RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII  n. 18  - Testo della Trasmissione di domenica 18 gennaio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“In un mondo assetato di pace, è urgente che le comunità cristiane annuncino il Vangelo in modo concorde”: così il Santo Padre all’Angelus. Nel primo giorno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani auspica “un abbraccio fraterno”.

 

Il dialogo tra la Chiesa e le antiche Chiese d’Oriente: ce ne parla mons. Johan Bonny, del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani.

 

“Il bisogno pressante di una sincera riconciliazione tra i credenti nell’unico Dio”: ribadito dal Papa al concerto ieri in Vaticano per la riconciliazione tra ebrei, cristiani e musulmani.  

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’India, Paese inserito nel mercato globale ma frenato dalla miseria, si fa metafora di una globalizzazione squilibrata: è quanto emerge dal 4° World Social Forum a Bombay. Ai nostri microfoni Daniele Friggeri e Stefano Femminis

 

La sfida del Madagascar verso lo sviluppo, due anni dopo la grave crisi politica  che colpì il Paese a fine 2001: intervista con padre Cosimo Alvati

 

Si riaccende in Europa il dibattito sul fenomeno della “fuga dei cervelli”, riportato in primo piano dal settimanale Time: con noi il presidente dell’Istituto italiano di astrofisica, Piero Benvenuti

 

“Perú - Tremila anni di capolavori” è il titolo dell’esposizione dedicata alle culture andine precolombiane e ospitata dalla città di Firenze: ce ne parla la curatore Antonio Aimi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

In Pakistan, la Conferenza episcopale promuove un programma di sensibilizzazione per un coinvolgimento più attivo alla vita democratica del Paese.

 

Nella Sinagoga di Milano esponenti di 16 Chiese cristiane hanno partecipato ieri al rito ebraico di conclusione del sabato.

 

Grazie ad una iniziativa dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugaiti al popolo saharawi, in esilio nel Sahara  algerino, è data la possibilità di telefonare ai propri cari, dopo un isolamento durato 28 anni.

 

Tra le iniziative di questa Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani ha particolare risalto l’Ottavario, che si apre oggi a Roma nella Chiesa di Santa Maria in Via Lata.

 

24 ORE NEL MONDO:

Strage a Baghdad: 25 i morti e oltre 130 i feriti.

 

Domani nell’Iowa, negli Usa, le prime tappe in vista delle prossime elezioni nazionali

 

In Guatemala, Rigoberta Manchu ambasciatrice per gli accordi di pace.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 gennaio 2004

 

“IN UN MONDO ASSETATO DI PACE, E’ URGENTE CHE LE COMUNITA’ CRISTIANE

ANNUNCINO IL VANGELO IN MODO CONCORDE”: COSI’ IL PAPA ALL’ANGELUS.

 NEL PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

AUSPICA “UN ABBRACCIO FRATERNO NELLA PACE DEL SIGNORE”

 

“In un mondo assetato di pace, è urgente che le comunità cristiane annuncino il vangelo in modo concorde”: sono le parole del  Papa che  all’Angelus ha  ricordato che inizia oggi la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ribadendo  il tema di quest’anno: “Io vi lascio la mia pace”, una frase di Gesù tratta dal Vangelo di Giovanni. Ha sottolineato che l’indicazione del tema è giunta proprio dalle Chiese del Medio Oriente, “dove l’unità e la pace sono le priorità più sentite”.  Il servizio di Fausta Speranza:

 

*********

Nel promettere la sua pace Cristo ha assicurato ai discepoli il suo sostegno nelle prove,  ha ricordato  il Papa lamentando il “dolore” della mancata unità:

 

 “E non è forse una prova dolorosa la perdurante divisione tra i cristiani?”

 

Per questo “i cristiani sentono vivo il bisogno di rivolgersi all’unico Signore”, chiedendo che li aiuti a “vincere la tentazione dello scoraggiamento lungo il difficile cammino che conduce alla piena comunione”. Un cammino doveroso di cui il Papa ha affermato anche l’urgenza:

 

 “In un mondo assetato di pace, è urgente che le comunità cristiane annuncino il vangelo in modo concorde”.

 

“E’ indispensabile – ha aggiunto il Papa – che le comunità cristiane testimonino l’Amore divino che le unisce, si facciano portatrici di gioia, di speranza, di pace divenendo lievito di nuova umanità”. E Giovanni Paolo II ha ricordato che durante i prossimi otto giorni, in ogni parte del mondo, i cristiani delle diverse confessioni e tradizioni si riuniranno per pregare intensamente il Signore, affinché rafforzi il comune impegno per la piena unità. E “lo faranno – ha sottolineato – proprio a partire dalla ricchezza di significato contenuta nella promessa di Cristo, meditando, di giorno in giorno, sul dono evangelico della pace e sugli impegni che esso comporta”. In conclusione, l’auspicio del Papa che la settimana sia “un’occasione propizia perché coloro che credono in Cristo si scambino un abbraccio fraterno, nella pace del Signore” , con “copiosi frutti per la causa dell’unità dei cristiani”. 

 

Dopo l’Angelus, il Papa ha rivolto un saluto in particolare ai “grandi popoli dell’Oriente,  soprattutto Cinesi, Vietnamiti e Coreani, che nei prossimi giorni celebreranno con gioia il capodanno lunare”, augurando di cuore serenità e prosperità. Ha poi ricordato che si celebra oggi a Roma la Giornata della Scuola Cattolica, inserita  nella linea pastorale della Diocesi in questi anni. Salutando religiosi e laici, ha espresso apprezzamento per la qualità del loro impegno, costante “tra tante difficoltà” affrontate. Ha poi rivolto un pensiero alle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, presenti  in occasione del 75° di fondazione dell'Istituto, come anche il Gruppo donatori di sangue e midollo osseo "Fratres", di Figline Valdarno. 

*********

 

 

HA INIZIO OGGI LA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI:

IL DIALOGO TRA LA CHIESA E LE ANTICHE CHIESE D’ORIENTE

- Intervista con mons. Johan Bonny,

officiale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani -

 

Ad aprire, oggi pomeriggio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sarà il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristian, presso la chiesa di Santa Brigida in Piazza Farnese, con un atto ecumenico assieme al vescovo luterano di Helsinki Eero Huovinen, che guida la delegazione luterana finlandese venuta a Roma per l’occasione. Lo stesso cardinale Kasper, a nome del Papa, concluderà l’Ottavario domenica prossima 25 gennaio, di pomeriggio, presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura, con una solenne liturgia, alla quale saranno presenti le delegazioni delle varie confessioni cristiane. 

        

La celebrazione della Settimana invita a guardare ai dialoghi bilaterali fra le Chiese cristiane sorelle e fra queste e le Antiche Chiese d’Oriente o precalcedonesi in dialogo con la Chiesa di Roma.

 

Se ne occupa mons. Johan Bonny, officiale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Giovanni Peduto gli ha chiesto qual è il prossimo appuntamento in agenda:

 

**********

R. - L’ultima settimana di gennaio, dal 26 al 31, avremo per la prima volta una riunione al Cairo con alcuni rappresentanti di tutte le antiche Chiese dell’Oriente. In passato, avevamo già avuto dialoghi con alcune di queste Chiese ma questa è la prima volta che rappresentanti di tutte le Chiese di questo gruppo si incontreranno con i nostri rappresentanti cattolici. Si tratta dei rappresentanti di sette Chiese: la Chiesa copta in Egitto, la Chiesa ortodossa in Eritrea e in Etiopia, la Chiesa siro-ortodossa, la Chiesa malankarese-ortodossa in India e poi la Chiesa armena apostolica e due catholikossati di Antilias e di Etchmeazin. Abbiamo la speranza di poter progredire adesso insieme,  con un consenso a livello della fede, dei sacramenti e della costituzione della Chiesa.

 

D. – Perché vengono dette ‘pre-calcedonesi’?

 

R. – Perché tutte queste Chiese nel IV secolo non hanno accettato il Concilio di Calcedonia, concilio in cui è stato definito il dogma cristologico che afferma che Gesù Cristo è una persona in cui sono unite le due nature: la natura divina e la natura umana. Ed era proprio questo linguaggio delle due nature unite in Gesù Cristo che non piaceva alle Chiese dell’Oriente, cioè della parte orientale dell’Impero romano. Fortunatamente, già da 20-30 anni abbiamo degli accordi cristologici. Il punto essenziale del disaccordo è stato risolto. Adesso dobbiamo con calma avanzare e provare ad arrivare dalla cristologia alla teologia dei sacramenti.

 

D. – Quindi, si va verso l’accordo dogmatico?

 

R. – Sì. Si fa distinzione tra la fede e la formulazione, cioè si è d’accordo sull’essenza della fede, accettando che le nostre Chiese possono utilizzare alcune formulazioni diverse.

**********

 

 

“IL BISOGNO PRESSANTE DI UNA SINCERA RICONCILIAZIONE

TRA I CREDENTI NELL’UNICO DIO”:

RIBADITO DAL PAPA AL CONCERTO IERI IN VATICANO

 PER LA RICONCILIAZIONE TRA EBREI, CRISTIANI E MUSULMANI

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

*********

La musica ha la sua grande parola da dire anche davanti al mondo di oggi: ed è una parola di pace, dialogo, riconciliazione. La più eterea ed universale delle arti ritorna nell’Aula Paolo VI, in quella sala titolata a Papa Montini che intuitivamente scriveva, quasi quarant’anni fa, come proprio la musica “ha il compito di placare con un messaggio di serenità le oscure crisi di pensiero e di sentimento, di temperare l’aridità e il freddo; ha una missione da svolgere in nome dei valori umani più alti, veri e duraturi”. Forse che la pace non è il più alto e vero e duraturo bene dell’umanità? Per questo è da ricordare come eccezionale il Concerto che ieri pomeriggio è stato organizzato dai Pontifici Consigli dell’Unità dei Cristiani e del Dialogo Interreligioso insieme con la Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo e grazie al generoso contributo dei Cavalieri di Colombo.

 

Sul podio l’americano Gilbert Levine - già noto al Santo Padre e al Vaticano - alla guida dell’ottima Pittsburgh Symphony Orchestra. Quattro i cori, provenienti da Ankara, Cracovia, Londra e dalla stessa Pittsburgh, per un totale poderoso di 300 coristi. Rappresentanza folta dell’ebraismo, tra i quali il Rabbino Capo emerito di Roma, Elio Toaff, Riccardo Di Segni, Amos Luzzatto e Jona Metzgher, Rabbino Capo d’Israele; tra le personalità musulmane l’Imam Abdulwahab Hussein Gomaa, della Moschea di Roma e Hamid Al-Rifaie, Presidente dell’International Islamic Forum for Dialogue. Molti anche i rappresentanti delle altre Chiese e comunità ecclesiali. “Pace, Shalom, Salaam”, sono le parole di benvenuto del Cardinale Walter Kasper, cui fanno eco quelle di Giovanni Paolo II che ricorda:

 

“La storia dei rapporti tra Ebrei, Cristiani e Musulmani è segnata da luci e da ombre e, purtroppo, ha conosciuto momenti dolorosi. Oggi, si sente il bisogno pressante di una sincera riconciliazione tra i credenti nell’unico Dio.”.

 

Da questo bisogno, scaturisce l’impegno:

 

“Dobbiamo trovare in noi il coraggio della pace. Dobbiamo implorare dall’Alto il dono della pace. E questa pace si spanderà come olio che lenisce, se percorreremo senza sosta la strada della riconciliazione. Allora il deserto diventerà un giardino dove regnerà la giustizia ed effetto della giustizia sarà la pace”.

 

Omnia vincit amor! L’amore vince tutto. E’ la medesima convinzione che si trova al termine del Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno. Forse, anche la musica riesce come l’amore a vincere l’odio e il male che minacciano continuamente la pace del mondo. Non facile trovare soggetti e note capaci di accomunare le tre religioni monoteiste: un sapiente e suggestivo equilibrio, allora nella scelta di affidare al compositore americano di fede luterana, John Harbison, un mottetto, dalla scrittura semplice ed evocativa, per doppio coro e tredici strumenti a fiato, dedicato alla figura del Patriarca Abramo, “padre di una moltitudine di popoli”. Poi, la comune speranza di ebrei, cristiani e musulmani nella vita eterna, nel Paradiso del Signore, è stata evocata dalla Sinfonia n. 2 di Mahler, titolandosi proprio Risurrezione, della quale sono stati eseguiti l’iniziale Allegro maestoso, il quarto movimento Molto maestoso con il canto dell’Urlicht, la “Luce primordiale”, da parte del mezzosoprano Birgit Remmert, ed infine il “Grosse Appel”, il “Grande appello”: Risorgerai.

 

All’inizio tumultuoso, con le fanfare dei corni e lo squillare altisonante delle trombe – perfetta la sezione dei fiati dell’Orchestra, così come la voce del soprano Ruth Ziesak – è seguito un vero ribollire sinfonico che dice: giudizio, il tempo è compiuto, il dolore cancellato, la morte vinta e c’è la luce di Dio che tutto penetra. E, tra i raffinati arabeschi melodici di Mahler, risuonano finalmente l’organo maestoso e le campane festose: è la risurrezione nel nome dell’Onnipotente. E’ la vita eterna: morirò per vivere, intona il coro. Riconciliati. Non potrebbe questa magica parola, riconciliazione, via alla pace, entrare da quest’oggi definitivamente nel dizionario delle speranze di ebrei, musulmani e cristiani? La musica trasporta l’animo sulle soglie di un mondo riconciliato. Giovanni Paolo II dice: spetta ora all’uomo avere la forza e il coraggio di accedervi.

**********

 

 

=======ooo=======

 

 

OGGI IN PRIMO PIANO

18 gennaio 2004

 

 

L’INDIA, PAESE INSERITO NEI PROCESSI DEL MERCATO GLOBALE MA FRENATO DALLA MISERIA, METAFORA DI UNA GLOBALIZZAZIONE PROFONDAMENTE SQUILIBRATA. E’ QUANTO EMERGE NEL IV WORLD SOCIAL FORUM IN CORSO A BOMBAY

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

 

*********

75 mila delegati provenienti da almeno 130 Paesi e un’affluenza di oltre mezzo milione di persone. Sono questi i dati più significativi del IV World Social Forum che si sta svolgendo per la prima volta a Bombay, dopo le tre precedenti edizioni a Porto Alegre, in Brasile. Nato sull’onda delle grandi manifestazioni tenutesi a Seattle nel 1999, questo appuntamento sta suscitando grande interesse soprattutto per la partecipazione di dirigenti politici, premi Nobel, scienziati e religiosi.  Dal Social Forum emerge la paradossale situazione dell’India, Paese inserito nei processi del mercato globale ma anche lacerato dalla miseria. All’incontro, che intende tracciare una linea alternativa al liberismo dei Paesi più industrializzati analizzando limiti e potenzialità della globalizzazione, ha preso parte anche una delegazione internazionale di gesuiti. Sul significato di questa presenza al Social Forum, ascoltiamo padre Daniele Friggeri, raggiunto telefonicamente, a Bombay, da Fabio Colagrande:

 

R. – Questo gruppo, composto da 25 membri che provengono da 14 Paesi diversi, fa parte di una delegazione molto più grande nella quale sono compresi gesuiti indiani e tutta una serie di persone coinvolte all’interno dei lavori dell’Apostolato sociale della Compagnia in India. La presenza in un Social Forum da parte della Compagnia risponde, soprattutto, ad un desiderio di mettersi in ascolto di quelle persone che spesso sono escluse dai vantaggi della globalizzazione.

 

D. – Uno dei leader no global, il francese José Bové, ha molto criticato il governo indiano, colpevole, secondo lui, di non aiutare la casta dei Dahlit, i cui diritti sono spesso derisi. Quale predominanza assume questo aspetto nel World Social Forum di quest’anno?

 

R. – Sono moltissimi i Dahlit presenti e credo che questo Social Forum è soprattutto loro. Quello che li caratterizza è di essere portatori di un’identità. Questo è un segno importante per i loro diritti ed anche per l’India stessa. Per i Dahlit significa scoprirsi e mostrarsi nella loro identità.

*********

 

Lo sviluppo sostenibile, l’esigenza di distribuire equamente le risorse del pianeta e la difesa delle identità locali sono alcuni dei temi al centro del Forum che in India sembra sottolineare, in modo ancora più evidente, lo stridente contrasto tra il progresso tecnologico ed il dramma della miseria. Proprio su questo squilibrio ascoltiamo Stefano Femminis, giornalista della rivista gesuita “Popoli”:

 

*********

R. – Su questo tema dello squilibrio, che in questa città è così evidente, si è tenuta una Conferenza molto interessante su “Terra, acqua e sovranità alimentare”, dove è stato citato un dato emblematico riferito non solo all’India: attualmente ci sono 30 milioni di contadini che usano un trattore ed oltre un miliardo e 200 milioni di contadini che, invece, lavorano usando soltanto le mani. Questo è un dato significativo delle attuali dinamiche della globalizzazione e, allo stesso tempo, delle difficili condizioni dell’India.

*********

 

 

LA SFIDA DEL MADAGASCAR VERSO LO SVILUPPO,

DUE ANNI DOPO LA GRAVE CRISI POLITICA CHE COLPÌ IL PAESE AFRICANO A FINE 2001

- Con noi, padre Cosimo Alvati -

 

Sono passati poco più di due anni dal 16 dicembre 2001, quando il Madagascar andò al voto per le presidenziali. L’esito delle consultazioni assegnò il 51,4 per cento dei consensi a Marc Ravalomanana, sindaco della capitale, e il 35,9 per cento al presidente uscente, l’ammiraglio Didier Ratsiraka. L’ex capo di Stato,  al potere per oltre 20 anni, non volle accettare la vittoria al primo turno di Ravalomanana. Cominciarono mesi di proteste popolari, che portarono all’insediamento ufficiale di Ravalomanana soltanto il 6 maggio 2002. Il suo avversario riparò poi in Francia. Ma cosa rimane oggi di quei mesi così difficili per il popolo malgascio? Giada Aquilino lo ha chiesto a padre Cosimo Alvati, direttore di Radio Don Bosco nella capitale Antananarivo:

 

**********

R. – E’ stato un periodo molto duro, è vero. La popolazione scese in piazza e per sei mesi il Madagascar fu bloccato da questo sciopero generale. La popolazione chiedeva il riconoscimento della vittoria alle presidenziali del signor Ravalomanana, che attualmente è il presidente. Per due mesi circa, ogni giorno tra i 500 mila ed il milione di persone sono scese in piazza, pacificamente, per chiedere verità e giustizia. Furono mesi di difficoltà. Tananarivo fu isolata, non arrivavano medicinali, viveri, carburante. La popolazione resistette finché nel maggio fu proclamato ufficialmente Ravalomanana presidente. Poi, in giugno prima gli Stati Uniti e poi la Francia lo riconobbero come presidente.

 

D. – Ma come si era giunti a questa situazione?

 

R. – Le elezione del dicembre 2001 furono contestate perché Ravalomanana sosteneva di aver vinto le elezioni con la maggioranza assoluta, quindi avrebbe dovuto essere proclamato immediatamente presidente. Il vecchio presidente in carica, Ratsiraka, sosteneva invece che Ravalomanana non avesse ottenuto la maggioranza. Ratsiraka fu accusato di brogli elettorali. Questa situazione generò poi lo sciopero generale, le manifestazioni in tutto il Madagascar.

 

D. – Qual è la situazione politica del Madagascar, oggi?

 

R. – E’ tornata la calma ma è una calma apparente. Proprio due settimane fa, c’è stato il terzo rimpasto del governo da quando un anno fa è stato insediato Ravalomanana come presidente. Questo è un sintomo del tentativo di Ravalomanana di voler cambiare, di voler creare strutture per uno sviluppo immediato e duraturo, come lui dice. Il problema fondamentale, però, è che mancano le persone competenti che possano effettivamente mettere in moto uno sviluppo veramente equo per la popolazione del Madagascar.

 

D. – Cosa manca al Magadascar per arrivare allo sviluppo? Quali sono le condizioni sociali del Paese?

 

R. – Il Madagascar è tra i Paesi più poveri del mondo, tra gli ultimi dieci. Per quanto riguarda i redditi, si parla di una media di 100 dollari l’anno. Mancano le strade, le infrastrutture. Mancano i medicinali, gli ospedali. Per non parlare della situazione scolastica: praticamente, la metà delle scuole sono quelle messe su dalla Chiesa cattolica…

 

D. – Giungono aiuti dall’estero,  anche dalle Chiese dell’estero?

 

R. – L’aiuto c’è. Bisogna anche riconoscere che la Conferenza episcopale italiana è molto vicina, soprattutto con il Comitato di aiuto al Terzo Mondo, e sostiene diversi progetti, soprattutto che riguardano strutture sanitarie, strutture scolastiche e strutture nel campo della comunicazione sociale, per fare uscire il Madagascar dalla sua situazione di povertà.

**********

 

 

SI RIACCENDE IN EUROPA IL DIBATTITO SUL FENOMENO DELLA “FUGA DEI CERVELLI”, RIPORTATO IN PRIMO PIANO DAL SETTIMANALE TIME

- Con noi, il prof. Piero Benvenuti -

 

 

Nella ricerca scientifica, l’Europa ha perso le sue stelle. E’ il titolo provocatorio che campeggia sulla copertina dell’edizione europea di Time che, nel numero di questa settimana, ha pubblicato un dossier sulla cosiddetta “fuga dei cervelli” dal Vecchio Continente. Sarebbero 400 mila i ricercatori e scienziati europei trasferitisi negli Stati Uniti. A causare questa “migrazione” sarebbero soprattutto gli scarsi finanziamenti che gli Stati dell’Europa dedicano alla ricerca. Sul fenomeno Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione del prof. Piero Benvenuti, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica:

 

**********

R. – Vorrei partire dal fatto che è vero che c’è una consistente presenza di ricercatori e scienziati italiani nei più prestigiosi istituti di ricerca estera, soprattutto americani. E’ un dato di fatto. Questo significa, per me, che il sistema interno di alta formazione riesce a produrre delle professionalità che sono ambite da questi istituti nei quali, per entrare, c’è un’altissima competizione. Bisogna quindi chiedersi se questa è veramente una fuga oppure è semplicemente un’espansione di una comunità molto attiva che ha la capacità di assumere responsabilità di ricerca anche in ambito internazionale.

 

D. – Quali sono le conseguenze di questo fenomeno?

 

R. – Le conseguenze sono legate, nel momento attuale, alla crisi del finanziamento della ricerca di base che si sta espandendo un po’ in tutta Europa. E, se questa crisi di finanziamento della ricerca pura si protrarrà per troppo tempo, entreremo in una fase perversa di riduzione di capacità che potrebbe veramente farci “fuggire i cervelli” e le capacità che abbiamo acquisito. Spero che il governo italiano sia abbastanza lungimirante, in questa fase difficilissima di congiuntura economica, da investire in una ricerca che, per sua propria natura, non ha delle ricadute immediate ma ha prospettive veramente a lungo termine.

 

D. – Soffermiamoci su questo aspetto del finanziamento della ricerca: quali sono, secondo lei, gli interventi necessari per essere competitivi a livello mondiale?

 

R. – Al momento, i finanziamenti che arrivano alla comunità astrofisica – faccio riferimento a quella che conosco meglio – coprono praticamente gli stipendi ed il funzionamento ordinario. C’è pochissimo spazio, il 5-10 per cento, per investimenti di ricerca pura. Dovremmo arrivare a livelli più alti del 20-30 per cento, come negli Stati Uniti. La situazione è veramente critica perché a quel punto ci limitiamo a pagare lo stipendio a ricercatori però non possiamo investire in acquisizione di strumentazione e di sviluppo tecnologico. Il vero problema è che abbiamo in atto delle collaborazioni internazionali su progetti di ampio respiro che devono a tutti i costi essere mantenuti, altrimenti perderemo anche la credibilità!

**********

 

 

“PERU’ - TREMILA ANNI DI CAPOLAVORI” E’ IL TITOLO DELL’ESPOSIZIONE

DEDICATA ALLE CULTURE ANDINE PRECOLOMBIANE E OSPITATA

DALLA CITTA’ DI FIRENZE

- Intervista con Antonio Aimi -

 

“Perú – Tremila anni di capolavori” è il titolo dell’ampia rassegna sulle culture andine precolombiane allestita a Firenze presso Palazzo Strozzi fino al 22 febbraio prossimo. Posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, la mostra offre al pubblico oltre 300 opere provenienti dai maggiori musei peruviani e da importanti raccolte europee. Sono esposte anche le collezioni di reperti andini preispanici di proprietà della famiglia dei Medici. Il servizio è di Maria Di Maggio.

 

**********

(musica)

 

Raccontare la ricchezza artistica e culturale delle civiltà andine precolombiane che popolarono il Perú dal 900 avanti Cristo fino all’arrivo dei Conquistadores spagnoli nel 1532: è questo l’intento della rassegna “Perú – Tremila anni di capolavori”, in grado di segnare una svolta nella percezione occidentale dell’arte preispanica peruviana. Oltre a presentare al pubblico più di 300 reperti tra pitture, tessuti, sculture, ceramiche e gioielli, la mostra si propone di consegnare al regno dell’arte e dell’estetica il Perú precolombiano, fino ad oggi dominio della sola archeologia. Antonio Aimi, curatore dell’esposizione:

 

R. – Si danno tutte le informazioni che servono da un punto di vista antropologico e archeologico per contestualizzare queste culture, ma la fruizione estetica, lo specifico estetico dell’arte precolombiana del Perú viene offerto per la prima volta in una mostra in tutta la sua ampiezza, in tutto il suo spessore e anche in tutta la sua qualità.

 

D. – Quali aspetti inediti, quindi, di questa civiltà emergono dalla mostra?

 

R. – L’aspetto nuovo, inedito è presentare lo specifico artistico del Perú precolombiano, il che vuol dire, per la prima volta, entrare nel merito delle attribuzioni, delle scuole. Significa distinguere l’artigianato dalle opere dei Maestri, fare delle gerarchie. Forse l’elemento più nuovo della mostra è far vedere che da un punto di vista artistico esisteva un gioco tra artisti, committenza e corti che non era molto diverso da quello dell’Europa rinascimentale. Da questo punto di vista, attraverso l’arte la mostra fa vedere un complesso di culture che per certi versi sono molto più vicine di quanto pensiamo.

 

D. – Tra le opere raccolte, quale a suo avviso è maggiormente significativa e rappresentativa della intera cultura precolombiana peruviana?

 

R. – Ad esempio, una delle realizzazioni tipiche di una cultura preispanica del periodo della cultura Moche è la produzione di bottiglie a ritratto che hanno in genere caratteristiche di vero e proprio realismo. In particolare, presentiamo una bottiglia che rappresenta un cieco, probabilmente una sorta di sacerdote, che sta ridendo: è una cosa eccezionale, sia dal punto di vista antropologico che archeologico, perché soggetti che ridono sono abbastanza estranei alle rappresentazioni delle alte culture e poi è eccezionale  per la qualità straordinaria qualità del  pezzo.

 

(musica)

**********

 

=======ooo=======

 

 

 

CHIESA E SOCIETA’

18 gennaio 2004

 

 

NELLA SINAGOGA DI MILANO ESPONENTI DI 16 CHIESE CRISTIANE

 HANNO PARTECIPATO, IERI,

 AL RITO EBRAICO DI CONCLUSIONE DEL SABATO

 

MILANO. = In occasione della Giornata dell’Ebraismo, promossa dal Consiglio delle Chiese cristiane, rappresentanti della Chiesa cattolica e di altre confessioni cristiane hanno partecipato ieri, nella sinagoga maggiore di Milano, al rito ebraico di conclusione del sabato. Il rabbino capo, Giuseppe Laras, nel ringraziare le Comunità cristiane milanesi, ha ricordato come l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, abbia auspicato - nel fare visita alla sinagoga - la collaborazione tra le religioni monoteistiche. La cerimonia è proseguita con l’intervento del capo della comunità ebraica di Milano, Roberto Jarach, che ha ricordato come i rapporti tra cristianesimo ed ebraismo siano tornati a convergere in un dialogo ripreso, soprattutto, dopo la tragedia della Shoa. “Un dialogo – ha ricordato Jarach – al quale ha dato grande slancio il cardinale Carlo Maria Martini che oggi vive a Gerusalemme”. “Per combattere la piaga dell’antisemitismo – ha aggiunto il capo della Comunità ebraica milanese – c’è bisogno di maggiore conoscenza e informazione”. (A.L.)

 

 

GRAZIE AD UN’INIZIATIVA DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU PER I RIFUGIATI,

AL POPOLO SAHARAWI, IN ESILIO NEL SAHARA ALGERINO, E’ DATA LA POSSIBILITA’

DI TELEFONARE AI PROPRI CARI, INTERROMPENDO

 COSI’ UN ISOLAMENTO DURATO VENTOTTO ANNI

 

SAHARA ALGERINO. = Tre giorni fa, per la prima volta dal 1976, i saharawi hanno potuto telefonare ai propri cari, spezzando l’isolamento vissuto in attesa di un accordo internazionale che non è ancora stato raggiunto. Sigillata in gabbie a cielo aperto con lo status di rifugiati, che offre il diritto a ricevere assistenza ma non quello a poter tornare in patria, questa popolazione vive nel Sahara algerino da ventotto anni, da quando cioè le truppe spagnole d’occupazione si ritirarono e il Marocco si è annesso quel lembo di terra che si affaccia sull’Oceano Atlantico, di fronte alle isole Canarie. La possibilità di contattare le famiglie è stata offerta dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. In poche ore una cinquantina di persone, soprattutto donne, hanno telefonato ai parenti rimasti nel Sahara Occidentale, sotto sovranità marocchina. La dolorosa vicenda di questo popolo dura da quando, con l’annessione del Marocco, decine di migliaia di saharawi vennero forzati all’esilio. La resistenza armata contro Rabat, condotta dal Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria, è cessata nel 1991. In quell’anno è stato firmato un cessate-il-fuoco e le Nazioni Unite hanno inviato circa 300 caschi blu. Da allora, almeno quattro ipotesi di accordo per garantire l’autodeterminazione dei saharawi sono stati ostacolati da veti incrociati. Ad agosto scorso, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha adottato il piano di pace proposto dall’ex sottosegretario di Stato Usa, James Baker. Prevede un referendum entro cinque anni per decidere lo status definitivo del Sahara Occidentale. Ma anche questa proposta, per ora, è stata bloccata. (D.G.)

 

 

PROSEGUE IN PAKISTAN UN PROGRAMMA DI SENSIBILIZZAZIONE PROMOSSO DALLA CONFERENZA EPISCOPALE PAKISTANA PER PROMUOVERE UN COINVOLGIMENTO PIÙ ATTIVO DELLA SOCIETÀ CIVILE ALLA VITA DEMOCRATICA DEL PAESE

 

KASUR. = Informare tutti i cittadini sui loro diritti civili e politici ed incoraggiarli ad una partecipazione più consapevole e attiva al processo democratico del Pakistan. E’ l’obiettivo di uno speciale programma di sensibilizzazione e informazione lanciato nella provincia del Punjab, nel Paese asiatico, dalla Commissione nazionale della giustizia e della pace della Conferenza episcopale pakistana (Ncjp). “Il programma - spiega il coordinatore Samson Salamat all’agenzia Ucan - consiste in una serie di seminari e incontri aperti a tutte le persone, senza distinzione di appartenenza religiosa”. L’ultimo, in ordine di tempo, si è svolto recentemente nella cittadina di Kasur, a 55 km a Sud di Lahore, sul tema: “Diffusione della democrazia in Pakistan”. “La democrazia – ha detto Salamat - dovrebbe essere a vantaggio della gente”. Sullo stesso piano è stato l’intervento del segretario esecutivo della Commissione episcopale, Peter Jacob, che ha evidenziato la necessità di promuovere, nel Paese, un clima veramente democratico e improntato sul rispetto reciproco e sulla convivenza pacifica delle molteplici componenti della società pakistana. Dopo il  Punjab, la campagna di informazione promossa del Ncjp sarà estesa anche alle altre province del Pakistan. (L.Z.)

 

 

TRA LE INIZIATIVE DI QUESTA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI,

 HA PARTICOLARE RISALTO L’OTTAVARIO CHE SI APRE OGGI, A ROMA,

 NELLA CHIESA DI SANTA MARIA IN VIA LATA.

- A cura di Giovanni Peduto -

 

ROMA. = Sono ormai numerose, nella sola Roma, le iniziative per la Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani. Fra le tante, spicca la celebrazione dell’ottavario presso la basilica di Santa Maria in via Lata per iniziativa di “Unitas” con la collaborazione delle Suore Figlie della Chiesa. Ogni sera, a partire da oggi fino al prossimo 25 gennaio, alle ore 20, si alterneranno le divine liturgie in un differente rito cattolico orientale: ucraino, bizantino-russo, siro-malankarese, bizantino-romeno, bizantino-greco, armeno, siro-àmaronita e antiocheno. E’ una forma di fraternità fra cristiani cattolici e ortodossi perché diversi riti orientali sunnominati non sono diversi dai corrispondenti riti delle Chiese sorelle ortodosse. Il merito dell’iniziativa, che si ripete ormai da vari decenni è di mons. Lino Lozza, rettore della basilica di Santa Maria in Via Lata.

 

 

=======ooo=======

 

 

 

 

24 ORE NEL MONDO

18 gennaio 2004

 

- A cura di Dorotea Gambardella -

   

Ennesima strage in Iraq. Almeno 25 persone hanno perso la vita e 131 sono rimaste ferite nello scoppio di un’autobomba, imbottita con 500 chili di esplosivo, davanti alla sede della coalizione, a Baghdad. Il nostro servizio.

 

*********

“Queste morti sono tragiche e imperdonabili”. L’amministratore civile americano in Iraq, Paul Bremer, condanna duramente l’attentato suicida compiuto stamani davanti alla sede della coalizione a Baghdad, presso la cosiddetta Porta degli assassini. Bremer ha definito la strage, in cui hanno perso la vita almeno 25 persone, la maggior parte delle quali civili iracheni, più due americani dipendenti del Pentagono, “uno scandalo, che testimonia ancora una volta le intenzioni assassine e ciniche dei terroristi, i quali – ha detto - cercano di sabotare la libertà, la  democrazia e il progresso in Iraq”. La vettura della morte, un pick-up Toyota di colore bianco, secondo un testimone, si era accodata dietro la fila delle altre auto che aspettavano di entrare nell'ex palazzo presidenziale di Saddam Hussein, dove Bremer ha installato gli uomini della Difesa. Poi, alle otto ora locale, la deflagrazione che ha provocato anche 131 feriti, subito soccorsi dalle autoambulanze. La conferma che si è trattato di un attentato suicida, è arrivata da fonti militari statunitensi. Secondo il capo della polizia irachena, il generale Ahmed Ibrahim, “l'attacco è opera di gruppi stranieri, intenzionati forse a far tornare al potere il partito Baath”. Quello di oggi è il primo attentato compiuto a Baghdad dall'inizio dell'anno. L'ultimo, contro un ristorante, in cui morirono otto persone, risale infatti al 31 dicembre. Infine, a Bassora, nel sud dell’Iraq, una deflagrazione ha provocato il ferimento di due soldati britannici. A darne notizia, l'emittente del Qatar, Al Jazeera.

*********

Domani sera negli Stati Uniti, gli elettori del partito democratico dello stato dell’Iowa si riuniranno in 2457 assemblee per eleggere i candidati che aspirano a sfidare George Bush nelle elezioni nazionali del prossimo 2 novembre. I sondaggi delle ultime ore indicano come favoriti l’ex governatore del Vermont, Howard Dean, i senatori John Kerry e John Edwards e l’ex capogruppo democratico alla camera, Dick Gephardt. Il servizio è di Elena Molinari.

 

*********

Quelli di Dean hanno la cuffia arancione, quelli di Gephardt hanno i cappellini da baseball. Sono le centinaia di volontari discesi sull’Iowa, per dare una mano ai candidati che si contendono il primo voto per la nomination democratica. Gli sfidanti hanno bisogno di tutto l’aiuto che possono ottenere, perché la competizione è serrata. La corsa, che inizialmente sembrava aperta solo a Dean e Gephardt, si è trasformata in un testa a testa a quattro, dove ogni mossa conta anche perché gli indecisi sono ben l’11 per cento. Ma i candidati democratici stanno già guardando alle prossime tappe del carrozzone elettorale americano: se l’Iowa è importante perché è il primo a pronunciarsi, nessuno si può permettere di ignorare gli Stati dove la battaglia per la nomination si sposterà già alla prossima settimana. La maratona è lunga e la guerra sarà all’ultimo sangue, anche perché da Washington arrivano segnali che George Bush non è imbattibile. Se è vero che il 52 per cento degli americani è pronto a rieleggerlo, è anche vero che un vantaggio del genere a nove mesi dalle presidenziali non appare insormontabile.

 

Elena Molinari, per la Radio Vaticana.

*********

 

Guatemala. Sarà il premio Nobel 1992 per la pace Rigoberta Menchu, attivista per i diritti civili, a vigilare sull'applicazione degli accordi di pace che hanno messo fine a una guerra civile finora costata la vita a 200 mila persone. “Ho molto interesse per questo ruolo - ha dichiarato la Menchu al quotidiano “Prensa libre” - per poter offrire al Guatemala i contatti amichevoli che ho accumulato nel mondo e recuperare la fiducia che abbiamo perso” negli anni scorsi. L’incarico le è stato offerto dal presidente Oscar Berger. L’accordo di pace nel Paese dell’America centrale, mediato dall'Onu, è stato firmato nel 1996, ma la sua applicazione è stata sempre oggetto di contrasti.

 

Le truppe delle Nazioni Unite sono entrate nell'est della Liberia, controllato dai ribelli. A riferirlo è l’emittente televisiva britannica “Bbc” nel suo sito on line. I caschi blu etiopici, circa un migliaio, hanno fatto il loro ingresso a Zwedru, nella giungla liberiana, ricevendo una buona accoglienza da parte della popolazione locale. I capi dei gruppi ribelli, dal canto loro, hanno ribadito la loro volontà di rispettare gli accordi di pace siglati dopo l'uscita di scena dell'ex presidente Charles Taylor. Nel resto del Paese africano, tuttavia, ci sono ben 40mila guerriglieri che non hanno ancora ceduto le armi.

 

Con gli ultimi due nuovi casi, sale a 75 il bilancio delle persone contagiate dalla legionellosi in Francia, nella regione di Pas-de-Calais, dove è in corso una vera e propria epidemia. Di esse, dieci sono morte. Per tentare di arginare la malattia, nel pomeriggio, si terrà a Lens una riunione con le autorità sanitarie della zona, convocata dal ministro della Sanità francese, Jean-Francois Mattei.

 

Sharm El Sheikh. La seconda scatola nera dell'aereo precipitato nel Mar Rosso, recuperata oggi, non è in buone condizioni ed è, quindi, probabile che i dati in essa contenuti siano inutilizzabili. Ad annunciarlo è stato il capo della squadra di ricerca egiziana, il quale ha precisato che a danneggiare la scatola, oltre allo schianto, è stata la lunga permanenza sott’acqua a grande profondità.

 

La sciagura aerea avvenuta martedì scorso in Uzbekistan e costata la vita a 37 persone, è stata causata da un errore del pilota del velivolo. Lo hanno indicato le registrazioni delle scatole nere, come riporta il sito on line dell’emittente britannica “Bbc”. Stando alle dichiarazioni di un testimone, l'aereo, partito da Termez, si è schiantato nei pressi dell'aeroporto della capitale uzbeka, Tashkent, dopo aver urtato un muro dello scalo in fase di atterraggio.

 

“Sono pronto ad affrontare un processo internazionale per genocidio”. È quanto ha dichiarato Nuon Chea, numero 2 dei khmer rossi durante il regime di Pol Pot in Cambogia, in un’intervista all’agenzia di stampa americana Associated Press. “Abbiamo commesso errori - ha riconosciuto Chea - ma abbiamo agito per migliorare le condizioni del popolo”. I capi dei Khmer rossi verranno giudicati da un tribunale internazionale, come richiesto sia dal governo cambogiano sia dalle Nazioni Unite.

 

Diventa permanente il programma americano di addestramento dell’esercito in Georgia. Ne dà notizia la tv britannica “Bbc”. Gli ufficiali statunitensi, di stanza nell'ex stato sovietico dal 2002 per addestrare i militari georgiani, avrebbero dovuto lasciare il Paese il prossimo marzo.

 

È stato arrestato dalla polizia di Islamabad, l’assistente dell’inventore della bomba atomica pachistana, Islam-ul-Haq, nell'ambito dell'indagine sul trasferimento della tecnologia nucleare all'Iran. Il governo di Teheran ha negato coinvolgimenti nella vicenda.

 

Medioriente. È stato riaperto il valico di Erez che collega Israele alla Striscia di Gaza. Il posto di controllo era stato chiuso mercoledì scorso, in seguito alla strage provocata da una donna kamikaze palestinese, in cui, oltre a lei, morirono quattro israeliani.

 

Cinque uomini e due donne sono stati arrestati in Pakistan perché sospettati di essere membri di Al Qaeda. I sette sono stati catturati durante una retata dei servizi segreti locali, che non hanno fornito dettagli sulla loro nazionalità.

 

Otto morti e sei feriti è il bilancio degli scontri avvenuti ieri nella provincia di Amran, 100 km a nord della capitale Sanaa, nello Yemen. A scatenare gli scontri, secondo la polizia, la disputa sul possesso e l’utilizzo di alcuni fazzoletti di terra.

 

L’Alitalia ha soppresso 364 voli per lo sciopero dalle 10 alle 18 di domani proclamato da tutti i sindacati, eccetto Anpac e Unione Piloti. Secondo la compagnia di bandiera italiana, saranno 18 mila i passeggeri danneggiati.

 

=======ooo======