RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII n. 58 - Testo della Trasmissione di venerdì 27 febbraio 2004

 

Sommario

 

 IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Giustizia e rispetto delle differenze etnico-religiose ma anche capacità di perdonare per assicurare alla Bosnia Erzegovina pace e stabilità: così il Papa al nuovo ambasciatore del Paese balcanico presso la Santa Sede, ricevuto per le lettere credenziali.

 

Telegramma di cordoglio del Papa per la scomparsa del presidente della Macedonia Trajkovski: il suo deciso impegno per la pace – ha detto – possa continuare ad ispirare la nazione macedone

 

Giovanni Paolo II incontra un nuovo gruppo di vescovi francesi in visita ad Limina e ribadisce: l’integrazione europea non può realizzarsi senza i valori del cristianesimo.

 

Sull’idea di Europa, cattolici e ortodossi russi hanno una visione comune: ai nostri microfoni il cardinale Walter Kasper

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si è aperto in Libia il vertice dell’Unione Africana: al centro dei lavori la pacificazione del Continente e il problema cruciale dell’acqua. Il commento di Massimo Alberizzi

 

A Frascati, terza edizione di “Mondi riemersi”, dedicato alla Corea del Sud: un percorso multimediale per conoscere le ricchezze culturali dei Paesi in terra di missione. Intervista con padre Giovanni Zevola

 

Ieri pomeriggio presso l’Aula Magna della Lumsa, Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma, si è svolta l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2003-2004: con noi il prof. Giuseppe Dalla Torre, il cardinale Carlo Furno e lo studente Giuseppe Angelillis

 

CHIESA E SOCIETA’:

Il 27 febbraio di quaranta anni fa lo storico discorso di Papa Paolo VI agli operatori pastorali degli zingari

 

Il premio Niwano per la pace 2004 è stato assegnato all’Arpli, l’organizzazione interreligiosa dell’Uganda settentrionale che da anni lavora per una soluzione pacifica della crisi nel Paese africano

 

In Sudan, si aggrava l’emergenza umanitaria nella regione occidentale  del Darfur

 

Non si placa l’epidemia di febbre dengue in Indonesia: in due mesi, oltre trecento morti e 17 mila infettati

 

Promuovere la pace nelle isole Salomone attraverso la cultura: è l’impegno preso dalla scuola cattolica “St. Jospeh” dell’isola di Tenaru

 

24 ORE NEL MONDO:

 Prosegue ad Haiti la marcia dei ribelli verso la capitale

 

Nuove polemiche sulla guerra in Iraq: prima dell’intervento bellico la Gran Bretagna avrebbe spiato le conversazioni telefoniche di Kofi Annan

 

La Corea del Nord pronta a congelare il proprio programma nucleare militare

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 febbraio 2004

 

 

GIUSTIZIA, UGUAGLIANZA, LIBERTA’ E RISPETTO DELLE DIFFERENZE

PER ASSICURARE ALLA BOSNIA ERZEGOVINA PACE E STABILITA’,

ANCHE IN VISTA DI UN AUSPICABILE INGRESSO NELL’UNIONE EUROPEA:

COSI’ IL PAPA AL NUOVO AMBASCIATORE DELLA BOSNIA ERZEGOVINA

PRESSO LA SANTA SEDE, RICEVUTO PER LE LETTERE CREDENZIALI

 

“Solo la pace nella giustizia e nel rispetto reciproco, solo la promozione del bene comune in un clima di autentica libertà sono condizioni proficue per costruire un futuro migliore per tutti”: sono parole del Papa che, questa mattina, ha ricevuto in Vaticano per le lettere credenziali il nuovo ambasciatore della Bosnia Erzegovina presso la Santa Sede, il signor Miroslav Palameta. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Giovanni Paolo II ricorda le difficoltà e le sofferenze causate dai recenti conflitti e le conseguenze che ancora si pagano, come l’irrisolta questione dei profughi e degli esuli. “Non possono essere lasciati soli”, afferma, aggiungendo che si devono “affrontare situazioni di ingiustizia e emarginazione, garantendo a ciascun popolo della Bosnia ed Erzegovina i rispettivi diritti e doveri, assicurando pari opportunità in ogni ambito della vita sociale”. La via indicata è chiara: “strutture democratiche in grado di contrastare la tentazione di prevaricare gli uni sugli altri”. “La democrazia – spiega Giovanni Paolo II- va costruita con paziente tenacia giorno dopo giorno, utilizzando strumenti e metodi sempre degni e rispettosi di una società civile”.

 

L’incoraggiamento alla Bosnia Erzegovina nel cammino di pace e giustizia raccomanda “un’effettiva uguaglianza di tutti davanti alle leggi e un rispetto concreto del prossimo”. Le condizioni di base sono parole impegnative come “perdono sincero” e “riconciliazione autentica”, possibili – ribadisce il Papa- se la memoria viene “liberata dai rancori e dagli odi scaturiti dalle ingiustizie subite” ma anche dai “pregiudizi costruiti artificialmente”.

 

Così come nei viaggi, fatti nella regione nell’aprile del 1997 e nel giugno del 2003, Giovanni Paolo II chiede ai cattolici di essere “costruttori di speranza”. A tutti, e in modo particolare ai politici, chiede di non ignorare le differenze esistenti, piuttosto di “rispettarle considerandole un arricchimento comune e evitando che si trasformino in pretesti per contese o, peggio, per conflitti”. E’ la sfida di una società multietnica, multireligiosa e multiculturale, quale è la Bosnia ed Erzegovina.

 

E Giovanni Paolo II, allargando lo sguardo, sottolinea l’aiuto ancora atteso dalla comunità internazionale, che ha avuto finora “un ruolo di grande rilievo”, e poi l’aspettativa di unirsi agli altri Paesi europei per costruire una casa comune. Il suo è un auspicio preciso: “possa questa aspettativa realizzarsi quanto prima”. “Questo lembo d’Europa che per secoli ha sofferto potrebbe offrire il suo contributo per un’unità che non è solo allargamento di confini ma crescita solidale nel rispetto di ogni tradizione culturale e nell’impegno per la giustizia e la pace nel continente e nel mondo”.

 

Ricordiamo che la guerra nell’area della Bosnia-Erzegovina è durata quattro anni, dal 1992 al 1995, e ha provocato 200.000 morti e 800.000 tra sfollati e profughi. Resta uno dei più violenti e tragici conflitti scoppiati in Europa nel XX secolo. L'attuale sistema di governo della Bosnia-Erzegovina, stabilito dagli accordi di Dayton, fa del Paese una delle democrazie più complesse del mondo: il presidente condivide la carica con altri due presidenti, eletti dalle rispettive comunità croata, musulmana e serba. Si alternano alla guida dell'organo collegiale ogni otto mesi. I capi del governo sono i tre presidenti del Consiglio dei Ministri che nominano insieme i membri del Consiglio. Oltre a questo sistema di tripla presidenza, ci sono anche un presidente della Federazione della Bosnia-Erzegovina e un presidente della Republika Srpska.

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TELEGRAMMA DI CORDOGLIO DEL PAPA PER LA SCOMPARSA

DEL PRESIDENTE DELLA MACEDONIA TRAJKOVSKI:

IL SUO DECISO IMPEGNO PER LA PACE – HA DETTO – POSSA CONTINUARE

AD ISPIRARE LA NAZIONE MACEDONE

 

Il Papa ha espresso in un telegramma il suo più profondo cordoglio per la scomparsa del presidente dell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Boris Trajkovski, deceduto ieri con altre 8 persone in un incidente aereo. Giovanni Paolo II assicura le sue preghiere per tutte le vittime, che raccomanda alla misericordia di Dio, e auspica che “il deciso impegno per la pace” del presidente macedone “ispirerà la Nazione a procedere saldamente lungo il sentiero del dialogo, del reciproco rispetto e della riconciliazione”. “Sull’amato popolo della Macedonia – scrive infine il Pontefice – invoco i doni divini della consolazione e della forza”.

 

 

LE CHIESE LOCALI LAVORINO ALL’INTEGRAZIONE EUROPEA,

CHE NON PUO’ CONCRETIZZARSI SENZA I VALORI DEL CRISTIANESIMO:

COSI’ IL PAPA AI VESCOVI FRANCESI IN VISITA AD LIMINA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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L’Unione europea non può realizzarsi “a scapito” o “contro” i “valori antropologici, morali e spirituali cristiani”: quegli stessi  valori che “nel corso dei secoli, hanno largamente contribuito a formare le diverse nazioni europee e a tessere i loro legami profondi”. E’ una delle affermazioni centrali del discorso rivolto oggi da Giovanni Paolo II ad un nuovo gruppo di vescovi francesi ricevuti in visita ad Limina.

 

Una comunità di valori, che sia fondata sulla solidarietà, perché sia chiusa definitivamente e “radicalmente” la pagina dei conflitti “che hanno insanguinato il continente durante tutto il ventesimo secolo”. E’ questa l’Europa del prossimo futuro verso la quale il Papa invita a tendere, esortando le chiese locali “a impegnarsi sempre più fermamente in favore dell’integrazione” continentale, così come nei secoli scorsi la Chiesa contribuì all’unità continentale in campo culturale, educativo, sociale, caritativo e sanitario. Un invito perentorio, quasi, quello del Papa, che di quei conflitti ha conosciuto personalmente il dolore e la miseria e che oggi mette in guardia gli europei del terzo millennio dal commettere gli stessi errori che portarono a quelle tragedie. Oggi, “i rapporti tra i diversi Paesi - ha osservato in proposito il Pontefice - “non possono basarsi unicamente su interessi economici e politici” o su “alleanze di convenienza, che renderebbero fragile l’allargamento in corso di realizzazione e che potrebbero condurre a un ritorno delle ideologie del passato, che hanno ridicolizzato l’uomo e l’umanità”.

 

Una vera “Europa dei popoli”, ha obiettato invece il Papa, non può che essere “un’Europa della fraternità e della solidarietà”. Una “comunità di valori” in grado di tenere in conto le differenze perché, ha detto, ha per prospettiva “la promozione dell’uomo, il rispetto dei suoi diritti inalienabili e la ricerca del bene comune, per la felicità e il benessere di tutti”. Giovanni Paolo II ha poi toccato altri ambiti fondamentali per l’impegno pastorale della Chiesa francese: il ruolo di riflessione proprio delle università cattoliche, il dialogo interreligioso, i rapporti con le autorità civili e con i Paesi del Terzo mondo, in particolare con l’Africa, la partecipazione dei cristiani alla vita pubblica. Al riguardo, sfiorando un tema che nelle scorse settimane ha catalizzato l’opinione pubblica francese, il Papa ha osservato che “la presenza visibile della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose non rimette per nulla in gioco il principio della laicità, né le prerogative dello Stato”.

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 SULL’IDEA DI EUROPA, CATTOLICI E ORTODOSSI RUSSI HANNO UNA VISIONE COMUNE: COSI’, AI NOSTRI MICROFONI, IL CARDINALE WALTER KASPER,

 DI RITORNO DALLA VISITA A MOSCA

 

Un passo importante sulla via del dialogo tra cattolici e ortodossi russi. E’ questo il significato della visita a Mosca del cardinale Walter Kasper che nei giorni scorsi ha potuto incontrare il Patriarca Alessio II e il metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill. Per un bilancio della visita in Russia, ecco la testimonianza del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, raccolta da Giovanni Peduto:

 

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R. – Come sappiamo, ci sono state grandi tensioni con la Chiesa ortodossa russa e questo viaggio doveva essere un primo passo su una strada probabilmente ancora lunga, ma comunque è stato un passo importante: ha comportato un certo disgelo. Abbiamo avuto uno scambio di opinioni e abbiamo trovato alcune soluzioni: abbiamo stabilito una commissione mista, abbiamo concordato una collaborazione europea e in campo accademico-teologico.

 

D. – Eminenza, cosa c’è alla base delle incomprensioni tra le due Chiese?

 

R. – Si deve fare una certa distinzione tra la gerarchia, che ha le sue posizioni molto chiare, talvolta anche – per noi – un po’ dure, ma adesso si sta aprendo; e dall’altra parte il popolo: il popolo a sua volta non è omogeneo, ma ho incontrato molti cristiani ortodossi che vogliono la collaborazione, che vogliono la comunione e l’unità e hanno soprattutto una certa nostalgia del Santo Padre perché il Papa attuale gode di un’alta stima, anche fuori dalla Chiesa cattolica e anche in Russia. Ci sono pesi storici: una divisione di mille anni ha il suo peso; ci sono stati motivi di sfiducia, problemi psicologici ... Il problema dogmatico di fondo è quello del Primato del Vescovo di Roma e il problema concreto è il cosiddetto ‘proselitismo’ e quello della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, i cosiddetti ‘uniati’. E noi abbiamo parlato di tutti questi problemi.

 

D. – Volgiamo lo sguardo alle cose positive: quali accordi sono stati raggiunti?

 

R. – Il primo accordo è quello che riguarda l’istituzione di questa commissione mista, il cui compito sarà di verificare le accuse e le lamentele della Chiesa ortodossa russa sul proselitismo e, laddove siano giuste, noi dobbiamo trovare cambiamenti e stabilire regole di comportamento reciproco ... Questo è un primo punto, e penso che sia un passo molto, molto importante. Il secondo accordo riguarda il desiderio di collaborazione in Europa: le due Chiese, infatti, si rifanno agli stessi valori umani e cristiani e in un’Europa sempre più secolarizzata c’è bisogno di questa testimonianza comune. In terzo luogo, la collaborazione in campo accademico-teologico, cioè prevedere uno scambio di professori e di studenti: questo a lunga scadenza è il punto più importante, perché è necessario anche cambiare la mentalità, il pensiero dei futuri preti ortodossi, e vogliamo procedere appunto nel campo accademico. Sono stato accolto molto cordialmente all’Accademia della Chiesa ortodossa russa.

 

D. – Sulla difesa e promozione dei valori cristiani in Europa, c’è una visione comune tra le due Chiese?

 

R. – Sì, ci rifacciamo agli stessi valori per quanto riguarda la tutela della vita, la questione dell’aborto, dell’omosessualità, del divorzio, dell’eutanasia, e via dicendo. Sono i valori del Vangelo e la Chiesa ortodossa russa è molto fedele al Vangelo, in questi ambiti. D’altra parte, la Russia vuole avere una certa influenza in Europa e questo non è possibile senza la Chiesa ortodossa russa e senza la collaborazione tra la Chiesa ortodossa russa e la Santa Sede, presente soprattutto nell’Europa occidentale. Io sono molto contento di questa collaborazione in campo politico ed etico.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattina il Santo Padre ha ricevuto  in udienza anche il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli.

 

Il Papa ha quindi nominato arcivescovo coadiutore di Antofagasta (Cile) monsignor Pablo Lizama Riquelme, conservandogli il suo attuale incarico di Ordinario Militare per il Cile.

 

Mons. Pablo Lizama Riquelme è nato a Santiago del Cile il 4 giugno 1941 e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 6 luglio 1967. In seno alla Conferenza Episcopale del Cile ha svolto vari incarichi; attualmente è presidente della Commissione nazionale per la pastorale vocazionale e per il clero.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina il discorso di Giovanni Paolo II a Presuli della Conferenza Episcopale di Francia; il Santo Padre ha esortato a costruire un'Europa dei popoli, fondata su una comunità di valori, un'Europa della fratellanza e della solidarietà.

Il Papa ricorda il Nunzio Apostolico Courtney, assassinato in Burundi, artefice convinto della cooperazione tra gli Stati del Continente.

Sempre in prima, in evidenza il titolo "Le ferite del mondo": corredata da foto eloquenti, una riflessione sui drammi umani che, in questo tempo, stanno segnando Uganda, Haiti, Medio Oriente ed Iraq. "Sono ferite profonde - si sottolinea - causate dalle ingiustizie. E le vittime delle ingiustizie parlano da sempre lo stesso linguaggio, il linguaggio del dolore".

Un approfondito articolo di Giampaolo Mattei sulla Conferenza del Cardinale Angelo Sodano al Circolo di Roma.

 

Nelle vaticane, nel discorso al nuovo Ambasciatore presso la Santa Sede, il Papa ha sottolineato che in Bosnia ed Erzegovina urge affrontare la questione irrisolta dei profughi e degli esuli che attendono di rientrare nelle loro terre in piena sicurezza per condurvi una vita dignitosa.

 

Nelle estere, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia: lutto nazionale per la morte di Trajkovski; omaggio commosso dell'Unione Europea.

Il telegramma di cordoglio del Santo Padre.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Claudio Toscani in merito alla riedizione del saggio di Luigi Russo sul poeta Salvatore Di Giacomo.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi della disoccupazione e delle pensioni.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 febbraio 2004

 

A SIRTE, IN LIBIA, IL VERTICE STRAORDINARIO DELL’UNIONE AFRICANA:

SUL TAVOLO I PROBLEMI CRONICI DEL CONTINENTE,

DALLA MANCANZA D’ACQUA AI CONFLITTI INTERNI

- Intervista con Massimo Alberizzi -

 

“L’America deve rinunciare alla sua mentalità colonialista nei confronti dell’Africa ed imitare l’Europa”. Parole del leader libico, Gheddafi, che stamattina ha inaugurato a Sirte, in Libia, il vertice straordinario dell’Unione Africana. All’appuntamento partecipano una quarantina di capi di Stato e di governo, e con loro anche il presidente della Commissione europea, Prodi. Impegnativi i temi in agenda, come ci riferisce Andrea Sarubbi:

 

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Accesso all’acqua, agricoltura, difesa comune, soluzione dei conflitti interni: a metà strada tra il vertice dello scorso anno in Mozambico e quello di luglio 2005 in Etiopia, il Continente torna a confrontarsi con i suoi problemi cronici. Lo fa su invito di Gheddafi, che ancora una volta – come nel ’99, quando l’Unione Africana ebbe inizio – ha scelto di convocare il summit nella sua città natale, ma che nel frattempo – come gli ha riconosciuto stamattina lo stesso Prodi – ha “fatto passi molto audaci, riportando il suo Paese sulla scena mondiale”. L’Europa farà il suo dovere, ha promesso Prodi, per riavvicinare l’Africa al resto del mondo. Uno dei gesti più significativi, nel breve periodo, riguarda la creazione di un fondo per l’acqua: meno di due africani su tre hanno accesso a quella potabile, ed in alcune zone la percentuale è ancora minore. L’obiettivo di investire sull’agricoltura, fissato lo scorso anno a Maputo, è lontanissimo dalla sua realizzazione: anche perché - denuncia l’ultimo rapporto dell’Unctad, la Conferenza dell’Onu per il commercio e lo sviluppo - le regole inique del commercio internazionale e la dipendenza dalle monocolture stanno bloccando la crescita. Mentre il problema della distribuzione delle risorse idriche è al centro della giornata di oggi, domani sarà all’esame dei partecipanti il progetto di creare una difesa comune. La stessa Unione Europea metterà a disposizione fondi per finanziare una struttura di peacekeeping, sulla cui composizione manca ancora un accordo: il progetto libico di un esercito unico, contestato da molti leader nazionali, potrebbe cedere il passo a quello di una forza multipolare, di stanza in cinque regioni del Continente.

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È il problema dell’acqua, dunque, a dominare i dibattiti di oggi. Ne abbiamo parlato con Massimo Alberizzi, esperto di questioni africane del Corriere della Sera:

 

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R. – In Africa, l’acqua non è ripartita tra le varie popolazioni, ma ci sono anzi dei problemi tribali sulla sua utilizzazione. È un problema fondamentale per la stabilità del Continente. I grandi fiumi africani – parlo del Nilo, del Congo, del Niger – attraversano vari Paesi: è chiaro che, se i Paesi a monte sottraggono l’acqua ai Paesi a valle, questo genera conflitti. In Africa, chi non è vicino ai fiumi ha poca acqua potabile.

 

D. – Ricordi esplicitamente alcuni conflitti scoppiati in Africa per l’acqua?

 

R. – Sì, ci sono stati conflitti tra il Sudan e l’Etiopia; tra Niger e Mali: formalmente non era l’acqua il motivo scatenante, ma in realtà scoppiavano proprio perché non si riusciva a trovare un accordo che garantisse ai Paesi a valle di mantenere una sufficiente quantità d’acqua, che poteva essere sottratta dai Paesi a monte.

 

D. – Un altro aspetto che si esamina in questo vertice dell’Unione Africana è quello di una possibile difesa comune. Secondo te è un obiettivo a portata di mano per l’Africa di oggi?

 

R. – Io ho dei grossi dubbi, perché molti Paesi africani sono attualmente in conflitto tra di loro, o comunque hanno relazioni contrastate. È molto difficile arrivare ad una politica comune, quando i regimi sono basati sulla forza.

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A FRASCATI, TERZA EDIZIONE DI “MONDI RIEMERSI”,

DEDICATO ALLA COREA DEL SUD:

UN PERCORSO MULTIMEDIALE PER CONOSCERE LE RICCHEZZE CULTURALI

DEI PAESI IN TERRA DI MISSIONE

- Intervista con padre Giovanni Zevola -

 

Far riemergere una realtà come quella del sud del mondo, con le sue tinte forti e spesso drammatiche, dalle nebbie di un interesse che non sia solo quello suscitato dai media è un’operazione difficile. Ma è questa la scommessa alla base dell’iniziativa che da tre anni viene puntualmente riproposta alla fine di febbraio dai Missionari Oblati di Maria Immacolata, Congregazione fondata a primi dell’Ottocento da Sant’Eugenio de Mazenod. L’iniziativa si chiama, appunto, “Mondi riemersi” ed è in corso di svolgimento nella cittadina laziale di Frascati. Dopo il Senegal e l’Uruguay, l’edizione 2004 della manifestazione - che si concluderà domenica alle Scuderie Aldobrandini - punta i riflettori sulla Corea del Sud.

 

Attraverso un percorso fatto di immagini, arte, musica, esperienze e perfino gastronomia, centinaia di persone, soprattutto studenti, hanno la possibilità di conoscere a tutto tondo la cultura di Paesi che non sono solo terra di missione ma più spesso custodi di tradizioni e di suggestioni millenarie. Il tutto in una cornice di dialogo e di apostolato, quest’anno testimoniato da padre Giovanni Zevola, missionario Oblato, che spiega, al microfono di Alessandro De Carolis, il tipo di servizio che gli Oblati svolgono in Sud Corea:

 

 

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R. – Il grosso del nostro lavoro missionario va all’attenzione nei confronti dei barboni. La parrocchia di per sé non ha ancora la capacità di accogliere costoro, per cui uno di noi, padre Vincenzo, da alcuni anni porta avanti un progetto, “Casa di Anna”, dove presta attenzione a questi barboni, offrendo loro un pasto caldo la sera. Ci sono all’incirca 350-400 persone che vengono ogni sera. Ma al di là dell’aspetto dello sfamare, si dà loro la possibilità di consulenza a livello psicologico – se volessero – a livello spirituale, per qualcuno la possibilità di ritornare nel mondo del lavoro se ce ne fosse la possibilità e ultimamente, dallo scorso anno, si presta attenzione ai ragazzi di strada. Questo è un primo ambito. L’altro ambito è l’attenzione ai lavoratori stranieri in Corea: la maggioranza sono cinesi, poi c’è tutto il sud-est asiatico fino all’Africa, l’America Latina e poi molti dai Paesi di quella che era una volta l’Unione Sovietica. Con loro si fa molto lavoro sul piano sociale, prima di tutto di accoglienza, perché molti di loro sono clandestini e quindi c’è bisogno talvolta di incontrare il datore di lavoro, poi si affrontano problemi di salario, di assistenza medica, di documentazione. Ma oltre a questo impegno sociale c’è la possibilità di mostrare loro un aspetto di quella che è la Chiesa, perché la maggioranza di questa gente non è cristiana. Speriamo così di essere un motivo di evangelizzazione.

 

D. – Che tipo di rapporti avete con la Corea del Nord?

 

R. – Cerchiamo di coinvolgerci in quelle che sono le attività tipiche della Chiesa coreana locale. Per esempio nella diocesi in cui lavoro ci sono di tanto in tanto delle iniziative specifiche. Ricordo ad esempio il 2002, quando lo stesso vescovo della diocesi si recò al nord, portando con sé viveri, trattori per lo sviluppo del nord.

 

D. – I cristiani in Corea sono una minoranza. Quali sono i rapporti con la religione di maggioranza: il Buddismo?

 

R. – Pur essendo in Asia, i cattolici sono il 9 per cento della popolazione, i cristiani, in totale, raggiungono oltre il 25 per cento. Quindi, un numero abbastanza considerevole. C’è un’immagine della Chiesa abbastanza positiva per l’impegno che ha mostrato soprattutto nel campo sociale negli anni passati. Per quanto riguarda il rapporto con il buddismo, devo dire che è molto pacifico. Ci sono molte attività sostenute e dal buddismo e dal cristianesimo, in specifico dalla religione cattolica. Ci ritroviamo insieme per vedere con quali linee operative svolgere il nostro apostolato.

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IERI POMERIGGIO PRESSO L’AULA MAGNA DELLA LUMSA,

LIBERA UNIVERSITÀ MARIA SANTISSIMA ASSUNTA DI ROMA,

SI È SVOLTA L’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO 2003-2004

- Ai nostri microfoni il prof. Giuseppe Dalla Torre, il cardinale Carlo Furno

e Giuseppe Angelillis -

 

Ieri pomeriggio presso l’Aula Magna della Lumsa, Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma, si è svolta l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2003-2004. Alla cerimonia hanno preso la parola, tra gli altri, il professo Giuseppe Dalla Torre, Magnifico Rettore di questo Ateneo, il cardinale Carlo Furno, arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore (e presidente del Consiglio  d’Amministrazione della Lumsa), l’on. Enrico Gasbarra, presidente della provincia di Roma. Il servizio è di Francesco Vitale.

 

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Il professor Giuseppe Dalla Torre ha presentato una riflessione sulla situazione delle Università statali e non statali, e ha dato un rapido bilancio dell’attività di questo ateneo nel trascorso anno accademico. Che cosa spinge oggi gli studenti a scegliere la Lumsa? Ci risponde lo stesso rettore:

 

“La nostra è un’università di tendenza, vale a dire che è un’università che ha una linea ideale, che è quella dell’umanesimo cristiano, entro il quale ricondurre tutti i saperi; ciò che da senso, che da unità, che da quindi un particolare significato a quello che si apprende. Il piccolo è bello: noi cerchiamo di essere un centro di eccellenza e l’eccellenza non si raggiunge mai compiutamente una volta per tutte, ma siamo incamminati sulla buona strada”.

 

Nonostante lo stato di travaglio in cui spesso vivono le università italiane, la Lumsa si è fortemente rinnovata per stare al passo sia con la riforma sia con le esigenze degli studenti. Con circa 7 mila iscritti, infatti, l’offerta formativa della Lumsa è articolata su tre facoltà, con 20 corsi di laurea triennali, 13 corsi di laurea specialistica, 24 master e sette corsi di perfezionamento. Fondamentale il ruolo dei docenti – circa 700 – come dimostra la testimonianza di uno studente, Giuseppe Angelillis:

 

“Ho trovato subito insegnanti che vivono veramente quello che fanno, lo fanno con il cuore e sicuramente ce lo trasmettono. Sono molto disponibili: la Lumsa ha questa caratteristica, che ho subito riscontrato: la disponibilità”.

 

Alla cerimonia era presente anche il cardinale Carlo Furno, che ha dato avvio ai lavori rivolgendo la parola agli studenti:

 

“Gli studenti sono la causa finale, il perno di tutta l’organizzazione universitaria, che suppone in essi serietà di propositi, applicazione seria perché possano veramente sfruttare nel miglior modo possibile, i tempi importanti della loro formazione intellettuale, che deve sempre essere accompagnata da quella morale spirituale per la crescita integrale della persona”.

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CHIESA E SOCIETA’

27 febbraio 2004

 

 

IL 27 FEBBRAIO DI QUARANTA ANNI FA LO STORICO DISCORSO

 DI PAPA PAOLO VI AGLI OPERATORI PASTORALI DEGLI ZINGARI

- Servizio di Giancarlo La Vella -

 

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CITTA’ DEL VATICANO.= “Fede esemplare, distacco dal mondo, obbedienza e fiducia in Dio, queste sono le qualità che riscontrerete fra le pecorelle a voi affidate e che costituiscono la base per il vostro ministero”. Sono le parole di Paolo VI, pronunciate il 27 febbraio 1964, mentre accoglieva in udienza gli operatori pastorali fra gli zingari d’Europa. Parole profetiche, queste, che mostrano come lo spirito missionario sia sempre stato la dimensione profonda di Papa Montini, tanto da assumere il nome di Paolo, l’apostolo che desiderò portare il Vangelo a tutte le genti. Esse testimoniano che la Provvidenza, attraverso la sensibilità del Santo Padre, ha portato la Chiesa ad incontrare gli zingari, traendoli dall’anonimato di una storia negata e riconoscendoli suoi figli carissimi. Paolo VI – ha detto in questa ricorrenza don Bruno Nicolini, da anni impegnato nella pastorale tra i gruppi Rom e Sinti della diocesi di Roma – guardò alla condizione umana degli zingari, nell’ottica di Dio e del suo disegno di salvezza: senza pregiudizi, né riserve seppe portare a compimento i segni positivi del passato e preannunciare il futuro degli zingari nella Chiesa. Questo discorso di Paolo VI ha aperto ad una nuova pastorale, dove la priorità è data all’ascolto e quindi al dialogo, così integrando l’originalità del messaggio evangelico nel cuore della vita e della cultura di ogni popolo, come di ogni gruppo etnico, compresi, dunque, gli zingari. Rimane aperta la domanda – si chiede don Nicolini – se le comunità cristiane abbiano recepito l’esigenza di un nuovo rapporto con gli zingari, secondo le linee tracciate da Paolo VI, dando testimonianza di una Chiesa aperta all’accoglienza di tutti i suoi figli, senza la quale viene meno la credibilità stessa dell’annuncio evangelico.

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IL PREMIO NIWANO PER LA PACE 2004  È STATO ASSEGNATO ALL’ARPLI,

L’ORGANIZZAZIONE INTERRELIGIOSA DELL’UGANDA SETTENTRIONALE CHE

DA ANNI LAVORA PER UNA SOLUZIONE PACIFICA DELLA CRISI NEL PAESE AFRICANO.

IL PREMIO SARA CONSEGNATO A TOKIO IL PROSSIMO 11 MAGGIO

- A cura di Flaminia Caldani -

 

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ROMA.= E’ l'organizzazione africana Arpli la vincitrice della XXI edizione del Premio Niwano per la pace. Il suo nome, ha riferito un portavoce del Premio in Italia, è stato scelto tra un migliaio di segnalazioni giunte da 125 Paesi del mondo. L’Arpli - Iniziativa di pace dei leader religiosi della regione ugandese dell’Acholi - è un’organizzazione dell'Uganda settentrionale i cui membri, appartenenti a diverse religioni, tra cui cristiani (cattolici, ortodossi e protestanti) ed islamici, lavorano insieme ad un programma di non-violenza per far cessare il conflitto che da anni sta martoriando il Paese. Sono impegnati in questa iniziativa circa 400 volontari allo scopo di promuovere la pace ed assistere le vittime della guerra. Gli scontri tra l’esercito del governo e i guerriglieri hanno provocato oltre un milione di sfollati. Il premio, che consiste nella somma di 157.500 euro, sarà consegnato il prossimo 11 maggio a Tokyo. La Fondazione Niwano ha istituito l’omonimo premio internazionale per la pace nel 1983, per onorare e incoraggiare i singoli individui e le organizzazioni, che hanno contribuito in maniera significa-tiva alla realizzazione della pace nel mondo, attraverso il dialogo interreligioso.

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IN SUDAN, SI AGGRAVA L’EMERGENZA UMANITARIA NELLA REGIONE OCCIDENTALE

 DEL DARFUR. LA DIPLOMAZIA AMERICANA E DELL’UNIONE EUROPEA AL LAVORO

 PER TROVARE UN ACCORDO TRA GOVERNO DI KHARTOUM E MOVIMENTI RIBELLI

 

KHARTOUM.= La contesa tra il governo di Khartoum e i ribelli sudisti di John Garang sul prezioso territorio petrolifero di Abiey, continua ad allontanare il consolidamento della pace in Sudan, ma è nella regione occidentale del Darfur, che la situazione è davvero critica. L’organizzazione umanitaria dei “Medici senza frontiere” (Msf) - presenti nella regione con nove loro operatori e decine di volontari locali - denunciano che “17 mila persone estremamente vulnerabili sono senza assistenza nel Darfur”, nei piccoli centri agricoli di Krenik e Sisi. Mercoledì scorso, il governo americano si è impegnato ad un finanziamento di 9,3 milioni di dollari in favore degli oltre cento mila abitanti dello Stato. Una parte di questi sarà resa immediatamente disponibile per alcune agenzie dell’Onu. A Naivasha, in Kenya, continua intanto il dialogo tra l'Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (Spla) di Garang ed il governo sudanese, ma è improbabile che l’11 marzo, come previsto, possa essere veramente quella della firma, che il presidente Bush si è detto pronto ad ospitare a Washington. Dal canto suo, l'Unione Europea starebbe cercando di far sedere ad un tavolo di negoziati il governo di Khartoum e le due fazioni principali della guerra nel Darfur (l'Esercito di Liberazione del Sudan e il Movimento per la Giustizia e l'Eguaglianza).  In un comunicato, la presidenza dell'Unione Europea sollecita il governo sudanese a far finire le atrocità compiute nel Darfur dalle milizie dell'etnia 'Janjaweed', che sarebbe rifornito di armi proprio da Khartoum.

 

 

NON SI PLACA L’EPIDEMIA DI FEBBRE DENGUE IN INDONESIA:

IN DUE MESI, OLTRE TRECENTO MORTI E 17 MILA INFETTATI

 

GIAKARTA.= Non accenna a regredire l’epidemia di dengue scoppiata due mesi fa in Indonesia. Il ministero della Sanità ha diffuso oggi l’ultimo bilancio delle vittime che riporta 312 morti e 17 mila infettati in 24 delle 32 province indonesiane. Le autorità mediche precisano che il virus, trasportato da una zanzara, ha colpito maggiormente 12 province, dove si registrano 15 mila casi, e in particolare la capitale Giakarta e sei distretti dell’isola di Java. Le epidemie di “dengue” non sono affatto rare nel sudest asiatico, ma le dimensioni del contagio in Indonesia stanno preoccupando seriamente la popolazione e le autorità locali. Sono infatti quasi quadruplicati i morti per la grave febbre, nelle forme più gravi anche emorragica, rispetto ai decessi registrati nello stesso arco di tempo nel 2003. L’aumento delle precipitazioni potrebbe aver creato un ambiente favorevole alla diffusione della zanzara che depone le sue uova in pozze d’acqua stagnanti, ma gli esperti stanno conducendo delle analisi per accertare se la particolare forza dell’epidemia sia dovuta ad una nuova mutazione del virus. I più colpiti sono bambini e anziani. Il governo ha stanziato 50 miliardi di rupie (5,9 milioni di dollari) per operazioni di disinfestazione e informazione della popolazione. (A.G.)

 

 

PROMUOVERE LA PACE NELLE ISOLE SALOMONE ATTRAVERSO LA CULTURA:

 E’ L’IMPEGNO PRESO DALLA SCUOLA CATTOLICA “ST. JOSEPH” DELL’ISOLA DI TENARU,

 CHE HA PROMOSSO UNO SPETTACOLO TEATRALE INTERETNICO

 

HONIARA.= La pacificazione sociale delle isole Salomone, arcipelago del Pacifico, passa attraverso iniziative di riconciliazione, promozione del dialogo nella società, fra i giovani a partire dalle scuole. Con questa motivazione, gli studenti della St. Joseph Catholic School, sull’isola di Tenaru, hanno organizzato uno spettacolo che è una vera testimonianza di pace. La scuola è formata da alunni di differenti gruppi linguistici, etnici, religiosi provenienti da diverse isole e province dell’arcipelago delle Salomone. Gli studenti hanno messo insieme le loro tradizioni culturali, esprimendole in danze, canzoni, abiti folcloristici, realizzando uno spettacolo che è stato presentato a Tenaru in questi giorni e che girerà per l’arcipelago del Pacifico. Il professor Connelly Sandakabatu, preside della St. Joseph Catholic School, ha spiegato all’agenzia Fides che “l’espressione artistica è capace di mostrare la bellezza del patrimonio culturale e della identità dei diversi gruppi, che viene condivisa e recepita come una ricchezza per tutti. La nostra cultura va vissuta e condivisa con gioia. La scuola – ha aggiunto – crede fermamente che, per promuovere la pace e l’unità nazionale, gli studenti e le scuole devono imparare ad apprezzare le reciproche differenze”. Le Isole Salomone stanno riemergendo da un conflitto civile, durato due anni dal 1998 al 2000, che ha afflitto numerose persone. La Chiesa locale è impegnata a cercare di ricreare fiducia specialmente nei bambini e nei giovani, ancora segnati dalla violenza. (A.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 febbraio 2004

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In primo piano l’intricata situazione di Haiti. La Francia ha lanciato un appello per promuovere la formazione di un governo di unità nazionale senza il presidente Aristide, su cui pesa – secondo Parigi – la responsabilità della situazione. Il nostro servizio:

 

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I ribelli alle porte della capitale ed il presidente di Haiti, Jean-Bertrand Aristide, intenzionato a restare al potere fino alla fine del suo mandato, nel 2006. E’ questo l’intricato scenario del Paese centroamericano dove la popolazione è in preda al panico per l’imminente arrivo dei ribelli a Port-au-Prince. Dopo aver conquistato la città di Cayes, i rivoltosi hanno anche preso il controllo, stamani, di Mirebalais, a 57 chilometri dalla capitale. Durante la notte ripetuti saccheggi hanno provocato colonne di fumo in direzione del palazzo presidenziale. Ma il presidente Aristide, che ha recentemente ribadito la propria disponibilità a condividere il potere con l’opposizione, non sembra intenzionato a dimettersi. Ed alla complessità del quadro politico di Haiti si aggiungono le preoccupazioni della comunità internazionale per la situazione umanitaria. L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha ribadito il proprio appello agli Stati confinanti affinché aiutino gli haitiani in fuga e l’Unicef ha esortato le parti in lotta a risparmiare dalla distruzione gli ospedali e soprattutto le scuole perché proprio queste strutture possono costituire un rifugio sicuro per i bambini.

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Alla vigilia della guerra in Iraq, mentre Londra e Washington cercavano di convincere le Nazioni Unite ad accettare l’intervento militare contro Baghdad, i servizi segreti britannici spiavano il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. A sostenerlo è l’ex ministro britannico per gli aiuti internazionali, la laburista Clare Short. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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“Se la notizia è vera, sono pratiche illegali e devono cessare”: così il portavoce dell’Onu ha reagito alla rivelazione dell’ex ministro britannico, Claire Short. Il premier britannico, Tony Blair, non ha commentato l’accusa definendola però dannosa per la sicurezza nazionale. Lo scandalo è esploso proprio mentre il Palazzo di Vetro sta assumendo un nuovo ruolo di mediazione in Iraq: gli sciiti sono infatti disposti ad accettare il rinvio delle elezioni suggerito dalle Nazioni Unite, ma vogliono che il Consiglio di Sicurezza approvi una risoluzione allo scopo di stabilire una data precisa entro l’anno in corso per tenere il voto. Questa risposta scritta è venuta dallo stesso ayatollah al-Sistani, la massima autorità religiosa locale. Sistani aveva chiesto che le elezioni si tenessero prima del passaggio dei poteri previsto dagli americani per la fine di giugno. Una recente missione dell’Onu ha decretato che non sono possibili per ragioni tecniche e di sicurezza. L’ayatollah ha accettato il verdetto ma non sembra disposto ad accettare i quindici mesi suggeriti dal governatore americano, Paul Bremer.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Sono stati ritrovati il corpo del presidente macedone, Boris Trajkovski, e delle altre otto persone morte nell’incidente aereo avvenuto ieri nel Sud della Bosnia. Secondo il vice procuratore macedone, Roxanda Kserkesta, si può escludere ogni ipotesi di attentato. L’area nella quale sono stati rinvenuti i resti del velivolo è un campo minato lungo quella che era una delle linee del fronte della guerra bosniaca, tra il ‘92 ed il ‘95.

 

Ore di tensione a Gerusalemme. La polizia israeliana ha fatto irruzione sulla spianata delle moschee dopo che centinaia di palestinesi, riuniti per la preghiera del venerdì, avevano lanciato sassi contro gli agenti e contro il sottostante muro del Pianto. L’esercito israeliano ha inoltre distrutto, a Betlemme, due case di miliziani di Hamas e altri due appartenenti al movimento integralista palestinese sono stati arrestati, durante la notte, dai militari dello Stato ebraico.

 

In Marocco, dove sono state interrotte le operazioni di ricerca dei superstiti del sisma che ha recentemente colpito il Paese causando la morte di 571 persone, la terra è tornata a tremare. La nuova scossa, che fortunatamente non ha provocato vittime, è stata avvertita questa notte nel Nord del Paese.

 

Shoko Asahara, il leader della setta giapponese responsabile dell’attentato perpetrato con il gas nervino nella metropolitana di Tokyo il 20 marzo 1995, è stato condannato oggi alla pena di morte per impiccagione. In quella drammatica circostanza morirono dodici persone ed oltre 5 mila rimasero intossicate.

 

Forte sospetto di un nuovo focolaio di influenza dei polli in Giappone. Il ministero dell’Agricoltura ha reso noto che oltre 10.000 polli sono morti in un allevamento vicino Kyoto e che i primi test hanno dato esito positivo sulla presenza del virus.

 

Il congelamento del programma nucleare militare della Corea del Nord. E’ questo l’importante obiettivo dei negoziati, che si concluderanno domani a Pechino, sulle ambizioni atomiche di Pyongyang. Sull’andamento delle trattative, alle quali partecipano le due Coree, gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone e la Russia, ci riferisce Chiaretta Zucconi:

 

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La Nord Corea ha nuovamente sollecitato gli Stati Uniti ad abbandonare la loro politica ostile prima che Pyongyang rinunci ai suoi piani di sviluppo nucleare, e ancora una volta ha negato di possedere attività per l’arricchimento di uranio. A complicare la situazione, un improvviso colpo di scena: Cina e Russia si sono dette pronte ad unirsi al piano di Seul che prevede la fornitura di aiuti energetici alla Nord Corea, a condizioni che questa decida di congelare i suoi programmi atomici militari. Il blocco a tre minaccia di mettere in minoranza le alleate d’acciaio – Giappone e Usa – le quali hanno espresso comprensione per il piano, rifiutando tuttavia di farne parte. E, in mattinata, le sei delegazioni hanno ripreso il discorso lasciato malamente a metà ieri sera, dopo il rifiuto americano-giapponese di accettare la bozza di dichiarazione presentata da Pechino, poiché essa non contiene le parole “completo”, “verificabile” e “irreversibile” a proposito dello smantellamento nucleare nordcoreano.

 

Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.

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Zone di ‘emergenza umanitaria’. Così sono state dichiarate dal Parlamento di Kampala le aree del Nord e dell’Est Uganda, martoriate dai continui attacchi dei ribelli del sedicente ‘Esercito di resistenza del signore’. L’assemblea ugandese ha deciso il provvedimento al termine della discussione sul recente massacro nel campo profughi di Barlonyo, nel distretto di Lira, dove sabato scorso oltre 250 civili disarmati sono stati massacrati dai miliziani.

 

Il presidente della Zambia, Levy Mwanawasa, ha annunciato oggi che la pena di morte contro 44 soldati implicati nel colpo di Stato del 1997, sarà commutata in condanne che vanno da 10 fino a 25 anni di prigione.

 

Al via oggi in Spagna la campagna elettorale in vista del voto legislativo del 14 marzo. Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano conservatore La Razon, il Partito Popolare del premier Aznar otterrebbe il 42,2% dei voti, in vantaggio di 5 punti percentuali sul Partito Socialista di Rodriguez Zapatero, che si attesterebbe al 36,11% dei consensi.

 

 

 

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