nel ballottaggio: intervista con padre Silvano Laurenzi

 

Appello delle Acli a varare una riforma fiscale che tuteli la famiglia: il commento di Luigi Bobba

CHIESA E SOCIETA’:

Il presidente dell’Unione Superiori Generali sottolinea in una lettera come i religiosi in Iraq stiano contribuendo concretamente al processo di normalizzazione in atto nel Paese.

 

Inaugurato ieri nelle Filippine il primo Congresso del clero, la più grande riunione di sacerdoti nella storia della Chiesa del Paese asiatico

 

Approvata in Vietnam la legge sulle credenze religiose

 

Il virus dell’Aids nel mondo resta una questione aperta e scottante. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato oggi a Londra

 

Ha preso il via oggi a Genova la Settimana dell’accoglienza

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuove violenze nei territori palestinesi. Intanto, a Gerusalemme si riunisce il quartetto sul Medio Oriente ed è atteso il capo dell’Agenzia per l’energia atomica per parlare di nucleare

 

Arrivata in Iraq una delegazione della Nato: addestrerà l’esercito iracheno

 

In Italia, tensione nella maggioranza dopo le dimissioni di Tremonti. L’interim di Berlusconi all’economia, secondo l’opposizione, aggrava il conflitto di interessi.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

6 luglio 2004

 

 

LE VACANZE DEL PAPA: PRIMA BREVE USCITA TRA I BOSCHI DELLA VALLE D’AOSTA

- Intervista con Salvatore Mazza e Osvaldo Naudin -

 

Il Papa ha fatto oggi la sua prima breve uscita  tra i boschi della Valle d’Aosta a Les Combes nel comune di Introd, dove è giunto ieri per un periodo di riposo fino al 17 luglio. Intorno a mezzogiorno ha lasciato la villetta dove alloggia per recarsi in macchina sulle alture vicine. Ma diamo la parola all’inviato di Avvenire Salvatore Mazza:

 

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Come era prevedibile il Papa ha subito approfittato della bella giornata. Stamattina era piuttosto bello il tempo, c’era un sole molto caldo. E’ uscito, anche se è rimasto nei dintorni dello chalet che lo ospita in questi giorni, senza scendere giù a valle per andare verso mete più lontane. Probabilmente è stata una scelta dovuta al fatto che era la prima uscita di queste vacanze e per ambientarsi in questa situazione. E’ andato in un pianoro che sta appena al di sopra della sua casa, sempre nel comune di Introd. Tra l’altro c’è da considerare che lo chalet dove abita è circondato da un bellissimo bosco, che già da solo offre una soluzione di riposo molto valida.

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Ma cosa ama in particolare il Papa della Valle d’Aosta? Ci risponde il sindaco di Introd Osvaldo Naudin:

 

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Gli piace il clima, gli piacciono le sue montagne, i suoi ghiacciai, la sua neve, che è magnifica; gli piace la gente, perché è gente molto riservata, non ha l’ossessione di volerlo vedere o incontrare a tutti i costi, quindi rispetta il suo riposo, sa che viene da noi per riposarsi, per pregare, per meditare e quindi lo lascia tranquillo. Senz’altro la gente è però anche molto orgogliosa di poterlo ospitare. Ieri ho incontrato il Santo Padre, l’ho salutato e l’ho visto di buon umore e questo è di buon auspicio per l’inizio delle sue vacanze.

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RIPRESI IERI A GERUSALEMME GLI INCONTRI TRA ISRAELE E SANTA SEDE SULL’ATTUAZIONE DELL’ACCORDO FONDAMENTALE FIRMATO NEL 1993

- Intervista con padre David Maria Jaeger -

 

Si è svolto ieri a Gerusalemme un incontro tra le delegazioni di Israele e Santa Sede sull’attuazione dell’Accordo Fondamentale firmato dalla due parti il 30 dicembre del 1993. La delegazione vaticana era guidata da mons. Gianfranco Gallone, segretario della nunziatura apostolica in Israele, quella israeliana da Gadi Golan, capo del dipartimento affari religiosi del Ministero degli Esteri.

 

L’Accordo Fondamentale, siglato più di 10 anni fa, ha segnato una svolta storica grazie alla quale Israele e Santa Sede potevano allacciare pieni rapporti diplomatici. Tuttavia, nell’agosto dello scorso anno Israele aveva ritirato la propria delegazione dai negoziati che si stavano svolgendo per raggiungere l’intesa definitiva sui punti rimasti in sospeso. Ma come si è svolta la riunione di ieri e quali sono stati i risultati? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a padre David Maria Jaeger, portavoce della Custodia francescana di Terra Santa e consultore del Pontificio Consiglio per i testi legislativi:

 

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R. – Si è svolta in un clima di grande cordialità. Posso formulare un principio generale: quando si negozia con uno Stato, è bene che la delegazione dello Stato abbia i poteri necessari per negoziare, perché finché la delegazione dello Stato – qualsiasi Stato, si intende! – non avrà i poteri necessari per negoziare e concludere, nessun negoziato potrà fare progressi.

 

D. – Padre David Jaeger, quindi quali sono i punti che ancora rimangono in sospeso?

 

R. – I negoziati mirano a tre cose: a risolvere i nodi dei rapporto Chiesa-Stato in tre settori. Il primo è lo statuto fiscale della Chiesa: diritti e doveri riguardo alle tasse, esenzioni e obblighi, e soprattutto consolidare le esenzioni che la Chiesa ha avuto da sempre sotto tutti gli Stati precedenti ed in forza di Trattati internazionali. Inoltre, si tratta del desiderio della Chiesa cattolica di vedersi restituire alcune proprietà ecclesiastiche, espropriate o comunque perse nel corso degli anni. Il terzo settore riguarda la partecipazione dello Stato al sostentamento delle opere sociali ed educative della Chiesa in favore non di se stessa, ma della popolazione locale. Questi sono gli argomenti definiti già 10 anni fa; la trattativa dovrà continuare tra il 6 e il 9 settembre: che entrambe le delegazioni abbiano i poteri necessari per negoziare!

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NOMINE

 

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Mandeville in Giamaica, presentata da mons. Paul Michael Boyle, dei Passionisti, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Gordon Dunlap Bennett, della Compagnia di Gesù, finora vescovo titolare di Nesqually e ausiliare dell’arcidiocesi di Baltimora negli Stati Uniti.

 

Quindi il Papa ha nominato consultori della Congregazione delle Cause dei Santi mons. Romano Penna, membro della Pontificia Accademia Teologica, don Alfonso Chacón Oreja, professore straordinario di storia della Chiesa e della teologia presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, i padri Alfredo Simon, benedettino, docente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma, Giuseppe Phan Tan Thanh, domenicano, professore di teologia presso l'Università S. Tommaso d'Aquino di Roma, Luigi Padovese, dei Frati Minori, professore di teologia spirituale e di teologia patristica presso l'Antonianum di Roma, Francois-Marie Lethel, carmelitano scalzo, membro della Pontificia Accademia Teologica, Alberto Valentini, monfortano, docente presso la Pontificia Facoltà di Teologica "Marianum" di Roma, Luigi Nuovo, dei Lazzaristi, docente di storia della Chiesa e di storia della spiritualità presso lo Studio Teologico Brignole Sale-Negroni di Genova.

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina la situazione in Iraq, dove non si arrestano le sanguinose violenze.

 

Nelle vaticane, una pagina ad un mese dal viaggio apostolico del Papa a Berna.

Una riflessione del Cardinale Jozef Tomko sul Congresso Eucaristico internazionale che si celebrerà dal 10 al 17 ottobre 2004 a Guadalajara (Messico). 

 

Nelle estere, in evidenza il vertice dell'Unione Africana ad Addis Abeba. Il titolo del relativo articolo è "Occorre rispondere all'invocazione d'aiuto delle popolazioni di un Continente stremato da fame, povertà, malattie e guerra".

 

Nella pagina culturale, per la rubrica "Oggi", una riflessione di Ferdinando Montuschi dal titolo "Ma stiamo parlando proprio di didattica?": a proposito di alcune reazioni riguardanti il nostro intervento sull'esame di maturità a Torino.

Nella pagina dell' "Osservatore libri" un approfondito contributo di Gino Concetti in merito al "Nuovo dizionario di bioetica" di Salvino Leone e Salvatore Privitera, edito da Città Nuova.

 

Nelle pagine italiane, il Premier: prima ridurre le tasse, poi il nuovo ministro dell'Economia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

6 luglio 2004

 

I LEADER DELL’UNIONE AFRICANA RIUNITI AD ADDIS ABEBA

PER AFFRONTARE LE DRAMMATICHE SFIDE IN UN CONTINENTE

AFFLITTO DA FAME, POVERTA’ E CONFLITTI INTERETNICI.

IN PRIMO PIANO, LA CRISI NELLA REGIONE SUDANESE DEL DARFUR

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Tre giorni per discutere, ma soprattutto per trovare possibili soluzioni ai mali, che mortificano le speranze di progresso di un intero continente. Con questo ambizioso obiettivo, si è aperto oggi ad Addis Abeba il terzo vertice dell’Unione Africana, l’organizzazione - istituita nel luglio del 2002 - che riunisce 53 Paesi africani. Al summit, che si chiuderà l’8 luglio, prende parte anche il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, a suggellare l’importanza dell’appuntamento. In primo piano al Vertice dell’Ua la crisi nella regione sudanese del Darfur, scenario di un drammatico conflitto. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Gli obiettivi a cui state lavorando duramente sono messi in pericolo da terribili conflitti”, come nel “caso del Darfur”. Se non si interviene, “si rischia la catastrofe”. All’apertura del vertice dell’Unione Africana, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha scelto la via della chiarezza. Parlando di fronte ad una quarantina di capi di Stato e di governo africani, Annan ha affermato che emergenze come quella del Darfur rischiano di vanificare gli sforzi per sconfiggere la povertà e la fame. Proprio la pacificazione della regione sudanese è vista come un test delle capacità dell’Ua di risolvere le crisi regionali. Dal canto suo, il governo di Khartoum ha accettato di partecipare ai negoziati promossi dall'Unione Africana. Intanto, ieri, il direttore dell'Unione per la Pace e la Sicurezza, Sam Ibok, ha annunciato l’invio imminente nel Darfur di una forza di pace, che dovrà prestare soccorso alla popolazione provata dall’emergenza umanitaria. Stamani, ad Addis Abeba, è intervenuto anche il presidente della Commissione dell’Ua, Oumar Konaré, che ha messo l’accento sulle potenzialità dell’Africa. Un continente, ha detto, che nel 2025 conterà un miliardo e trecento milioni di abitanti. Tuttavia, ha proseguito, affinché gli africani possano divenire nuovi protagonisti sulla scena internazionale, c’è bisogno di un aiuto finanziario, simile a quello che l’America offrì all’Europa all’indomani della II Guerra Mondiale.

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Al Vertice di Addis Abeba, dunque, i riflettori sono rivolti soprattutto sulla crisi nella regione sudanese del Darfur. Anche il presidente della Repubblica italiana, Ciampi, in un messaggio ai partecipanti al Summit sottolinea che “l'intervento a tutela della dignità e dei diritti fondamentali degli abitanti del Darfur non è ulteriormente differibile”. Sulla complessa situazione nel quadrante sudanese e sulle prospettive di questo Summit dell’Ua, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Giulio Albanese, direttore dell’agenzia missionaria Misna:

 

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R. – In Sudan, in questi mesi, si dovrebbe concludere l’accordo globale tra lo Spla, l’Esercito di liberazione popolare del Sudan, e il governo di Khartoum. Però, sappiamo che nel contempo è aperto un altro fronte, quello nel Darfour. La verità è che in questo accordo di pace, in effetti la società civile è stata esclusa. Il rischio grande è che si ripeta quello che è già successo nel Congo: una vera e propria spartizione del potere tra i “signori della guerra”!

 

D. – L’Organizzazione per l’unità africana sulle cui ceneri è nata l’Unione africana, seguiva una politica di non intervento nelle questioni interne dei vari Paesi: è ancora così?

 

R. – Bisogna insistere molto sul regionalismo, in quanto sappiamo molto bene come il concetto di frontiera, di confine in Africa sia molto labile e sia retaggio dell’epoca coloniale. Bisogna aiutare l’Africa davvero a sviluppare una dimensione di comunione. Devo dire che da parte di alcuni governi c’è questo tipo di sensibilità. Penso, per esempio, al kenyano Mwai Kibaki. La responsabilità dei Paesi occidentali, in particolare dell’Unione Europea, è quella di sviluppare una politica unitaria nei confronti dell’Africa, perché se da una parte Bruxelles ha manifestato in più di una circostanza grande attenzione all’agenda dei diritti umani, dicendo che comunque la cooperazione non può prescindere dal rispetto dei diritti della persona, dall’altra, singoli Paesi – pensiamo soprattutto alla Francia e al Regno Unito – continuano a portare avanti le loro politiche bilaterali, direttamente, con i Paesi che sono sotto la loro influenza.

 

D. – In questi giorni, il cardinale Martino, in visita a Kinshasa, ha chiesto un rinnovato impegno per la pace nella regione dei Grandi Laghi, esortazione riecheggiata dai vescovi della Repubblica democratica del Congo. Quale può essere, dunque, il contributo della Chiesa africana?

 

R. – Certamente, le Chiese in Africa hanno svolto un ruolo significativo nel contesto della società civile. Ho sempre presente l’esperienza di mons. Giorgio Biguzzi,vescovo di Makeni in Sierra Leone, che si è distinto nel sostenere il processo di pace in questo Paese. Questa è un’esperienza significativa. Ce ne sono anche tante altre: pensiamo al Kivu, nella Repubblica democratica del Congo... ciò non toglie però che è importante anche che venga profuso un impegno maggiore a livello di comunità cristiane, proprio dal punto di vista della catechesi. Una catechesi che deve essere attenta agli aspetti sacramentali, ma che deve poi portare ad un’azione pratica di fede.

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L’INDONESIA CAMBIA ROTTA:

UN EX GENERALE IN TESTA ALLE PRESIDENZIALI DI IERI,

MEGAWATI RINCORRE E SPERA NEL BALLOTTAGGIO

- Intervista con padre Silvano Laurenzi -

 

Agli elettori indonesiani – chiamati ieri a scegliere il nuovo presidente, nelle prime elezioni dirette del dopo-Suharto – non è bastato un turno per nominare il successore di Megawati Sukarnoputri. In testa alle proiezioni c’è un suo ex ministro, il generale Yudhoyono, forte del 33,6 per cento dei consensi. Il capo di Stato uscente lo segue con il 26,6 per cento, poco sopra l’ex capo delle Forze armate, Wiranto, che avrebbe ottenuto il 22,3. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:

 

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Sarebbe l’ex generale Yudhoyono a guidare queste prime elezioni presidenziali in Indonesia del dopo Suharto. Ministro della Sicurezza fino a tre mesi fa, famoso per la sua integrità morale e per la sua determinazione nella lotta al terrorismo dopo la strage di Bali, Yudhoyono dovrà però andare al ballottaggio a settembre, non avendo ottenuto il 50 per cento dei consensi. Non è chiaro ancora chi sarà lo sfidante di Yudhoyono, bisognerà aspettare i risultati ufficiali tra circa 10 giorni. Il voto, che ha interessato 150 milioni di elettori e migliaia di isole, si è svolto senza incidenti. Tra i 600 osservatori internazionali anche l’ex presidente americano Jimmy Carter che ha detto che si tratta di una transizione straordinaria da un regime autoritario ad una democrazia, in appena sei anni.

 

Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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L’affermazione di Yudohyono – che ha mostrato ancora una volta il carisma dei militari sull’elettorato indonesiano – era stata in parte annunciata dalle legislative di aprile, in cui il Partito democratico dell’ex generale aveva ottenuto un inatteso 7,5 per cento. Andrea Sarubbi ne ha parlato con padre Silvano Laurenzi, missionario a Giakarta:

 

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R. – Yudohyono è una figura nuova, anche se è già molto conosciuto come una persona in gamba, onesta, molto rispettata. Per cui, non meraviglia. Si pensava già fin dall’inizio ad una sfida tra lui e la Megawati.

 

D. – Come mai hanno preso così tanti voti i candidati militari o ex-militari?

 

R. – Forse perché nel panorama politico non c’è molto altro. La Megawati, forse, avrà un po’ deluso perché è sempre indecisa e soprattutto – non avendo ottenuto l’appoggio che cercava – ha attuato riforme molto deboli, che potrebbero comunque proseguire. Gli altri candidati provenivano quasi tutti dalle forze armate: Wiranto è un ex-militare, così come Yudohyono, mentre Amien Rais non riscuote la stima di tutti... Inoltre, molti dei vice presidenti sono anch’essi ex-militari.

 

D. – Proprio questa caratteristica, però, fa dire a molti che il passaggio alla democrazia in Indonesia non è ancora compiuto...

 

R. – Ma è un processo che sta avvenendo, perché io penso che – una volta avvenute queste elezioni – anche se venisse eletto un ex-militare, deve stare molto attento: il voto, adesso, è in mano alla gente. Chi vincerà dovrà risollevare la democrazia, non si può ritornare alla dittatura!

 

D. – Lei accennava prima agli sbagli di Megawati, a questa riforma incompiuta ...

 

R. – Secondo me, la presidente attuale ha fatto molto, perché non era facile arrivare a queste elezioni con tanta calma. Anche l’economia si è ripresa molto. Ci si aspettava di più, forse, contro la corruzione, ma era molto difficile per un governo composto da ministri che sono tutti un po’ coinvolti: è tutta gente del passato, che è ancora al potere! Non è facile cambiare tutto…

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APPELLO ALLE ACLI A VARARE UNA RIFORMA FISCALE CHE TUTELI LA FAMIGLIA

- Intervista con Luigi Bobba -

 

“Le famiglie hanno bisogno di tutele fiscali” è l’urgenza sottolineata dalle Acli, Associazioni cristiane lavoratori italiane, che oggi hanno presentato presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, a Roma, uno studio comparativo tra Italia e Francia. A confronto 730 classi di redditi bassi, medi e alti. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Luigi Bobba presidente delle Acli. 

 

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R. – Ci siamo resi conto che la famiglia è fortemente penalizzata in Italia. Il sistema fiscale, essendo basato tutto sui redditi individuali, non tiene conto del nucleo familiare. Così che una famiglia che ha un reddito 100, ma solo due componenti, è di fatto privilegiata rispetto ad un famiglia che ha lo stesso reddito ma ha cinque componenti. E abbiamo visto che le famiglie che sono numerose, che hanno dei soggetti a disagio, per esempio un figlio con handicap, le famiglie monoreddito, in termini percentuali contribuiscono di più al gettito pubblico che non le altre famiglie. Ci pare un’ingiustizia lontana dai principi costituzionali che dicono di promuovere la famiglia, con un’attenzione particolare a quelle più numerose. 

 

D. – Perché comparare il sistema fiscale francese a quello italiano?

 

R. – Il sistema francese ci sembra quello che meglio tiene conto della composizione effettiva del nucleo familiare. Ha una progressività che parte da aliquote basse, per i redditi bassi, ed aliquote alte, per i redditi alti.

 

D. – Si parla molto in politica italiana di riforma fiscale e riforma a favore delle famiglie. Che cosa proponete?

 

R. – Così come è impostata, la riforma fiscale rischia di mantenere se non di allargare le distorsioni e le disuguaglianze attuali. Noi diciamo che la linea del quoziente familiare è la linea di una vera riforma fiscale e chiediamo che, se si deve fare questa riforma, si faccia partendo da questo principio.

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CHIESA E SOCIETA’

6 luglio 2004

 

ISPIRATI DAI VALORI DIVINI DEL PERDONO, DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE,

I RELIGIOSI IN IRAQ CONTRIBUISCONO CONCRETAMENTE AL PROCESSO

 DI NORMALIZZAZIONE IN ATTO NEL PAESE.

 COSI’ IN UNA LETTERA IL PRESIDENTE DELL’UNIONE SUPERIORI GENERALI

 

CITTA’ DEL VATICANO.= I religiosi cattolici presenti in Iraq contribuiscono al “processo di normalizzazione del Paese, ispirati dai valori divini del perdono, della misericordia, della giustizia e della pace”. Lo sottolinea, in una lettera, il presidente dell’Unione Superiori Generali, fratel Alvaro Rodriguez Echeverria. L’organizzazione raccoglie i 226 superiori generali di altrettante congregazioni e ordini religiosi, per un totale di oltre 200 mila religiosi. “Il fatto che siate così uniti con il popolo iracheno - si legge nella missiva, datata primo luglio ma resa nota oggi - condividendone speranze, sofferenze e desideri, rappresenta un incoraggiamento per noi e per tutta la Chiesa”. “La vostra presenza è sempre più necessaria”, scrive fratel Rodriguez, che ricorda, inoltre, le parole del vescovo di Orano, Pierre Claverie, nel 1996, a proposito del martirio di sette trappisti in Algeria, appena 40 giorni prima di essere a sua volta ucciso: “Noi stiamo qui a causa del Messia crocifisso. Per niente di più e per niente altro”. “Voi - aggiunge ancora - non avete potere, non fate parte di un’organizzazione potente e prestigiosa; non avete interessi da salvaguardare né influenza da preservare. Per voi è questione di amore, solo amore, di una passione che, come Gesù, vi rende capaci di creare spazi di vita in abbondanza per il piccolo gruppo di cristiani per i quali la vostra presenza è indispensabile e di conforto, ma anche per tutti gli iracheni, senza attenzione alle differenze di etnia e religione”. “In questo storico momento - conclude - noi siamo sicuri che contribuirete effettivamente all’attuale processo di normalizzazione del vostro Paese, ispirati dai valori divini del perdono, della misericordia, della giustizia e della pace”. (B.C.)

 

 

INAUGURATO IERI NELLE FILIPPINE IL PRIMO CONGRESSO DEL CLERO, LA PIÙ GRANDE RIUNIONE DI SACERDOTI NELLA STORIA DELLA CHIESA DEL PAESE ASIATICO

 

MANILA.= Nelle Filippine oltre 3.900 preti e vescovi si sono incontrati, ieri pomeriggio, a Manila per l’apertura del primo Congresso del clero che si concluderà il prossimo 9 luglio. Accogliendo i partecipanti all’incontro, l’arcivescovo di Davao e presidente della Conferenza episcopale cattolica delle Filippine, mons. Fernando Capalla, ha illustrato gli obiettivi del Congresso. “Questi cinque giorni che passeremo insieme – ha detto il presule - sono momenti di grazia, di solidarietà e di scambio. Questo periodo di condivisione del sacerdozio ministeriale di Cristo ci condurrà ad una Chiesa e ad una nazione rinnovati”. Fra le priorità indicate dai vescovi per il rinnovamento della Chiesa, mons. Capalla ha precisato che è contemplata la riorganizzazione del clero. E’ una questione molto importante – ha sottolineato - “soprattutto alla luce della recente crisi che ha interessato, in tutto il mondo, il clero cattolico”. L’assemblea dei preti, la più grande riunione di sacerdoti nella storia della Chiesa delle Filippine, costituisce “un passo vitale per la crescita della fede”, ha inoltre affermato mons. Capalla. Il nunzio apostolico nelle Filippine, mons. Antonio Franco, ha letto quindi la lettera inviata a nome del Papa dal segretario di Stato vaticano cardinale Angelo Sodano a mons. Gaudencio Rosales, arcivescovo di Manila e responsabile della Commissione per il clero della Conferenza episcopale. Nel documento il Papa esprime l’augurio che  “i preti filippini siano consapevoli della sua vicinanza mentre sono riuniti per ricevere dal Signore consiglio e grazia per il loro rinnovamento e di quello della Chiesa locale e del Paese”. (A.L.)

 

 

APPROVATA IN VIETNAM LA LEGGE SULLE CREDENZE RELIGIOSE.

PREOCCUPAZIONE E’ STATA ESPRESSA DALLA CHIESA LOCALE SUL TESTO CHE, TRA L’ALTRO, IMPONE PROCEDURE PIU’ SEVERE PER LA REGISTRAZIONE DI OPERE RELIGIOSE E NEGA AI CARCERATI LA POSSIBILITA’ DI PARTECIPARE ALLE CELEBRAZIONI

 

HANOI. = L’Assemblea nazionale in Vietnam ha approvato in via definitiva la controversa legge sulle credenze religiose. Il provvedimento, che era in gestazione da sei anni, entrerà in vigore il 15 novembre prossimo. Il testo approvato era stato presentato in via provvisoria nel dicembre 2000, suscitando le reazioni negative del clero e dell’episcopato vietnamita per il quale esso è peggiorativo rispetto alla legge sulla religione di Ho Chi Minh del 1955, giudicata più liberale di quella attuale, ma di fatto mai applicata. Giudizio confermato in questi giorni dal cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Man, arcivescovo di Ho Chi Minh City. Secondo le autorità vietnamite, invece, essa vuole essere un aiuto alla pratica religiosa. Fonti dell’agenzia AsiaNews ad Hanoi hanno confermato per parte loro che la legge è di fatto più restrittiva sulla libertà religiosa. Essa, tra le altre cose, impone procedure più severe per la registrazione di associazioni e opere religiose, vieta le attività di propaganda religiosa in contrasto con la legislazione vigente e nega ai carcerati la possibilità di partecipare alle celebrazioni. (L.Z.)

 

 

IL VIRUS DELL’AIDS NEL MONDO RESTA UNA QUESTIONE APERTA E SCOTTANTE.

E’ QUANTO EMERGE DALL’ULTIMO RAPPORTO DELL’ONU, PUBBLICATO OGGI A LONDRA

- A cura di Barbara Castelli -

 

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LONDRA. = L’Aids nel mondo continua a seminare morte e dolore: nel 2003 sono state tre milioni le vittime del terribile virus. Secondo quanto riferisce l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, reso pubblico stamani alla vigilia della 15.ma Conferenza Internazionale sull’Aids, in programma a Bangkok (Thailandia) dall’11 al 16 luglio, nei cinque continenti sono 38 milioni le persone affette dal virus, compresi i cinque milioni di persone che lo scorso anno sono andate ad accrescere l’esercito dei “nuovi” infetti. L’Africa subsahariana continua a detenere il triste primato della regione al mondo più colpita dall’epidemia, con tre milioni di persone affette dall’Hiv registrate solo nel 2003. La mappa dell’infezione, comunque, segna situazioni preoccupanti anche in Asia, dove vive il 60% della popolazione mondiale: Cina, Indonesia e Vietnam i Paesi maggiormente colpiti. Dinanzi a questo orribile male, che ha causato, inoltre, 15 milioni di orfani nel mondo, saranno necessari 12 miliardi di dollari per la prevenzione e la gestione del problema, tra il 2005 e il 2007. Con una tale cifra, infatti, sarebbe possibile offrire i farmaci antiretrovirali a oltre 6 milioni di persone, assistenza a 100 milioni di adulti e corsi per 900 milioni di studenti. Nel mondo insomma ci si sta mobilitando per far fronte alla questione dell’Aids, ma ancora non abbastanza per riaccendere le speranze di tanti disperati.

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“VIVERE LA FEDE IN CRISTO OGGI, A GENOVA E IN EUROPA”:

 E’ LO SLOGAN CHE ACCOMPAGNA LA SETTIMANA DELL’ACCOGLIENZA

CHE HA PRESO IL VIA OGGI A GENOVA.

L’INCONTRO, DEDICATO AI GIOVANI, FA PARTE DELLE INIZIATIVE DIOCESANE

PER LA LOCALITA’ LIGURE, CAPITALE 2004 DELLA CULTURA

- A cura di Dino Frambati -

 

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GENOVA. = Sono molte migliaia i giovani da ieri a Genova, provenienti da tutta Europa, e resteranno fino a domenica prossima per la Settimana dedicata a loro nell’ambito delle iniziative diocesane per Genova, capitale della cultura. “Vivere la fede in Cristo oggi, a Genova e in Europa”, è il significativo titolo della Settimana dell’accoglienza, avviata oggi con la visita alla città e riflessioni sul tema: “La messe è molta ma gli operai sono pochi”. Domani mattina, invece, si recheranno presso il Santuario del Gesù Bambino di Prada ad Arenzano, e nel pomeriggio saliranno a quello della Madonna della Guardia, luogo di culto, simbolo del capoluogo ligure. Giovedì da annotare un grande concerto serale di musica sacra presso la Basilica di Carignano, la più grande di Genova. E per dimostrare che non poteva mancare nella città più marinara d’Italia un momento in mare, ecco che i giovani navigheranno in battello fino a Portofino. Sabato grande momento finale alle 18, presso la cattedrale di San Lorenzo, dove i partecipanti incontreranno il cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo del capoluogo ligure. Nei programmi delle giornate, momenti di approfondimento culturale, preghiera e riflessione, ma anche la gioia di stare insieme con fraternità.

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24 ORE NEL MONDO

6 luglio 2004

 

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Nuova impennata di violenza nei territori palestinesi: a Nablus e a Kissufim, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati uccisi in violenti scontri sei palestinesi, fra cui due civili, e un ufficiale dell'esercito israeliano. A Gerusalemme, intanto, è iniziata una riunione degli inviati del quartetto sul Medio Oriente (Usa, Russia, Onu e Ue), dedicata alle misure di accompagnamento del piano di disimpegno da Gaza del premier israeliano, Sharon. Questa sera, inoltre, è atteso a Gerusalemme il capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, Mohammed el Baradei, che dovrebbe parlare con i dirigenti israeliani del progetto di un Medio Oriente senza armi nucleari. In una dichiarazione alla radio militare Sharon ha fatto un indiretto accenno all'ipotesi che lo stato ebraico disponga di armi nucleari, come sostengono diversi esperti stranieri. Ma ci sono conferme? Ascoltiamo, nell’intervista di Giada Aquilino, il  prof. Maurizio Simoncelli, docente di geopolitica all’Università Roma Tre:

 

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R. – Effettivamente, questo risulta abbondantemente. Secondo i dati dell’Istituto di ricerche per la pace di Stoccolma, il Sipri, risulta che Israele abbia qualcosa come 200 armi nucleari. Si dice che dal 1960 Israele si sia dotato di questo armamento nucleare. Si parla di circa 100-200 missili con capacità di raggio di azione tra i 500 e i 1.500-1.800 chilometri. Poi ha un piccolo arsenale aeronautico di aerei in grado di portare bombe atomiche. In realtà lo ha sempre negato o, meglio, ha sempre cercato di non confermare né smentire in merito.

 

D. – Perché la linea usata da Israele sul nucleare è sempre stata quella dell’ambiguità strategica?

 

R. – Per poter lasciare uno spazio di minaccia imprecisata rispetto a Paesi vicini che volessero attaccarlo e distruggerlo.

 

D. – Qual è la posizione di Israele rispetto al Trattato di non proliferazione nucleare?

 

R. – Non lo ha sottoscritto, come India e Pakistan. Ne è fuori. Di fatto, è in grado di produrre tutte le armi nucleari che vuole e teoricamente anche commerciarle o quant’altro.

 

D. – Quali conseguenze possono esserci, considerando il resto dei Paesi del Medio Oriente?

 

R. – Israele l’ha sempre detto: nel momento in cui fosse stato attaccato o messo in difficoltà al punto tale che le proprie forze armate convenzionali non potessero reggere un eventuale urto da parte dei Paesi attaccanti, sarebbe stata pronta ad usare l’arma nucleare. Quindi c’è una minaccia nucleare evidente nei confronti dei vicini con cui non ha buoni rapporti.

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In Iraq il marine americano, di origine libanese, sequestrato lo scorso 21 giugno è stato rilasciato dai suoi sequestratori. E nel Paese è stato assassinato un membro del consiglio municipale di Adamyia, quartiere sunnita di Baghdad. La polizia irachena ha ucciso, inoltre, un kamikaze che si apprestava a compiere un attentato a bordo di un’autobomba nel nord del Paese. Per garantire una più adeguata cornice di sicurezza nello Stato arabo è arrivata oggi a Baghdad una delegazione della Nato in vista dell’avvio della missione che avrà come obiettivo l’addestramento del nuovo esercito iracheno. Negli Stati Uniti fa discutere, intanto, la mancata comunicazione da parte della Cia di informazioni rilevanti sui programmi militari di Baghdad al presidente George Bush. Ce ne parla Amedeo Lomonaco:

 

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Prima dell’attacco all’Iraq la Cia non ha trasmesso al presidente americano informazioni, ricevute da parenti degli scienziati iracheni, sulla decisione di Baghdad di rinunciare al proprio programma per la produzione di armi di distruzione di massa. Lo riferisce il quotidiano ‘New York Times’ citando funzionari governativi anonimi. Il primo ministro britannico, Tony Blair, ha ammesso inoltre che le armi chimiche e biologiche del regime di Saddam Hussein potrebbero non essere mai trovate. Per quanto riguarda l’ex rais, la guida suprema dell’Iran,  l’ayatollah Ali Khamenei, ha detto che l’attacco iracheno al suo Paese nel 1980 e gli otto anni di guerra che ne sono seguiti, dovrebbero essere “i più importanti capi di imputazione contro Saddam”. Ma ha anche aggiunto che devono essere gli stessi iracheni a dover processare il loro ex presidente. Continua, intanto, la caccia al numero uno di Al Qaeda in Iraq, Al Zarqawi. Durante un ennesimo raid aereo americano lanciato ieri sera su Falluja, città dove si sarebbe rifugiato il terrorista giordano, sono rimaste uccise almeno 15 persone. Sempre ieri tre soldati americani sono morti in seguito a combattimenti avvenuti nella provincia di Al Anbar ed un bambino è deceduto quando l’auto sulla quale viaggiava non si è fermata ad un posto di blocco della coalizione ed è stata raggiunta da colpi di arma da fuoco. Sono infine arrivati in Italia, questa notte, i soldati italiani feriti ieri nell’incidente stradale costato la vita, a Nassiriya, al caporal maggiore Antonio Tarantino.

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Il rafforzamento della sicurezza alle frontiere e la cooperazione tra i corpi di polizia e gli organi di intelligence ma anche l'uso dei dati biometrici nei documenti di identità e di viaggio per innalzare il livello di contrasto al terrorismo. Questi i temi in discussione nel corso del vertice dei ministri dell'Interno del gruppo dei 5 (Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e Italia) che è iniziato ieri a Sheffield, in Gran Bretagna, e che si concluderà oggi. 

 

Se gli Usa dovessero attaccare gli impianti nucleari in Iran, la Repubblica islamica risponderebbe con attacchi agli ''interessi dell'aggressore ovunque nel  mondo''. Lo ha detto la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, citato oggi dalla stampa. ''Se il nemico - ha detto Khamenei, durante una visita alla città di Hamedan, nell'ovest del Paese - attacca i nostri interessi scientifici, naturali, umani o tecnologici, il popolo iraniano taglierà le sue mani senza esitazione e metterà in  pericolo gli interessi dell'aggressore in ogni parte del mondo''. La Guida suprema iraniana ha anche invitato tutte le autorità del Paese a ''mantenere la vigilanza contro quella che ha definito “la guerra  psicologica del nemico''. Gli Usa accusano l'Iran di nascondere un programma di armamenti nucleari dietro a quello dichiaratamente civile che sviluppa da molti anni. Il mese scorso l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha criticato l'Iran per un’insufficiente cooperazione con i propri ispettori, ma un giudizio conclusivo è atteso per settembre. 

 

Tony Blair ha dichiarato oggi che il governo di Londra non ha ancora messo a punto i 'meccanismi' per garantire che i prigionieri britannici detenuti a Guantanamo non diventino una minaccia alla sicurezza, una volta liberati. Durante un'audizione ai Comuni, il premier britannico ha confermato di avere discusso personalmente della questione con il presidente americano, Bush, ''qualche settimana fa'', e ha aggiunto di non ritenere ''irragionevole'' il proposito di Washington di continuare a tenere in custodia i prigionieri britannici finchè il Regno Unito non sia in grado di offrire garanzie che non si trasformino in una minaccia per la sicurezza se dovessero essere liberati. A Guantanamo sono ancora detenuti quattro cittadini britannici. Altri cinque sono stati invece riportati in Gran Bretagna a marzo e, una volta a casa, sono stati liberati senza alcuna accusa.

 

Momento cruciale, oggi, nella corsa alle presidenziali americane del prossimo novembre. Il candidato democratico alla Casa Bianca, John Forbes Kerry, ha infatti scelto il suo vice: si tratta del senatore della Carolina del Nord, John Edwards. Cinquantunenne, avvocato di successo ed abile oratore, Edwards è stato il più temibile rivale di Kerry per la nomination democratica. La notizia della scelta del candidato democratico alla vicepresidenza è stata diffusa, poco fa, dai principali network televisivi statunitensi.

 

In Italia, dopo l’annuncio ufficiale stamattina in Senato delle dimissioni  del ministro Tremonti e dell'interim del premier al ministero dell'Economia, nel pomeriggio ci si aspetta di sapere se e quando il premier Berlusconi potrà riferire in aula sulla vicenda. Intanto, per venerdì è convocato il Consiglio dei ministri, con all'ordine del giorno la manovra dei conti pubblici. Berlusconi entro 10 giorni dovrà far approvare dal governo la manovra correttiva di 7,5 miliardi, presentata ieri ai ministri europei. Da parte sua, l’opposizione sottolinea l’aggravarsi, con l’interim del premier, del conflitto di interessi. Secondo il presidente dei senatori della Margherita, Bordon, “il presidente del Consiglio, proprietario della più grande concentrazione privata nel settore dell'emittenza, è ora, in quanto ministro dell'Economia, azionista al 99 per cento della Rai”. Ma per il momento non si parla di una nuova nomina per l’economia. L’indicazione fatta da An e Udc del commissario europeo Mario Monti, economista di prestigio internazionale, sembra naufragata  perché incompatibile con la linea di governo berlusconiano e decisamente osteggiata dalla Lega. Il servizio di Gianpiero Guadagni:

 

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Nessun avvertimento preventivo ma l’Unione Europea tiene comunque l’Italia sotto esame. Il rispetto del patto di stabilità è garantito per quest’anno, ma va confermato anche per il prossimo. E Bruxelles vuole capire, al di là delle singole misure correttive, come cambierà la politica economica del governo Berlusconi dopo le dimissioni del ministro dell’economia Tremonti. Dimissioni dovute ad un contrasto ormai insanabile con il vice premier Fini, che da tempo reclamava il ruolo di coordinatore delle politiche economiche. Ma il contrasto tra Tremonti e Fini non era solo personale, piuttosto lo specchio della contrapposizione interna alla maggioranza tra Forza Italia e Lega, da una parte, e Alleanza Nazionale e Udc, dall’altra. L’asse tra Forza Italia e Lega, che ruotava attorno alla figura di Tremonti, è basato soprattutto sul federalismo, anche di stampo economico. L’asse tra An e Udc vuole privilegiare, invece, l’interesse nazionale con un’attenzione rinnovata al dialogo con le parti sociali. Nella prima metà della legislatura, ha sostanzialmente prevalso la linea Forza Italia-Lega, ma adesso le cose sono un po’ cambiate, soprattutto dopo il voto europeo e amministrativo che negli equilibri interni ha segnato una vittoria per An e Udc. E i partiti di Fini e Follini  hanno sollecitato il premier al cambio della politica economica e di conseguenza del suo artefice.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Chiunque sarà eletto nuovo presidente filorusso della Cecenia il 29 agosto prossimo al posto di Akhmad Kadyrov “avrà i giorni contati”. Lo ha detto il leader indipendentista Aslan Maskhadov ribadendo che l'unica strada per il presidente Vladimir Putin dopo i recenti rovesci nel Caucaso è “il ritiro delle truppe e l'apertura di un negoziato”. 

 

 

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